Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – 70% NE/VI - Anno 46 - N. 02 Marzo 2018 - Mensile
2018
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Marzo
Organo mensile dell’Associazione Italiana Calciatori
La scomparsa del capitano della Fiorentina
Ciao Davide, ragazzo perbene
editoriale
di Damiano Tommasi
Ripartenza “Mostrarmi per quello che sono, nella mia fragilità, mi ha reso più forte” È il pensiero di Riccardo Saponara che riassume esattamente ciò che è successo il 4 marzo 2018. Il calcio, attraverso i suoi protagonisti, si è mostrato nella sua fragilità di uomini, è tornato con i piedi per terra e si è deciso di chiudere per lutto. Il giorno del funerale a Firenze si è concretizzato quello che per Riccardo è “il regalo più bello che ci ha lasciato Davide”, il calcio si è mostrato formato di persone, con i propri dolori e soprattutto i propri sentimenti e che non ha temuto di esternare. Per una volta non si è avuto paura dei riflettori perché anche chi i riflettori è pronto a puntarli addosso ha vissuto lo stesso dolore. La grande famiglia, è stata definita, fatta di spogliatoi, interviste, partite, allenamenti, viaggi, trattative, iniziative, ritiri, vittorie, sconfitte, critiche e apprezzamenti, alti e bassi di un apparente carrozzone che è diventato come per magia una vera famiglia fatta di sentimenti. Ci siamo mostrati per quello che siamo e la gente ha apprezzato, tutti noi abbiamo apprezzato e non ci siamo tirati indietro negli abbracci e le pacche sulle spalle, quasi che tutti, indistintamente avessimo diritto ad un minimo di consolazione e tutti, indistintamente, avessimo un dovere di confortare. Grazie Davide! Ora ci tocca anche la “ripartenza” sul campo, quella che ha bisogno di più energia e i risultati della squadra di Davide sembrano davvero averne assorbita di nuova. C’è un triste entusiasmo nelle maglie viola che sprigiona calcio e spensieratezza
commovente e risultati tutti per lui, sì perché lui è sempre lì, anzi, qui. L’altra squadra che aspettava Davide è ripartita da Manchester e Wembley. È ripartita con lui e per lui, è ripartita con i piedi per terra, la testa sul manubrio, il nome di Davide sulla maglia e nelle lacrime di qualcuno. Il ritorno al gol grazie alla Var, l’incertezza di un cammino iniziato che si vorrebbe già completo e soprattutto il costante bisogno del nome del CT. Gigi Di Biagio ha meritato e merita una chance, la Nazionale ha bisogno di un’idea lungimirante, di persone che si mettano in gioco sapendo di dover crescere, sapendo che oggi è il punto di “ripartenza” e non il punto di arrivo e per questo servono persone, in tutti i ruoli, che abbiano la fame sportiva di voler riscattarsi. Il commissariamento tarda a partorire idee e progetti, ci saremmo aspettati un altro ruolino di marcia ma ci sembra che almeno la direzione sia giusta. Vicenza, Modena, Pescara calcio a 5, Matera, il calcio femminile, le Seconde Squadre, tutte questioni che aspettano una risposta, un piccolo cambio marcia, dentro di noi e dentro le mura di Via Allegri… la “ripartenza” anche in Figc.
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Poste Italiane SpA – Spedizione
02
Marzo
editoriale di Damiano Tommasi primo piano di Vanni Zagnoli Ciao Davide, persona perbene
serie B di Claudio Sottile Alberto Pomini
servizi di Tommaso Franco Niente social, niente “veline” o serate “brave”, ma molta riservatezza, cura dei particolari e la costante voglia di migliorarsi per arrivare più in alto possibile: Simone Verdi racconta il suo modo di vivere il calcio, un po’ lontano dai soliti stereotipi…
All’Academy Entella con il “modello formativo AIC”
scatti di Maurizio Borsari primo piano di Nicola Bosio Consiglio Direttivo AIC
l’intervista
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di Pino Lazzaro
politicalcio di Fabio Appetiti Alessandro Costacurta
calcio e legge di Stefano Sartori
Impugnazione della rinuncia alla retribuzione Organo mensile dell’Associazione Italiana Calciatori
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femminile di Pino Lazzaro Uno su mille, una su quante?
regole del gioco di Pierpaolo Romani
Aumentano gli spettatori ma anche… la violenza
l’incontro di Alessandra Bianchi Olivier Dacourt
secondo tempo di Claudio Sottile Domenico Morfeo
io e il calcio di Pino Lazzaro Daniele Garozzo
Marzo
– 70% NE/VI - Anno 46 - N. 02 Marzo
Organo mensile dell’Associaz
ione Italiana Calciatori
La scomparsa del capitano della Fiorentina
2018
sommario
2018
02
in Abbonamento Postale
Ciao Davide, ragazzo perbene
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2018 - Mensile
primo piano
di Vanni Zagnoli
La scomparsa di Astori capitano della Fiorentina
Ciao Davide, persona pe Domenica 4 marzo è una data tristemente memorabile, nella storia dello sport italiano. Si è spento Davide Astori, nel sonno. Dormiva da solo, nel ritiro di Là di Moret, un albergo di Udine. L’ultima persona a incontrarlo è stato il portiere della Fiorentina, Marco Sportiello, attorno alle 23,30, e lì il capitano viola stava bene. Avevano giocato alla play station, come spesso accade nei ritiri fra giocatori. La mattina Davide non scendeva per colazione, i compagni sono andati a bussare in camera, nessuno rispondeva, la porta è stata aperta con il passpartout e lì è avvenuta la drammatica scoperta. Il resto è un rituale di questi casi, la telefonata ai genitori del giocatore, a Bergamo, per avvertirli della tragedia, e alla compagna Francesca Fioretti, napoletana, che gli aveva dato una bimba, Vittoria, due anni. Lei era un volto sportivo delle tv campane, negli ultimi anni si era dedicata alla famiglia. Davide è deceduto a causa di una “morte cardiaca senza evidenze macroscopiche, verosimilmente su base bradiaritmica”, dunque probabilmente per cause naturali, come se il cuore avesse rallentato. Accadde per esempio a due giornalisti, Alberto D’Aguanno, già prima firma dello sport di Mediaset, in voce, e a Lino Giaquinto, vicecapo dello sport di Avvenire, grande tifoso del Genoa, scomparso nel 2008. A Firenze sono state giornate dolorosissime, soprattutto ai funerali, svoltisi giovedì 8 marzo, nella basilica di Santa Croce, mentre la camera ardente è stata allestita al Centro Tecnico di Coverciano, dopo l’autopsia, secondo i desideri di Francesca. Dalla sera di quella maledetta domenica è stata una processione dei tifosi davanti allo stadio Artemio Fr a n c h i , con
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tanti a portare sciarpe e mazzi di fiori, bandiere e maglie, striscioni in omaggio al capitano viola. Resteranno lì a lungo ricordi e cimeli, anche di altri club, come Empoli e Torino, e pure di società straniere. E poi biglietti e messaggi affissi sulle cancellate, cuori viola e mazzi di fiori. I giocatori viola vengono seguiti da uno psicologo, per assorbire meglio il contraccolpo, del resto l’allenatore Stefano Pioli a Bologna si faceva seguire personalmente da un esperto. All’epoca disse: “So di essere un buon allenatore, vorrei migliorare”. Nella gestione del gruppo. A Coverciano e nella sede della Figc a Roma le bandiere erano a mezz’asta. Già si propone di intitolare ad Astori il nuovo stadio di Firenze o il centro sportivo, insieme al ritiro della maglia numero 13, anche da parte del Cagliari. Ci limitiamo a una selezione dei ricordi dei calciatori e degli ex. Il più sentito è di Riccardo Saponara, su instagram: “O capitano, mio capitano. Perché non sei sceso a fare colazione insieme a tutti noi? Perché non sei passato a riprendere le tue scarpe fuori dalla camera di Marco e non sei venuto a bere la tua solita spremuta d'arancia? Ora ci diranno che la vita scorre, che lo sguardo va puntato in avanti e dovremo rialzarci, ma che sapore
avrà la tua assenza? Chi arriverà ogni mattina in mensa a riscaldare l'ambiente con il proprio sorriso? Chi ci chiederà incuriosito ciò che abbiamo fatto la sera precedente per riderci su? Chi sgriderà i più giovani e chi responsabilizzerà i più esperti? Chi formerà il cerchio per giocare a ‘due tocchi’ o chi farà ammattire Marco alla play? Con chi dibatteremo sulle puntate di Masterchef, i ristoranti fiorentini, le serie TV o le partite disputate? Su chi appoggerò la mia spalla a pranzo dopo un allenamento es te nuante? Torna dai, devi ancora finire
primo piano
erbene Da Ferraris a Morosini
Le tante (troppe) morti del pallone
di vedere LaLaLand per poterlo analizzare come ogni film appena uscito. Torna a Firenze, ti attendono in sede per rinnovare il contratto e riconoscerti il bene e la positività che doni quotidianamente a tutti noi. Esci da quella maledetta stanza, ti aspettiamo domani alla ripresa degli allenamenti. Nella vita ci sono persone che conosci da sempre con le quali non legherai mai, poi ci sono i Davide che ti entrano immediatamente dentro con un semplice ‘Benvenuto a Firenze Ricky’. Ovunque tu sia ora, continua a difendere la nostra porta e dalle retrovie illuminaci il giusto cammino. O capitano, mio capitano. Per sempre mio capitano”. Cyril Thereau, alla Fiorentina da questa stagione: “Lealtà unica dentro e fuori dal campo, il paradiso ti aspetta capitano. Mi hai messo a mio agio subito il mio arrivo in viola, condoglianze alla tua famiglia e alla piccola princi-
La spoon river dei calciatori è amplissima. La prima tragedia nota del calcio italiano riguarda Ferraris IV, mediano campione del mondo, morto in campo per infarto, mentre giocava con le vecchie glorie, a 43 anni. Giuliano Taccola, attaccante della Roma, venne fulminato da un infarto nello spogliatoio dell’Amsicora, a Cagliari, e morì sull’ambulanza che lo trasportava in ospedale, nel 1969. A Renato Curi è dedicato lo stadio di Perugia, il 30 ottobre 1977 si chiamava ancora Pian di Massiano. Arrivò la Juve e il cuore del centrocampista si fermò a 24 anni, sotto il diluvio. Il ricordo della figlia Sabrina, alla notizia della morte di Davide Astori, da Monza, dove vive: “Mi sono sentita di nuovo morire, la famiglia di Davide è come se sia stata crocifissa perché sentirà a vita la mancanza di un padre e di un compagno. Quando papà morì, avevo tre anni, uno in più della figlia di Astori. Di lui non ricordo praticamente nulla, ma quel dolore non passa e bisogna solo cercare il modo di conviverci. La figlia di Astori potrà solo vederlo nelle immagini, sentire la sua voce registrata. Come me lo riconoscerà e lo cercherà in questi frammenti. Le cose alle quali ti aggrappi. Sono pro-
fondamente credente e convinta che loro ci vedano e non ci vogliano tristi”. Nel 2012, Piermario Morosini venne stroncato da un arresto cardiaco durante Livorno-Pescara. Naoki Matsuda era un difensore, ex Nazionale giapponese, che aveva disputato il mondiale 2002, perse i sensi mentre si allenava con il Matsumoto Yamaga, morì due giorni dopo il ricovero d’urgenza. Lutto mondiale per il 28enne camerunense Marc Foè, stroncato da un arresto cardiaco durante la Confederations Cup del 2003. In Spagna, nel 2007, morì Antonio Puerta, del Siviglia, crollato in campo. Poi toccò a Dani Jarque, capitano dell’Espanyol: era al telefono con la fidanzata, dal ritiro di Coverciano, pagò un attacco cardiaco. Nell’agosto 2007 era toccato a Chaswe Nsofwa, zambiano dell’Hapoel Beersheva, squadra di 2^ divisione del campionato israeliano. Altre tragedie meno noto riguardano Chinonso Ihelwere Henry (Delta Tulcea, squadra 2/a Divisione romena), l’ecuadoregno Jairo Andres Nazareno (21 anni, attaccante del Chimborazo), il capitano degli scozzesi del Motherwell, Phil O’Donnell; Patrick Ekeng, Bernardo Riberio, Miklos Feher.
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primo piano
pessa”. Il ds Carlos Freitas, portoghese: “Mi piacerebbe ricordare il tuo sorriso, abbracciando un Pallone d’oro delle virtù, dell’educazione”. Il team manager Giancarlo Antognoni: “Ragazzo d’altri tempi, sei stato esempio di lealtà, correttezza e attaccamento, un vero capitano, mi sono rivisto in te”. Il Milan, dove Astori crebbe, da giocatore. “Davide aveva il sorriso buono e sereno dell’amico che ogni persona perbene sogna di avere al proprio fianco. Un ragazzo innamorato del calcio, un giovane bergamasco che fa i suoi anni nel settore giovanile del Milan. Poi la maglia azzurra, indossata con quello stile che gli è sempre stato naturale. Per qualche anno in passato ha anche forse accarezzato il progetto di tornare in rossonero”. Filippo Galli, responsabile del settore giovanile rossonero: “Ti ricorderemo così, sorridente, solare e unico”. La Cremonese. “Ciao Davide, il tuo sorriso continuerà a vivere con noi”. Bergamasco, Davide era cresciuto nel San Pellegrino (Terme) e poi nel Ponte San Pietro. A 16 anni passò al Milan, a 21 la prima stagione da professionista, nel Pizzighettone, poi la Cremonese e le 6 stagioni a Cagliari. Che lo ricorda così: “Con la nostra maglia hai realizzato i tuoi sogni, hai fatto gol in Nazionale, sei stato il nostro capitano coraggioso. Ti sei fatto amare dalla nostra gente e hai amato la nostra terra. Ciao Davide, resterai per sempre nei nostri cuori”. Quando Diego Lopez ha saputo della tragedia, negli spogliatoi di Marassi, per Genoa-Cagliari, ha accusato un leggero malore. Era stato suo compagno. Massimiliano Allegri in Sardegna l’aveva guidato, dal 2008 al 2010: “Momenti, parole, immagini e tanti ricordi: il momento è tremendo per chi ha avuto modo di conoscere Davide. Allenarlo è stato un privilegio, mancherà a tutti”. Roberto Donadoni era stato suo tecnico nella stagione seguente: “Era un ragazzo speciale. Ho avuto la possibilità e la fortuna di allenarlo, mi sono reso conto del significato e dell’importanza di essere uomini prima ancora che atleti di primissimo livello”. Nel 2014-15 la stagione alla Roma, con un gol in 24 gare di campionato. Francesco Totti era il suo capitano, twitta così: “Scioccato, incredulo e senza parole per questa tragedia. Sono vicino alla fami8
glia e agli amici di Davide Astori”. Adem Ljajic: “Senza parole… Rip guerriero”. Era alla 3^ stagione in sequenza alla Fiorentina e metà percorso l’aveva condiviso con Carlos Sanchez, centrocampista che a gennaio è passato in prestito all’Espanyol. Ebbene, quando il colombiano ha saputo dalla tragedia, dopo la gara con il Levante, si è sentito male sul campo ed è stato assistito dallo staff. Il necrologio dell’ex viola Federico Bernardeschi, adesso alla Juve: “Con gli occhi gonfi di lacrime, il cuore straziato, ti dico “Grazie amico mio”, grazie per la tua umiltà, la tua bontà, i tuoi insegnamenti. Grazie per la nostra amicizia. Veglia da lassù sulla tua famiglia, la tua compagna e la tua piccola principessa”. Borja Valero, adesso all’Inter. “Non posso crederci. Non voglio crederci. È surreale, riposa in pace Davide”. Stesso percorso per Matias Vecino: “Resteranno sempre nel mio cuore i momenti vissuti assieme”. Daniele Pradè è il ds della Sampdoria, l’aveva portato a Firenze nel 2015: “Ciao Davide, animo buono e gentile. Sono
sicuro che camminerai sempre accanto alle tue donne”. E poi il percorso in Nazionale, con il debutto grazie a Cesare Prandelli. Che lo ricorda con questo sms: “Sono profondamente sconvolto, il vuoto dentro è quello che provo in questo momento. La morte di un giovane ci fa sempre perdere un po’ della nostra innocenza, in questo caso mi sento di aver perso qualcosa di più. Il ricordo che ho di Davide come atleta e come uomo è privato, me lo tengo dentro, il mio cuore che piange. Abbraccio la famiglia nella consapevolezza che in questo momento il dolore è tale che tutto intorno a te brucia e non esistono parole di conforto”. Antonio Conte, dal Chelsea: “Era un grande giocatore ma specialmente un ragazzo fantastico. Sono vicino alla famiglia, aveva solo 31 anni”. Gian Piero Ventura aveva utilizzato Davide Astori per l’ultima volta in Nazionale, a Reggio Emilia, nell’1-0 a Israele: “Sono stravolto per la perdita umana e sportiva. Davide era un ragazzo d’oro, una persona con cui era un piacere parlare
primo piano
e confrontarsi, oltre che un calciatore di qualità”. Claudio Marchisio, compagno di Nazionale, su instagram: “Era un ragazzo più unico che raro. Le persone che hanno avuto la fortuna di conoscerlo lo sanno con certezza. Non si tirava mai indietro, dava tutto se stesso, leale e rispettoso. Il calcio perde un grande giocatore, un capitano dentro e fuori il campo”. Buffon, suo capitano nelle 14 partite in Nazionale. “Ciao caro Asto. Hai una moglie giovane e dei familiari che staranno soffrendo, ma soprattutto la tua piccola bimba, merita di sapere che il suo papà era a tutti gli effetti una persona perbene, una grande persona perbene. Eri l’espressione migliore di un mondo antico, superato, nel quale valori come l’altruismo, l’eleganza, l’educazione e il rispetto verso il prossimo, la facevano da padroni. Complimenti davvero, sei stata una delle migliori figure sportive nella quale mi sono imbattuto. Il tuo folle Gigi”. Bonucci. “Ciao Grande Asto, era così che ti chiamavo quando ci incontravamo, per una partita che ci vedeva avversari o per un raduno in Nazionale. Un sorriso e un abbraccio di quelli veri, una persona leale, onesta e umile. Quante volte abbiamo riso, scherzato, gioito insieme. Quante chiacchierate a tavola seduti accanto, o lungo il corridoio che a Coverciano porta alle camere, o in campo, e anche in camera. “Dai Leo sventagliamela come sai”, era quello che mi ripetevi ogni allenamento durante la tattica. Con quel sorriso che non finiva mai e che faceva capire quanto di buono c’era dentro di te. Te ne sei andato a giocare lassù e so che lo farai sempre con un grande sorriso. Quello che ti ha sempre contraddistinto. Sei un grande amico mio. Mancherai”. Fra le avversarie, il ricordo dell’Inter. “Il calcio è passione, coraggio, impegno e gioia. Questo è stato Davide Astori, capitano della Fiorentina, amico di tanti ragazzi che come lui lavorano ogni domenica per rendere speciale il nostro calcio”. Fra i colleghi, Mertens, il belga del Napoli: “Ci siamo incontrati durante il mio viaggio di nozze, ci siamo molto divertiti. Sei un ragazzo bellissimo”. Tweet e ricordi anche dall’estero, dal Manchester City, al Real Madrid (tramite il capitano Sergio Ramos) al Barcellona. Altri messaggi da Sami Khedira e Mauro
Una sentenza storica
La certificazione d’idoneità agonistica Proprio mentre il mondo del calcio, e non solo, piangeva la prematura scomparsa del capitano della Fiorentina Davide Astori, una sentenza del Tribunale di Sulmona ha posto, per ora, un punto fermo sulle responsabilità che derivano dal sottoporsi o meno alla certificazione medica di idoneità agonistica. L’art. 43.2 delle NOIF prevede, per tutti i tesserati maggiori di 12 anni, “l'accertamento della idoneità alla attività sportiva agonistica, ai sensi del D.M. 18 febbraio 1982…”. Il punto 6 prevede inoltre che le società “sono responsabili dell'utilizzo del calciatore dal momento della dichiarazione di inidoneità, nonché dell'utilizzo di calciatori privi di valida certificazione di idoneità all'attività sportiva”. Fino ad ora, nel caso in cui - in violazione degli artt. 1 bis, comma 1, e 10, comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva, anche in relazione agli artt. 7, comma 1 dello Statuto Federale, e 39 e 43, commi 1 e 6, delle NOIF – un calciatore sia stato schierato senza aver conseguito il regolare certificato d’idoneità, le sanzioni irrogate dagli organi di disciplina consistevano in giornate di squalifica, da 1 a 3, per gli atleti, inibizioni di 2 o 3 mesi per i dirigenti ed infine penalizzazioni di 1 o 2 punti accompagnate da modiche ammende per i club (quasi sempre dilettantistici) interessati. Ebbene, ora il quadro generale appare radicalmente cambiato. Con una sentenza che si può definire giustamente come “storica” e che è originata dalla morte avvenuta sul campo di un calciatore dilettante nel 2013, la società ASD Amatori Aielli, la FIGC e la LND sono state condannate in solido a risarcire gli aventi diritto (moglie e figlie) del calciatore deceduto con importo pari a circa € 400.000. Secondo il giudice, le responsabilità col-
pose di questo terribile evento vanno imputate anche a FIGC e Lega: è stato infatti accertato che l’atleta era sprovvisto di idonea certificazione all'attività sportiva e che, in aggiunta, soffriva di ipertensione arteriosa, come confermato sia dai familiari che dal medico curante. Inoltre, ad aggravare la vicenda, un certificato medico rivelatosi falso – è tuttora in corso l’indagine penale - è stato rilasciato solo dopo la morte del Tofani … Per il giudice, posto che una diagnosi effettuata dall’ASL competente o da un Centro di Medicina Sportiva avrebbe potuto evidenziare la patologia impeditiva al rilascio dell’idoneità, le responsabilità vanno addebitate certamente al calciatore stesso, alla società ma anche alla FIGC ed alla LND quali enti “organizzatori del campionato di calcio e per essersi avvalsi… dell'opera dell'Asd Amatori Aielli in funzione del perseguimento delle loro finalità, tra le quali la tutela della salute degli atleti”. La sentenza recita testualmente che il dovere di tutelare gli atleti dal punto di vista medico-sportivo (principalmente attraverso l'acquisizione della certificazione di idoneità più volte richiamata), costituisce per Federazione e Lega l'oggetto di una obbligazione di fonte negoziale, a sua volta derivante dal tesseramento. In conclusione, precisato doverosamente che al calciatore purtroppo deceduto è stato attribuito il concorso di colpa in misura del 50%, in quanto era ben conscio del proprio inidoneo stato la sentenza del Tribunale di Sulmona afferma chiaramente che FIGC e Leghe sono corresponsabili nel vigilare che, all’atto del tesseramento, tutti i calciatori siano in possesso del certificato di idoneità all’attività agonistica. Pena, in caso contrario, la condanna ad erogare importanti risarcimenti del danno.
Icardi, di Alessandro Matri e Marco Tardelli, che rammenta la perdita di Scirea: “Quando fai parte di una squadra, spesso hai l’opportunità di conoscere uomini prima che giocatori. Nascono amicizie destinate a durare per sempre. Davide come
Gaetano, due ragazzi dalla profonda umiltà”. Simone Perrotta: “Caro Davide, oggi purtroppo ci riporti al senso della vita, al dover godere di ogni momento perché appesi, sempre, ad un filo sottile”. 9
scatti
di Maurizio Borsari
La luce per tutti noi
“Caro Davide, parlo a nome di tutta la squadra. Non mi dilungherò, sarò breve come piace a te. Non sei come tutti gli altri, tu ci hai sempre parlato con il cuore, ci hai tenuto uniti. Hai un grande dono: parli con la lingua universale del cuore. Sei diretto, con i tuoi occhi entri dentro le persone e ci rimani. Sei il compagno di squadra che ognuno dovrebbe avere, il figlio e il fratello che tutti sognano. Tuo mamma e tuo papà non hanno sbagliato nulla con te. Non dimenticheremo mai le tue risate, la luce che portavi al mattino quando arrivavi per fare fisioterapia. Tu, designer di fama mondiale e calciatore nel tempo libero, come amavi definirti. Dedichiamo un pensiero alla famiglia, a mamma, papà, Bruno, Marco, Francesco e alla principessa Vittoria. Racconteremo a tua figlia di un uomo con la U maiuscola. Tu sei la luce per tutti noi, sei il calcio pure giocato dai bambini”.
Milan Badelj
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scatti
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l’intervista
di Pino Lazzaro
Simone Verdi, attaccante e capitano del Bologna
Il mio (altro) modo di vivere il calcio
“Il mio paese, meglio paesino è Travacò Siccomario, pochi chilometri da Pavia. Un fratello più grande di me di due anni, Mattia, è con lui che giocavo sempre a pallone. Una casa grande la nostra e giù avevamo una taverna, c’era spazio, si poteva giocare, a turno si stava in porta. Penso d’aver avuto sui 3-4 anni, mio fratello che così già andava a scuola, aveva gli amici
che giocavano a calcio, anche lui allora ha voluto andare alla scuola-calcio, più che altro per stare con loro. L’ha chiesto a mio padre e così quando Mattia è andato a fare il primo allenamento, m’hanno portato con loro. Però anch’io volevo fare come mio fratello, anch’io volevo allenarmi, non importa se l’età minima mi pare fosse appunto sei anni. Così ho cominciato, niente partite ma gli allenamenti sì, avevo dunque poco più di quattro anni. Il campo era a duecento metri, a portarmi ci pensava-
Ora per dopo
no mio padre o i nonni”.
“Avevo circa otto anni quando andai a fare con altri compagni un provino col Piacenza: mi presero e passai tre mesi con loro. Non è stato un bel periodo quello, ricordo che per andare agli allenamenti s’andava sino al casello dell’autostrada di Casteggio, lì veniva il pullmino, idem al ritorno e arrivavo a casa tra una cosa e l’altra tardi la sera, anche dopo le 22. Ma soprattutto era il fatto che mi sentivo ed ero emarginato dal gruppo, loro erano assieme da tempo, insomma non mi ci trovavo bene e ricordo un giorno il pianto lì in macchina con mio padre, soprattutto non mi divertivo, fu così che tornai indietro, era il divertimento quel che cercavo”. “Fu poi verso gli 11 anni che feci un provino al Milan. Capitò che lì vicino al mio paese abitava un altro ragazzino, De Vito, ora lui gioca in Lega Pro (Andrea, con la Viterbese; ndr). Lui giocava col Milan ed è stato suo padre, che mi aveva visto giocare, a consigliare a quelli del Milan di darmi un’occhiata, che secondo lui ne valeva la pena. Feci il provino, andò bene, ma appena dopo una settimana ne feci un altro con l’Inter, anche questo andò bene e dunque mi trovai a dover scegliere e quel che mi fece decidere – fu semplice – fu il fatto che al Milan mi fecero sentire subito parte della squadra, del gruppo, mi vedevano e mi facevano così sentire come uno di loro, mi parlavano e mi piaceva. Non così all’Inter, credo anche per questo mi ricordo meno di loro e comunque al Milan non ci sono andato subito, ho preferito aspettare e finire la stagione con la squadra del mio paese. Sì, se vuoi un po’ quel che è successo da poco col Napoli e
“Il mio dopo è giusto quello di provare ad andare più su possibile: vivo il presente e vediamo quel che mi riserverà”. 12
ci tengo qui a ripetere che non è vero che il mio no sia stato alla città, certo che no. Anche stavolta, come ho fatto da ragazzino, ho preferito restare dove sono, una cosa questa che ho sempre detto e così è stato. Io so che devo migliorare ancora molto e giocare con continuità, proprio per trovare continuità dentro la partita, mi può aiutare e molto: questo per adesso ho deciso di fare, tutto qua”. “Certo giocare ‘al Milan’ era una cosa grande e devo dire, per come sono fatto, che in quegli anni, tra gli 11 e i 15, mi capitava pure, come dire, di “vergognarmi”. Sì, capitava infatti che per esempio al sabato dovessi andare a scuola con la borsa del Milan, poi avevo la partita, ma era un qualcosa che non mi piaceva, pareva che volessi farmi vedere, che mi volessi dare delle arie ed era insomma questa una cosa che non mi andava. Le medie a Pavia e uscivo da scuola verso l’una e lì c’era mia madre col… pranzo pronto e così mangiavo in macchina fino ad arrivare sempre lì a Pavia al posto dove passava il pullmino del Milan che poi per strada tirava su altri ragazzi. Per arrivare così al Vismara (il centro sportivo, zona sud di Milano; ndr), ci voleva anche più di un’ora; allenamento che finiva verso le 17.30, percorso al contrario, altra oretta e di solito era mio
l’intervista
padre che mi veniva a prendere, mia madre non poteva per via del negozio: cena e tempo poi per cercare di studiare un po’ e fare i compiti. Il tutto sino ai 16 anni, poi col passaggio alla Primavera c’era il convitto lì a Gallarate”. “La mia compagnia è rimasta sempre quella di quando giocavo lì al mio paese, specie d’estate, in giro per gli oratori. Sono loro che continuo a frequentare, non importa se io al venerdì sera o al sabato sera quando si giocava la domenica mattina non uscissi mai e preferivo starmene sempre a casa. Dei sacrifici? No, sinceramente no e poi chi mi conosce, chi sa come sono fatto, sa che non sono uno a cui piace uscire, niente discoteche, dove c’è tanta gente… no, no, a me piace stare tranquillo”. “Un momento che penso sia stato importante è stato quando lì al Milan avevano pensato di scartarmi, dicevano che non potevo starci soprattutto fisicamente, che non ero pronto insomma a salire in Primavera
l’intervista
dagli Allievi nazionali. Lì ne sono venuto fuori soprattutto col carattere, mi ha sempre dato una mano nelle difficoltà, non sono uno che molla. In più c’è stato proprio il quel periodo il cambio nel settore giovanile, come responsabile era arrivato Galli e sarebbe stato Stroppa l’allenatore della Primavera. Fu il mio procuratore a
chiamare Galli, che almeno mi facessero provare, poi eventualmente si sarebbe cercata un’altra soluzione. Così andò e fu quello per me il momento di tirare fuori qualcosa in più. Ritiro perciò con la Primavera e ricordo poi il torneo che giocammo a Villareal, alla fine mi premiarono come il giocatore migliore; Ferragosto era
Mi ritorni in mente
“Beh, se mi chiedi quale sia la partita che non dimentico, allora, così subito, penso a quella contro il Crotone di questo campionato, quella in cui ho fatto i due gol su punizione, uno di destro e uno di sinistro. Lo so, ho fatto proprio notizia, ma guarda che è un qualcosa che ho sempre avuto, è stato sempre così, sin da bambino, non è che mi sia messo a volermi migliorare, questo o quell’altro piede. Però non mi posso dimenticare che quella partita poi l’abbiamo persa, 3 a 2, non è insomma che me la sia goduta poi tanto. Sì, mi metto sempre lì a provarle le punizioni, almeno una volta la settimana”. “Di partite che vorrei rigiocare ce n’è una in particolare, anche questa come faccio a dimenticarla? Pensa, Barcellona-Eibar, proprio lì, un’emozione unica, contro tutti quei campioni. Abbiamo perso per 3 a 1 ed eravamo anche andati in vantaggio, avevo fatto l’assist, poi una tripletta di Suarez… Stadio pieno, io che giocavo dietro la punta e non è che avessi proprio sempre lo stesso di avversario, ma lì attorno c’erano Rakitic, Busquets, Iniesta…”. Come ti ho detto in campo mi ritengo uno tranquillo e comunque un rosso che non mi dimentico l’ho preso proprio la scorsa estate, partita di Coppa Italia, Bologna-Cittadella, 3 a 0 per loro. Palla alta che si impenna e io vado a saltare e sì, ho allargato un po’ i gomiti. Non me n’ero quasi accorto di averlo toccato e invece gli ho spaccato lo zigomo, gli ho anche scritto poi per scusarmi: tre giornate mi hanno dato!” (partita iniziata giusto da 5’ e lo… zigomo era quello di Pezzi; ndr). “Lo stadio più bello per me continua a essere San Siro, non a caso lo chiamano la Scala del calcio: poco da fare, c’è quell’atmosfera che è davvero unica”. 14
poco lontano, ricordo che pensavo come avrei potuto passare quei pochi giorni liberi che avevamo, ma appena arrivati a Milano ecco lì che mi dicono che il giorno dopo avrei dovuto andare con la prima squadra per il Trofeo Tim, c’era Leonardo allenatore. Ecco perché fu quello un momento importante, io che avevo voluto dimostrare che non ero come mi avevano giudicato e li volevo far ricredere: sì, m’è servito soprattutto il carattere”. “Certo, il mio sogno sin da bambino era quello di fare il calciatore, un qualcosa che non so da dove venisse, forse da mio padre, lui che giocava in porta, sia pure tra gli amatori, la passione che aveva, come quella dei miei nonni, specie quello da parte di mia madre, appassionatissimo. Spesso capitava l’occasione di fare il raccattapalle, lì sul campo li vedevo quella specie di idoli e il mio preferito era Shevchenko, quanto mi piaceva come giocava, avevo anche il suo poster in camera. Fare il calciatore mi pareva fosse quasi fatta al momento del passaggio dagli Allievi nazionali alla Primavera, pensavo insomma di esserci riuscito e certo ora mi rendo conto che non era certo così. Anche adesso che a livello qui italiano posso avere magari un certo “nome”, mi rendo conto che c’è sempre da fare di più, ancora e ancora, anche per poter ambire a qualcosa di più. Un “lavoro” – sì, tra virgolette – lo è poi diventato quando ho cominciato a giocare in categorie professionistiche, dunque da professionista, anche se mi verrebbe più da dire passione, quasi hobby e insomma mi trovo a fare come professione quel che sognavo di fare sin da quando ne avevo quattro di anni”. “Mi rendo conto che in questo tempo che sto passando a Bologna, sono cambiato parecchio. Direi soprattutto a livello mentale, sul come prepararmi, sul concentrarmi per bene anche per gli allenamenti, il modo in palestra per attivare i vari muscoli, anche o soprattutto per prevenire gli infortuni. In più, di mio, ci metto la vita tranquilla che
l’intervista
meno li leggo poi tanto i giornali. Anche in televisione non è che sono sempre lì a guardare calcio, no; certo se per esempio c’è Chelsea-Manchester City o partite così le guardo, mi piace tra l’altro il calcio inglese, ma niente di più. Nello spogliatoio? Beh, non sono certo uno di quelli casinisti, no: diciamo che sono tutto sommato un po’ sulle mie, un po’ tranquillo rispetto ad altri, un po’ riservato, ecco”.
faccio, anche questo, per come sono fatto, mi aiuta. La sera è raro che esca, so che anche un buon riposo è importante. Sto attento così anche a quello che mangio, non è che abbia una vera e propria dieta, ma insomma niente dolci, evitare i fritti, ste cose qui”. “Per me il divertimento adesso è quando riesco a dare il mio massimo e come squadra vedo e vediamo che giochiamo bene, che facciamo le cose come dobbiamo farle. Così è uno stimolo anche in
allenamento, cerco sempre di migliorarmi ed è una cosa questa che fa bene a me ma penso faccia bene anche ai miei compagni: quando le cose girano, non si dice infatti che una squadra gioca e si diverte?”
“È vero, prima di arrivare qui a Bologna ne ho cambiate diverse di società e dico che il mio percorso è stato un po’ “forzato”, c’era sempre il Milan di mezzo ed evidentemente continuavano a mandarmi in giro perché per loro non dimostravo abbastanza: ora le cose sono cambiate col fatto che è stato il Bologna a “comprarmi”. In effetti dove so bene che devo migliorare è nell’avere continuità all’interno dei 90 minuti; mi capita di fare delle cose buo-
“Sì, questi famosi social. Con questa corsa ai followers, di personaggi che pensano di essere e magari lo sono anche davvero pubblici e via a postare foto della propria vita privata, di quel che fai. C’è chi lo fa anche tra i calciatori ma per quel che mi riguarda, devo dire che sono invece uno più riservato, non sono di quelli che mettono le foto, non mi va insomma di far vedere agli altri quel che faccio eccetera. E poi bisogna sempre stare attenti, basta una parola sbagliata o magari che quel che dici venga riportato in un altro modo. L’ho provato su di me, con tutto quello che è stato detto sul fatto che non sono andato al Napoli, è stata insomma una brutta esperienza. Penso per esempio a mio padre, all’intervista che gli hanno fatto, su com’ero da bambino, ste cose qui e s’è trovato poi sul giornale a “dire” cose che nemmeno pensava (e pensa). Purtroppo è così, bisogna stare attenti, sempre. Così quel che preferisco è il campo, lì dentro secondo me tra compagni e colleghi c’è rispetto, ci siamo ed è tutto quello che c’è fuori da quel rettangolo su cui ci sarebbe da discutere e chissà quanto ci sarebbe da dire. No, non sto dietro alle pagelle e nem15
l’intervista
ne ma poi mi spengo, quasi sparisco e dunque devo cercare di essere più presente e anche più decisivo dentro la partita. Come ho detto prima so che devo migliorare molto, per questo giocare con continuità mi aiuta a trovare continuità, è così che la penso”. “No, la notte prima dormo sempre benissimo, direi insomma che le partite non è che le sento più di tanto. Con gli arbitri sono uno tranquillo, che non protesta mentre con i giovani cerco – se posso – di dare loro una mano, per quanto possibile, di farli sentire a loro agio, senza dar loro addosso e credo che tutto questo dipenda dai ricordi che ho di quando ero ragazzino io, specie di quel periodo in cui davvero ho sofferto”.
La scheda
Simone Verdi è nato a Broni, in provincia di Pavia nel luglio del 1992. Dopo gli inizi al suo paese (Travacò Siccomario) e con l’intermezzo di un breve periodo – tre mesi – nelle giovanili del Piacenza, è entrato nel settore giovanile del Milan a 11 anni. Proprio con i rossoneri ha fatto poi l’esordio tra i professionisti, ma non in campionato, bensì in Coppa Italia. Era esattamente il 13 gennaio del 2010 (Simone era dunque diciottenne), a San Siro contro il Novara, vittoria per 2 a 1 e giusto per inquadrare le cose ecco com’era quel giorno il Milan: Storari, Bonera (46’ Abate), Favalli, Kaladze, De Vito, Flamini, Ambrosini, Jankulovski, Di Gennaro (65’ Verdi), Inzaghi, Huntelaar; in panchina: Abbiati, Thiago Silva, Antonini, Gattuso, Zigoni; allenatore: Leonardo. L’esordio invece in campionato l’ha fatto con la maglia del Torino (in B, stagione 2011/2012), campionato quello che si concluse con la promozione in serie A e che gli permise così di debuttare in A (fine settembre, Atalanta-Torino 1-5; entrò al 78’ al posto di Cerci). A gennaio ci fu poi il passaggio alla Juve Stabia (B), cui seguì l’Empoli (ancora serie B), con la cui maglia dapprima conquistò nuovamente la Serie A, per retrocedere poi in B nella successiva stagione. Dopo sei mesi all’Eibar (Liga Spagnola), nel gennaio 2015 ha fatto ritorno in Italia, giocando col Carpi (A). Infine, ecco il suo approdo a Bologna (dalla stagione 2016/2017), sua attuale squadra. Dopo aver giocato con l’Under 19 e l’Under 21 (con cui ha preso Stagione Squadra Cat. P. G. parte all’Europeo 2015 in Repub2017-18 Bologna Serie A 27 7 blica Ceca), l’esordio nella Nazio2016-17 Bologna Serie A 28 7 nale maggiore l’ha fatto (Ventura 2015-16 Carpi Serie A 8 3 c. t.) a fine marzo 2017 nell’ami2015-16 Eibar Serie A 0 0 chevole vinta per 2 a 1 in Olanda 2014-15 Empoli Serie A 26 1 (subentrò allo scadere a Verratti). 2013-14 Empoli Serie B 40 5 Presenza a cui si è poi aggiunta, 2012-13 Torino Serie A 4 0 in ottobre, quella contro la Ma2012-13 Juve Stabia Serie B 20 0 cedonia (1 a 1, a Torino), partita 2011-12 Torino Serie B 12 0 valida per la qualificazione (ahi) 2010-11 Milan Serie A 0 0 al Mondiale 2018 in Russia.
La scheda
“Non so perché ci vedano per forza come dei viziati, tutti lì a caccia di veline… non so, la mia ragazza non è per esempio una velina e sono orgoglioso di lei, lei non è di quelle appariscenti, che si mettono in mostra. Calciatori donnaioli? Ma perché? Certo, ce ne sono ma è pur vero che ce ne sono dappertutto, non bisogna per forza essere calciatori, no? Proprio non la capisco questa cosa qui, questa fama…”. 16
di Maurizio Borsari
scatti
Calciatori in rete
con Vasco Regini in Bologna – Sampdoria 2-0
Il gran rifiuto
striscione in Bologna – Benevento 3-0
Accerchiato
da Manolas, Juan Jesus, Fazio e Strootman in Bologna – Roma 0-3
Debutto azzurro Contro Kenny Tete in Olanda – Italia 1-2
“Bandiera”
attaccato alla maglia in Bologna – Benevento 3-0 17
serie B
di Claudio Sottile
Portiere del Palermo
Pomini e la pesca da Serie A Alberto Pomini è un lupo di mare. Per aggiungere il “vecchio”, beh, c’è da sfidare la carta d’identità che dice 1981 a dispetto di prestazioni da marinaio ragazzino. Il mare, la sua grande passione. La pesca, il suo grande amore. Sassuolo, il suo porto felice della memoria. Palermo di nuovo in Serie A, la sua grande sfida. Alberto, con chi vi giocherete la Serie A fino alla fine? “Il campionato di Serie B è sempre molto duro, nelle ultime 12 partite possono entrare nuovi interpreti nella lotta alla Serie A. Credo che le prime 6-7 si daranno lotta fino alla fine, anche se in questo momento magari l’Empoli sta tenendo un passo difficile da mantenere anche per noi che stiamo rincorrendo. Però sicuramente sarà lotta tra 6-7 squadre fino alla fine, quelle che per ora stanno comandando la classifica”. Come giudichi la tua stagione fino ad oggi? “Essere a Palermo ed essermi messo in discussione a 37 anni è un orgoglio. Venire qui era già per me un aspetto positivo. È chiaro, ritagliandomi uno spazio e sentendomi nuovamente importante a livello personale la vedo positivamente. Il risultato finale della squadra però è la cosa che conta di più, un’eventuale promozione farebbe diventare l’annata positiva. Se non arrivasse, anche personalmente, non mi riterrei soddisfatto”. Ti aspettavi di giocare così tanto? È dal 2012/2013 che non inanellavi tutte queste presenze. “Quando sono arrivato sapevo di dover aspettare il mio momento per dare una mano a due ragazzi che avevano bisogno di crescere. Ho lavorato sempre con entusiasmo, pensando sempre di avere la possibilità di mettermi in mostra. Tutto quello che è venuto me lo sono guadagnato sul campo e sono contento di aver trovato più spazio rispetto a quello che magari all’inizio mi aspettavo. Anche a Sassuolo negli ultimi 3 anni mi sono allenato sempre con la speranza e con la mentalità di dover giocare, a prescindere dal ruolo se primo, secondo o terzo. Quando capitano le occasioni poi bisogna saperle prendere”. 18
Stai vivendo una sorta di “seconda giovinezza”? “Seconda giovinezza non lo so. Ho sempre cercato di mantenermi nel miglior modo possibile, cercando di prevenire, lavorare tanto per tenere la condizione fisica migliore. Mentalmente ho lo stesso entusiasmo di quando ho cominciato ed anche questo aiuta. L’età e l’esperienza aiutano ad interpretare meglio il ruolo ed il modo di giocare. Tutto messo insieme fa sì che a 37 anni uno come me possa sentirsi con anni di carriera davanti, con la speranza di poter fare altri campionati ancora”. Cos’hai pensato durante la bicicletta di Igor Coronado a Novara? L’aveva mai provata in allenamento “Il gesto tecnico di Igor mi ha lasciato a bocca aperta, forse è la prima volta in carriera che ho visto un numero di così alta qualità e classe. Igor è solito provare queste giocate estrose, anche in allenamento tante cose le prova, le rischia e vengono fuori anche queste perle di bellezza rara che danno gioia a tutto il calcio. Giocatori come Igor aiutano a creare felicità nel mondo del calcio, che dovrebbe essere una festa. Anche se, qualche volta, gli rimprovero in modo amichevole che deve essere più concreto. Riapriamo il dibattito: giusto che una squadra, in questo caso il Palermo, giochi nonostante sei convocati per le Nazionali? “Per noi che la viviamo durante l’anno è una situazione paradossale, perché ritrovarsi a lavorare 2 mesi all’anno in 14-15 persone è normale che la qualità e qualche punto vengano persi. Rientrare dalla Nazionale porta stanchezza, il livello di chi resta si abbassa un pochino. Ed è paradossale perché si fermano tutti i campionati, si fermano i campionati Primavera e non fermare il secondo campionato più importante d’Italia è assurdo. È un danno procurato, noi siamo in difficoltà, ma
dobbiamo continuare a lavorare”. Spostando il focus sul tuo passato. Il Sassuolo riuscirà a salvarsi? “Il Sassuolo per la qualità dei giocatori che ha riuscirà a salvarsi. Per la qualità della rosa ed il campionato, l’obiettivo non era la salvezza, ma un campionato tranquillo dopo 3-4 stagioni fatte ad alte livelli. Quando le stagioni nascono male bisogna essere bravi anche a cambiare la mentalità in corsa. Ed in una piazza dove non c’è grande pressione, lo posso dire per esperienza, un calciatore tende anche ad appiattirsi un po’. Ma sono convinto che alla fine la qualità verrà fuori e ce la faranno senza particolari problemi”. Ti aspettavi che mister Eusebio Di Francesco facesse così bene al suo primo anno di Roma? Un pronostico anche per Roma-Barcellona… “Posso solo parlarne bene di Di Francesco. È stato più di un allenatore per me e lo considero quasi un amico. Non ho mai messo in dubbio le sue qualità e lo ritengo uno degli allenatori migliori che abbiamo. Ha le qualità, bisogna lasciarlo operare con calma, perché è un allenatore che ha bisogno di lavorare per esprimere il proprio
serie B
calcio. La Roma ha avuto pazienza ed intelligenza aspettandolo, ora i risultati stanno dando ragione. Anche RomaBarcellona non è così scontata come vogliono farla sembrare. Bisognerà vedere come sapranno parare i colpi al Camp Nou contro quella che forse è la squadra più forte del mondo. Sarà una partita difficile, ma per me non è così scontata come la vogliono dare tutti”. Un tuo ex compagno in neroverde mi ha svelato che sei un grande appassionato di pesca. La promozione del Palermo, pertanto, che pesce sarebbe? E quali doti, in comune coi pescatori, dovranno servirvi per il salto di categoria? “Intanto penso di sapere chi possa essere la spia…(ride, indovinando che si tratta di Andrea Catellani, con lui in Emilia nel 2010/2011 e nel 2012/2013, anno della prima storica promozione nella massima serie del club del patron Giorgio Squinzi, ndr). Sì, sono un grande appassionato di pesca. Mi rilassa e mi permette di stacca-
re, di darmi quella tranquillità che permette di ricaricare le batterie visto che nel mio ruolo il dispendio energetico-mentale è altissimo. La promozione del Palermo penso possa considerarsi una cernia, perché comunque è un’impresa come tutti i campionati da vincere enorme. Che ha grandissimo valore, come rappresenta la cernia in tutto e per tutto: un pesce di grandi dimensioni, che è difficile da pescare ed ottenere e che poi permette di soddisfare tante bocche. Per vincere un campionato ci vogliono grande pazienza, grande cura dei particolari, grande tenacia e penso che un pescatore le abbia tutte e tre queste doti: la pazienza perché si può passare anche una giornata intera senza vedere una mangiata, la cura nei particolari perché a volte anche un piombino o la taratura dell’altezza della profondità possono cambiare la giornata, la tenacia perché comunque non bisogna mai mollare. Sono due sport opposti, ma si somigliano abbastanza a livello di preparazione”.
righe… 5 La Chilena In
di Damiano Tommasi
Ronaldo ha rovesciato l’Allianz Stadium. Proprio come il gesto tecnico mostrato sul secondo gol il campione portoghese è riuscito a farsi applaudire dal pubblico che stava percependo l’uscita dalla Champions per la squadra del cuore. Nata come intervento difensivo, la Chilena, si è trasformata in un dolce e vibrante momento di sport vincente… proprio come gli applausi del pubblico juventino.
La scheda Alberto Pomini è nato a Isola della Scala il 17 marzo 1981. Dopo una piccola parentesi nella squadra di paese, il Cadidavid, passa alle giovanili dell’Hellas Verona dove svolge tutta la trafila fino alla Primavera. Viene ceduto in prestito al San Marino, passa poi al Bellaria Igea Marina, quindi si trasferisce al Sassuolo, in Serie C2. Con la società modenese scala tutti i campionati fino alla Serie A, esordendo nella massima Serie a 32 anni. Con la maglia del Sassuolo conta 211 presenze ufficiali e detiene il record di presenze consecutive (102) tra il 2010 e il 2012. Da quest’anno è a titolo definitivo del Palermo. Stagione
Cat.
P.
2017-18
Palermo
Squadra
Serie B
12
2016-17
Sassuolo
Serie A
0
2015-16
Sassuolo
Serie A
0
2014-15
Sassuolo
Serie A
4
2013-14
Sassuolo
Serie A
3
2012-13
Sassuolo
Serie B
41
2011-12
Sassuolo
Serie B
42/
2010-11
Sassuolo
Serie B
23
2009-10
Sassuolo
Serie B
5
2008-09
Sassuolo
Serie B
1
2007-08
Sassuolo
Serie C1
11
2006-07
Sassuolo
Serie C1
14
2005-06
Sassuolo
Serie C2
22
2004-05
Sassuolo
Serie C2
16
2003-04
Bellaria Igea Marina
Serie C2
20
2002-03
San Marino
Serie C2
17
19
serie B
di Tommaso Franco
Medie voto e curiosità
Empoli, dove si coltiva il talento
È sempre l’Empoli la squadra del momenstagioni, con qualche mese da protagoto, con una coppia d’attacco che farebbe nista sulla panchina giallorossa nella stapaura, forse, anche nella massima serie. Il gione 2012/2013. Tante stagioni accanto duo Caputo - Donnarumma fa sognare a Spalletti, con la prima grande chance i tifosi della compagine toscana, partita proprio ad Empoli dove il tecnico dell’Incon ambizioni da promozione senza farter iniziò la sua grande carriera. ne segreto in alcun modo. Empoli è da sempre fucina di talenti, calciaL’Empoli segna una rete ogni 70 minuti tori e allenatori. Da Empoli sono passati, tra per un totale di 71 reti fatte (41 in casa, 30 gli altri, Ciccio Tavano, Totò Di Natale, “Big fuori), un attacco che stacca di gran Mac” Maccarone, Tonelli, Saponara, Rulunga le inseguitrici. gani, Dainelli, Lodi, Marchionni CAPUTO In panchina e ancora Hysaj, VeciBENNACER Empoli 6,57 Empoli 6,36 dirige l’orcheno, Laxalt, IORI CIANO Valdifiori, Cittadella 6,41 PASQUAL Frosinone 6,48 Zielinski Empoli 6,38 KRUNIC e Verdi. Empoli 6,34 DOMIZZI Venezia 6,21 L’ambienFALZERANO Venezia 6,41 ANDELKOVIC te sembra esVenezia 6,14 sere ideale, insomCOLOMBI MODOLO Carpi 6,31 ma, per coltivare talenti Venezia 6,20 lontano dalla pressione che si vive altrove. Sono davvero tanti i calciatori che hanno spiccato il volo partendo dal Castellani, quasi sempre seguiti e valostra rizzati da allenatori poi diventanti “big”: Spalil maestro letti, Sarri, Giampaolo, Guidolin, Simoni… La miglior forAurelio AndreNella top 11 di questo mese sono ben 4 gli mazione di Serie B azzoli, toscano di empolesi “titolari”: l’esperto terzino sinistro dall’inizio del torneo Massa. Il mister è uno che di Manuel Pasqual (media voto: 6,38), i cencalcio ne sa, che ne ha masticato parectrocampisti Rade Krunic (4 reti e 9 assist sin chio. Uno che ha fatto la “gavetta” fino a qui, media voto: 6,34) e Ismaël Bennacer meritarsi un posto nel calcio dei grandi. (classe ’97, media voto: 6,36) e il bomber La prima grande chance nel 2005, come Ciccio Caputo che con la media di 6,57 è collaboratore tecnico della Roma per 11 il migliore di tutta la categoria. Sono ben 14 gli empolesi che vantano una media voto superiore alla sufficienza, un gruppo forte e compatto che ha fin qui dimostrato grande solidità in tutti i reparti. Torniamo al nostro “11 titolare”. In porta ritroviamo anche per questo mese Simone Colombi del Carpi (media 6,31) mentre in difesa, accanto a Pasqual, completano la linea tre “veneziani”. Marco Modolo (media voto: 6,20), e i difensori centrali Sinisa Andelkovic (media voto: 6,14) e Maurizio Domizzi (media voto: 6,21). A centrocampo completano il reparto il sempreverde Manuel Iori del Cittadella (media voto: 6,41) e Marcello Falzerano (Venezia, media voto: 6,41). In attacco, accanto a Caputo, resiste Camillo Ciano (media voto: 6,48) che precede di poco il naturale compagno di reparto di Ciccio all’Empoli: Alfredo Donnarumma (terzo attaccante della catego20
Portieri COLOMBI UJKANI MONTIPO’ BARDI PROVEDEL
Carpi Cremonese Novara Frosinone Empoli
6,31 6,21 6,21 6,17 6,17
Difensori PASQUAL DOMIZZI MODOLO RISPOLI ANDELKOVIC
Empoli Venezia Venezia Palermo Venezia
6,38 6,21 6,20 6,16 6,14
Centrocampisti FALZERANO IORI BENNACER KRUNIC VIVES
Venezia Cittadella Empoli Empoli Pro Vercelli
6,41 6,41 6,36 6,34 6,31
Attaccanti CAPUTO CIANO DONNARUMMA CIOFANI CERRI
Empoli Frosinone Empoli Frosinone Perugia
6,57 6,48 6,43 6,42 6,30
ria con una media voto di 6,43). In campionato, alle spalle del terzetto di testa, sarà bagarre fino alle fine in vista dei temutissimi playoff. In corsa, come sempre è accaduto nelle ultime edizioni del torneo, ci sono almeno 8 squadre. In coda, nella zona rossa, sono almeno altrettante le formazioni in lotta per non retrocedere. Siamo a nove partite dal termine, tutto è ancora in ballo per un finale che si promette davvero appassionante. Come sempre.
Lega Pro
di Tommaso Franco
Tra statistiche e curiosità
Serie C: il centrocampo non si tocca Lontano dai riflettori, dagli onori delle cronache c’è un campionato affascinante che avanza con qualche difficoltà. Le vicende di Modena, Arezzo e Vicenza hanno già macchiato una stagione che non sarà facile dimenticare e che ci impongono di fare valutazioni che vanno ben al di fuori del rettangolo verde. Il Modena fallito il 28 novembre 2017 e radiato dalla FIGC il 15 dicembre 2017, il Vicenza fallito 18 gennaio 2018 sta proseguendo il suo campionato grazie all’esercizio provvisorio (esercitato dal curatore De Bortoli) in attesa dell’asta fallimentare e l’Arezzo,
Qui sopra, Francesco Valiani (Livorno) e Davis Mensah (Triestina)
fallito anch’esso, prosegue il suo incerto cammino grazie all’esercizio provvisorio stabilito dal giudice. Avere continuità di rendimento è una delle difficoltà che i calciatori incontrano più spesso. Riuscire a mantenere alta l’asticella non è affare da poco, soprattutto in un campionato complicato come la Serie C. Tuttavia, il centrocampo della nostra “top 11” è rimasto ancora intatto rispetto allo scorso appuntamento, indice del fatto che i 4 calciatori di reparto più apprezzati dalla stampa, non hanno minimamente abbassato la guardia. Andrea Luci: classe’85, nato a Piombino, è al Livorno dal 2010. Cresciuto nelle giovanili tra Fiorentina e Juventus, non ha mai indossato da “pro” né la maglia viola, né quella bianconera. Il suo percorso da calciatore professionista inizia con la Torres (stagione 2005/2006) per poi passare in B con il Pescara (2006/2007) che batté al fotofinish la concorrenza dell’Arezzo. Prima del “definitivo” passaggio in amaran-
to, di cui oggi è capitano, tre importanti stagioni con la maglia dell’Ascoli. Media voto: 6,36 Francesco Valiani: anche lui toscano (di Pistoia), veste la maglia del Livorno da gennaio 2017. È un centrocampista che nel corso della sua carriera ha giocato in ogni zona della mediana. Cresciuto nelle giovanili della Pistoiese, ha iniziato la sua carriera da professionista in C2 con la Maceratese (stagione 2000/2001) per poi passare all’Imolese, sempre in C2, nella stagione successiva. Il primo salto di categoria avvenne nel 2002 quando la Pistoiese decise di riportarlo a casa dove rimase per 3 stagioni. Nel 2005, il passaggio al Rimini in serie B (il Rimini di Floccari, Ricchiuti, Moscardelli…). Nella stagione 2006/2007, quella della Juventus in B, fu proprio il Rimini a fermare la Juventus sull’1-1 (rete biancorossa di Ricchiuti). Nel 2008 Valiani passò al Bologna, dove rimase per due stagioni prima delle avventure a Parma e Siena. Poi Latina, Bari e infine l’approdo in terra toscana. Media voto: 6,51
Portieri DI GREGORIO FUMAGALLI GORI VENTURI GRANDI
Renate Piacenza Pro Piacenza Ravenna Bassano Virtus
6,51 6,41 6,38 6,37 6,31
Difensori MANNINI RAPISARDA PERNA CONTESSA PARISI
Pisa Sambenedettese Mestre Padova Siracusa
6,36 6,26 6,23 6,23 6,22
Centrocampisti MENSAH VALIANI LUCI CHIARELLO GUBERTI
Triestina Livorno Livorno Giana E. Siena
6,53 6,51 6,36 6,36 6,30
Attaccanti RAGATZU CURCIO GUERRA MOSCARDELLI D’ERRICO
Olbia Arzachena Feralpisalò Arezzo Monza
6,46 6,45 6,42 6,42 6,41
data. Ha la miglior media voto di tutta la categoria: 6,53 Riccardo Chiarello: centrocampista centrale classe ’93 cresciuto nel settore giovanile del ChievoVerona, ha giocato qualche stagione tra Serie D e Serie C prima di passare alla Giana Erminio, di cui è ormai un punto fermo. Specializzato in inserimenti, grazie al suo grande feeling con i colleghi d’attacco (Bruno, in particolare) ha messo a segno già 9 reti nel campionato in corso. Media voto: 6,36
Davis Mensah: classe ’91, è un centrocampista esterno offensivo con grandi doti realizzative in forza alla Triestina da questa stagione. Fino allo scorso anno, una carriera spesa nel veronese in Serie D con la maglia della Virtus Vecomp Verona. Quest’anno con i suoi gol RAGATZU CHIARELLO Olbia 6,46 sta contribuendo non poco al Giana E. 6,36 buon campionato delLUCI CURCIO Livorno 6,36 la formazione CONTESSA Arezzo 6,45 Padova 6,23 MENSAH alabarCOSENZA Renate 6,23
DI GREGORIO Renate 6,51
Triestina 6,53
VALIANI Livorno 6,51
PERNA Mestre 6,23 MANNINI Pisa 6,36
La miglior formazione del campionato dall’inizio del torneo
21
Lega Pro
di Pino Lazzaro
Nonsolomoda
Un tatuaggio, una storia Sempre di più. Moda e non solo. Pure qualcosa da dichiarare, da dire, chi siamo e cosa siamo, chissà. Dunque un tatuaggio ha dietro una storia. Quel che si vive e come lo si vive. Tanto importante e significativo da imprimertelo non solo nella testa e nel cuore, ma pure sul tuo corpo, proprio sulla tua pelle, per vederlo e rivederlo, pensarci e ripensarci, ricordare e non dimenticare. Ce n’è di tutti i gusti: basta bussare un po’ e le storie/racconti si dipanano. Così qualcuna abbiamo deciso di farcela raccontare. Con Giulio Mulas (Pistoiese) Tatuaggi, che passione “Di tatuaggi ne ho parecchi, sono una ventina adesso. Il primo l’ho fatto che avevo 16 anni, le lettere iniziali dei nomi dei miei genitori, ce l’ho qui sul polso. Loro, i miei, all’inizio erano assolutamente in disaccordo, erano proprio contro i tatuaggi, no e no, però alla fine hanno mollato. Sì, devo dire che mi piacciono i tatuaggi e quando un qualcosa piace, sai com’è, allora la rifai, è così, anche se riconosco che ci vuole pure un po’ di “ignoranza”… certo che è difficile trovare adesso qualcuno che non ne ha. Per tutti quelli che ho, sempre lo stesso tatuatore, lì a Tavarnelle, è lì che vivo. Come detto ne ho una ventina, un po’ dappertutto, solo dietro, sulla schiena, c’è più posto libero: penso di continuare a farmene, anche se per ora mi sono dato uno stop. Non è che proprio tutti hanno chissà che significato, qualcuno insomma l’ho fatto giusto per farlo, tutto qua. Tranne uno – una rosa qui sull’avambraccio che è a colori – tutti gli altri sono in bianco e nero.
Per mio padre e mia madre Quello di cui ti voglio parlare è quello che ho qui su braccio sinistro, sì, dalla parte del cuore. Sono i volti di mio padre e di mia madre, uno nella parte interna del braccio, l’altro sull’avambraccio: lì, vicini. La storia è cominciata un po’ per scherzo, buttando lì che avevo questa idea, di tatuarmeli addosso, loro che sono veramente i miei punti di riferimento, che hanno fatto per me un monte di sacrifici, è anche per loro che adesso col calcio sto provando a fare sempre di più. Allora mia madre che mi dice no e no, che magari viene male… sai com’è. Per primo mi sono fatto tatuare il volto di mio padre, poi mia madre e tutto sommato alla fine la presero benino, non è insomma che mi minacciarono di mandarmi via da casa. Così adesso loro sono sempre con me e quando magari sono lontano per un po’ da casa, faccio presto: me li guardo, come dire che non sono mai solo. Sì, sono figlio unico. Dovunque vado a giocare, loro vengono, sempre. Mio padre (Franco; ndr) poi è uno sportivo, corre con le moto, enduro ed è pure uno competitivo, di titoli italiani ne ha vinti tre, parecchi poi quelli toscani. Capita così che pure decide di saltare qualche sua gara, come è capitato quando andammo a giocare a Monza e feci pure gol quel giorno. Loro sono stati sempre presenti, sempre a portarmi di qui e di là, ad aspettarmi quando arrivavo col pullmino. Mia madre di calcio ne sa poco, è del tutto fuori, capita a volte che nemmeno mi riconosce subito in campo. Mio padre invece s’è appassionato di più, qualche consiglio me lo dà e pure io da piccolo ho iniziato con la moto, Giulio Mulas è nato a Poggibonsi (Siena) nel novembre del 1996. Dopo le stagioni nel settore giovanile del Siena, ha sin qui vestito le maglie del Tuttocuoio (C), del Parma (D) e della Pistoiese (C).
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moto e pallone e sono andato avanti sinché ho dovuto scegliere e ho scelto il calcio. Sacrifici e sacrifici Con la scuola? Due anni di superiori li ho fatti a Siena, poi non potevo più starci dietro, troppe assenze e al diploma – in elettronica – ci sono arrivato tramite una scuola privata: un attestato che spero di non dover mai tirar fuori. Beh, come calciatore posso dire che sono a mio agio soprattutto quando c’è da attaccare, tecnicamente non sono male e di sicuro dove devo migliorare è nella fase difensiva e nel colpo di testa. Anche un po’ di cattiveria in più non ci starebbe male e così penso al rosso che ho preso quest’anno, doppia ammonizione, mah, non l’avevo nemmeno toccato nella seconda. Sacrifici ne ho fatti e ne sto facendo; penso agli amici lontani, alla ragazza lontana, certo mi mancano, però di sacrifici veri veri ancora mi pare di non averne fatti, tra l’altro sinora non sono mai stato tanto lontano da casa. Il sogno che ho? Dai, credo ce l’abbiano tutti: di arrivare più in alto possibile. Un po’ credo pure di potermelo meritare e un po’ per loro, per i miei genitori, se lo meritano proprio”.
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di Tommaso Franco
Il responsabile Gennaro Volpe
All’Academy Entella con il “modello formativo AIC” Gennaro Volpe è stato, fino all’altro ieri, il capitano dell’Entella, brillante realtà calcistica di Serie B con un presidente attento e ambizioso, innamorato della sua terra e della sua creatura. Dopo la lunga militanza in B con il Cittadella (ben cinque stagioni dal 2006 al 2011) ha accettato la sfida dell’Entella, all’epoca in seconda divisione, la buona e vecchia C2. Il progetto era buono, l’obiettivo ambizioso e il traguardo affascinante. La squadra è arrivata in B in tre stagioni e, nel frattempo, per Gennaro è giunto il momento di affrontare una scelta sempre difficile per un calciatore: smettere con il calcio giocato e guardare oltre. E così dall’estate 2016 il presidente dell’Entella, Gozzi, gli ha affidato l’Academy dell’Entella. Dal 2017 riveste anche l’incarico di allenatore dell’Under 17 biancoazzurra. Raccontaci il passaggio da giocatore a responsabile dell’Academy… “È un passaggio che ho vissuto nel migliore dei modi, mi sento fortunato. Una grande opportunità che ho avuto in un momento molto delicato all’interno del percorso di un calciatore. Non ho nemmeno avuto il tempo di pensare e mi sono ritrovato immerso in questa nuova sfida. Mi sono rimboccato le maniche e dal primo momento ho dato tutto me stesso. Da quest’anno, oltre ad essere il responsabile dell’Academy, alleno la squadra Under 17, un’esperienza che mi sta dando tanto e che mi sta facendo capire cosa significhi guardare il campo da un’altra prospettiva. Stesso ambiente, dinamiche completamente differenti… L’Academy è per me una grande chance che mi permette di veder crescere tanti bambini che inseguono un sogno. Rivedo un po’ quello che è stato il percorso della mia vita”. Che rapporto hai con la società e con il tuo Presidente? “Il Presidente ha sempre creduto in me, mi ha dato grande responsabilità. Alla base di tutto c’è la fiducia che ha riposto in me, fiducia che spero di ripagare con il mio lavoro quotidiano. Le parole d’ordine? Lealtà, sincerità e rispetto. Sono davvero felice di far parte di questa società. Il
mondo dell’Entella mi permette di esprimermi senza grosse pressioni, una condizione perfetta per crescere e migliorarsi sempre”. Il percorso con AIC e il modello formativo dell’Associazione… “Ho colto l’occasione di seguire il modello dell’AIC con grande entusiasmo; crediamo molto in questa proposta calcisticoeducativa: i valori, la metodologia con al centro sempre la crescita dei bambini e il gioco, con una cura speciale dei dettagli non solamente tecnici ma anche umani. È un modello che ci sta portando grandi risultati. Oggigiorno non è cosa da poco far capire ad istruttori e genitori che la prima cosa che il calcio deve produrre è la gioia, lasciando da parte le pressioni e tutto quello che c’è di negativo. Ho la fortuna di poter scegliere le persone con cui lavorare, informandomi bene. Prima di includere qualcuno nel mio progetto metto dei paletti precisi, chiarendo da
subito qual è il percorso che intendo tracciare. Chi ha accettato la sfida è partito con me per questo viaggio! Siamo stati abbastanza veloci nell’assimilazione del modello formativo dell’AIC: empatia, costanza e competenza di chi ce lo ha proposto hanno reso la strada semplice. In particolare ringrazio Stefano (Ghisleni,ndr) per questo”. Consiglieresti il metodo AIC ai tuoi compagni e amici che vogliono aprire una scuola calcio? “Vista la mia esperienza più che positiva, non potrei fare altrimenti. Per me e per il mio percorso è stato davvero importante: ha portato risultati e benefici sotto diversi aspetti. Campo e formazione sono una cosa unica, inscindibile”. 23
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La partita che non dimentico
Mi ritorni in mente…
Matteo Abbate (Pro Piacenza) “Sì, la conosco e la leggo la rubrica e certo mi chiami in un momento particolare, proprio quando ho deciso – giusto un paio di giorni – di smettere col calcio giocato. Infortunio al ginocchio, legamento crociato posteriore, me lo porto dietro da settembre; pareva bastassero tre-quattro mesi e ora ne sono passati sette e ancora non sono in campo. In più s’è capito adesso che è necessaria un’operazione, previsione così di star fuori altri otto-nove mesi e insomma mi troverei a 36 anni a riprendere dopo un anno e mezzo di inattività: ecco perché ho deciso di concludere, stop”. “Comunque la partita che non dimentico è l’esordio in Serie A, era esattamente il 16 marzo del 2003, certo che me la ricordo, mica sono andato a controllare. Io col Piacenza, contro l’Atalanta e vincemmo 2 a 0, marcatori Hubner e De Cesare. Titolare dall’inizio ed è stata l’emozione più grande della mia carriera, io che da bambino sognavo per l’appunto di giocare in Serie A e così quel giorno arrivavo a realizzarlo quel sogno. Devo dirti che più che il durante, la partita in sé stessa, proprio bello è stato il prima e il
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dopo. Il prima quando me ne stavo lì a immaginare come avrebbe potuto essere, il dopo perché ero in pratica la felicità in persona, sempre lì a sorridere a tutti. Sì, sapevo che avrei giocato, non è stata una sorpresa, per questo me lo sono goduto il prima, con i miei genitori, con la mia fidanzata e ricordo che ci sono comunque arrivato tranquillo, non l’ho vissuta in maniera frenetica. Ripeto: me la sono goduta tutta, in pieno e non mi è mai più successo in carriera, chissà, forse perché sono subentrate poi le pressioni, le aspettative, i risultati da fare per forza. Il mister era Gigi Cagni e le loro punte, dell’Atalanta, ricordo che erano Rossini e Pinardi; ho pure giocato bene, difensore centrale, non abbiamo preso gol e dunque perfetto, diciannove anni e mezzo avevo”. “Adesso voglio fare l’allenatore e intanto intendo cominciare a livello di settore giovanile per arrivare poi ai grandi, mi pare una buona cosa fare un po’ di gavetta e penso di cominciare qui col Pro Piacenza, la prossima estate. Io sono di Orbetello, ma è a Piacenza che ho cominciato, mia moglie l’ho conosciuta che avevo 18 anni, abbiamo due figlie, sono sempre venute con me. In fondo questo al ginocchio è l’unico infortunio davvero grave che ho avuto in carriera anche se la mia carriera è stata segnata da non pochi problemi muscolari, sai com’è, quelle tre settimane fermo, poi riprendi, ci ricaschi eccetera, è stato la sua parte difficile”. “Se potevo fare di più è una domanda che mi hanno fatto pure quando lì, nella conferenza stampa, ho detto che avrei smesso. Dentro di me so che qualcosa in
più l’avrei potuta fare: ho esordito a 19 anni in A, ero nel giro dell’U20, le prospettive insomma erano ottime. Però dai 22 ai 27 anni è stato un lungo periodo di buio, non ero più io, non riuscivo a fare quel che sapevo che potevo fare e sono stati anni insomma che ho toppati, che mi hanno spinto indietro e da cui non sono poi riuscito a risalire: era soprattutto un problema di testa, sentivo la pressione nei miei confronti e non sono stato capace di reggere, con in più sti infortuni muscolari che hanno a continuato a tormentarmi”. “Sì, sono stato un vero professionista, dal primo all’ultimo giorno e mai l’ho considerato un lavoro, mai ho detto vado al campo per lavorare, mai. Credo sia uno dei “segreti” per cercare di fare questo mestiere al meglio, cercando sempre di alimentare la passione, quel qualcosa che ti muove da bambino. Spesso ho fatto e sono stato il capitano: se c’era da parlare, parlavo, ma quel che ho cercato soprat-
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La partita che non dimentico
Mi ritorni in mente…
tutto di fare è dare l’esempio, di essere un esempio. Con i giovani va bene, direi benissimo, io stravedo per loro, penso pure per quel periodo nero che ho avuto modo di vivere coi miei 22 anni, quella mia solitudine e cerco così di evitare che possa capitare anche a loro: a me è mancato il sentirsi benvoluti e stimati, sì”. “In carriera sono passato anche per dei fallimenti, a Gallipoli e a Pavia. Anni pesanti, certo, però devo dire che a Gallipoli il brutto è stato che tutto l’anno non ci hanno mai pagato, però come squadra e città ho un ricordo eccezionale, così come del mister, Giannini, lui “il Principe”. Posti bellissimi, ci sono pure tornato in vacanza. Diverso a Pavia, lì proprio male, anche perché ero fuori rosa, ho subito del mobbing, senza pagamenti ed è stata insomma molto tribolata, però succedono anche queste cose nel calcio, si sa”. “Non so quel che più mi mancherà, sinceramente non ci ho pensato, ma non credo poi più di tanto lo spogliatoio, no. Penso di più a quell’adrenalina che hai dentro prima della partita, specie quando hai finito il riscaldamento e sei lì che ti allacci le scarpe, ecco, tutto quel che si prova in quei momenti. Certo, arrivare a decidermi è stato difficile, molto, non pensavo così tanto. Diciamo che ho fatto finta che fosse facile, tanto c’è una fine per tutto, no? e me lo sono continuato a dire, ancora e ancora. Ora comunque ci vado ancora in campo, come no, sono pure rappresentante Aic e anche se non gioco e attendo l’operazione (spero di poter almeno corricchiare quando inizierò ad allenare), lo spogliatoio lo frequento, cerco di “vedere”, magari qualcosa a cui posso dare una mano”. “No, non sono stato un difensore di quelli fallosi, falli ne ho fatti davvero pochi ed è stato proprio su un fallo che ho fatto che mi sono fatto male. Un centrale tecnico, direi, uno di lettura. Mi piaceva anche impostare, palla a terra, pure con qualche dribbling se capitava. Come finiamo? Beh, vorrei dirti questo, io che ho fatto sì una buona carriera, ma sono insomma uno dei tanti, niente di particolare: per chi si avvicina al calcio, per chi vuol fare il calciatore, la cosa più
importante di tutte, imprescindibile, è l’andare tutti i giorni al campo a divertirsi, a non mettere da parte quelle emozioni che tanto ti muovono da bambino. Se ce l’ho fatta io, ce la può fare chiunque e non lo dico tanto per dire, è così. Bisogna crederci, lasciare qualcosa e fare dei sacrifici. I
Armando Perna (Mestre) “Ne ho due, te le dico tutte e due, dai. La prima non può che essere il debutto in prima squadra che feci a 17 anni col Palermo, la mia città. Ricordo sempre l’emozione che provai, quel giorno giocammo al Velodromo Borsellino, lo stadio lo stavano ristrutturando: finì 1 a 1, contro il Castel di Sangro, eravamo in C. Per loro fece gol Iaquinta, proprio lui, poi noi pareggiammo su rigore. Il nostro allenatore era Morgia e feci bene, poi continuai a giocare, c’era pure verso di me dell’interesse di altre squadre, ma seguii allora anche i consigli di mio padre, lui naturalmente c’era quel giorno: così decisi di firmare il mio primo contratto da prof col Palermo. Lì c’ero arrivato che avevo 14 anni, ho fatto giovanissimi e allievi e visto che quell’anno misero l’obbligo di un under, saltai direttamente dagli allievi alla prima squadra, già andar con loro in ritiro fu un’emozione e quanto ebbi modo di imparare. No, non fu quella volta una sorpresa, sapevo che sarebbe toccato a me, c’era Roberto Biffi che s’era preso tre giornate di squalifica, il suo ruolo era il mio, così me l’aspettavo. Fu davvero una grande soddisfazione e pure un premio a tutti i sacrifici che avevamo fatto e dico avevamo perché penso soprattutto ai miei genitori, a quanto hanno sempre fatto e dedicato per me. L’altra – beh, allora l’avrei messa per prima se proprio avessi dovuto scegliere e dirtene giusto una – è la partita che ho giocato a San Siro col Parma. Ehi, Serie A e poi contro il Milan, noi che in famiglia siamo tutti milanisti sfegatati, io che andavo a coronare un sogno che avevo da bambino. Ripeto: in serie A, a San Siro, contro il Milan! Ricordo quando entrai prima del riscaldamento, sai, quell’abitudine
miei? Posso pensare al fatto d’essere stato lontano dalla famiglia, di non essere mai andato in discoteca per via delle partite e dei ritiri eccetera, anche se devo essere sincero, non è che poi abbiano pesato più di tanto… però a qualcosa devi essere disposto a rinunciare, questo sì”.
di andare ‘a vedere’ il terreno di gioco. C’ero già stato in quello stadio, ma sempre in tribuna, da spettatore, mai da lì sotto: mi guardavo attorno ed ero stupito, pensa un po’ dove sono, questo mi dicevo. Con quell’ansia dentro lo stomaco, quell’ansia che comunque in fondo è bella e Morfeo che mi viene vicino e mi dice di stare tranquillo, perché sono proprio partite come quelle che andavamo a giocare le più belle, che non serviva che mi stessi lì a concentrare, che tutto sarebbe venuto da solo. Perdemmo 1 a 0: una punizione di Pirlo, una deviazione, palla lì in area e al solito ad arrivarci per primo è stato lui, Pippo Inzaghi, normale”.
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L’incipit Premessa Tutto è iniziato molti mesi fa. Questo libro è nato per caso, all’improvviso. Ma devo dire che il mio impegno, non indifferente, ha richiesto tempo e serietà. Onestamente non so cosa ne sia venuto fuori ma, con il passare dei giorni, mi sono sempre più appassionato, Un richiamo che è diventato punto di incontro abituale e necessario. Farne a meno non era possibile e nemmeno facile. Di fronte al dovere ho addirittura saltato le irrinunciabili partite a calcio. Quelle partite sempre più arroventate con i miei amici perché ognuno di noi crede di essere il migliore quando in effetti siamo solo dei principianti. Questa opera (parolona, forse da cancellare) non so se vi porterà una conoscenza diversa, magari piacevole, del sottoscritto tanto da farvi capire chi sono realmente. Forse scoprirete una persona nuova e lontana dalle vostre radicate convinzioni, conoscendone aspetti inediti. Aspetti migliori? Peggiori? Scopo riuscito il mio se avrò suscitato il vostro interesse (…) Cuore granata (pag. 15) 4 maggio 1949. Una tremenda sciagura colpì il calcio italiano. L’aereo proveniente da Lisbona, con a bordo la squadra del Torino, si schiantò sulla collina di Superga. A distanza di molti anni quel tragico evento, per me, è impossibile da capire. La tragedia che colpì il Torino privò il nostro calcio della squadra più forte di quell’epoca, la più forte di tutti i tempi. Dopo sessantotto anni la bandiera del Torino non è ancora ammainata. Tuttora vive nelle nostre menti e nei nostri cuori la leggenda di una squadra perfetta, imbattibile. Il pensiero vola, ancora oggi, a quel giorno piovigginoso in cui la nebbia nascondeva la basilica di Superga, come fosse in agguato. Non si lasciò accarezzare, eppure quei ragazzi sorridevano, erano amici che tornavano dai loro cari. Il disastro avvenne alle 17.02, tutto finì in pochi attimi, molte vite si spensero senza neanche poter dire addio. Avere indossato per molti anni quella maglia mi ha fatto sentire ricco, non aver militato in nessuna grande squadra non mi offende. L’ho tenuta cara, l’ho onorata tutti i giorni, orgoglioso e privilegiato di rappresentare una squadra mitica. Arrivai a Torino a diciassette anni, il Filadelfia mi apparve subito come un tempio, dove tutto parlava di “loro”. E poi una gigantografia che immortalava i loro sorrisi. Niente ancora oggi è cancellato, neanche le loro toccanti implorazioni che fortunatamente abbiamo solo intuito. 26
Il Mito ritorna Ricordo ancora quello striscione granata esposto sulla terrazza di uno stabile che dall’alto dominava lo spiazzo dove ormai il nostro Filadelfia era completamente svanito: NESSUN PALAZZO SUL CAMPO DEGLI INVINCIBILI E DELLA STORIA. Ringrazio quella famiglia che, esponendo quella scritta giorno dopo giorno, ha fatto capire che non ci sono progetti urbanistici che possano cancellare e invadere il glorioso passato in cambio di tristi abitazioni. Aldo Agroppi
NON SO PARLARE SOTTOVOCE
Una vita in contropiede (tra parole e pallone) Prefazione di Gian Paolo Ormezzano CAIRO Editore Aldo Agroppi, classe 1944, come calciatore è cresciuto nel vivaio della sua città, Piombino, con cui fa l’esordio in prima squadra, in serie D, non ancora diciassettenne. Viene poi acquistato dal Torino che lo gira in prestito prima al Genoa (gioca nelle giovanili e arriva a vincere il Torneo di Viareggio), poi alla Ternana in serie C e al Potenza in B. Tornato a Torino nella stagione 1967/1968, debutta in prima squadra e dunque in serie A esattamente il 15 ottobre, nello stesso giorno in cui – in serata – perde la vita Gigi Meroni. Quasi dieci anni per lui al Toro, con la conquista di due Coppe Italia (67/68 e 70/71). Nel 75/76 passa al Perugia, neo promosso in serie A: due stagioni e al termine del campionato 76/77, si ritira dal calcio giocato. Sono 5 le sue presenze con la Nazionale maggiore, col debutto (c.t. Ferruccio Valcareggi) nel giugno del 1972, a Bucarest contro la Romania. Fu un pareggio – 3 a 3 – e giusto per inquadrare il tutto, questa l’Italia schierata quel giorno: Zoff; Spinosi, Marchetti; Agroppi, Rosato, Burgnich; Causio, Mazzola, Boninsegna, Capello, Prati; nel secondo tempo, proprio al posto di Agroppi entrò Bedin, mentre Anastasi subentrò a Boninsegna. Dopo quella come calciatore, Agroppi ha poi avuto una lunga carriera pure da “mister”: iniziata nelle giovanili del Perugia e proseguita via via sulle panchine di Pescara (B), Pisa (B), ancora Perugia (B), Padova (B), Fiorentina (A), Como (A), Ascoli (A) e di nuovo Fiorentina (A). Attualmente è opinionista/commentatore in diverse trasmissioni calcistiche, radiofoniche e televisive.
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Uno per tutti tutti per Unico1
Un ambasciatore speciale… Sono a terra e non so cosa succederà… io ci provo. Il profumo di un campo di calcio a volte mi toglie il respiro. Da anni non lo sento addosso eppure mi gioco una partita ogni giorno e sempre in trasferta… lo spogliatoio, l’armadietto con l’asciugamano, la panchina di legno dove sin da piccoli ci si sedeva, le scarpe con i tacchetti avvitati fino alla pelle, i guanti da portiere che mi facevano sentire importante e i palloni di cuoio che erano il tuo sogno più bello. È così che inizia una storia, in un oratorio in cui i bambini rincorrono una palla senza mai fermarsi un momento. Amicizia, rispetto, fratellanza dentro: quante cose si imparano a calciare un pallone sul muro. Poi a catechismo, contando i minuti per ritornare a giocare con i tuoi piccoli amici, due bastoni in piedi tra i campi e le vigne e un pomeriggio intero a giocarci una finale, per poi sentirsi campioni davanti alla maestra di scuola: che cosa potevi chiedere di più? Poi apri gli occhi e ti ritrovi con i fari puntati, sei nel tuo solito stadio in quel posto chiamato reparto dove l’erba non potresti trovarla, né la porta di calcio. Ma la porta della vita quella sì. Dipende da te, dal tuo mister col camice bianco, dipende da un Dio che preghi ogni istante… dipende in quale porta la palla si insacca. Pochi momenti e ascolti quel rumoroso silenzio di ogni battaglia fatta tra una terapia e l’altra. Ma che ne sanno gli altri, ma come fai a non capire che da qui si può non uscire? Il fischio dell’arbitro e la tua partita comincia. È domenica e la gente riempie gli spalti, tribune piene, striscioni in curva, cori di ultras e la tua squadra pronta a centrocampo, giochiamo a zona e difendiamo a uomo. Bonucci, Gobbi, Montolivo, Buffon… le gambe tremano, la voce non c’è, le forze mancano ma non puoi smettere di stringere i pugni, i denti, i guanti. Passi la palla a Chiellini, azione lungo la fascia e arriva Pellissier: tiro al volo e Sorrentino respinge. Palla a terra, lacrime di dolore sul petto, ma su con la testa avanti lo stesso: lancio a Rigoni, stop di De Rossi, scatto di Gabbiadini che prova a segnare:
palo e la palla esce sul fondo. Tu respiri un attimo ascoltando il battito del tuo cuore per non gridare di dolore. Non c’è tempo di pensare, devi correre, devi lanciare, devi lottare. Le maglie sono diverse ma i cuori sono gli stessi. Il colore della pelle unisce anche le stelle e i tuoi compagni si lasciano abbracciare dall’avversario che di fondo sa sempre rispettarti, anche nella sconfitta, che può arrivare. La fede ti guida oltre la sofferenza e ti lascia addosso il sudore acre della speranza. È difficile da spiegare, ci vorrebbe un capitano ma quando sei qui, in questo reparto, non c’è nessun capitano. Tutti giocano alla pari, tutti sognano lo stesso sogno… vivere. E allora giù sulla fascia sino alla linea di fondo, è forte la nostra ala, ha dodici anni, forse anche meno, eppure lotta come noi, come un leone ferito. Cross al centro e salta Bonucci, assist a Marchisio e palla in rete. Dal lettino di un reparto, tutti abbracciati al sogno appena raggiunto… apri gli occhi e ti guardi intorno. Sei solo e capisci che soltanto tu puoi parlare con te stesso e allora ripensi al messaggio di Roby Baggio sul cellulare, poi mister Prandelli e Meggiorini, Cordoba, De Sanctis, mister Pioli, Pasqual… e ascolti la lacrima che ti bagna il viso e scivola sul petto. Anche oggi abbiamo vinto noi: niente tre punti, niente classifica, niente abbracci. Ma tanta-tanta-tanta voglia di uscire da questo stadio-reparto, dove sei stanco di dare tutto te stesso, di sudare senza speranza, di ascoltare il pianto di tua mamma che ha paura di perdere per sempre suo figlio. Ed è così che trovi la forza di non lasciarti andare, di non retrocedere senza lottare, di non mollare sino al 95’ del secondo tempo. Niente scambio di maglie, ma un mister dal camice bianco che ti viene accanto e ti aiuta a scendere dal letto… la tuta del Chievo oggi, domani quella della Roma, dopodomani del Cittadella. Perché non
conta la maglia, conta quello che hai nel cuore e se ce lo metti ogni partita, forse puoi anche riprenderti la vita. Adesso mi siedo e abbraccio mia madre che nel corridoio ha pregato un Dio per rivedermi ancora. Ascolto le sue parole, i suoi gesti, la sua carezza… che meraviglia sono le mamme! Non chiedono mai niente e danno tutto. Io non ho nemmeno più la forza di scrivere, di parlare, di alzarmi da solo e allora vi saluto tutti campioni e vi dico grazie, grazie umilmente per quello che ogni domenica mi regalate. Siete il mio coraggio, perché sento come mio ogni gol che fate, ogni azione, ogni lancio, ogni parata. Mi sento così come voi, uno di voi. Guardo ogni istante di ogni partita, di ogni squadra, di ogni maglia perché la mia squadra preferita è fatta di tutti-tuttie ancora tutti quei ragazzi che in campo sanno insegnare il rispetto e la felicità nel gioco più bello del mondo, il calcio. Perdonatemi se non sono forte come voi, ma vi giuro che io ce la sto mettendo tutta. L’ho promesso anche a Damiano Tommasi e grazie all’AIC che mi dà la possibilità di non essere inginocchiato davanti a una porta con lo stadio vuoto, ma di poter parlare con tutti voi. Pazienza, so che è poco ma è quello che riesco a dare in questo bruttissimo momento. Spero possiate capire la mia sofferenza e anche la mia tristezza, sì, in questa salita verso il Mortirolo. Grazie, con tutto il cuore.
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scatti
di Maurizio Borsari
Salto ostacoli
Gonzalo Higuain su Eric Dier e Erik Lamela in Juventus – Tottenham 2-2
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scatti
Rubabandiera Alberto Paloschi in Spal – Inter 1-1
Tutte insieme appassionatamente le calciatrici in Ravenna Woman – Juventus Women 0-5
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primo piano
di Nicola Bosio
Il 19 marzo scorso
Consiglio Direttivo AIC Si è svolta a Coverciano la prima riunione convocata dopo l’Assemblea federale elettiva del gennaio scorso, per fare il punto dopo la mancata elezione del presidente FIGC e la conseguente nomina del Commissario. Il Consiglio, che ha ricevuto la visita del Vicecommissario federale Alessandro Costacurta, dopo aver ricordato in apertura la figura di Davide Astori, ha analizzato con particolare attenzione la situazione delle società di Lega Pro, alla luce dei recenti casi di Vicenza ed Arezzo. Prese in esame inoltre alcune tematiche relative al Calcio femminile e al Calcio a 5 in una logica globale di riforme del sistema. In apertura di riunione, il presidente Tommasi, prima di procedere all’analisi dei punti all’ordine del giorno, ha ricordato la prematura scomparsa del giocatore della Fiorentina e della Nazionale Davide Astori, esprimendo vicinanza alla famiglia del difensore bergamasco. A tale proposito, è stato proposto di istituire uno speciale premio AIC, dai contenuti particolari che ne rispecchino le principali caratteristiche per ricordarlo nella maniera migliore, basandosi essenzialmente su professionalità, correttezza, sportività e serietà, tutte caratteristiche riscontrabili nella persona di
Davide. Si valuterà la fattibilità e, insieme ai ragazzi più vicini alla famiglia, il tipo di premio da pensare.
Rapporti con FIGC e Leghe Quella svolta a Coverciano è stata la prima riunione convocata dopo l’Assemblea federale elettiva del gennaio scorso, per fare il punto dopo la mancata elezione del 30
presidente FIGC e la conseguente nomina del Commissario. L’AIC ha già preso contatto sia con Fabbricini che con il vice Costacurta e ha inviato una lettera riepilogativa sulle varie richieste “federali”. Un sunto per far capire la posizione AIC sui tanti argomenti ancora sul tappeto, un punto di partenza volutamente non approfondito ma solo “conoscitivo” per cominciare ad impostare un lavoro costruttivo, lasciando da parte “mission” di facciata e, in questo momento, difficilmente realizzabili. Allo stato attuale non si capisce cosa intenda fare il Commissario e come voglia
intervenire per modificare lo Statuto. Anche perché, dopo gli iniziali proclami lanciati sull’onda emotiva del particolare momento (seconde squadre, limite dei calciatori stranieri, riforma dei campionati, ristrutturazione del Club Italia, nuova politica sui giovani, ecc.), c’è stato un deciso rallentamento, uno stop probabilmente dettato dalla mancata governance della
Lega di Serie A (anch’essa commissariata con Malagò e il vice Corradi). La situazione di “stallo” ha ovviamente rallentato tutta l’operatività federale, di conseguenza anche i vari “tavoli” da tempo aperti tra AIC e FIGC come quello sulla convezione della Nazionale (si era parlato di alzare le quote per Femminile e Calcio a 5 lasciando invariati gli importi per la Nazionale maggiore e l’Under 21) e quello sulle Licenze Nazionali per definire le norme sulle ammissioni ai campionati. A tale proposito è in programma a breve una riunione con la Lega Pro per discutere di ripescaggi sulla logica dell’esperienza maturata dopo i casi di Vicenza ed Arezzo. L’approccio con il Commissario da parte AIC è stato fino ad oggi soltanto per capire che tipo di indirizzo si intenda prendere per risolvere le varie problematiche post “mancata qualificazione mondiale” e “mancata elezione del presidente federale”, e quindi non sono stati affrontati e approfonditi argomenti quali la gestione e lo sviluppo dei “centri federali” o la formazione dei giovani. È in programma comunque un incontro con tutte le componenti per parlare di riforme, ed in particolare con la Lega Pro per stilare un documento programmatico al fine di istituire un tavolo e lavorare tutti nella stessa direzione insieme al Commissario.
Casi Vicenza ed Arezzo Dopo l’esclusione del Modena Calcio, altre due società della Lega Pro, Vicenza ed Arezzo, sono fallite in corso di campionato. A Vicenza il curatore fallimentare è riuscito a far proseguire la gestione sportiva pagando gli stipendi di calciatori e dipendenti, in attesa dell’asta per la cessione del ramo d’azienda sportiva. Situazione analoga ad Arezzo dove, dopo il fallimento, il giudice ha imposto come condizione per la prosecuzione dell’esercizio provvisorio il pagamento delle mensilità di gennaio e febbraio. Autorizzando anche qui il prosieguo del campionato in attesa delle aste. Tenendo presente che obiettivo primario dell’AIC è che gli stipendi dei tesserati vengano sempre onorati, sarà necessario ragionare per il futuro come agire in queste situazioni, anche perché vicissitudini
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La scomparsa di Mondonico, “mister coraggio”
Tutto un altro “Mondo”…
societarie anomale come quelle di Vicenza ed Arezzo rischiano seriamente di falsare il campionato. Magari la situazione si potrà risolvere attraverso un ragionamento ad ampio raggio sui ripescaggi, resta comunque il fatto che ci dovrebbe essere un maggiore controllo sulle proprietà per evitare l’intromissione dei soliti “faccendieri” conosciuti già da tempo nell’ambiente calcistico. Purtroppo le attuali leggi non permettono di inserire norme sportive per bloccare chi, a livello civilistico, vuole acquisire una società; al massimo, come in Inghilterra, è possibile impedire di diventarne il presidente ma non il proprietario.
Emiliano Mondonico non c’è più, ne avevamo celebrato i 70 anni un anno fa, chiedendogli i top della carriera, fra i compagni e fra i giocatori allenatori e la miglior squadra. C’era tanto Toro ma non solo. Emiliano era uno degli allenatori più amati nella storia dei granata, ricordato dai tifosi per il celebre episodio della sedia alzata nella finale Uefa, persa ad Amsterdam, 26 anni fa, con tre pali colpiti. In granata giocò per due stagioni, dal 1968 al ’70, per 32 partite, con 11 gol. Ma è da allenatore che ha raccolto le maggiori fortune sotto la Mole: dal ’90 al ’94 (successo in Mitropa Cup, Coppa Italia e qualificazione alla finale Uefa) e poi dal ’98 al 2000, promozione in A e poi mancata salvezza. È stata la figlia Clara a dare la notizia della morte. Gestisce la pagina facebook che porta il nome del padre, aveva scritto: “Ciao Papo... sei stato il nostro
Per finire Affrontato anche l’argomento riguardo le date del prossimo calciomercato: la Serie A ha già annunciato di voler accorciare il periodo della sessione estiva per poterlo chiudere prima dell’inizio del campionato, ben sapendo che l’eventuale provvedimento sarà di natura federale e dovrà necessariamente riguardare le altre categorie
professionistiche. L’AIC ha partecipato (e vinto) al bando promosso dal Ministero delle Pari opportunità riguardo una campagna di sensibilizzazione sul tema della violenza sulle donne. La durata massima sarà di 18 mesi e l’AIC si farà promotrice di progetti che coinvolgeranno i calciatori ed in particolare i con-
esempio e la nostra forza… ora cercheremo di continuare come ci hai insegnato tu... eternamente tua. La vita ti ha messo davanti a partite che sembravano impossibili da vincere ma tu, con la forza che ti contraddistingue, hai dimostrato di essere in grado di superare tutto”. “Ci sono trenta possibilità su cento che la Bestia ritorni”, aveva detto qualche mese fa, pensando al controllo di febbraio. Dopo quattro interventi, aspettava la Bestia con il solito coraggio. (V.Z.)
siglieri AIC più rappresentativi per dare la massima visibilità. La Commissione FIGC per lo sviluppo del calcio femminile è formalmente ancora “in piedi”, ma al momento non si può convocare perché formata da consiglieri decaduti. L’obiettivo rimane quello di raggiungere quanto prima l’autonomia per uscire dalla Lega Nazionale Dilettanti. Analizzata anche la situazione del Calcio a 5 dopo la “disfatta” della Nazionale ai recenti campionati Europei: al momento sembrano esserci più schermaglie personali, tra l’alledi Damiano Tommasi natore Roberto Menichelli e il presidente della Divisione Andrea Montemurro, che reali progetti di riforma. Quest’anno, infine, cade il cinquantenario dell’AIC e al vaglio ci sono La Hall of Fame della Figc ha un nuovo nome, Sergio Campana. “Purtroppo” non come alcune importanti iniziative (una calciatore ma come dirigente sportivo. È il destino di quelli che, “avrebbe potuto fare qualpubblicazione, una partita celebrasiasi lavoro e avrebbe avuto successo”. D’altronde la sua carriera da calciatore è durata tiva, un’edizione speciale del Galà fino ai 33 anni, gli anni di presidenza AIC sono stati 43. Il gol messi a segno con le maglie del Calcio, ecc.) oltre all’annuale di Vicenza e Bologna si possono contare a decine, quelli messi a segno alla presidenza AIC congresso mondiale FIFPro che sono innumerevoli. Uno su tutti, aver dato una coscienza critica ad un’intera categoria! verrà organizzato, per l’occasione, a Grazie Sergio! Roma il prossimo novembre.
In
7 righe… Campana
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di Fabio Appetiti
Alessandro Costacurta, vicecommissario FIGC
Al lavoro su giovani e cultura Se il Commissariamento della FIGC sia stata una pagina “nera” del nostro calcio o una pagina “bianca” che segnerà il “nuovo inizio” lo vedremo nei prossimi mesi. Molto dipenderà da cosa si riuscirà a scrivere sulla pagina stessa, consapevoli che non sarà affatto semplice risolvere tutti i problemi e che poi toccherà ad un Presidente con “pieni poteri” risolverli completamente. Alessandro Costacurta, come tutti i grandi campioni, ha consapevolezza dei propri mezzi e la giusta dose di umiltà nell’approccio verso un ruolo nuovo a cui potrà dare il suo valore aggiunto. La sua presenza, in rappresentanza di una categoria intera, è già di per sé una bella novità e “un buon inizio”. In bocca al lupo Alessandro! La prima domanda è quella che mai avrei voluto fare, ma non posso non partire da un ricordo di Davide Astori… “Davide era il più curioso di tutti i difensori della Primavera che venivano ad allenarsi con noi, di tanti ragazzi che venivano in prima squadra solo lui e Darmian avevano una grandissima curiosità e tanta voglia di imparare da noi più grandi, era davvero ammirevole. Io qualche volta ho avuto dubbi che lui riuscisse a fare il “grande salto”, ma quando poi vedevo la sua grande determinazione e applicazione mi convincevo che ce l’avrebbe fatta... e così è stato. Come ragazzo ho avuto modo di conoscerlo e incontrarlo più volte e mi unisco a tutte le voci che lo descrivono come un ragazzo perbene e rispettoso, sempre pronto a dare una mano agli altri. Del resto le tantissime manifestazioni di affetto e di amore che ha ricevuto in seguito a l l a
sua improvvisa scomparsa sono state tutte meritate e frutto di tutto quanto Davide aveva seminato”. Credi che oggi, per quanto riguarda la tutela della salute degli atleti, si faccia tutto il possibile nell’ambito del calcio professionistico? “Sì, credo proprio di sì. Si faceva già abbastanza quando giocavo io e credo che questo tipo di tragedie siano del tutto imprevedibili, perché i controlli a cui sono sottoposti oggi i calciatori professionisti, come la persona nel suo insieme, sono davvero al massimo livello. Ormai nulla viene lasciato al caso e sempre dovrà essere così”. Prima di cominciare a parlare del tuo nuovo ruolo, tu presiedi anche il Comitato Organizzatore dell'Europeo 2019 Under 21 che si svolgerà in Italia. A che punto sono i preparativi? “I lavori stanno procedendo molto bene, grazie al coinvolgimento e all’appoggio sia delle istituzioni sportive, sia di quelle politiche e territoriali; dai comuni ospitanti le gare, alle regioni, al Miur, al Ministero dello Sport. Al ministro Lotti in particolare, sebbene siamo in una fase di transizione, voglio esprimere un ringraziamento speciale perché ci ha dato grande sostegno e ha creduto nell’importanza di un evento che può essere la chiave di accesso anche per altri prestigiosi appuntamenti (per esempio Euro 2028).Venivamo da un periodo in cui ci avevano assegnato poco, ma le due riuscite finali di
Alessandro Costacurta è nato il 24 aprile 1966 a Jerago con Orago in provincia di Varese. Ha legato la sua intera carriera calcistica al Milan (tranne un anno al Monza) dove è cresciuto e con la cui maglia ha disputato 21 stagioni (1985-86 e dal 1987-88 al 2006-07) vincendo 7 scudetti, 5 Supercoppe italiane, 1 Coppa Italia, 5 Coppe dei Campioni, 4 Supercoppe Uefa, 2 Coppe Intercontinentali. Le presenze totali in gare ufficiali con la casacca rossonera sono state 663, mentre le reti segnate sono state 3. In Nazionale 59 presenze e 2 gol. Terminata la carriera professionistica, Billy (nomignolo derivante dalla sua passione giovanile per l’omonima squadra di basket milanese) ha intrapreso prima quella di allenatore (collaboratore tecnico del Milan e poi Mantova), quindi di opinionista televisivo. Dal 1º febbraio 2018, a seguito del commissariamento della FIGC, ricopre il ruolo di vicecommissario.
Champions, maschile a Milano nel 2016 e femminile a Reggio Emilia nel 2017, hanno suscitato grande approvazione e interesse da parte dell’UEFA che ci ha voluto concedere questa nuova possibilità con Euro 19 Under 21. Per la massima organizzazione calcistica continentale ormai questa manifestazione è considerata un “Top evento”, che suscita grande interesse da parte delle Tv e del pubblico, anche perché molti dei calciatori selezionati sono ragazzi già presenti nelle nazionali maggiori. Per la Rai l’ultimo Europeo è stato un vero e proprio boom di ascolti e senza dubbio una vetrina così importante è uno stimolo per tutto il movimento calcistico nazionale a migliorarsi e a crescere”.
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sportiva. Presto torneremo in alto... Siamo arrivati alla tua nomina di vicecommissario FIGC. In precedenza c’era stato anche Demetrio Albertini come vicepresidente FIGC, ma quando si tratta di eleggere un ex calciatore il sistema sembra ancora non essere pronto. Ti senti la responsabilità di dimostrare che un ex calciatore può essere un ottimo dirigente? “Sì certo, la sento e questo mi dà anche molta forza. Sono assolutamente convinto che un dirigente di alto livello che presieda l’area tecnica della Federazione debba essere un ex calciatore e comunque un dirigente che ha alle spalle una carriera agonistica. Ed è altrettanto evidente, come dimostrano gli scenari negativi a cui abbiamo assistito prima dell’insediamento del Commissario Fabbricini, che è stato sbagliato non inserire prima questo tipo di figura perché forse alcuni errori si sarebbero evitati. Sono certo che d’ora in poi non mancherà più questo tipo di presenza ed io farò davvero del mio meglio per onorare la responsabilità che mi è stata assegnata”. In questo primo mese che idea ti sei fatto della “macchina” FIGC, che proprio in questo anno si appresta a celebrare i suoi 120 anni? “Sì, proprio in questi giorni abbiamo avviato le celebrazioni per i 120 anni della FIGC, che nasceva nel lontano 15 marzo del 1898. Ci saranno tanti eventi a ricordare la storia della Federazione, che oltre a rappresentare la storia del calcio italiano racconta anche la storia del nostro Paese. In questo mese mi sono potuto rendere conto di quanto sia efficiente la macchina della Federazione condotta da persone molto preparate, che fanno funzionare nel modo migliore tutta la parte amministrativa e organizzativa. Forse il settore cresciuto meno fino ad oggi è stato proprio quello sportivo, dove non mancano certo professionalità ed eccellenze riconosciute anche da federazioni straniere, ma a cui man-
cava proprio quella figura che potesse dare un indirizzo unico a tutte queste competenze. Mi riferisco certamente all’ottimo lavoro sullo scouting, sull’area del match analisys, fino al settore tecnico e alle nazionali giovanili. Posso dire nel complesso di aver trovato una macchina funzionante alla quale spero di aggiungere il mio contributo e la mia esperienza”. Damiano Tommasi nella sua candidatura aveva messo al centro proprio il progetto sportivo. Come valuti questa esperienza dei centri federali? Credi di inserire qualche elemento di novità? “Damiano, che sicuramente conosce bene la macchina della Federazione, aveva capito benissimo che proprio sull’area sportiva c’era da migliorare molto, mentre sul resto sappiamo che le cose funzionano egregiamente. A mio avviso, ripeto, anche sul Settore Tecnico e sulle nazionali giovanili è stato fatto un buon lavoro, mentre sicuramente sul Club Italia qualcosa su cui intervenire c’è. Aprire i Centri tecnici federali credo sia stata una grande intuizione ed ora bisogna sviluppare tale progetto verso l’alto. Aver dato tante ore di allenamento e formazione a ragazzi sotto i 14 anni, evitando magari la dispersione di molti di loro, aver coinvolto tecnici preparati in grado di dare indirizzi comuni, credo sia davvero una grande opportunità di crescita “della base” del nostro movimento. Il passo successivo e la novità a cui sto lavorando sarà inserire i ragazzi dei club professionistici e fare un lavoro specifico su di loro. Inoltre bisogna insistere molto, non solo sulla parte tecnica, ma soprattutto sulla cultura sportiva di questi ragazzi e costruire l’uomo oltre che l’atleta. E lo dico anche da genitore non solo da addetto ai lavori”.
letture, oppure c’è qualche colpa del Sistema Italia nella costruzione del talento (giovani obbligatori, assenza di seconde squadre, campionati giovanili etc..)? “I centri territoriali federali vanno proprio in questa direzione… far crescere e formare nuovi talenti, anche se oggi, rispetto a qualche anno fa, bisogna anche competere con altre distrazioni e discipline e c'è bisogno anche di un lavoro sociale più ampio. Per la mia generazione c'era solo il campo di calcio, oggi i ragazzi sono distratti anche da tante altre cose, dal telefonino alla playstation al computer, ma questo non è solo un problema italiano. Fondamentale sarà intervenire anche su tutto quello che ruota intorno al giovane: il ruolo dei genitori , della scuola, delle società sportive. Sottolineo ancora come il lavoro di cultura sportiva sia fondamentale ed ai ragazzi bisogna far arrivare da subito i messaggi giusti. In questi mesi comunque ragioneremo a 360 gradi senza ricette preconfezionate e pronti ad ascoltare tutti”. Arriviamo alla Nazionale. Non ti chiedo dell’allenatore ma ti consegno questa fotografia: fuori dai mondiali e 14esimi nel ranking Fifa. Per tornare competitivi, secondo te, quanti anni ci vorranno e quali sono le tue idee sulla riorganizzazione del Club Italia?
Se non nascono altri Costacurta o Totti secondo te è colpa degli stranieri, come indica la più semplicistica delle 33
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“Dopo i Mondiali saremo ancora più bassi visto che noi non parteciperemo e non avremo possibilità di crescere a differenza di altre nazioni. Ci aspetta quindi molto lavoro. Oltre l’inserimento dei calciatori professionisti nei Centri Federali è necessario dare il via prima possibile alle seconde squadre che possono far crescere e maturare i nostri giovani e fornire alla Nazionale giocatori più pronti… questi due mi sembrano i provvedimenti più immediati e urgenti. In questi anni abbiamo avuto soddisfazioni con le Nazionali Under 19 -20- 21 e quindi vuol dire che abbiamo una buona struttura su cui lavorare. Ovviamente la scelta di un bravo allenatore che guidi la Nazionale sarà molto importante, ma io sono fiducioso che in un orizzonte medio si possa tornare ai livelli che ci competono. Registro anche con piacere un grande spirito collaborativo da parte della Lega di A, supporto decisivo per la crescita della Nazionale stessa e che forse in passato è mancato. Abbiamo poi altre idee in cantiere, ma che per ora non voglio anticipare per non correre troppo”. A proposito di Nazionale, le nostre azzurre si stanno giocando l’accesso ai Mondiali: immagino che le seguirai con attenzione e quali sono le idee
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riguardo alla crescita di questo settore? “Assolutamente si le seguirò con molta attenzione e spero davvero che negli appuntamenti del 6 e 10 aprile con Moldavia e Belgio le ragazze possano fare risultato e proseguire il loro cammino. Accedere ai Mondiali sarebbe davvero una grande spinta per tutto il movimento e poi bisognerà intervenire per la crescita complessiva del settore, cercando di dare la migliore organizzazione possibile alle due competizioni nazionali come il campionato e la coppa Italia. Bisogna favorire infine la presenza e la crescita delle grandi squadre di club che stanno investendo sul calcio femminile e quindi come federazione bisogna essere all'altezza delle loro aspettative e non deluderle, anche per cercare di ridurre il gap esistente con le grandi squadre europee che in questo settore sono molto avanti a noi”. In Italia c’è un problema di dirigenti che investe anche la nostra categoria. Potresti prendere l’impegno di dedicarti anche alla costruzione di una classe dirigente di ex calciatori che possa in futuro assumere ruoli di responsabilità nel sistema calcio? Ci proverai? “Sì certo, io stesso potrei essere un esempio in questo senso, affinché anche altri si impegnino, ma io voglio prima ribaltare la domanda: perché fino ad oggi nomi illustri ed ex calciatori si sarebbero dovuti impegnare se non c’era questo tipo di sensibilità e prospettiva? Io credo invece che un domani, se non ci sarò io, ci sarà sicuramente un altro ex calciatore, perché ormai si è capito che è troppo importante avere la figura di
uno sportivo nei ruoli apicali sia di una federazione, sia di un club. La mia ambizione è proprio invogliare ed orientare tanti miei colleghi ed ex colleghi ad assumersi responsabilità in questo senso. È altrettanto chiaro che anche loro dovranno sviluppare le loro doti di dirigenti perché essere calciatori è una cosa, essere dirigenti è un’altra. Penso a Gigi Buffon, Pirlo ed allo stesso Francesco Totti , che ha già cominciato questo percorso e a tanti altri ex atleti che sono pronti e hanno già cominciato un percorso di studi e approfondimento in questa direzione. Abbiamo bisogno, a tutti i livelli, di una classe dirigente preparata e se poi fossero ex atleti… ancora meglio, perché potranno portare un bagaglio di esperienze più ampio di un dirigente che non ha alle spalle una carriera agonistica”. Non posso non fartela questa ultima domanda: ti candiderai in futuro a Presidente Figc? “Ad oggi ti dico di no, non è nelle mie intenzioni; inoltre parliamo di un orizzonte lontano ed io sono qui solo per fare un percorso limitato nel tempo. Per ora sono molto concentrato su questo e sono contento di quanto sto facendo. In qualche modo mi sto innamorando di questo lavoro, se tra qualche mese sarò ancora così entusiasta e innamorato magari ci penserò su, perché comunque è giusto non escludere mai nulla. Oggi però è del tutto prematuro parlarne”.
segreteria
Sesta edizione ad Andrea Catellani
Premio di studio “Morosini” AIC–masterSport Institute Nel ricordo di Piermario Morosini, l’Associazione Italiana Calciatori e masterSport Institute hanno confermato l’iniziativa in sua memoria, giunta alla sua sesta edizione: in accordo con la Fondazione Morosini è stato istituito anche per il 2018 il “Premio di Studio Morosini”, che permetterà ad un ex calciatore professionista di intraprendere un percorso di specializzazione partecipando alle lezioni del masterSport. Il corso, ideato dall’attuale direttore generale della Lega Serie A, Marco Brunelli, dal 1996 è leader nel settore della formazione di giovani manager sportivi. Con un dato di placement ed una continuità unica nel panorama nazionale, il masterSport si è confermato anche nel 2017 tra i leader mondiali del settore ed è stato riconosciuto come 3° master sportivo al mondo per la soddisfazione espressa dai partecipanti e come 3° miglior prodotto formativo europeo (dati Sport Business International). Il “Premio di Studio Morosini” è stato assegnato nell’edizione 2018 ad Andrea Catellani. L’attaccante emiliano, con quasi 400 presenze tra i professionisti e vincitore del premio capocannoniere Serie B nel 2014/2015, ha dovuto interrompere l’attività agonistica a soli 29 anni per un problema cardiaco. Lasciato il campo, ha iniziato una collaborazione con l’area tecnica della Virtus Entella e, grazie al premio “Morosini”, avrà la possibilità di prendere parte alle lezioni della 22° edizione del masterSport, attualmente in aula a Parma, ed attraverso il percorso studiato con
gli organizzatori acquisire conoscenze e strumenti in tema di gestione delle risorse umane ed organizzazione aziendale applicata allo sport. Appreso dell’assegnazione del premio Morosini, Andrea Catellani ha dichiarato: “Ringrazio Marco Brunelli e masterSport. Per me è un onore poter seguire un corso di formazione così qualificante ed avere l’occasione di preparare il mio percorso oltre il campo. La formazione per noi calciatori è troppo spesso rimandata al momento in cui si smette di giocare mentre, già in queste prime settimane, mi sto rendendo conto di quanto avrebbero potuto essermi utili queste conoscenze anche nel pieno della mia carriera agonistica. Grazie ad AIC e ai cor-
si formazione svolti ho avuto l’opportunità già da calciatore di comprendere alcune dinamiche di ciò che ruota attorno al fenomeno calcio. Questo corso mi dà l’opportunità anche di concretizzare gli anni di consiglio direttivo AIC che sono stati per me una vera e propria costante occasione di crescita”. Il Presidente AIC ONLUS, Diego Bonavina: “Siamo particolarmente lieti di aver consegnato la borsa di studio Morosini ad Andrea Catellani che ha rappresentato un esempio di sportività nel corso della sua carriera; la felicità è anche quella di avere l’occasione di tenere sempre vivo il ricordo di Piermario anche con questa iniziativa, giunta alla sua sesta edizione”.
Dal 16 aprile la quarta edizione
Corso per Segretario Amministrativo Prenderà il via il 16 aprile prossimo la quarta edizione del corso per Segretario Amministrativo, percorso formativo per lo sviluppo delle competenze per l’allargamento delle opportunità lavorative di calciatori e allenatori di calcio. Il ruolo di Segretario amministrativo rappresenta una delle funzioni di maggiore interesse e utilità per un club di Lega. La conoscenza dei regolamenti, delle procedure e delle prassi da parte di un Segretario può rappresentare un concreto vantaggio per la società stessa, senza contare che il suo ruolo è di centrale importanza nella gestione dei rapporti tra club, staff e calciatori tesserati. Appare chiaro questo specifico ruolo possa essere preferenzialmente ricoperto da chi abbia avuto modo di vivere il campo o lo spogliatoio in prima persona, durante la sua carriera agonistica. Su queste basi nasce l’idea di questo corso: per garantire ad ex-calciatori ed allenatori la possibilità
di accedere ad un corso di formazione per lo sviluppo delle competenze di Segretario Amministrativo per una società che militi in un campionato di Lega. Dopo il successo della prime tre edizioni, anche quest’anno l’iniziativa darà la possibilità agli iscritti di frequentare cinque settimane di corso (tra aprile e giugno) e confrontarsi con le materie specifiche che formano la figura del Segretario Amministrativo. Al termine delle lezioni, i corsisti avranno la possibilità di mettere a frutto le competenze acquisite grazie ad uno stage presso una società di calcio professionistica. L’iniziativa, realizzata grazie alla sostegno del Fondo di Accantonamento delle Indennità di Fine Carriera per i Giocatori e gli Allenatori di Calcio, si inserisce all’interno delle molteplici attività di formazione che l’AIC mette in campo per i calciatori che hanno terminato la carriera agonistica. 35
calcio e legge
di Stefano Sartori
Questo mese parliamo di…
Impugnazione della rinuncia alla retribuzione Segnaliamo ancora una volta un lodo - n. 11/17 B - che si riferisce all’istituto, ormai diffusissimo ed abusato in caso di risoluzione del contratto, dell’accordo per incentivo all’esodo.
I fatti Il Collegio Arbitrale costituito presso la Lega Serie B ha ricevuto un ricorso datato 30/06/2017 con il quale un calciatore ha esposto quanto segue: a) in data 31/08/2015 sottoscriveva una dichiarazione di rinuncia alle mensilità di luglio e agosto 2015 per favorire il proprio trasferimento a titolo temporaneo ad altro club; b) successivamente e come consentito dalla legge, impugnava la rinunzia con lettera datata 30/06/2017; c) tutto ciò premesso, chiedeva la condanna della società al pagamento delle mensilità (precedentemente rinunziate) di luglio e agosto 2015. La società si è costituita affermando la nullità del ricorso per difetto degli elementi essenziali del ricorso (art 5.1 lett. f) e 5.3 lett. d) del Regolamento del Collegio Arbitrale) e, in via subordinata, che la rinuncia, non vertendo su diritti inderogabili del lavoratore/ calciatore, era pienamente valida anche prescindendo dall’effettuazione o meno in sede protetta. Ha aggiunto inoltre che il calciatore, dopo il trasferimento alla nuova società, aveva finito per percepire una retribuzione molto superiore a quella precedente, compensando così agevolmente le due mensilità rinunciate. La decisione del CA Respinta l’eccezione relativa alla nullità del ricorso per la indeterminatezza dello stesso, infondata in quanto l’atto introduttivo conteneva tutti gli elementi in fatto e diritto essenziali, il Collegio si è soffermato sulla questione, maggiormente interessante, relativa all’impugnabilità della rinuncia. Ebbene, il Collegio ha affermato che per costante giurisprudenza, citiamo testualmente “è irrinunziabile e intransigibile ex art 2113 c.c. solo il di36
ritto alla retribuzione minima di legge, mentre sono valide, anche se non stipulate in sede protetta, le rinunzie relative ai diritti retributivi superiori ai minimi legali”. In altre parole, il Collegio non ha condiviso la tesi della società secondo cui i minimi retributivi previsti dall’Accordo Collettivo Lega B/AIC sarebbero derogabili. Al contrario, il diritto ad una retribuzione equa è garantito dall’art. 36 della Costituzione (“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”), e quindi un minimo retributivo deve necessariamente esistere; inoltre, continua il CA, un rapporto di lavoro sportivo può benissimo essere sottoposto alla competenza del giudice del lavoro ex art. 409 c.p.c. In buona sostanza, la rinuncia oggetto della presente controversia deve intendersi, rispettivamente: a) pienamente valida per la parte eccedente i minimi previsti sulla base dall’Accordo Collettivo della serie di riferimento; b) soggetta alla tutela del già menzionato art. 2113 c.c. - “le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile, non sono valide” per la parte relativa all’importo previsto dai minimi retributivi che, nel caso in questione, vanno individuati in quelli previsti per la stagione 2015/16. Pertanto, coerentemente con quanto appena esposto, la domanda del calciatore è stata accolta nei limiti dei cosiddetti “minimi federali” per le mensilità di luglio e agosto 2015 ed è stata invece considerata infondata per il resto; inoltre, è stata valutata del tutto irrilevante la mancata ratifica della
rinuncia da parte della Lega Serie B in quanto, secondo il Collegio, “atto strutturalmente e funzionalmente diverso dalla attività svolta dalle organizzazioni sindacali in occasione di transazioni e/o rinunce in tali sedi stipulate”. In conclusione, il lodo è sicuramente interessante ma va valutato con molta attenzione: positivamente, qualora si osservi che la rinuncia alle mensilità è stata impugnata dopo circa due anni e non nei 180 giorni di cui all'art. 2113 c.c. (“L'impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione”). Con molta cautela va invece verificata l’affermazione secondo cui la rinuncia è valida fatta salva la parte dello stipendio lordo mensile pari al minimo retributivo: sarebbe infatti preoccupante se ne conseguisse l’impugnabilità, anche se stipulata in sede protetta, se non limitatamente ai soli importi pari ai minimi retributivi.
calcio e legge
di Alfredo Giaretta
Questo mese parliamo di…
Responsabilità per comportamenti discriminatori Tutti hanno ben presente il noto caso delle figurine ritraenti la ragazzina olandese di religione ebraica Anna Frank con la maglia della Roma affisse allo Stadio Olimpico dai sostenitori della Lazio; la giustizia sportiva in quell’occasione, condannando la società laziale al pagamento di un’ammenda, non ha risposto nel modo duro e deciso che in molti si auguravano. Pochi sanno, invece, che quel gesto, condannato in più occasioni ovunque e da chiunque, è stato emulato pochi giorni dopo da dei giovani calciatori della A.S.D. Grifone Gialloverde: il 28 ottobre scorso il più “intraprendente” dei ragazzi condivideva, nel famoso social network Instagram, una foto ritraente, ancora, Anna Frank indossante, questa volta, la maglia dell’A.S.D. Atletico Vescovio, probabile squadra rivale in campionato, nella quale veniva inserita la didascalia “né Roma né Lazio Anna Frank è dell’Atletico Vescovio”; altri cinque compagni di squadra hanno poi provveduto a condividere tale foto. In questa occasione, a differenza del precedente caso, gli organi della Federazione sono intervenuti in modo severo ed esemplare: il recente CU FIGC n° 150/AA del 12 marzo 2018 ha evidenziato l’avvenuto patteggiamento, con relativo sconto di pena, ex art. 32sexies del Codice di Giustizia Sportiva in base al quale l’ideatore del gesto è stato sanzionato con 8 mesi di squalifica mentre i compagni con “solo” 3 giornate. La condotta tenuta è stata considerata, dimostrando il rifiuto della Procura Federale di vederla come una semplice “ragazzata”, come gravemente discriminatoria, dal chiaro intento antisemita, offensiva per il tenore e l’incitazione all’odio razziale, sanzionabile quale illecito disciplinare integrante violazione dei doveri di lealtà e correttezza sportiva di cui art. 1 bis, comma 1), in relazione all’art.11, comma 1 del Codice di Giustizia Sportiva.
Tale ultima norma citata è alla base delle condanne per comportamenti discriminatori tenuti dai tesserati e prevede che costituisce comportamento discriminatorio ogni condotta che, direttamente o indirettamente, comporti offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine etnica, ovvero configuri propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori, prevedendo come sanzione per tali condotte la squalifica per almeno dieci giornate di gara o, nei casi più gravi, una squalifica a tempo determinato e con la sanzione del divieto di accedere agli impianti sportivi in cui
si svolgono manifestazioni o gare calcistiche, anche amichevoli, nell’ambito della FIGC, con eventuale richiesta di estensione in ambito UEFA e FIFA. In conclusione, visto il tenore della previsione del Codice di Giustizia appena riportata, si può ritenere che le sanzioni inflitte, al netto dello sconto applicato per la scelta della procedura di patteggiamento e valutata l’età dei soggetti coinvolti, siano da considerare adeguatamente commisurate al caso riportato. Un plauso, quindi, agli organi della procura federale auspicando che risposte di tale portata vengano estese a qualsiasi evento di questo tipo di cui, però, il calcio ed il mondo in generale farebbe volentieri a meno.
Con la regia dell’AIC
116 anni di storia del Vicenza Calcio Una grande serata di festa, per celebrare al meglio i 116 anni del Vicenza Calcio, con grandi ospiti, molte sorprese e una pubblicazione che resterà negli annali dei collezionisti: il tutto è andato in scena il 19 marzo scorso al Palazzetto dello Sport di Vicenza con calciatori, allenatori e dirigenti di ieri e di oggi che hanno scritto le pagine più belle del “Lanerossi” portandolo ai vertici del nostro calcio. Da Paolo Rossi a Roberto Baggio, da Nevio Scala a Francesco Guidolin, da Pieraldo Dalle Carbonare a Sergio Gasparin, un appuntamento imperdibile seguito da TVA Vicenza con la diretta della trasmissione “Rigorosamente calcio”. “Una serata che ha portato tanta gente, tanto entusiasmo ed il solito grande affetto per la maglia biancorossa” – ha esordito il Direttore Generale AIC Gianni Grazioli che, insieme a Sara Pinna, ha condotto l’evento. “Tutto è nato dall’idea dell’ex Direttore Sportivo del Vicenza Sergio Vignoni che ha deciso di pubblicare un preziosis-
simo almanacco, al quale ho collaborato, e attorno al quale abbiamo voluto costruire questa iniziativa”. L’“Almanacco illustrato del Vicenza Calcio 1902-2018”, presentato in anteprima nella sede dell’AIC, verrà stampato in 2000 copie (costo 20€) e parte del ricavato verrà devoluto alla società biancorossa: “Un lavoro che ha richiesto un lavoro molto meticoloso” – ha spiegato l’autore Sergio Vignoni – “che sono riuscito a portare a termine grazie all’aiuto di Stefano Dal Maso e Gianni Grazioli”. Sono più di 1300 le “figurine” (corredate di schede complete) dei calciatori che hanno vestito la maglia biancorossa, con speciali sezioni dedicate ai presidenti, agli allenatori, ai palloni d’oro, gli interventi di grandi ex con aneddoti e curiosità, e una dedica speciale a Piermario Morosini. Non solo una raccolta di volti e dati statistici, un libro d’amore per il calcio e per lo sport. 37
segreteria
di Ganfranco Serioli
Scarica le tabelle su www.assocalciatori.it
Lordo – Netto 2018 Il contributo di solidarietà Il contributo dovuto in misura pari al 3% del reddito eccedente euro 300.000 non è stato prorogato per gli anni fiscali a partire dal 2017 e quindi non è stato inserito nella tabella Lordo-Netto 2018. Comune che vai, importo che trovi Non è stato considerato (perché diverso da calciatore a calciatore) il carico familiare e, per quanto riguarda le aliquote di compartecipazione all’Irpef, per le Regioni ed i Comuni, è stata inserita l’aliquota minima identica a tutti i Comuni e Regioni d’Italia. L’Addizionale regionale all’Irpef di base (fissata con legge nazionale) è stata elevata, con il Dl n. 201/2011 (legge di conversione n. 214/2011), dallo 0,90% all’1,23% (modifica all’art. 6, comma 1, Dlgs n. 68/2011). In tabella è quindi conteggiata l’aliquota complessiva dell’1,43%, lo 0,20% per l’addizionale comunale e l’1,23% per quella regionale. Richiamiamo l’attenzione di tutti i calciatori, all’atto della sottoscrizione del contratto, a verificare l’eventuale maggior costo fiscale stabilito dal proprio Comune e Regione nel quale hanno posto il loro domicilio fiscale (oltre l’1,43%), al fine di quantificare, aumentandolo di conseguenza, a volte anche sensibilmente, il corretto importo lordo contrattuale. Risulta impossibile elencare integralmente le aliquote applicate nei vari Comuni italiani e si consiglia quindi di recuperare le informazioni necessarie in internet o presso il Municipio di residenza. Diverse Regioni hanno provveduto a rettificare, a seguito anche delle modifiche disposte dalla legge nazionale e delle modifiche apportate al decreto sul federalismo regionale, la propria o le proprie aliquote di addizionale all’Irpef per l’anno 2018. Di seguito è riportata una tabella riassuntiva contenente le aliquote Irpef applicate nelle varie Regioni d’Italia.
La solidarietà tra i calciatori Negli Accordi collettivi sottoscritti tra 38
l’AIC e le Leghe di serie B e Pro è stato introdotto il contributo di solidarietà. Il contributo dello 0,50%, totalmente a carico del calciatore, da calcolarsi sull’importo lordo contrattuale e detratto dal netto, si pone come obiettivo il finanziamento di quello che da sempre è stato il Fondo di garanzia, oggi Fondo di Solidarietà. Nella tabella lordo netto 2018 è stato inserito questo contributo per la serie B e Lega Pro e non per la serie A, in quanto non previsto dall’Accordo Collettivo di categoria. La tecnicalità del calcolo sul lordo contrattuale e la relativa trattenuta dal netto è dovuta al fatto che questo contributo di natura sociale è stato introdotto per volontà delle parti (Accordo Collettivo) e non previsto da una legge dello Stato. Conseguentemente le casse dell’erario non rinunciano al gettito integrale dell’imposta per volontà di soggetti privati: il contributo al fondo di solidarietà non può essere dedotto dal reddito ai fini fiscali ma direttamente dal netto di busta-paga.
Per ogni guadagno una percentuale Con la circolare numero 13, del 26 gennaio 2018, l’INPS (ex Enpals) ha ufficializzato il limite minimo di retribuzione contributiva e aggiornato gli altri valori per il calcolo di tutte le contribuzioni dovute per l’assicurazione dei calciatori al Fondo sportivi professionisti. La retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale non può essere inferiore all'importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti colletti-
Tabella addizionale regionale 2018 Regione
Scaglioni di reddito Aliquota
Abruzzo
per qualunque reddito fino a 55.000 da 55.000 a 75.000 da 75.000 in poi fino a 20.000 da 20.000 in poi per qualunque reddito per qualunque reddito fino a 15.000 da 15.000 a 28.000 da 28.000 a 55.000 da 55.000 a 75.000 da 75.000 in poi fino a 15.000 da 15.000 in poi fino a 15.000 da 15.000 a 28.000 da 28.000 a 55.000 da 55.000 a 75.000 da 75.000 in poi fino a 15.000 da 15.000 a 28.000 da 28.000 a 55.000 da 55.000 a 75.000 da 75.000 in poi fino a 15.000 da 15.000 a 28.000 da 28.000 a 55.000 da 55.000 a 75.000 da 75.000 in poi fino a 15.000 da 15.000 a 28.000 da 28.000 a 55.000 da 55.000 a 75.000 da 75.000 in poi fino a 15.000 da 15.000 a 28.000 da 28.000 a 55.000 da 55.000 a 75.000 da 75.000 in poi fino a 15.000 da 15.000 a 28.000 da 28.000 a 55.000 da 55.000 a 75.000 da 75.000 in poi fino a 15.000 da 15.000 a 28.000 da 28.000 a 55.000 da 55.000 a 75.000 da 75.000 in poi per qualunque reddito per qualunque reddito fino a 15.000 da 15.000 a 28.000 da 28.000 a 55.000 da 55.000 a 75.000 da 75.000 in poi per qualunque reddito fino a 15.000 da 15.000 a 28.000 da 28.000 a 55.000 da 55.000 a 75.000 da 75.000 in poi per qualunque reddito per qualunque reddito
Basilicata Bolzano Calabria Campania Emilia Romagna Friuli Venezia Giulia Lazio
Liguria
Lombardia
Marche
Molise
Piemonte
Puglia Sardegna Sicilia Toscana Trento Umbria Valle d’Aosta Veneto
1,73% 1,23% 1,73% 2,33% esenzione 1,23% 1,73% 2,03% 1,33% 1,93% 2,03% 2,23% 2,33% 0,70% 1,23% 1,73% 2,73% 2,93% 3,23% 3,33% 1,23% 1,81% 2,31% 2,32% 2,33% 1,23% 1,58% 1,72% 1,73% 1,74% 1,23% 1,53% 1,70% 1,72% 1,73% 1,73% 1,93% 2,13% 2,23% 2,33% 1,62% 2,13% 2,75% 3,32% 3,33% 1,33% 1,43% 1,71% 1,72% 1,73% 1,23% 1,50% 1,42% 1,43% 1,68% 1,72% 1,73% 1,23% 1,23% 1,63% 1,68% 1,73% 1,83% 1,23% 1,23%
segreteria
REDDITO ANNUO
ALIQUOTA CONTRIBUTIVA
fino ad euro 46.630,00
F.DO SPORTIVI F.F.C.
9,19% (33%)*
da euro 46.630,00 ad euro 101.427,00
10,19% (34%)*
da euro 101.427,00 ad euro 739.407,00
0,75% (1,5%)*
fino ad euro 101.427,00
1,25% (7,5%)*
Nota: * tra parentesi l’aliquota complessiva (costo a carico del calciatore + quello a carico della società). Si precisa che per l’anno 2018, il limite minimo di retribuzione annuo per l’assolvimento degli obblighi contributivi di legge (importo minimo sul quale si calcolano i contributi da versare anche nel caso in cui la retribuzione effettiva sia inferiore), è pari ad euro 15.038,40.
REDDITO
IRPEF 2018
vi, stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione d'importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo (art. 1, comma 1, del D.L. 9.10.1989, n. 338, convertito in legge 7.12.1989, n. 389). Poiché è stato accertato dall'Istat che, nell'anno 2017, la variazione percentuale ai fini della perequazione automatica delle pensioni è stata pari allo 1,10%, il limite minimo di retribuzione del 2018 deve essere ragguagliato, qualora dovesse essere d'importo annuo inferiore, a € 15.038,40. Segnaliamo che la legge 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 374, lett. b) ha previsto un aumento graduale della misura del contributo di solidarietà di cui all’art. 1, comma 4 del D. Lgs. n. 166/1997. Per effetto delle nuove disposizioni l’aliquota del contributo citato è stata fissata, a decorrere dal 1° gennaio 2018, nella misura dell’1,5% (di cui 075% a carico delle Società e 0,75% a carico dei calciatori) e a decorrere dal 1° gennaio 2020, nella misura del 3,1% (di cui 1% a carico delle Società e 2,1% a carico dei calciatori). Negli specchietti riepilogativi riportati di seguito si evidenzia il costo sociale e fiscale a carico del calciatore per l’anno 2018.
ALIQUOTA
IMPOSTA
Fino a 15.000
23%
23% sull’intero importo
Oltre 15.000 fino a 28.000
27%
3.450 + 27% sulla parte eccedente 15.000
Oltre 28.000 fino a 55.000
38%
6.960 + 38% sulla parte eccedente 28.000
Oltre 55.000 fino a 75.000
41%
17.220 + 41% sulla parte eccedente 55.000
Oltre 75.000
43%
25.420 + 43% sulla parte eccedente 75.000
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Sul nostro sito www.assocalciatori.it, alla voce NORMATIVA>PROFESSIONISTI è possibile scaricare le tabelle integrali Lordo-Netto 2018 relative alla Serie A e alle Serie B-C digitando rispettivamente: • http://www.assocalciatori.it/sites/default/files/attachment/pagina/Lordo_Netto_2018_Serie-A.pdf • http://www.assocalciatori.it/sites/default/files/attachment/pagina/Lordo_Netto_2018_Serie-B-C.pdf oppure tramite i sottostanti QR code.
Serie A
Serie B-C 39
femminile
di Pino Lazzaro
Arianna Caruso e Michela Catena
Uno su mille, una su quante? Via da casa, per giocare a calcio. Un’esperienza tutto sommato normale, chissà quanti hanno fatto e faranno infatti questo viaggio intanto di sola andata, senza poi sapere se c’era/ci sarà davvero l’approdo desiderato, la stazione d’arrivo, il cosiddetto farcela. Uno su mille ce la fa, dice la canzone e si sa che comunque ci si prova, ancora e ancora. Già, il tutto come detto normale se pensiamo a noi maschietti, ma chissà quale potrebbe/potrà essere quella percentuale se chi si mette in viaggio per quella stazione d’arrivo è una ragazzina. Almeno qui da noi naturalmente, dato che in Europa e in altre parti del mondo c’è chi s’è mosso per tempo e il professionismo abbinato al calcio giocato dalle donne non è una speranza/fantasia/sogno, no, c’è già. Con questa premessa, ecco allora il raccontare di due giovani ragazze, entrambe diciottenni, entrambe nel giro della U19 azzurra. Entrambe dunque via da casa, per giocare a calcio, loro stesse le prime a essere curiose di come andrà a finire. L’una – Arianna Caruso – a sperimentare l’organizzazione/mentalità/ambizioni di una società quale la Juventus; l’altra – Michela Catena – a Tavagnacco, ancora Serie A, ma una Serie A che non è la stessa che si respira e si mette in pratica a Torino. Entrambe, Arianna e Michela, a guardare avanti, anzi, in alto. Forza e in bocca al lupo.
Arianna Caruso, centrocampista della Juventus
“Mi sento una privilegiata” “Passione che avevo sin da bambina. I miei con idee diverse, mio padre subito a dire sì, mia madre invece molto meno convinta… adesso le cose sono cambiate, anche lei è contenta, mi segue tutti i giorni e pure se ne intende un po’ di calcio. Ho cominciato lì a Ostia, con i maschi, il campo non era poi tanto vicino, sempre loro, o papà o mamma a portarmi. Quando m’è arrivato questo invito della Juventus, un po’ ci ho pensato, mica semplice l’andar via di casa ma devo dire che i miei genitori che sempre mi hanno appoggiato, sono stati pure loro a Arianna Caruso, novembre 1999, è arrivata alla Juventus dalla Res Roma (con la maglia giallorossa ha vinto un Campionato Primavera). Dopo l’U17, fa parte ora del gruppo delle U19 condotto da Enrico Sbardella.
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spingermi perché vedevano soprattutto un motivo di crescita da parte mia e così mi sono trasferita a Torino”. “Tramite la Juve vivo in un residenceconvitto femminile e divido la mia stanza con un’altra ragazza, con Sofia Cantore. Ho una vita abbastanza organizzata, a pensarci c’è la società: c’è un pullman che la mattina mi porta a scuola; all’uscita da scuola mi portano poi a Vinovo dove pranzo e poi da lì al centro Sisport dove ci alleniamo e infine di nuovo al resi-
dence che ha, lì vicino, il ristorante convenzionato dove andiamo a cenare. Con la scuola sto facendo la geometri, è una scuola pubblica. In effetti la Juventus mi aveva proposto la loro di scuola, a indirizzo scientifico. Ma ho preferito continuare la strada che avevo già cominciato e sì, posso dire di essere abbastanza brava come studentessa. Beh, lì a scuola loro sanno “chi sono”: è stata la Juventus a contattare la scuola, a spiegare esigenze e orari e così mi vengono incontro, con un piano formativo agevolato. Vedi per esempio al martedì, noi abbiamo sempre doppio allenamento e così a scuola ci vado solo per due ore, dalle 8 alle 10, poi esco e così posso andare al campo e nel pomeriggio, dopo il pranzo, abbiamo la seconda seduta. Di allenamenti ne facciamo sei la settimana (lì a Roma ne facevamo quattro); il venerdì partiamo quando siamo in trasferta, sabato c’è la partita e così ho la domenica libera: o
femminile
Ma che brave ragazze Andiamo a chiudere questo numero de il Calciatore, giusto con un bel po’ di belle notizie. Intanto (in ordine di tempo) la qualificazione ottenuta in Ungheria dalla nostra U17 per il prossimo Europeo (dal 9 al 21 maggio in Lituania, con la Germania campione in carica; nel nostro girone la Spagna, la Polonia e l’Inghilterra). Complimenti dunque e medesimo applauso pure alla nostra U19 che in Scozia si è saputa conquistare l’accesso alla fase finale del “suo” Europeo (si disputerà dal 18 al 30 luglio, in Svizzera; qui è la Spagna campione in carica). Periodo poi che in chiave azzurra – e parliamo stavolta della Nazionale maggiore – si è dimostrato davvero col vento favorevole grazie alle due consecutive vittorie, prima fuoricasa con la Molstudio o andiamo magari a fare un giro per il centro”. “Che vuoi, il sacrificio più grande è quello di essere via da casa, dalla famiglia, dagli amici; non è poi un passo così semplice, però ho la fortuna qui di condividere questa esperienza con altre ragazze. A casa ci vado, ma molto raramente, le poche volte che magari abbiamo un sabato e la domenica liberi, anche perché in treno per la tratta Roma-Torino ce ne vuole parecchio di tempo; capita così che vengano i miei, di tanto in tanto. Prima ero in una società dilettantistica; ora, pur non potendo dire di essere ancora una professionista, mi trattano come tale, vedo qui tutti i mezzi che ci sono a disposizione. A Roma ne ho imparate proprio tante di cose, ora qui però come fai a non vedere la differenza? Se trovo tutto pronto? Sì, sì, prima invece me la portavo a casa la roba e ci pensava mamma a lavare e stirare”.
“Sono contenta e orgogliosa d’essere stata chiamata a far parte di questo progetto così importante, ho certo tanto e tanto da lavorare e spero di poter avere sempre più spazio possibile. Sono una centrocampista, piedi abbastanza buoni direi. Sono tifosa della Roma, anni fa pensavo un po’ a Florenzi come riferimento, anch’io sino all’anno scorso ero duttile, ne facevo parecchi di ruoli. Un’altra cosa che penso di avere è quella di sapermi inserire davanti, lo so fare insomma qualche gol. Quando torno a casa, le mie amiche chiedono e chiedono e così cerco di spiegare loro la
davia, poi quella fondamentale in casa (a Ferrara) sull’ostico Belgio, vittorie che permettono così di continuare con ancora più speranze (e possibilità, dai, quasi ci siamo) quel cammino che come sospirato approdo ha la qualificazione al Mondiale 2019 in Francia. Visto che finalmente qualcosa qui da noi si sta muovendo, ottenere risultati e conseguente visibilità non fa certo male: forza e avanti.
realtà che sto vivendo, come la sto vivendo, perché da fuori sono tante le cose che non si possono vedere, i particolari. Così mi sento una privilegiata, mi basta pensare a quante sono le ragazze che vorrebbero essere al mio posto ed è questo un altro stimolo per ripagare la fiducia che hanno avuto verso di me. No, non c’è un qualcosa che mi abbia sorpresa di più: abituata com’ero a livello dilettantistico, provo sempre un’emozione ora a vedere tutta questa organizzazione, la cura che c’è, come ci trattano bene, non potevo certo avere di meglio”.
Caratteri forti
“Pregiudizi nei nostri confronti ce ne sono tanti, ma io penso che noi ragazze li stiamo combattendo tutti i giorni, abbiamo dei caratteri forti, sono sicura che andremo avanti. Certamente l’ingresso della Juventus nel nostro calcio ha scombussolato un po’ tutto e spero ce ne saranno sempre di più di società che vorranno fare lo stesso”. 41
femminile
Michela Catena, centrocampista del Tavagnacco
“Si può sempre fare di più” “Sicuramente la mia è una passione che viene dalla mia famiglia; dal mio babbo, prima ancora da mio nonno e poi i miei fratelli: praticamente, per quel che mi ricordo, l’ho sempre avuto tra i piedi un pallone. Lì da piccola, in giardino, con mio padre; poi all’oratorio, dopo il catechismo, con i miei amici. Ne ho fatti tanti altri di sport, ma è bastato il primo allenamento col calcio per capire che avevo trovato quel che volevo fare. Ho cominciato tardi, avevo 10 anni, m’era capitato tra le mani un volantino, mia madre all’inizio poco convinta. Ho così iniziato giocando con i maschi, all’Osimana, non è stato facile, specie all’inizio, ma ho continuato ed è stato quasi sempre mio nonno il “tassista”, mi portava, mi aspettava e stava lì a guardare”. “Da piccola quel che pensavo/sognavo era di arrivare a fare il calcio come un lavoro… ancora non è così, ma sono felice di essere qui col Tavagnacco. La chiamata mi è arrivata ed è stata inaspettata, io lì a riflettere su quel che davvero volevo fare, sapevo che ci sarebbero stati dei sacrifici ma c’era pure l’esperienza, il crescere sì come calciatrice, ma pure come persona. Pensavo anche ai miei, facile non sarebbe stato nemmeno per loro, me ne sarei andata lontano ma in fondo erano felici, felici per me, specie mio papà, lui una cosa così l’aveva sempre sperata per me. No, non sono figlia unica, ho una sorella, più grande di me, lei ha fatto danza, siamo proprio due opposti. Quel Michela Catena, dicembre 1999, ha iniziato a giocare (assieme ai maschi) nell’Osimana, passando poi alla Jesina, con cui ha esordito in B ed è poi arrivata in serie A (e successiva retrocessione). Dalla scorsa estate è col Tavagnacco. Pure lei con l’U19.
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che è stato più complicato è stato l’inizio, io di mio sono un po’ chiusa e timida, mi spaventava l’idea di avere a che fare con persone che non conoscevo, così lontana dalla famiglia e dagli amici. Era agosto, sono passati un po’ di mesi e nonostante, come detto, quel primo mese sia stato duro (anche perché avevo tagliato altri rapporti, anche fuori del calcio intendo), ora sono molto contenta della scelta che ho fatto, mi sto trovando bene. A casa ci torno davvero raramente, sono loro, papà e mamma, che vengono a vedere le partite”. “Vivo qui a Tavagnacco, in un appartamento con altre due ragazze, una è Elisa Polli, già ci avevo giocato assieme. Con la scuola dovevo fare l’ultimo anno dell’alberghiero, niente di particolarmente complicato, così adesso lo sto facendo a Udine. A scuola con la corriera di linea, idem il ritorno; pranzo (cuciniamo noi), studio e alla sera, verso le 19, l ’a l l e n a m e n to. Quattro la settimana, sempre di sera, più la partita al sabato. Appena arrivata ho visto subito il cambio, un mondo diverso, specialmente nel potermi confrontare con ragazze che di campionati d i A ne hanno fatti tanti, che sono state e sono in Nazionale: ho molto da imparare. Ambizioni? Credo che ogni volta che
raggiungi qualcosa, sempre ci si debba porre degli obbiettivi alti, dunque aspiro a qualcosa di più, sì e spero insomma di non doverlo mai utilizzare quel diploma dell’alberghiero, non m’interessa. Per il momento sono qua, per il futuro si vedrà. Andare all’estero? Mah, so bene che è difficile, ma è un qualcosa che c’è, un po’ un sogno, chissà, forse in futuro”. “Sul mio ruolo non so ancora bene, in tutte le squadre in cui ho giocato, mi hanno fatto sempre cambiare, dove serviva, mai insomma con un ruolo specifico. Certo che quel che amo è stare dietro le punte, un po’ trequartista, diciamo. Sì, stare in panchina mi rompe, però mi dico sempre che se è così, il motivo c’è e quindi, anche se a me pare di essere qui dando tutto, si può sempre fare di più”.
Privilegiata?
“Sono sempre la stessa, non mi sento diversa da prima e non mi sento una privilegiata: sto facendo il mio, come tutti dovrebbero fare. Il sogno? Che il calcio possa diventare un lavoro…”.
regole del gioco
di Pierpaolo Romani
Dal Report dell’Osservatorio sulle Manifestazioni Sportive
Aumentano gli spettatori ma anche… la violenza Il 10 febbraio l’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive ha presentato il report del girone di andata dei campionati professionistici di calcio relativi alla stagione sportiva in corso. Nel documento si possono leggere i risultati della comparazione dei dati che l’organismo del Ministero dell’Interno ha
svolto tra le ultime due stagioni sportive. Da questo raffronto, emerge un andamento altalenante, a seconda delle categorie considerate, come vedremo nelle righe successive. Tuttavia, quello che appare immediatamente è un peggioramento della situazione con un aumento dell’esercizio della violenza a livello generale. Entrando nell’esame dei dati, si nota come gli incontri in cui si sono registrati dei feriti sono aumentati del 58%, passando da 19 a 30. Stesso trend per quanto riguarda le gare in cui si sono registrati feriti tra i civili (da 13 a 23), le forze dell’ordine e gli steward. L’esercizio della violenza verso le persone, cui si accompagna il danneggiamento di strutture e cose, si è registrato anche in ambienti esterni agli impianti sportivi. In 67 casi censiti dall’Osservatorio sono state registrate condotte
incivili o delinquenziali lungo le aree di sosta autostradale, di cui si sono rese protagoniste, in particolare, le tifoserie della Lazio, del Napoli, del Foggia, Inter, Pisa, Siracusa, Benevento e Roma. In un numero ridotto di casi (4), le medesime condotte si sono registrate in stazioni e su convogli ferroviari. Le tifoserie responsabili, in questo caso, sono state quelle della Roma, del Pisa, del Brescia e della Lucchese. La Serie A ha fatto registrare l’incremento più rilevante delle criticità, con un unico punto a favore costituito dalla ripresa della partecipazione di pubblico. Nella massima serie risultano in aumento sia gli incontri in cui si sono registrati dei feriti – passati da 8 a 20, con una crescita, rispetto allo stesso periodo della stagione sportiva 2016/17, del 150% – sia quelli in cui le persone coinvolte sono state dei civili (+133%), che le forze dell’ordine. Sono dati che per la Serie A riportano alla memoria i tempi della stagione sportiva 2013/14. La Serie B, invece, si migliora in ogni indicatore, sebbene il trend
non sembri ancora sistemico. La Lega Pro conferma gli stessi dati della scorsa stagione, e si distingue per il secondo maggior dato di feriti tra le forze dell’ordine dopo quello della Serie A. Dal punto di vista della repressione, si registrano dati in aumento particolarmente significativi. Le persone denunciate sono passate da 343 a 431, registrando un aumento del 26%, e quelle arrestate da 18 a 25, con un aumento del 39%. I picchi di maggiore aumento tra i denunciati si registrano nella massima serie dove si è passati da 80 a 215 casi (+169%) e in Lega Pro, dove l’incremento è stato del 93%, passando da 82 a 158 casi. Sul versante degli arresti è ancora la Serie A il campionato in cui si è registrato un incremento di cinque volte rispetto alla stagione sportiva precedente, passando da 3 a 15 casi. Nel suo Rapporto, l’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive – di cui anche AIC è componente – si legge come sul versante delle politiche di sicurezza, all’interno e all’esterno degli
impianti sportivi, manchi una sostanziale collaborazione da parte delle società calcistiche che delegano in toto questo compito alle forze dell’ordine. È ancora assente, sostanzialmente, quel salto di qualità culturale auspicato dalle istituzioni attraverso la sottoscrizione del Protocollo del 4 agosto 2017, che presuppone una vera e propria collaborazione tra gli apparati di sicurezza statali e le società. 43
l’incontro
di Alessandra Bianchi
Il film dell’ex Roma e Inter Olivier Dacourt
“La parte d’ombra che c’è in “I mondiali senza l’Italia sono come la pizza senza farina…”. Riassume così, con un po’ di ironia gastronomica, l’assenza della nostra Nazionale in Russia, Olivier Dacourt, 43 anni, centrocampista grintoso e infaticabile, 6 anni trascorsi nel campionato italiano a partire dal gennaio 2003, equamente divisi in 3 alla Roma e 3 all’Inter dove ha vinto, tra l’altro, 3 scudetti. Dacourt oggi è opinionista in Francia per Canal Plus e alla ribalta per aver firmato come autore, insieme a Marc Sauvourel, ‘Ma part d‘ombre’, film-documentario che racconta le ferite psicologiche nascoste di 6 star del calcio: Zlatan Ibrahimovic, Franck Ribéry, Eric Abidal, Antonio Cassano, Thierry Henry ed Emmanuel Adebayor. Dacourt è molto legato all’Italia e alle sue ex squadre. Alla Roma ha avuto come compagno Damiano Tommasi, con cui è rimasto in contatto. Della carriera dell’attuale presidente dell’AIC, ‘Tommì’, come lo chiama lui alla francese, con l’accento sulla i, non è affatto sorpreso: “Già quando giocava si capiva che aveva qualcosa di speciale. È uno dei giocatori più intelligenti che abbia conosciuto nella mia carriera, direi tra i primi 5. E anche uno dei più umili. Può veramente parlare di tutto, non solo di calcio. Mi ricordo che già all’epoca affrontava molti discorsi sul sociale. Andavamo spesso nella cappella di
Trigoria, stavamo molto insieme anche perché capiva il francese. Lo stimo tanto. È stato un piacere vero giocare e dividere con lui dei bei momenti di calcio e di vita. E quando recentemente è venuto a Parigi e mi ha chiamato, non ho esitato un solo istante per vederlo”. Per Dacourt non c’è dubbio. La medicina per guarire i mali del calcio italiano si chiama Tommasi: “Bisognerebbe eleggerlo presidente della FIGC. La massima istituzione del vostro sport va data in mano a ex giocatori come lui che hanno esperienza ad alti livelli, capiscono e ‘sentono’ i problemi degli atleti e in generale di tutto il movimento. Penso ad Albertini, per citarne un altro. Ottima la presenza di Costacurta nel nuovo organigramma della Federcalcio. Sono loro che devono andare al potere, prendersi delle responsabilità. Il fatto che l’Italia non partecipi ai Mondiali è il risultato degli errori commessi negli ultimi anni. Un disastro. La Juventus che vince e ha avuto buoni risultati in Champions’ League ha illuso. Si pensa che vada tutto bene ma non è così. Oltre ai risultati che non arrivano, ci sono stadi vuoti, vecchi e gente che non va più a vedere le partite. Ma il calcio italiano non è questo”. Se la passa meglio quello francese, a livello di nazionale, in questo momento, con Didier Deschamps commissario tecnico. Dacourt è ottimista. “Penso che ai Mondiali la Francia possa fare qualcosa di buono, arrivare fino in fondo. Abbiamo dei giovani di talento, una bella generazione a cui manca solo un po’ di esperienza. Deschamps ha voglia di vincere e fortuna. Sono fiducioso”. Fiducia è una parola importante per Dacourt: grazie a quella che hanno avuto in lui i 6 giocatori che hanno accettato di incontrarlo, è riuscito a realizzare il film ‘Ma part d’ombre’ che in Francia ha ottenuto ottimi ascolti e riscontri. Farsi raccontare la ‘parte d’ombra’ che si portano dentro Cassano, Ribéry, Ibrahimovic, Adebayor, Henry e Abidal, una parte spesso inconfessata e in-
confessabile, non era facile. Dacourt c’è riuscito in quanto ex collega – e questo conta moltissimo nel codice dei giocatori che si trincerano dietro una diffidenza protettiva – e anche perché lui stesso si è messo in gioco raccontando la sua parte d’ombra fin qui sconosciuta ai più, che lo rende quindi parte integrante del film. Perché, analizza, “Non si può chiedere agli altri di svelarsi se non lo fai anche tu”. Così l’ex centrocampista rivela che quando aveva 14 anni ed era al centro di formazione di Strasburgo dove ha iniziato la carriera, Alexandre, il suo compagno di stanza, si uccise. Un trauma con cui ha dovuto fare i conti senza poterne discutere con nessuno, perché “era un soggetto tabù, non se ne parlava” ma con cui lui ha convissuto, con cui ha dovuto fare i conti e che, racconta lo ha “reso più forte, perché ogni volta che entravo in campo pensavo ad Alex”. Solo da poco è riuscito a incontrare il fratello di Alexandre e a giungere a patti con se stesso e con questa tragedia mai dimenticata. Ci sono voluti 7 mesi di lavoro, riprese e pazienza per farsi raccontare le sensazioni intime dei 6 big del pallone, che, oltre l’apparenza fatta di lusso, fama e soldi, hanno ferite come tutti. L’unico italiano del film è Antonio Cassano. Dacourt prova per lui un’ammirazione assoluta non solo per il talento calcistico che definisce “enorme”. Nella pellicola Cassano racconta la sua vita segnata da anni difficili, resi tali da fame, mancanza di denaro e istruzione, e, soprattutto, da un padre che non c’è stato mai. È il pallone a salvarlo e a cambiare l’esistenza sua e dell’amata madre Giovanna. Anche per Zlatan Ibrahimovic la fame è stato uno spettro ben presente insieme al razzismo di cui si è sentito vittima, da ragazzino, come immigrato bosniaco, nel ghetto svedese di Malmoe dove è cresciuto e dove il fatto di essere ‘diverso’, anche fisicamente, è stato causa di tormenti. L’orgoglio lo porterà a proteggersi con quell’antipatia arrogante che è diventata il suo marchio di fabbrica ma che lo spingerà anche a fare il massimo per arrivare. “Ho dovuto dare 10 volte
l’incontro
ognuno di noi” una corazza contro tutto, co m p re s e le critiche più feroci. Corazza che non serve co mun qu e a mitigare il momento più pesante della sua carriera, quando sarà bersagliato dalla stampa francese dopo aver segnato con la mano il gol della qualificazione della Francia contro l’Irlanda del Nord di Trapattoni. Henry vive a New York, dove ha concluso la sua carriera.
più degli altri”, racconta e ancora oggi rileva che lui, l’attaccante record che ha vinto 11 volte il Pallone d’Oro svedese, non è stato mai pienamente osannato e sostenuto dalla stampa del suo Paese.
ricorda: “Io volevo fare una cosa carina ma in realtà loro hanno visto un cadavere che camminava. Il dolore che ho provato in quel periodo non lo auguro a nessuno nella vita”.
Per Eric Abidal la zona d’ombra è stata ovviamente la malattia, il tumore al fegato. Racconta di quando, per incoraggiare i compagni del Barcellona, inviò loro un messaggio video, senza rendersi conto di quanto fosse fisicamente provato e di come si notasse. È stato Messi a dirglielo: “Eric, ma perché ci hai mandato quel video? Ci ha distrutti”. E il difensore, ancora con gli occhi sgranati dall’emozione,
Thierry Henry si è battuto per tutta la sua carriera, fin da bambino, per ottenere l’approvazione e “un sorriso da parte di mio padre”, le cui aspettative lo portavano a esigere sempre di più e a non complimentarsi mai col figlio. “Sono stato educato nella logica di quello che non andava, non di sottolineare mai le cose fatte bene”. La severità onnipresente del genitore alla fine porta Henry a costruirsi
Non perdona la stampa francese, con cui non parla più da 4 anni, nemmeno Franck Ribéry, esule felice e vincente a Monaco di Baviera dal 2007 che, oltre la cicatrice sul volto su cui si sono fatte mille speculazioni e che lo ha in ogni caso segnato anche nell’intimo, si porta dentro quella di non essersi sentito amato dalla Francia dopo il fiasco del 2010 e il famoso sciopero dei giocatori in Sudafrica. Nel 2006 era il beniamino dei francesi, 4 anni dopo diventa ‘il delinquente irresponsabile’. “È stato un massacro, soprattutto per la mia famiglia”, ribadisce con dolore ancora incredulo. Famiglia è la parola chiave usata anche da Emmanuel Adebayor: l’ex giocatore di City e Arsenal, tra l’altro, rievoca quando a 14 anni lasciò il nativo Togo per tentare la fortuna col pallone. Una fortuna che è arrivata ma che ha trasformato in incubo la sua vita al punto che a 16 anni ha pensato al suicidio: la sua famiglia pretendeva tutti i soldi che guadagnava e suo fratello arrivò a minacciarlo con un coltello. Oggi ha rotto i rapporti con tutti i parenti. 45
secondo tempo
diClaudio Sottile
La “seconda vita” di Domenico Morfeo
Il lavoro non dorme mai “Dammi un sogno che sonno non dia”. Parole del maestro Paolo Conte. Chiudi gli occhi un attimo e pensi siano state scritte per lui, che per dirla alla Morgan si sveglia “col piede sinistro, quello giusto”. Domenico Morfeo, uno che per smentire il suo letargico cognome ha regalato anni di adrenalina e vagheggi ad occhi aperti, di mani spellate dalle giocate e non guance rigate dal cuscino. Sogni possibili, i suoi. E dei milioni dei tifosi sfiorati da questa vertigine danzante per il pallone. Adesso si smarca tra il “Dolcevita” ed il “Don Alfonso”, suoi ristoranti-pizzerie di Parma. “Mimmo”, come mai hai investito proprio nella Città Ducale? “Ho scelto Parma perché sono dieci anni che ci vivo. Ho iniziato nella ristorazione quando ancora giocavo a calcio, mettendomi in società con una persona di nome Gaetano. Quando ero in attività ho iniziato a vedere, capire come girava e funzionava, poi ho continuato dopo aver smesso”. Un dopo carriera non troppo traumatico. “Affatto, giocavo e già mi stavo preparando ad una nuova avventura”. Non solo cibo, però. “Esatto. Tra pochi giorni inaugurerò un B&B sempre a Parma, dove ho già anche un negozio di abbigliamento. In passato ho aperto un centro commerciale in Abruzzo, non mi fermo alla ristorazione”. C’è un consiglio per chi è in procinto di smettere ed è assalito dai dubbi? “Dipende come sei caratterialmente e se sei stato in grado di gestirti. Se negli anni hai guadagnato puoi anche dire non faccio niente. Non sono quel tipo di persona, non sono capace di star fermo. È comunque un’istanza che deve venirti, devi avere dentro, non è creabile a tavolino”. Perché ti sei completamente staccato dal mondo del calcio? “Bisogna esserci da protagonista. Farlo perché vuoi rimanere a tutti i costi in un ambiente che conosci e che ti ha cresciuto non è che mi dà molto piacere. Ho voluto fare dell’altro per mettermi alla prova, per vedere se sono in grado di fare solo quello, se sono in grado di differenziarmi”. 46
Domenico Morfeo è nato a San Benedetto dei Marsi il 16 gennaio 1976. Cresciuto nel settore giovanile dell’Atalanta (dove ha vinto un campionato Allievi nazionali, un campionato Primavera, un “Viareggio” e un “Dossena”), debutta in Serie A con la prima squadra orobica a 17 anni. Rimane a Bergamo per 4 stagioni prima di vestire le maglie Fiorentina, Milan (dove contribuisce alla vittoria dello scudetto), Cagliari, Verona, Inter, Parma, Brescia e Cremonese. Ha vestito tutte le maglie delle giovanili azzurre, dall’Under 15 all’Under 21 (con la quale ha vinto un Europeo nel 1996), ma non ha mai debuttato nella Nazionale maggiore pur essendo stato chiamato da Sacchi per uno stage. Chiusa la carriera ha aperto un centro commerciale ad Avezzano (lo “Shopping Park Ten”) e due ristoranti a Parma (il “Dolce Vita” e il “Don Alfonso”).
Neanche uno spiraglio intendi lasciare, come quelli che cercavi quando calciavi le punizioni dal limite? “Oggi come oggi non sono pensieri che ho mai fatto, il calcio l’ho messo da parte”. Ti divertivi dopo aver imboccato il tunnel? “Diciamo che inizialmente mi sono sempre divertito, nessuno me l’ha mai imposto. Poi quando iniziano a subentrare interessi, piccoli o grandi che siano, co-
minci a vederlo come un lavoro. Quel divertimento che avevi da bambino pian piano va a morire”. Rimetti di tanto in tanto gli scarpini? “Ho smesso del tutto e non mi manca”. Hai amici nel mondo del calcio? “No, perché non ci credo, le amicizie non si possono avere nel mondo del calcio quando ci sono troppi interessi. Poi è difficile rimanere legati, uno-due anni e si cambia squadra, si va, si viene”. Il pallone contemporaneo ti diverte? “Meno di prima, non ci sono più i giocatori fantasiosi che ti fanno divertire”.
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Più complicato essere dei numeri 10 in campo o nella vita? “Sono due interpretazioni, vista l’importanza che dò a questo numero, difficili. Ci vuole applicazione, molta grinta, tante caratteristiche e qualità in entrambi gli ambiti”. Tu eri il fantasista accanto al centravanti. Il numero 9 più forte col quale hai diviso gli ultimi sedici metri? “Se dobbiamo parlare di numeri, ero con Filippo Inzaghi a Bergamo quando diventò capocannoniere con 24 segnature. Ma forse è riduttivo citare solo lui, ho giocato con Gabriel Omar Batistuta, Christian Vieri, George Weah, sono giocatori tutti di una certa caratura, importanza e forza. Non so scegliere”. Ed il difensore più rognoso? “Non avevo proprio un difensore dedicato, soprattutto all’inizio ti mettevano addosso un centrocampista basso, un mediano che ti seguiva e che ti marcava a uomo. Quando hai una marcatura su tutto il campo diventa difficile per chiunque”. Hai citato Weah, col quale hai vinto lo Scudetto nel 1998/1999, era il Milan di Alberto Zaccheroni. Che ricordi hai? “Se devo essere sincero non me lo sento tutto addosso, sono andato via nel mercato di gennaio, sicuramente è stata una cavalcata importante, c’erano squadre molto più avanti di noi. Non l’ho vissuto da vero protagonista”. Il tuo errore più bello, che rifaresti? “Il fatto che tutti mi dicevano che ero una persona caratterialmente un po’ difficile da gestire. Sono fiero di quello che ho fatto a livello caratteriale, sono sempre stato schietto e sincero, doti che nel calcio sono rare”. Hai un gol che porti nel cuore? “No, non credo”. Però il 31 maggio1996, a Barcellona, hai segnato il penalty decisivo nella finale degli Europei Under 21 contro la Spagna… “Le prime vittorie. Ancora oggi vado a rivedere delle immagini, sono soddisfazioni vedere il rigore che entra, è bello andare indietro con la testa, reimmaginare tutta la situazione degli Europei”.
ovvio che tutti dicono che avrei potuto far di più”. A proposito di Azzurri. I piccoli non si impongono nella kermesse di categoria dal 2004, i grandi hanno fallito l’accesso al Mondiale di Russia. “Oggi i presidenti non sono più amanti della maglia della squadra, ce ne sono pochi, forse uno è Antonio Percassi. Lo fanno solo a livello imprenditoriale, tu non vuoi far altro che vincere, non c’è pazienza di aspettare i ragazzini ed organizzare un settore giovanile. Di conseguenza non puntando molto sui ragazzi, dove provandone mille te ne usciva magari uno, come facevano ad esempio Torino, Bologna, Juventus, la stessa Atalanta, è ovvio che diventa difficoltoso costruire una nazionale importante, se in più quei pochi che allevi non sono italiani e prediligi gli stranieri”. C’è un allenatore che per te ha fatto la differenza? “Ne ho avuti tanti. Quando sei nel settore giovanile cominci con la tecnica, con il posizionamento in campo, curi la parte caratteriale. Quello che mi ha fatto fare il salto di qualità dalle giovanili alla prima squadra è stato all’Atalanta Cesare Prandelli, a cui devo tanto”. Nella Dea, proprio nell’annata che hai citato culminata con Super Pippo “Re del
Gol”, eri compagno di Federico Pisani, mancato tragicamente in un incidente stradale il 12 febbraio 1997. 21 anni dopo ecco la scomparsa di Davide Astori, seppure in circostanze totalmente differenti. “Sono ferite che non si possono mai chiudere, sono pensieri che c’hai sempre dentro, sono pensieri che ti ritornano ancora di più quando succedono determinati accadimenti, ti fanno rivenire in mente trascorsi e delle situazioni già vissute. Mi rendo conto del brutto che vivono quelli che conoscevano Astori, quelli che ci giocavano assieme”. È stato giusto sospendere e rinviare la 27ª giornata di Serie A? “Assolutamente sì”. Tornando al calcio giocato. Chi vince Scudetto, Champions League e Mondiale? “Scudetto alla Juve. In Coppa ora diventano partite secche, non ci sono punti o distanze da recuperare, dipende come arriveranno nei momenti clou. Per il resto non essendoci l’Italia poco mi interessa”. E allora parlando di argomenti interessanti: Domenico Morfeo oggi è un uomo sereno, realizzato, soddisfatto? “Sì, sto facendo il mio percorso, mi sento una persona impegnata, che dà posti di lavoro, sono contento di quello che sto facendo. Sicuramente non mi fermo e non mi accontento”.
Al via la seconda stagione
AIC Senior League Lunedi 26 marzo a Catanzaro, allo stadio “Nicola Ceravolo”, si è tenuta la prima tappa della “AIC Senior League 2018”, il campionato degli ex calciatori professionisti. Hanno preso parte al triangolare d’apertura le rappresentative delle città di Catanzaro, Cosenza e Crotone con il coinvolgimento di circa 60 ex-calciatori professionisti. Le partite, di 30 minuti ciascuna, sono state molto equilibrate e combattute. Il triangolare infine è stato vinto dalla formazione catanzarese nell’ultima partita decisiva contro il Cosenza. Il torneo itinerante, con regular-season fino a giugno 2018 e fase finale prevista per settembre 2018, vedrà affrontarsi squadre provenienti da 8 regioni italiane. In ciascuna regione partecipante verrà organizzato un triangolare che decreterà il campione regionale che avrà accesso alle fasi successive del torneo.
Ti dispiace non essere riuscito ad importi con la Nazionale maggiore? “È il massimo obiettivo di un giocatore, è 47
Io e il calcio l’intervista
di Pino Lazzaro
Daniele Garozzo, schermitore
“I miei inizi? Tutto è cominciato proprio per caso; ricordo che ero proprio piccolo e mi piaceva giocare con le spade, pensavo d’essere D’Artagnan, lì sempre con mio fratello, lui che ha tre anni più di me. È successo poi che proprio vicino a casa, un amico di famiglia ha aperto una palestra, lì a dirci perché non ci andavamo anche noi, che potevamo provare: per me fu subito amore. Di sport negli anni ne ho fatti tanti altri e c’è stato spazio pure per il calcio, per 4-5 anni ci ho giocato proprio tanto e sono arrivato sino agli allievi, un tempo quello in cui gli impegni con la scherma cominciavano a essere più impegnativi. Io che da bambino, me lo ricordo, dicevo sempre a mio papà che da grande avrei voluto vincere alle Olimpiadi e giocare con la Juventus e lui sorrideva, mi diceva che mi sarei trovato a dover scegliere e in effetti me la sono trovata a fare questa scelta. A calcio ero bravino, piedi abbastanza buoni, centrocampista di destra, soprattutto gran corridore, veloce e resistente”.
“Con la scherma i risultati sono venuti subito, talento ne avevo ma è anche vero che sono poi tanti quelli che si perdono, sono tanti i passaggi che si devono superare per arrivare a essere davvero un campione. Comunque le gare allora le vincevo tutte, di quella mia annata ero così il più portato, ho continuato – crescendo – a vincere e il crocevia è stato a 17 anni, quando mi sono trasferito da Acireale a Frascati, lì avrei avuto più possibilità, è quasi un Centro federale quello. È stato così a Frascati che ho finito le superiori, per la prima volta da solo, scelta che rifarei anche se non avessi vinto quello che poi ho vinto. Ho potuto
così confrontarmi con la vita reale e penso a mia madre, lei è contenta di noi, lo so, ma un po’ scherzando e un po’ no, lo dice sempre che a sapere le cose – tutti e due così lontani (mio fratello è a Milano) – non ci avrebbe certo portato quella volta in palestra. Sì, fu a quell’età una cosa grossa, ero in pratica solo, la struttura attorno a me era quella che era, c’avrei messo poco, volendo, per sbagliare strada e perdermi. Quando mi confronto con i miei coetanei, penso di essere più maturo di loro, è così. Andar via da casa così presto ha significato il crescere prima, passando per cose tipo la lavatrice da fare, pagarsi le bollette, stirare, farsi il letto. Sono insomma maturato prima, so gestirmi ed è un qualcosa che ti viene bene anche in pedana. Chi immaturo ancora lo è rimasto, in quei momenti ha sempre bisogno di qualcuno che lo sostenga, che sia presente. Anch’io ho bisogno certo dei consigli dei tecnici, ma so che so badare a me stesso e mi so arrangiare, sapendolo fare”. “Quel che posso dire, adesso, è di aver dato tutto quello che potevo dare. Riconosco che di talento ne ho parecchio, ma c’è chi ne ha più di me, però ho sempre continuato a lavorare su di me. Ore e ore in palestra, giorno dopo giorno, ma pure quella che io chiamo una costante presenza mentale, trovare sempre il modo di cambiare questo o quello, ricercare un di più, come migliorare. Sempre lì con la testa insomma, anche questo mica poco faticoso. Lavoro che ho continuato a fare pure dentro di me, con l’appoggio di una psicologa sportiva, una professionista – all’inizio scettico lo ero – che mi ha dato degli strumenti in modo da plasmarmi ancor meglio sulla performance sportiva e c’è stato il risultato: in poco più di un anno sono passato nel ranking dal 40° posto al numero 1”. “Beh, scrivi pure che è sì un “lavoro”, ma mettici le virgolette. Fare scherma a questo livello non ha magari gli aspetti lavorativi di un… lavoro, sto facendo qualcosa di bello e mi considero fortunato. Di mio sono molto emotivo, le gare le sento sempre tanto, la sera prima dell’Olimpiade, altro che dormire, un’emozione enorme, tremavo tutto, è così. Ma è un qualcosa che ho imparato a gestire,
ad accettare e adesso semplicemente mi accompagna, è lì con me. Sì, sono uno “serio”, professionista a tutti gli effetti, non ho nulla da nascondere. Tutto quello che ho ottenuto è arrivato attraverso i sacrifici e l’impegno, senza altri apporti, che so, chimici o politici… Il nostro è uno sport individuale, c’è un ranking che ti dice come stanno le cose: se uno è davanti, vuol dire che vince le gare, punto. Per arrivare e restare a certi livelli, lo devi per forza essere a 360° professionista. Magari esageri a tavola, fai bagordi, ti trascuri: poi lì in pedana si vede, a lungo andare lei dice sempre la verità”. “Ora sto facendo il terzo anno di Medicina e fare sport a questo livello ti cambia la vita, ti plasma, ormai viene da solo il prendermi cura di me, non so nemmeno più da quanto tempo non vado a letto dopo mezzanotte e mezza, Capodanno compreso. Con gli studi sono molto indietro, non è facile. Tantissimi allenamenti, sino alle 19 sono sempre occupato, è dopo che riesco a studiare quelle due-tre ore, mentre gli altri compagni lì all’università ne fanno 7-8 ore di studio. Poi arriva il momento dello scarico, gli altri vanno in vacanza e io mi chiudo a studiare, proprio tanto, così lo riesco a dare qualche esame. Per noi atleti, qualcosa si sta muovendo qui in Italia, certo che altrove, per esempio in Giappone e negli Stati Uniti, sono molto più aiutati e seguiti. Penso a uno dei miei avversari più forti, Massialas, lui che tra poco si laureerà
l’intervista
in Ingegneria a Stanford, in California. Magari ora come ora noi qui guadagniamo qualcosa in più, niente di esagerato, però si vive bene, ma dopo? Come la mettiamo col lavoro? Lui invece, con tutor, assistenza per gli esami e altro ancora, è davvero seguito e arriva giusto per la laurea, chissà quando riuscirò a finire io”. “Il nostro “campionato” si svolge grosso modo da ottobre a giugno. Ci sono le prove di Coppa del Mondo (sono 8, davvero in giro per il mondo) che sono poi seguite dagli Europei, dai Mondiali e ogni quattro anni dalle Olimpiadi. Come capisci, vincere le prove di Coppa del Mondo è sì importante, ma non quanto vincere le altre di competizioni, quelle sì che segnano una carriera. Le vacanze, chiamiamole così, sono così un tre settimane in agosto e quella che grosso modo è ora la mia settimana tipo è fatta così: da lunedì al venerdì, sono in palestra la mattina per tempo e dalle 9 alle 12.30 lavoro sulla tecnica schermistica, con lezioni pure col maestro; al pomeriggio lavoro invece sul fisico e in più o con i video, o la psicologa e ultimamente pure curando la respirazione e le capacità respiratorie, anche perché sono reduce da poco da un pneumotorace. Il sabato mattina faccio ancora lavori di atletica, e mi tengo libero il pomeriggio e la domenica. Se riusciamo a fare un po’ i turisti? No, praticamente mai; ecco, nelle trasferte più lontane, in Asia, riusciamo ad avere un pomeriggio libero e qualcosa la si va a vedere, altrimenti il nostro turismo è fatto unicamente di aeroporti, alberghi e palazzetti”. “Ho 25 anni, sono giovane, certo che a un’altra olimpiade ci penso, eccome. Già mi sogno quella di Tokio e lo stimolo è quello di riuscire a riconfermarmi, sono pochissimi quelli che ce l’hanno fatta. Qui da noi al femminile sono riuscite ad arrivare a grandi eccellenze, non ancora tra i maschi. L’altro sogno è quello di laurearmi, facendo poi la specializzazione negli Stati Uniti. Non so quanto ci vorrà e non sarà nemmeno semplice visto che le connessioni tra laurea italiana e quella lì da loro non sono proprio lisce, vedremo”. “No, la medaglia d’oro non mi ha certo cambiato la vita. C’è la soddisfazione e l’orgoglio sul piano personale d’essere un grande campione per questo mio sport. Sul piano economico invece, certo che no, ma mi considero comunque fortunato e privilegiato. Qui da noi, si sa, è il calcio che domina, è proprio la cultura generale a essere calciofila e non sarebbe male invece riuscire a dare una mano pure agli altri sport,
La scheda
Ventisei anni il prossimo agosto, siciliano di Acireale, Daniele Garozzo ha vinto alle Olimpiadi di Rio del 2016 la medaglia d’oro nell’individuale del fioretto (il fratello Enrico, sempre a Rio, ha vinto invece l’argento nella prova a squadre di spada). Fa parte del Gs Fiamme Gialle e nel proprio albo d’oro, Daniele può “lucidare” l’oro europeo a Tbilisi 2017, l’argento sempre europeo a Montreux 2015 e l’oro a squadre sia ai Mondiali di Mosca 2015 che a quelli di Lipsia 2017 (qui pure col bronzo nell’individuale). Complimenti. servirebbe pure sul piano della cultura generale. Questo calcio sempre e comunque ha portato a degli estremi che non mi piacciono, in più con atleti che non sempre possono essere d’esempio, con tanta e tanta disattenzione verso altre discipline e altri campioni che potrebbero per davvero essere dei grandissimi esempi, dei veri e propri assi della vita, non solo dello sport”. “Un bambino secondo me dovrebbe provare con la scherma perché è uno sport che rivela tanto di te. Prima di tutto è qualcosa di individuale e l’andare a “sfidare in duello” l’avversario, serve soprattutto a conoscersi, a guardarsi come siamo; poi è uno sport completo, che allena mente e fisico e anche questa è una cosa importante. Torno alla questione della “cultura”, a quanto poco si faccia anche per la scherma a far sì che si conosca, che ci siano più praticanti. Penso alla prova che abbiamo fatto in Egitto, letteralmente all’ombra delle Piramidi; tantissima gente e la prova di cosa significhi preparare per bene un evento, non come capita tante altre volte in cui ti rendi conto che tutto è stato praticamente improvvisato, trovandoti magari in pedana in luoghi anche degradati, è così.. e sono prove di Coppa del Mondo! Penso a quanti sono stati i bambini che mi hanno scritto dopo l’oro
olimpico: pochissimi; proprio perché non c’è stato coinvolgimento, tanto più adesso che basta un telefonino e un link con youtube per mostrare per bene un evento”. “A calcio adesso ci gioco poco, m’è capitato di farmi spesso male, il maestro me l’ha vietato, diciamo che qualche scappatella la faccio, ma proprio poche. Eppure è un gioco che mi piace proprio tanto, lo farei davvero volentieri. Allo stadio ci vado poco, ne ho fin troppi di impegni; sono tifoso della Juve, Torino è lontana, però allo Stadium ci sono andato, due volte. Mi hanno ospitato e sono stati di una grande gentilezza. Grande struttura quella, già essa stessa ti sa accogliere, proprio bello”.
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internet
di Mario Dall’Angelo
I link utili
Calciatori uniti per Common Goal Il desiderio di impegnarsi a favore di chi è meno fortunato sta aumentando sempre di più nel mondo del calcio. L’iniziativa Common Goal (www.common-goal.org), da una costola di Streetfootballworld - rete globale di organizzazioni no profit legate al calcio - sta raccogliendo molti consensi tra i calciatori e le calciatrici. Common Goal è, come dichiarato sul sito, un movimento guidato da giocatori - player-driven movement - ma aperto anche ad allenatori e tifosi, che si assumono la missione di sostenere iniziative di solidarietà collegate al calcio. La raccolta dei fondi per finanziare tali attività avviene tramite la cessione dell’1%, come minimo, delle proprie entrate. Streetfootballworld ha lanciato il progetto per sostenere la sua rete globale composta da oltre 120 enti di beneficenza e solidarietà, che si servono del calcio per affrontare problematiche sociali che spaziano dalla parità di genere in India al processo di pace interno della Colombia all'integrazione dei rifugiati in Germania. Quest’anno, per la terza volta, Common Goal è stato rappresentato al vertice internazionale di Davos, con l’intento di posizionare il calcio quale attore chiave per
conseguire gli United Nations Sustainable Development Goals, i 17 obiettivi individuati dalle Nazioni Unite per trasformare il mondo: lotta alla povertà, alla fame, alle ineguaglianze e ai cambiamenti climatici; sostegno a salute, pace, istruzione, parità di genere, risorse idriche, energia, crescita economica, infrastrutture, città, sostenibilità di produzione e consumi, protezione degli oceani e della biodiversità, cooperazione. Obiettivi molti alti e complessi da perseguire e proprio per questo Common Goal vuole fare la propria parte, grazie alla responsabilità di chi vuole sentirsi partecipe di una grande iniziativa. 50
Sul sito viene sottolineato che Streetfootballworld fornisce assistenza agli enti associati per un’attenta verifica delle iniziative charities, per individuare i beneficiari più opportuni delle donazioni. L’ingresso nel
pista spagnolo del Manchester United - Mats Hummels - difensore tedesco del Bayern Monaco - e tanti altri calciatori e calciatrici di numerose nazionalità, di cui vediamo i volti sulla home page. La motivazione che ha spinto il difensore della Juventus e della Nazionale è stata chiarita da lui stesso in un'intervista rilasciata alla testata inglese Mail Online: “Non so se posso cambiare il mondo ma voglio far sorridere i volti dei bambini. Non trovo le parole per dire come questo mi fa sentire. Il nostro ruolo di idoli è molto importante. I ragazzi seguono tutto ciò che diciamo e facciamo”. Una chiara visione del concetto di responsabilità sociale. Invitiamo a leggere l'intervista integrale, accessibile anche dai profili Twitter e Facebook di Common Goal. Per la traduzione in italiano ci si può affidare al servizio di traduzione di Google (translate.google.com). Ma i riconoscimenti dell'iniziativa sono numerosi. Il presidente della Uefa, Aleksander Čeferin, ha dato il suo appoggio al progetto. Prendendo lo spunto da un'affermazione di Mata sul fatto che i calciatori professionisti di alto livello sono in una speciale posizione economica e sociale, il massimo responsabile della federazione europea ha sottolineato che anche chi si occupa di politica calcistica lo è altrettanto e dovrebbe quindi aderire a Common Goal. Che ha anche ottenuto da Fast Company l'inserimento nell'elenco 2018 delle realtà più innovative nel settore no profit.
network associativo è a titolo gratuito e anche soggetti non membri possono ricevere fondi da Common Goal. L’iniziativa si appoggia, tra gli altri, alla King Baudouin Foundation, ente belga di intervento sociale fondato nel 1976 in occasione del venticinquesimo anniversario di regno di re Baldovino. Il sito di Common Goal si apre con una suggestiva slide a scorrimento dei ritratti a figurina dei giocatori e delle giocatrici che hanno aderito. Il messaggio che segue sotto non è meno suggestivo, dal momento che inizia con la parola “Imagine”: “Immagina di unire il mondo del calcio con una visione sociale condivisa. Immagina l'impatto che possiamo avere e quante vite possiamo cambiare. Attraverso Common Goal, Gabriel Vasconcelos @GVFOfficial sono gli obiettivi Il successo arriva quando l’opportunità che stiamo cercanincontra la preparazione do di raggiungere. E vogliamo che tu ti unisca a noi”. «Sono molto felice Davide Moscardelli @Moscagol Non è questo il calcio che sognavo da bambino… di annunciarvi che Aiutaci a salvarlo! ho deciso di aderire al progetto sociale #CommonGoal». Con questa comunicazione social del settembre scorso, ghoulam faouzi @GhoulamFaouzi Sono tranquillo perché ho al mio fianco dei comGiorgio Chiellini anpagni straordinari che mi sostengono e una città intera nunciò la sua adeche mi dà la forza e la carica per tornare il prima possione all'iniziativa, sibile, grazie a tutti e sempre forza Napoli. donne. #dicoNO raggiungendo così Juan Mata, - centrocam-
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Guglielmo Stendardo @willystendardo Non rovinare il tuo presente per un passato Che non ha futuro
internet
di Stefano Fontana
Calciatori in rete
Marchisio e Höwedes, siti bianconeri
www.claudiomarchisio.it Centrocampista della Juventus e nel giro della Nazionale italiana, Claudio Marchisio è nato a Torino il 19 gennaio 1986. La sua carriera è legata a doppio filo con la Vecchia Signora: Claudio è una vera e propria bandiera del club torine-
banner poco sotto l’intestazione del sito e la fascia contenente i menù ricorda il concreto impegno di Claudio a fianco dell’AIRC, l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro: è possibile scaricare una serie di simpatici emoji ispirate alla sua immagine per smartphone basati sui sistemi operativi iOs e Android. Scorrendo verso il basso troviamo una serie di statistiche che delineano il profilo di un vero fuoriclasse: 407 presenze totali, 378 presenze con la Juventus, 352 presenze in Serie A e 54 presenze in Nazionale;
se, un talentuoso professionista amato e rispettato tanto dentro al capo di gioco quanto fuori. L’amore tra Claudio e la Juventus è un vero e proprio legame di sangue, trasmessogli da papà Stefano, da sempre grande tifoso bianconero. Poche settimane prima della nascita di Claudio Marchisio, la Juve ha conquistato la Coppa Intercontinentale a Tokyo, in una delle più belle finali calcistiche di sempre. Il sito ufficiale di Claudio, caratterizzato da una veste grafica fresca ed elegante, è una preziosa miniera di informazioni ed è soggetto a frequenti aggiornamenti. Un
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zionale tedesca è davvero rilevante ed include la vittoria del Mondiale in Brasile nel 2014, il terzo posto agi Europei in Francia nel 2016 ed in Polonia-Ungheria nel 2012. Citiamo infine la conquista degli Europei Under 21 in Svezia nel 2009. Il sito ufficiale di Höwedes accoglie il visitatore con una splendida foto del giocatore colto nell’atto di alzare al cielo la Coppa del Mondo. Lungo la fascia destra troviamo un social wall aggiornato in tempo reale: gli aggiornamenti provengono dalle pagine Facebook e Twitter del giocatore. Al momento della nostra visita gli ultimi post riguardavano gli allenamenti con i compagni della Juventus, momenti di svago insieme agli amici ed alcuni post più profondi, legati a riflessioni personali. I testi che corredano le immagini sono proposti sia in lingua tedesca che in italiano.
i gol effettuati in carriera sono 37, mentre le reti realizzate in azzurro sono 5. Resta molto altro da scoLeonardo Pavoletti @Pavoletti prire in questo ottimo Una tragedia che ha segnato la storia del sito personale, come nostro mondo. Uomini, donne, bambini uccisi l’evocativa galleria dalla malvagità umana. Oggi il ricordo è per loro, perché sappiamo essere migliori di quello che fotografica e la forsiamo stati. #27gennaio #Giornatate sinergia con i social DellaMemoria network.
www.benedikt-hoewedes.com Classe 1988, il difensore della Juventus (in prestito dallo Schalke 04) e della nazionale tedesca Benedikt Gianluigi Donnarumma @gigiodonna1 Dalla visita ad Auschwitz con la Nazionale al Binario Höwedes è noto per la ver21. Due luoghi della Memoria, per non dimensatilità in campo, le eccellenti ticare…gradino.”(cit.) dote atletiche ed il chirurgico tempismo negli interventi. Il palmarès internazionale di Benedikt legato alla Na-
Alessandro Florenzi @Florenzi Il rispetto delle regole e degli avversari sia in campo sia nella vita sono la vera vittoria!gradino.”(cit.)
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di Nicola Bosio
frasi, mezze frasi, motti, credi proclamati come parabole, spesso vere e proprie “poesie”
Alle volte il calcio parlato diverte di più del È vero che un attaccante può farsi notare coi gol, mentre il difensore è più legato ai risultati della squadra – Angelo Ogbonna (West Ham) In Danimarca dovevo pensare essenzialmente a segnare. In Italia non puoi essere così limitato: sei più coinvolto nel gioco, anche se fai il centravanti. Non lavori solo per te, ma per tutta la squadra – Andreas Cornelius (Atalanta) Non sono il centravanti che vive solo per il gol. Non sto lì ad aspettare che arsivi la palla giusta.
Massimo Oddo Allenatore dell’Udinese “Questione di adrenalina…” Fare il calciatore ti regala delle emozioni enormi: entrare in un campo davanti a ottantamila spettatori che ti guardano e giudicano la tua prestazione non fa altro che darti un’adrenalina pazzesca. L’allenatore è un ruolo che ti inietta ancora più adrenalina. Perché hai un ruolo diverso, più responsabilità. Quando giochi a calcio se perdi la partita stai male, ci rifletti un attimo, ma poi passa la notte e l’indomani torni al campo e ti vai ad allenare. Da allenatore invece vivi la partita, vivi l’andamento della tua squadra con un peso addosso che è cento volte superiore a quello del calciatore. Perché sei il responsabile di tutto, del risultato, della squadra intera. Quindi un’adrenalina ancora maggiore… 52
Lavoro con e per la squadra. Un assist, se vinciamo, ha lo stesso valore di un gol. Preferisco i tre punti – Dries Mertens (Napoli) Non me ne frega niente del gol perduto: prima segnavo di più e la mia squadra non vinceva, ora sta accadendo il contrario e sono il giocatore più felice del mondo – Marek Hamsik (Napoli) Segnare nella seconda parte di stagione è fondamentale. Ma io sono contento anche di dare il mio contributo alla squadra con assist e prestazioni importanti – Andrea Petagna (Atalanta) I tifosi ti regalano tantissimo, ma tu devi dare qualcosa – Cesare Prandelli (allenatore) Il giocatore vuole capire perché deve fare qualcosa, non è come una volta: prima gli dicevi “buttati nel fuoco” e lo faceva. Adesso devi saper spiegare quello che proponi – Eusebio Di Francesco (Roma) I sacrifici vanno fatti, e una volta arrivati all'obiettivo bisogna continuare – Lorenzo Insigne (Napoli) Se sei un calciatore devi esserlo 24 ore su 24 – Wojciech Szczęsny (Juventus) Io faccio il giocatore e devo pensare solo a lavorare al massimo per essere utile alla squadra – Fabio Pisacane (Cagliari) I campioni di oggi sono ritenuti coloro che trasmettono qualcosa che va oltre il calcio. La capigliatura, i tatuaggi, far parlare di sé fuori dal campo. I campioni di una volta erano quelli che in campo dimostravano veramente di essere forti. Un concetto un po’ diverso. Gli idoli oggi sono coloro che fanno parlare di sé, ma più fuori dal campo che in campo – Massimo Oddo (Udinese) Il calcio è fatto di tecnica, fisicità e psicologia. In percentuale direi 30, 30 e 40 – Eusebio Di Francesco (Roma) Non è semplice staccarsi dall'ambiente che, qui, ti circonda. Ogni giorno a Roma facciamo parlare tutti, dall'artista al cabarettista, basta saperlo e prenderlo nel modo giusto: se mi mettessi a rispondere perderei energie inutili – Eusebio Di Francesco (Roma) Dopo l’esordio in Champions a 16 anni dissero che ero un predestinato, sì. E mi
chiedevo: sì, ma destinato a cosa? Mai data troppa importanza a certe parole: supertitolare al Milan e brocco a Palermo, la chiave è ascoltare solo chi scegli tu e che parli da "dentro", non da fuori
Giovanni Simeone Attaccante della Fiorentina “Energia positiva” Credo nel potere dell’energia positiva. Per questo provo a stare vicino a chi la emana. In questi anni mi è capitato di avere compagni o allenatori che ne sprigionavano di negativa e così cercavo di tenerli a distanza. – Bryan Cristante (Atalanta) Il turnover è un rischio calcolato, un modo per far sentire tutti parte del progetto – Eusebio Di Francesco (Roma) Il Var? In realtà non so se per un difensore sia un bene averla: è molto più dura perché alcuni nostri giochetti non li possiamo più fare – Angelo Ogbonna (West Ham) In Italia si difende di reparto, in Inghilterra in modo molto più individuale. E le qualità tecniche e fisiche qui sono superiori. Certo, il rischio dell'errore del singolo è maggiore. Ma lo è anche la possibilità di crescere: qui ci sono tanti
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calcio giocato dei migliori attaccanti al mondo – Angelo Ogbonna (West Ham) La Premier è un calcio diverso e io non ero a posto fisicamente, nei 6 mesi a Cardiff. In Serie A la qualità tecnica e l'organizzazione di gioco sono superiori, ma i ritmi in Inghilterra sono infernali: se non sei al 100%, soffri di più – Andreas Cornelius (Atalanta) Si è dato per scontato che dovevamo andare ai Mondiali perché ci
Bryan Cristante Centrocampista dell’Atalanta “Serenità” Se giochi a calcio, una donna deve darti serenità, ma pure stabilità. Non sono un'eccezione, ma è normale: iniziamo a vivere da soli da ragazzini, maturiamo più in fretta e sentiamo il bisogno di confrontarci con chi ha un po' di esperienza in più. Anche nella vita a due. chiamiamo Italia. Se vogliamo ripartire e non sprecare l’occasione dobbiamo renderci conto che non siamo più il calcio di riferimento – Angelo Ogbonna (West Ham) La Nazionale è una questione di priorità, come le strategie dei club. Se dai la priorità alla Nazionale devi preservare i nostri vivai ed organizzarti di conseguenza. Se interessa di più il resto si può comprare ovunque, ormai le frontiere sono più che aperte. Magari alla fine avremo una Nazionale povera e una Serie A bellissima – Gian Piero Gasperini (Atalanta) Non farò mai l’allenatore, troppo stress. Mi piacerebbe insegnare calcio ai bambini – Dries Mertens (Napoli) Facciamo un bellissi-
mo mestiere e ci danno tantissimi soldi, come ci si può permettere di sentire la pressione? – Wojciech Szczęsny (Juventus) I cori contro i napoletani? Le soluzioni non dobbiamo trovarle noi calciatori, ci sono te istituzioni per queste cose. Lega e Federazione dovrebbero prendere provvedimenti, perché è discriminazione così come il razzismo – Lorenzo Insigne (Napoli) Ci sono dei valori: una squadra esperta deve capire che, in un certo modo, può vincere con chiunque. Ma quando il livello si alza, deve stare molto attenta – Gianluigi Buffon (Juventus) Quando giochi ogni tre giorni non hai il tempo per preparare al meglio una sfida – Massimo Oddo (Udinese) Non è detto che se giochi bene vinci: credo che se giochi bene, e giocar bene vuol dire anche giocare 90 minuti nella tua area ma difendendoti con ordine, dipende un po’ dal concetto, hai più probabilità di vincere – Massimo Oddo (Udinese) Vincere è una parola della quale non si deve abusare, un percorso molto lungo. Si vince con gli atteggiamenti fuori dal campo, si vince in allenamento, anche con la bravura, ma non puoi basare le ambizioni di una squadra su una sola partita – Daniele De Rossi (Roma) Per vincere un mondiale non basta essere bravi in campo, ma serve avere un gruppo che sappia stare bene fuori dal campo, che si alleni bene, che sappia scherzare, che interpreti i momenti delicati, che sappia uscirne – Massimo Oddo (Udinese) Se una cosa te la prendi facendo fatica, quello sforzo diventa forza – Bryan Cristante (Atalanta) Il campionato lo trovo, per certi versi, inaspettato: la maggiore competitività mi stimola – Eusebio Di Francesco (Roma) Il tempo per lavorare c’è: noi giovani non possiamo cambiare tutto, ma un nuovo c.t. che abbia voglia di inserire un bel blocco di giovani sulla base di giocatori già affermati, sì che può farlo – Bryan Cristante (Atalanta) Ho fiducia nei giovani, faranno cose migliori di quelle realizzate dalla mia generazione. Del resto, lo dico sempre riguardo al calcio: se in un Paese con
Gianluigi Buffon Portiere della Juventus “Bandiera” Il calcio è migliorato, c’è molta più professionalità e più conoscenza di ogni aspetto, da quello tattico a quello alimentare. Siamo arrivati a livelli di eccellenza inimmaginabili. Questo calcio permette di dare una valutazione precisa dell’uomo. Si dice spesso: non ci sono più le bandiere. Ma è solo una questione di scelte. Se uno vuole, rinuncia a determinate cose e diventa bandiera. una base del 90 per cento di bambini che giocano a pallone non riusciamo a produrre una buona Nazionale il problema forse non è dei bambini, è di noi adulti – Gian Piero Gasperini (Atalanta) Matto? Credo che un po’ lo siamo tutti, ognuno a modo suo. C’è chi lo è in campo, chi solo con gli amici, chi lo fa per esibizionismo: però tutti. Io? Un bel matto, ma solo se non do nell’occhio: mai cose eclatanti, mi tengo i miei momenti di follia per le cose di tutti i giorni. Sono matto nelle banalità: ecco – Bryan Cristante (Atalanta) Sono molto normale e faccio cose normali. Si parla spesso di chi magari ha vite un po’ meno regolari e sembra il modello per tutti, in realtà la maggioranza degli italiani fa quello che faccio io: amo la famiglia, gli amici, chiacchierare a tavola, amo la cucina e le cose belle del mio Paese anche se poi lo critico. Come tutti – Gian Piero Gasperini (Atalanta) 53
tempo libero
musica
libreria Thedotcompany Editore
Dove va il calcio italiano?
di Becheri, Del Bò, Pagnini – 110 pagine - € 12,90
Il sottotitolo “Filosofando prima e dopo l’Apocalisse” spiega già tutto: la mancata qualificazione della nostra Nazionale ai prossimi Mondiali in Russia diventa oggetto di studio da parte di due filosofi (Alessandro Pagnini, docente a Firenze di Storia della Filosofia e Corrado Del Bò, docente di Filosofia del Diritto alla Statale di Milano) ed un economista (Emilio Becheri, grande esperto di economia del turismo) che tentano di dare una risposta alla crisi strisciante del nostro calcio. Che, a guardarlo in modo diverso, con uno sguardo filosofico, può diventare una cosa diversa, sia nella fruizione estetica di chi lo gode, sia nelle conoscenze di chi lo pratica, lo commenta e lo insegna. E sarebbe un risultato fondamentale se le scuole di calcio educassero all’importanza della cultura, prim’ancora che al mestiere. Con la speranza che anche chi pensa in generale a riformare l’istruzione nel nostro paese ne colga la morale. Per rilanciare il calcio italiano, ammonisce Pagnini, occorre liberarsi di dogmi e pregiudizi pensando a passati allori: “La vera sfida della creatività” – afferma – “non è tanto quella dell’avere idee nuove, quanto quella di saper cambiare le idee vecchie, come minimo di saperne vedere i limiti, magari con una buona dose di ironia”. Neri Pozza
Il goal più bello è stato un passaggio di Jean-Claude Michéa – 137 pagine - € 12,50
In “Il mio amico Eric”, il celebre film di Ken Loach, a Eric Bishop, il working class hero dell’opera, che gli chiede quale fosse il goal più bello della sua carriera, Eric Cantona risponde: «Il mio goal più bello? È stato un passaggio!». La battuta geniale di Cantona figura non a caso come titolo di questo libro di Jean-Claude Michéa, che raccoglie tre suoi scritti sul gioco del calcio. Il libro, infatti, non è altro che un omaggio che il filosofo francese ha voluto rivolgere al calcio come passing game, come gioco d’attacco che, dalla fine del XIX secolo, caratterizza l’essenza stessa di questo sport operaio e popolare. Michéa si sofferma su molteplici aspetti culturali, economici e sociali del calcio moderno. Tratta della storica avversione e, all’opposto, della recente ammirazione degli intellettuali per questo sport, mostra quale fonte di profitti straordinari esso sia diventato. Non nega nemmeno che l’industria del calcio contemporaneo funzioni essenzialmente come un «oppio del popolo», e che una gradinata o una curva di ultras dia sicuramente un’immagine molto deprimente del potere dell’alienazione. Tuttavia, per lui, il calcio moderno costituisce anche e ancora - secondo la celebre espressione di Antonio Gramsci - un «regno della lealtà umana esercitata all’aria aperta», un regno che continua a suscitare entusiasmo tra le classi popolari. Egea
Segreti e bugie del calciomercato di Alex Duff e Tariq Panja – 166 pagine - € 19,90
Un business di 4 miliardi di euro all’anno quello dei trasferimenti dei calciatori. Un business che non ha paragoni e che in gran parte non ha nulla a che fare con il calcio vero e proprio. Ad alimentare il boom sono stati sì il costante aumento dei profitti legati ai diritti televisivi e l’ingresso nel panorama calcistico di grandi miliardari, ma anche la presenza di società “fantasma” e di fondi che si sono sostituiti alle banche, comprano squadre sconosciute da cui far transitare i giocatori e quote dei cartellini di top player come Cristiano Ronaldo e Neymar. Intascando milioni di euro di profitti. Così, mentre i tifosi seguono con trepidazione i passaggi dei giocatori da una squadra all’altra, dietro le quinte si muovono personaggi che tirano le fila della cosiddetta third party ownership. Questo libro-inchiesta ne svela i torbidi retroscena. 54
Le Vibrazioni
V
V per vendetta? No, V per Vibrazioni. Il grande ritorno (o reunion che dir si voglia) del quartetto milanese (ricomposta la formazione “originale” con Francesco Sarcina, Alessandro Deidda, Stefano Verderi e Marco Castellani), si è concretizzato non solo nella partecipazione al Festival di Sanremo (con giudizi più che positivi sulla loro “Così sbagliato”) ma anche con il nuovo album, intitolato appunto “V”. Che, in numeri romani, è il “quinto” lavoro in studio della band, assente dalle scene da ben sei anni (e da nove discograficamente parlando) e “riunitasi” nel giugno scorso dopo le alterne vicissitudini “soliste” dei vari componenti. A farla da padrone, anche stavolta, è il rock melodico, un marchio di fabbrica apprezzato che ci restituisce un Sarcina in grande spolvero, forse un po’ più maturo, forse più saggio, ma sempre diretto e con un lessico semplice e legato alla vita di tutti i giorni. Forse è anche questa la forza delle Vibrazioni, quella di arrivare alla gente con musica e testi che solo raramente si “complicano” anche se, a dire il vero, il sound è studiato e ricercato in maniera quasi maniacale. V è un album che piace già al primo ascolto, pieno di energia e della solita carica che la band riesce a trasmettere, pieno di rock e di quelle chitarre che ancora una volta non si ha paura di far sentire…
Benvenuto in Italia! Welcome to Italy! ¡Bienvenido a Italia!
Ti scriviamo queste poche righe di presentazione di quella che è la TUA associazione. Dal 1968 in Italia è presente un’Associazione di categoria che rappresenta tutti i calciatori. L’Associazione Italiana Calciatori dal 1968 associa, infatti, i calciatori professionisti e dal 2000 anche i calciatori dilettanti, le calciatrici e i calciatori del calcio a 5, Con più di 16.000 associati, è l’unica Associazione di categoria presente in Italia. AIC fa parte di FIFpro, il sindacato mondiale dei calciatori, del quale fanno parte le Associazioni di categoria della maggior parte dei Paesi nel mondo. In ogni squadra è presente il Rappresentante AIC, spesso il tuo capitano o uno dei veterani, che è il punto di riferimento per tutti gli associati della squadra e il tramite preposto per le comunicazioni con la struttura dell’Associazione. L’attuale Consiglio Direttivo è presieduto da Damiano Tommasi, Presidente AIC dal 2011. Di seguito potrai conoscere i componenti del Consiglio Direttivo che rappresentano tutte le
categorie di associati: Serie A, Serie B, Lega Pro, Dilettanti, Calcio a 5 e Calcio Femminile. Tra i servizi offerti dall’AIC sicuramente potranno essere di tuo interesse: • Assistenza legale tramite l’Ufficio Legale dell’Associazione e i suoi Avvocati Fiduciari su tutto il territorio nazionale; • Consulenza previdenziale e gestione dell’accantonamento al Fondo di Fine Carriera*; • Abbonamento gratuito all’App di Wyscout con fruibilità personalizzata del servizio di Video Analysis conosciuta a livello internazionale; • Servizi e scontistica applicata dai partner (www.assocalciatori.it) in ambito medico e assicurativo, dal Credito sportivo; • Percorsi di formazione post-carriera e per calciatori in attività; • Collegamento con l’Associazione calciatori del tuo Paese d’origine (o di tua ultima provenienza) per chiarimenti e/o problematiche di qualsiasi natura. L’iscrizione annuale all’AIC ti darà la possibilità di usufruire di tutto ciò e di altre attività
che potrai approfondire nel sito istituzionale www.assocalciatori.it o chiedendo informazioni al numero +39 0444 233233. Come avrai modo di vedere sarà semplice stabilire un contatto diretto con AIC e con i collaborator che sono in contatto continuo con i rappresentanti di squadra per aggiornamenti e/o problematiche che possono sorgere durante la stagione. La massima disponibilità di AIC è garantita dal fatto che è l’Associazione dei Calciatori, nata dalla volontà dei calciatori della nazionale nel lontano 1968 e da allora al servizio di questa professione tanto bella quanto piena di insidie personali e professionali. Buona permanenza nel nostro Paese, in bocca al lupo per il tuo lavoro e grazie per l’ascolto. Ti aspettiamo tra i nostri associati!
We are sending you a few lines to introduce YOUR association. Italy has had an Association representing all its football players since 1968. From that year,a the Associazione Italiana Calciatori – Italian Footballers’ Association – has united all professional players and in 2000 it extended its scope to include also amateurs, women and five-a-side players. With more than 16,000 members, it is the only footballers’ association in Italy. AIC forms part of FIFpro, the worldwide players’ union, of which the players’ associations of most countries of the world are members. Every team has an AIC Representative, often your team captain or one of the older players, who is the contact person for all team members and represents the team with the Association management. The present Management Council is chaired by Damiano Tommasi, AIC President since 2011. Later, you can get to know the members of the Management Council who represent
all categories of members: Serie A, Serie B, Lega Pro, Amateurs, Five-a-side football and women’s football. Some of the services of interest offered by AIC: • Legal assistance throughout Italy by way of the Association’s legal office and its lawyers; • Pension advice and management of contributions to the end of service fund*; • Free subscription to the Wyscout App with personalised use of the internationallyfamous Video Analysis service; • Services and discounts applied by partners (www.assocalciatori.it) for medical care and insurance, by the bank Istituto di Credito Sportivo; • Post-career and business training courses; • Contact with the footballers’ Association of your own country (or the country where you played last) for clarification and/or assistance with problems of any kind. Annual membership of the AIC will give you access to all of the above and many other activities which you
can see in more detail on the website www.assocalciatori.it or you can request information calling +39 0444 233233. As you will see, it is easy to make direct contact with AIC and its agents who are in continuous contact with team representatives for news and/or problems which can arise during the season. The AIC can assure you of its availability because it is the Footballers’ Association created by the Italian national team as long ago as 1968 and from then on has been at the service of this wonderful profession which, however, is also full of personal and professional pitfalls. Enjoy your stay in Italy, good luck with your work here and thanks for your attention. We hope to see you among our members!
Te escribimos estas pocas líneas de presentación de lo que es TU asociación. Desde 1968, en Italia existe una Asociación de categoría que representa a todos los futbolistas. Associazione Italiana Calciatori – Asociación italiana Futbolistas – asocia desde 1968 a los futbolistas profesionales y desde 2000 también a los aficionados, a las futbolistas y a los jugadores de fútbol sala. Con más de 16.000 asociados, es la única Asociación de categoría existente en Italia. AIC forma parte de FIFpro, el sindicato mundial de los futbolistas, integrado por Asociaciones de categoría de la mayoría de los países. En cada equipo hay un Representante AIC, que a menudo es el capitán, o uno de los veteranos, y hace de referente para todos los asociados del equipo y de intermediario encargado de las comunicaciones con la estructura de la Asociación. El actual Consejo Directivo es presidido por Damiano Tommasi, Presidente de AIC desde 2011. A continuación mencionamos a los componentes del Consejo Directivo que representan a todas
las categorías de asociados: Serie A, Serie B, Liga Pro, Aficionados, Fútbol sala y Fútbol femenino. Entre los servicios ofrecidos por AIC, indudablemente pueden ser de tu interés: • Asistencia legal a través de la Oficina Legal de la Asociación y sus Abogados Fiduciarios en todo el territorio nacional; • Asesoramiento sobre previsión y gestión de asignaciones al Fondo de Fin de Carrera*; • Abono gratuito a la App de Wyscout con uso personalizado del servicio de Video Analysis conocido a nivel internacional; • Servicios y descuentos aplicados por nuestros socios comerciales (www.assocalciatori.it) en ámbito médico y de seguros, por el Crédito deportivo; • Cursos de formación post-carrera y para futbolistas en actividad; • Conexión con la Asociación de futbolistas de tu país de origen (o de tu última proveniencia) para aclaraciones o por problemas de cualquier naturaleza. La inscripción anual en AIC te dará la posibilidad de aprovechar todo esto y otras actividades
sobre las cuales puedes informarte en el sitio institucional www.assocalciatori.it o pidiendo información al número +39 0444 233233. Como ves, es muy sencillo entablar un contacto directo con AIC y con los colaboradores, que a su vez están continuamente en contacto con los representantes de equipo para las actualizaciones o por cualquier problema que pueda surgir durante la temporada. La máxima disponibilidad de AIC está garantizada por el hecho de ser la Asociación de Futbolistas fundada por iniciativa de los jugadores del equipo nacional en el lejano 1968, desde entonces al servicio de esta profesión tan bella como llena de insidias personales y profesionales. Feliz permanencia en nuestro país, muchos éxitos con tu trabajo y gracias por escuchar. ¡Te esperamos entre nuestros asociados!
www.assocalciatori.it
*Ogni anno vengono accantonati dallo stipendio delle somme che potrai ritirare una volta concluso il contratto con la società sportiva in Italia. Ricorda che le cifre accantonate andranno richieste al Fondo.
*Each year amounts are put aside from your salary which you can withdraw once your contract with the Italian club ends. Remember that the amounts set aside must be requested from the fund.
*Cada año, parte del sueldo se destina a una asignación que podrás retirar una vez concluido el contrato con la sociedad deportiva en Italia. Recuerda que los montos de las asignaciones deberán ser solicitados al Fondo.
Simone Verdi attaccante, e capitano del Bologna
Il mio (altro) modo di vivere il calcio a pagina 12