Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – 70% NE/VI - Anno 44 - N. 07 Ottobre 2016 - Mensile
2016
07
Ottobre
Organo mensile dell’Associazione Italiana Calciatori
All'interno speciale mostra di Genova
L'intervista: Marco Parolo
"Con il calcio si impara a vivere"
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di Damiano Tommasi
editoriale
Vietato ai minori È stato un azzardo! Con naturalezza e in perfetta coerenza è stato presentato il nuovo sponsor, dai “valori autenticamente condivisi” con la Figc, dimenticando una parola, “azzardo” appunto. Reazioni forti ma non univoche, di principio e di opportunità. Si è arrivati a dire che la scommessa non è gioco d’azzardo ma su questo non ci può essere confusione. “Il gioco è vietato ai minori” o “il gioco può creare dipendenza” sono diciture agli antipodi del gioco del calcio. giòco d'azzardo: Attività ludica in cui ricorre il fine di lucro e nella quale la vincita o la perdita è in prevalenza aleatoria, avendovi l'abilità un'importanza trascurabile. (cit.Treccani)
resta, per ora, che impedire l’utilizzo dei calciatori con la maglia azzurra a questo scempio valoriale. Vietato ai minori è anche il terzo rapporto Calciatori sotto tiro presentato e relativo alla scorsa stagione. Episodi anche nei campionati giovanili sono preoccupanti ma non dobbiamo stancarci a sottolineare come non sia normale tutto questo. Non è normale ed è straordinaria, infine, l’Università del Calcio, Scienze Motorie con indirizzo calcio promossa da AIC con l’Università S. Raffaele di Roma. Vietata ai minori anche questa iniziativa, certo, ma la Cantera dei Dirigenti è una delle nostre tante risposte che cerchiamo di dare al calcio nostrano, chissà, per evitare in futuro di ritrovarci a giorni alterni a ribellarsi e dissociarsi da imbarazzanti scivoloni dirigenziali.
“Altre Federazioni lo fanno”, “non è vietato dalla legge”, “tranquilli lo sponsor non sarà sulla maglia azzurra”. Andando con ordine: il nuovo sponsor si occupa di attività vietata ai minori. La legge per ora, visto il disegno di legge presentato a luglio 2015, purtroppo non vieta la pubblicità del gioco d’azzardo alla stregua di sigarette e superalcolici ma nemmeno la obbliga. Progetti culturali e iniziative per promuovere il gioco responsabile dovrebbero essere lo zuccherino per indorare la pillola. Paradossale che la formazione e le iniziative culturali siano pensate, immagino, con i giovani ai quali è vietato ciò che stai promuovendo. Sulla maglia non ci può andare nessuno sponsor per regolamento internazionale non certo per sensibilità federale e già il fatto che si corra a smentire una simile situazione significa che proprio “normale” lo sponsor del Betting non è. Chiudo la triste parentesi per sottolineare come i conti federali italiani (4 milioni di avanzo) e la finalità non a scopo di lucro dell’ente calcistico sicuramente non “obbligano” a prostituirsi all’andazzo del “vale tutto purché porti soldi”. Vista l’attuale sensibilità federale non mi aspetto grandi passi indietro e non ci 3
Poste Italiane SpA – Spedizione
07
Ottobre
serie B di Claudio Sottile Bentornati & Benvenuti
l'intervista
6
di Pino Lazzaro
serie B di Tommaso Franco
Giampaolo Pazzini: vita da bomber
amarcord regole del gioco di Pierpaolo Romani
Sport: divertimento, non fabbrica di campioni
primo piano di Nicola Bosio Consiglio Direttivo AIC
politicalcio di Fabio Appetiti Sergio Pirozzi Organo mensile dell’Associazione Italiana Calciatori
foto redazione e amministrazione
tel fax http: e-mail: stampa e impaginazione REG.TRIB.VI
Questo periodico è iscritto all’USPI Unione Stampa Periodica Italiana
Sergio Campana Gianni Grazioli Nicola Bosio Pino Lazzaro Stefano Sartori Stefano Fontana Tommaso Franco Giulio Segato Mario Dall’Angelo Claudio Sottile Fabio Appetiti Maurizio Borsari A.I.C. Service Contrà delle Grazie, 10 36100 Vicenza 0444 233233 0444 233250 www.assocalciatori.it info@assocalciatori.it Tipolitografia Campisi Srl Arcugnano (VI) N.289 del 15-11-1972
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Finito di stampare il 28-10-2016
2016 - Mensile
Organo mensile dell’Associaz
ione Italiana Calciatori
L'intervista: Marco Parolo
editoriale di Damiano Tommasi
Da una piccolo club (che oggi porta il suo nome) di Gallarate, ai grandi palcoscenici internazionali con la maglia della Lazio e della Nazionale: Marco Parolo di strada ne ha fatta, sempre con umiltà e sacrificio, con tanta passione e l’infinita voglia di superare i propri limiti. Nel suo lungo racconto, una certezza: con il calcio si impara a vivere.
Ottobre
– 70% NE/VI - Anno 44 - N. 07 Ottobre
All'interno speciale mostra di Genova
2016
sommario
2016
07
in Abbonamento Postale
calcio e legge di Stefano Sartori Decadenza del tesseramento
calcio e legge di Stefano Sartori Lo svincolo per i calciatori “giovani”
femminile di Pino Lazzaro Ritorno al… futuro
internet tempo libero
speciale
"Con il calcio si impara a vivere"
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Quarta “tappa” per la mostra di memorabilia calcistiche organizzata dall’AIC in collaborazione con SmartSport: dopo Vicenza, Bari e Milano l’esposizione di cimeli che ripercorrono la storia del calcio dagli inizi del ‘900 ad oggi, è arrivata a Genova, ai Magazzini del Cotone nel cuore del Porto Antico.
l’intervista
di Pino Lazzaro
Marco Parolo, centrocampista della Lazio e della Nazionale
“Con il calcio si impara a vivere” andata così. Mio padre e anche mio zio hanno corso in bici, era il ciclismo insomma il loro sport; juniores e dilettanti, poi hanno mollato e sono andati a lavorare nell’officina di elettrauto aperta da mio nonno. Però seguivano anche il calcio, ricordo che quando è nata mia sorella, è stato proprio il giorno in cui il Milan nel maggio 1989 ha vinto la Coppa Campioni: lì mio padre a dire a mia madre di fare in fretta perché c’era la partita poi. Per quel che ho dentro, del Mondiale del ’90 non ricordo proprio nulla, del Mondiale ’94 invece sì, ma quel che prima m’è rimasto dentro è la tripletta – o quaterna? – di Van Basten al Goteborg (verificato: quaterna, era il novembre del 1992; ndr)”.
“Se vado indietro, fin proprio da piccolo e anche vedendo foto di quel tempo, mi rendo conto che con me avevo sempre un pallone, magari di spugna, ma c’era. E allora penso a quel cortile di mia nonna, sempre lì a giocare con i miei cugini, non c’erano televisioni, non c’era internet. E poi l’oratorio, poco lontano da casa, 200 metri, ci andavamo a piedi; pure a scuola e prima ancora all’asilo e ho ancora dentro quell’immagine: quel tiro dal calcio d’angolo col pallone Tango – che volava – e ho fatto gol! Indimenticabile. Tutto questo per dire della passione che ho avuto sempre per il pallone e non so bene da dove mi sia venuta, è 6
l’intervista
Crescere
“Le vere amicizie che ho tenuto sono quelle dei compagni di scuola: dai 7 sin quasi ai 20 anni sempre assieme, anche fuori dal campo. Le società in cui sono stato ti insegnano sì a crescere, il rispetto, le regole eccetera, ma il tutto in sostanza già io l’avevo dentro e sono stati i miei genitori a darmelo”. “La mia prima squadra è stata il “Torino Club” di Gallarate, è da lì che vengo. Ora a quella denominazione s’è aggiunto il mio nome, sì, “Torino Club Marco Parolo”, mio padre che fa il presidente ed è una delle più importanti della provincia di Varese. Ricordo la prima volta che ci sono andato, l’acqua che veniva giù, io col k-way che mi divertivo un mondo, mio cugino no, è andato a fare
karate dopo. Prima si faceva una macchinata, erano 8-9 km, poi abbiamo cambiato casa ed erano meno di 10’ dal campo. Ricordo che mi presentavo lì all’officina di mio padre anche mezzora prima, lui sbuffava, ma poi mi portava sempre. Perché “Torino”? Perché i soci fondatori erano tifosi del Toro, sono granata le maglie. Ricordo ancora la mia prima partita “ufficiale”, con l’allenatore che continuava a dirmi delle cose, su e giù, da una parte all’altra e io ho finito per mettermi a piangere, con l’arbitro che mi rincuorava. L’allenatore era ed è Giulio Del Pin, in pratica sono un suo figlioccio e assieme a lui mi piace ricordare Vittorio Praderio (anche lui allena lì ancora): due persone che mi hanno cresciuto calcisticamente, stop e passaggio, stop e passaggio. Non a caso il “Torino Club” è tra le società più forti del territorio, hanno sempre vinto tanto. Ci sono stato sette anni con loro, lì facevano sino ai giovanissimi, ma dopo gli esordienti sono passato alla “SoccerBoys”, in zona Milano Nord. Ci sono andato perché mi volevano e perché avevano sempre squadre forti. Erano 30 km per andarci e passavano col pulmino, venivano così presto al pomeriggio e tornavo tardi alla sera, 4 giorni la settimana, scuola e calcio: è stata quella una base da cui sono partito”. “Ero allievo, pensavo fosse dura ormai andare in qualche società professionistica, ma dopo altri provini, col Meda e col Como, entrambe mi volevano, ho scelto il Como, un po’ per la 7
l’intervista
Mi ritorni in mente
“Di partite che non mi dimentico, subito me ne vengono due. La prima è la vittoria del campionato col Cesena, abbiamo vinto 1 a 0 a Piacenza e l’ho fatto io il gol: specie l’atmosfera che c’era, questo quel che più ricordo. Poi la prima in casa in Serie A, sempre col Cesena, contro il Milan, io lì in campo vicino a Pirlo. Vincemmo 2 a 0, poi loro vinsero lo scudetto e quanto era grosso Ibrahimovic! Quella che invece vorrei rigiocare è Italia-Uruguay al Mondiale 2014 in Brasile. Io quel giorno sono entrato dalla panchina, avevamo la possibilità di passare il turno, sono convinto se restavamo undici contro undici ce l’avremmo fatta e voleva dire che saremmo andati a giocare poi a Rio, al Maracana e magari potevo anche giocare… insomma me ne sono tornato a casa, quando cominciavo ad essere più partecipe, a sentirlo “mio” quel Mondiale. Di cartellini rossi ne ho presi giusto uno in carriera ed è successo due anni fa, a Napoli, l’abbiamo poi vinta 4 a 2 quella partita. Ricordo che con un contrasto con Callejon mi si erano rotti i lacci della scarpa, il piede ci ballava dentro. Ho perso palla, me l’ero allungata troppo e sempre per colpa della scarpa sono arrivato in ritardo su David Lopez: secondo giallo e rosso. Con gli arbitri? Penso che il nostro sia un rapporto di stima e cerco sempre di essere rispettoso. Quel che faccio un po’ fatica è comunque associare i loro nomi al loro modo di arbitrare: lì in campo sono sempre più concentrato nel mio di mondo e ci bado poco. Come avversario che più mi ha fatto penare, penso a Pastore, era un Cesena-Palermo, c’era il campo bagnato e lui così agile e veloce. Mi fece anche due tunnel e davvero non sapevo come prenderlo. Il campo più “speciale” degli altri per me è San Siro, io milanista e lo sognavo sin da bambino. Ci giocai la prima volta con il Cesena, contro l’Inter e davvero il primo quarto d’ora ricordo che non capivo niente, c’ero ma non c’ero. Perdemmo poi quella partita: sotto 2 a 0, andammo 2 a 2 e finì 3 a 2 per loro. Un altro proprio bello è lo Juventus Stadium: spero che in futuro possano essere tutti così, è bello giocarci, c’è più carica, più voglia”. storia, un po’ perché era quello il Como di Preziosi, pareva ci fossero tante ambizioni. Facevo allora il liceo scientifico, uscivo alle 13.30 da scuola, andavo al campo e tornavo a casa alle 8 di sera. Devo dire che mi sento pure un po’ orgoglioso nel vantarmi di non aver mai avuto un debito a scuola, almeno alla sufficienza ci sono sempre arrivato. Alla maturità del liceo sono uscito con 65, era almeno la sufficienza importante per me. Ricordo che l’arrivare a maggio era sempre dura, mentalmente 8
tra calcio e libri ero consumato e dunque alla fine dell’anno scolastico andavo avanti per inerzia, contava più quel che avevo fatto prima e ricordo bene quanto sia stata dura per me la maturità. Poi mi ero iscritto pure all’università, prima a Economia e Commercio, poi a Scienze della Comunicazione ma poi ho lasciato stare: il tempo c’era ma non c’era più la testa”. “Col Como di strada ne avevo un’ora e mezza ogni direzione, ma devo anche
dirti che appena avevo un po’ di tempo libero, ero lì all’oratorio a giocare o dietro l’officina di mio padre, aveva messo su una porta di metallo, da solo o in compagnia. Era divertimento, sì, non ero mai stanco e bastava un pallone… e il tutto per ma vale ancora adesso, anche quando mi alleno, ce l’ho ancora questa cosa qui. Dai miei ho imparato tanto, che ci sono i doveri e poi i piaceri. Ricordo che al sabato c’era sempre qualche lavoretto che dovevo fare – tagliare l’erba del prato, passare l’aspirapolvere, pulire il marciapiede eccetera – solo così poi potevo uscire. E c’era sempre lì mio padre che mi dava l’esempio, dopo il lavoro a fare altro e non occorrevano tante parole. Una cosa che è diventata mia, pure io con i compagni non è che stia adesso lì a parlare e parlare, penso sia l’esempio a servire di più”. “Penso ai miei genitori, alla loro presenza, ai sacrifici che facevano. Per me portare a casa un voto basso da scuola, voleva dire dar loro una delusione e ho capito che non ci voleva poi molto, bastava rinunciare a qualcosa. Alla maturità del liceo sono uscito con 65, era almeno la sufficienza, importante per me. Ricordo che l’arrivare a maggio era sempre dura, mentalmente tra calcio e libri ero consumato e dunque alla fine dell’anno scolastico andavo avanti per inerzia, contava più quel che avevo fatto prima e ricordo bene quanto sia stata dura per me la maturità. Poi mi ero iscritto pure all’università, prima a Economia e Commercio, poi a Scienze della Comunicazione ma poi ho lasciato stare: il tempo c’era ma non c’era più la testa”. “Certo che la facevo la raccolta delle figurine, come no, ma è stato grazie all’AIC che mi mandò (e mi manda) l’album con la raccolte complete che ho iniziato a finirle. Anche in tv le guardavo le partite e il calcio per me era un sogno, non era una ossessione e ho sempre continuato a studiare. Tra gli allievi mi accorgevo che ero tra i più bravi, l’anno dopo m’hanno direttamente fatto salire in Primavera e ho cominciato a capire che avrei anche potuto fare il professionista dopo il primo anno
l’intervista
Quel provino al Milan
“Ricordo il provino che ho fatto pure col Milan, mi ricordo Baresi; abitavo vicino a Malpensa e così prendevo il bus che andava a Linate, da un aeroporto all’altro, avanti e indietro: una decina di giorni ma poi non mi hanno preso”. tro al calcio. Meglio dunque non essere vincolati a giudizi esterni, gli alti e bassi ci sono sempre, è stato a Verona che l’ho capita questa cosa”.
di C, 32 presenze, che potevo starci. Però per alcuni anni sono poi andato avanti un po’ ad alti e bassi, penso di poter dire che emotivamente ero fragile ed è stato importante per farmi ragionare su questo, sul cominciare a gestirli questi alti e bassi una figura come Bisoli che ho avuto una prima volta a Foligno. Sono uscito di casa che avevo 19 anni, sono andato a vivere da solo, i miei venivano spesso ma è stata dura. Ogni tanto con Caterina che adesso è mia moglie e allora eravamo fidanzati, salta fuori quando le telefonavo per sapere come si cucinava un uovo sodo, quando dovevo tirarlo fuori e la lavatrice e il resto, tutto nuovo per me. Così però ti fa crescere, così lo fai prima degli altri. Col calcio si impara a vivere, ti trovi negli spogliatoi con gente più grande di te, hanno famiglia e figli, ti devi confrontare, crescere e formarti un carattere: se non sei forte e non hai principi sani, ti perdi e quanti ne ho visti, quanti”.
“Per come sono fatto, il calcio non l’ho mai sentito davvero un lavoro, no. Finché potrò giocarmi un posto da titolare, finché avrò davanti questo tipo di sfida, l’avverto ancora e sempre come un divertimento. Chissà, quando mi troverò a dover fare la chioccia agli altri, giocando poco e di tanto in tanto, allora ora come ora penso che smetterò. Vedo adesso i giovani che giocano poco e io so bene che sarei andato dappertutto pur di giocare, è un qualcosa che mi soffrire questa e anche per questo io continuo ad allenarmi sempre al 100%: sono sempre stato molto critico nei miei confronti, stavo più attento a quel che sbagliavo invece che a quello che facevo bene e credo che il tutto sia stato un limite che non mi ha permesso di uscire prima dalla Serie C”. “Certo che mi sento un privilegiato: sono arrivato a 30 anni e sin qui ho vissuto una
vita facendo quel che mi diverte. Vedo i miei amici, loro che a 30 anni stanno magari solo adesso cominciando a lavorare, penso a mia sorella che ha 28 anni e sta facendo la specialistica in pediatria. Io che alla sua età ero già economicamente indipendente e non parlo solo dello stipendio che prendevo, ma di un qualcosa che mi dava e dà sicurezze anche per tanti anni a venire. Vedo i sacrifici che fanno e anche per questo cerco sempre di fare il massimo, è davvero un altro mondo il nostro. È proprio l’avere degli amici così che mi fa vivere con l’interruttore acceso”. “Sì, lo so come spesso siamo visti, come dei viziati, tutto dovuto, grandi macchine e ragazze una dietro l’altra. Per me sono giusto dei modi di dire: più sali di categoria e più invece trovi ragazzi normali negli spogliatoi. Che hanno famiglia, che guidano sì una bella macchina ma anche perché c’è gusto a guidarla e se la possono permettere, che fanno le vacanze come tutti, con le loro famiglie. Poi ci sono sempre quei tre-quattro “particolari”, quelli che fanno notizia e finisce che siamo tutti
“Ricordo il mio terzo anno da prof, era il secondo alla Pistoiese. Si lottava per salvarsi, noi giovani messi da parte, io che non stavo facendo bene: avevo perso certezze e in pratica non riuscivo a fare un passaggio che fosse uno. E allora ecco le domande, ma ce la posso davvero fare? Troppi limiti? Pensieri in testa e allora è facile cercare di svicolare, la colpa è comunque sempre degli altri e finisci per non lavorare su te stesso. Foligno è stato importante perché ho imparato la cura del lavoro, cosciente intendo, prima andavo avanti per inerzia, senza metterci del mio. L’anno dopo a Verona mi è servito per imparare a gestire le critiche, io che stavo attento a quel che tutti dicevano, io che volevo che la gente e la stampa fossero convinti di me, finché ho capito e mi sono reso conto che quel che è più importante di tutto è il giudizio del tuo allenatore e comunque delle persone che sono den9
l’intervista
così. Ripeto, più sali e meno ce ne sono; più giù vai e più trovi gente che crede di essere chissà che cosa. Per dire, anche a me piace ballare, ho una macchina bella, l’hotel lo scelgo bello perché me lo posso permettere, m’accorgo bene delle agevolazioni che ho: mi pare giusto godersi la vita che uno può godersi”. “Cosa ci ho messo di mio per farcela? Tanta volontà, sempre la voglia di superare i miei limiti. Ero in C a Como e lì a chiedermi: ci posso stare? Dare sempre tutto, così la posso superare quella “linea”. A Verona: ci posso stare? Ce la faccio? Poi la B, poi la A. È stata sempre questa la mia benzina, andare a scoprire quale sia poi il mio limite. Fin dove insomma ti porta quel che puoi fare, arrivando a dare tutto e io so che ho sempre cercato di fare tutto quel che potevo fare. Cercando pochi alibi, sono cose da perdenti: giustificazioni le puoi trovare sempre ma io per prima cosa sono critico con me stesso e la cerco dentro di me la soluzione, ancora e ancora. Di fondo una grossa passione, che c’è ancora, che è sempre lì: una forza che mi traina”. “Se c’è qualcosa che mi piace meno? Non so, è un mondo questo in cui ci sono proprio dentro, facendo quel che mi piace. Ecco, magari, mi dà un po’ fastidio tutto questo talk show che non smette mai, ma forse ancor di più – come dire – i falsi amici che ti si avvicinano per loro interesse. Ho visto bene quanto siano aumentati “i contatti” passando dalla C alla A e chissà se fossi rimasto in C, se avvertirei le stesse premure, mah. Si vedrà alla fine chi poi starà da una parte e dall’altra. La mia fortuna so che è quella di avere una ristretta cerchia di amici, sono loro il mio riferimento, saranno loro con cui passerò la mia vita e sono tutti fuori del calcio. Nell’ambiente ne ho giusto un paio, forse tre e quello che mi piace qui ricordare è Volta, lui adesso è a Perugia, ci sentiamo spesso”. “Sono e siamo sempre stati milanisti a casa, anche per questo ho sempre guardato a Maldini come un esempio, lui così mai 10
fuori posto, la sua famiglia, anche il padre. Ecco, era a lui che come detto guardavo, pur non avendo mai avuto la fortuna di conoscerlo direttamente. Avevo il suo di poster in camera, ma anche quello di Shevchenko, pure di altri: ero abbonato a “Forza Milan”. La mia prima maglia di giocatore, l’ho vinta quale miglior calciatore di un torneo, è stata però una del Parma, gialloblù, dei tempi di Minotti, Benarrivo e Di Chiara. Sul collo aveva dei laccetti e chissà adesso dove sarà, forse da mia madre”. “Ricordo quand’ero a Cesena, l’esordio in A all’Olimpico di Roma. Avevo Ceccarelli vicino quando siamo entrati per vedere il campo e lui a dirmi – un po’ scherzando e un po’ no – che non è che potevamo fare come prima, magari metterci lì a strappa-
re pure un ciuffo d’erba, che dovevamo insomma far finta di essere dei calciatori veri, mani bene in tasca, ordinati, c’erano tante e tante televisioni adesso che mostravano tutto, dunque starci attenti. Ed è così, tutti ci guardano, specie i giovani, giusto dare una buona immagine. Per quella che è la mia esperienza, io avverto grande rispetto anche tra noi calciatori, ma credo che tutta la categoria sappia bene che pure con tutti i telefonini sempre pronti a riprendere ogni minima cosa, non si possa sbagliare, per forza di cose si deve stare sempre bene attenti. No, sono cose queste di cui non si parla da noi nello spogliatoio, si sa che deve essere così, un qualcosa che viene naturale”. “Per quel che mi riguarda, più cresci e più diventi calciatore, più devi sforzarti di non rifugiarti nel “ c a l c e s e ”, nel parlare e parlare senza dire niente: cerco comunque di dire quello che penso, sempre con rispetto naturalmente, ma cerco sempre di farlo. So come funziona, ma continuano a non piacermi quei titoli a sensazione che poi non ritrovi nel pezzo che vai leggere sotto. D’accordo, fanno parte del nostro mondo, ma continuo a notarli, siano essi negativi ma anche positivi. Le pagelle? Prima le leggevo, ora non più. Ho smesso perché ho visto che mi influenzavano, pensavo di aver fatto bene e leggevo giudizi negativi, rischiavo di avere delle insicurezze e questo vale anche all’incontrario, fai male e ti ritrovi un bel voto. Preferisco leggere le pagine degli altri sport, mi piace molto il ciclismo, il basket della NBA, la Formula Uno: sono un appassionato”. “Sì, mi reputo un professionista al 100%,
l’intervista
Scambiarsi le maglie?
“Beh, le maglie in effetti io faccio anche fatica a scambiarle, è così. Se perdo perché mi girano, ma anche se vinco, perché so che girano a lui”. uno “serio” come dici tu. Ho capito che la cura di ogni particolare, compresa l’alimentazione, ti permette di stare meglio. Un qualcosa che andrebbe insegnata da subito, prima cominci e meglio è e io l’ho imparato per strada, più sali e più ci sono persone che ti insegnano. Ecco così per esempio che arrivo sempre ben prima dell’allenamento per far quei lavori specifici che ti aiutano nella prevenzione, per aver cura del mio corpo. Ancor più adesso che vado avanti con gli anni, proprio per cercare di essere all’altezza in un calcio sempre più atletico”. “No, prima delle partite non mi capita di non dormire, le vivo tranquillamente le vigilie. È più difficile il dopo partita, ancora tanta adrenalina addosso, ma ho imparato lo stesso a riposare per bene, a girare pagina, nel bene e nel male. Mi viene in mente la partita col Belgio all’Europeo, quanto carico e teso fossi, forse fin troppo. Sono però delle sensazioni bellissime, che pur ti consumano, per quello devi saperle gestire. Ho comunque una mia routine in questo, la considero sempre una fortuna: la chiacchierata che comunque sia andata faccio sempre con mio padre, è lui il primo che chiamo, a qualsiasi ora; ci diciamo le cose, un qualcosa a cui tengo, che sento che mi fa bene. Poi lì a casa c’è mia moglie, è una buona “incassatrice” lei. Di mio sono uno che le cose se le tiene dentro, ma lei sa come prendermi, sa ascoltarmi, capisce i miei stati d’animo e sa sopportarmi, specie quando le cose vanno male. Ricordo quando siamo retrocessi dalla A col Cesena, i miei dubbi, sono sempre lo stesso? Quanto ha ascoltato, capito e aiutato…”. “Nello spogliatoio io cerco sempre di essere, dai, solare, di certo poco musone. Come già detto, prima di tutto viene l’esempio e poi con gli anni che ormai ho, avverto di più la responsabilità e così se capita le faccio notare le cose che non vanno e so che per permettermi di farlo sono il primo che le deve rispettare “le regole”. E rispettoso dei ruoli lo ero anche da ragazzo, le ho sempre portate per dire le porte o raccolto i palloni (e lo continuo pure a fare, ma non importa): sapevo che
era uno dei miei ruoli ed è venuto tutto normale, mai avuto pressioni, mai episodi di nonnismo, mai. Con i giovani ho intanto capito con i miei anni che non posso pensare di essere come loro: ho i miei di ritmi, giusto che loro abbiano i loro, che le facciano le loro esperienze. Se qualcuno viene da me a chiedere, ci sono, ma penso sia giusto anche che possano sbagliare. Quel che potrei dire in generale a un giovane è comunque di non mollare, di alimentare sempre la passione e di andare col sorriso al campo, non col broncio, vengono meglio così le cose. Di ricordarsi come si andava al campo con gli amici di un tempo: se ti alleni meglio, hai più fiducia in te. Direi poi di crederci sempre (io in A ci sono arrivato che ne avevo 25 di anni), interruttore acceso, coscienza a posto e meno alibi possibili, sperando che le persone che ti sono attorno ti dicano per bene le cose, che non te ne diano anche loro di alibi. Io penso che se uno vale, vale: le occasioni arrivano anche quando uno non ci pensa. Non si sa mai, ricordo lì a Pistoia, allenatore Tedino, il suo secondo era Bellini e fu proprio Bellini a parlar bene di me a Bisoli che già mi voleva e così lui mi prese. Sì, se lasci dei bei ricordi, c’è chi poi ne parla e magari ti arriva l’occasione, come dire insomma che se semini bene, poi raccogli. Tutto questo io a 25 anni non lo sapevo ed è proprio vero che c’è sempre da imparare, sempre”. “Sì, al dopo ci sto pensando. Penso intanto lì alla scuola-calcio di Gallarate, per me è un orgoglio poter dare una mano nell’aiutare a crescere i ragazzini. Penso ai miei genitori, come si sono comportati con me, sempre alla grande, ma so bene che ce ne sono tanti di genitori che pressano e pressano. Ho deciso di “entrare” in quella mia scuola-calcio di un tempo soprattutto per riconoscenza, ma è un mondo in cui vorrei comunque essere presente. Ora è mio padre a tenermi aggiornato, di tanto in tanto ci vado ma ora come ora penso che vorrei esserci di più. Stare nel calcio seguendo i giovani, senza però che diventi un qualcosa di totalizzante, già ho dato e sto dando e c’è sempre la famiglia che mi reclama”.
La scheda Marco Parolo è nato nel gennaio del 1985 a Gallarate (Va). Dopo gli inizi con una scuolacalcio di Gallarate (il “Torino Club” la cui denominazione ora è “Torino Club Marco Parolo”), è passato alla SoccerBoys (Turbigo, in provincia di Milano) e da qui al Como, con cui ha esordito in serie C a 19 anni. Ha giocato via via con Pistoiese (C1), Foligno (C1), Verona (Prima Divisione), Cesena (B-A), Parma (A) e da luglio 2014 è alla Lazio (A). Ha fatto il suo esordio in maglia azzurra con Cesare Prandelli quale c.t., esattamente il 29 marzo 2011 nell’amichevole giocata a Kiev contro l’Ucraina (2 a 0 per noi) e sin qui (dato aggiornato dopo la partita a Skopje contro la Macedonia del 9 ottobre) ha messo assieme 28 presenze, partecipando sia al Mondiale 2014 in Brasile che all’Europeo 2016 in Francia (con Conte c.t.). Sposato con Caterina, hanno un figlio (Dante) di due anni. Stagione
Squadra
Cat.
P.
G.
2016-17
Lazio
Serie A
8
0
2015-16
Lazio
Serie A
31
3
2014-15
Lazio
Serie A
34
10
2013-14
Parma
Serie A
36
8
2012-13
Parma
Serie A
36
3
2011-12
Cesena
Serie A
31
1
2010-11
Cesena
Serie A
37
5
2009-10
Cesena
Serie B
36
5
2008-09
Hellas Verona
1° Divisione 31
4
2007-08
Foligno
Serie C1
29
3
2006-07
Pistoiese
Serie C1
28
2
2005-06
Pistoiese
Serie C1
24
1
2004-05
Como
Serie C1
31
3
11
serie B
di Claudio Sottile
Lucioni (Benevento), Iori (Cittadella), Mannini (Pisa) e Finotto (Spal)
Bentornati & Benvenuti
Sono nel calcio dei cognomi scritti sulle maglie. Sono nel calcio delle telecamere negli spogliatoi. Sono nel calcio degli stadi che ospitano gare della Nazionale o che fino all’altro ieri erano teatro di partite di coppe europee. Sono Benevento, Cittadella, Pisa e SPAL, in rigoroso ordine alfabetico, approdate nella Serie B 2016/17. Chi come campani, veneti ed emiliani dopo una cavalcata travolgente, chi sopravvissuto allo spareggio play-off come i toscani. Il primo quarto del campionato ha evidenziato un grande appetito per tutti. Granata, nerazzurri e spallini tornati in cadetteria rispettivamente dopo anni uno, sette e ventitré. Stregoni al primo giorno assoluto in B, novizia curiosa di orientarsi al meglio nel nuovo habitat, dopo la promozione del 1945/1946 invalidata da motivi regolamentari. La prova della loro fame nelle parole di Fabio Lucioni (Benevento), Manuel Iori (Cittadella), Daniele Mannini (Pisa) e Mattia Finotto (Spal): fame di vitamina B, fame di campionato delle quattro stagioni.
Fabio Lucioni, difensore del Benevento
“Torneo imprevedibile e avvincente” 1. “Sono tante partite da disputare, è un campionato appassionante e avvincente. Riducendolo si perderebbe il fascino. Può andar bene così”. 2. “Sì, francamente. Il primo anno che passò la riforma, ero a Reggio Calabria e già mi successe di giocare in quei giorni. A me non è dispiaciuto. Invece di avere dei giorni liberi spezzati, si ha un periodo più lungo per stare in famiglia, è un bene. Hai più visibilità poi, perché la Serie A è ferma”. 3. “Mi sono trovato in situazioni critiche come quelle del Pisa. Dico che viverla in prima persona ti turba, ma quando entri in campo dimentichi le questioni societarie e le accantoni, perché indossi una maglia e con professionalità dai sempre il massimo. Forse dal canto loro daranno addirittura qualcosa in più, in modo tale da andare ben oltre il fatto economico. Vista da altri tesserati, sicuramente siamo vicini ai ragazzi del Pisa che posso incontrare delle difficoltà ambientali, come magari non avere dove spogliarsi o fare allenamento. Però si deve proseguire il cammino cercando di non renderlo falsato”. 4. “È scontato dire la salvezza. Siamo una neopromossa, e vista la difficoltà di questa competizione è sicuramente quello. Però non dobbiamo negare il fatto che, sia per quanto riguarda la società sia per noi squadra, arrivare a qualcosa di più della salvezza ci darebbe una gratificazione differente. Guardiamo sabato dopo sabato, ma sicuramente un pensierino a qualcosa oltre la salvezza potremmo farlo più in là. Prima mettiamoci in salvo”. 5. “Senza una progettazione importante, è più difficile essere promossi, fare un salto di categoria è sempre difficoltoso. Una volta che ti trovi in una divisione ti ambienti, e riesci con le buone o le cattive a strappare una permanenza”. 6. 6. “No, qua sono tutte belle da giocare, sono tutte cerchiate”. 7. 7. “La B è talmente livellata che può succedere veramente di tutto, questo è sicuro”. 12
Manuel Iori, centrocampista del Cittadella
“Pensiamo partita dopo partita” 1. “Sì, se tutte le 22 società hanno i parametri giusti per fare bene ciò che devono. Se devono essere 22 che poi non riescono ad adempire ai loro doveri, a questo punto meglio ridurle”. 2. “Non mi dispiace giocare durante le feste. Per come la vedo io, preferisco avere nove giorni continuativi di vacanza, piuttosto che due e poi ritornare ad allenarsi prima di un’altra pausa. Anche per il campionato di B, logorante e lungo, staccare nove giorni è positivo”. 3. “Se alcune società non fanno il loro dovere si compromette il campionato. Già alla prima partita, per le vicende conosciute, c’è stato un recupero infrasettimanale forzato. Dispiace soprattutto per i giocatori del Pisa, che non stanno vivendo una bella situazione. Dobbiamo capire che quelle situazioni potrebbero capitare anche ad altri, un calciatore ci pensa”. 4. “Rimane quello di fare un campionato tranquillo e di pensare partita dopo partita. Non possiamo permetterci di considerare troppo oltre”. 5. “Forse vincere la Lega Pro è più difficile, poiché sono tre gironi, ne sale solo una diretta e ai playoff, un autentico tritacarne, si ricomincia davvero da capo. Vincere e salvarsi sono due difficoltà diverse, giocare per vincere è un conto, giocare per salvarsi è un altro. In B hai comunque a disposizione tante partite per cercare di salvarti”. 6. “No, dopo una stagione in Lega Pro ogni partita ha il cerchietto, ritornare a giocare in Serie B ha un sapore diverso”. 7. “Ogni anno c’è qualche sorpresa. Noi siamo partiti bene ma non possiamo fare progetti a lungo termine, abbiamo la nostra filosofia. Le neopromosse si stanno comportando benissimo e per adesso stanno davanti a club partiti con i favori del pronostico. Speriamo di rimanere lì su il più possibile e di raggiungere presto la salvezza. Poi nel calcio…”.
serie B
Sette domande sette… 1. La Serie B a 22 squadre è un format adeguato? 2. 24 e 30 dicembre in campo, ti piace? 3. Caso Pisa: da qualsiasi parte lo si guardi, situazione non facile… 4. Il vostro obiettivo stagionale?
Daniele Mannini, centrocampista del Pisa
“Non molliamo di un millimetro” 1. A me piace la B, se ce la facessero fare decentemente la farei più che volentieri. Detto ciò, sono tanti che anni che non milito in B e non mi ricordo nemmeno com’è. Ritengo che sia bella e che piaccia alle persone, ci sono tante squadre ed è più dispendioso per gli atleti, però è un bel torneo, con delle buone squadre e una buona qualità di calcio”. 2. “L’importante è poter stare dei giorni con la famiglia, se ci stai a Natale o dopo il 31 dicembre non cambia molto. Vedo che alle persone piace venire a vederci nei giorni liberi, quindi sicuramente è un buon modo per avvicinarle agli stadi e al tifo”. 3. “Viviamo alla giornata partita dopo partita. Fino a che ci assumeremo la responsabilità di rimanere qua, continueremo a fare quello che stiamo facendo. Per chi non se la sente a gennaio c’è la finestra di mercato. Tutta la squadra non molla di un millimetro”. 4. “Il nostro obiettivo è arrivare a fine giornata e a fine mese. Questa domanda va posta alle società che hanno una situazione tranquilla. 5. “Sono convinto che se vieni su dalla Lega Pro puoi fare un’onesta annata di B, con pochissimi ritocchi come stiamo facendo noi. I nostri presupposti a inizio anno erano questi”. 6. “No, mister Gattuso ce le fa vivere tutte nella stessa maniera. E io non ho nessun conto da regolare, le vivo tutte ugualmente perché valgono sempre tre punti. È stato lui a creare questo gruppo, è stato lui che l’ha costruito. Questo spogliatoio ha il suo modo di fare adesso, penso che il mister sia fiero di quanto costruito. Un allenatore bravo è quello che dà l’impronta di sé alla sua squadra”. 7. “Non mi fa strano vedere tante realtà piccole che lavorando seriamente riescono a ottenere grandi risultati. Non mi meraviglierei se ci riuscisse anche qualcun altro, vorrà dire che hanno operato veramente molto bene”.
5. È più difficile essere promossi dalla Lega Pro oppure salvarsi in cadetteria? 6. C’è una partita che hai cerchiato sul calendario e che aspetti con particolare stato d'animo? 7. Intravedi spazio per un nuovo Crotone?
Mattia Finotto, attaccante della Spal
“Il livello è molto equilibrato” 1. “Penso di sì, è una categoria diversa dalle altre, molto difficile e da quello che ho visto fino ad adesso molto bilanciata. Anche il giocare in infrasettimanale a me onestamente piace, poi non so se fine anno sarà pesante o meno, tuttavia per adesso mi sembra bello”. 2. “Sì, non ho mai provato ma mi attira. A parte la Serie A, all’estero lo fanno quindi è una scelta azzeccata”. 3. “Non è positivo, potrebbe un po’ falsare il campionato. Io non so quanto possano resistere i giocatori e se resisteranno fino a fine anno. Sarebbe meglio partire tutti allo stesso livello. Noi ad esempio dovevamo giocarci contro il 9 ottobre in trasferta, e non sapevamo fino a pochi giorni dalla gara se sarebbe stata a porte aperte o chiuse, c’era molta confusione. Per i calciatori e i tifosi non è una situazione agevole”. 4. “La salvezza tranquilla”. 5. “Non lo so. Vincere un campionato è sempre ostico, devi arrivare primo e devi stare avanti tutto l’anno, psicologicamente non è semplice. La Serie B è difficile, il livello è molto equilibrato, può uscire qualsiasi risultato, nessuna partita è facile e basta un episodio per farla girare, mentre in Lega Pro capitavano match più abbordabili”. 6. “Onestamente ero molto curioso della prima che avremmo vissuto in casa, per vedere come avevano ristrutturato lo stadio e quanti tifosi sarebbero venuti. Poi era col Vicenza, sfida molto sentita dalla gente. In più ritornavamo in B dopo 23 anni, tutti ci tenevano veramente tanto”. 7. “Credo di sì. Il Crotone l’anno scorso è stato promosso senza grossissimi nomi in rosa. Da com’è partito, sembrerebbe il Cittadella. Il campionato è lungo e non si sa come andrà a finire. Io non lo escludo. L’Hellas Verona è più forte delle altre, ma il resto delle squadre possono giocarsela”.
serie B
di Tommaso Franco
In vetta con l’Hellas Verona
Giampaolo Pazzini: vita da bomber Nella Top 11 del mese, l’attaccante da la classifica marcatori con 10 reti in 6 dell’Hellas Verona Giampaolo Pazzini è il gare di campionato. Già in doppia cifra, calciatore con la media voto più alta (7,14) e non siamo nemmeno a novembre. Le e attualmente vanta la migliore media difficoltà incontrate nella scorsa stagione gol di tutti campionati professionistici eusono acqua passata e sulle rive dell’Adiropei. Accanto a lui, a completare il duo ge ne parlano come di un marziano, un d’attacco, Gianluca Litteri (6,54), a quota 6 attaccante di un’altra categoria, un lusso reti con la maglia del Cittadella. per la Serie B. A centrocampo troviamo tre compagni Giampaolo ripaga a suon di gol le attedi squadra del “Pazzo”: Romulo (6,67), se delle società e degli appassionati tifosi Daniel Bessa (6,76) e Mattia Valoti (6,50), dell’Hellas e non ha intenzione di fermarinsieme al trequartista del Benevento, si. Amato Ciciretti (media 6,69). Cresciuto nel settore giovanile dell’AtaIn difesa Simone Romagnoli lanta sotto l’attenta osservazione PAZZINI (Carpi, media di Mino Favini, un moVALOTI Hellas Verona 7,14 6,32), Fabio Hellas Verona 6,50 numento del calcio dei CICIRETTI LITTERI Benevento 6,69 LOPEZ settori Cittadella 6,54 Benevento 6,44 BESSA giovanili, Hellas Verona 6,76 LISUZZO ex calPisa 6,54 ROMULO ciatore di Hellas Verona 6,67 LUCIONI Benevento 6,33 Como, Brescia e MINELLI ROMAGNOLI Atalanta che ha pasBrescia 6,80 Carpi 6,32 sato 25 anni nel settore giovanile bergamasco, il ragazzo di Pescia cresce stagione dopo stagione nel vivaio che in quegli anni faceva scuola a mezza Europa. Lucioni Il pupillo di Favini viene promosso in (Benevento, prima squadra a Bergamo dove rimane La miglior formedia 6,33), Anper due stagioni conquistando la promazione di Serie B drea Lisuzzo (Pisa, 6,54) e mozione in Serie A. Poi il passaggio alla dall’inizio del torneo Walter Alberto Lopez (BeFiorentina (dal 2005 al 2009) con la quale nevento, media 6,44). In porta il migliore esordisce in anche in Champions League è Stefano Minelli del Brescia (media 6,80) il 12 agosto 2008 in Fiorentina-Slavia PraL’Hellas Verona guida il campionato e, ga terminato 2-0 in favore dei viola. dopo uno spumeggiante avvio del CitNel gennaio 2009 passa alla Sampdoria, tadella, si è preso di forza la vetta della dove trova il suo compagno di reparto classifica. Una rosa costruita per vincere ideale: Antonio Cassano. Con il campione un campionato difficile, con un barese dà vita ad una coppia d’attacco consistente budget a disposizione. I nomi, sono… nomi da grande squadra: Maresca, Romulo, Ganz, Pazzini. E proprio Giampaolo sembra aver ritrovato il brio dei tempi d’oro, quel qualcosa in più che solo i grandi giocatori hanno. Rimasto dopo la retrocessione dello scorso anno, vuole riportare in Serie A il suo Verona. Il trentaduenne Pazzini fa “da chioccia” ai giovani di belle speranze gialloblu e guiDiritti d’immagine
Portieri MINELLI CRAGNO CHICHIZOLA BARDI UJKANI
Brescia Benevento Spezia Frosinone Pisa
6,80 6,69 6,57 6,51 6,40
Difensori LISUZZO LOPEZ LUCIONI ROMAGNOLI SCAGLIA
Pisa Benevento Benevento Carpi Cittadella
6,54 6,44 6,33 6,32 6,29
Centrocampisti BESSA CICIRETTI ROMULO VALOTI CORONADO
Hellas Verona Benevento Hellas Verona Hellas Verona Trapani
6,76 6,69 6,67 6,60 6,56
Attaccanti PAZZINI LITTERI NICASTRO CAPUTO STRIZZOLO
Hellas Verona Cittadella Perugia Virtus Entella Cittadella
7,14 6,54 6,43 6,41 6,39
eccezionale facendo sognare la Genova blucerchiata come non accadeva dai tempi d’oro di Vialli e Mancini: i due si trovano ad occhi chiusi e fanno divertire i tifosi di tutta Italia con la loro straordinaria intesa che produce spettacolo e reti a non finire tanto da conquistare la qualificazione ai preliminari della massima competizione europea. Dopo Genova, quattro stagioni a Milano (Inter 2011-2012, Milan 2012-2015) prima dell’approdo a Verona, nuovo capitolo di una vita da bomber.
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14
di Damiano Tommasi
Lega Pro Medie voto e curiosità
E arrivò l’anno dei nomi sulle maglie Il mercato ha portato tante novità nella Lega Pro 2016-2017 sempre più ricca di giovani talentuosi e di veterani d’esperienza. Entriamo nel vivo del campionato. I tre gironi sono più equilibrati che mai, eccezion fatta per la mini fuga dell’Alessandria, protagonista di un mezzo miracolo sportivo in Coppa Italia la scorsa stagione. Sono ben quattro i “grigi” che hanno conquistato il primo gettone in “Top 11”. Gianmarco Vannucchi, portiere classe ’95 cresciuto nel settore giovanile della Juventus, Felice Piccolo, difensore centrale classe ’83 arrivato a luglio dallo Spezia, Simone Iocolano, centrocampista classe ’89 prelevato dal Bassano e Pablo Gonzalez, attaccante classe ’85 giunto alla corte di Piero Braglia dopo 7 stagioni in quel di Novara. Ed è proprio lui ad avere ottenuto la migliore media voto fino a questo momento (6,80).
Angelo De Almeida, esterno di difesa in forza al Foggia, si conferma il migliore nel suo ruolo. Il laterale classe ’81 è l’unico “superstite” della top 11 della stagione scorsa, con un rendimento di tutto rispetto nelle sue varie esperienze in Italia dove ha vestito anche le maglie di Lecce, Crotone, Parma, Siena e Latina. La linea difesa si completa con Alberto Barison, classe ’94 del Bassano, ed Emilio Dierna, classe ’87 della Viterbese. A centrocampo, assieme all’esterno destro dell’Alessandria, troviamo Anthony Taugourdeau (Piacenza, classe ’89), Mattia Minesso (Bassano, classe ’89). Assieme al loro, un calciatore che per
anni frequentato la massima serie con la maglia del “suo” Cagliari e che ora veste la maglia dell’Olbia: Andrea Cossu, 36 anni compiuto il maggio scorso. In attacco, accanto al bomber “grigio” troviamo Salvatore Caturano (classe ’85 in forza al Lecce). Una delle grandi novità di quest’anno è rappresentata da un elemento in più inserito sulle maglie: come nelle prime due categorie professionistiche in Italia, sopra il numero, campeggia finalmente il nome del calciatore. Sembra una piccola cosa, ma tanto piccola in realtà non è. Si tratta di un segno tangibile del percorso che ha portato al professionismo e di una responsabilità in più per il calciatore che indossa quella maglia. Sì, perché il nome sulle spalle pesa e chi prima non ti conosceva in un momento saprà chi sei. Subito, senza consultare nessun tabellino, senza chiedere al vicino di seggiolino o al collega di chi sia stata quella rete o quel miracoloso salvataggio sulla linea. E tanti calciatori saranno sulla bocca della gente, dei tifosi. Saranno, in qualche modo, più vicini. Sulla maglia, assieme allo scudetto della società, allo sponsor tecnico e a quello commerciale, fino a ieri non c’era quello del protagonista che indossa ogni santa domenica quella maglia. E ci siamo già tutti abituati ora, e ci sembra la normalità. Oltre alla soddisfazione e all’orgoglio di chi la indossa, il nome rappresenta un impegno, il mettersi “a nudo” di fronte ad una platea, la voglia di farsi conoscere, di sentirlo urlare dopo un gol o dopo una parata miracolosa. Era strano vedere quelle maglie vuote. In realtà “solo” dalla stagione 1995-96 i nomi campeggiano sulle spalle dei calciatori della Serie A e B, certamente per motivi legati allo sponsor e per gonfiare la voce di bilancio legata al merchandising. Di fatto, il tifoso o l’appassionato di cal-
Portieri VANNUCCHI RAVAGLIA COSER NARDI MAURANTONIO
Alessandria Cremonese Albinoleffe Pergolettese Taranto
6,54 6,48 6,48 6,46 6,44
Difensori BARISON PICCOLO DE ALMEIDA DIERNA GOZZI
Bassano Alessandria Foggia Viterbese Alessandria
6,47 6,46 6,44 6,42 6,40
Centrocampisti COSSU MINESSO TAUGOURDEAU IOCOLANO CAZZOLA
Olbia Bassano Piacenza Alessandria Alessandria
6,71 6,56 6,56 6,56 6,50
Attaccanti CATURANO GONZALEZ MANCUSO KANOUTE GRANDOLFO
Lecce Alessandria Sambenedettese Juve Stabia Bassano
6,80 6,85 6,73 6,67 6,67
cio, o il bambino non acquistava la maglia di una squadra ma un calciatore. Ed indossando quella maglia poteva sentirsi come lui, almeno per un momento. E il campetto di casa, in un momento, diventava San Siro, l’Old Trafford o la “Bombonera”. GONZALEZ Alessandria 6,85
COSSU Olbia 6,71 TAUGOURDEAU Piacenza 6,56
DIERNA Viterbese 6,42 BARISON Bassano 6,47 VANNUCCHI Alessandria 6,54
A fianco, Salvatore Caturano. A destra, Angelo De Almeida.
CATURANO Lecce 6,80
MINESSO Bassano 6,56
PICCOLO Alessandria 6,46 DE ALMEIDA Foggia 6,44
IOCOLANO Alessandria 6,56
La miglior formazione di 2a Divisione dall’inizio del torneo
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amarcord
La partita che non dimentico
Mi ritorni in mente…
Simone Gozzi (Alessandria) “La partita che non posso proprio dimenticare, dai, è il mio esordio in Serie A, sì, è sempre quella a cui subito penso. Ero a Cagliari allora e fino a quel momento, eravamo a dicembre, non avevo giocato nemmeno un minuto in campionato, in Coppa Italia sì. Ricordo che era esattamente il 20 dicembre e non lo posso dimenticare perché il giorno dopo, il 21, è il compleanno di mia moglie e quindi diciamo che ho avuto modo di farmi e pure farle questo regalo così speciale. Giocavamo in casa e proprio contro il Milan, io che fin da bambino sono sempre stato milanista: cosa potevo chiedere di più? No, non me l’aspettavo dato che venivo da partite e partite
in cui ero stato sempre in panchina, come detto non ero mai entrato, però continuavo ad allenarmi per bene e ripensandoci adesso, quella chiamata di Ballardini – era lui l’allenatore – forse voleva significare una sorta di premio per l’impegno che ci avevo sempre messo e che continuavo a dimostrare. Altre volte m’ero scaldato, capita che a turno lo si fa tutti, ma stavolta m’ha proprio chiamato e aggiungo che me l’aspettavo ancora meno perché si stava perdendo 2 a 0 e non è che di solito si mette un difensore quando si è sotto, no? Posso così dire che ho giocato contro Ibrahimovic e Pato, c’erano loro lì davanti e alla fine ho pure avuto la maglia di Thiago Silva (in effetti gliel’avevo chiesta a fine primo tempo, tramite un mio compagno brasiliano). Di presenze ne ho fatta un’altra quel campionato, contro il Napoli, c’erano Lavezzi e Cavani e ricordo che si giocò di venerdì perché poi loro al martedì avevano una partita di Champions. No, il fatto che di presenze ne abbia fatte in tutto due non è stato un problema. Ero in prestito con diritto di riscatto dal Modena, sapevo che avevo soprattutto bisogno di imparare, di crescere. Anzi, posso proprio dire che dopo quella partita contro il Milan, forse ho continuato ad allenarmi mettendoci ancora qualcosa in più, sì”.
Giordano Fioretti (Sambenedettese) “Intanto grazie di aver pensato a me. In effetti ne avrei più di una di partite che mi sono rimaste dentro, sia in positivo che in negativo. Però, ripensandoci, preferisco ricordare quella che è anche la più recente, MacerateseSpal della scorsa stagione: loro, la Spal, che erano primi in classifica e noi della Maceratese che eravamo secondi e non mi ricordo adesso se vincendo quel giorno li abbiamo superati o raggiunti. Me la ricordo quella partita sicuramente perché ho fatto gol e ab16
biamo vinto 1 a 0, ma soprattutto per la prestazione di tutti, proprio della squadra. La Spal alla fine ha vinto il campionato, niente da dire, però quel giorno siamo stati noi a far meglio, tra l’altro ci tenevo ancor più perché ero un ex. Il gol? Azione sulla fascia, c’è stata una sovrapposizione e palla messa in mezzo: ero più o meno all’altezza del rigore, spostato in avanti verso il primo palo e l’ho girata al volo sul secondo, di destro. Sì, se vai a vedere lo trovi su youtube ma allora devo dirti che quello che vado a rivedermi ogni tanto non è quel gol contro la Spal, ma quello che ho fatto alla Paganese, quando giocavo col Gavorrano, una stagione quella in C2 in cui ne ho fatti 32 di gol. Se cerchi lo trovi: ho fatto gol “di scorpione”, proprio così, nemmeno io so come ho fatto. C’è stata sta palla, io che mi appoggio un po’ sul difensore e tiro di tacco: palo-gol sul secondo palo e non mi sembrava vero. Incredibile. La vincemmo quella partita, 4 a 3; feci doppietta e un gol lo segnò pure Pucciarelli, è a Empoli lui adesso”.
Speciale Genova – Magazzini del Cotone
Benvenuti‌
Quarta “tappa” per la mostra di memorabilia calcistiche organizzata dall’Associazione Calciatori in collaborazione con SmartSport: dopo Vicenza, Bari e Milano l’esposizione di cimeli che ripercorrono la storia del calcio dagli inizi del ‘900 ad oggi, è arrivata a Genova, ai Magazzini del Cotone nel cuore del Porto Antico.
EROI DEL CALCIO/3 STORIE DI CALCIATORI di Nicola Bosio foto di Maurizio Borsari
Oltre 300 pezzi originali per rivivere, in un unico splendido contesto, più di 100 anni dello sport più amato e popolare, dalla divisa di Francesco “Franz” Calì, primo storico capitano della Nazionale, ai palloni delle finali Mondiali, passando dalla Coppa Rimet e dalla Coppa del Mondo, fino a scarpe e maglie dei più grandi campioni di sempre.
Un secolo di pallone, anzi di più visto che Genova può vantare la squadra più antica d’Italia (il Genoa fondato nel 1893) e il primo capitano della Nazionale (Francesco “Franz” Calì, difensore dell’Andrea Doria, guidò gli azzurri nel 1910): “Eroi del Calcio – Storie di Calciatori” è un viaggio incredibile, è un percorso a ritroso nella memoria non solo dell’italica pedata, ma di quella mondiale. Perché i 300 oggetti unici esposti ai Magazzini del Cotone, nel cuore del Porto Antico genovese, provengono da ogni angolo della terra, da ogni posto dove un pallone sia riuscito a rimbalzare e a far emozionare. Molto di più di una semplice mostra, più di una classica esposizione di memorabilia calcistiche: è quasi una sorta di “pellegrinaggio” alla ricerca di un qualcosa di sacro che si chiama “passione”, e di qualcosa di magico che si chiama “talento”, quello che ha baciato i grandi campioni che hanno scritto pagine leggendarie di questo sport, consegnando alla storia quei cimeli oggi testimoni delle loro fantastiche imprese.
Dopo Vicenza, Bari e Milano, l’Associazione Calciatori, in questa occasione con la collaborazione di SmartSport, è riuscita ad allestire la quarta “tappa” di un percorso cronologico fatto di ricordi ed emozioni, alle radici del calcio e dei suoi valori, della sua vera essenza. Storie che si intrecciano, vite che si incrociano, eventi rimasti nella memoria collettiva e piccole “chicche” da scovare passo dopo passo, incontrando Pelè e Maradona, Baggio e Rivera, Platini e Suarez, Rummenigge e Buffon, Messi e Cristiano Ronaldo, sfiorando la Coppa Rimet del “Maracanazo” e il pallone di Berlino 2006, arrivando quasi a toccare la Coppa del Mondo, a sognare i gol di Gerd Muller e le stravaganze di Gigi Meroni, mentre in sottofondo risuonano le telecronache audio originali e scorrono i video di partite memorabili. È il fascino di un calcio antico che si mescola a quello attuale, dando vita ad una atmosfera che profuma di magia, quella che rimarrà nella memoria di ogni visitatore come ricordo indelebile.
Capace di unire un Paese, di cancellare le rivalità, di annullare le distanze e “vanificare” i campanilismi: è la maglia azzurra, sotto la quale ci stringiamo ogni volta che la Nazionale scende in campo, nella quale ci identifichiamo quando parte l’inno di Mameli e la mano si appoggia al cuore accarezzando il tricolore. Azzurra come il cielo, azzurra come il mare, azzurra forse in onore di casa Savoia o forse, solo casualmente, per farla vedere meglio nella nebbia milanese della sua gara d’esordio contro l’Ungheria (6 gennaio 1911). Un onore per chi la indossa, un orgoglio per chi la sostiene: lacrime di gioia, ma anche di disperazione, l’hanno bagnata nei suoi 105 anni di storia, durante i quali è stata anche bianca, persino nera, e si è fregiata di 4 stellette, tanti i mondiali vinti. Si è pure tinta d’oro (quella di Buffon) come l’oro della Coppa alzata a Berlino nel 2006.
Un pallone speciale per un’occasione speciale: quello della finale dei Mondiali del 2006, giocata il 9 luglio a Berlino tra Italia e Francia, era… dorato. Identico a quello utilizzato durante tutte le altre partite del torneo, il “Teamgeist Berlin” aveva sei, dei quattordici spicchi che compongono la sfera, colorati d’oro. Una vera e propria “primizia”, come del resto la “personalizzazione” di ognuno dei 15 palloni forniti dall’Adidas alla FIFA per ogni gara, con il nome delle squadre, la data, l’orario d’inizio e lo stadio. Chissà se, quello visto in mostra a Genova è proprio il pallone del vantaggio francese su rigore di Zidane, o quello del pareggio di Materazzi, o addirittura quello dell’ultimo rigore calciato da Fabio Grosso che ha regalato la Coppa del Mondo agli azzurri di Lippi, insaccato nella rete alle spalle di uno sconsolato Barthez…
Da tutti è conosciuta come la “Nazionale Verdeoro” e la sua maglia, la “canarinha” è l’unica che può fregiarsi delle 5 stelle di “pentacampeon”: ma il colore “giallo”, con il quale si identifica il Brasile, ha storia “recente” e del tutto particolare. Il suo “esordio” risale infatti al 20 gennaio 1954 (al Maracanà venne presentata prima di un Flamengo-Botafogo) quando la Confederación Brasileña de Desportos decise di sostituire la divisa biancoblu, fino ad allora adottata, dopo la disfatta del Maracanazo (la Seleçao aveva incredibilmente perso il Mondiale del ’50 contro l’Uruguay). Venne indetto un concorso che fu vinto dal prototipo del 18enne designer Aldyr García Schlee: maglia gialla (l’oro delle miniere), colletto verde (la foresta amazzonica), pantaloncini blu (l’oceano Atlantico). Con la nuova maglia il Brasile di Pelè trionfò al Mondiale di Svezia del 1958.
Matt Busby, allenatore del Manchester United, ne restò folgorato: quel ragazzino delle scuole dell’Est Northumberland, che faceva impazzire le difese avversarie, doveva assolutamente diventare uno dei “Red Devils”. Comincia così la carriera di Robert Charlton, detto Bobby, attaccante che lo stesso allenatore convinse a firmare (appena quindicenne) un contratto per entrare in quella leggendaria (e sfortunata) squadra che prenderà il nome di “Busby babes”. Charlton sopravviverà al disastro aereo di Monaco (morirono 8 suoi compagni) e diventerà uno dei calciatori inglesi più importanti della storia: una Coppa Campioni, una Coppa d’Inghilterra e tre campionati (in 19 anni con il Manchester United), un Mondiale (1966) e un Pallone d’Oro (1966). Nominato cavaliere dalla Regina nel 1994, Sir Bobby incarna ancora oggi la fedeltà e la dignità del calcio inglese.
Per molti era un vero e proprio “obbrobrio”, altri ci intravidero subito un tentativo di “rinnovamento” dopo l’ennesimo campionato anonimo di metà classifica: la Juventus, di un ormai trentenne Gianpiero Boniperti, si presentò ai nastri di partenza della stagione ‘57/’58 con la classica maglia a righe bianconere ma con i numeri in… rosso, colore totalmente estraneo rispetto alle tinte societarie. Era stato il Dottore, il giovane presidente Umberto Agnelli, a chiedere un “cambiamento”, e la scelta del rosso denotava una certa eleganza, un’impronta altolocata che richiamava il rosso della bandiera dei Savoia. La svolta arrivò veramente: la Juve vinse il campionato, ma forse più che il nuovo colore dei numeri, a riportare a Torino lo scudetto furono i “numeri” della nuova coppia gol Charles-Sìvori…
Mondiali 1982, Italia-Brasile, chi vince va in semifinale. Mancano pochi secondi alla fine e la Nazionale di Bearzot è in vantaggio per 3-2, sta per realizzare un’impresa, sta per eliminare il favoritissimo Brasile di Zico e Falcao, e per consegnare alla storia la tripletta di “Pablito” Rossi. Eder batte una punizione sulla quale si avventa Oscar e, di testa, colpisce forte indirizzando verso l’angolo basso. In porta c’è Dino Zoff, 40 anni, il capitano, il monumento azzurro: chiede l’ultimo sforzo ai tacchetti delle sue scarpe e l’ultimo “grip” alla punta dei suoi guanti e quel pallone lo inchioda lì, sulla linea, mentre Socrates esulta invocando il gol, e Bergomi con Gentile guardano attoniti. Interminabili attimi di suspense: la palla non è entrata, l’Italia vince (e vincerà pure quel Mondiale), Zoff esulta. Forse la parata più bella della sua vita, sicuramente la più importante…
Difficile, per non dire impossibile, sintetizzare in poche righe Gianni Rivera, il “golden boy” del nostro calcio, primo Pallone d’Oro italiano (1969) considerato uno dei migliori numeri 10 della storia. Da calciatore, politico o dirigente ha lasciato il segno in ogni campo abbia, metaforicamente e non, messo piede: simbolo del Milan degli anni ’60 e ’70 (19 stagioni coi rossoneri per un totale di oltre 500 partite), ha vinto 3 scudetti, 4 Coppe Italia, 2 Coppe dei Campioni, 2 Coppe delle Coppe, una Coppa Intercontinentale e un campionato Europeo. Finezza ed eleganza nel dribbling, fiuto del gol, senso dell’assist, straordinaria visione di gioco, tocco vellutato: tra i fondatori, nel 1968, dell’Associazione Italiana Calciatori, Rivera è spesso ricordato per quel gol leggendario alla Germania Ovest nella vittoriosa partita 4 a 3 dell’Italia ai Mondiali di Messico ’70.
Per tutti era il “Bomber der Nation”, il cannoniere nazionale, il “piccolo grasso” centravanti capace di vantare, con la maglia della Germania Ovest, più goal segnati (68) che gettoni di presenza (62): Gerhard Müller, detto Gerd, ovvero il “bomber” per antonomasia del calcio tedesco, ovvero (come da definizione dell’enciclopedia Treccani) “grande realizzatore di reti”. Tante, belle, importanti, spesso decisive, a volte facili, altre quasi impossibili: in carriera, un bottino totale di 730 goal in gare ufficiali (ma si dice che, considerando le amichevoli, siano 1461), molti dei quali di testa nonostante un fisico tutt’altro che statuario, che gli sono valsi 4 campionati tedeschi, 4 Coppe di Germania, 3 Coppe dei Campioni, una Coppa delle Coppe, una Coppa Intercontinentale (con il Bayern Monaco), un Pallone d’Oro (1970), un Europeo (1972) ed un Mondiale (1974).
Il calcio e il fascino del numero 10, di un numero “magico”, mai “banale”, di una maglia indossata dai grandi campioni, dai miti, dalle leggende. Perché chi indossa “la numero 10” non può essere uno qualsiasi, ma deve interpretare in tutto e per tutto un ruolo, quello di leader, quello di “stella”. E quando l’avversario legge quel numero, deve subito capire che di fronte ha il più forte, quello dai “piedi buoni”, quello che della squadra è il più carismatico. Non a caso, la storia ci tramanda nomi che del calcio sono l’essenza: da Pelè a Maradona, da Rivera ad Eusebio, da Zico a Platini, da Baggio a Zidane, da Totti a Messi passando da Sivori, Puskas, Matthaus, Ronaldinho, Del Piero, Francescoli, Kempes, Gullit, Ibrahimovic, Rivelino, Laudrup… Tutti meravigliosamente uniti da uno stesso filo, tutti magicamente legati allo stesso numero…
E quando si parla di grandi “numeri 10” non si può non includere anche Luis Suárez Miramontes, detto Luisito, tra i migliori interpreti del ruolo di “regista” a livello internazionale. Una carriera straordinaria ed un palmarès difficile da eguagliare: 2 campionati, 2 Coppe delle Fiere e 2 Coppe di Spagna (con la maglia del Barcellona), 3 scudetti, 2 Coppe Campioni e 2 Coppe Intercontinentali (con quella dell’Inter). In mezzo, un Pallone d’Oro (1960 – unico spagnolo ad averlo vinto) e un Campionato d’Europa (1964) con le “Furie Rosse”. Il suo passaggio dal Barcellona all’Inter (il 1° giugno del 1961), dove ritrovò il “Mago” Helenio Herrera che lo aveva già allenato in blaugrana, portò nelle casse del club spagnolo ben 25 milioni di pesetas (all’incirca 300 milioni di lire) che furono investiti dalla società catalana per costruire un nuovo anello del Camp Nou.
È il più “longevo” torneo calcistico per Nazionali e da poco ha spento 100 candeline: la prima edizione della Copa América risale infatti al 1916 quando la CONMEBOL, la federazione che raggruppa le nazionali del Sud America, organizzò un campionato continentale in Argentina. Se lo aggiudicò l’Urugay, ma alla “Celeste” non fu consegnato alcun trofeo perché la Coppa fu creata nel 1917 da una gioielleria di Buenos Aires (la sua fabbricazione costò 3.000 franchi svizzeri), e messa in palio per la seconda edizione. Alta 75 centimetri, con un diametro di 30, la Coppa America pesa circa 9 kg ed è fissata ad una base in legno con delle piccole targhette dorate recanti i vincitori di ciascuna edizione. Per l’edizione 2015 (detta del centenario) vinta dal Cile, è stata realizzato un nuovo trofeo, ispirato all’originale, placcato in oro con interno in argento.
Primo pallone a passare dai consueti lunghi pannelli alle 18 pezze esagonali di pelle gialla, il “Crack” venne utilizzato ufficialmente per il campionato Mondiale del 1962 in Cile. Prodotto (su disegno del francese Salvador Caussade) in numero limitato e numerato, dalla fabbrica cilena Custodio Zamora, per la gara inaugurale del Mondiale (tra il Cile e la Svizzera) non riuscì a… “ricevere” il calcio d’inizio: ormai introvabile, era andato letteralmente… “a ruba”, e all’Estadio Nacional di Santiago si dovette ricorrere ad un pallone qualsiasi (che tra l’altro si sgonfiò dopo poco) per iniziare la gara. Il pallone ufficiale arrivò nei minuti finali, ma la FIFA non gradì il disguido e, dall’edizione successiva, venne interpellato l’imprenditore tedesco Adolf “Adi” Dassler, fondatore dell’Adidas, che da lì in poi diventerà la fornitrice ufficiale dei palloni mondiali.
Karl-Heinz Rummenigge, detto Kalle, tre sole stagio-
ni con la maglia dell’Inter, molti infortuni e nessun trofeo conquistato, eppure… uno dei calciatori stranieri più amati dal popolo nerazzurro. Arrivò alla corte di Ernesto Pellegrini nel 1984, quando ormai aveva vinto tutto con la maglia del Bayern Monaco (2 campionati tedeschi, 2 Coppe di Germania, 2 Coppe dei Campioni, una Coppa Intercontinentale), con la Nazionale (un Europeo nel 1980) e a livello individuale (2 Palloni d’Oro consecutivi nel 1980 e ‘81). Attaccante potente ed “acrobatico”, dai quadricipiti scolpiti nel marmo e dal tocco raffinato, in Italia non ebbe una parentesi molto fortunata, così come poco fortunato fu il suo “rapporto” con la Coppa del Mondo: perse due finali consecutive, da capitano della Germania Ovest, contro l’Italia (Spagna ’82) e contro l’Argentina (Messico ’86).
In principio fu la “Copa Rio”, quindi la “Coppa Intercontinentale”, fino ad arrivare all’attuale “FIFA Club World Cup”: è la competizione che assegna ad una squadra di club il titolo di Campione del Mondo. Viene disputata annualmente tra le squadre vincitrici dei tornei continentali organizzati dalle sei confederazioni appartenenti alla FIFA, più la squadra vincitrice del campionato della nazione ospitante. La coppa assegnata alla squadra vincitrice (disegnata in occasione dell’edizione del 2005), pesa 5,2 kg ed è alta 50 centimetri. Realizzata da un’impresa di design inglese di Birmingham, rappresenta il globo sostenuto da sette pilastri: sei adiacenti simboleggianti le squadre rappresentative di ogni continente, e uno più isolato simboleggiante la squadra vincitrice. Nel 2010 fu il capitano dell’Inter (del triplete) Javier Zanetti ad alzarla al cielo di Abu Dhabi.
Dopo un campionato trionfale in Serie B, ottenuta con sei giornate d’anticipo la promozione nella massima serie, nell’estate del 1962 il Genoa si assicurò le prestazioni di un estroso diciannovenne proveniente dal Como, Luigi Meroni, detto Gigi, ala dal dribbling ubriacante e… dalla spiccata eccentricità fuori dal campo. Amava la pittura, disegnare cravatte di seta, i vestiti alla moda, i capelli alla Beatles. Due sole stagioni in rossoblù, sufficienti per far innamorare il pubblico genoano, a tal punto che il suo passaggio al Torino nel 1964 (per trecento milioni di lire, cifra mai spesa prima per un calciatore così giovane) scatenò una vera e propria rivolta della tifoseria ligure. A Torino diventerà la “Farfalla granata”, la versione italiana dell’asso del Manchester United George Best, il “beatnik del gol”. Morirà tragicamente investito da un’auto a soli 24 anni.
È passato alla storia per essere stato il primo capitano della Nazionale italiana (nella gara del 15 maggio 1910 contro la Francia), ma Francesco Calì, detto Franz, di pagine della storia del calcio (soprattutto quello genovese) ne ha scritte parecchie… ed in prima persona. Tesserato per il Genoa nel 1901, ne diventerà orgoglioso antagonista l’anno successivo quando darà forte impulso allo sviluppo della squadra di calcio della Società Ginnastica Andrea Doria, di cui diventerà giocatore e allenatore. Difensore “forte e valoroso”, porterà la Doria fino alla conquista di 4 titoli del campionato nazionale della Federazione Ginnastica. Nel 1944 diventerà presidente dell’Andrea Doria, che due anni dopo si unirà agli antichi rivali della Sampierdarenese per formare l’attuale Sampdoria… ma questa è un’altra storia.
È la più antica società calcistica d’Italia, quella in possesso del più “vecchio” documento scritto attestante l’anno di fondazione: il “Genoa Cricket and Athletic Club” nacque ufficialmente il 7 settembre 1893 per mano di un gruppo di nobili inglesi amanti delle discipline sportive, individuali e di squadra, più in voga in madrepatria quali il cricket, il tennis, la waterpolo (pallanuoto) e il football. A quel tempo il calcio non era considerato sport “nobile”, ma il grande interesse suscitato tra la popolazione indusse la neonata società a sviluppare il settore per questa disciplina e a cambiare, tre anni più tardi (grazie a James Richardson Spensley), denominazione in “Genoa Cricket and Football Club”. Inizialmente la squadra utilizzò una divisa bianca, poi bianco-blu a righe verticali, fino al 1901 quando, con la scomparsa della Regina Vittoria, vennero adottati i colori dell’Union Jack, la bandiera britannica: la maglia diventò così metà blu e metà rossa (con il rosso a destra e il blu a sinistra, schienale invertito e manica con facciata di colore opposto), senza alcuno stemma cucito. Sui documenti ufficiali venne utilizzato il simbolo cittadino (due grifoni che sostengono lo scudo con la croce di San Giorgio) e proprio il Grifone (figura araldica costituita dall’incrocio tra un’aquila e un leone) diventerà in seguito l’emblema della società. Nei suoi 123 anni di storia, il Genoa ha vinto 9 campionati italiani (tra cui il primo in assoluto del 1898), una Coppa Italia, due Coppe delle Alpi, una Coppa dell’Amicizia e una Coppa Anglo-Italiana. È stato inserito nell’ “International Bureau of Cultural Capitals” (una sorta di patrimonio sportivo storico dell’umanità) e ammesso nel “Club of Pioneers”, associazione che raggruppa i club di calcio più antichi del mondo.
Correva l’anno 1946, ed esattamente il giorno 12 agosto, dalla fusione tra Sampierdarenese e Andrea Doria, nasceva ufficialmente la Samp-Doria, società calcistica che venne iscritta subito al campionato di Serie A. Già nel 1927, per volontà del regime fascista, si era tentato di unire due tra le più importanti Società di Ginnastica di Genova, ma la “La Dominante” (così venne chiamata la squadra) prima, e la FBC Liguria (con l’assorbimento anche della Corniglianese) poi, segnarono un vero e proprio fallimento sportivo, con lo scontato scioglimento e la susseguente rinascita delle società originarie. Dopo che il conflitto mondiale aveva, in pratica, interrotto ogni attività agonistica, nel 1945 Sampierdarenese ed Andrea Doria tentarono di ripartire tra mille difficoltà e, gravate dai problemi economici, trovarono un accordo per una nuova fusione. Un passaggio salutato senza troppo entusiasmo dalla Genova del pallone, ma unica speranza per evitare la chiusura di entrambe le “filiali” calcistiche delle rispettive società. Per la nuova squadra venne studiata una divisa del tutto particolare, che doveva unire il bianco e blu dell’Andrea Doria, con il rosso e il nero della Sampierdarenese: ne uscì una maglia blu inframezzata da due strisce bianche, una rossa e una nera, con lo stemma di Genova (la croce di San Giorgio) al centro. Nel simbolo della società comparirà in seguito anche la silhouette nera del “Baciccia”, tipico pescatore genovese stilizzato con barba, berretto caratteristico, pipa e capelli al vento. Nel corso della sua storia, la Sampdoria ha disputato 60 campionati di Serie A (compreso l’attuale) e 11 di Serie B, conquistando uno scudetto, 4 Coppe Italia, una Coppa delle Coppe e una Supercoppa italiana, oltre a raggiungere una finale dell’allora Coppa dei Campioni.
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MODULO 1 - PORTO ANTICO 15 Settembre - 13 Novembre 2016
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L’incipit Non ho perso un solo istante della notte prima della finale dei Mondiali 1982. Ho passato ore a confessarmi con il mio allenatore, Enzo Bearzot, stella polare nel cielo di Madrid. Ho aspettato che le stelle si spegnessero a una a una, ho ascoltato il silenzio, ho sfogliato i miei sogni come le pagine di un libro. Indugiando in un limbo di ricordi, timori e speranze, in bilico tra l’Inferno e il Paradiso. Mentre tutti dormivano, a poco a poco si svegliavano le mie emozioni. Nell’intimità del buio riuscivo a viverle fino in fondo. Ed ecco l’alba. Mi sono avvicinato alla finestra, ho visto riflessa la mia faccia nel vetro e, come facevo da bambino nella mia stanzetta a Pisa, ho recitato la formazione dei miei miti: “Riva, Mazzola, Rivera, Facchetti”. Mi mettevo davanti allo specchio appeso all’armadio che dividevo con i miei fratelli, gonfiavo d’aria il mio torace ossuto e cercavo di capire che effetto avrebbe fatto il mio nome pronunciato insieme a quelli di veri campioni: “Riva, Mazzola, Rivera, Tardelli”. A quel punto, buttavo fuori tutta l’aria e mi fermavo. Ma come avrebbero fatto le persone a gridare il mio nome? Mi sembrava impronunciabile. L’ultima volta che la Nazionale aveva incontrato la Germania nella fase finale di un Mondiale risaliva all’epica partita Italia-Germania 4 a 3. L’avevo guardata da un piccolo televisore incastrato in un angolo del retrocucina del Grand Hotel Duomo a Pisa, dove facevo il cameriere. E invece, questa volta, in campo andavo io. Ero il numero 14 della Nazionale di calcio italiana. Erano passati 44 anni da quando avevamo vinto l’ultima Coppa del Mondo, ed era giunta l’ora di riconquistarla. La mia testa era allo stadio Bernabeu, affondavo i piedi nudi nella moquette della stanza come per testare la consistenza del campo. Tutto intorno a me era ovattato. I miei sensi, i miei pensieri erano concentrati sulla finale. Dovevo raggiungere i miei compagni per la colazione, era arrivato il momento di scoprire il mio destino. L’emozione più forte è sempre l’attimo prima della sfida.
Marco e Sara Tardelli
TUTTO O NIENTE La mia storia Mondadori
Marco Tardelli è nato a Careggine (Lucca) nel settembre del 1954 e passa il periodo delle giovanili dapprima nel San Martino (quartiere di Pisa) e poi nel Pisa, con cui fa l’esordio in serie C nel 1972. In carriera ha poi via via giocato con Como (B), nella Juventus (dal ’75 all’’85), nell’Inter e infine nel San Gallo in Svizzera: il suo stop al calcio giocato è al termine della stagione 87/88. Con la maglia della Juve ha vinto cinque scudetti (76/77, 77/78, 80/81, 81/82 e 83/84); due Coppe Italia (78/79 e 82/83), una Coppa dei Campioni (84/85), una Coppa Uefa (76/77), una Coppa delle Coppe (83/84) e una Supercoppa Uefa (84). In Nazionale ha messo assieme 81 presenze: l’esordio l’ha fatto nell’aprile del ’76, proprio a Torino, nell’amichevole tra Italia e Portogallo (3-1); l’ultima nel settembre ’85 (a Lecce, Italia-Norvegia 1-2). Campione del mondo a Spagna 1982, ha pure fatto parte della Nazionale al Mondiale del 1978 in Argentina e all’Europeo 1980 in Italia: in entrambe le occasioni un quarto posto per i nostri. Dopo aver smesso col calcio giocato, eccolo allenatore nell’Under 16 azzurra, passando poi a vice di Cesare Maldini nell’Under 21. Dopo due esperienze di prime squadre con Como (C1) e Cesena (B), è tornato nel Club Italia, guidando l’Under 23 al successo ai Giochi del Mediterraneo e l’Under 21 al titolo di Campione d’Europa. Dopo esperienze in panchina con Inter, Bari, in Egitto quale c.t. e Arezzo, da maggio 2008 a settembre 2013 è stato il vice di Giovanni Trapattoni, c.t. dell’Irlanda. Opinionista sportivo, ha da tempo una sua rubrica (“Sostiene Tardelli”) all’interno di Sabato Sport, in onda su Rai Radio1. Sara Tardelli ha lavorato a lungo con Giovanni Minoli, prima in Rai alla “Storia siamo noi”, poi come autrice e voce di “Mix24” con la rubrica Quota Rosa. Attualmente collabora con Rai Sport a “Il Processo del Lunedì” e “L’istruttoria”, e cura uno spazio ne “La Giostra del Gol”, storico programma di calcio di Rai Italia.
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regole del gioco
di Pierpaolo Romani
Le regole del gioco, il gioco delle regole
Sport: divertimento, non fabbrica di campioni Le regole del gioco, il gioco delle regole. Titolo quanto mai appropriato quello dato all’incontro tra il Presidente AIC, Damiano Tommasi e gli studenti dell’Istituto Murari di Valeggio sul Mincio, anche per raccontare alcuni fatti accaduti in Italia nell’ultimo mese. Sì perché senza regole non può esserci gioco, ma ci sono anche quelli che con le regole ci giocano per giustificare cose e situazioni per lo meno inopportune. È il caso della FIGC che nei giorni scorsi ha sottoscritto un contratto con la multinazionale delle scommesse Intralot per le nazionali di calcio. Tutto regolare, per carità, come hanno tenuto a sottolineare in Federazione. Lo fanno anche in altri paesi – hanno sostenuto i dirigenti del calcio italiano – e alcune squadre si fanno finanziare da altre aziende del settore. Inoltre, il logo di Intralot non comparirà sulle maglie. Tutto vero. Peccato che la Nazionale non sia un bene privato, ma un bene pubblico e che nella squadra giochi anche qualche minorenne – a cui il gioco d’azzardo è vietato – particolarmente dotato di talento. Viviamo in un paese, dove il rapporto tra calcio e scommesse ha lasciato un segno negativo anche in tempi recenti. Diverse procure italiane, a partire da quella di Cremona, hanno fatto emergere l’esistenza di organizzazioni criminali transnazionali che, attraverso l’esercizio della corruzione di calciatori e dirigenti e, in alcuni casi, mediante il ricorso alle intimidazioni e alle minacce, ha pilotato incontri di campionati professionistici,
alterando in tal modo i risultati di diversi campionati e minando la fiducia di milioni di tifosi, come ha recentemente documentato anche l’Atlante del tifo curato da Ilvo Diamanti. Non solo. La Direzione nazionale antimafia da tempo ha lanciato l’allarme sulla penetrazione delle mafie nel sistema calcio e in quello delle scommesse. Quello del gioco d’azzardo è un mercato importante. Nel 2015 il fatturato in Italia è stato di 88 miliardi di euro. I mafiosi non solo cercano di alterare i risultati delle partite ma, una volta certi dell’avverarsi del risultato illecitamente pattuito, ci scommettono sopra a colpo sicuro. Dove? Nelle agenzie che gli stessi hanno acquistato in paesi esteri o mediante siti on line i cui server sono posizionati in stati blindati alle indagini. Da ultimo, vi è un tema riguardante gli aspetti sanitari e di sicurezza. Secondo le più recenti stime, circa la metà della popolazione adulta italiana ha scommesso almeno una volta nell’ultimo anno. Di questa mole impressionante di cittadini, quasi due milioni presentano un rischio minimo di problematicità e un altro milione è a rischio o ha già sviluppato seri problemi legati alla dipendenza da gioco d’azzardo (Gap). Problemi che si traducono, ad esempio, nello sperpero dei risparmi personali e di famiglia, nell’aumento della violenza domestica – qualcuno ha ucciso pur di avere i soldi per andare a giocare – nell’aumento di separazioni e divorzi, nel licenziamento dal posto di lavoro, anche per questioni legate al fur-
to di denaro, oppure nel compimento di altri reati. Qualcuno dal gioco è finito per passare all’utilizzo di psicofarmaci o di droghe sempre più pesanti, rovinando la vita a se stesso e ai proprio congiunti. AIC, altre associazioni, partiti e movimenti politici di varia estrazione hanno chiesto a FIGC di fare un passo indietro rispetto al contratto sottoscritto con Intralot. Persino un paio di sottosegretari – Baretta e Bubbico – hanno espresso perplessità sulla sottoscrizione dell’accordo. Avvenire, il giornale dei vescovi italiani, ha lanciato una campagna di stampa. Al momento non si registra alcuna retromarcia da parte della Federazione. Questa rubrica non smetterà di seguire le vicende sopra citate. Ci salutiamo con le parole che Damiano Tommasi ha regalato ai giovani studenti di Valeggio: “Impariamo ad essere responsabili delle nostre scelte. Facciamo sport per divertirci, non per diventare o fabbricare dei campioni”.
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Uno per tutti tutti per Unico1
Un ambasciatore speciale… Ho dieci minuti di tempo. Sono in clinica, aspetto il secondo tempo e provo a mettere qualche riga. Grazie semplicemente se mi leggi. Due pali, una traversa, una maglia sudata sulla rete e quei sogni toccati con un calcio di rigore. È da quando nasci che dentro di te hai un segreto. Lo cresci e lo senti quando dai i primi calci a qualcosa che rotola, la prima squadra con i ragazzetti della tua età, quella magliettina che ti va bene con qualsiasi numero, le corse, la gioia e la sensazione di essere già grande. I primi avversari, il campionato e i tuoi occhi accesi a raccontare a mamma le tue partite. Il primo mister che non ci capivi niente, gli scarpini come quelli di Baggio e di Totti, i guanti di Zoff e di Buffon… pure dalla panchina ti sentivi un campione: è così che a volte finisce una storia e comincia una favola. Lo stadio pieno di gente, gli striscioni a dipingere le curve, i cori dei tuoi tifosi e gli applausi scroscianti in ogni emozione creata. Ti trovi di fronte l'avversario più bravo, il primo della classifica. La stretta di mano, il capitano e quei nomi sulle maglie che hai visto solo in televisione: sei lì con loro. Un rinvio, un passaggio, un colpo di testa. I tuoi colori di maglia e i valori che da casa tua hai portato nei campi di calcio: il rispetto verso colui che ti fa lo sgambetto, l'abbraccio a fine partita con chi ti ha segnato il gol decisivo: hai perso ma non hai motivo per essere arrabbiato. Il cambio di maglia sulla scala dello spogliatoio, i bimbi che gridano il tuo nome e lo scrivono sui muri di scuola. Le parole del mister sono come fendenti, rasoiate all'incrocio che ti fanno tremare, ma tu sei qui per giocartela fino alla fine, sei qui per imparare… su la testa dopo la sconfitta, perché diventerai più forte se ti rendi conto che sei in una squadra infinita. Tutti per uno e uno per tutti, pronti a lottare per crescere ancora e per raggiungere l'obbiettivo che era il tuo sogno sin da bambino. Ora sei là, ora hai tutto solo se impari a vederlo.
Due pali, una traversa, una maglia strappata sulla rete e quei sogni infranti da un calcio di rigore. Il lettino è sempre lo stesso, stesse luci, stesso stadio senza tribune e solito arbitro dal camice bianco. La tua maglia è un pigiama di stoffa dove ormai ci hai scritto con l’anima: poche partite ti restano alla fine del tuo campionato… il campionato della vita. Niente scarpini di Baggio e di Totti, i guanti di Buffon sul bordo del tuo comodino, i tuoi sogni persi nelle lacrime di un male che vuole togliere il sorriso anche ad un bambino. Le prime terapie, le prime speranze e quelle parole di un arbitro vestito di bianco in cui non ci capivi più niente. Lo sguardo di una madre perso nel tempo che non ritornerà mai più. Le scale dello spogliatoio, il sapore che non è della tua pelle ma di una terapia che ti fa star male solo a chiamarla… niente nome sulle schiene degli avversari. Una palla bucata e due righe sul calendario. La prima partita in casa, giocata con gli occhi aperti e i pugni chiusi. Quanti sacrifici vorresti fare, quante maglie vorresti sudare pur di alzarti da questa partita che se la perdi ti toglie la vita. E giù a testa bassa con la fede in un Dio che quando lo preghi ti senti un po' meglio, ma dopo uno sgambetto ti ritrovi disteso sul petto, vorresti piangere o forse che tutto finisse per sempre. Ma poi la televisione accesa grida forte i vostri nomi, le vostre squadre, i vostri gol… ma che parata Sorrentino, assist di Gobbi e Pellissier insacca… Marchisio al centro, colpo di tacco, arriva Dybala e sfiora l'incrocio… scatto di Montolivo, passaggio al centro. Nulla di fatto ma sempre sul pezzo… Totti… rigore: il cucchiaio gonfia la rete. Io e chi come me, ci si ferma così – nel nostro silenzio – ad ascoltare: è questa la terapia della vita. Voi siete tutto quello che un bambino può sognare, voi fate la differenza tra il tener duro e il mollare per sempre, voi potete cambiare la forza, potete dare il coraggio,
potete inventare una favola ed è per questo che se solo imparate a vedere che il colore della pelle o della maglia è semplicemente un dettaglio senza fine, allora scoprirete che anche da questo misero lettino dove non sai nemmeno se è sera o se è mattino, gente come me piccola e senza valore, guardando voi si sente un campione. Senza di voi io cadrei dopo pochi minuti, mentre quando mi fate scendere nel prato verde insieme alle vostre magliette, non smetto mai di sentirmi forte e trovo lo stesso coraggio di chi sfida i campioni del mondo. È stato bellissimo domenica essere in campo con il vostro capitano e vedere in televisione quello che regalate alla vita. Scusatemi se sto ancora lottando, se vi ho disturbato e se scrivendo ho semplicemente cercato di non piangere per qualche minuto. Vorrei con tutto il cuore dirvi grazie di esistere e vorrei abbracciare ognuno di voi che con una palla al piede donate momenti straordinari ad ogni persona. Grazie meravigliosi ragazzi, grazie. La terapia mi aspetta… non si molla niente adesso.
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primo piano A Coverciano il 3 ottobre scorso
Consiglio Direttivo AIC Si è discusso di riforma dei campionati, della situazione delle società di Lega Pro, di vincolo e utilizzo dei giovani nei campionati dilettantistici. Presentato il progetto del nuovo Ufficio legale e l'iniziativa con l'Università telematica San Raffaele Roma per il corso di laurea in Scienze Motorie completamente dedicato al calcio. Riforma dei campionati Per quanto concerne il progetto di riforma dei campionati, è stata convocata dalla FIGC una riunione ufficiale (alla quale ha partecipato anche l’AIC) dalla quale sono emerse importanti linee guida. Concettualmente è emersa la necessità di creare un sistema di norme più restrittivo per l’ammissione ai campionati, e la riforma dovrebbe quindi basarsi più sulla sostenibilità del sistema che sul taglio incondizionato di squadre.
Lega Pro, fortunatamente, non sono molte: se si escludono alcuni casi (come ad esempio l’Ancona), dalle ultime verifiche della commissione preposta, la situazione dei pagamenti sembra sotto controllo. Indipendentemente dalla Covisoc, la commissione di controllo segnala puntualmente chi è in regola coi pagamenti del mese precedente, in modo che la Lega possa elargire o meno le spettanze dovute ai club. In caso di morosità la Lega,
Si potrebbe verificare quindi un ulteriore inasprimento delle attuali norme; l’AIC ha già esplicitato che, per una logica globale di sistema, non dovranno essere bloccati i ripescaggi e che gli eventuali nuovi parametri potranno essere ben utilizzati per completare gli organici. Quindi norme più “serie” che non partano da un numero (il taglio di squadre storicamente non risolve il problema), ma che tengano presente non solo l’aspetto economico e infrastrutturale ma anche quello di un progetto tecnico a lungo termine.
tramite un commissario, utilizzerà le risorse per pagare le mensilità dei calciatori e non altre pendenze come è successo in passato. Le risorse di sistema, così facendo, rimangono vincolate al solo pagamento degli stipendi.
Situazione squadre Lega Pro Allo stato attuale le situazioni di criticità in 20
Ufficio Legale AIC È stato deciso di istituire un “Ufficio legale AIC”, dando un nuovo aspetto alla figura dell’avvocato che segue le pratiche dei calciatori, ruolo che per anni è stato ricoperto con profitto dalla rete dei Fiduciari, creata dall’Associazione nel 1975 su tutto il territorio nazionale. L’Ufficio legale potrà contare su un numero ristretto di avvocati
specializzati in materia calcistica, per rendere più specifico questo ambito e per efficientarlo da un punto di vista operativo.
Dilettanti: vincolo ed obbligo giovani La rivisitazione del vincolo nei dilettanti rimane uno degli obiettivi principali dell’AIC e tema che andrà nuovamente affrontato, aprendo un tavolo di confronto, non appena sarà eletto il nuovo Presidente della Lega Dilettanti. Oltre al vincolo, argomento molto sentito è quello dell’obbligo di utilizzo dei giovani: a tale proposito i dati di una ricerca effettuata sui calciatori del 1995, obbligatori nella passata stagione, ci dicono che quasi la metà di questi oggi risulta svincolato. Ancora una volta le statistiche forniscono indicazioni precise: i giovani di una determinata classe giocano soltanto perché legati agli obblighi della normativa e, paradossalmente, hanno un mercato molto proficuo a prescindere dal loro reale valore tecnico. Senza contare che in molti abbandonano la scuola per inseguire la prospettiva di una carriera nel calcio professionistico. Scaduti gli obblighi escono dal mercato, rischiando di non giocare più, o tornano utili in categorie inferiori dove persistono normative legate all’età, innescando un meccanismo contrario da un punto di vista tecnico che va proprio contro il criterio di “formazione”. Università del calcio Il Presidente Tommasi ha relazionato i presenti sull’accordo con l’Università Telematica San Raffaele Roma, che ha portato all’istituzione della prima “Università del Calcio” per l’anno accademico 2016/17. Il progetto prevede un corso di Laurea in Scienze Motorie completamente dedicato al calcio che, per valore culturale e portata, ha ottenuto il patrocinio del CONI, della FIGC, delle Leghe (A, B, Lega Pro e LND), AIA e AIAC.
primo piano
Studiare il calcio… in tutti i suoi elementi
Nasce anche in Italia la prima “Università del Calcio” Un corso di Laurea, completamente dedicato al Calcio, dell’Università Telematica San Raffaele Roma, con la collaborazione dell’AIC.
Per tutti gli associati AIC sarà attuata una convenzione che prevede condizioni di iscrizione agevolate, 10 borse di studio e l’esonero totale delle tasse universitarie per gli iscritti (professionisti e di Serie A femminile) che avranno conseguito tutti gli esami dell’anno accademico in corso entro la sessione autunnale (settembre/ ottobre) con una media di almeno 27/30. Il corso seguirà il normale iter della laurea triennale in Scienze Motorie, dopo la quale si potrà proseguire con l’attivazione dei bienni di specializzazione in materia calcistica probabilmente riferiti a 4 indirizzi. Un percorso totalmente telematico tranne la sessione degli esami che si svolgerà a Coverciano.
Per finire Il Consigliere federale Perrotta, in qualità di responsabile, ha relazionato quindi i presenti sulle attività dei due dipartimenti, Junior e Senior. Obiettivo principale è quello di creare una cultura sportiva diversa a partire dai giovani: si è studiato un modello formativo AIC, su come fare sport a 360 gradi, adottandolo negli AIC Camp, nello Street Soccer Tour e nelle scuole calcio che hanno deciso di sposare il progetto, che prevede la formazione a partire dai tecnici, passando dai ragazzi per finire ai genitori. Sono stati coinvolti alcuni ex calciatori sul territorio, creando di conseguenza importanti opportunità di lavoro. Rispetto allo scorso anno sono aumentate le scuole calcio e AIC sta cercando delle sponsorizzazioni per allargare ulteriormente l’iniziativa. Perrotta ha inoltre recentemente incontrato il sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi per vedere di coinvolgere in un Camp i bambini dei comuni colpiti dal terremoto.
L’Università Telematica San Raffaele Roma, con la collaborazione dell’Associazione Italiana Calciatori, ha istituito e attivato, per l’anno accademico 2016/17, un nuovo indirizzo curriculare del Corso di Studi di Scienze Motorie, un percorso inedito ed innovativo che si propone di contribuire a sviluppare il livello di professionalità degli operatori del “Sistema Calcio”. Nasce, anche in Italia, la prima “Università del Calcio”. Un corso di Laurea completamente dedicato al Calcio, inteso come fenomeno sportivo, tecnico, sociale e manageriale. L’obiettivo del percorso di studio (che prosegue l’esperienza più che positiva della “cattedra sul calcio” - istituita tre anni fa) è quello di formare un professionista in ambito calcistico con adeguata preparazione culturale di base e con le competenze metodologiche necessarie per condurre, gestire e valutare semplici programmi di attività motoria e sportiva a livello individuale e di gruppo nel calcio. NON un allenatore, quindi, ma un “operatore” preparato che contribuisca a far progredire ulteriormente il processo di professionalizzazione attualmente in atto nel mondo dello sport, in generale, e del calcio, in particolare. Tale obiettivo nasce dalla consapevolezza del mutamento che il mondo del calcio e
il “sistema delle istituzioni e delle società” hanno subito in questi ultimi anni, aprendo prospettive lavorative completamente inedite a neo-laureati qualificati. Prospettive che sussistono tanto a livello professionistico che dilettantistico e che sono in grado, se interpretate con adeguate professionalità, di garantire nuove, durature e concrete opportunità professionali. Il Corso di Laurea (primo ed unico in Italia) coinvolge, nelle lezioni erogate in modalità telematica ed in presenza, varie professionalità, in rappresentanza delle differenti anime del calcio: dalle Leghe al mondo delle “componenti tecniche”; dai calciatori agli arbitri, passando per gli allenatori e i manager. Tutti professionisti che operano nel settore da anni, con un altissimo livello di qualificazione accademica e tecnica. Per il suo valore culturale e per la sua portata, il progetto ha ottenuto il patrocinio del CONI, della Federazione Italiana Gioco Calcio, della Lega di Serie A, Serie B, Lega PRO, LND, Associazione Arbitri e dell’Associazione Allenatori. I patrocinatori saranno coinvolti nelle attività didattiche relative ai propri ambiti di competenza. Per info e contatti: info@unisanraffaele.gov.it comunicazione@assocalciatori.it
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politicalcio
di Fabio Appetiti
Sergio Pirozzi, sindaco di Amatrice
“Io non perdo mai, perché o Ci sono alcuni messaggi di questa intervista che, stampati nella coscienza di ogni italiano, farebbero del nostro un paese migliore. La solidarietà nelle difficoltà. La politica intesa come servizio ai cittadini, alla Polis. La serietà e la capacità di collaborare al di là di ogni colore politico. L' assumersi responsabilità e fare tesoro degli errori propri, prima di indicare quelli altrui. Sergio Pirozzi è un sindaco e, si vede, un uomo di Sport. E sembra assurdo parlare di calcio quando intorno ci sono solo macerie. Ma parlare di calcio e di sport è stato un modo per dire che la vita continua e ci si deve rialzare e ripartire. Ci vediamo presto al campo, Sergio. Si dice che la vita può cambiare in un minuto… come è cambiata la tua vita dopo quel minuto delle 3.39 del 24 agosto? “Prima di tutto quello che avevi non ce l’hai più e apprezzi cose a cui prima non davi il giusto valore… la semplicità di tutti i giorni, la doccia, l’acqua calda, la Coca Cola… Io mi auguro che i nostri figli sappiano cogliere il valore di questa tragedia e da qui ripartire dando il giusto valore alle cose e non pensino più solo a cambiare il telefonino ogni mese. Da quella notte ho una prospettiva diversa della vita ed anche una percezione diversa: una notte di pioggia prima era solo una notte di pioggia, ora penso a cosa può comportare, a cosa può accadere, se crollano le case, le strade, i ponti…”. A proposito di quella notte, dove stavi e cosa è accaduto nelle prime ore? “Era stata una giornata come le altre, la mattina ero partito per andare ad allenare il Trastevere ed ero rientrato come sempre la sera. Proprio quella sera c’era stato il cinquantesimo anniversario della Amatrice Calcio ed ero stato uno dei protagonisti di quella serata, perché sono stato io a portarla dalla 2ª Categoria alla Promozione e ad avviare la scuola calcio qui. La notte ero a casa. Subito dopo la scossa
ho portato fuori in uno spazio verde la mia famiglia, dove c’era tanta gente che strillava ed era impaurita. La dimensione della tragedia l’ho avuto appena uscito di casa perché ho visto Porta Carbonara (che sta lì dal 1400 ed è stata restaurata nel 1630 dopo un sisma simile) che non c’era più. La verità è che mi ricordo poche cose. La telefonata di un amico che mi ha detto che Amatrice era distrutta, di aver fatto chiudere il metano perché c’era il rischio delle esplosioni e poi, visto che era saltata la luce, ho mandato un amico che piangeva a prendere il gasolio che serviva per l’illuminazione dell’elisuperficie, dove dovevano atterrare gli elicotteri. Mi ricordo la prima riunione fatta qui al liceo scientifico con i soccorritori alle 9.30 e poi il dramma dei riconoscimenti con l’assessore Bruno Porro al quale è toccato riconoscere il papà e la mamma deceduti. Questo il momento più difficile, c’erano persone conosciute e sconosciute e il dramma dei parenti che chiedevano notizie riguardo la loro sorte”. La macchina dei soccorsi stavolta sembra abbia funzionato e poi, ad un certo punto, qualcuno ha parlato anche di tue responsabilità… “È così, noi siamo un popolo che nelle emergenze sa mobilitarsi, i soccorsi e gli aiuti sono stati imponenti, tanta gente è stata tirata fuori grazie all’aiuto di tante persone volontarie e istituzioni. Ad un certo punto eravamo anche troppi ed abbiamo dovuto fermare persone e beni che stavano arrivando in quantità. Io ho cercato di fare il possibile per aiutare e coordinare i soccorsi. Sì, qualcosa ho sentito e letto, ma non gli ho dato alcun peso, prima di parlare bisognerebbe conoscere le situazioni
e studiare. In questo mestiere, come in quello di un calciatore, non si può barare. Io so quello che è stato il mio lavoro in questi anni ad Amatrice ed ho la coscienza tranquilla”. Tu, sindaco di centrodestra , ti sei rapportato con il presidente della Regione Zingaretti e con il premier Renzi: come è stato ed è il rapporto con loro? “Quando fai il sindaco conta solo l’amministrazione, non ci sono colori politici. Con entrambi ho un bel rapporto e stiamo lavorando in sintonia. Con Nicola, lo chiamo Nicola, avevamo discusso due anni fa per questioni legate all’ospedale di Amatrice, ma poi lui ha riconosciuto le mie ragioni e lo considero una persona intelligente e seria oltre che un mio amico. Con Matteo, perché anche lui lo chiamo Matteo, anche quando lo chiamavo alle 6.30 la mattina, lui mi rispondeva. In modo particolare mi ha ascoltato in occasione del funerale delle vittime del terremoto dove, inizialmente, si era partiti con la decisione di farli a Rieti. Quando io lo chiamai, lui mi ha capito e ha riportato i funerali ad Amatrice. Io penso che conta la serietà delle persone, spesso in politica si creano delle divisioni artificiali, se le cose sono giuste sono giuste e se uno è bravo è bravo, se uno è serio è serio. Io alle istituzioni chiedo solo il giusto per la mia gente”. Sergio, io e te ci conosciamo da anni e ci incontravamo sui campi. In comune due grandi passioni il calcio e la politica Questa rubrica si chiama Politicalcio. Che cosa hanno in comune questi due mondi secondo te?
politicalcio
vinco o imparo” “Fare il sindaco nei piccoli centri è fare politica nel senso nobile del significato. Polis come fare qualcosa per gli altri, per la gente, per i cittadini. Sono due grandi passioni e sono un uomo fortunato perché faccio le cose che sognavo da bambino, fare il sindaco e l’allenatore di calcio. Diciamo che facevo fino al 23 agosto, perché non immaginavo certo che sarei stato il sindaco del terremoto dopo 400 anni. Ho perso tanti amici che conoscevo, il barista, la ragazza che andava a scuola con mio figlio, il fornaio, il macellaio. Non avrei mai immaginato questo (si commuove Sergio e il suo vocione reso rauco dalle troppe sigarette fumate in queste notti, si incrina un po’) ma si vede che ognuno ha un suo destino”. Sarai anche il sindaco della ricostruzione… “Chi viene dal mondo dello sport è abituato ad allenarsi e a fare i sacrifici. È abituato anche alle sconfitte perché sa che subito dopo si rigioca e si può cercare la vittoria. E poi ho un motto che mi accompagna “Io non perdo mai” perché o vinco o imparo. Quando io perdevo in campionato pensavo subito a dove avessi sbagliato io. In un mondo invece troppo abituato a dare sempre le colpe ad altri, secondo me è il modo migliore per fare tesoro degli errori e ripartire. Io sto lavorando giorno e notte per far ripartire Amatrice”. Proviamo a parlare di calcio. Guardandoci intorno non è facile… Quanto ti manca la panchina? “Mi manca molto anche se sto in contatto quotidianamente con i ragazzi del Trastevere e cerco comunque di caricarli tramite telefonate e messaggi anche prima delle partite. Avevamo costruito una bella squadra piena di giovani a parte Tajarol e Paolacci. Mi mancano mol-
to, ma ora la mia priorità è fare il sindaco a tempo pieno”. Se vuoi vincere il campionato di Serie D prendi Pirozzi. Questa frase l’ho sentita molte volte. L’impegno da sindaco ha limitato le tue ambizioni da professionista? “Per alcuni versi sì. Le responsabilità del ruolo di sindaco mi hanno portato spesso a non vivere in modo esclusivo il mondo del calcio, anche se ormai ero abbastanza allenato a svolgere entrambi i ruoli. È chiaro però che ho sempre cercato di non allontanarmi troppo da Amatrice ed a non considerare impegni professionistici lontano dalla mia regione che pure mi si sono presentati”. Ti ispiri a qualche tecnico di Serie A? “Io mi ispiro solo a Sergio Pirozzi. Per ispirarti a qualcuno devi aver giocato a certi livelli, in Serie A. Chi ha giocato a quei livelli fa bene ad ispirarsi a modelli di allenatori che ha visto lavorare, raccogliendo segreti ed idee di quanto insegnato loro. Chi però, come me, non ha avuto grandi esperienze di calciatore deve costruire un suo modello e una sua identità”. Prima mi dicevi che ti piace lavorare con i giovani: che ne pensi della regola degli Under nelle serie dilettanti? “Per me non serve a nulla e crea un mercato parallelo utile solo a qualche società di puro settore giovanile. Tra l’altro finito il periodo di età di Lega, molti di questi ragazzi smettono. Io sono per i giovani ed ho fatto sempre squadre di giovani, ma non serve imporre regole che di fatto riducono anche la competitività dentro al gruppo, perché questi ragazzi sanno che debbono giocare per via delle quote. I ragazzi bravi giocano a prescindere e quando sono bravi emergono, mi viene in mente Moscardelli ad esempio. Una esperienza gratificante per me con i giovani è stata quella della Primavera dell’Ascoli e sono ancora molto legato a molti di quei
ragazzi come Bellusci, Di Tacchio, Giorgi che ora giocano in categorie importanti”. Ci siamo per un po’ dimenticati di tutto quello che c’è intorno. Scelta secca tra una panchina importante ed un importante incarico politico cosa scegli ? “La panchina, sempre. Il calcio è il mio mondo, io sono nato qua partendo dalla Seconda Categoria e ho fatto grandi sacrifici per il calcio, ho fatto spalare la neve talvolta per giocare coinvolgendo tutta la città, i bambini, la scuola calcio. Ho tanti ricordi legati al calcio che non saprei immaginarmi senza. Ho un libro pronto che racconta “il mio calcio all’amatriciana” al quale purtroppo dovrò aggiungere questo drammatico capitolo del terremoto e che racconta i tanti riti, le partite e le persone che ho incontrato nel corso di 50 anni”. Il tempo è terminato, ci sarebbero altre domande ma tutti chiamano Sergio.Ti porto l’abbraccio di tutti i calciatori che si stanno spendendo in tante iniziative di solidarietà in tutta Italia… “I calciatori sono tutti bravi ragazzi, a parte talvolta qualche atteggiamento un po’ troppo da divi che ne danno magari poi un immagine un po’ distorta. Non mi piacciono quando arrivano al campo con gli occhiali da sole perché io li voglio sempre guardare negli occhi, ma so che tutti hanno un cuore grande e tra loro ci sono ragazzi dotati di grande intelligenza e di grande sensibilità che possono davvero trasmettere e insegnare valori anche nella loro vita dopo il campo di calcio. A tutti va il mio abbraccio e il mio ringraziamento e quello di tutti i cittadini di Amatrice e dò a tutti appuntamento per una partita della ricostruzione non appena sarà di nuovo reso agibile lo stadio”. Ciao Sergio, buon lavoro e Forza Amatrice! 23
calcio e legge
di Stefano Sartori
Questo mese parliamo di…
Decadenza del tesseramento Con CU n. 6/TFNT del 24 novembre 2015 il Tribunale Federale Nazionale - Sezione Tesseramenti (TFN) ha deliberato sulla sussistenza o meno del tesseramento del calciatore professionista Daniele Bazzoffia. Il caso si presentava molto interessante perché aveva per oggetto la relazione tra la supposta decadenza di un vincolo contrattuale e l’aggiornamento del TMS, il sistema informatizzato ideato dalla FIFA per permettere la semplificazione del processo di trasferimento internazionale dei calciatori, il miglioramento della trasparenza e l’ottimizzazione del flusso di informazioni.
I fatti In data 25 agosto 2014, Daniele Bazzoffia sottoscriveva con la società portoghese Olhanense un contratto con scadenza 30 giugno 2017. Il 28 gennaio 2015 Olhanense, AS Cittadella ed il calciatore concordavano la cessione temporanea del contratto alla società italiana; il prestito aveva scadenza 30 giugno 2015, salvo esercizio entro tale data da parte del Cittadella del diritto di opzione previsto nella cessione. Il diritto di opzione non veniva esercitato e pertanto dall’1 luglio 2015 il calciatore rientrava presso l’Olhanense con la quale però, in data 31 agosto 2015, sottoscriveva una risoluzio-
ne consensuale del contratto. Convinto di essere svincolato, una volta rientrato in Italia Bazzoffia chiedeva di tesserarsi con la Lupa Roma ma la ratifica veniva negata dall’Ufficio Tesseramenti della FIGC perché dal sistema informativo risultava ancora tesserato per l’AS Cittadella. Preso atto della situazione, il calciatore chiedeva in data 29 ottobre 2015 l’adempimento degli obblighi contrattuali e l’immediata reintegrazione nella prima squadra ex art. 7 dell’Accordo Collettivo. La società si rivolgeva quindi al TFNSezione Tesseramenti per contestare l’inadempimento della Olhanense consistente nel non avere aggiornato tempestivamente il sistema informativo TMS e sostenendo altresì che, in ogni caso, non avendo esercitato il diritto di opzione il contratto doveva essere ritenuto scaduto al 30 giugno 2015. Nella memoria di costituzione Bazzoffia eccepiva preliminarmente il difetto di giurisdizione del TFN a favore invece della Camera per la Risoluzione delle Controversie (DRC nell’acronimo inglese) costituita presso la FIFA, mentre nel merito deduceva la inosservanza da parte dell’AS Cittadella delle disposizioni normative in tema di aggiornamento del TMS.
La decisione del TFN Nonostante quanto formalmente statuito dall’Ufficio Tesseramenti della FIGC, la sezione Tesseramenti ha ritenuto fondato il ricorso proposto dalla società nei termini che seguono. In primo luogo, è stata disattesa l’eccezione di difetto di giurisdizione del TFN in quanto la questione sottoposta e che si basa sul fatto che l’AS Cittadella non abbia esercitato l’opzione per l’acquisto definitivo e che in data 31 agosto 2015 l’Olhanense ed il calciatore abbiano risolto consensualmente il contratto, non rientra in nessuna delle previsioni di cui all’art. 22 del Regolamento FIFA sullo Status e sul Trasferimento dei Calciatori.
Si tratta infatti di controversie tra società e calciatori sul mantenimento della stabilità contrattuale ove sia stata avanzata una richiesta di CTI, in materia di rapporto di lavoro avente dimensione internazionale, tra società o federazione ed un allenatore, oppure relative all’indennità di formazione, ai meccanismi di solidarietà ed infine relative a società appartenenti a Federazioni diverse e che non rientrino nei casi precedenti. Dunque, accertata la propria giurisdizione, il TFN ha altresì risolto la questione di merito riaffermando la validità del principio della prevalenza della sostanza sulla forma. E’ accertato che l’AS Cittadella non abbia esercitato il diritto di opzione per l’acquisto definitivo; che il calciatore sia rientrato alla Olhanense e che abbia consensualmente risolto in data 31 agosto 2015 il contratto di prestazione sportiva; che, fatto rientro in Italia, abbia ritenuto di potersi tesserare ex novo con un’altra società. Non c’è invece alcun elemento che dimostri la volontà dell’AS Cittadella e di Daniele Bazzoffia di stipulare un altro nuovo e diverso contratto atto a confermare la rispettiva comune volontà di proseguire il rapporto e, proprio questa mancanza di fatto, non può essere superata da eventuali vizi della procedura di aggiornamento del TMS che, se provati, potrebbero al massimo incidere sotto il profilo risarcitorio ma non sul piano del tesseramento. Una diversa conclusione comporterebbe la prevalenza puramente formale costituita dalla permanenza nel sistema informativo FIGC del tesseramento per l’AS Cittadella rispetto al dato sostanziale caratterizzato dalla accertata ed incontestabile volontà delle parti di non dare seguito al rapporto contrattuale. Pertanto, il TFN-Sezione Tesseramenti ha accolto il reclamo della società dichiarando cessato il tesseramento del calciatore Bazzoffia Daniele a far data dall’1 luglio 2015.
calcio e legge Per la stagione 2016/17
Lo svincolo per i calciatori “giovani” Presentiamo a seguire le varie ipotesi di svincolo previste per una categoria specifica di calciatori, la cui attività si svolge sotto l’egida del Settore Giovanile e Scolastico: i calciatori “giovani”, tesserati rigorosamente con vincolo annuale, nati negli anni che vanno dal 2000 al 2010.
Svincolo per inattività 1) Svincolo per inattività Il calciatore “giovane”, vincolato con tesseramento annuale, che dopo 4 giornate dall’inizio del campionato, non abbia preso parte ad alcuna gara, per motivi a lui non imputabili, può richiedere lo svincolo per inattività. A tal fine il calciatore deve inviare lettera raccomandata con ricevuta di ritorno firmata anche dai genitori (o dagli esercenti la potestà genitoriale) al Comitato Regionale competente territorialmente (rimettendone copia, a mezzo raccomandata, anche alla società di appartenenza); la ricevuta della raccomandata diretta alla società deve essere allegata alla lettera inviata al Comitato Regionale. La società può proporre opposizione entro 8 giorni dal ricevimento della richiesta, con lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, inviata al Comitato Regionale e per conoscenza al calciatore. L’opposizione non effettuata da parte della Società nei modi e nei termini indicati, è considerata adesione alla richiesta del calciatore. 2) Svincolo per inattività concordato con il club Lo svincolo per inattività può essere richiesto d’accordo con la società, prima dell’inizio dell’attività calcistica (Campionati o Tornei). Tale richiesta, firmata dal calciatore e dai genitori (o gli esercenti la potestà genitoriale), dovrà essere inviata per raccomandata con ricevuta di ritorno al Comitato Regionale competente, comprensiva dell’assenso della società d’apparte-
nenza e dall’originale del cartellino attestante il tesseramento
Altre possibilità di svincolo o di revoca del tesseramento 1) Revoca del tesseramento per gravi e documentati motivi di carattere eccezionale Gli esercenti la potestà genitoriale possono richiedere la revoca del tesseramento, inviando la richiesta a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento direttamente al Settore Giovanile e Scolastico Nazionale e alla società per la quale il calciatore è tesserato, allegando la documentazione per la quale si richiede la revoca. Alla raccomandata inviata al Settore Giovanile e Scolastico dovrà essere allegata anche la ricevuta della raccomandata diretta alla società. La mancata opposizione alla richiesta di revoca da parte della società, entro 8 giorni dalla ricezione della raccomandata, viene considerata adesione, ed il Settore provvederà automaticamente allo svincolo. Le richieste di revoca prive della ricevuta della raccomandata inviata alla società e/o della idonea documentazione sono automaticamente respinte. 2) Svincolo per rinuncia Tale tipo di svincolo viene concesso a quei calciatori, tesserati con vincolo annuale entro il 30 novembre, ai quali la società intende rinunciare. La società dovrà inserire tali calciatori in lista di svincolo nei termini prefissati dalla Federazione ed inviare tale documentazione ai Comitati di competenza, a
mezzo plico raccomandato con avviso di ricevimento. Solitamente i termini di scadenza per presentare tale documentazione vanno dall'1 al 16/17 dicembre di ogni anno. Lo svincolo dei calciatori avverrà a far data dal giorno successivo con pubblicazione nel Comunicato Ufficiale del Comitato di competenza dell'elenco dei calciatori svincolati. 3) Svincolo per inattività della società Nel caso in cui una società che partecipa esclusivamente alle attività organizzate dal Settore Giovanile e Scolastico si ritiri dal campionato o ne sia esclusa, i giovani calciatori vincolati hanno diritto allo svincolo per inattività della società. I calciatori appartenenti alle categorie Pulcini ed Esordienti hanno diritto di essere svincolati se la società di appartenenza non si iscrive alla relativa attività entro il 30 marzo. Allo svincolo provvede automaticamente il Comitato Regionale di appartenenza. 4) Svincolo per cambio di residenza Qualora il giovane calciatore cambi residenza, unitamente alla sua famiglia, è possibile ottenere lo svincolo. In generale, per i calciatori minorenni, è possibile presentare richiesta di svincolo, di competenza del Settore Giovanile e Scolastico Nazionale, trascorsi 90 giorni dalla variazione della residenza. Tuttavia, nel caso di calciatori appartenenti alle categorie Pulcini ed Esordienti, lo svincolo può essere concesso in ogni momento della stagione, direttamente dai Comitati di competenza. 25
femminile
di Pino Lazzaro
Raffaella Manieri (Brescia) e Ilaria Mauro (Fiorentina)
Ritorno al… futuro Entrambe se ne sono andate a giocare in Germania, entrambe a provare a vedere com’è fuori di qui, se è proprio vero che è un “altro mondo”. Usiamo apposta questa espressione perché ci viene comoda: proprio “Altri Mondi” è stata una rubrica che per un paio di stagioni ha accompagnato “Il Calciatore” e qui – nello specifico – riandiamo all’edizione 2013-2014, quella in cui assieme a Sara Gama (allora al Paris Saint-Germain, ora al Brescia), Laura Neboli (al Duisburg, ora allenatrice dell’Under 21 alla Sgs Essen, sempre in Germania) e Katja Schroffenegger (al Bayern Monaco, ora all’Unterland Damen, nella nostra Serie B), c’erano appunto pure loro, le nostre ospiti per questo numero – Raffaella Manieri e Ilaria Mauro – a tenere un piccolo diario in cui annotavano, con lo scorrere della stagione calcistica, esperienze e riflessioni. Raffaella pure lei nel Bayern Monaco, Ilaria nel Sand (club di Willstätt, sul Reno, con dall’altra parte Strasburgo in Francia) – allora nella B tedesca – con cui vinse poi il campionato approdando nella Frauen-Bundesliga. Facciamo ora un salto in avanti e veniamo dunque ai nostri giorni, a loro due che hanno deciso di tornare in Italia, accasandosi Raffaella col Brescia e Ilaria con la Fiorentina. E proprio su questo punto, l’essere ritornate, che abbiamo deciso di incentrare l’incontro con queste due ragazze, compagne di squadra in Nazionale.
femminile, cosa questa che penso possa aiutarle a portare avanti la loro passione. Ricordo che là in Germania pensavo come sarebbe stato bello poter vivere quel modo di fare calcio anche qui in Italia, con la nostra lingua, le nostre cose. Ma ci arriveremo, sono sicura: con i nostri tempi, ma ci arriveremo”. È nata a Pesaro nel novembre del 1986 ma è di Santa Maria dell’Arzilla, sempre in provincia di Pesaro. Dopo Senigallia (B-A2-A), Torino (A), Verona Bardolino (A), Torres (A) e Bayern Monaco (Bundesliga), gioca da questa stagione nel Brescia (A). Sin qui ha vinto 7 campionati (uno col Verona Bardolino, quattro con la Torres e due col Bayern), una Coppa Italia (Torres) e sei Supercoppe italiane (una col Verona Bardolino, quattro con la Torres e una col Brescia).
Raffaella Manieri, difensore del Brescia
Arriveremo ad alti livelli “Quel che ho lasciato? Un ambiente in cui tutto era professionismo, dal mattino alla sera, tutto incentrato sulla preparazione per quello che è il campionato più competitivo a livello europeo, con squadre che pur di media o bassa classifica, sono ben preparate e con cui fai comunque fatica. Se guardo indietro, quei miei primi sei mesi lì da loro il primo anno, sono stati letteralmente di addestramento: io che dovevo adeguarmi al loro livello ed ero svantaggiata, ero meno delle altre ragazze e dunque sempre lì a lavorare, sul campo ma pure poi a casa. Mesi e mesi sempre sola, un po’ perché arrivavo a casa stremata e poi la lingua, non riuscivo a comunicare e dunque preferivo non uscire. Poi sono cresciuta, ho preso il posto in squadra… ero come le altre, ho finito per arrangiarmi con un po’ d’inglese”. “Perché ho lasciato? Con l’esperienza si arriva a capire più e meglio i segnali che arrivano e percependoli prima puoi prenderle meglio le decisioni. Un po’ le scelte tecniche e tattiche dell’allenatore (con cui mi sono confrontata) per cui rischiavo di giocare molto meno, con la prospettiva 26
dell’Europeo che arrivava e a cui tengo; dall’altra la difficoltà di continuare in un mondo che è diverso da qui, dal nostro. Lì da loro si vive molto più dentro gli schemi, tutto o quasi è prestabilito e dunque ho scelto pure per stare meglio, per sentirmi più me stessa, per come sono: per questo ho deciso di tornare in Italia”. “Il Brescia? Già mi aveva fatto una buona impressione tre anni fa, prima di andarmene al Bayern. E le cose buone che avevo visto, il progetto di crescita che avevano, lo hanno confermato in questi anni, vincendo poi la scorsa stagione il triplete. Inevitabile che mi trovi ora a fare dei confronti, per tre anni sono andata avanti in un certo modo, devo essere paziente. Certo, da un punto di vista posso anche aver fatto un passo indietro, come movimento è lampante che siamo meno di loro, però personalmente – per la mia crescita come persona – lo sento come un passo in avanti. Vedo qui attorno tante ragazzine e un po’ invidio a loro il fatto che possano avere quel che noi non avevamo: l’allenarsi tutte assieme, in un ambiente
Chi siamo? (dal libro Manieri: “A una ragazzina direi di fare quel che le piace fare. Se sceglie il calcio, vuol dire che ha passione. Chiaro che siamo discriminate e come si fa ad accettarlo dopo che vedi che all’estero non è così, che là vanno avanti? È doloroso, sì. Da noi nemmeno si sa che c’è il nostro calcio. Esce così fuori ‘sto discorso che si diventa dei maschiacci: sei una bella ragazza, ma perché mai giochi a calcio? Io credo invece di non poter stare senza giocare; non so bene, è una cosa forte, certo che giocando provi sensazioni che forse devi proprio vivere per capirle”.
femminile
Gli inizi (dal libro “Il Calcio è donna”) Manieri: “Ho cominciato che avevo 6 anni, quando chiesi a mia madre se mi comprava un paio di scarpe da calcio. Non so perché, ma anche i racconti di mia madre di quand’ero proprio piccola dicono che ero già appassionata, che volevo sempre un pallone. Così ho chiesto un giorno se potevo anch’io fare allenamento con gli altri nel giardino della scuola: non ho mai più smesso. Sì, lo rifarei ad occhi chiusi. Era una passione che avevo dentro, allenamenti o no, eravamo sempre lì a giocare, mattina e sera”.
Mauro: “Ho cominciato che avevo fatto praticamente i primi passi, quel che ricordo è infatti, lì in giardino, un pallone quasi più grande di me e subito a corrergli dietro. Giocavo con i miei amici ma dai 6 agli 8 anni ho fatto pallavolo, l’avevo anche scelta io ma il secondo anno era più le volte che la colpivo con i piedi la palla che con le mani: allora era meglio cambiare. Mia madre non era d’accordo, diceva che era uno sport per maschi; mio padre invece entusiasta, anche lui aveva giocato”.
Ilaria Mauro, attaccante della Fiorentina
Grande voglia di crescere “Beh, sì, la vedi proprio lì da loro come sia tutta un’altra cosa la mentalità e bastano i risultati che ottengono, vedi per tutti l’Olimpiade. Da loro c’è davvero un professionismo al 100% e l’ho ben provato al Turbine, a Potsdam, uno dei club più importanti d’Europa: 8-9 allenamenti la settimana, lo studio al video delle partite
“Il Calcio è donna”) Mauro: “Tanta gente nemmeno sa che c’è pure il nostro calcio (…). Fossimo delle professioniste, con uno stipendio che ci facesse pensare solo al calcio, allora anche per la Nazionale sarebbe un bene, potrebbe diventare ancora più forte. Per i numeri che abbiamo, c’è una Nazionale che fa fin troppo, altro che la Germania dove hanno sì una base larghissima di atlete. (…) Mi auguro che non sia sempre così, che possa cambiare qualcosa. Che le ragazze che verranno possano avere più possibilità di giocare, possano contare su delle strutture, dei centri sportivi…”.
e avanti. Qui adesso alla Fiorentina vedo che ci stiamo arrivando, staff completo a disposizione (col preparatore atletico, il fisioterapista e il medico), fino ad arrivare alla magazziniere. Io in Italia in fondo ho giocato solo col Tavagnacco, confronti ne posso fare magari pochi, ma uno staff come il nostro di certo può star vicino ai club top d’Europa”. “Avevo un altro anno di contratto col Turbine, c’era però la clausola che potevo poi decidere io il secondo anno e dopo tre stagioni in Germania, avevo voglia di cambiare. Ne avevo altre di proposte in Europa, ma quando mi hanno avvicinato quelli della Fiorentina, spiegandomi il loro progetto, mi sono subito convinta. Anche qui, parlando di progetto, vado alla mentalità, la avverti dietro che c’è questa voglia di crescere, con un metodo di lavoro che deriva direttamente dalla sezione maschile. Poi il portare quella maglia, quel giglio sul petto… Parecchie di noi in Nazionale, anche nelle giovanili, chiaro che l’obiettivo intanto è solo uno: vincere più possibile, il cam-
È nata a Gemona del Friuli (Ud) nel maggio del 1988 ed è di Zompitta, una frazione di Reana del Rojale, sempre in provincia di Udine. Dopo gli inizi tra i pulcini e gli esordienti della Reanese (squadra maschile), ha vestito per oltre un decennio le maglie del Tavagnacco, passando poi in Germania: due stagioni allo Sportclub Sand (B-A) e una col Turbine Potsdam (A). Dalla scorsa estate è con la Fiorentina Women’s Fc (Foto Giusi Sproviero).
pionato, la Coppa Italia, partecipare alla Champions. Ma oltre a questo, c’è pure l’ambizione di far sì che possa crescere davvero questo nostro calcio, può essere che facendo bene noi, altre realtà vogliano seguire l’esempio della Fiorentina”. “Le partite le giochiamo al “Buozzi”, è un bell’impianto, ci gioca pure la Primavera maschile, mentre gli allenamenti li facciamo al centro sportivo San Marcellino, campi sia in erba che sintetico e pure la palestra. Lì c’è pure tutto il settore giovanile, maschile e femminile. Certo la Fiorentina è un qualcosa che attira, ne vedo proprio tante di ragazzine e a volte mi chiedo se a loro riuscirà un giorno d’essere delle professioniste, di avere tutto quello che all’estero hanno. Lì in Germania mi sono sentita davvero una professionista, lo ero, era quello il mio lavoro ed ero circondata da professionisti. So bene che qui in Italia sono una “dilettante”, però qui mi fanno sentire comunque una professionista, non ne trovo tanta di differenza da prima”. 27
internet
di Mario Dall’Angelo
I link utili
Quanto etica e competitività possono coesistere L’etica è da tempo al centro del dibattito di ha cuori le sorti dello sport. In questi ultimi decenni ripetuti scandali a base, principalmente, di scommesse e doping hanno gettato ombre sulla correttezza dei risultati sportivi, offuscando l’immagine di atleti, squadre e società. L’invito a non scegliere scorciatoie, a non tradire la fiducia degli appassionati, a essere leali in tutte le fasi dell’attività – dalla preparazione fisica e mentale fino agli eventi agonistici – è stato lanciato anche da Papa Francesco. Com’è noto, il pontefice argentino è tifoso del San Lorenzo, squadra del quartiere Boedo di Buenos Aires, e non suscita quindi stupore la sua attenzione per il calcio e più in generale lo sport nella loro valenza formativa ed etica. Il Papa ha rimarcato il valore dell’inclusione promosso attraverso l’attività sportiva e la necessità della correttezza e ha ammonito: “Sarebbe triste per lo sport e per l’umanità se la gente non potesse più confidare nella verità dei risultati sportivi o se il cinismo prendesse il sopravvento”. E ha aggiunto “Nello sport come nella vita è importante ottenere risultati, ma giocare bene e con lealtà è ancora più importante”. L’onestà, il fair play e la correttezza, dunque, sono più che mai al centro dell’attenzione e muovono iniziative come il World Summit on Ethics and Leadership in Sports (www.ethicsinsports.ch), emanazione del World Forum for Ethics in Business. Il motto del sodalizio è “Perseguire e costruire un indispensabile fondamento etico degli sport e della leadership in un mondo globalizzato”. Il presupposto è che etica e competitività non si escludono a vicenda ma possono coesistere. Nella sezione dedicata ai congressi dell’organizzazione, troviamo gli argomenti trattati negli incontri del 2014 e 2015. Nel primo, al centro del dibattito erano le potenzialità dello sport nella lotta contro la violenza. Nel secondo, svoltosi durante la complessa svolta che, nella Fifa, portò al termine dell’era Blatter, venne denunciata la situazione di stallo che tale vicenda stava provocando nel mondo dello sport in generale, pronto a sottolineare i mali dell’organizzazione mondiale del calcio ma non altrettanto nel guardare ai propri problemi. Il convegno, seconda edizione del World Summit, svoltosi il 16 settembre a Zurigo, 28
ospite della sede Fifa, ha visto la partecipazione del padrone di casa, il neopresidente Gianni Infantino. Nel suo indirizzo di saluto ai 250 delegati provenienti da 35 paesi, Infantino ha affermato la necessità
in zone di conflitto in cui portare speranza e conforto alle popolazioni coinvolte. Infine, il premio per la categoria Outstanding Teamwork è andato alla società calcistica del Basilea, la cui leadership si è distinta per capacità manageriali e per il suo impatto sul successo sostenibile del club. In uno sport che mette costantemente sotto i riflettori i risultati sportivi e i gesti tecnici, la scelta è ricaduta invece sulla dirigenza di una società dimostratasi in grado di condurre il club coniugando il raggiungimento degli obiettivi della squadra e l’equilibrio economico. In precedenza, il premio venne conferito alla Fondazione Cruyff, di cui abbiamo già trattato su queste pagine. Gli argomenti e le problematiche discussi durante il World Summit sono stati numerosi e in particolare il doping, il match fixing, il rapporto tra lo sport e i diritti umani. Tutti aspetti che in questi ultimi anni sono stati al centro della discussione pubblica riguardante il calcio e lo sport in generale. La manifestazione ha avuto, come conclusione, un penalty challenge di cui è possibile vedere il video sulla pagina Facebook WFEB.global. Tra gli ospiti del World Summit, partecipanti alla sfida a base di calci di rigore, anche la campionessa slovena di sci Tina Maze.
che la Fifa sia un’organizzazione aperta, la cui missione comprenda anche l’incoraggiamento di iniziative, come il World Summit, che mettono al centro il ruolo dell’etica nello sport e ciò in ragione dell’impatto sociale che ha l’attività sportiva e calcistica in particolare. Nell’ambito del Summit sono stati assegnati gli Ethics in Sports Awards, riconoscimenti per quelle individualità e organizzazioni che hanno dimostrato nel loro ambito d’azione l’importanza dei valori umani e dell’etica nella vita e nello sport. Nell’apposita sezione del sito troviamo resoconti e immagini. Il premio per la migliore organizzazione è andata a Solar Impulse, impresa realizzatrice di un velivolo che ha compiuto un volo record: da Nagoya in Giappone alle Hawai in Kevin Strootman @Kevin_strootman 118 ore utilizzando solo Sad news for @officialmonto and @arekmilik9 energia solare. La with some serious knee injuries. I know it's a hard migliore individualijourney, stay strong & fight your way back! (Tristi notizie tà premiata è stato per Montolivo e Milik che hanno riscontrato gravi infortuni al ginocchio. So che sarà un viaggio difficile. Dovrete essere il tedesco Wilfried forti e combattere per il vostro ritorno in campo) Lemke, consulente speciale al segretariato generale dello sport, per lo sviSergio Ramos @SergioRamos luppo e la pace delle NaMuy apenado por la lesión de @OfficialMonto. Toda la fuerza./ zioni Unite. La motivazioSad to hear about Montolivo's injury. All my strength. #Forzane del premio è stata per Montolivo ("Sono molto dispiaciuto per l'infortunio di Montolivo. Tutta la mia forza sia con lui”) l’ eccezionale contributo nel promuovere l’utilizzo dello sport come uno strumento di Pepe Reina @PReina unificazione per la pace nel Insieme ti aiuteremo a passare questo momenmondo e per le sue iniziative to @arekmilik9 !! Non ho dubbi che tornerai più forte di prima!! per mettere in atto progetti
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Antonio Cabrini @antocabro Addio #dariofo genio dei nostri tempi! RIP
internet
di Stefano Fontana
Calciatori in rete
Rozzi e Chiappella: calcio dal sapore antico www.costantinorozzi.it Costantino Rozzi, per tutti il vulcanico “Presidentissimo” dell'Ascoli Calcio, è stato uno dei personaggi più carismatici e conosciuti dell'era d'oro vissuta dal calcio italiano tra gli anni '70 e '80. La passione e gli sforzi profusi da Rozzi mantennero l'Ascoli Calcio nella massima divisione per ben quattordici stagioni. Il sito protagonis ta di questo articolo nasce da un'iniziativa della figlia Anna Maria Costanza Rozzi per celebrare il ventennale della morte del padre. La quantità e la qualità del materiale presente fanno onore alla memoria del Presidentissimo: in particolare, le numerose immagini reperite portano indietro il calendario ad anni di genuina passione, coraggio ed entusiasmo eccezionali.
ttando
Le pagine di questo sito consentono di recuperare questa energia e proiettarla verso il futuro a totale beneficio delle nuove generazioni. Un altro aspetto particolarmente toccante legato a questo progetto web è la pagina “tributi”. Decine di testimonianze dimostrano tutto l'affetto e la stima nutriti nei confronti di Costantino da nomi illustri del calcio, allenatori, autorità, istituzioni ed artisti. Si unisce al coro l'affetto di un'intera città, di una squadra che non ha mai dimenticato e mai dimenticherà il Presidentissimo. Consigliamo sinceramente una visita a questo sito: qui si respira un'atmosfera davvero unica, rara e preziosa come il carisma mai spento di un grande uomo e del suo puro amore per il calcio e per Ascoli Piceno.
www.beppechiappella.com Questo mese la nostra rubrica dedicata alla rete ospita un sito molto speciale, permeato di puro amore per il calcio: riviviamo insieme la grande avventura di Beppe Chiappella e della Fiorentina del primo, leggendario scudetto.
gpelle19_official Eh si!!Purtroppo, mi capita nuovamente di fare una cavolata. Un comportamento inaccettabile, nei confronti del mister in primis e di riflesso ai miei compagni, che hanno sempre dimostrato di avere dei valori importanti all’interno di un fantastico gruppo ITALIA nel quale facciamo parte. Come ogni errore grave, si subiscono sempre delle conseguenze. Ed è giustissimo che io mi prenda delle responsabilità sull’accaduto. Era doveroso rivolgere le scuse di cuore a tutti
N a t o nel 1924 a San Donato Milanese, GiusepRiccardo Montolivo @OfficialMonto pe Chiappella Grazie di cuore a tutte le persone che hanno speso un pensiero per me… tifosi, colleghi, addetti ai lavori. È stato bello, in un momaturò le primento così faticoso, ricevere così tanti attestati di stima e affetto. me esperienE una carezza a tutti quelli che mi hanno augurato la rottura di ze calcistiche tibia e perone, la rottura di tutti i legamenti e la morte… con l’augurio che la vita riesca a farvi crescere in educazione e rispetto tra le fila della dell’essere umano Stradellina – OltrepoVoghera per poi Arkadiusz Milik @arekmilik9 Grazie a tutti per vostro sostegno Sono sicuro che tutto andrà bene
approdare al Pisa. Nel 1949 debutta con la Fiorentina, dove giocherà fino al 1960, pronto ad entrare nella leggenda. Con la maglia viola collezionò 329 presenze da giocatore, secondo solo ad Antognoni. Da ricordare che "ai tempi di Beppe" non esistevano le sostituzioni e quindi i giocatori non giocavano mai "pezzi" di partita. O si entrava titolari o si stava in tribuna. Dopo innumerevoli sfide, il 1956 è l'anno del trionfo viola, con la conquista dello scu-
detto maturata con ben cinque giornate di anticipo. A livello di struttura, siamo di fronte ad un sito decisamente ben realizzato nella sua semplicità, ricco di contenuti interessanti, vividi ricordi e fotografie davvero evocative. Diversi approfondimenti riguardano la carriera di Beppe come calciatore ed allenatore, l'esperienza nella Fiorentina ed il mitico scudetto e le sfide affrontate con la maglia della nazionale. Non manca infine uno spazio dedicato all'uomo fuori dal rettangolo di gioco. Navigando in questo sito emerge con forza la genuina passione profusa da chi ha speso tempo ed energie per curarne la realizzazione. Una scatola del tempo, un prezioso gioiello. 29
tempo libero
musica
libreria A. Car. Edizioni
La tifosa di Messi
di Francesca Mazzei e Francesco Zarzana –112 pagine - € 13,50
Una famiglia felice. Una giovane donna in dolce attesa. Sarà un maschio. Ma verso la fine della gravidanza l’ecografia non dà buone notizie: il bambino non ha una gamba. Francesca Mazzei si racconta a Francesco Zarzana tra ricordi, lacrime e sorrisi. La forza di una donna, l’amore per il figlio, una mamma coraggiosa fino a porsi un obiettivo che sembrava impossibile, cioè riuscire a coronare il sogno del ragazzo: giocare a calcio. E il figlio, Francesco “Messi” Messori, ci riesce e contribuisce concretamente a far nascere la Nazionale Italiana di Calcio Amputati che è subito amata ed apprezzata in Europa. E la mamma di “Messi” diventa la sua più grande tifosa. Prefazione di Bruno Pizzul ed Emiliano Mondonico. Limina
La squadra spezzata
di Luigi Bolognini –149 pagine - € 14,00
La sottile linea rossa che lega l'Aranycsapat (squadra d'oro), la Nazionale ungherese di Puskás e Hidegkuti, con la rivoluzione del 1956, repressa dall'Unione Sovietica con i carri armati. Quella squadra, come la Honvéd, il club di Budapest in cui militano Puskàs e Bozsik, è l'ambasciatrice del Paese nel mondo, macina gol e spettacolo e viene acclamata ovunque. E regala bellezza e gioia agli ungheresi, oppressi da un regime grigio e sanguinano, gli dà la speranza di un futuro diverso. Il giovanissimo Gábor, fanatico di Puskás, vive i trionfi alle Olimpiadi e contro l'Inghilterra come il segno che il comunismo, di cui è un convinto seguace, sia destinato a vincere. Ma la sconfitta nella finale della Coppa Rimet del 1954 (l'unica partita persa dall'Aranycsapat su 50 tra il 1950 e il 1956) manda in frantumi i suoi sogni e quelli di un intero Paese: sparite le speranze, resta solo una realtà fatta di miseria. La delusione serve a farlo riflettere e mettere in dubbio tutto quello in cui credeva. E quando, il 23 ottobre 1956, scoppia la sommossa contro la dittatura comunista, il sedicenne Gábor perde ogni punto di riferimento: approva la rivolta, ma si sente sempre socialista. E lotta per creare un socialismo nuovo, democratico e liberale. Fino a quando i carri armati sovietici invadono Budapest e soffocano nel sangue la rivoluzione. Ultra sport
Più che un calciatore
di Lorenzo De Alexandris – 139 pagine - € 15,00
Campione, ribelle, sognatore, anticonformista, uomo di famiglia e del popolo, lavoratore, divo, attaccante, centrocampista, allenatore. Laszló Kubala è stato tutto questo ma non solo. La sua vita è stata straordinaria, tragica, rocambolesca, molto pubblica ma anche intima e segreta. Ecco perché, Lorenzo De Alexandris ha deciso di dedicare all'uomo, oltre che al calciatore, questa biografia romanzata, scritta con passione e precisione storica al tempo stesso. Laszló Kubala è stato il più forte giocatore di sempre del Barcellona, ma prima di raggiungere i grandi traguardi sportivi, trascorre parte della sua vita in fabbrica a Budapest, poi in fuga dal regime socialista che lo divide dalla sua famiglia, in fine sbarca a Busto Arsizio, dove veste la maglia della Pro Patria, seguiranno poi la squalifica a vita da parte della FIFA e la scampata tragedia di Superga. In tutto questo, il minimo comune denominatore è la lontananza forzata dai suoi grandi amori, i figli e la moglie Ana Viola, sorella di quel Ferdinand Daucik, suo allenatore e, insieme a lui, fondatore della rivoluzionaria "squadra che non c'è", l'Hungaria, nel campo profughi di Cinecittà a Roma. 30
KT Tunstall
KIN
Prosecuzione “naturale” dell’EP “Golden State” pubblicato ad inizio estate, arriva “KIN”, nuovo lavoro di KT Tunstall, cantautrice scozzese al suo sesto in studio. A distanza di tre anni, con la produzione di Tony Hoffer, le nuove 11 tracce, registrate a Los Angeles, suonano davvero bene per un disco che si ascolta tutto d’un fiato dalla prima all’ultima nota. Il talento di Kate Victoria "KT" Tunstall del resto è noto da tempo, da quando nel lontano 2004 balzò alla ribalta con il brano “Black Horse and the Cherry Tree”, tratto dal suo primo album, “Eye to the Telescope”. La sua carriera è poi passata (tra alti e bassi) da altri 4 album, 6 live, numerose collaborazioni (Travis, Annie Lennox, Vanessa Carlton), fino alla partecipazione alla realizzazione della colonna sonora del film “Bad Moms: Mamme molto cattive”. E forse proprio quest’ultima esperienza ha dato nuova linfa artistica alla ragazza di Edimburgo (mamma mezza cinese, papà irlandese ufficialmente rinnegato, adottata da una famiglia inglese): KIN sembra riportarla agli antichi fasti, magari un po’ più matura, certamente più consapevole del suo essere “cantautrice pop”. Oltre alla suonatissima “Maybe It's a Good Thing”, da segnalare il duetto con James Bay in “Two way”, scritta a quattro mani insieme al cantautore inglese.
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