Storie di provincia

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E- book

STORIE DI PROVINCIA luigi marra Racconti Brevi e ricordi


Introduzione

L'autore si limita a raccontare piccole storie di provincia, senza un preciso ordine narrativo, senza particolari intenti letterari, didascalici, morali. Racconta, pescando nei ricordi dell'infanzia, con linguaggio semplice e immediato, per il gusto stesso di raccontare. Le descrizioni dei luoghi e dei personaggi non sono mai insistite ma essenziali. E tuttavia il lettore percepisce con immediatezza l'atmosfera dei posti e i caratteri dei personaggi. Essi trapelano con evidenza dalle stesse vicende raccontate. Che non sono quasi mai straordinarie, ma tutte hanno il retrogusto dell'aneddoto , elemento che conferisce freschezza e scorrevolezza al testo provocando nel lettore un sorriso divertito.


Primo amore Quale? Ne è passato di tempo. Una vita. Ho una certa confusione in testa. Quale racconto? La prima infatuazione? La prima esperienza? O quello che ti prende e ti assorbe tutto, che ti spinge a fare cose eccezionali, sublimi o sciocche, quello che senti e vorresti che durasse tutta la vita e che di solito non va a buon fine, che ti delude a tal punto da condizionarti per anni, quello che ti sembra di non poter più vivere? Boh, forse conviene raccontare in ordine cronologico. Credo di essermi innamorato per la prima volta all'età di quattro anni. L'oggetto era la mia maestra d'asilo ed avevo il vantaggio di essere il suo unico alunno. Aveva poco più di trent'anni, single (allora si diceva zitella), pelle bianchissima quasi trasparente e luminosi capelli neri, tagliati a zazzeretta. Quando mi si sedeva a fianco, tirandosi un po' la sottana sopra le ginocchia, ne ero attratto e mi veniva voglia di toccargliele, di accarezzarla. Se si curvava sui primi scarabocchi del mio quaderno, ne sentivo il profumo e ne rimanevo inebriato. Usavo ogni sorta di artificio per avere con lei contatti fisici. Per esempio facevo il discolo apposta per farla arrabbiare e per farmi rimproverare. E dopo mettevo il broncio e non rispondevo più alle domande. Lo facevo apposta naturalmente perché volevo provocare ciò che succedeva. Cioè che lei mi chiedesse di fare pace e di darle un bacio. Mi piaceva baciarla ed essere baciato da lei. E avevo capito che se non capitolavo subito era ancora meglio. Perché lei mi accarezzava e mi faceva sedere in grembo ed io venivo a contatto col calore del suo corpo attraverso la stoffa leggera del vestito. Un amore lungo, durato due anni perché l'anno dopo lei mi preparò per andare direttamente in seconda elementare. Un amore vero e assoluto che mi vide perfino protagonista di una scenata di gelosia della quale ancora mi vergogno. Un giorno non la trovai sola, c'era un uomo con lei, nemmeno tanto giovane, un ingegnere romano vedovo che lei mi presentò come il suo fidanzato. Mi prese un moto di rabbia che non riuscii a trattenere e le mollai uno schiaffo. E prima che lei si riavesse dalla sorpresa, corsi via a nascondermi sotto l'enorme tavolo della sala E là rimasi, squassato da singhiozzi nervosi, con lacrime cocenti che mi rigavano il volto.


Archimede Si dipanava lungo un'unica strada principale per quattro rioni a salire: il Piscinale, l'Annunziatella, Oratorio e il Vallone. Salendo ancora il Cimitero e il paese era bell'e finito. La via continuava fino alla Catena e da quel punto solo mulattiere per raggiungere il cratere del vulcano. Il quartiere più centrale era l'Annunziatella e là aveva la sua bottega Archimede, un ciabattino con capelli e sopracciglia a cespuglio. Archimede era un buontempone e un originale, nel senso che si dedicava solo per mezza giornata ad aggiustare scarpe. Trascorreva il resto del tempo in interminabili partite a scopone o a tressette con bevutine finali. Il grosso del lavoro di Archimede consisteva nel fare rappezzi a scarpe bucate e risistemare qualche tacco . Quando s'accorse che per ricostruire il buco prima di applicarvi il pezzo di suola sagomato, le carte da gioco smesse erano più adatte del cartone pressato prescritto, Archimede non esitò a usarle. Ma un giorno accadde.... Accadde che un giovane volle calzare subito le scarpe ritirate per lasciare quelle indossate,anch'esse bucate. E sebbene il calzolaio lo avesse avvisato che non era buona norma usare le scarpe a ripazione fresca, insistette. Pagò e s'avviò sotto una leggera pioggerella. In prossimità di piazzetta Oratorio, avvertì una sorta di sciabordio sotto una delle calzature e si fermò per verificare al riparo dell'arco di un portone. La pezza ellittica di cuoio si era scollata e sollevata su un lato, forse per effetto della pioggia. A guardar meglio, si riusciva a intravvedere un pezzo di carta da gioco del seme di bastoni. " Che mi combina questo vecchio ubriacone!?"- imprecò il giovane e ritornò sui suoi passi. Piombò nella bottega del ciabattino, si tolse la scarpa e la consegnò al vecchio: -- Archime', guardate un po'...!? Archimede inforcò gli occhiali e con l'aiuto del tipico coltello senza manico, usato per sagomare il cuoio, sollevò la pezza osservandone lungamente la cavità. Aveva la freddezza del giocatore di poker che, avute le carte richieste, verifica il punto realizzato senza quasi scoprirle, con piccoli e virtuosi colpetti dati col pollice e l'indice, manovra detta "trezzià". Evidentemente dopo il seme di bastoni, dovette intravedere anche spade, denari e coppe perché apparve soddisfatto. Si tolse gli occhiali e chiese, puntando il dito: -Dimmi la verità, dove sei arrivato? -Giuro, nemmeno a piazzetta Oratorio!- protestò il giovane,timoroso che il vecchio volesse accusarlo di aver fatto chissà quanta strada. E Archimede, rammaricato e divertito insieme, agitando la scarpa: -Ah,- esclamò - si arrivave 'ncopp' 'o Vallone, facive primèra! ( Peccato, se ti fossi allungato fino al Vallone, avresti fatto primiera!)


Mariuccia Era la sorella di Gennarino. Seduttiva e sinuosa, faceva una gran figura nei suoi stracci leggeri. Voce roca e sensuale. E parolacce assolutamente inadatte alla bocca di una bambina. Poveri ed orfani di madre, abitavano in una catapecchia. Il padre faceva lavori saltuari quando non finiva nei guai. Mariuccia era un maschiaccio che partecipava a tutti i nostri giochi, insieme al fratello, che nei giochi di destrezza, vinceva sempre e noi l'avremmo escluso per manifesta superiorità, se non fossimo stati tutti un po' innamorati della sorella. Costei ci sorprendeva con la libertà di linguaggio e la gestualità disinvolta. Non sempre indossava la mutandina e capitava che si sollevasse la sottana e ti dimenasse il culetto nudo, per dispetto o per canzonarti Chi crede che i ragazzini di sette otto anni non pensino al sesso, sbaglia. Io, per esempio, già a quattro anni morivo per le ginocchia bianche della maestra d'asilo; che ci metteva del suo per farsele guardare. Mariuccia era esibizionista e già un po' puttana, del tutto imprevedibile. Una volta eravamo vicini a un carretto di verdure, in sosta all'ombra di un gelso e il cavallo fu preso da evidente fregola al passaggio di una giumenta. Mariuccia allora ci sorprese: s'infilò fulmineamente tra le zampe del quadrupede, afferrò con le mani il proboscidone che s'andava irrigidendo, dandogli un paio di scossoni. Mentre l'animale nitriva e scalpitava, riuscì a sgattaiolare dall'altro lato e ci sfidò trionfante a braccia alzate. Ne facemmo l'eroina del giorno. Siete curiosi di conoscere il futuro di questa bambina speciale? Vi posso dire il poco che mi è stato riferito. A sedici anni ebbe un figlio, a diciassette si sposò e a venti iniziò la carriera di spogliarellista. Chi non l'ha mai perduta di vista assicura che non ha mai fatto la prostituta, neanche nei momenti peggiori della sua breve vita, vissuta peraltro sempre con indomita fierezza trasgressiva.


La scopa Le cinque zitelle del piano terra avevano tutte il naso adunco tranne Felicia che ce l'aveva diritto. In compenso aveva un tic al mento che la rendeva ridicola. Flavia era la più grande d'età ma anche di stazza: sicuramente rasentava il quintale. Mena, la più piccola, aveva ventinove anni, l'età di mamma. Con la madre vedova erano in sei e la casa doveva risultare piccola. Perché occupavano perennemente lo spazio destinato all'ingresso del palazzetto di tre soli appartamenti su tre piani di via C. Alberto. Tendevano a giustificare quell'occupazione abusiva di suolo condominiale con la scusa che loro non avevano I balconi. Noi al primo piano, e i Cuccurullo al secondo piano, avevamo in effetti una lunghissima balconata, ma né mia madre né la Cuccurullo usavano i balconi per le faccende. Tuttavia, uscendo poco e affacciandosi raramente dal lato dell'ingresso, lasciavano correre. Anche perché le zitelle provvedevano da sole alla pulizia di quello spazio Io invece, sei anni circa, entravo spesso in conflitto con le megere. Non facevano che rimproverarmi Quasi sempre perché attraversavo di corsa quello spazio, ogni volta che uscivo o rientravo. Spesso dovevo fare lo slalom tra gli ingombri di cui lo disseminavano : sedie, tavolini, damigiane, loro stesse. Non rispondevo quasi mai ai loro rimproveri e continuavo a fare a modo mio, anzi facevo peggio Una volta, tornando da scuola, le trovai tutt'e sei sedute nell'ingresso, intente ad allargare la lana dei materassi. Avevano steso in terra tre lenzuola con cumuli di lana ed erano tutte occupate a ridarle sofficità. Per passare avrei dovuto fermarmi, spostare un lembo di lenzuolo e attraversare piano, rasentando il muro. Invece spiccai un salto, ma sbagliai la misura e atterrai sul lenzuolo con una delle mie scarpe inzaccherate. Ero già sulle scale quando m'arrivarono le proteste: - "Hai visto che hai combinato? Scostumato! Sei proprio uno scostumato" Me lo dissero tutte, una dopo l'altra. Allora strillai anch'io: " Non è vero, non sono scostumato! Io sono solo un ragazzo, ra-gaz-zo! Ma voi non lo capite perché siete zitelle, zi-tel-le!" Non l'avessi mai detto! Diventarono sei furie e i loro strilli si sentirono dappertutto. S'affacciarono al balcone mia madre e la Cuccurullo. Le zitelle gridavano tutte assieme e il lenzuolo sporco era passato in secondo piano. Ora strepitavano che un bambino di sei anni certe cose non le pensa,.... le dice perché le ha sentite,...dagli adulti,... .le ha sentite in casa...


(Certo che le avevo sentito dire quelle parole: nonna le aveva dette a mamma che m'accusava d'essere discolo e di provocare le proteste e le lamentele delle zitelle) Insomma, ora non ce l'avevano piÚ con me. Quando mamma capÏ che tutto quel baccano era rivolto a lei, mi disse di prendere subito una scopa in ripostiglio. Quando gliela portai, l'appoggiò sottosopra bene in vista alla ringhiera del balcone. Poi disse: " Scusatemi, signore, ma devo accudire i bimbi. Voi continuate pure, vi risponde la scopa per me" Mi prese dignitosamente per mano e trascinandomi in casa, chiuse la porta.


Vanità senile Mia madre era un tipo divertente e beffardo. Le bastava un'occhiata per cogliere il difetto più vistoso delle persone e appioppava soprannomi a tutti, ma senza cattiveria. Era il suo modo di semplificare. Quella domenica, a casa di mia sorella, mamma era seduta in veranda nell'attesa del pranzo. Aveva 87 anni e non stava bene. Tra i numerosi invitati c'era un'arzilla signora di 84 anni, una vera leggenda tra i familiari per la vigoria fisica eccezionale. Questa signora vispa e sempre in movimento s' informò dell'età di mia madre, si vantò della sua, di stare benissimo, di sferruzzare ancora e di essere capace d'infilare l'ago senza occhiali. Tornò più volte in veranda a parlare con mamma e ogni volta ne voleva sapere l'età, il grado di parentela con la padrona di casa e altre cose già chieste. Quando ricomparve per la quarta volta, mia madre la precedette:- Voi, disse, avete 84 anni, state benissimo in salute, avete la vista buona, infilate l'ago al primo colpo e siete la signora Svanitella. Io sono più grande, ho tre anni più di voi, sono la mamma della padrona di casa, non vedo bene, mi reggo appena in piedi, non infilo l'ago e non lo voglio nemmeno infilare. Ma ho la testa buona e mi ricordo tutto!


L'invito Erano sposati da pochi mesi e, anche se quella domenica, la madre di lui, la terribile suocera era a pranzo da loro, continuavano a sfruculiarsi amorosamente, da freschi sposini quali erano. Si erano conosciuti a quindici anni e s'erano innamorati. Lei era bellissima e lui affascinante, erano rimasti fidanzati tra alti e bassi per dieci anni e alla fine s'erano felicemente sposati. Lei era sempre stata delicata di salute e il vecchio medico di famiglia aveva sostenuto che sposarsi, per lei, poteva essere pericoloso. Una gravidanza, per esempio, avrebbe potuto esserle fatale. Il padre s'era spaventato e aveva fatto di tutto per impedire il matrimonio, ma di fronte alla determinazione dei giovani aveva dovuto arrendersi. Aveva però preteso che il futuro genero firmasse una scrittura privata che lo impegnava a restituire i beni dotali della sposa, in caso di decesso nel primo anno di matrimonio. Il medico-Cassandra era stato miserevolmente smentito dai fatti. Al ritorno dal viaggio di nozze, fu evidente che la sposina era rifiorita: non aveva più febbricole, non era pallida, non appariva più stanca e sofferente. Insomma, godeva ottima salute, come se il matrimonio fosse la cura giusta per lei. Il marito ne era contento e orgoglioso e, pur dovendo essere grato al suocero che aveva messo a loro disposizione, gratuitamente, uno dei numerosi appartamenti che possedeva, nutriva però un piccolo astio nei suoi confronti per via di quella storia della scrittura privata. E se ne vendicava in qualche modo con la moglie, giocando sulle sue origini modeste. Anche quella domenica, sebbene non fossero soli. - Vedi,- diceva- tu sei bella, brava, intelligentissima, solo un difetto hai: sei figlia di un "solachianiello"! (Spregiativo di ciabattino, calzolaio). Lei, per un po' abbozzò e sopportò, ma quando s'accorse del sorriso compiaciuto e condiscendente della suocera, sbottò rivolta al marito:- E tu sei figlio di "cucitore"(sarto). Lui continuò a sfruculiare e lei non s'accorse che la suocera aveva invece cambiato umore e non sorrideva più. Poco dopo, al momento di accomiatarsi, la vecchia le disse:Perché non vieni a pranzo da me domani? Sei sempre così sola.. E Caterina accettò l'invito. Nessuno dei consuoceri della giovane coppia, in realtà , poteva essere definito nè ciabattino, nè cucitore. Il primo lo era stato solo nell'adolescenza, poi aveva fatto il commerciante, il sensale, l'oste e alla fine s'era comprato un sacco di case e nel quartiere era chiamato "il padrone".


L'altro continuava a fare il sarto sì, ma aveva una grande sartoria e una clientela eccellente e nel quartiere lo chiamavano "il principale". L'indomani, Caterina si presentò a casa dei suoceri come convenuto. All'una in punto entrò il principale, si complimentò con la nuora per l'abito indossato e i tre si misero a tavola, serviti da Antonietta, la giovanissima serva che loro dicevano di considerare come una figlia. Caterina, che da sposata aveva sviluppato un eccellente appetito, fece onore al pranzo. Dopo il caffè, l'uomo se ne tornò in sartoria, la suocera aspettò che la ragazza avesse finito di sparecchiare, poi disse:- Senti, Caterina, tu conosci i conti Maffettone? Al diniego della donna, la vecchia spiegò con sussiego: -sono i nobili più ricchi di Napoli. Mio marito cuce per loro, è il fornitore esclusivo di famiglia.- E continuò:- Altro che cucitore! Per tua norma e regola, mio marito è "negoziante-sarto". E le consegnò alcuni biglietti da visita sui quali appunto, accanto al nome del principale si leggeva "Negoziante-sarto", fornitore esclusivo, etc... Caterina non dimenticò più l'incidente e, nel tempo, mise insieme e catalogò altre puzzette sotto al naso della suocera e di tutta la famiglia di lei e nelle occasioni opportune, se gliene offrivano il destro, ne spettegolava con spirito, divertendo l'uditorio.


Un inquilino in veranda - C'era l'uccellino? Questa la domanda che rivolgo ogni sera a mia moglie da quattro giorni ottenendo sempre la stessa risposta negativa. Son quattro giorni ormai che l'uccellino non viene più a dormire nella nostra veranda ed è inutile girarci intorno: sono preoccupato, anzi sono quasi sicuro che sia morto. Naturalmente non conosco le abitudini degli uccelli e non so nemmeno se il nostro inquilino fosse un passero o altro, ma qualcosa mi fa pensare che se col gelo di questi giorni non torna alle consueta comodità della veranda significa che non può. E se non può, vuol dire che è morto Mia moglie che è meno romantica di me, sostiene invece che le possibilità siano molteplici: potrebbe aver trasmigrato, potrebbe aver trovato un rifugio più comodo, potrebbe aver messo su famiglia... Sarà possibile, ma resta il fatto che quell'uccellino, ogni sera per quattro mesi di seguito, appena buio, si è introdotto in veranda attraverso il canale di scolo dell'acqua, e s'è messo a dormire appollaiato all'estremità del lungo bastone della tenda a pochi centimetri dal tetto spiovente. Un vero abitudinario, insomma, col sonno profondo, perché quando capitava che mia moglie accendesse la luce, facesse dei rumori, chiudesse o aprisse una finestra, si fermasse anche per mezz'ora a stendere panni sullo stenditoio alle dieci di sera, lui continuasse a dormire imperterrito. O se si svegliava non si muoveva Ed è difficile ipotizzare che non fosse sempre lo stesso pennuto: il colore, le dimensioni, la precisione millimetrica della postazione occupata sul bastone di legno del tendaggio indicano con certezza assoluta che lo stesso uccellino, per quattro mesi di seguito aveva riparato per la notte e aveva dormito nella nostra veranda al secondo piano All'inizio, verso la fine di ottobre, quando non faceva ancora molto freddo e non era necessario chiudere le finestre per la notte, solo per una decina di giorni, gli uccellini erano stati due, uno sul solito bastone, l'altro sullo spigolo del battente semi aperto della finestra.Poi sempre e solo uno L'altra sera, a mezzanotte, quando stavamo per metterci a letto, ho chiesto -Hai chiuso le finestre in veranda stasera? -Certo, ma l'uccellino non c'era


-A che ora sei andata? -Alle nove ed era già buio fitto -Vabbe', ma potrebbe aver cambiato abitudine o aver cambiato posto. Non è che si nasconde dietro i vasi sulle mensole o nel ficus d'angolo? -Ho capito, vuoi che vada a vedere? -Non ti dispiace? E' andata e quand'è tornata muoveva il pollice e l'indice aperti della mano nella classica indicazione per negare -Spiacente, non c'è e se con questo tempaccio non è venuto a ripararsi, non verrà più. Devi metterti l'anima in pace, il nostro uccellino ha cambiato dimora Poi ha sorriso:- Nostro, poi...!


Rocchino e l'asino Storie e ricordi dell'infanzia rimangono sopiti nei lunghi anni di frenetica attività lavorativa per riaffiorare, nitidi, nel torpore e nell'ozio del tempo della pensione. Ciò che racconterò , per quanto incredibile, è veramente accaduto. La vicenda risale all'immediato dopoguerra. Ebbe inizio in un assolato pomeriggio di giugno, in una strada che delimitava i confini tra Silvamala,il mio paesino alle falde del Vesuvio, e il più popoloso Silvabona. Su via Promiscua, una profonda ed irregolare rientranza del marciapiedi era l'ideale per i nostri giochi di ragazzini di sette, otto anni; e su quella strada, ogni pomeriggio, intorno alle tre, rientrava dal suo giro di consegna del carbone il vecchio Ignazio. Perenni tracce di polvere nera sul naso e sui baffi, una camicia e un fazzoletto annodato in testa dai colori indefinibili,i segni del duro lavoro sul volto rugoso, egli passava adagiato sui sacchi vuoti, appoggiati sulle stanghe del carretto trainato da un somarello. Un giorno tra quest'asino e Rocchino, un ragazzino bruno dai neri occhi sempre sorridenti e una profonda fossetta nel mento, successe qualcosa, si determinò un feeling, nacque un incantesimo. O un gioco se preferite. Rocchino, quando l'asinello fu a una dozzina di passi, si coprì la bocca con le due mani ed emise un sibilo sottilissimo che noi quasi non udimmo. Ma ne percepì la frequenza l'asino , che drizzò le orecchie e si bloccò . Visto di lato, zampe anteriori, ventre e zampe posteriori assunsero l'aspetto di un trapezio. E rimase immobile, le orecchie verticali, finchè Rocchino, mani sulla bocca, riprendendo fiato ogni tanto, emise il suo impercettibile fischio. A nulla valsero gli sforzi del vecchio carbonaio, sceso intanto dal carretto per smuovere l'animale. Solo quando Rocchino smise di fischiare, l'asinello abbassò le orecchie, scosse la testa, ragliò un paio di volte e riprese a trainare il carretto. Non possiamo sapere come si sarebbe comportato l'asino se Ignazio gli avesse sfiorato la groppa con un nodoso bastone. Perché il carbonaio aveva giurato di non picchiare mai più una bestia. Il giuramento era scaturito da un incidente capitatogli da giovane, intorno agli anni venti, con un altro asino, episodio che raccontava sovente: “ Si era dunque recato col carretto nella non lontana Sorrento e l'asino s'era impuntato su un dosso e non c'era verso di smuoverlo. Mentre Ignazio s'affannava a bastonarlo impietosamente, erano comparsi due signori in giacca e cravat-


ta, avevano esibito distintivo e tessera della Protezione Animali e lo avevano multato non senza averlo prima redarguito. L'arrabbiatissimo Ignazio, prima ancora di pagare la multa, si vendicò degli agenti inginocchiandosi davanti al somaro e gridando: - ' Ciuccio mio, perdonami, chi poteva immaginare che qui c'avevi i parenti! ' Ma quell'insulto ai Sorrentini non lo placò, anzi tornato a Silvamala, volle attribuire all'asino più che a se stesso la colpa della multa e gli dette tante legnate che la povera bestia non si riprese più ." Ogni giorno dunque, in via Promiscua, verso le tre del pomeriggio, si ripeteva quel gioco, un po' magico e un po' ambiguo, tra Rocchino e il somarello che aveva, come ormai sappiamo, la fortuna di avere un padrone non più violento. I ragazzi erano aumentati, attratti dalla curiosità. Non appena si vedeva comparire il carretto del carbonaio, s'interrompevano i giochi e tutti a sedere sul muretto, pronti a godere dell'insolito spettacolo. Ridevamo a crepapelle nascondendo la bocca. Nei primi giorni Ignazio rimaneva interdetto, poi, pur senza capire, indovinò che l'impuntatura dell'animale era dovuta alla presenza di noi ragazzi. E allora smontava dal carretto portandosi avanti alla bestia di qualche metro e agitando minacciosamente le braccia verso di noi: - Andate via, delinquenti- gridava- via, figli di puttana...! E anche queste smanie del vecchio ci divertivano. Ma finché a Rocchino piacque di fischiare in quell'insolito modo, l'asino si arrestò e si ripeté la medesima scena. Quando il ragazzo andò a vendere fichidindia mancando alcuni giorni, il somaro si fermava solo un attimo, tendeva un istante le orecchie e riprendeva mestamente il cammino; e tuttavia, quando il ragazzino dal fischio magico ritornò , si ripeté la scena di sempre. Il carbonaio, però, doveva aver intuito qualcosa (o un ragazzino aveva parlato), perché incominciò a prendersela solo con Rocchino, minacciandolo: - Se t'acchiappo, brutto figlio di zoccola, ti faccio vedere io! E Rocchino, per scappare, non riusciva più a fischiare. Poi il carbone fu soppiantato dal pibigas e il vecchio Ignazio non passò più. Sarà morto da tempo ormai. E Rocchino? Che fa? Dove vive? Possiede ancora quel sibilo singolare? L'ha mai usato in uno zoo ottenendo un effetto analogo con cervi e antilopi, con zebre e giraffe? Chissà, forse con l'infanzia ha perduto anche quel magico potere.


Teatro sul tram Napoli, tanto tempo fa, tram n.1, piazza Garibaldi, direzione Fuorigrotta, leggera pioggia. Le porte si sono appena chiuse in faccia a un signore trafelato che vi batte la mano insistente. Esse vengono riaperte su questa battuta del conducente: - "Va be', va'.,lascialo salire 'sto cornuto!" Ma il tranviere ha fatto l'errore di aprire prima e poi pronunciare la battuta Il signore che si è fiondato sul mezzo ancor prima che la porta finisse d'aprirsi, ha sentito. Paga il biglietto mentre il tram riparte, si porta nella zona anteriore del veicolo e si rivolge a una signora rotondetta seduta proprio dietro al conducente: "Signora, si vede?" E la signora:-" Che cosa?" Lui:-"Che sono cornuto..." E la signora preoccupata e conciliante insieme:-" Ah, avete sentito? E vi siete offeso? Per così poco? Lasciate stare, sono cose che si dicono, senza intenzione, così, modi di dire, brutte usanze , vero.. vi volete arrabbiare per una sciocchezza simile?" Il signore la interrompe:-" Non avete capito, signora, non sono offeso. Come potrei? Io, vedete, io cornuto lo sono davvero. No, signora, sono preoccupato, ho paura che si veda, che mi si legga in faccia. Si vede?" " Certo che no- lo rassicura la signora- avete una faccia normale, anzi normalissima." Intanto è finito ogni brusio, tutti si sono azzittiti, il conducente ha fermato il tram, si è girato e s'è messo in ascolto. Il cornuto, chiamiamolo così, sempre rivolto alla signora:-" Mi fa piacere quello che dite, perché io, in fondo, questo voglio, essere normale e avere una vita normale, dopo aver fatto la guerra, dopo la prigionia. A mia moglie l'ho perdonata, anche perché avevamo già due figli assieme. Ora sono tre, c'è pure il bastardino, ma lui non ha colpe ,povero innocente. Vedete, signora, certe cose succedono: la guerra , l'armistizio, la fame, gli americani. Che doveva fare, povera donna, morire di fame lei e i bambini? Si è dovuta arrangiare, come tutti... Ecco, io le ho riconosciuto lo stato di necessità e l'ho perdonata. Ora si comporta bene, i figli sono un amore, la famiglia una consolazione. Io, vedete, lavoro tutto il giorno e la sera a cena amo controllare che i ragazzini abbiano fatto i compiti, che siano studiosi. E' un piacere sentire che già sanno cosa vogliono fare da grandi. Il maggiore vorrebbe fare il giudice, il secondo l'ingegnere. Certo, belli di papà, sarete giudice e ingegnere. Ma pure l'ultimo,il bastardino, ha le sue aspirazioni:- Papà- strilla- io voglio fare il colonnello. " Eh, no, tu sei figlio di puttana..., tu devi fare il tranviere!"


A questo punto il racconto potrebbe essere terminato ed avere sapore e valenza di barzelletta. Invece non fu così. Il conducente del tram era rimasto zitto consapevole di aver meritato la lezione. Si girò, ripartì e il brusio ricominciò. Ma la signora grassottella si sentì offesa, si sentì soprattutto defraudata di una sorta di commozione che l'aveva quasi portata alle lacrime -Allora-esclamò rivolta all'uomo- allora non era vero niente! Avete inventato tutta una storia e avete fatto 'sta manfrina solo per rispondere con un' altra volgarità a una volgarità. E io che m'ero commossa ...! -Altro che volgarità, signora- disse l'uomo- quello era un insulto, un insulto gratuito e ingiustificato. Vedete, io faccio l'avvocato, sono abituato alle arringhe e ai tribunali, e so per esperienza che le sfumature contano. Conta la serietà e la solennità delle testimonianze… Intervenne il fattorino:-Ma lo sapete che avete offeso tutta la categoria, compreso i fattorini? -Eh, no- rispose l’avvocato- in un tribunale questa tesi non sarebbe presa in considerazione, perché c’è sempre un rapporto di causa effetto o di azione reazione se preferite, per cui il giudice tende a valutare l’intenzione. E quella è evidente..Eppoi- continuò rivolto a tutti- qui c’è un problema di costume e di educazione . Voi pensate che a Milano un tranviere insulterebbe un passeggero? E se accadesse, lo sapete voi come reagirebbero gli altri viaggiatori? Pensate che sorriderebbero, come avete fatto voi? No, lo redarguirebbero, ve lo dico io! Anzi no, perché i milanesi sono ligi al regolamento e non rivolgono la parola al conducente. Lo denunzierebbero al controllore o alla direzione dell’azienda tranviaria, questo farebbero. Perché a Milano la gente è seria e non transige… Il conducente, che intanto s'era ripreso, lo interruppe:- Avvoca', quello che dite è vero, ma a Milano voi avreste perduto il tram, perché nessun figlio di puttana di tranviere avrebbe riaperto le porte una volta chiuse… E l’avvocato:- Anche questo è vero, però avermi fatto un piacere non vi autorizzava a chiamarmi cornuto! Vedete: a Milano, non dico il tranviere, ma nessuno si azzarda a insultare un altro così, per sfizio, senza motivo e soprattutto senza tornaconto.Là, anzi se proprio è necessario, durante un alterco, dicono becco, così risparmiano una sillaba. Perchè la differenza è questa: a Milano si lavora e si risparmia, da noi si canta e si spreca, se mi passate l'ossimoro, Napoli è un formicaio di cicale. Ciò significa che quì da noi non esistono regole e non vi sono certezze. Significa abituarsi ai ritardi e ai favori, alle raccomdazioni e alle ingiustizie, ai soprusi e all’illegalità, finendo nell’anarchia, finendo per non avere più né diritti né doveri…Non so se mi sono spiegato...


Intanto il tram aveva superato piazza Municipio e l’avvocato s’interruppe per dire:- oh c....,dovevo scendere!- E rivolto al conducente:- Scusate, me la fareste una fermatina qua, all’edicola? -Certo avvoca'- fece il tranviere fermando il tram - certo,… per voi questo ed altro... L’uomo scese e il tram ripartì. Intanto due signore erano salite approfittando di quella fermata fuori programma. La signora grassottella si rivolse al conducente:-Che parlantina, avete visto? Forse è veramente un avvocato. Però a me quella storia della guerra mi pareva così vera! Ma non è che prima ci ha detto la verità e poi s’è vergognato e ha rivoltato la frittata? Voi che dite? Magari ha veramente tre figli... E il tranviere con disprezzo.-Chi, quello? Ma l’avete guardato bene? Figli quello? Con quella faccia da impotente?....


Le sfollate Quel sabato mattina, la signora Adalgisa si era alzata alle sei per scrivere al marito oltremare. La lettera di Filippo, appena ricevuta, l'informava che sarebbe stato rimpatriato a breve per assumere il comando di una postazione antiaerea non lontano da casa. La notizia l'aveva riempita di gioia, ma l'aveva anche messa in agitazione. Perché lei non aveva ancora informato il marito d'aver preso in casa una sfollata. La guerra non andava bene e da quando Napoli era diventata teatro di bombardamenti diurni e notturni quasi quotidiani, in paese erano comparsi molti napoletani, intere famiglie o singoli anziani alla ricerca di case o camere in affitto. Le cose erano andate così: meno di un mese prima, le aveva bussato Immacolata, la padrona di casa, accompagnata da un'anziana vedova del Vomero e le aveva proposto di affittare per qualche mese a questa vecchia signora che aveva paura dei bombardamenti, la camera sul retro, quella dopo la cucina; la camera, le ricordò, nella quale già qualche anno prima, era stata ospitata per un po' quella vecchia zia di Filippo. Niente uomini,rassicurarono, solo due figlie nubili impiegate alla Rinascente, che sarebbero venute una volta la settimana, il sabato sera, per rientrare in città o la domenica pomeriggio o col primo treno della Circum il lunedì. La signora si sarebbe servita della cucina con molta discrezione, senza interferire con lei. Quando Adalgisa tentò di prender tempo dicendo che avrebbe dovuto chiedere il permesso al marito, Immacolata la bloccò: " Mentre scrivi e lui ti risponde, finiscono i bombardamenti e forse finisce la guerra. Si tratta di pochi mesi, a tuo marito ti conviene di non dirglielo affatto." Adalgisa, considerato che la piccola cifra mensile promessa dalla vedova le avrebbe fatto comodo, aveva finito per accettare il consiglio e s'era presa in casa la sfollata. Che effettivamente s'era dimostrata discreta e gentile e spesso intratteneva i bambini, liberandola un po'. Adalgisa aveva cincischiato per un'ora con la carta da lettera. Già era difficile per lei, ogni volta, scrivere semplici convenevoli e informazioni diverse dal classico i bambini ed io stiamo bene e ti pensiamo sempre. Figurarsi dover scrivere che, per la prima volta, aveva preso un'iniziativa senza averlo prima consultato! Quando decise di rinunciare, sul foglio, con grafia incerta, tutta inclinata a destra, erano state vergate solo le parole: Mio amatissimo marito . Aveva chiamato la primogenita che, come ogni sabato, avrebbe raggiunto la nonna alla messa delle otto per trascorrere poi la giornata a casa dei suoceri. Ma un'ora e mezza dopo se l'era ritrovata in cucina:-" Mamma, mamma è venu-


to papà.." Questa storia del marito che, quando veniva in licenza, arrivando da Brindisi col treno nella città vicina, prendeva la carrozzella e si fermava prima dalla madre, con la scusa che la casa dei genitori era di strada, indispettiva Adalgisa, ma non poteva farci niente. Chiese, già pronta ad andargli incontro:Sta salendo? " No, rispose la ragazzina, è rimasto a casa dei nonni. Ha detto che non viene. Verrà a casa dopo che hai mandato via gli estranei...è arrabbiato" Adalgisa, costernata, si rivolse all'anziana sfollata, presente in cucina che sembrava non capire: " Lo sapevo, lo sapevo...,- e si torceva le mani- non dovevo prendere in casa nessuno senza dirglielo..., ora ve ne dovete andare,.. mi dispiace , signora, ma ve ne dovete andare..., devo vestire i bambini.., devo andare da lui..." E s'avviò verso la camera. La sfollata la seguì: " Non vi disperate, signora, troveremo una soluzione, stasera verranno le ragazze e vedremo. Ma è cosi terribile questo maresciallo?" No, Filippo non era cattivo, tutt'altro, ma duro sì, testardo come un mulo. La napoletana continuò: "Rassicuratelo, signora, che mi lasci il tempo di trovare altrove e me ne andrò, che torni a casa però, vorrei almeno conoscerlo. " "Non verrà,- disse Adalgisa- lo conosco bene, non verrà..." Ma la sfollata ebbe un'idea e le due signore confabularono a bassa voce. "Vedrete che verrà" concluse la vecchia. Avevano concordato che Adalgisa portasse al marito solo il più piccolo dei due maschietti con la scusa che l'altro aveva qualche linea di febbre. Furono lasciati a casa il maschietto finto malato e la primogenita, coinvolta anche lei. Se ne sarebbe occupata la sfollata che s'impegnava pure a consultare i vicini di casa per ricercare una sistemazione altrove. Le cose andarono proprio come aveva previsto la sfollata. La notizia della febbre del figlio fece crollare la determinazione dell'uomo. E risolutivo fu l'intervento della suocera. Ella disse: "Adalgisa ha sbagliato a non chiederti il permesso, non sbagliare anche tu e va a casa. Che direbbe la gente? La napoletana ha promesso che se ne andrà, qualche giorno glielo devi lasciare" E Filippo:" Deve sloggiare entro domani!" Ma tornò a casa con la moglie. Quando li videro arrivare dal balcone, la primogenita e il maschietto corsero incontro al papà. Adalgisa ne approfittò, accelerò il passo, rientrò per prima e sussurrò all'ospite di starsene in camera senza farsi vedere per il momento. Più tardi, al momento opportuno, l'avrebbe chiamata lei. Ma solo a metà pomeriggio, Adalgisa poté bussare alla camera occupata dalla sfollata con una tazzina in mano:


"Non è surrogato, disse, ma caffè vero, l'ha portato mio marito" E agli occhi interroganti della vecchia, rispose: "Sta riposando. Era stanco morto, è crollato. Il viaggio per mare è stato disastroso. Ma non temete, appena si sveglia vi faccio bussare dalla bambina, così voi venite e gli parlate" Era quasi sera quando la sfollata s'affacciò sulla sala direttamente dalla cucina: " Finalmente, esordì, possiamo conoscere questo famoso maresciallo di cui la signora parla tanto bene E che bella divisa.. e che aspetto interessante... e che bella barbetta rossiccia, questo la signora non me l'aveva detto..." Filippo non si fece abbagliare dalle chiacchiere e dai complimenti: "Signora, disse, mia moglie vi ha detto che dovete trovarvi una camera altrove? Non è per cattiveria, credetemi! Sono stato rimpatriato dopo tre anni di fronte greco, ho dieci giorni di licenza e avrò un incarico non molto lontano da casa, quindi verrò spesso. Ho il diritto di godermi la mia famiglia in piena libertà, vi pare?" Filippo, parlando di fronte greco, aveva esagerato. Lui era un sottufficiale di marina, elettricista, richiamato nel 38, e come tale messo a capo di una postazione fotoelettrica, in una piccola isola del Peloponneso. La postazione constava di una sorgente di elettricità (generatore,motori,,radio e altre attrezzature)allocata in un grosso camion, un potente proiettore per la ricerca di aerei nemici , una colonnina, un areofono, una mitragliatrice e poco altro. Una quarantina di marinai con tre sottufficiali alloggiati in una baracca di legno con brandine a castello. Lui era invece alloggiato in un vero appartamento in muratura poco distante dal campo. In tre anni, la mitragliatrice aveva sparato solo due volte, i marinai erano armati della sola baionetta, nella postazione c'erano tre moschetti in tutto e solo Filippo aveva una Beretta 7,65 come pistola d'ordinanza "Certamente!- rispose la sfollata- E se la signora Adalgisa avesse saputo che tornavate, non m'avrebbe presa in casa. Ma non vi preoccupate, stanno per arrivare le mie figlie e domani si daranno da fare. Non temete, me ne andrò, dovessi tornarmene al Vomero" "Perché no, disse Filippo, bombardano il porto, mica il Vomero" "Eh, caro maresciallo, le bombe cadono dappertutto e io sono troppo vecchia per correre al rifugio" Bussarono alla porta ed erano le figlie della signora, che s'affrettò a fare le presentazioni. A questo punto, l'atteggiamento di Filippo mutò e la metamorfosi fu evidente e repentina. Erano due ragazze carine, come potevano essere carine le commesse della Rinascente, curate, poco truccate e ben vestite.


Una, Olga, era bionda e slanciata. Era la più piccola d'età, due anni meno della sorella che ne aveva ventisei, ma più sfacciata. Il maresciallo le fece accomodare e disse aprendo l'anta dei liquori del buffet: " Io prendo un brandy, voi preferite uno cherry?" Olga volle il liquore forte, la sorella quello più dolce e la madre rifiutò. Poi Filippo si sedette e porse alle ragazze la scatola aperta delle sigarette Rodi, forma schiacciata, filtro dorato, aroma delicato. Solo Olga fumava e con lei Filippo fumò e chiacchierò, chiedendole del lavoro alla Rinascente, e del piano e del reparto, e se era fidanzata e se, carina com'era, aveva tanti spasimanti; e lei, che aveva captato l'interesse dell'uomo, rispondeva e sorrideva provocante... Fu lei a notare il valigione di pelle scura sul cassettone d'angolo, vicino a una bella radio verticale e a chiedere se fosse un grammofono. E a chiedere, poi, se tra i dischi vi fossero dei ballabili. Filippo, seduttore e tombeur de femmes professionale, provolone abituale, era un ottimo ballerino e non si fece scappare l'occasione. Aprì l'angolo dischi e le disse di scegliere. Alle note del primo 78 giri, fece finta d'invitare prima la vecchia, poi la moglie (che non amava ballare), poi la maggiore delle signorine. Tutte si schermirono e non gli restò che ballare con Olga, prima una polka, poi un fox-trot, un tango e un fox-slow. Sull'ultimo disco, sentì che la ragazza era conquistata. Incassò applausi e complimenti dall'anziana napoletana e quando le donne stavano per ritirarsi, volle vedere com'erano sistemate e ne approfittò per mettere in sicurezza il falso contatto di una spina elettrica. Quando la sfollata ribadì che l'indomani si sarebbero messe alla ricerca di un'altra casa, il maresciallo rispose di fare con comodo, che non c'era tutta questa urgenza, che era più importante trovare una buona sistemazione. Adalgisa fu sorpresa di quella nuova disponibilità del marito. E contenta, perché tra qualche giorno scadeva il mese e avrebbe incassato il canone pattuito. Ma quando la sfollata, puntualissima, le portò i soldi, Filippo ebbe una reazione da Grande di Spagna (così diceva la moglie, in seguito, raccontando l'episodio). Egli esclamò: - Soldi? Ma non se ne parla nemmeno! La signora è un'ospite, non un'inquilina e noi non siamo affittacamere. Quando potrà, la signora se ne andrà, ma finché rimane, non paga una lira! Così la signora Adalgisa si tenne in casa gratis la vedova per cinque mesi ancora, fino all'armistizio. E non seppe nulla della relazione tra Olga e Filippo che si consumò tra Napoli e l'appartamentino del maresciallo nella casa colonica del fondo che ospitava la postazione antiaerea.


Giorgio Era il fratello piccolo del capostazione ed era tanto scapricciato e scavezzacollo quanto serio e posato era il maggiore. Dopo un bel po' di fuori corso all'università, era scomparso e non se n'era saputo più niente per alcuni anni. Intanto della vecchia combriccola di vitelloni, che s'era come spenta per l'assenza di Giorgio, due, Ugo e Alfonso s'erano laureati in medicina e muovevano i primi passi nella professione. Il primo aveva pochi clienti, continuava a essere il più silenzioso del gruppo e a sembrare un poveraccio. Il secondo invece, aveva messo su pancetta, acquistato sicurezza e aveva una bella macchina. Si vociferava che si fosse dedicato agli aborti e avesse rischiato grosso, salvato in extremis dal fratello Nicola, proprietario e titolare di una clinica, che faceva politica e tentava di andare in parlamento, senza successo, da due legislature. Bruno si era laureato in ingegneria e lavorava in edilizia, Lucio aveva abbandonato gli studi e tentava la strada della politica, Vittorio e Stefano, fuori corso a vita e figli di papà cercavano stancamente di tenere assieme la compagnia. S'incontravano, una o due volte a settimana, nei pressi dello studio fotografico di Tonino, abitudine presa da quando il fotografo aveva mostrato di poter procurare alcune fotografie particolari. Dopo la partenza di Giorgio, l'organizzazione delle serate languiva. Per un periodo e per merito di Stefano, il più avvenente del gruppo, erano state fatte incursioni a Napoli, prima con le commesse della Rinascente, poi con quelle di Upim; poi c'era stato lo sprazzo del fine settimana a Positano con quattro fior di ragazze, organizzato da Lucio che le aveva conosciute, frequentando la federazione del partito al seguito di un grosso esponente del quale aveva iniziato a fare il portaborse. Erano gli anni cinquanta, nessuno pensava a metter su famiglia, l'imperativo del branco era la ricerca di ragazze con cui divertirsi. Se mancava il materiale si finiva in un'osteria a mangiare stoccafisso alla Pozzano, la specialità preferita da Alfonso. Costui, basso e obeso, era insieme il più maldestro con le donne, il più intemperante a tavola, ma anche il più danaroso e quindi chi metteva più risorse, oltre alla macchina, nelle serate. Il più capace con le ragazze era Lucio, che però, non avendo una lira, era sempre a carico degli altri. Improvvisamente, a pochi giorni dall'inizio della primavera, corse voce che Giorgio tornava e come per incanto, la vecchia combriccola si ricompattò. Aveva telefonato che sarebbe arrivato il prossimo venerdì, a Sorrento, con un torpedone carico di ragazze americane e dava appuntamento a tutti per quel pomeriggio presso un rinomato albergo. Per l'occasione, si rivide anche Bruno che aveva la macchina, così non ci furono problemi e tutti, proprio tutti, poterono recarsi all'appuntamento comodamente a bordo dei due veicoli disponibili.


Non si capì bene il ruolo di Giorgio, organizzatore, animatore, direttore, promotore, interprete, accompagnatore, ma fu chiaro che aveva conservato l'antico carisma. Promise che, dopo cena, ogni amico della banda avrebbe avuto una ragazza, possibilmente capace di spiccicare qualche parola d'italiano e mantenne l'impegno. Verso mezzanotte, assicuratosi che i vecchi amici fossero rimasti soddisfatti, rinnovò l'invito per il dopo cena del giorno successivo. Disse che in mattinata sarebbe stato con le ragazze agli scavi di Pompei e nel primo pomeriggio ad Amalfi e informò che sarebbe tornato, sempre con gruppi di belle ragazze, anche francesi o tedesche, con cadenza quindicinale fino alla fine di ottobre. Ogni volta Giorgio telefonava annunciando l'arrivo, ora di ragazze francesi, ora svedesi, ora inglesii. Con le francesi, ad Alfonso era capitata una marocchina e il bambinone amava raccontare che, pur essendo molto profumata, dai capelli crespi di lei emanava un forte odore di montone. A settembre inoltrato, Lucio si accorse di aver saltato un paio di quegli appuntamenti quindicinali, e timoroso che la compagnia l'avesse tenuto all'oscuro,stanca di fargli le spese, indagò. Fu rassicurato apprendendo che anche gli altri avevano saltato quegli appuntamenti, ma seppe per caso che proprio in uno di quei giorni, s'era vista la macchina di Alfonso a Sorrento e allora volle approfondire, anche perché di ragazze tedesche, pur promesse da Giorgio, non se n'erano viste. E scoprì l'arcano parlando col fotografo che, prima di riferirgli come stavano le cose, si fece promettere che avrebbe mantenuto il segreto. - Devi sapere che Giorgio telefona a Ugo per annunciare gli arrivi e che Ugo abita vicino alla parrocchia di san Pancrazio... -Che c'entra la Parrocchia? -C'entra, conosci il vice parroco? -Don Federico? -Sì. Devi sapere che don Federico ha una passione per le tedesche e ogni anno se ne va per un mesetto ad Amburgo, non da prete ma come un giovanotto qualunque.. -Come lo sai, scusa...? -Lo so, tre anni fa gli ho fatto le fotografie per il passaporto, in abiti borghesi: camicia e cravatta, chiaro? Nell'ultimo soggiorno ad Amburgo ha incontrato Giorgio e gli ha chiesto di essere informato degli arrivi di ragazze tedesche, naturalmente con la opportuna discrezione.. -E Ugo allora? E Alfonso? -Vedi, Ugo è il contatto telefonico di Giorgio e Alfonso ha la macchina, ma tutt'e due sono medici.


Quando sono arrivate le tedesche, sono andati solo loro tre. Don Federico si fida perché sono un po' come i preti: tenuti al segreto professionale -Quello dei preti è il segreto confessionale... E tu, allora? -Beh, io lo sapevo già. E faccio il fotografo, sono come i preti anch'io... E ho fatto male a raccontarti questa storia. Perciò, acqua in bocca o t'ammazzo!


Don Vincenzo Quel sabato mattina, la notizia si propagò nel piccolo paese in un battibaleno. -Hanno arrestato don Vincenzo... -Accidenti, s'è fatto pizzicare! Com'è successo? Dimmi... La voce era ansiosa e preoccupata -Nooo, non è quello che pensi, ha sparato alla ricamatrice.... -Chi, l'amante? Davvero? Perché? E' morta?... -Macché..., l'ha presa nella coscia, quasi nel sedere. E a quel che m'ha detto Antonio, il calibro della rivoltella era piuttosto piccolo e forse l'ha ferita di striscio. Insomma Antonio rideva, ha detto che l'avesse presa in pieno in quel posto, il proiettile si sarebbe comunque fermato nel grasso... La voce circolò rapidamente e le versioni erano contrastanti: chi sosteneva che il fattaccio fosse avvenuto di notte, chi diceva che era avvenuto in presenza di alcune delle lavoranti della ricamatrice, chi parlava di tentato omicidio, chi di sparo intimidatorio, chi di incidente. Ma nel giro di pochi giorni, don Vincenzo fu scarcerato e si accreditò la tesi dell'incidente, avvalorata dalla stessa vittima che l'aveva scagionato. Si disse che la pistola, regolarmente denunciata, era di proprietà della ricamatrice che la teneva a difesa dei preziosi ricami. La verità vera non la seppe mai nessuno e la donna se la portò nella tomba: lei gli faceva una delle frequenti scenate di gelosia, lui aveva preso la pistola dal cassetto e aveva detto :- vuoi vedere che ti sparo? A lei era parso che scherzasse e lui stesso credeva di scherzare, ma poi aveva sparato veramente: Perché? Semplicemente perché era pazzo Chi era don Vincenzo? Un bell'uomo di cinquant'anni circa, scapolo, ex dipendente della società elettrica, in pensione di malattia per causa di servizio dall'età di trentacinque anni. Schizofrenico, mezzo pazzo, simulatore..., non era dato capirlo. Spesso, era lui stesso a dire di sé:" io sono pazzo, sono pazzo". E dicendolo strabuzzava gli occhi e deformava la bocca tirandosela con le dita sui due lati, ma era difficile capire se scherzasse. Era appassionato di musica classica, ma il massimo della stranezza era sentirlo fischiettare il motivo di una romanza o vederlo fermarsi all'improvviso e agitare le mani per qualche minuto come se mimasse la bacchetta del direttore d'orchestra nel crescendo o nelle battute finali di una sinfonia. Viveva della pensione e faceva l'elettricista a tempo perso, nel senso che si limitava ad aggiustare i ferri da stiro e i fornelli elettrici che gli portavano nel minuscolo laboratorio.


Non sembrava aver probemi di soldi, non si perdeva una sola opera durante la stagione al S. Carlo e amava la buona tavola. Se si poteva considerarla una stranezza, testimone la ricamatrice, quando aveva problemi intestinali, voleva solo 150 grammi di spaghetti in bianco. Ma vi aggiungeva un etto intero di burro e cinque cucchiai di parmigiano grattugiato. La storia con la ricamatrice era iniziata sei anni prima. Lei era vedova, di qualche anno più grande di lui, bassina, soda, pienotta, profumatissima. Aveva una gran massa di capelli argentei pettinati verso l'alto, cotonati, sistemati a mo' di cattedrale e adornati di forcine e pettinini luccicanti Si erano piaciuti subito la prima volta che s'erano visti a casa di lei per un ferro da stiro difettoso. Lui aveva apprezzato il profumo di lei, l'abito chiaro tutto trine e leziosità, l'incarnato di porcellana e la foggia dei capelli. Qualcosa nei modi di lei gli richiamava alla mente Butterfly. Lei aveva apprezzato di lui i capelli neri mossi appena brizzolati, gli occhi chiari e la mascella quadrata. Ed ammirato l'elegante completo grigio con la sgargiante cravatta fermata da una massiccia spilla d'oro Lui seguendola in cucina per un caffè, le aveva dato un'improvvisa pacca sul sedere, poi le aveva sorriso e l'aveva baciata. Così era cominciata tra loro. La ricamatrice lo amava molto ed era gelosa, perfino delle attenzioni che lui rivolgeva a qualcuna delle più avvenenti tra le ricamatrici che lavoravano nel salotto-laboratorio. Non convivevano . Don Vincenzo era piuttosto popolare nel piccolo paese. Il motivo? Se vi rifate all'inizio di questa storia e vi ricordate l'esclamazione preoccupata "acc...s'è fatto beccare" alla notizia dell'arresto, capirete meglio. Tutto era cominciato per caso, subito dopo essere andato in pensione, quando aveva fatto un piacere a una cugina. Lei si lamentava del freddo e di non poter accendere nemmeno una stufa perché non poteva permettersi di pagare bollette salate. Lui, allora, aveva tolto il sigillo al contatore della luce, l'aveva aperto, aveva modificato qualcosa e aveva ripristinato il sigillo. Poi aveva spiegato alla cugina che allentando una certa vite (le fece vedere come) poteva accendere la stufa e il contatore sarebbe rimasto fermo. Naturalmente le raccomandò di non esagerare, di non discostarsi dai consumi abituali, di disattivare il dispositivo quando c'era la lettura dei consumi e soprattutto di non dire niente a nessuno perché si trattava di una truffa ai danni della società elettrica. Le spiegò i pericoli che correva se la truffa fosse stata scoperta e a una precisa domanda di lei rispose che lui se la sarebbe cavata... perché tanto...lui era pazzo Insomma, ormai avrete capito perché don Vincenzo fosse così popolare: era l'uomo del contatore, era colui che permetteva a mezzo paese di contenere i consumi elettrici permettendosi ogni sorta di elettrodomestici.


Era successo che la cugina, qualche mese dopo, l'avesse supplicato d'intervenire, a pagamento stavolta, sul contatore di una cara amica e che questa, dopo un po', l'avesse pregato di farlo a casa della mamma e del fratello. Don Vincenzo, a ogni nuova richiesta, nicchiava, metteva sull'avviso del pericolo che si correva, aumentava la tariffa. L'operazione fu fatta in quasi tutte le case ma il segreto era condiviso tra gruppi familiari. Ogni gruppo o nucleo era convinto di essere l'unico ad avere il privilegio di poter determinare la bolletta elettrica giusta da pagare alla società. I guadagni di don Vincenzo erano andati aumentando sempre più nel giro di alcuni anni, poi si erano interrotti (come dire?) per saturazione. Nessun problema, c'era la pensione e i lavoretti al laboratorio. Ma don Vincenzo, quasi senza accorgersene, aveva modificato il suo tenore di vita e tutto andò bene finché poté accedere al gruzzoletto accumulato. Il problema si pose quando quei soldi finirono. Allora don Vincenzo, che era pazzo ma non scemo, ne pensò una delle sue. Andò a trovare quella sua cugina e le confidò di aver saputo che la Società Elettrica nutriva forti sospetti che nel paese avvenissero imbrogli e aveva deciso di fare dei controlli ai contatori. Il rischio che scoprissero l'inghippo era elevatissimo, quindi occorreva riaprire i contatori e rimetterli a posto. Mise a posto il contatore della cugina e aspettò. Nei giorni e nelle settimane successive non fece che ricevere suppliche preoccupate per il ripristino dei contatori manomessi. Naturalmente si fece pregare, stabilì una tariffa più elevata rispetto alla volta precedente sostenendo che l'operazione inversa era più difficile e delicata. E senza fretta, guadagnando molto bene, riportò i contatori di ogni casa allo stato originario. Dimenticò di dire che un controllo a tappeto sui contatori di un intero paese era quanto mai improbabile perché i letturisti non ne erano capaci e perché i tecnici e gli specialisti della Società erano appena sufficienti a far fronte all'incessante richiesta di nuove linee ed utenze. Ecco chi era e com'era don Vincenzo. Come qualcuno confidava a bassa voce, don Vincenzo era pazzo sì, ma per i c.... suoi.


Propositi Sergio da sempre nella notte di capodanno aveva cercato di fare due cose. La prima consisteva nel ripromettersi di diventare più ordinato, di organizzare meglio la propria vita e di fumare di meno La seconda era di fare l'amore il primo dell'anno. Lo faceva nella speranza che la credenza popolare che ciò che si fa il primo giorno dell'anno si fa per tutto l'anno fosse attendibile. Sapeva perfettamente che la credenza popolare era una balla, come sapeva che non sarebbe diventato più ordinato e non avrebbe fumato di meno, ma aveva continuato ugualmente con quel rito inutile. Negli ultimi anni, però, aveva avuto frequenti crisi respiratorie e aveva dovuto rinunciare man mano a una serie di cose: prima aveva rinunciato ai lunghi viaggi in macchina perché la vista si era deteriorata e non era più in grado di guidare di notte o in condizioni di scarsa visibilità; poi aveva rinunciato ai viaggi in treno che prevedevano cambi e coincidenze perché non riusciva a scendere da un treno e salire su un altro di corsa senza affannarsi; poi aveva dovuto rinunciare anche ai viaggi senza cambio treni perché si stancava pure ad attraversare col bagaglio il corridoio della vettura. Aveva rinunciato a visitare posti con lunghe scalinate da salire, rinunciato alle passeggiate a piedi dove non c'erano panchine, rinunciato ai piccoli lavori di casa, a cambiare la ruota in caso di foratura e perfino a uscire da solo. Ma il vero colpo di grazia l'aveva ricevuto quando gli avevano portato a casa la bombola dell'ossigeno. Guardandola si era reso conto di essere un malato terminale. Allora, invece di dedicarsi a inutili e improduttive recriminazioni, aveva tracciato un consuntivo realistico della propria vita. Tutto considerato era stato più fortunato di milioni di persone nel mondo: non aveva realizzato quasi nessuna delle aspirazioni illusorie dell'adolescenza, ma si era sposato ed aveva avuto dei figli, aveva avuto grossi dolori ma anche gioie e soddisfazioni, aveva comprato casa, era stato mediamente felice, aveva 76 anni e se fosse riuscito a campare ancora un anno avrebbe raggiunto l'età media di aspettativa di vita. Non riusciva ormai a fare quasi niente da solo, ma poteva permettersi di rinunciare alla badante perché la moglie, di qualche anno più giovane, lo accudiva amorevolmente.


CosĂŹ, avendo capito che le sue prospettive di vita erano inesorabilmente limitate, aveva deciso di rinunciare, questa volta, al rituale dei buoni propositi per l'anno nuovo. E l'altra abitudine, direte voi, quella di fare l'amore? No, non aveva rinunciato a quella scaramanzia.


Commiato inusuale “Caro Biancone, stavolta l’azienda l’ha imbroccata e ha scelto l’uomo giusto per il posto giusto. Ritengo che le vostre qualità possano essere esaltate dall’incarico che andrete a svolgere: la vostra fantasia di valente organizzatore vi consentirà di conferire impulso e dinamismo alle iniziative proprie del vostro ufficio, le vostre doti di uomo di pubbliche relazioni potranno brillare al massimo, persino la vostra inclinazione al paternalismo potrà avere mille occasioni per esprimersi pienamente.Voi però dovete essere grato soprattutto perché vi si assegna un posto di responsabilità piena, rimuovendovi dalla tetraggine del vostro ultimo incarico, che vi ha visto arrampicervi sugli specchi, teso, ogni giorno, nella ricerca affannosa di occasioni che vi permettessero di impadronirvi di un poco di potere. Avete avuto, caro collega, una certa rilevanza nelle mie vicissitudini di lavoro. Ciò mi ha spinto, in questa circostanza, a dedicarvi questo commiato che, dal momento che non vi perdiamo definitivamente, non assume i toni della commemorazione ( proprio perciò, insieme alle virtù, non saranno taciuti i vostri difetti). Articolatissime ci appaiono le vostre strategie, i cui scopi nessuno poteva indovinare e nemmeno immaginare, data la mole di intrecci e di tortuosità che riuscivano a cumulare. Per alcuni acquistano sapore di testamento spirituale le vostre battute, tendenti a esaltare le banalità di uno e a relegare nella mediocrità il lavoro di altri. Chi potrà scordare la vostra capacità di costruire un "caso" del più piccolo episodio, inventando implicazioni inesistenti? E la vostra capacità di sostenere una cosa e il suo contrario? La vostra recitazione toccava livelli altissimi quando la tesi contraria a quella da voi sostenuta si rivelava giusta, perché allora, con una faccia di bronzo ineffabile, concludevate:-Appunto, quello che dicevo io! Una delle vostre peculiarità è sempre stata quella di saper riempire di un contenuto di niente dei contenitori vuoti, sia nei confronti del lavoro che nei confronti delle persone. E sicuramente più d'uno dev'esservi grato.


PS-Rileggendo,m'è sorto il dubbio di aver caricato un po' i vostri difetti e aver valorizzato poco le vostre capacità. Vi prego di credere che ciò è dovuto più al desiderio di uno scherzo garbato che ad animo malevolo. Confido però che la descrizione della vostra complessa personalità vi trovi più compiaciuto che contristato perché, siatene certo, non è da tutti possedere, in così copiosa dovizia,tante doti quante voi ne avete. " ll brusio degli astanti, iniziato alla fine della lettura, si fermò un momento quando Biancone porse la mano all'autore della lettera: - Buon ritratto-disse- So che non mi ami ma, per come ti conosco, avresti potuto essere assai più cattivo - Non ci tenevo -rispose Veleno- ma se hanno dato l'incarico a me, vuol dire che non volevano un saluto convenzionale. Poi furono consegnati al festeggiato la valigetta 48 ore e l'ombrello firmati. Il salone si animò e i commenti di Cervice, il gran capo, Brioscia, Spastico, Tenia, Schiappa, Rettile furono più o meno concordi sul tono e lo spirito del saluto. Solo Acuto lo trovò troppo caustico e Alessia, la segretaria, non parlò. Spastico era particolarmente elettrico perché la promozione di Biancone lo lasciava padrone del campo nella successione a Cervice. Reclamò e pretese una copia del saluto, ma pure a tutti gli altri non sarebbe dispiaciuto averlo. Allora Biancone consegnò la lettera ad Alessia: - Ti dispiace farne un po' di copie, cara?- disse -...una ventina Veleno capì in seguito la ragione di tante copie in più rispetto alle sette/otto occorrenti. Quando gli raccontarono come s'era svolto il primo incontro di Biancone con i più diretti collaboratori, i capetti, cioè, dei vari settori dell'area che era andato a dirigere. Il nostro eroe, dopo il consueto discorso di circostanza, aveva aggiunto: - So che vi siete informati su di me e vi state chiedendo che tipo sono. Non state a scervellarvi, queste sono le mie credenziali. - Così dicendo aveva consegnato a ciascuno dei presenti una copia di quella lettera.


Nella Era irrimediabilmente brutta. In fabbrica, su circa settemila dipendenti, gli impiegati erano un migliaio e di questi le donne erano duecento circa. Ebbene, Nella era la più brutta. La più bella era Paola, moglie dell'ingegnere capo delle officine di manutenzione, seguita da Margot segretaria del capo del personale. Subito dopo, venivano le perforatrici del centro elaborazione dati, a partire dalla coordinatrice, una splendida miniatura. Una quarantina di ragazze giovanissime tutte molto carine. Spiccava particolarmente Emiliana, silfide e cerbiatta, occhi incredibilmente chiari, bellissimi. La segretaria del direttore non era particolarmente bella, ma molto efficiente e professionale e un discorso a parte meritava l'addetta all'infermeria: che era soprattutto un'esplosione di procacità, un misto di Pamela Anderson e Anita Ekberg al tempo della Dolce Vita. Molto carina era l'ultima assunta presso l'ufficio legale. Si chiamava Carol, era fresca di laurea e aveva una sorella attrice di cinema A tre giorni dall'assunzione già conoscevo la mappa e la classifica delle bellezze femminili di quel centro industriale popolato quasi di soli uomini. L'unica volta che venni in contatto telefonico con Nella, m'immaginai che dovesse essere stupenda per via della voce melodiosa e sensualissima. Poi ne sentii parlare in Direzione quando si trattò di scegliere la nuova segretaria del direttore. Lei era una delle candidate e aveva le carte in regola: laurea in economia, ottimo inglese , buona stenodattilografia. Aveva fatto esperienza all'uffico Vendite, agli Approvvigionamenti e ai Prodotti. Fu scartata perché non aveva il requisito della gradevolezza fisica. Il vice direttore amministrativo, che la conosceva, sostenne che non doveva essere nemmeno selezionata e ci fu un piccolo battibecco col capo del personale, responsabile della scelta. Costui osservò piccato che la signora era stata inserita nella rosa perché era la migliore per l'inglese. Ma si arrese e fu d'accordo anche lui quando il vice D.A. esclamò seccamente che la signora Antonella C. non poteva occupare quel posto. Perché era brutta....,troppo brutta...., il brutto assoluto.! E quando la conobbi, mi fu impossibile dargli torto Forma del capo irregolare da uccello rapace, capelli stopposi, occhi rotondi e sporgenti, occhiali spessi come fondi di bicchiere su naso adunco, incisivi lunghi sporgenti su un labbro inferiore grosso e pendulo che quasi nascondeva il mento sfuggente. Magra, altezza regolare, scarsa di seno ma soprattutto di sedere, si vestiva da donna con qualche ricercatezza e dalla gonna fuoriuscivano gambe secche quasi prive di polpaccio. Andatura sgraziata con bacino spinto in avanti da gambe divaricate. Nell'unica occasione in cui ebbi la ventura di parlarle , mi accorsi che la voce tanto melodiosa al telefono, da vicino faceva acqua: nel senso che l'interlocutore rischiava continuamente di essere raggiunto da piccoli schizzi di saliva. In seguito seppi altre cose di lei: era andata a scuola con un'attrice di livello internazionale; era sposata a un architetto e aveva un bambino di pochi anni.


E incredibilmente... piaceva agli uomini. A dar credito ai pettegolezzi, aveva avuto una tresca con un disegnatore dell'ufficio tecnico, brutto e tenebroso. E attualmente era l'amante di un capitano di lungo corso, capo del pontile di ponente. Quest'ultimo lo conoscevo personalmente: era un po' balbuziente a inizio discorso, ma era un bell'uomo prestante con i capelli appena spruzzati di bianco alle basette


Adele Nella stazione di Roma Termini, mentre il marito e il ragazzino erano entrati da Mc Donald, Adele tracciò il consuntivo del periodo di vacanze trascorse un po' a Napoli dai suoceri e un po' nel paesino di provincia dove s'erano ritirati i suoi. Dovevano aspettare mezz'ora per l'Etr che li avrebbe riportati in Toscana. Aveva fatto solo una parte delle cose che si era prefissato: la mattina del 24 aveva portato il figlio nel brulichio di statuine e di presepi di S.Gregorio Armeno e avevano acquistato un presepio piuttosto ingombrante che avevano lasciato a casa dei suoceri. Avevano in valigia invece il pizzaiuolo che inforna le pizze con due spine: una per illuminare il forno, l'altra per il movimento dell'omino che inforna, cosa che aveva fatto trasecolare il padre che si era prodotto in una filippica nei confronti delle limitate conoscenze tecnologiche di questi artigiani del presepio. Unica nota stonata di quella vigilia di Natale il fatto che a ricordare che quello era anche il giorno del suo onomastico erano stati solo i suoi genitori e la sorella che l'avevano chiamata di buon mattino sul cellulare per gli auguri. Aveva rimpianto il periodo della fanciullezza, di quand'era ancora in vita nonna Adele di cui lei portava il nome. All'epoca, contava di più che fosse S. Adele, perché a casa di nonna incontrava tutti: nonni,zii, cugini, vicini in visita. E tutti si ricordavano di farle gli auguri per l'onomastico e nonni, genitori e una zia in particolare le facevano il regalino per l'onomastico. Morta nonna Adele, nessuno se ne ricordava più tranne i genitori e la sua festa personale era stata come inghiottita dall'importanza del Natale. All'inizio ci rimaneva male, odiava il suo nome e la circostanza di quella coincidenza col Natale, poi finì per dimenticare lei per prima che la vigilia era anche il suo onomastico. Era riuscita, il giorno di Natale, a incontrare Marco, suo compagno di banco nei tre anni del liceo, dopo averlo rintracciato in internet, ma non aveva potuto incontrare altri colleghi d'università, rintracciati allo stesso modo, perché trascorrevano le vacanze fuori Napoli.


Il 27 e il 28, come aveva programmato, l'aveva trascorso con marito e figlio a Sorrento (mezza pensione), il 29 si era recata a Positano, dove aveva messo insieme un appuntamento di lavoro con un notabile locale e l'occasione di mostrare il posto al figlio ( che continuava a ripetere sbalordito che la localitĂ somigliava a un presepe). Nel pomeriggio erano tornati a Sorrento con un'ora di ritardo rispetto all'appuntamento fissato con Mirella, l'amica che si era laureata insieme a lei nella stessa seduta di laurea. Ma non aveva potuto completare il programma con la pizza a metro a Vico Equenze perchĂŠ Mirella e sorella, invece di venire all'appuntamento con la macchina, come s'aspettava, erano venute con l'aliscafo e in serata se ne tornavano a Napoli con la circumvesuviana. Con quello stesso treno sarebbero partiti loro tre l'indomani e a Napoli sarebbero saliti su un pullman che li avrebbe portati al paesino dei suoi in circa due ore di viaggio. A casa dei genitori, tutto era andato come al solito. Non aveva potuto incontrare la sorella, ripartita in mattinata e aveva trovato il padre che saltuariamente doveva attaccarsi all'ossigeno. Aveva scambiato regali e incontrato zii e cugini , era riuscita a far arrabbiare la madre, mentre il piccolo da perfetto web master s'era reso utile col nonno sempre alle prese con problemi di rete e di computer. Il primo dell'anno si era ripromessa, come ormai faceva ogni capodanno, di non concentrare tutte insieme mille cose da fare in pochi giorni, di riflettere di piĂš, di prendersi delle pause. Ma sapeva in anticipo che quel proposito era solo liturgia: l'agenda degli impegni era giĂ cosĂŹ fitta che anche a volerla dimezzare non le avrebbe impedito di arrivare in ritardo. Come sempre!


Nomi uguali

-Ora non s'usa più, ai figli si danno nomi che piacciono e sicuramente è meglio, ma una volta mettere i nomi dei nonni era importante, quasi obbligatorio Rispetto alle usanze in voga, noi eravamo la famiglia ideale:quattro figli. Anche la sequenza temporale delle nascite era stata perfetta: prima un maschio, poi una femmina ai quali erano stati dati i nomi dei nonni paterni, secondo la priorità prescritta. Dopo diversi anni, nacquero ancora un maschio e poi la femmina che avrebbero dovuto assumere rispettivamente i nomi dei nonni materni. Ma nell'intervallo erano successe alcune cose:tra mio padre e il il suocero, nonno Carmine non correva più buon sangue: Anna, l'unica sorella di papà, si era fatta monaca; era morta nonna Angela, la madre di mamma. Così papà aveva ritenuto più giusto chiamare il terzogenito Angelo a ricordo della suocera defunta relegando quello del suocero al ruolo di secondo nome. Subito dopo fu richiamato

alle armi e un anno dopo, durante una licenza,

mamma rimase incinta di nuovo. Nell'imminenza dell'evento, mio padre scrisse che il nascituro, se femmina, dovesse chiamarsi Anna, per un omaggio alla sorella suora e, se maschio, Nino che a suo giudizio era l'equivalente maschile di Anna. Ignorava così deliberatamente il diritto del suocero. Ma aveva fatto i conti senza l'oste, perchè toccò proprio a nonno Carmine andare al municipio per registrare l'evento. Egli, sicuro che il suo diritto fosse stato rispettato (per lui infatti mio fratello era Carminuccio), decise che la pretesa di papà di dare il nome della sorella suora all'ultima nata veniva comunque dopo il diritto sacrosanto della moglie defunta. Perciò impose alla piccola questi nomi: Angela virgola Anna. Ecco perché mio fratello Angelo e mia sorella Anna, sui documenti ufficiali, hanno lo stesso nome


Quando i ragazzi Quando i ragazzi erano piccoli, s'andava al mare a luglio. S'affittava una casetta vicinissima alla spiaggia, si piazzava ombrellone e sdraio abbastanza vicino all'acqua e si scendeva già in costume da casa. Ogni mattina, perché di mattina il sole era più ricco di iodio. A luglio perché meno affollato che ad agosto e perché se scendevi presto, potevi acquistare pesce vivo, a prezzi non proibitivi. Man mano che i pescatori lo liberavano dalle reti: saraghi, orate, spigole, piccole aragoste e grossi scorfani con una manciata di granchi allo stesso prezzo. Poco più per aragoste da mezzo chilo l'una. E polpi, cannolicchi e mazzancolle saltellanti sul legno della barca. Certe mangiate di pesce che ad agosto non sarebbero state possibili. Perché non avresti potuto competere con certi mazziscassati arricchiti che prenotavano l'intero pescato della barca per ben figurare con le comitive d'amici che li raggiungevano da Napoli nei week end. Col loro modo di fare, costoro non solo facevano lievitare il prezzo del pesce , ma anche i prezzi delle case in affitto di questi paesini del Cilento: Acropoli, S. Maria di Castellabate, S. Marco, Ogliastro, Acciaroli, Palinuro....Le padrone di casa divennero sempre più diffidenti verso questi napoletani che affittavano per quattro posti letto e diventavano dodici, devastando i piccoli appartamenti Noi andammo per sei anni consecutivi sempre a S.Maria, quasi sempre nella stessa casa, sempre a luglio e sempre benvoluti e ben accetti perché cinque eravamo e cinque restavamo. La domenica, poi , per evitare l'affollamento della spiaggia, preferivamo fare delle escursioni nei dintorni e qualche volta si tracorreva la giornata all'ombra del tempio di Nettuno a PaestumQuando le spiagge di S.Maria si affollarono pure a luglio e mi scocciai dell'intasamento all'uscita di Battipaglia, andammo a Rivisondoli in albergo per quindici giorni. Facemmo escursioni a Roccaraso, Scanno , Villetta Barrea, Castel Di Sangro, Sulmona.... Fu bello ma costoso e gli anni successivi ripiegammo sulla casa in affitto a S. Gregorio Matese (700 m.) Sempre a luglio però ché ad agosto comiciava a piovere ogni giorno dopo la prima decade. Non ci crederete ma, anni prima, proprio in un oratorio di questo paesino, avevamo ascoltato da Lucio Dalla e il suo complessino l'anteprima della canzone poi presentata a Sanremo: "4 marzo '43"


La passera Da bambino mi capitò di catturare in casa un passerotto. Forse al primo volo, era atterrato sul davanzale della finestra aperta del soggiorno che dal primo piano affacciava su un vasto agrumeto. Era poi finito sul pavimento, incapace di riprendere il volo. Lo misi in una scatola di scarpe che lasciai aperta sul davanzale. M'accorsi poco dopo che la mamma (o il papà, come si fa a saperlo), cautamente e coraggiosamente, veniva a imboccarlo nella scatola. Decisi allora di spostare la scatola col piccolo pigolante sul pavimento della stanza: volevo vedere se la passera (ma si dirà così visto che questa parola viene spesso usata con altro significato?) si sarebbe avventurata in casa. La passerotta (forse è meglio) s'avventurò e, mentre era intenta a imboccare il piccolo, io chiusi la finestra e con qualche difficoltà catturai anche lei. Misi anche lei nella scatola di cartone e chiusi con il coperchio. Nel giro di qualche ora, riuscii a procurarmi una vecchia gabbia e del mangime. A sera, mostrai con orgoglio a mio padre la gabbia con i due passerotti, ma lui non sembrò contento. Mi disse che avrei dovuto liberarli, che in gabbia al massimo si tengono fringuelli e canarini che cantano, non certo i passeri..., che il piccolino non avrebbe mai imparato a volare e sarebbe stato infelice..., che forse la mamma aveva lasciato altri piccoli nel nido...... .Ma io piagnucolai e fui così petulante che alla fine papà cedette e piantò un chiodo sul balcone per attaccarvi la gabbia. Avrei potuto tenerli a patto che me ne occupassi sia per la pulizia che per il mangime. Mi raccomandò di non scordare di cambiare l'acqua nell'apposito cilindretto ogni giorno e di mettere al riparo in casa la gabbia per la notte. Nei primi giorni fui assiduo nella cura dei passerotti e trascorrevo ad osservarli anche troppo tempo. Poi fui meno attento e cominciai a trascurarli fino a scordarmeli fuori una notte di temporale. L'indomani corsi sul balcone e trovai il piccolino fradicio di pioggia, pancia all' aria, stecchito. La passera, fradicia anch'essa, saltava da una parete all'altra della gabbietta, come impazzita. Corsi da mamma piangente e disperato. Era domenica e papà se ne stava ancora a letto a poltrire. Si alzò e, in pigiama, venne sul balcone. Senza parlare, staccò la gabbia dal muro, ne sollevò la grata a saracinesca e aspettò che l'uccello se ne andasse. La passera sembrò non voler abbandonare il figlioletto, poi spiccò il volo e scomparve nel cielo grigio. Piansi a lungo e fui taciturno tutta la mattinata. Nel pomeriggio con un amichetto mettemmo l'uccellino in una scatolina di cartone e andammo a sotterrarlo nel giardino del notaio


Il canarino L'esperienza con i passerotti da bambino, m'aveva tolto definitivamente la fantasia di tenere animali in casa. In seguito, ormai sposato, né a me, né a mia moglie passò mai per la testa di assecondare i capricci dei bambini che una volta avrebbero voluto un cane, una volta il gatto, le tartarughe o i criceti, perfino il coniglio. Abitando in città, in una casa piccola, avevamo buone giustificazioni per i ripetuti divieti e consentimmo solo i pesci rossi. Ma nel periodo in cui mia moglie si era appassionata al femminismo, ebbe modo di preparare in matematica la figlia di un'amica, che frequentava la quarta classe del commerciale e aveva lacune così vistose che l'insegnante minacciava di bocciarla. Patrizia (era il nome della ragazza), con l'aiuto di mia moglie, recuperò ogni lacuna e addirittura s'appassionò a quella materia che le era apparsa sempre ostica. Naturalmente la mia compagna rifiutò ogni compenso e così un giorno si vide recapitare una bella gabbia giallina, completa di accessori con un canarino bianco, che a sentire l'amica, era un gran canterino. Non se la sentì di rifiutare il regalo e la sera me lo mostrò - Canta, almeno?- chiesi - A sentire Lina, sì. Ma sono due ore che l'hanno portato e non ha fatto ancora cip. I ragazzi non fanno che sollecitarlo, ma lui muto... Invece cantava..., eccome! Me ne accorsi l'indomani, mentre mi radevo prima di andare in ufficio. Trilli articolati e lunghissimi. Potenti e modulati, vere canzoni, insomma. Dissi a mia moglie che si poteva tenere e le feci le stesse raccomandazioni avute da mio padre all'epoca dei passerotti. Per un bel po', il canarino continuò a cantare (solo in mattinata, chissà perché), poi s'ammutolì. Lina sostenne ch'era malato e suggerì di mettergli nell'acqua un pizzico di polvere d'aspirina. Poi il marito mandò un antibiotico specifico da somministrare a gocce, direttamente nel becco del canarino, due volte al giorno. La cura fu efficace e il canto mattutino riprese. Dopo qualche mese, però, si dovette ammalare di nuovo perché ridiventò muto. Ne parlai in ufficio a Beniamino, un collega appassionato e seppi che specialmente questi canarini bianchi (mi disse il nome specifico ma non lo ricordo) sono delicati e difficili da curare e non sempre sono ammalati se non cantano, a volte sono in muta, altre volte semplicemente tristi Per farla breve, in occasione di una visita con famiglia di questo collega esperto, avvenuta proprio in un periodo di tristezza del canarino, dopo una veloce consultazione con mia moglie e i ragazzi, ormai disinteressati, glielo regalai facendolo felice. Senza rimpianti. A voi che leggete dico, invece: evitate di prendere animali in casa se non siete sicuri di conoscerli, amarli ed essere in grado di curarli.


La numerologa Io conosco una persona che potrebbe essere definita una numerolo

ga. Nel senso che le viene facile qualunque cosa implichi conteggi e calcoli. In una boutique, lei viene attratta prima dal prezzo, poi dai colori e dall'eleganza del vestito o della borsa. E se il prezzo è eccessivo, il vestito non le piace. Quando arriva alla cassa con il carrello della spesa pieno, sa sempre, al centesimo, quanto ha speso. Ha un colpo d'occhio fenomenale. Al supermercato, ricorda esattamente la corsia nella quale si trova il prodotto che cerca; e di fronte a venti casse individua immediatamente la fila più corta e quella con più carrelli semivuoti, quindi la più veloce. In macchina, poi, è in grado di raggiungere sempre la destinazione da qualunque strada provenga e scegliendo sempre il percorso più breve. Insomma si orienta meglio di un navigatore satellitare Dopo la prima visita a casa di amici, più che sapere se è una bella casa, ricorda che nell'ingresso ci sono due specchi, in cucina sei pensili, che il lampadario della sala ha trentacinque lampadine e il tavolo otto sedie. Non sa se alle pareti sono appesi oli o litografie ma sa che sono undici. Se vi sono scale interne ricorda il numero di gradini di ognuna. Sa inoltre quante finestre e balconi ha la casa e se la facciata è ad Est o a Sud. Se guarda un film giallo in Tv, sa prima dell'investigatore quante pugnalate ha ricevuto il morto, quanti bicchieri sono sul vassoio e quante cicche nel posacenere Se ti affacci a un balcone insieme a lei , mentre t'accorgi che vi sono molti cantieri edilizi in giro, lei ha già contato 19 grù. E se di notte, dalla sdraio del terrazzino dell'albergo, tu noti in lontananza lucine che potrebbero essere degli aerei, lei ha già calcolato che nell'ultima mezz'ora ne sono atterrati cinque e decollati tre


Pasquetta Finché s'abitava a Napoli, avevamo molte scelte per la gita di Pasquetta: Il Vesuvio, La solfatara, Cuma, S. Martino o Capodimonte, la pineta di Licola, il lago d'Averno o il parco degli Astroni se aperto ai visitatori. In quest'ultimo era possibile imbattersi in animali selvatici e raccogliere funghi . Una volta, per merito di una signora nativa di Benevento, ne avevamo raccolti diversi chili. Pochi porcini e chiodini, ma tantissime manine. Queste manine sono funghi diversi da quelli classici nel senso che non hanno il cappello. Le comitive di napoletani passate prima di noi, non conoscendoli, li lasciavano ma noi li raccogliemmo tutti con la consulenza della beneventana. Erano ottimi e fu l'occasione per una bella provvista di barattoli sott'olio. Da quando abitiamo in questo paesello sperduto, le scelte sono limitate: o Miralago sul Matese o la località S, Pasquale. Quest'anno abbiamo scelto quest'ultima perché più vicina. Strada in parte dissestata, pochi tornanti ma tratti di salita con pendenza accentuata, circa venti minuti di macchina. Ad un certo punto ci si trova ad ammirare a livello un paesino di montagna caratterizzato da due belle torri merlate. E' così vicino che si potrebbe toccarlo se non ci fosse di mezzo lo strapiombo. Poco dopo s'arriva a S. Pasquale. E' una località suggestiva e solitaria, ma oggi il grosso spiazzo verde e ogni adiacenza sono zeppi di macchine ed è stato problematico reperire un buco per infilarci la nostra Sulla destra dello spiazzo e della strada, isolato, quasi appeso alla parete e perciò visibile da tutta la vallata, il campanile quadrangolare troncoconico, piuttosto tozzo. All'altro lato dello spiazzo, il convento dei cappuccini, un grosso edificio chiaro con piccolissime finestrelle quadrate, racchiuso in alte mura. Sulla sinistra un viale in leggera salita con tre panchine, poi ci s'inerpica su un'ampia ma ripida e lunga scalinata al cui termine si entra in un piazzale pavimentato . In esso una fontana circolare con pesci rossi, una statuetta di S, Francesco, qualche sedile in pietra e una massiccia balaustrata con affaccio sulla valle. Dall'altro lato la chiesetta del convento. Piuttosto piccola, buia, tre navate con soffitto a grosse travi di quercia incrociate. Ci siamo inoltrati, attraverso un cancello spalancato, in un lungo vialetto . Ai due lati, tanti alberi le cui chiome s'incontrano in alto e si richiudono quasi a formare una galleria. Il viale finisce con un muro. Su un lato una fontanella sormontata da una lapide in marmo con incisa un'epigrafe che si legge a stento. Una sorta di inno alla solitudine del quale ricordo solo qualche parola:"Beata solitudo, o sola beatitudo" e uno degli ultimi versi che all'incirca recita "Entra tacendo che qui il solo parlar è già rumore". Oppure "ché il solo silenzio è quì loquace", non ricordo la frase precisa. Sulla destra un varco con un cancello


aperto a metà e un frate a regolare il flusso dei visitatori. Sull'arco la scritta "Solitudine" All'interno l'atmosfera si fa ancora più raccolta e il verde più fresco e curato. Qua e là piccoli recinti racchiusi da piante speciali con tavoli e sedili in pietra. Poi uno stretto e tortuoso sentiero in terra battuta con l'indicazione via crucis. Lungo tale percorso le edicole del calvario di Cristo. Vere e proprie piccole cappelline con due gradini, un tettuccio in tegole e un cancelletto. In ognuna un piccolo affresco illustra un momento significativo della passione. La tortuosità del viottolo impedisce che da una stazione si possa vedere quella successiva. Quindici in tutto, credo, per i vari misteri, e per vederle tutte ci vuole un quarto d'ora. Chi sosta in preghiera, chi si commuove; comunque vi si respira un'atmosfera particolare che porta inevitabilmente al raccoglimento e alla meditazione.


Indice introduzione_______________________________pag.2 primo amore_______________________________pag.3 archimede________________________________pag.4 mariuccia_________________________________pag.5 la scopa__________________________________pag.6 vanità senile_______________________________pag.8 l’invito____________________________________pag.9 un inquilino in veranda_______________________pag.11 rocchino e l’asino___________________________pag13 teatro sul tram_____________________________pag.15 le sfollate_________________________________pag.18 giorgio___________________________________pag.22 don vincenzo______________________________pag.25 propositi__________________________________pag.28 commiato inusuale__________________________pag.30 nella_____________________________________pag.32 adele____________________________________pag.34 nomi uguali_______________________________pag.36 quando i ragazzi___________________________pag.37 la passera________________________________pag.38 il canarino________________________________pag.39 la numerologa_____________________________pag.40 pasquetta_________________________________pag.41

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