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Inoltre - Messico, fantasmi senza diritti Stefano Fantino
Messico, fantasmi senza diritti Migliaia di migranti vittime della malavita
Migliaia di persone, sospese tra la speranza e la paura. In un Messico da anni preda di conflitti civili interni, dominato dai narcos e oppresso da una corruzione dilagante che non risparmia le forze dell’ordine, si consuma la tragica e tormentata storia dei tanti migranti che, dal centro America, attraversano la federazione messicana per trovare, magari negli Stati Uniti d’America, la possibilità di un riscatto o anche solo il ricongiungimento con la propria famiglia. Rotta cruciale intermedia per il traffico di sostanze illecite, il Messico ha geograficamente anche il ruolo di filtro per l’immigrazione centro-americana, rendendola, di fatto, soggetta agli interessi e agli attacchi dei cartelli di narcos, spesso con la complicità silente degli organi federali. Violenze, massacri, stupri, violazioni dei diritti umani, e uno status di clandestinità che ha spesso impedito le denunce e le rivendicazioni, facendone, ancora una volta un luogo di impunità. Le poche voci a sostegno dei migranti, senza diritti e spesso invisibili, sono state quelle isolate di alcune organizzazioni per i diritti umani e di alcuni coraggiosi sacerdoti, che hanno cercato di organizzare aiuti concreti per chi inizia questi veri e propri viaggi della speranza. Padre Alejandro Solalinde, sacerdote cattolico, è uno di questi: dirige il centro rifugiati “Hermanos en el camino” di Ixtepec, nello stato di Oaxaca, un luogo dove i migranti trovano cibo, cure mediche, la possibilità di lavarsi, riposarsi, informazioni riguardanti il viaggio e assistenza legale. E che non ha incontrato, invece, i favori di chi su questa grande crisi umanitaria riesce da tempo a lucrare e che ha più volte minacciato il sacerdote, vittima di diverse intimidazioni. Quello dei migranti è da tempo un grande business. Rapporti di Amnesty International, del Wola (Washington Office on Latin America) e del Prodh (Centro Miguel Agustin per i diritti umani) sottolineano i grandi rischi per i migranti sulle strade che portano verso gli Stati Uniti. Il ritrovamento dello scorso anno in un capannone di 72 corpi massacrati probabilmente dai Los Zetas, un gruppo paramilitare, rappresenta solo un esempio tra tanti. Rapiti anche a gruppi di cento, diventano l’obiettivo di organizzazioni criminali che estorcono ai familiari, che vivono già negli Stati Uniti o in Canada, anche 2.500 dollari per ogni persona. La Commissione nazionale per i diritti umani (Cndh), secondo quanto riportato dal Wola nel rapporto “A dangerous travel through Mexico”, parla per il periodo che va da settembre 2008 a febbraio 2009 di quasi 10mila migranti rapiti nelle strade del Messico. Si stima che più del 90% dei rapimenti sia opera di criminali messicani. Un affare che si accosta a quello del traffico di droga, portando diversi milioni nelle tasche dei narcos grazie al ricatto ai familiari. E i numeri annui parlano di un grande flusso che passa nella federazione: secondo le autorità circa 171mila sono i migranti che attraversano il confine meridionale del Messico; il 95% proviene da Guatemala, El Salvador, Honduras, Nicaragua. E si spinge in zone aspre, lontano dai posti di controllo del Governo Federale. Le tecniche di avvistamento da parte delle gang criminali sono molto facili: i viaggi disperati, la poca conoscenza del luogo tradiscono spesso i migranti, sorpresi nei pressi dei binari ferroviari e facilmente ricondotti con la forza in vere e proprie strutture di detenzione, dove male alimentati attendono la loro sorte. Grave la situazione delle donne che, sempre stando ai dati riportati dal Wola in sei casi su dieci subiscono violenza sessuale. E in molti casi sono obbligate a prostituirsi per conto del cartello. Come nel caso di Solalinde, molti altri tentativi di dare un aiuto ai migranti e contrapporsi ai cartelli ha attirato minacce e intimidazioni. Nel 2009 la Chiesa cattolica ha aperto in Chiapas un centro di aiuto per i migranti. Costretto a chiudere dopo poco a causa di continui attacchi criminali che terminavano con i rapimenti dei migranti ospitati dal centro. La diretta responsabilità dei gruppi criminali nei rapimenti e nelle violenze contro i migranti non lascia però in secondo piano “la partecipazione delle autorità messicane in diversi casi che rivelano la complicità degli stessi con le gang criminali”. Rapporti del Cndh citati dal Wola parlano di almeno un centinaio di casi in cui i migranti tenuti in ostaggio erano consapevoli dei contatti tra forze di polizia e narcos. Nel 2008 anche Jorge Bustamante, relatore per le Nazioni unite, dopo la visita in Messico parlò di estrema tolleranza governativa verso questi reati, sottolineando come “la migrazione transnazionale continuasse ad essere un business, orchestrato dai gruppi coinvolti nel traffico di droga, ma con la collaborazione delle autorità locali, municipali, statali e federali”. Le strade per chi vuole denunciare sono molto dure: lo status di migranti, senza diritti, rende restie le persone a esporsi. Tuttavia la crescente pressione di associazioni di difesa dei diritti umani ha spronato l’esecutivo messicano a prendere visione di svariati report che potranno migliorare la situazione dei migranti, garantendone i diritti. A cominciare da un capillare lavoro di segnalazione per capire l’enorme portata del problema: in circa due anni, secondo dati Cndh, solo 2 persone hanno ricevuto una condanna su140 casi. Un fallimento giudiziario dietro cui si annida la mancata volontà di perseguire questi crimini. Ci sono voluti diversi massacri per avere una inversione di rotta e incrementare il coordinamento di polizia per evitare gli abusi verso i migranti, trovando strumenti legali per la denuncia delle violenze. Tra questi la possibilità di assistenza senza il previo riconoscimento dello status legale. Tre gli aspetti chiave di una riforma: assicurare più credibilità alle forze di polizia combattendo la corruzione che la rende tra gli apparati meno affidabili del Paese; includere come aspetto costituente dei cartelli criminali il traffico di essere umani per poterlo perseguire; e infine frenare l’impunità che rende di fatto infinita la catena di violenze e violazioni dei diritti umani.
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