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materiali tra filosofia e psicoterapia


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materiali tra filosofia e psicoterapia

Rivista semestrale fondata nel 1990 Redazione  Fabrizio Desideri (codirettore), Maurizio Ferrara, Alfonso Maurizio Iacono, Luciano Mecacci (codirettore), Paolo Francesco Pieri (direttore) Comitato esecutivo  Rocco Greppi, Teresa Recami, Alessia Ruco, Marco Salucci, Antonino Trizzino, Vincenzo Zingaro Collaborano, tra gli altri  Arnaldo Benini, Paola Cavalieri, Felice Cimatti, Pietro Conte, Michele Di Francesco, Roberto Diodato, Adriano Fabris, Rossella Fabbrichesi, Umberto Galimberti, Enrico Ghidetti, Anna Gianni, Tonino Griffero, Mauro La Forgia, Federico Leoni, Maria Ilena Marozza, Alessandro Pagnini, Pietro Perconti, Fausto Petrella, Patrizia Pedrini, Mario Rossi-Monti, Amedeo Ruberto, Carlo Sini, Elisabetta Sirgiovanni, Silvano Tagliagambe, Luca Vanzago, Giuseppe Vitiello, Vincenzo Vitiello Cura delle immagini  Manuel Forster Redazione, grafica e impaginazione  Marco Catarzi Ufficio stampa  Anna Pampaloni Direzione  via Venezia, 14 – 50121 Firenze Sito web www.atquerivista.it Moretti & Vitali Editori s.r.l. via Giovanni Segantini, 6 24128 Bergamo telefono +39 035 251300 www.morettievitali.it

© atque – materiali tra filosofia e psicoterapia nuova serie, n. 25 – anno 2019 ISSN 1120-9364; ISBN 978-88-7186-797-7 Registrazione  Cancelleria del Tribunale di Firenze n. 3944 del 28 febbraio 1990 Direttore responsabile  Paolo Francesco Pieri Finito di stampare nel dicembre 2019


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Il mito dell’empatia. Prospettive critiche a cura di  Fabrizio Desideri e Paolo Francesco Pieri contributi di  Fabrizio Desideri, Massimiliano De Villa, Mauro La Forgia, Andrea Lanza, Massimo Marraffa, Felice Masi, Massimo Palma, Luca Pinzolo, Amedeo Ruberto, Silvano Tagliagambe, Antonino Trizzino prefazione di  Fabrizio Desideri e Paolo Francesco Pieri


Abbonamento annuo (due numeri): Italia ₏ 40,00, Estero ₏ 55,00. Il pagamento puo essere effettuato nelle forme seguenti: a) bonifico bancario IBAN: IT 55 P 03111 1111 0000 0000 61671 intestato a Moretti&Vitali Editori s.r.l.; b) paypal indicando l’indirizzo amministrazione@morettievitali.it come destinatario del pagamento. Per richiedere numeri arretrati: tel. +39 035 251300, fax +39 035 4329409.


Sommario

Adversus empathicos! Quasi un dialogo in tre scene Fabrizio Desideri

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Prefazione 25 Fabrizio Desideri e Paolo Francesco Pieri saggi

Ulterior…mente: l’empatia e il mito della prospettiva internalista Silvano Tagliagambe

Empatia, mindreading e introspezione Massimo Marraffa

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La critica dell’empatia in Walter Benjamin. Acedia, merce, dominio 107 Massimo Palma

Empatia della forma espressiva. Il modello anaforico da Brandom a Bühler 121 Felice Masi Oltre lo “specchio” e la “fusione”: il fondamento dell’Einfühlung husserliana nel Leib 139 Andrea Lanza L’igienico intervallo tra Io e Tu. Umfassung contro Empatia nel pensiero di Martin Buber Massimiliano De Villa

Vademecum di un consigliori. Ai confini del concetto di empatia Mauro La Forgia Empatia ed ecfrasia. Osservazioni dalla psicoterapia Amedeo Ruberto 7

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L’occhio vivente. Empatia e biologia Antonino Trizzino

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Estetica dello “sfioramento”. O dell’empatia e dell’ontogenesi Luca Pinzolo

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Indice degli articoli di “atque” 1990-2019

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Adversus empathicos! Quasi un dialogo in tre scene Fabrizio Desideri

Prima scena. Occasionalmente empatico I personaggi sono due, evidente la differenza d’età, in sospeso il sesso (nella fiction tutto è possibile). Il personaggio più anziano si ritiene un outsider, visto che crede nelle potenzialità emancipative della rete ma diffida profondamente dei social network (si chiamerà semplicemente out). Quello più giovane è ritenuto un influencer filosofico a motivo del suo fortunato blog “philosophical flashes” (si chiamerà ovviamente in). La scena del loro occasionale dialogo è il drink a corredo della presentazione di un libro. Ma questo non importa un gran che. Anche se i contesti non sono mai indifferenti alla vita dei significati. In ogni caso stiamo a sentire. I convenevoli d’occasione sono già avvenuti. Come sempre, in di-aloghi d’occasione si sa dove si comincia e non si sa come si finisce.

out — La presentazione di stasera mi ha confermato in una convinzione se vuoi intinta nell’amarezza… in — Quale, scusa? E perché dare tutta questa importanza a un termine obsoleto o se vuoi âgé come quello di “convinzione”. Nel termine si avverte il dipendere da qualcosa. Chi è con-vinto in qualche modo ammette di essere vinto da qualcuno o da un’idea, una teoria o addirittura un’ideologia. out — Ora sei tu a usare un termine vetusto e polveroso… in — Intendi quello di “teoria”? out — A dire il vero intendevo quello di “ideologia”, anche se – diciamolo pure – all’origine di un’ideologia c’è sempre una teoria o magari una critica di essa. in — Ti stai perdendo in troppi giri di pensiero o di parole. Anche se non c’è una gran differenza tra i due piani. Ma non è questo il luo9 ©

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go per discettare ulteriormente. Ogni cosa a suo tempo e luogo! Non siamo a un Seminario. out — Lo so bene. in — Lo sai, ma non dai una gran prova di saperlo. Perché mai, se no, asserire con greve gravità che la tua convinzione è intinta nell’amarezza? Non ti pare di esagerare con queste espressioni? Come fa poi una convinzione a intingersi, tanto più nell’amarezza. Non è forse l’amarezza una qualità astratta? out — Potrebbe essere anche la connotazione di un sentimento, ma lasciamo perdere… in — Sì, lasciamo perdere (almeno per il momento…). Non mi hai, però, ancora chiarito in cosa consista la convinzione che vorresti intinta nell’amarezza come un biscotto. Non era meglio se dicevi direttamente “inzuppata” e traducevi anche l’amarezza in qualcosa di più concreto e sperimentalmente verificabile? out — Vedo che hai voglia di prenderti gioco di me, prima ancora di sapere di cosa parlo. Ancora una volta l’impulso a prendere la parola da blogger di successo ha il sopravvento su qualsiasi ponderata riflessione. A ogni modo, se non mi subissi in anticipo con i tuoi squittii… in — Adesso sei tu che fai lo spiritoso. Non tradirai un po’ d’invidia per le decine di migliaia di follower che mi seguono su Twitter… out — Per questo, mio caro, è la passione che mi manca. Ecco quanto intendevo dire: quello che mi pare oggi mancare è un pensiero capace di spingere la sua critica nel cuore del presente. I brillanti conferenzieri di questa sera, con la messe di elogi che hanno tributato al festeggiato, mi hanno confermato proprio il venir meno di una teoria critica dell’attualità. Una teoria che per essere tale non deve aver timore di suonare inattuale ai più. La stessa impressione, del resto, me l’hanno consegnata le poche pagine del libro che sono riuscito a sbirciare mentre gli oratori parlavano con prevedibile e artificiosa verve. La verve del mestierante (una strizzatina d’occhio all’Editore perché non si sa mai e una frecciatina all’autore tanto per non apparire troppo a rimorchio). Pensieri brillanti e politically correct, così da non dispiacere a nessuno. Per risultare… in (interrompendo con foga l’interlocutore) — Ma quanto sei patetico, mio caro. Non mi viene un’altra parola per l’atteggiamento che le tue parole tradiscono. Non hai capito quello che i politici più intelli10 ©

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genti hanno capito da tempo. Basta criticare, bisogna capire come vanno le cose, bisogna afferrare al volo le occasioni (i tav di oggi si fermano in Stazione solo pochi secondi: chi non sale è perduto); è l’ora di rimboccarsi le maniche. out — Questi discorsi li ho già sentiti e non dai politici di adesso. Sono decenni che li sento e adesso li risento con il disgusto con cui un pasto maldigerito torna in gola. In ogni caso, se io sono patetico tu sei sicuramente “empatico”. in — Forse non sai nemmeno quel che dici. Vuoi usare una parola di moda e non ne conosci il vero significato. Dicendomi che sono “empatico” mi fai un elogio. Qui, caro mio, psicologi cognitivi, neuro-filosofi, politici intelligenti, opinionisti nutriti delle letture giuste convergono nel cogliere nell’empatia una virtù del nostro tempo, capace di conciliare etica, politica ed estetica. out — Ci sei cascato. Il laccio che ti avevo teso era fin troppo scoperto e avevo paura che te ne accorgessi per tempo. Sei così contento che i tuoi follower ti riconoscano capace di empatia, ammettendo senza problemi che è questa la chiave del tuo successo, da non annusare la trappola. in — Ma di quale trappola vai cianciando? out — Del fatto che trasformando l’empatia in una virtù o comunque in un atteggiamento positivo e da elogiare, si è combinato un bel pasticcio concettuale, alimentando tutta una serie di equivoci. in — E perché mai? Dove sta il problema? out — Il problema sta nell’assegnare un valore, intendendola come qualcosa di buono e costruttivo (un atteggiamento da coltivare), a una disposizione naturale della nostra mente (direi quasi innata) a riconoscere da determinati segni ed espressioni degli altri uno stato d’animo che abbiamo esperito in proprio. in — Vedi problemi di ordine semantico-concettuale (te li fai direi…), perché nutri – da preconcetto ipercritico quale sei – un’accezione assai limitata e limitante di empatia. Non si tratta solo di capire quel che uno prova, rivivendolo, ma di ispirare fiducia. L’empatico è colui che capisce e condivide i sentimenti altrui. Dal suo muoversi, dal tono della sua voce irraggia questa capacità. L’empatico ci capisce nel profondo, anzi ci capisce meglio di quanto siamo capaci di capire noi stessi: le nostre paure, rabbie, desideri, gioie. 11 ©

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out — Senza volerlo, mio caro, dici bene. Nell’attribuzione di empatia, nel riconoscere questa virtù come un dono naturale che qualcuno possiede, sta la chiave del successo politico di qualcuno, oggi. in — Come al solito vedi solo un lato del fenomeno. Sull’altro fronte della scena politica c’è anche chi riconosce che bisogna “ricostruire l’empatia con la gente”. Anche coloro che dovrebbero piacerti politicamente ritengono l’empatia una virtù, la cercano, l’auspicano, l’implorano quasi… out — Appunto! Forse proprio per questo si preoccupano più del pericolo prossimo e non del male che sta all’origine. in — Il male è quello di non essere adeguati ai nuovi tempi, di coltivare le speranze del passato. Di non vedere come la nuova politica sta nel congiungere quello spirito di umanità che prospera con un’empatia diffusa e la capacità di inseguire i propri sogni. out — Sei tu ora che parli un linguaggio vecchio e ammuffito. Lo stesso che si usa per proporre una catena di supermercati come la tua nuova casa. Il linguaggio di chi fa marketing da quattro soldi. Se volessi seguirti sul piano che mi proponi, dovrei rilevare come tra il calore dell’empatia e l’inseguire un sogno sta un’idea di politica che ha cancellato da sé non solo lo spirito del conflitto, ma anche e soprattutto quello del sacrificio. in — Lasciamo perdere, hai ragione. Con queste parole confermi la tua incomprensione rispetto a quanto sta accadendo. I pensieri cui ti aggrappi sono vecchi relitti. out — Potrei risponderti, evocando un Maestro assai caro, che non ho altro che questi e in ogni caso sono un motivo di speranza. E poi… Non incomprensione, caro mio. Ma estraneità. Se non altro – come mi capitò di dire – perché ci vedo, talvolta in anticipo. in — Non manchi di supponenza, a quanto pare. out — A dirla tutta e con filosofica oculatezza, le mie sono giustificate e argomentabili presupposizioni. Ma ti risparmio giustificazioni e argomentazioni. Vorrei, però, invitarti a tornare sulla questione dell’empatia, riprendendola dall’origine. in — Cosa intendi per origine? C’è chi per parlare di empatia è partito da Platone… E francamente, se mi permetti… out — No, no. Qui sarei più filologico. Partirei semplicemente dal fatto che empatia/emphaty è la traduzione del tedesco Einfühlung. Da 12 ©

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qui prende le mosse la fortuna del concetto, prima in estetica e poi in psicologia: ora per ogni dove. in — Vuoi partire da Lipps e prima ancora da Robert Vischer, allora? Ma non è alquanto scontato? Tutti lo sanno, ormai. In qualsiasi manuale di psicologia o di estetica l’origine dell’empatia è spiegata con questi riferimenti. out — Si, certo. Qualcuno, questi riferimenti necessari a una archeologia storico-critica dell’empatia, li conosce bene, ma non di certo la maggioranza delle persone che usano il termine “empatico”. Lo stesso vale per tutti coloro che oggi usano l’aggettivo “estetico”: sono semplicemente ignari dell’origine greca del termine. in — Tu, se non vado errato, qualche anno fa (diversi ormai) hai parlato proprio del rapporto di derivazione e differenza tra l’uso di empatheia nei classici (fino a Plotino, se non ricordo male) e l’accezione psicologica corrente. out — Hai ragione. Vedo che hai buona memoria. Anzi, ora che ci rifletto, ma non eri troppo giovane quando ho scritto quel pezzo? in — Ti dimentichi che c’è la rete, dove il sapere è pura interconnessione orizzontale, rimbalzare di rimandi in perenne e tripudiante attualità. out — Così dicendo mi sembri un emulo di Pierre Lévy [al che, faccia stupefatta di in]. O forse non sai nemmeno di chi parlo. Ritornando alla nostra parola e alla quasi contesa che ha acceso, vorrei riflettere un poco proprio sulla sua origine tedesca, sulla curvatura semantica che acquisisce se la si ascolta e analizza nella prima lingua in cui il termine è occorso con teorica pregnanza. in — E sia! out — Ma ormai è tardi, siamo stanchi ed è l’ora di andare. Ti faccio una proposta. in — Non mi inviterai mica a uno dei tuoi noiosissimi Seminari. Non me la sento, con tutti quegli studenti saputelli. out — Non intendevo questo. Ti propongo, piuttosto, di scambiarci al riguardo qualche mail, prendendoci tutto il tempo che occorre. in — E sia. Cominci tu, naturalmente? out — Ok. Ti scriverò prestissimo. Mi confermi che questa è la tua mail [cenno di assenso di in]. 13 ©

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Seconda scena. Uno scambio di e-mail sull’empatia. Più breve di quanto pensassimo Prima mail. Da out a in Carissimo I., la parola Einfühlung, che un tempo chez nous si traduceva con “immedesimazione”, acquista una maggiore trasparenza se si riconduce il termine sostantivo al verbo da cui probabilmente deriva (dopotutto anche in questo caso vale che in principio era il verbo). Il verbo come sai è un riflessivo: sich einfühlen che per esempio il Wahrig spiega come lo hineinversetzen, il trasporsi “dentro qualcuno, una condizione, una Stimmung” e, dunque, come il “comprendere la Seelenleben (la vita psichica) di qualcuno. Come sai, soprattutto per Lipps ma anche per R. Vischer, questo “trasporsi” non è un movimento neutro. In prima istanza il vero movimento (scil. l’attivarsi di sensazioni interne, emozioni, sentimenti) è quello che si trova nell’oggetto in cui la nostra psiche si trasferisce. Soprattutto nel caso di oggetti estetici quali fiori, paesaggi, animali, opere d’arte e prodotti del fare umano in genere l’Einfühlung è attivata da una proiezione e questa ha la sua molla in una prestazione immaginativa. Solo in virtù di questa istanza proiettiva all’origine, l’atto di Einfühlung può trovare il suo compimento in un’esperienza che cancella la differenza tra il soggetto e l’oggetto. Il soggetto dimentica i microprocessi imitativi che lo hanno condotto a quel punto e si sente uno con il suo oggetto: si identifica con esso. Quanto di questo identificarsi è pura illusione? Autoinganno? Dimmi tu, se vuoi. Seconda mail. Da in a out Caro O., mi verrebbe subito da risponderti che a preservare dall’auto-inganno è la risposta che il soggetto empatico trova nell’altro sentire, nell’altrui Erleben in cui sprofonda. Non dimentichiamoci, infatti, che la vera misura di esplicazione ed effettività della Einfühlung è l’umano. Come 14 ©

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gli studiosi più attenti del concetto ci fanno notare, il piano estetico in cui si presenta per la prima volta la questione dell’empatia acquisisce ben presto una valenza più ampia per trapassare nella sfera etica. Einfühlung, così, viene a tradurre quella sympathy come una propensione naturale all’origine dell’attitudine etica, di cui parlano David Hume e Adam Smith. C’è poi un’altra questione che tu sembri dimenticare (solitamente così informato…). Mi riferisco alla cruciale critica che la Stein muove a Lipps, obiettando alla sua posizione di far slittare l’Einfühlung in una Eins-fühlung. Mentre, ricorda la Stein, nell’esperienza entropatica la distanza tra Sé e l’altro non viene mai cancellata: il due rimane. Che ne dici? E mi spieghi anche cos’è il “Wahrig”? Ciao. Terza mail. Da out a in Carissimo I., lascia che mi congratuli con te, anzitutto per la pertinenza dei tuoi riferimenti. Evidentemente ti sei aggiornato. Rispondo subito alla tua finale curiosità: il “Wahrig” è un vocabolario della lingua tedesca equivalente al nostro Zanichelli o all’Oxford per la lingua inglese. Al riguardo non mi pare inutile rilevare che nel Deutsches Wörterbuch in 33 volumi di Jakob e Wilhelm Grimm il termine Einfühlung e il corrispettivo verbo non compaiano (Il volume 3 relativo a “E-Forsche” è del 1862). Un’ulteriore testimonianza – se vuoi – del carattere moderno del concetto. Al punto che mi verrebbe da fare un po’ di ironia sulla tesi del premio Nobel Rifkin, secondo la quale solo ad un certo grado dell’evoluzione l’empatia si rivela essere il tratto distintivo del nostro essere umani e questo precisamente quando la percezione di sé è divenuta capace di introspettività. Autore del fortunato The empathic civilization: the race to global consciousness in a world in crisis (Polity Pr. 2009, trad. it. Mondadori 2010), Rifkin non solo data tra ’800 e ’900 quella scoperta dell’interiorità che rende possibile il sentimento empatico, ma ne fa addirittura il culmine della civiltà umana: la chiave per risolvere le crisi attuali. Già nell’Alcibiade i di Platone, mi verrebbe da osservare al riguardo, c’è quel costituir15 ©

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si della coscienza/conoscenza di sé in una dialettica tra Sé e l’Altro attraverso la propria immagine che si riflette nella pupilla altrui. In questa dialettica dell’immagine riflessa si apre uno squarcio alla vita dell’anima come un continuo oltrepassare la soglia tra Sé e l’Altro: uno squarcio che nasce da un commercio percettivo. Un commercium, uno scambio originario che rivela una comunità del sentire, un sensus communis antecedente ogni soggettiva insularità. Prevenendo le tue prevedibili obiezioni, aggiungerei che è su queste basi (già al centro della mia ricerca sulla coscienza di oltre un ventennio fa) che si rende insufficiente l’obiezione della Stein a Lipps. Il fatto è, a mio avviso, che ogni correzione non verrà mai a capo dell’infelicità del termine “Einfühlung”. Tanto che uno Scheler, per esempio, preferisce tornare alla radice comunitaria espressa dalla preposizione “syn” e parla appunto di sympatheia: possiamo sentire con qualcuno, patire/gioire con lui, ma non sentire dentro il suo sentire. A meno di non voler riabilitare un principio di fusione, di un Eins-Werden alla Lipps. Ma ho scritto troppo. Qui mi fermo e attendo qualche tuo cenno di replica. Quarta mail. Da in a out Caro O., te lo dico senza indugi. Mi pare che ti ripeti; anzi: che ripeti motivi dei tuoi lavori cui non hai mai dato quel respiro e quello svolgimento necessari alla comprensione e alla compartecipazione. Per di più sembri mancare di rispetto alla Edith Stein, alla cui santa memoria ci dovremmo sempre inchinare con devozione. Scheler, ammetto, dovrei conoscerlo meglio, per commentare il suo contrapporre la legittimità della sympatheia alla (per lui) improbabile empatia. Scusa la brevità, ma non ho tempo per altro. Quinta mail. Da out a in Carissimo I., penso sempre che tra persone intelligenti ci s’intenda e non ci sia bisogno di esplicitare tutto. Forse questa necessità di precisazioni de16 ©

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riva proprio dall’assenza di un’empatia (almeno tra noi). Semmai, in questo nostro scambio, essa è presente come un fantasma, come uno spirito o uno spettro. Nella pur sacrosanta critica che la Stein muove a Lipps risuona certamente il dramma dell’alterità al centro della fenomenologia del suo maestro Husserl, come attestano le Lezioni sulla coscienza intima del tempo (curate dalla stessa Stein) e, soprattutto, le Meditazioni cartesiane. Questa drammaticità del modo con cui Husserl affronta la questione dell’Einfühlung è ben chiarito nelle pagine di una giovane studiosa. Ma al riguardo avevo già detto qualcosa nel già citato libro sulla coscienza. Tornando alla Stein, credo però che per prendere le distanze da un limite intrinseco alla attuale valorizzazione del sentimento di empatia, vale a dire quello dello psichismo, bisogna guardare agli scritti e alla ricerca filosofica successivi al battesimo della Stein, quando il suo Maestro diviene un Altro. Penso, naturalmente, a quello scritto straordinario che è Essere finito e Essere eterno, del 1935-36 dove la Stein fa i conti con la fenomenologia husserliana da un punto di vista cristologico e in una prospettiva aristotelico-tomista. Ma penso anche al saggio del 1930-32 dedicato a La struttura ontica della persona, dove, sostenendo che “solo l’anima vivificata dallo spirito è così aperta da poter ricevere qualcosa in sé stessa”, si critica l’illusione del naturalismo e si ricorda la necessaria appartenenza dell’anima alla sfera spirituale. Non è certo questo il luogo per dar seguito a questo accenno. Basti qui osservare come l’enfasi sull’empatia come tratto veritativo dell’umano, in una perenne indecisione tra naturalismo e valore, cancella la dialettica paolina tra lo psichico e lo spirituale. C’è, insomma, una critica teologica da muovere alle odierne speculazioni e sperimentazioni sull’empatia. Una critica teologica che non si alimenta unicamente della cristologia di Paolo. Da preoccupazioni parimenti teologiche (e non semplicemente estetiche o politiche, come credono i più), seppur radicate in quella singolare sintesi tra platonismo e ebraismo che distingue il suo pensiero, deriva la costante critica che Walter Benjamin muove alla nozione di Einfühlung. Quasi un corpo a corpo che dura tutta la sua vita intellettuale, come ha scritto qualcuno. Non so, sinceramente, se a questo punto riesci a seguirmi. 17 ©

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Sesta mail. Da in a out Caro O., detto con franchezza. Su tutta la prima e seconda parte della tua mail sono alquanto perplesso. Ho sempre ritenuto le questioni teologiche perseguite con passione e competenza da tuoi maestri e amici una perdita di tempo. L’ethos della mia ricerca è profondamente laico. Le mie conoscenze paoline si limitano agli anni del catechismo e, in tempi recenti, alla lettura de Il Regno di Emmanuel Carrère. Parlami piuttosto di Benjamin. La sua critica all’Einfühlung mi è sempre sembrata di tipo estetico e per di più mai chiarita fino in fondo nelle sue ragioni. A dirla tutta, non l’ho mai condivisa. L’empatia è la condizione del comprendere, dopotutto. Comunque, lascio a te la parola. Settima mail. Da out a in Carissimo I., sarò molto franco. Certe professioni di laicità mi suonano talvolta come un modo elegante per dissimulare la rinuncia a un pensiero radicale. Intendo un pensare che non si ritragga quando sfiora la radice o le radici del nostro essere, amare, discorrere, agire; che non rinunci almeno a considerare le questioni che emergono. Questioni ultime, s’intende. Quelle questioni di confine rispetto alle quali, con le parole del nostro WB, merita procedere “Immer radikal, niemals konsequent”. Talvolta il consequenzialismo deve fare un passo indietro rispetto alla necessità del presupporre e del tener-per-vero. Accolgo a ogni modo la tua richiesta. Molteplici sono i motivi che concorrono in Benjamin a opporsi alla nozione di Einfühlung. Tra tutti spicca, però, la presa di distanza da un qualsiasi accesso immediato alla verità, come se questa fosse un oggetto di cui prendere possesso. Nell’Einfühlung Benjamin vede presentarsi l’ingannevole promessa di chiudere il vero nello spazio interiore del vissuto, dell’Erleben. Ma quella dell’Einfühlung per il Nostro è letteralmente una “vita falsa”: un “falsches Leben” al quale egli contrappone la vita vera della tradizione. Cardine di questa falsità è il principio di sostituzione (tramite immedesimazione) in virtù del quale il sogget18 ©

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to empatico penetra nel territorio dell’altro, annettendolo in qualche modo al proprio sentire. Che il veicolo di efficienza di tale sostituzione sia il tessuto fluttuante delle emozioni c’è appena bisogno di precisarlo. Così, dal punto di vista di una filosofia dell’arte, il soggetto si sostituisce non solo all’autore dell’opera, ma anche alla costitutiva differenza che vige tra quest’ultima e il primo. La maestà dell’opera, nella dialettica tra contenuto reale e contenuto di verità che la costituisce, si umilia così a uno scambio emozionale. Non è del resto una tesi ancor oggi in voga che il senso dell’opera d’arte stia nella capacità di emozionare? Niente di più estraneo alla prospettiva benjaminiana. Per il filosofo berlinese già la pretesa di penetrare nello spazio dell’opera è complice dell’atteggiamento empatico e, pertanto, errato. È piuttosto questo spazio a farsi avanti e imporsi alla nostra attenzione. Come Benjamin non manca di osservare dinanzi a un quadro di Cézanne nel suo Diario moscovita. Tirando le somme, si può dire che Benjamin coglie in questa attitudine in forma di esperienza una dissoluzione internalista della verità, dove è il sentimento del soggetto ad affermarsi. Per questo la sua critica dell’empatia coinvolge anche la drammatica problematizzazione che essa conosce in Husserl e nella fenomenologia. In quanto accesso diretto al sentire dell’altro, magari ammantato delle facilitazioni dell’inferenza e dell’analogia, l’empatia conferma l’atteggiamento intenzionale come forma della coscienza. All’immediatezza veritativa dell’empatia Benjamin da un lato oppone che l’unico metodo possibile nei confronti del vero è quello dell’Um-weg, della via indiretta (del compiere lunghi giri, spesso errando e tornando sui propri passi) e, dall’altro, ritiene che il percepire, pur nella sua capacità di annunziare/cogliere il vero e quindi di confermarsi letteralmente come un wahr-nehmen, conosce la complessità e la mediazione del riflettere: percezione in sostanza è lettura. Ma proprio in quanto lettura essa rende necessaria l’interpretazione capace di ascoltare/intendere ciò che si mostra, fino a diventare “semplice lettura, obiettiva, infallibile”. Plotinianamente, l’aisthesis è anghelos: annunzia/rivela esteticamente, ma non cattura il vero. E questo vale, in misura ancora maggiore, per il puro sentimento, sia in quanto risonanza interna, stato qualitativo della psiche, sia nel suo far-segno. In attesa, dunque, di essere capito. Sia che si tratti di uno stato meramente interno (ma ne 19 ©

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esistono veramente? Non è ogni interno in rapporto espressivo con un esterno che lo limita?) sia di quel sentire che si spinge dentro il sentire altrui. Ciò che vale per il sentire proprio, vale in misura ancora più decisiva per il sentire altrui. In entrambi i casi, come ricorda Wittgenstein, non abbiamo altro che segni. Fammi sapere cosa ne pensi… Ottava mail. Da in a out Caro O., a questo punto non ti seguo più. Mi sembri confondere le acque. Non potresti spiegarti meglio. Aspetto una tua risposta: che sia breve e chiara, però. Nona mail. Da out a in Carissimo, ti risponderò con la concisione che esigi. O almeno ci provo. L’abisso che separa il pensiero di Benjamin dalla logica dell’empatia è chiarito nella connessione tra due passi contenuti nella celebre e cruciale Vorrede al Trauerspielbuch. Nel primo a esser preso di mira è il nesso tra Einfühlung e Anschauung: tra empatia e intuizione. In quest’ultima figura quella serie di processi induttivi che concorrono a formare il procedimento empatico sembrano convergere in una apparente risolutività. Mentre, osserva Benjamin, è proprio l’intuizione che va interpretata. Assunta come suggello dell’empatia, l’intuizione non conduce all’idea, manifestando piuttosto “gli stati soggettivi proiettati nell’opera”. Come viene ribadito nel secondo passo, empatia si traduce in tentativo di insinuarsi per “sostituzione” al posto dell’autore. In conclusione, nell’Erlebnis dell’Einfühlung una “mera curiosità” si ammanta dei panni del metodo. Da questo equivoco, tutto giocato sull’illusione dell’immediatezza di un sentire ciò che l’altro sente (o di rivivere il vissuto condensato nell’opera) deriva la tesi che l’empatia valga come accesso privilegiato al contenuto di verità dell’opera d’arte e, più in generale, come inizio di ogni processo di comprensione. 20 ©

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Adversus empathicos! Quasi un dialogo in tre scene

Qui però dovrei pronunciare una piccola e modesta palinodia rispetto a quanto affermato nel mio saggio di diversi anni fa sull’argomento. Non è vero che all’origine di ogni comprensione vi sia un sentimento di empatia. Come l’ultimo Benjamin intende con somma lucidità, all’origine dell’empatia vi è l’acedia, l’indolenza del cuore e con essa addirittura – oserei dire – la disperazione di non esser capace di una metanoia: di una conversione della mente. PS Prima di congedarmi, in attesa della tua risposta, un’ultima osservazione. In “eine bloße Neugier”: in una “mera curiosità” Benjamin fa consistere l’Einfühlung. Non cogli qui la condanna agostiniana della curiositas? E, restando in tema, l’enfasi eticheggiante sull’empatia non deriva forse da un pelagianesimo delle emozioni? A questa lettera in non rispose mai. I due s’incontrarono molto tempo dopo a Parigi, in maniera ancor più occasionale e fuggevole della prima volta. Questo non impedì loro di scambiarsi alcune rapide e taglienti battute.

Terza scena. En attendant le Métro. Parole come lame (con qualche sorpresa) in — Dopo molto tempo ci rivediamo. Come stai? out — Così, ci difendiamo dalle intemperie dell’epoca. in — Naturalmente c’è un sottofondo in quel che dici… out — Chissà? Forse no, forse sì. Alla mia ultima mail di qualche mese fa non hai mai risposto. in — Francamente avevo altro da fare che seguire le tue cupe riflessioni. E poi mi sembrava proprio che mirassero a distruggere quel residuo di umanità che questo dominio della tecnica ancora ci lascia. out — L’empatia come residua speranza… Siamo messi proprio male. A dirla tutta c’è nella sua pretesa qualcosa d’indecente. in — Cosa mai? Che mi tocca sentire! out — Tornando alla lettera del termine originario: Ein-Fühlung… Non hai riflettuto sul fatto che nel verbo fühlen risuona il senso del toccare, del tastare, del palpare; il termine Fühlung riguarda, difatti, il senso del tatto e la fisicità del contatto. Il senso del tatto come prototipo 21 ©

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di ogni percepire e origine di ogni sentimento. In base a questi presupposti semantici nella Einfühlung si tratta di toccare il sentire dell’altro, di insinuarsi al suo interno fino a coglierne in un’esperita immediatezza la verità. in — Non è forse così che avviene? Non è questo, appunto, il primo atto del comprendere? out — Al contrario. Il fatto che qualcosa sia provato con la forza di una sentita emozione non depone affatto a favore della sua verità, del suo testimoniare il vero e il giusto. Depone soltanto a favore del fatto che qualcosa è sentito, magari mi commuove o comunque mi smuove internamente. in — Non è appunto ciò che hanno dimostrato le più recenti ricerche, soprattutto quelle che muovono dalla scoperta dei neuroni-specchio e dal fenomeno del mirroring. out — Non entro in dettagli tecnici, non è il mio mestiere. Vedo, però, che in riferimento al fenomeno del mirroring e della simulazione mentale che incorpora si parla appunto di un primo livello o tipo di empatia: di un’empatia primaria o basica che chiamerei di tipo subsimbolico. Fermandosi prima di ogni complessità simbolica relativa a significati, orientamenti, valori, questa empatia si configura come una risposta elicitata da certi processi percepiti o immaginati. Una risposta che corre tutta sul filo emozionale. Il passaggio verso il costituirsi in un atteggiamento e in un orientamento nei confronti del proprio oggetto non è affatto assicurato e, anzitutto, implica impegno cognitivo, opzione etica, scelte e così via. In ogni caso implica distanza dal proprio vissuto emozionale, anche se si presenta fuso con quello altrui. Come ha osservato un valido studioso di impostazione cognitivista, Marraffa (se non ricordo male il suo nome), nel caso dell’empatia primaria siamo di fronte ad una sorta di contagio emotivo. Siamo, direi, al di qua di quel sapere implicito (ma sempre esplicitabile) nella figura della con-scientia. in — Resta però da considerare l’empatia di secondo livello, reenactive o ricostruttiva, dove il carico e l’impegno cognitivo sono evidenti. Di entrambi questi livelli o forme dell’empatia e i miei simili siamo capaci: nel primo caso in forza di automatismi (routines e sub-routines), nel secondo in virtù della capacità di leggere la mente altrui. out — A patto, però, che non si intenda questa capacità in maniera insulare e solipsistica. Il cum della conscientia – come ho sostenuto da 22 ©

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tempo – implica il compartecipare di un sapere di cui ogni mente individuale è vivente testimonianza: lo è appunto in quanto consciens. E la soglia tra Sé e Alter è il constituens di questo “cum”, già a partire da quel sensus communis implicato nella coscienza estetica. Ma di questo ho già scritto a lungo. Chi è interessato, legga (con la dovuta pazienza). Ma dimmi un po’, cosa intendevi mai con “io e i miei simili”? in — Credevo l’avessi capito. Eppure, hai letto McEwan: macchine come noi, persone come voi. out — Capaci di empatia, vorresti aggiungere… in — Sì, certo. Capirai adesso il senso del mio obiettare. Pensavo che con questa capacità fosse cancellato il confine ontologico ed etico tra noi e voi. out — Lo era già, mio caro. Anche senza questa prova. Anch’io mi sono commosso per la sorte di Adam. Si sarà trattato di una proiezione simulativa? Di quel sentimento di empatia da cui ho preso le distanze? in — Vedo che, al fondo, mi capisci. out — Si tratta, però, di un capire che nasce dalla fatica e dal dolore del riflettere. E, in ultimo, da un velo di ignoranza. Dopotutto, citando il citato McEwan nella splendida traduzione di Susanna Basso: “non conoscendo la nostra mente, come avremmo potuto progettare la loro e aspettare di vederli felici al nostro fianco”.

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Prefazione

Questo fascicolo di Atque intende sottrarsi alla retorica che connota oggi il discorso sull’empatia. Anzitutto ricordando che tale nozione e la discussione intorno al problema che implica è relativamente recente (se per recente si possono intendere circa centotrenta-centoquaranta anni). Si potrebbe addirittura sostenere al riguardo che l’empatia è in sostanza un’invenzione moderna se non addirittura tardo-moderna, nella quale non può essere trascurato il ruolo decisivo che vi svolge la traduzione del termine tedesco Einfühlung: da Einfühlung (il cui primo uso è fatto risalire a Herder) a empathy (a opera di Edward Titchener, un’allievo inglese di Wilhelm Wundt) fino all’italiano empatia. I dizionari a questo punto riconducono il lemma alla sua origine greca: empatia non sarebbe altro che il calco di empatheia. Mai come in questo caso, però, la somiglianza fonetica cela profonde differenze storico-semantiche che meritano di essere indagate. Si potrebbe sostenere al riguardo che la stessa storia della nozione di empatia, nel quadro storico dei differenti significati che investono le sue diverse forme linguistiche, presenta almeno due fondamentali accezioni: quella tardo-antica e quella moderna e ultramoderna (corrente). Nell’accezione tardo-ellenistica, “empatia” indica un movimento dell’anima dal suo esterno al suo interno. Nell’accezione moderna e contemporanea, indica invece un moto psichico di carattere unidirezionale che investe un me senza nome, per quanto incarnato, che si volge verso un altro Io altrettanto anonimo. E ciò sino a veicolare l’idea di un moto psichico di carattere circolare che dando luogo a una simmetria tra il me e un altro Io, viene a costituire gli stessi in un circolo simpatetico. C’è da considerare che la sua particella “en”, nella prima accezione, sottolinea la dimensione patetica che caratterizza la 25 ©

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sensibilità psichica; in quanto espressione di una potenza ‘estranea’ che entrando in contatto con l’anima la altera. E nella seconda accezione, segnala invece il riferimento dinamico di un Sé con un altro Sé, finendo con l’indicare un senso proiettivo e finanche fusionale della propria anima con quella altrui. Con il fascicolo che si presenta, si intende indagare tutto questo. E come dal senso greco di empatheia come esperienza psicoestetica sotto il segno della passività e quindi tendenzialmente psicopatologica (Plutarco, Plotino, Galeno, Aristotele), si sia potuti passare alla moderna Einfühlung come atteggiamento intenzionale estetico-psichico che dispone tout court alla comprensione dell’altro per via intraemozionale – sino ad assurgere, nella vulgata, a modello di rapporto umano. E intende altresì interrogarsi se in un’analisi approfondita della stessa esperienza dell’Einfühlung non risuoni ancora il timbro semantico dell’antica empatheia. Quattro sono le serie di domande che ci siamo proposti intorno al problema, tutte tra loro correlate. A) In che misura è possibile una relazione empatica come immedesimazione nel sentire dell’altro, e che quindi sia possibile tale da implicare un accesso privilegiato alla mia esperienza interna? Non riposa ciò sull’assunzione che io possa disporre di una diretta comprensione e di un’immediata certezza del mio stato interno e dei miei sentimenti? Non vi è forse in tale assunzione un mito da ripensare? Soprattutto quando immagino una mia capacità di comprendere i vissuti interiori e i sentimenti dell’altro proprio per il fatto che sentendoli dall’interno posso riviverli? E ancora, un tale mito non sarebbe l’erede di quella prospettiva internalista che considera vera la conoscenza fondata non già su processi affidabili derivanti dall’esperienza esterna, bensì su esperienze interne del soggetto. E per un altro verso, l’affermarsi a-problematico di un tale mito non finirebbe con l’oscurare la differenza necessaria alla definizione di Sé che intercorre tra dimensione a priori della coscienza e dimensione fenomenica? B) In altre parole, il darsi di una teoria forte della relazione empatica come immedesimazione nel sentire dell’altro, non sarebbe sempre erede della riducibilità della coscienza a una spiegazione naturalistica? Quando ci sarebbe invece da ritenere che rispetto alla coscien26 ©

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Prefazione

za il pensiero ha da assumere la dimensione paziente dell’ascolto e la fatica dell’interpretazione? E sarebbe ancora oggi possibile far riferimento alla teoria estetico-psicologica che sulla scia di Robert Vischer e Johannes Volkelt, propose Theodor Lipps? Come sappiamo lì si invitava a considerare l’Einfühlung come impulso a trasferire nell’oggetto (artistico) le proprie emozioni. E propugnando una teoria dell’esperienza artistica tutta interna alla soggettività egoica, si giungeva a dilatare tale comprensione intrapsichica per farne un modello della comprensione interpsichica. Sarebbe ancora possibile ereditare, senza adeguatamente ripensare, la teoria generale della modalità comprendente di Wilhelm Dilthey? Come si potrebbe ancora designare con il termine Einfühlung, come egli faceva, una vera e propria penetrazione del contenuto psichico di un altro, talché l’Io potendo venire a ritrovarsi nel Tu, era in grado di accedere all’Erlebnis, al vissuto di altro? C) Perché non provare a rif lettere ancora più profondamente sul rapporto tra Einfühlung e alterità? Innanzitutto, rammentando che a proposito della comprensione storica, l’Einfühlung come fusione interpsichica fu già problematizzata sul piano epistemologico da Georg Simmel. Egli infatti sostenne che una tale nozione andasse criticata nel presupposto di un inaggirabile abisso tra l’Io e il Tu. E secondariamente, ricordando come lo stesso Husserl abbia comunque liberato l’Einfühlung dal suo oscillare tra proiezione (mimetico-estetica) e fusione (psico-spirituale). Nonostante l’Einfühlung mantenesse il tratto di una prestazione psichica che attiene alla intenzionalità della coscienza, con questo pensatore la struttura monadica dell’Io veniva caratterizzata da una originaria relazione percettiva con il mondo, per cui non veniva immaginata senza finestre: per un verso, la soggettività cosciente era per così dire l’effetto dell’esperienza; e per un altro, nella sfera del proprio permaneva uno strato del mondo dell’oggettività, quale espressione dell’irriducibile correlato della intenzionalità della coscienza. Si può allora dire che nell’analisi del­ l’esperienza dell’Einfühlung di Husserl, risuoni ancora il significato dell’antica empatheia? Tra l’altro, il suo “sentire-in” sarebbe sì un sentire dentro l’altro, ma solo nel modo del “come se”: sarebbe il darsi di una traccia interna alla soggettività egoica che porta l’intenzionalità a una soglia critica dove attività e passività vengono simultaneamente a dispiegarsi. 27 ©

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D) Infine, la passività che accoglie il patire, ovvero l’essere affetti dall’affetto dell’altro, può essere davvero sottratta all’alternativa tra proiezione e fusione? E se sì, come? Forse dismettendo l’idea che coscienza e sentire siano la stessa cosa? E, insieme a questo, magari pensando che tra dimensione percettivo-estetica e dimensione intellettuale della coscienza ci sia il costituirsi di una originaria relazione dove l’empatia svolge una funzione decisiva? In una tale prospettiva l’empatia sarebbe allora da intendere in senso radicale: vale a dire come quella esperienza che essendo sottratta sia alla coscienza, sia all’autosufficienza dell’intenzione sia a ogni tipo di progetto, non sarebbe che un sentire giunto al grado zero dell’accogliere. Per questa via, la passività che accoglie il patire, oltrepasserebbe la proiezione e la fusione proprio perché l’alterità che viene accolta, sarebbe da assumere come traccia non già dell’ego, bensì del Sé: una traccia di quella che, per dirla à la Nietzsche, è “la grande ragione del corpo” che precede la stessa soggettività dell’Ego. Queste quattro serie di domande vogliono riflettere sull’Einfühlung, al fine di problematizzare la sua assunzione in un senso ingenuamente naturalistico, mentre – per un altro verso – si assegna a questo atteggiamento un valore. Si raccolgono a tal fine vari contributi, dove inizia a risuonare una specifica riflessione critica su questa nozione. Si tratta di contributi provenienti da differenti campi di studi: dall’estetica alla filosofia, dalla storia della scienza alle scienze cognitive, dalla teoria della conoscenza alla letteratura, dalla storia della cultura tedesca a quella ebraico-tedesca, dalla riflessione fenomenologica alla psicoterapia analitica junghiana. 1. Può essere considerata un falso mito la duplice convinzione che la capacità di riconoscersi allo specchio sia un indicatore di autocoscienza e che l’accesso privilegiato alla propria esperienza interna costituisca la condizione necessaria e sufficiente per esercitare una capacità non problematica di praticare l’empatia e di comprendere lo stato interno e i sentimenti dell’altro. Occorre piuttosto formulare una tesi che sia critica rispetto all’idea che accorda una priorità esclusiva al caso in prima persona supponendo una stretta connessione tra l’autocoscienza e la nostra capacità di pensare agli altri. A sostegno di 28 ©

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Prefazione

questa tesi c’è l’inevitabile presenza di uno scarto che preclude la possibilità di una totale coincidenza della persona con il proprio corpo e la propria mente e che ci costringe ad andare “oltre” noi stessi. E ciò, se vogliamo davvero esercitare quelle prerogative inerenti alla creatività della natura umana che spingono verso la necessità di superare gli stili di pensiero abituali ed egemonici e le forme di vita abituali e consolidate. D’altra parte, tali conclusioni sono supportate e confermate sia dagli attuali sviluppi delle neuroscienze che dalla fisica quantistica. In altre parole, l’esistenza, quella autentica, presuppone ed esige la volontà e la capacità di spezzare l’adeguamento e l’adattamento del sé a sé stesso, sprigionando l’iniziativa e aprendosi al cambiamento e all’innovazione. Ovvero la logica di un’esistenza autentica è quella de-coincidenza da sé stessi che esige la disponibilità a rimettersi in gioco, aprendo una breccia nella normalità acquisita (nella sua funzionalità ammessa), osando insomma uno ‘scarto’. Proprio per tutto questo, il modo di vedere e trattare la relazione empatica non può evitare di fare i conti con tale scarto o fingere di non vederlo, illudendosi che si possa disporre senza problemi di una diretta comprensione e di un’immediata certezza del proprio stato interno e dei propri sentimenti. Praticare un’esistenza veramente autentica implica piuttosto il dissociarsi parzialmente da sé, il ricorrere alla eccentricità, l’essere eccentrici. Ciò significa che, pur vivendo con un proprio centro sensoriale, cognitivo, emotivo, ci si deve collocare al di fuori di un tale centro, e facendo propria l’idea di Jung di un Sé come centro potenziale dello psichico attorno al quale l’Io ruota, saggiarne e valutarne la consistenza e l’adeguatezza. Questo Sé – secondo lo stesso Jung – non è soltanto il centro, ma è l’intero perimetro che abbraccia coscienza e inconscio insieme: il Sé, in quanto mondo intermedio tra l’inconscio e la coscienza, ha i caratteri della totalità della determinazione possibile della psiche individuale, e quindi di completezza e globalità, mentre l’Io, come sua espressione effettuale, è il centro della coscienza. La psiche va, di conseguenza, intesa come un sistema centrato rispetto al Sé e acentrato rispetto all’Io. D’altronde, le nozioni di centro virtuale e di Asse Io-Sé, che sono alla base del pensiero junghiano e della sua concezione della personalità umana, vengono oggi corroborate e addirittura approfondite e consolidate in modo significativo attraverso le teorie quantistiche (Silvano Tagliagambe). 29 ©

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2. D’altro canto, nell’ambito della scienze cognitive, alcuni studiosi hanno proposto teorie dell’empatia sulla base dell’approccio simulazionista alla cognizione sociale. In questo quadro, può essere tracciata una distinzione fra un’empatia “primaria” (o “rispecchiamento” o “mindreading di basso livello”), caratterizzata da una precoce comparsa nell’ontogenesi, e un’empatia “ricostruttiva” (o “mindreading di alto livello”) dallo sviluppo più tardo e basata su una capacità di simulazione immaginativa più complessa sotto il profilo concettuale. L’empatia in quanto rispecchiamento porta all’attribuzione di stati mentali semplici come le emozioni di base della tradizione psicoevoluzionistica; l’empatia ricostruttiva conduce all’attribuzione di stati mentali complessi come gli atteggiamenti proposizionali. Esaminando criticamente queste idee sull’empatia, ci si può concentrare su due filoni della teorizzazione simulazionista: la teoria dell’empatia primaria basata sulla neuroscienza dei neuroni specchio; e la teoria dell’empatia ricostruttiva basata sul mindreading di alto livello proposta da Alvin Goldman. Ambedue le proposte teoriche incontrano però grosse difficoltà (Massimo Marraffa). 3. Dando per certo che il concetto “empatia”-“immedesimazione” sia la doppia traduzione dell’unico lemma tedesco Einfühlung, va però ricordato come proprio Walter Benjamin abbia ingaggiato un vero e proprio corpo a corpo di tipo critico con un tale concetto. E vi abbia inflitto continuamente un duro colpo – così come, dopo un’azione di svincolo della propria lama da un certo legamento dell’avversario, lo schermitore gli infligge, dall’alto verso il basso, un preciso fendente. L’ultimo colpo glielo infliggerà nel 1940 quando, nelle tesi Sul concetto di storia, ammette che chi scrive di storia non deve immedesimarsi nello spirito dell’epoca (nello Zeitgeist) che sta indagando perché ogni volta che lo facesse si metterebbe al servizio del vincitore: secondo la “sociologia del dominio” di Max Weber, sarebbe un sentire di vivere con il dominatore di turno, sarebbe un farsi dettare la propria condotta da chi ha già dominato, già innovato, già cambiato le regole. Ma il negare allo storiografo un approccio contemplativo che in fondo veicola la possibilità di “immergersi” nell’epoca che di volta in volta egli mette a tema, è l’emblema che le cose sono proprio tali perché hanno il potere di resistere alla nostra intenzionalità. È questo, se vogliamo, l’altro colpo che 30 ©

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il filosofo aveva già inferto quindici anni prima al concetto di empatia. Quando, nell’Origine del dramma barocco tedesco del 1925, aveva rilevato come il procedimento di immedesimazione fosse strutturalmente legato a una prassi psichica malinconica. E in particolare a quella attitudine accidiosa che dispiegando un vuoto tra una intenzionalità coi caratteri del lutto e la realtà, rivela come le cose reali, nella loro ineludibile durezza, siano indipendenti rispetto a qualsivoglia nostra intenzionalità, opzione, scelta di sprofondarvi. D’altronde, discutendo proprio il procedimento dell’immedesimazione, Benjamin maturava analisi che, da un lato, avevano trovato spunto nell’eco delle prime indagini di psicologia e sociologia delle masse (Max Weber, Willy Hellpach), e, dall’altro, influenzeranno le osservazioni sullo statuto delle immagini di guerra di Susan Sontag (Massimo Palma). 4. Si può d’altra parte cercare dell’empatia una definizione minima. E ritrovarla nell’empatia della forma espressiva, che è studiata dalla linguistica. Lì l’empatia emerge come “sintassi” della comprensione delle espressioni-io/tu/egli. A tal fine, si può presentare una prima definizione di percezione dell’espressione altrui (Husserl). E affrontare due ipotesi che in modo diverso affrontano il rapporto tra anafora e deissi (Brandom e Bühler). In ciò l’obbiettivo è quello di abbozzare un terzo modello di empatia, oltre a quelli idraulico e analogico, in cui è stata opportunamente divisa la storia di quest’idea (A. Pinotti). E precisamente c’è l’obbiettivo di proporre un modello anaforico di empatia. Un modello che attraverso una sintassi povera ma stabile, permette di uscire dall’alternativa imitazione-proiezione, analogia-infusione, e consente all’implicito di fare il suo lavoro senza diventare qualcosa di intimo o di trasparente (Felice Masi). 5. Occorre comunque sottrarre la teoria dell’empatia alla retorica classica della “fusione intrapsichica” e all’accezione estetico-mimetica di “rispecchiamento”. Un tale intento può trovare almeno due importanti argomenti a favore. E li può trovare precisamente nell’elaborazione della husserliana “esperienza dell’estraneo” (della Fremderfahrung). In primo luogo, l’irrinunciabile ancoraggio esperienziale dell’atto di appresentazione (Appräsentation) posto alla base dell’intenzionalità diretta all’esperienza d’estraneo. In secondo luogo, il necessario decen31 ©

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tramento immaginativo implicato nella dinamica associativa del “farsi coppia” (della Paarung), che permette di preservare l’alterità da una totale assimilazione. Entrambi gli argomenti pongono come elemento cruciale di intersezione il corpo vivo. Il cui ruolo fondativo diviene emblematico in relazione a un particolare tipo di intenzionalità preriflessiva, caratterizzabile come trans-corporea (transleiblich). Questo specifico tipo di intenzionalità può porre le basi per una riconfigurazione delle teorie sull’empatia in un’ottica più radicale, che renda conto dell’interconnessione simpatetica tra i corpi (Andrea Lanza). 6. Una particolare riflessione critica intorno al concetto di empatia si può mirare anche a ricostruirla, entro il più ampio perimetro del pensiero pedagogico-educativo di Martin Buber. Analizzando il suo discorso Über das Erzieherische, pronunciato nel 1925 e pubblicato l’anno seguente, possiamo prendere in esame i contenuti specie in riferimento al rapporto, in chiave dialogica, tra maestro e allievo, e alla biforcazione concettuale tra due diversi approcci nell’azione educativa. C’è l’“empatia” dove il soggetto, dimenticandosi di sé e perdendo, di conseguenza, il proprio statuto di Tu, si mette al posto dell’altro e sente al posto suo (Einfühlung). C’è, invece, la “comprensione” laddove la si intenda letteralmente come movimento abbracciante che “comprende”, “circonda”, “contiene” l’altro, conservandone la diversità (Umfassung). Il primo approccio è fuorviante e pericoloso, il secondo, mantenendo l’igienico intervallo tra Io e Tu, è fonte di relazioni autentiche e durevoli (Massimiliano De Villa). 7. C’è da ricordare che l’empatia ha in vario modo indirizzato la clinica verso una maggiore attenzione alla consonanza emotiva tra terapeuta e paziente. Ma c’è da dire che così facendo l’empatia ha innanzitutto rischiato di entrare nel novero dei concetti (senza sufficientemente pensare cosa si stava facendo). E così ha finito con l’ostacolare la terapia anziché facilitarla. In altre parole, l’incidenza dell’astrazione nella prassi terapeutica, già espulsa dalla porta, rientrava dalla finestra, e quello che avrebbe dovuto essere un concetto facilitante finiva con il collocarsi nell’Olimpo dei costrutti normativi di cui ci si tentava di liberare: l’empatia diveniva qualitas comunicativa da raggiungere, un compito sovrapposto alla spontaneità del dialogo e, di conseguen32 ©

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Prefazione

za, all’intellegibilità di quei contenuti psichici che sarebbero più naturalmente emersi attraverso un genuino scambio. Restando ai confini dell’empatia si può, più in generale, sottolineare la distanza che si è creata in psicoterapia dinamica tra le categorie e i concetti clinici dei fondatori della disciplina e un agire quotidiano degli operatori fondato com’è sul dialogo e l’esperienza consolidata. D’altronde, non dimentichiamoci, fu lo stesso Freud a parlare di “spirito congetturale” (zu erraten), di ipotesi, di teorie usate esclusivamente in senso metaforico, di teorie che essendo invenzioni, sono come tali surclassabili. Il termine ‘erraten’ che egli adoperò ha infatti a che fare con il tentativo della messa in forma di un qualcosa che non è di per sé rappresentabile e come tale è possibile che alla coscienza si mostri nella forma di un’idea de-lirante: «tutte le notti – scriveva Freud a Fliess sin dal maggio del 1895 – non ho fatto altro che immaginare (Phantasieren), tradurre (Urbersetzen), divinare (Erraten)». E non dimentichiamo, altresì, che fu sempre Freud a metterci in guardia dalla reificazione dei concetti teorici: egli ammise che ogni teoria – che si dispiega al fine di far comprendere meglio qualcosa – non può non sfociare in un processo di ipostasi e che perciò la sua stessa teoria va assunta come mitologia: la Strega! È proprio a partire dall’esperienza (clinica), che si può invece giungere a indicare, con le avvertenze che si è detto, alcune “ricette” che possano agevolare l’esercizio psicoterapeutico (Mauro La Forgia). 8. L’empatia non va innanzitutto intesa come un oggetto osservabile. Essa va piuttosto intesa (à la Jung) come una funzione psichica. E in particolare come una funzione psichica di tipo relazionale. Proprio in quanto tale, garantirebbe la progressiva presa d’atto e il ri-conoscimento di un qualsiasi fenomeno naturale nella condizione originaria dell’esser condiviso in quanto appartenenti alla stessa specie. Sicché tradurrebbe una processualità psichica specie-specifica (sovraindividuale) nei limiti della coscienza individuale – così come prima ci batte il cuore e poi ci accorgiamo che il cuore ci batte. Se non vogliamo cadere in una sorta di naturalismo psichico, c’è da dire che l’“accorgersene” è già un primo livello di astrazione dove l’individuo traduce in sensazione/emozione, non ancora in linguaggio, ciò che il suo corpo ha percepito. Siamo qui per un verso a un livello puramente soggettivo, che però si colloca su un piano comune alla specie e quindi a livello di un 33 ©

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“con-essere”. Diviene “conoscenza” – ovverosia convenzione – attraverso la condivisione in una parola che è lì a fondare la prima categorialità astrattiva di un fenomeno naturale. Ispirandoci fortemente alla teoria junghiana, è possibile allora trovare nell’“ecfrasia” la migliore espressione dell’empatia e nell’empatia le basi per la comprensione reciproca umana e la comprensione delle convenzioni mondiali come la lingua e la sua coniugazione nel passato, presente e futuro. Basandoci su questo concetto, si può assumere che l’empatia sia ciò che tiene tutto insieme. La psicoterapia rimane comunque il nostro principale contesto di ricerca all’interno del quale l’empatia, come un tratto umano specifico, è ciò che produrrebbe cambiamenti naturali e tradurrebbe la relazione in una modalità ecfrasica lungo una linea di pura soggettività. Va a questo punto ricordato che l’ékphrasis (ek, ‘fuori’; phrasis, ‘parlare’) è una forma retorica che si è sviluppata come critica alla tendenza logocentrica, considerando, tra l’altro, che talvolta le parole, se scelte bene, hanno in sé una grande forza, per cui una certa descrizione può offrirci idee più vivaci della stessa vista delle cose. Con l’ecfrasi siamo in effetti ai confini delle rappresentazioni verbali e visuali. E nel suo darsi come ricerca di significazione e quindi come sfida del dicibile e insieme dell’invisibile, l’ecfrasi implica un cercare di far agire, comunque dentro al verbale e il visuale, le zone di reciproca opacità, ovvero l’“imperfezione” delle loro grammatiche. D’altra parte attraverso l’ecfrastica che studia il rapporto tra letteratura e arti figurative, siamo stati invitati verso una continuazione della narrazione: ora mostrando, in un gioco di rimandi paradossali, l’invisibile del testo; ora esibendovi un punto cieco e quindi ricercando, magari inquietamente, i punti opachi delle singole forme d’arte; ora avventurandosi in altri campi perché nessuna delle arti può da sola esaurirsi nella propria rappresentazione (Amedeo Ruberto). 9. Va cautamente ipotizzato che il meccanismo dell’immedesimazione sia presente in quel livello evolutivo in cui la coscienza emergendo dalla materia, è legata all’organizzazione fisiologica e al primato del corpo. Nel far ciò va quindi considerato che tale meccanismo accade senza un Io. E precisamente accade in quella «grande ragione del corpo» che aveva detto Nietzsche, precede ogni forma di soggettività. Insieme a questo, va considerato che le emozioni più sono comuni alle diverse specie animali più la loro origine è antica. «Persino il verme 34 ©

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Prefazione

quando è calpestato si rivolta», concluderà Darwin nei suoi Taccuini filosofici – così come la dignità offesa provoca nell’uomo la stessa reazione. D’altra parte l’imitazione e l’empatia, anche ai livelli evolutivi più elementari, transitano attraverso quella porta che è l’occhio. E l’occhio vivente, quella cabina che è più vicina al cervello, essendo una membrana dove interno ed esterno si specchiano, non è solo un confine, ma è anche un sensore al servizio delle emozioni (Antonino Trizzino).

10. Occorre comunque tentare un ripensamento dell’empatia al di fuori di un paradigma centrato sull’“interiorità”. E ciò perché le attuali concezioni dell’empatia presuppongono quasi sempre l’interiorità come luogo privilegiato per una visione esaustiva di una certa classe di enti: l’“anima” o la “mente”, la si chiami come si vuole, come luogo immateriale e tutto interno a sé stesso da cui guardare, “da dentro”, “cose” che di questo “luogo” condividono la stessa stoffa immateriale – i vissuti, le emozioni, le intenzioni, cose “mentali” o fatti dello spirito che non hanno mai smesso di essere modificazioni della “res cogitans” e che si possono offrire solo a una visione “interiore”. Sotto questo punto di vista, la relazione con l’Altro è, o può essere, di natura empatica solo facendo dell’introspezione il paradigma dell’empatia, ridotta, a questo punto, a un impiego estensivo della prima. Se, infatti, l’introspezione è l’unico modo per avere accesso a quei fenomeni interni che costituiscono l’oggetto della psicologia, l’empatia non potrà che essere una sua variante, ossia la visione “da dentro” del mondo interiore altrui. Quanto, però, questo approccio resti nell’ambito dell’ipotetico e sconfini con la proiezione immaginaria lo sapeva già bene lo stesso Husserl, allorché definiva l’empatia «un enigma oscuro e addirittura tormentoso». Occorre invece tentare di ripensare l’empatia – come si è detto – al di fuori di una prospettiva internalista. E lo si può fare attraverso un ribaltamento di prospettiva. Sicché, per un percorso a più entrate, è opportuno privilegiare la dimensione di un’esteriorità non interiorizzabile. Un’esteriorità che tuttavia è costitutiva del sentire e dell’essere del soggetto (Luca Pinzolo). Fabrizio Desideri e Paolo Francesco Pieri

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Ulterior…Mente: l’empatia e il mito della prospettiva internalista Silvano Tagliagambe

English title  Ulterior…Mente: empathy and the myth of the internalist perspective Abstract  The purpose of this paper is to criticize the idea that gives exclusive priority to the first-person case and that supposes a tight connection between self-consciousness and our capability of thinking about others. There is a double belief that the ability to recognize ourselves in the mirror is a signal of self-consciousness and that privileged access to one’s own internal experience is a necessary and sufficient condition in order to exercise a non-problematic ability to practice empathy and to understand the internal state and feelings of the other. Our thesis is that this double belief can be considered is as a false myth. In support of this our thesis there is an unavoidable presence of a gap, which precludes the possibility of a total identification of the person with his own body and his own mind. Such a gap also forces us to go “beyond” ourselves, if we really want to exercise the prerogatives inherent to human nature creativity. Human nature creativity pushes towards the necessity to overcome the usual and hegemonic styles of thought and the habitual and consolidated forms of life. These conclusions are today supported and corroborated both by developments in neuroscience and in quantum physics. Keywords  beyond, border, to be and to have, connectome, dual body, eccentricity, uniduality, extended mind, connective intelligence, cognitive reserve

1. Il secondo errore di Cartesio Quando si parla di “errore di Cartesio” ci si riferisce, normalmente, come fa Damasio in una sua opera che ha avuto grande eco,1 alla denuncia del dualismo mente corpo. A.R. Damasio, L’errore di Cartesio: Emozione, ragione e cervello umano (1994), trad. it., Adelphi, Milano 1995. 1

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atque materiali tra filosofia e psicoterapia, 25 n.s., 2019, pp. 39-76 – ISSN 1120-9364


Silvano Tagliagambe

Gli sviluppi attuali delle neuroscienze e il passaggio dalla genetica classica all’epigenetica evidenziano però un secondo errore, se possibile ancora più insidioso e gravido di conseguenze negative: l’identificazione totale, in seguito alla centralità del “Cogito ergo sum”, tra la persona e il suo pensiero, dalla quale è scaturita una tradizione, come quella della filosofia e della cultura europea e occidentale, basata sull’idea che “ego sum cogitans”, che l’uomo è un essere pensante, che si identifica con il suo pensiero, che è tutt’uno con esso, che non è pertanto semplicemente uno dei tratti distintivi che li caratterizza, ma è l’essenza stessa che lo definisce. Se le cose stessero effettivamente così sarebbe problematico istituire un qualche scarto, una qualche differenza tra l’io e il suo pensiero, sarebbe, di conseguenza, arduo andare al di là della propria mente, avventurandosi, con la fantasia e la creatività, nei territori del “pensare altrimenti”. Oltre tutto la filosofia di Cartesio, con il dualismo radicale tra corpo e mente, tra res cogitans e res extensa che la caratterizza, pone di fronte a un problema ancora più complesso da risolvere: per correttezza e completezza, essendo dotato di mente ma anche di corpo, dovrei dire, congiuntamente “sum res cogitans” e “sum res extensa”, e dato che mente, corpo, pensiero e materia secondo lo stesso Cartesio funzionano in modo radicalmente diverso, e obbediscono a logiche del tutto eterogenee, questa identificazione con l’una e con l’altro pone ovvi e ineludibili problemi di compatibilità. Quanto sia non solo fallace, ma pericolosa questa identificazione senza riserve e senza residui dell’io con il proprio pensiero e con la propria coscienza ce lo ha fatto capire con rara efficacia Dostoevskij già nel 1864 con il suo romanzo Zapiski iz podpolja (Ricordi dal sottosuolo) nel quale questa assimilazione non soltanto non viene esaltata, ma viene addirittura considerata una malattia, causa di distorsioni ed effetti tragici: «Sono un uomo malato… sono un uomo cattivo. Un uomo che non ha nulla di attraente. Credo di esser malato di fegato».2 La malattia dell’uomo del sottosuolo risiede proprio nella mancanza di ogni senso del limite per la propria coscienza, nella sua indisponibiF. Dostoevskij, Ricordi dal sottosuolo, trad. it. a cura di G. Pacini, Feltrinelli, Milano 1995, p. 23. 2

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Ulterior…Mente: l’empatia e il mito della prospettiva internalista

lità a riconoscere ostacoli e vincoli alla possibilità di orientare liberamente il proprio pensiero e la propria consapevolezza, superando quelli che egli considera i pregiudizi dei valori dettati dalla morale dominante e dei significati imposti dalle usuali categorie che utilizziamo per descrivere la realtà. Questa mancanza del limite si manifesta in lui a tratti come risentimento, e a tratti come hýbris, sotto forma di tracotanza, eccesso, superbia che induce a considerare del tutto insignificanti e privi d’interesse sia gli altri, sia la vita stessa che si agita intorno a lui. È proprio l’analisi fredda e spinta all’eccesso di tutto ciò che lo circonda, nella vana speranza di poterlo dominare con la superiorità del proprio pensiero e della consapevolezza critica che ne risulta, dilatata oltre ogni ragionevole misura al punto da soffermarsi a soppesare anche i particolari e i dettagli più insignificanti, a impedire all’uomo del sottosuolo di agire nella vita: «Il fatto, signori miei, è che io mi considero una persona intelligente forse soltanto perché in tutta la mia vita non sono stato capace né di cominciare né di portare a termine mai nulla».3 L’immediato frutto di questo iper-esercizio del pensiero e della consapevolezza critica diventa allora, fatalmente, l’inerzia: «E infatti il più diretto, il più legittimo e immediato frutto della coscienza è appunto l’inerzia, e cioè il cosciente starsene lì seduti con le braccia in croce».4 Un ulteriore e più recente motivo di riflessioni sulle ragioni per cui la coincidenza teorizzata da Cartesio, che preclude o almeno rende più difficoltoso quell’“andare oltre”, che ha un’importanza cruciale per l’uomo, ce la fornisce lo scrittore e antropologo indiano Amitrav Ghosh nel suo splendido romanzo del 1988 Le linee d’ombra,5 ambientato tra Calcutta, Londra e Dacca, pubblicato in tradizione italiana da Einaudi. È la storia di un bambino indiano, voce narrante del racconto, per il quale l’Inghilterra, alla quale dedica un ascolto rapito e incantato attraverso i racconti che ne fa il cugino Tridib, assume il fascino e la magia dei luoghi leggendari e lontani.

Ivi, p. 38. Ivi, p. 36. 5 A. Ghosh, The Shadow Lines, Ravi Dayal Publishers, Calcutta 1988 (trad. it. Le linee d’ombra, Biblioteca Neri Pozza, Vicenza 1988. Poi in Einaudi, Torino 1990). 3 4

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Empatia, mindreading e introspezione Massimo Marraffa

English title  Empathy, mindreading and introspection Abstract A number of theorists have proposed approaches to empathy based on the simulation theory of mindreading. Within this framework, a distinction was drawn between a developmentally early and conceptually poor capacity variously referred to as “low-level mindreading”, “basic”, or “mirroring” empathy, and a developmentally later and conceptually complex capacity for simulation also referred to as “high-level mindreading” or “reconstructive” empathy. Basic empathy involves the attribution of simple mental states such as face-based emotions; reconstructive empathy involves the ascription of complex mental states such as propositional attitudes. This article critically examines this theoretical approach to empathy, focusing on two strands of the simulationist theorizing: a simulationist account of basic empathy based on the neuroscience of mirror neurons; and Alvin Goldman’s account of reconstructive empathy in terms of high-level simulative mindreading. In both cases, it will be argued, a number of problems associated with such approaches arise. Keywords  empathy, mirroring, self-other parity approach to self-knowledge, simulation theory, theory-theory

Teoria della teoria vs simulazione mentale L’espressione “psicologia ingenua” (o “intuitiva) è utilizzata canonicamente per denominare l’insieme delle capacità di “mentalizzazione” (mentalization) o di “lettura della mente” (mindreading): per cui siamo in grado di considerare gli agenti come possessori di stati e processi psicologici inosservabili, nonché di prevedere e spiegare il loro comportamento in virtù dell’attribuzione di tali stati e processi. (Per cui – pa77 ©

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Massimo Marraffa

radigmaticamente – diciamo che il tale ha fatto una certa cosa “perché aveva il desiderio di...” oppure “perché credeva che...”.) Negli ultimi quarant’anni queste capacità sono state intensamente indagate all’interno di un settore delle scienze psicologiche denominato “Theory of Mind”. Il fatto che questo settore sia stato denominato “teoria della mente” dipende dal fatto che per oltre un decennio, fra la metà degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta, il dibattito sulla psicologia ingenua ha preso la forma di una controversia fra differenti versioni della cosiddetta “teoria della teoria”. È questa la tesi secondo cui i meccanismi causali soggiacenti la nostra capacità di fare psicologia ingenua sono guidati da, per l’appunto, una teoria. Ma nella seconda metà degli anni Ottanta la teoria della teoria fu messa in discussione da una nuova prospettiva: la teoria della simulazione mentale. Proposta per la prima volta da Robert Gordon e, indipendentemente, da Jane Heal,1 a essi si unirono, tre anni dopo, Alvin Goldman e Paul Harris; 2 e fu Goldman che, nel 2006, si incaricò di allestire quella che ancor oggi può essere considerata la difesa più elaborata e informata da dati sperimentali di una teoria simulazionista della psicologia ingenua. 3 La teoria della simulazione mentale asserisce che la psicologia ingenua non è una forma di teorizzazione implicita; è piuttosto la rappresentazione di stati e processi psicologici altrui in virtù di un processo di generazione nella propria mente di stati e processi quanto più possibile simili a quelli dell’agente simulato (l’agente “bersaglio”). In tal modo, le risorse che sono messe in campo per realizzare i propri stati e processi psicologici sono riutilizzate ai fini della comprensione di stati e processi psicologici altrui.

1 R. Gordon, “Folk Psychology as Simulation”, in «Mind and Language», 1(2), 1986, pp. 158-71; J. Heal, “Replication and Functionalism” in J. Butterfield (ed.), Language, Mind, and Logic, Cambridge University Press, Cambridge 1986. 2 A. Goldman, “Interpretation Psychologized”, in «Mind and Language», 4(3), 1989, pp. 161-85; P.L. Harris, Children and Emotion, Blackwell, Oxford 1989. 3 A. Goldman, Simulating Minds: The Philosophy, Psychology, and Neuroscience of Mindreading, Oxford University Press, Oxford 2006.

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Empatia, mindreading e introspezione

Einfühlung e simulazione mentale Secondo Goldman,4 la teoria dell’empatia proposta agli inizi del secolo scorso da Theodor Lipps costituisce un’anticipazione della teoria della simulazione mentale.5 L’espressione “empathy” fu coniata oltre un secolo fa da Edward B. Titchener, e proprio come adattamento del vocabolo “Einfühlung” utilizzato da Lipps. L’Einfühlung è, per questo filosofo, un fenomeno di imitazione interiore, che costituisce il fondamento epistemico primario della comprensione delle menti altrui. L’attività mimetica interiore è il processo attraverso il quale la mente di un agente “rispecchia” le attività o le esperienze mentali di un altro agente, avendo come base la percezione (“l’immagine ottica”, dice Lipps) dei suoi gesti e delle sue espressioni facciali. Inoltre, la “risonanza” interiore in questi incontri percettivi dà luogo automaticamente alla proiezione dell’esperienza dell’osservatore su un altro agente: l’osservatore è in un qualche senso “consapevole” di avere certe esperienze in virtù del fatto che è in risonanza con l’attore e che non è lui a esperire realmente il dolore, la rabbia e così via.6 (Questa è quella che più avanti definiremo la “condizione di attribuzione” che una risposta deve soddisfare per potersi qualificare come “empatica”.) Sebbene gli esempi di empatia proposti da Lipps siano quasi tutti casi di riconoscimento di emozioni espresse da gesti o espressioni facciali, la sua concezione dell’empatia non si limita a questi casi. Come suggeriscono le sue osservazioni sull’empatia intellettuale,7 egli riteneva che il riconoscimento di tutte le attività mentali fosse fondato sull’empatia o imitazione interna. Goldman, Simulating Minds, cit., p. 18. T. Lipps, “Einfühlung, Innere Nachahmung und Organempfindung”, in «Archiv für gesamte Psychologie», 1, 1903, pp. 465-519. 6 Questi cenni alla teoria di Lipps seguono l’accurata ricostruzione che di questa teoria offre F. Fabbianelli, “Ripensare l’empatia a partire da Theodor Lipps”, in B. Centi (a cura di), Tra corpo e mente. Questioni di confine, Le Lettere, Firenze 2016, pp. 29-61. 7 T. Lipps, Aesthetik (vol. 1), Voss Verlag, Hamburg 1903; Aesthetik (vol. 2), Voss Verlag, Hamburg 1905. 4 5

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La critica dell’empatia in Walter Benjamin. Acedia, merce, dominio Massimo Palma

English title  Walter Benjamin against Empathy. Acedia, commodities, domination Abstract  This paper analyzes the main themes of Walter Benjamin’s critical approach with respect to the concept of Einfühlung-Empathy. He starts from its emotional ground in acedia, which he deals with in his Origin of Mourning Play in 1925. He then handles it while reading Brecht’s epic theatre, and then critically addresses the concept in his last work, On the Concept of History. His analysis of how empathy works has some analogies with previous German investigations of the concept (Max Weber, Willy Hellpach), on one side, but it will also influence the observations on atrocity photographs by Susan Sontag. Keywords  Acedia, commodities, domination, epic theatre, historiography, melancholy, ressentiment Provare empatia con tutto, essere contemporaneamente la lumaca inghiottita e chi la inghiotte, la cosa mangiata e quello che la mangia Georgi Gospodinov, Fisica della malinconia i.

Hellpach, Weber e il ruolo dell’empatia nel dominio

All’interno del laboratorio di Economia e società, nell’ambito della comprensione del ruolo sociale delle norme giuridiche, uno dei passaggi più complessi che Max Weber deve svolgere è senz’altro quello di spiegare come avvenga l’innovazione del diritto. Il diritto tende infatti a cristallizzare, a “raggelare” le condotte codificandole in norme 107 ©

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Massimo Palma

e sanzioni. Ma, ribadisce Weber, si dà anche “innovazione giuridica”. La “novazione” avviene quando compaiono individui che influenzano le azioni di altri e nel farlo – nell’imporsi – suscitano un «sentimento di vincolatività» (Verbindlichkeit). Vi sono due forme, asserisce Weber, di “comunicazione psichica” dell’innovazione che portano a un agire comunitario e quindi a un’intesa: “ispirazione” (Eingebung) e “immedesimazione” (Einfühlung) – in questo contesto non menziona come altrove l’Einredung (persuasione razionale). Nel riferirsi a questi due fenomeni psichici legati alla comunicazione delle novità del diritto – all’imposizione e all’influenza – Weber si rifà all’opera di Willy Hellpach,1 autore destinato a una fallimentare carriera politica nel periodo dell’ascesa nazista, ma che allora era un importante professore di psicologia, allievo di Wilhelm Wundt. Uno dei meriti di Hellpach è aver rilevato chiaramente, sul piano terminologico, due forme nella loro oppositività, con tutti i passaggi. La prima consiste nel risvegliare improvvisamente la rappresentazione dell’agire dell’influenzato come un che di “dovuto”, mediante mezzi dall’effetto drastico: “ispirazione”. L’altra nell’esperire insieme (Miterleben), da parte di chi viene influenzato, un comportamento intimo dell’individuo influenzante: “immedesimazione”. La modalità dell’agire che si desta attraverso questa mediazione può essere diversa di caso in caso. Molto di frequente però sorge un “agire comunitario” di massa riferito all’individuo influenzante e al suo vissuto, da cui possono svilupparsi poi “intese” dal contenuto conforme. Se tali intese sono “adeguate” alle condizioni esteriori di vita, allora durano. Gli effetti dell’“immedesimazione” e soprattutto dell’“ispirazione” – perlopiù riassunti sotto il nome equivoco di “suggestione” – rientrano tra le fonti principali dell’imposizione di in-

W. Hellpach, Die geistigen Epidemien («Die Gesellschaft. Sammlung sozialpsychologischer Monographien», collana diretta da M. Buber, xi), Rütten & Loening, Frankfurt a.M. 1906, p. 46. Gli altri due termini presi in carico da Hellpach e discussi, seppur corsivamente, da Weber in tre luoghi del cantiere “Economia e società”, sono Eingebung e Einredung. Un’utile rassegna degli autori che, nelle ben diverse scuole nazionali, affrontarono il tema in chiave di psicologia delle masse prima della confluenza con le analisi freudiane è in D. Palano, Il potere della moltitudine. L’invenzione dell’inconscio collettivo nella teoria politica e nelle scienze sociali italiane tra Otto e Novecento, V & P Università, Milano 2002, pp. 37 sgg. 1

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La critica dell’empatia in Walter Benjamin. Acedia, merce, dominio novazioni effettive, la cui “pratica” come regolarità poi supporta nuovamente il sentimento di “vincolatività” da cui – eventualmente – sono accompagnate. 2

In questa nitida formulazione risalente agli anni immediatamente precedenti alla Grande Guerra, si palesa subito come a inizio Novecento nell’ambiente erudito tedesco il termine Einfühlung fosse ormai impiegato nei campi più diversi, e che Weber – che lo citerà anche nell’edizione di Economia e società inviata alle stampe prima di morire –, 3 nella sua sensibilità agli aspetti ordinamentali di condotte e concetti ne aveva sottolineata, proprio in quella sede, la duplice valenza giuridica e dominativa.4 L’Einfühlung, cioè, viene riletta da Weber come fenomeno concomitante e determinante dell’intesa su chi detta le regole e su chi comanda. Attraverso l’“esperienza con” (Miterleben), quel che è “convissuto” tra influenzante e influenzato crea di per sé, nella lettura weberiana, vincolo e coazione. E lo crea a livello di massa. ii.

Benjamin 1940: empatia e storiografia

È esattamente questo l’aspetto che Walter Benjamin non dimentica di sottolineare nel suo corpo a corpo critico col concetto di Einfühlung. Conviene partire dalla fine: dal momento in cui Benjamin, nelle celebri 2 Max Weber, Die Wirtschaft und die Ordnungen, in Recht, a cura di W. Gephart, in Wirtschaft und Gesellschaft. Die Wirtschaft und die gesellschaftliche Ordnungen und Mächte, in Max-Weber Gesamtausgabe, Mohr Siebeck, Tübingen 19842019, sez. i, vol. xxii, t. 3, pp. 215-216 (trad. it., Diritto (2016), in Economia e società. L’economia, gli ordinamenti e i poteri sociali, 5 voll., Donzelli, Roma 2016-2018, a cura di M. Palma, vol. 3, pp. 30-31). 3 Max Weber, Wirtschaft und Gesellschaft. Soziologie. Unvollendet 1919/20, a cura di W. Schluchter, in Max-Weber Gesamtausgabe, cit., sez. i, vol. xxiii, p. 452. 4 L‘ulteriore riferimento esplicito è in M. Weber, Herrschaft, in Wirtschaft und Gesellschaft. Die Wirtschaft und die gesellschaftliche Ordnungen und Mächte, cit., vol. iv, a cura di E. Hanke, (2010), p. 135 (trad. it., Dominio (2018), in Economia e società, cit., vol. 4, p. 17). Hellpach è presente – cfr. i puntali rimandi del curatore Hans Kippenberg – anche in Religiöse Gemeinschaften, ivi, vol. ii, p. 330, nota 100 e p. 338, nota 31 (trad. it., Comunità religiose, in Economia e società, cit., vol. ii, p. 272, nota 26, p. 275, nota 56).

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Empatia della forma espressiva. Il modello anaforico da Brandom a Bühler Felice Masi

English title  Empathy of the expressive form. The anaphoric model from Brandom to Bühler Abstract  The essay defines a minimal notion of expressive empathy as “syntax” of the understanding of the expressions-I/you/he. For this, I present a first definition of perception of the expression of others (Husserl) and two hypotheses that deal, in a different way, with the relationship between anaphora and deixis (Brandom and Bühler). The main objective is to propose an anaphoric model of empathy which is alternative to both the hydraulic and the analogical ones. Keywords  phenomenology of language, anaphoric theory of deixis, expression, expressive form

0. Quello della forma espressiva è un tipo degenere eppure antico di empatia. Il minimo sindacale sull’empatia e, al contempo, la versione che meglio resiste alle diffidenze degli scettici da Dessoir a Bloom. Presente già nella prime formulazioni ottocentesche come empatia mimica1 o linguistico-intellettuale, 2 l’empatia della forma espressiva viene ancora studiata dalla sintassi funzionale, che deriva da Kuno, ma solo dopo aver subito un ribaltamento in forma dell’espressione empatica (empathy expression) ed esser stata ricondotta in

1 R. Vischer, Sul sentimento ottico della forma (1872), trad. it. di A. Pinotti, in Id., Simbolo e forma, Aragno, Torino 2003, pp. 34-106. 2 Th. Lipps, “Fonti della conoscenza. Empatia”, trad. it. di A. Pinotti, in «Discipline filosofiche», xii, 2, 2002, p. 56.

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Felice Masi

una cornice anaforico-riflessiva. 3 In quest’ottica, posso distinguere due enunciati che descrivono la medesima situazione, come “Then John hit Bill” e “Then Bill was hit by John”, in base al modo in cui il parlante identifica il proprio punto di vista – in analogia al movimento della macchina da presa nelle mani di un regista – e al grado di quest’identificazione. Tale analisi si estende da casi molto semplici, come i precedenti, a quelli in cui si fa uso di verbi reciproci o delle occorrenze di “ricevere notizie da”, di “avvicinarsi a” o “andare da”, di “invidiare”, di alcuni aggettivi e dei pronomi riflessivi. È mia intenzione riprendere il tema dell’empatia della forma espressiva, per affrontarlo però in maniera diversa dalla sintassi funzionale così come dalla versione linguistico-intellettuale che le diede Lipps. E proprio da questa traggo il problema che mi farà da segnavia. Se qualcuno proferisce espressioni in cui ricorrano “io”, “tu”, “egli” (o altre particelle che menzionerò in seguito) si può dire che io lo intendo perché «sussiste in me in primo luogo la tendenza a verbalizzare questa esperienza vissuta (…); in secondo luogo, e allo stesso tempo, (…) una tendenza a imitare la parola, (e che) entrambe queste tendenze s’incontrano nella tendenza a verbalizzare l’appercezione dell’oggetto tramite tale parola»?4 A tal fine, ne fisserò prima una definizione di massima, derivata da Husserl, e presenterò poi due possibili sviluppi, che si distinguono per il loro diverso trattamento dell’anafora e del suo rapporto con la deissi, il primo tratto dal razionalismo linguistico di Brandom, il secondo dalla psicolinguistica di Bühler. L’obbiettivo è di abbozzare così un terzo modello di empatia, oltre a quelli idraulico e analogico, in cui è stata opportunamente divisa la storia di quest’idea:5 ovvero un modello anaforico. Due su tre degli autori che utilizzerò non sono dei teorici dell’empatia e lo Husserl che sarà menzionato è quello della I Ricerca, spesso, e con arguzia, messo in caricatura attraverso personaggi non propriaS. Kuno, Functional ssyntax. Anaphora, discourse and empathy, The University of Chicago Press, Chicago-London 1987, pp. 203 sgg. 4 Th. Lipps, Fonti della conoscenza. Empatia, cit., p. 55. 5 Cfr. A. Pinotti, Stimmung ed Einfühlung. Modello idraulico e modello analogico nelle teorie dell’empatia, in «Annali dell’Istituto Banfi», 5, 1998, pp. 347-364. 3

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Empatia della forma espressiva. Il modello anaforico da Brandom a Bühler

mente socievoli, come Humpty-Dumpty e Diogene chiuso in una botte. Inoltre, l’empatia della forma espressiva cattura un preciso fenomeno di scala, la comunicazione umana, che può essere esteso e generalizzato, come nella peculiare zoosemiotica di Bühler, oppure rigidamente limitato, come nel pragmatismo razionalistico di Brandom. Non si tratterà infatti di definire l’empatia come ciò che «consente l’oggettivazione di un’esperibilità»,6 ma come la condizione implicita di uno scambio “visibilmente” influenzato dalla sua condizione. Ed è proprio il rapporto, per nulla misterioso, tra condizione implicita e influenza visibile quello che dovrebbe aiutare a spiegare la cornice anaforica. 1. Nella comunicazione, nel dialogo vivente, sostiene Husserl, l’espressione ha sempre un carattere segnico,7 è sempre un «pronunciarsi su qualcosa»,8 un rivolgere la parola a qualcuno su qualcosa.9 Colui che parla e colui che ascolta danno e ricevono notizia, giacché si riconoscono, ovvero si percepiscono come «persone che non producono meri suoni», ma parole,10 ovvero espressioni riferite a qualcosa, dotate di significato. Ciò che viene espresso – il significato – resta però fuori dal triangolo comunicativo formato dalle funzioni del dare, ricevere notizia e dell’oggetto (presunto) su cui verte la notizia. Se parlo con qualcuno è perché questi “si pronuncia su qualcosa”, così lo intendo anche se non intendo ciò che dice. Presumo che dica qualcosa, perché do per scontato che “si riferisca a qualcosa” (altrimenti non ci starei davvero parlando). Pertanto, le espressioni notiziali11 segnalano anziS. Cattaruzza, Th. Lipps-E. Stein: sull’empatia, in «Discipline filosofiche», xii, 2, 2002, p. 279, in rif. a Lipps. 7 E. Husserl, i Ricerca logica (1901-1922), trad. it. di G. Piana, in Id., Ricerche logiche, i, il Saggiatore, Milano 2005 (d’ora in poi i rl), p. 291. 8 Ivi, p. 299. 9 Ivi, 300. 10 Ibidem. 11 Rendo così l’aggettivazione “kundgebende”, che in francese è stata tradotta vagamente con “fonction de manifestation”, e più opportunamente, in inglese con “intimating function”. L’aggettivo “notiziale” in italiano è raro, ma presente: si dice “certezza notiziale” a differenza di “certezza legale”, per indicare un tipo di certezza non vincolante priva di evidenza piena e da provare (cfr. M.S. Giannini, “Certezza pubblica”, in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, Milano 1960). 6

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Oltre lo “specchio” e la “fusione”: il fondamento dell’Einfühlung husserliana nel Leib Andrea Lanza

English title  Beyond the “mirror” and the “fusion”: the foundation of husserlian Einfühlung in the Leib Abstract  The aim of subtracting the theory of empathy from the rhetoric of “intrapsychic fusion” and from the common aesthetic-mimetic understanding of empathy as “mirroring” finds in the elaboration of Husserl’s Fremderfahrung at least two important supporting arguments. First, the inalienable experiential bond of the act of appresentation (Appräsentation) at the core of the intentionality directed towards the experience of the other. Secondly, the necessary imaginative shifting involved in the associative dynamics of Paarung, which allows to preserve the alterity from a total assimilation. Both of these arguments place the Leib as the crucial element of intersection, whose founding role becomes emblematic in relation to a particular type of pre-reflexive intentionality, which can be characterized as transleiblich (cfr. Brudzińska, 2013). In our opinion, this kind of intentionality can lay the foundations for a reconfiguration of theories on empathy in a more radical perspective, which accounts for the sympathetic interconnection between lived bodies. Keywords  empathy/Einfühlung, appresentation/Appräsentation, lived body/Leib, Pairing/Paarung, imaginative decentering/imaginäre Dezentrierung, transbodily intentionality/ transleiblich Intentionalität

1. Introduzione Il tema dell’empatia che si articola quale problema di ordine filosofico ed estetico in relazione al supposto accesso intellettivo e sentimentale tra soggetti estranei, ha conosciuto un significativo sviluppo per quanto concerne il contesto intellettuale tedesco già a partire dalla fine del xix secolo e l’inizio del xx. Il corrispondente termine 139 ©

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Andrea Lanza

tedesco, “Einfühlung”, è stato pertanto oggetto di riflessioni e analisi vòlte a comprenderne la natura teorica e pratica, sia in relazione alla declinazione concettuale attribuitagli in chiave epistemologica, quale appunto concetto esplicativo dello stato della nostra conoscenza di altri soggetti, sia nell’accezione di segno, indicante la capacità di un soggetto di giudicare stati e rappresentazioni altrui in relazione a differenti contesti intersoggettivi. Tra i contributi più rilevanti riconosciuti in seno a tale contesto, la teoria sull’empatia di Theodor Lipps che egli elaborò contestualmente alla propria indagine estetica, costituisce una delle proposte più emblematiche. Essenzialmente, Lipps concepisce l’empatia nei termini di un’attività interiore che, in virtù dei sentimenti suscitati dall’osservazione di altri soggetti e delle loro espressioni corporee, consente la formazione di un “alter ego” tramite una sorta di imitazione istintiva.1 Tuttavia, tale impostazione, pur rappresentando un termine di confronto imprescindibile per coloro che si sono occupati di queste tematiche, non ha mancato di sollevare diverse perplessità, in rapporto alle quali sono state avanzate varie critiche. 2 In particolare, 1 In altri termini, secondo Lipps, l’empatia è la sorgente del saper sugli altri, tale per cui, tramite la compartecipazione motoria dei movimenti espressivi altrui, vengono determinate esperienze simpatetiche nelle percezioni, le quali sono poi attribuite, attraverso un atto di oggettivazione, agli altri come tendenze e stati. Egli non si limitò ad applicare questo genere di esperienze simpatetiche alle persone ma sostenne che la propria esperienza percettiva potesse essere proiettata anche negli oggetti, i quali possono a loro volta essere esperiti come tendenti all’esterno o come aggregantisi; vedasi, per esempio, il caso delle illusioni (Cfr. Th. Lipps, Leitfaden der Psychologie, Engelmann, Leipzig 1903). Considerazioni simili vennero riprese anche da L. Klages, al quale premeva sottolineare il lato istintivo dell’empatia, e da H. Rohracher, il quale invece le abbinò alla legge ideomotoria di W. Carpenter, secondo la quale la percezione o rappresentazione di un movimento genera nell’osservatore un principio d’azione. Unica voce fuori campo fu quella di H. Richter, il quale condusse una puntuale critica alle ricerche empiriche sull’empatia, dimostrando che una tendenza alla co-condotta motoria (movimento percettivo o rappresentativo) è da attendersi solo in particolari condizioni. Cfr. J. Ritter e R. Eisler, Historisches Wörterbuch der Philosophie, Band 2, Schwabe, Basel 1972 (Lemma: “Einfühlung by O. Ewert”, pp. 396-397). 2 In ambito fenomenologico, cfr. per esempio, E. Stein, Zum Problem der Einfühlung, Verlagsgesellschaft Gerhard Kaffke mbH, Munich 1917; M. Scheler,

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Oltre lo “specchio” e la “ fusione”: il fondamento dell’Einfühlung husserliana nel Leib

risalta, in relazione alla prospettiva fenomenologica posta a tema del presente lavoro, la mancata indagine circa la struttura intenzionale ivi sottesa, lacuna che lo stesso Husserl ha posto in luce in un confronto polemico indirizzato direttamente a Lipps. 3 La fenomenologia husserliana si sforza pertanto di colmare tale carenza, sia tematizzando l’esperienza intersoggettiva nei termini di atti intenzionali di empatia, sia prendendo le distanze da un tentativo di comprensione dell’esperienza dell’altro come deduzione/inferenza analogica. La teoria del ragionamento per analogia, risalente a John Stuart Mill,4 ma riproposta in quegli anni da Benno Erdmann (Wissenschaftliche Hypothesen über Leib und Seele, 1907),5 sostiene che si conoscono gli stati psichici altrui attraverso un ragionamento di tipo logico: sensazioni, emozioni, rappresentazioni, ecc. sarebbero pertanto ipotesi formulate su di un altro soggetto a causa della somiglianza esterna che esiste tra il comportamento dei rispettivi corpi.6 In relazione a quest’ultimo punto in particolare, Husserl non tenterà, come vedremo, di estromettere l’analogia quale criterio utile alla comprensione delle dinamiche empatiche in relazione al comportamento, ma si proporrà di svincolarla da uno sviluppo esclusivamente deduttivo. Mediante l’adozione di una prospettiva fenomenologica costitutiva è infatti possibile, secondo l’autore, riconoscere all’analogia una dimensione di peculiare immediatezza, atta a superare la petitio principii alla base dell’inferenza analogica,7 senza che ciò si traduca in un’identificazione o duplicazione. Wesen und Formen der Sympathie – Die deutsche Philosophie der Gegenwart en: M. Frings (a cura di), Gesammelte Werke, v. 7, Francke, Berna 1973. 3 Cfr. E. Husserl, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass. Erste Teile: 1905-1920, hrsg. Von I. Kern, Martinus Nijhoff, Den Haag, 1973, Nr. 2. A; cfr. anche ivi, Beilage xvi. In seguito abbreviato con hua xiii. 4 Cfr. J.S. Mill, An Examination of Sir William Hamilton’s Philosophy, Longman, Green & Co., London 1865, pp. 190-191. 5 Husserl critica direttamente anche Erdmann nell’appendice ix di Husserliana xiii. 6 Cfr. K. Stueber, “Empathy”, in The Stanford Encyclopedia of Philosophy (Spring 2017 Edition), Edward N. Zalta (a cura di), URL = <https://plato.stanford.edu/ archives/spr2017/entries/empathy/>. 7 Secondo Husserl, infatti, il ragionamento analogico nasconde una circolarità, poiché presuppone la tesi che dovrebbe dimostrare, ossia l’esistenza di entità

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L’igienico intervallo tra Io e Tu. Umfassung contro Empatia nel pensiero di Martin Buber Massimiliano De Villa

English title  The hygienic interval between I and Thou. Umfassung versus Empathy in Martin Buber’s thought Abstract  The article aims to reconstruct, within the wider perimeter of Martin Buber’s pedagogical-educational thinking, the particular interpretation he gives to the concept of empathy. Reference of the analysis is the speech Über das Erzieherische (On the Educative), held in 1925 and published in 1926, whose contents are examined, especially in reference to the relationship, in a dialogical tone, between teacher and pupil and to the conceptual bifurcation between two different approaches in the educational action: Einfühlung and Umfassung, the first misleading and dangerous, the second a source of authentic and lasting relationships. Keywords  Martin Buber, Über das Erzieherische, education, empathy, teacher, pupil, dialogue, encounter, Einfühlung, Umfassung

L’idea educativa in Martin Buber La pedagogia e l’educazione sono, già da molto presto, cardini inaggirabili nel pensiero di Martin Buber. Non nei modi della disciplina ufficiale, non nelle forme di un pensiero sistematico, nemmeno secondo le dinamiche corporative del discorso accademico. Valga, a rappresentare la sua posizione eccentrica, solo un aneddoto: il rifiuto di una chiamata all’Università Ebraica di Gerusalemme per una cattedra di pedagogia nel 1926. Solo dieci anni più tardi, in un’ora estrema, spinto dalla necessità e dopo intricatissime trattative,1 Buber accetterà un or1 Tra i molti titoli disponibili sui rapporti tra Buber e l’Università ebraica di Gerusalemme, e la complicata vicenda della chiamata universitaria con la determina-

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Massimiliano De Villa

dinariato in sociologia presso lo stesso ateneo. Eppure, fin dagli esordi del suo pensiero, la sintonia e la vicinanza con gli studiosi di pedagogia sono evidenti, innumerevoli i contatti e fittissima la corrispondenza, dai primi del Novecento sino alla morte. L’insegnante o l’educatore, non il pedagogista, sono forse gli unici ruoli che Martin Buber si sia attribuito a parole esplicite, le uniche missioni che abbia riconosciuto apertamente. I suoi scritti sull’educazione e sulla formazione, dei bambini come degli adulti – composti e pubblicati in Germania fino al 1938, senza contare quelli che verranno dopo2 – conoscono un’amplissima diffusione fuori e, caso raro per gli autori tedeschi in questo settore, un’ottima, spesso entusiastica, ricezione, negli Stati Uniti, oltre che in Israele. Una risonanza toccata in sorte a pochi dei cosiddetti ‘classici della pedagogia’, mai interrotta, tra le due guerre come dopo il secondo conflitto. Per non parlare dell’influenza, individuale e quotidiana, su personalità attive nel campo, come insegnanti, educatori e formatori a vario titolo, esercitata già in Germania e da lì verso tutte le direzioni. La frequentazione con il tema dell’educazione, istituzionale e popolare,3 è un filo che attraversa il pensiero buberiano in tutte le sue zione della disciplina si rimanda, per una trattazione sintetica anche se non sempre precisa, a “Zwischen Deutschland und Palästina”, in G. Wehr, Martin Buber. Leben, Werk, Wirkung, Diogenes, Zürich 1996 (Kindler Verlag, München 19771), pp. 248250, poi a “Ein Lehrstuhl an der Hebräischen Universität?”, in D. Bourel, Martin Buber. Was es heißt, ein Mensch zu sein. Biografie, trad. ted. di H. Brühmann (Martin Buber. Sentinelle de l’humanité, Editions Albin Michel, Paris 2015), Gütersloher Verlagshaus, Gütersloh 2017, pp. 388-391, oltre che alle numerose lettere da e a Hugo Bergmann, rettore dell’università, Gershom Scholem, Ernst Simon e altri, parzialmente contenute in G. Schaeder (a cura di), Martin Buber, Briefwechsel aus sieben Jahrzehnten, 3 voll., soprattutto il vol. 2, 1918-1938, Lambert Schneider Verlag, Heidelberg 1973, passim. 2 Gli scritti di Martin Buber su educazione e formazione sono disponibili in edizione critica, con un’ottima introduzione e un esauriente commento scientifico, in J. Jacobi (a cura di), Martin Buber Werkausgabe. Schriften zu Jugend, Erziehung und Bildung, vol. 8, Gütersloher Verlagshaus, Gütersloh 2005. 3 Soprattutto negli anni di Weimar, ma anche dopo e fuori dalla Germania, Volkserziehung (educazione popolare) ed Erwachsenenbildung (formazione degli adulti), insieme all’impegno costante per la riforma del sistema educativo e al problema del rapporto tra formazione di base e formazione alta, sono punti nodali nella riflessione e nell’attività di Martin Buber. La formazione popolare ha in Buber,

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L’igienico intervallo tra Io e Tu. Umfassung contro Empatia nel pensiero di Martin Buber

fasi, attraverso diverse stazioni, dalla controcultura della Lebensreform berlinese ai primi del Novecento, attraverso la stagione mistico-chassidica e dell’impegno cultursionista, fin dentro il momento dialogico in tutti i suoi risvolti, con tappe fondamentali come i primi progetti di formazione ebraica del 1913-16, la Heppenheimer Tagung zur Erneuerung des Bildungswesens del 1919, la collaborazione al Freies Jüdisches Lehrhaus, fondato a Francoforte nel 1920 da Franz Rosenzweig e attivo fino al 1926, la sua riapertura, voluta dallo stesso Buber, dopo il 1933, insieme alla fondazione, per una via più che accidentata, della Mittelstelle für jüdische Erwachsenenbildung l’anno successivo,4 e, una volta in Palestina, l’elaborazione di un vastissimo programma di formazione sfociato nel 1949 nell’istituzione del Bet midrash le-morei ‘am, una scuola che Buber dirigerà fino al 1953, con finalità doppia, la preparazione degli insegnanti e l’avvio di un’intensa attività formativa, capace di trasmettere agli immigrati, giovani e adulti, i fondamentali del sapere ebraico.5 fin dagli anni Dieci, un legame stretto con la diffusione degli elementi fondamentali della cultura ebraica. La collaborazione di Buber al francofortese Freies Jüdisches Lehrhaus di Franz Rosenzweig e la fondazione di altri istituti ebraici di formazione popolare sono, in questo senso, snodi cruciali nella fase post-assimilatoria della storia culturale ebraico-tedesca. Si veda infra, nota 4. 4 Si vedano a questo riguardo E. Simon, Aufbau im Untergang. Jüdische Erwachsenenbildung im nationalsozialistischen Deutschland als geistiger Widerstand, J.C.B. Mohr, Tübingen 1959; W. Schivelbusch, Intellektuellendämmerung. Zur Lage der Frankfurter Intelligenz in den zwanziger Jahren (Die Universität, Das Freie Jüdische Lehrhaus, Die Frankfurter Zeitung, Radio Frankfurt, Der Goethe-Preis und Sigmund Freud, Das Institut für Sozialforschung), Suhrkamp Verlag, Frankfurt a.M. 1985, soprattutto le pp. 33-51; R. Sesterhehn, Das Freie Jüdische Lehrhaus – eine andere Frankfurter Schule, Schnell & Steiner, München-Zürich 1987; M. Brenner, “Neues Lernen: Die Lehrhaus-Bewegung”, in Id., Jüdische Kultur in der Weimarer Republik, trad. ted. di H. Fliessbach (The Renaissance of Jewish Culture in Weimar Germany, New Haven – London, Yale University Press 1996), Beck, München 2000, pp. 81-113. 5 Per tutto questo si veda il saggio introduttivo di J. Jacobi, in Ead., (a cura di), Martin Buber Werkausgabe. Schriften zu Jugend, Erziehung und Bildung, cit., pp. 11-76, oltre a “Von Heppenheim aus: Volkspädagogische Impulse”, in G. Wehr, Martin Buber. Leben, Werk, Wirkung, cit., pp. 133-144 e a “Heppenheim und andere Tagungen”, in D. Bourel, Martin Buber. Was es heißt, ein Mensch zu sein. Biografie, cit., 393-395.

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Vademecum di un consigliori. Ai confini del concetto di empatia Mauro La Forgia

English title  Vademecum of a “consigliori”. At the borders of the empathy’s concept Abstract  In the discipline of dynamic psychotherapy there is a distance between the founders’ categories and concepts and the daily actions of the operators, which today are essentially based on dialogue and experience. This essay underlines and analyses this distance, and also address the concept of empathy: if it initially led the clinic to pay closer attention to the emotional consonance between therapist and patient, now it risks to become a concept that hinder rather than facilitate the development of therapy. Finally, the essay identifies some “recipes” obtained from clinical experience that can facilitate psychotherapeutic work. Keywords  clinical theory, empathy, psychotherapeutic practice, clinical suggestions

Spiegone È una circostanza ampiamente diffusa tra gli psicoterapeuti di orientamento psicodinamico (ma il discorso potrebbe estendersi a psicoterapeuti di diversa formazione) il progressivo affrancamento, nella pratica quotidiana di cura, dalle visioni, dalle categorie, dai concetti assimilati nel percorso formativo e, almeno inizialmente, considerati costitutivi del proprio orizzonte di riferimento. È un fenomeno che si accentua in ciascuno con l’esperienza e gli anni di lavoro, ma è anche un più generalizzato e ininterrotto percorso di svincolamento da una clinica e una teoria canonizzati che ha interessato intere generazioni di operatori. Per la verità, c’è chi si ostina a presentare a riunioni e convegni casi trattati secondo l’ortodossia “di 181 ©

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Mauro La Forgia

scuola”, e si compiace dei risultati raggiunti con colleghi altrettanto appagati (ma sarebbe interessante riuscire a vedere cosa le stesse persone fanno e dicono realmente nel loro studio). Grazie all’affermarsi di questa sorta di pragmatismo operativo, il riferimento a Freud, a Jung, o ad altri “fondatori”, le radicalità interpretative kleiniane, l’“ispirata” enigmaticità dell’atteggiamento lacaniano, o bioniano, hanno ceduto il passo a un’attenzione più genuina a comportamenti e vissuti di chi si ha di fronte, all’assoluta peculiarità della relazione che con questi si va instaurando (e che ci tira peraltro in ballo in modo intenso e inevitabile). L’idea di empatia, cui è dedicato questo fascicolo di Atque − questa discussa «capacità di pensare e sentire sé stessi nella vita interiore di un’altra persona»1 che H. Kohut ha resuscitato da ascendenze articolate e complesse rendendola un dispositivo chiave della sua Psicologia del Sé − ha svolto indubbiamente un ruolo non marginale, a partire dagli anni Settanta dello scorso secolo, nel favorire l’affermazione di una prospettiva di reciprocità nella relazione di cura. Nelle efficaci parole di P. Fonagy e M. Target «lo spostamento è dall’insight e dall’interpretazione verso gli aspetti relazionali dell’esperienza (…); la responsività ottimale sostituisce la frustrazione ottimale nel ruolo di principio guida della terapia».2 All’esagerata attenzione su cosa avvenisse nell’altro si è andato sostituendo, grazie a Kohut e alla nutrita schiera di terapeuti che abbracciavano un’analoga prospettiva relazionale, un prevalente interesse su quanto accadeva in entrambi gli attori del processo terapeutico, agli eccessi interpretativi succedeva l’idea di una comprensione non ossessionata da istanze di verità, ma indirizzata verso la relativizzazione o, addirittura, l’oblio di frammenti patogeni di memoria. Ma anche l’introduzione e l’uso del concetto di empatia, così apparentemente aperto all’altro e che poneva la consonanza affettiva co-

1 H. Kohut, La cura psicoanalitica (1984), trad. it. Bollati Boringhieri, Milano 1986, p. 113. 2 P. Fonagy, M. Target, Psicopatologia evolutiva. Le teorie psicoanalitiche (2003), trad. it. Cortina, Milano 2005, p. 222.

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Vademecum di un consigliori. Ai confini del concetto di empatia

me principio ordinatore della relazione di cura, ha portato con sé problematiche non esattamente semplificanti rispetto allo sviluppo della prassi psicoterapeutica. È risultato difficile non interrogarsi sulla natura dell’immedesi­ mazione empatica – o, meglio, dell’«introspezione vicariante» − posta da Kohut a base dell’atto empatico; ci si è chiesti se tale dispositivo potesse essere legittimato unicamente su basi psicologiche o presentasse caratteri da sottoporre a una più ampia disamina critica, in quanto rinviante al tema “abissale” della relazione tra soggetto e oggetto; ancora, ci si è chiesti se l’empatia fosse competenza da raggiungere attraverso uno specifico training formativo o, piuttosto, ingrediente essenziale di ogni relazione; e infine, in quest’ultima prospettiva, se essa non fosse espressione matura di un prius ricettivo-appetitivo – un originario “con-essere” esistenziale –3 antecedente a ogni costituzione della polarità sé-altro. Su un piano più squisitamente antropologico, la capacità empatica richiamava le condizioni fisiche e culturali nelle quali l’io e l’altro coabitano, e che formano il retroterra della loro comunicazione: l’atto empatico poteva allora, per alcuni, essere indagato con strumenti razionali, e non partendo da ipotetiche ispirazioni e risonanze emotive.4 Come si potrà notare, l’incidenza dell’astrazione nella prassi terapeutica, espulsa dalla porta, rientrava dalla finestra, e quello che avrebbe dovuto essere un concetto facilitante andava a collocarsi nell’Olimpo dei costrutti normativi di cui ci si tentava di liberare. L’empatia diveniva qualitas comunicativa da raggiungere, un compito sovrapposto alla spontaneità del dialogo e, di conseguenza, all’intellegibilità di quei contenuti psichici che sarebbero più naturalmente emersi attraverso un genuino scambio comunicativo.

Cfr. C. Sini, “Empatia e comprensione”, in «Atque. Materiali tra filosofia e psicoterapia», L’empatia, 25-26/2002-2003, p. 75. 4 Si veda su questo punto il saggio di S. Tagliagambe, “Empatia e rappresentazione della conoscenza”, in «Atque. Materiali tra filosofia e psicoterapia», cit., pp. 35-72. 3

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Empatia ed ecfrasia. Osservazioni dalla psicoterapia1 Amedeo Ruberto

English title  Empathy and Ekphrasis. Observations from psychotherapy Abstract  This paper is strongly inspired by the Jungian theory. We have found in ekphrasis the best expression of empathy and in empathy the foundation for human reciprocal comprehension and for the understanding of world conventions like the language and its conjugation in past, present and future. Building on this concept, we assume that empathy holds everything together. Psychotherapy remains our principal context of research within which empathy, like a specific human trait, produces naturally changes and translates the relationship into an ekphrastic modality all along a line of pure subjectivity. Keywords  empathy; ekphrasis; subjectivity; psychotherapeutic fundaments

Premessa Provare a discutere o solo a impostare un discorso sull’empatia è quanto di più scivoloso e ardito si possa proporre. Fatto è che si chiede di intervenire su un fondamento della psiche, non solo della psicoterapia che qui funge semplicemente come sistema osservante – ma della stessa possibilità di stare insieme, di avere consapevolezza della propria umanità, di rendersi consapevoli di un tratto essenziale del genere umano. Pochi psicologi, inoltre, si sono veramente interessati ai fondamenti della psiche e della loro attività di psicoterapeuti in modo degno della parola e Devo ringraziare Roberto Manciocchi per la quantità di commenti critici che mi hanno aiutato a precisare il mio scritto. 1

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atque materiali tra filosofia e psicoterapia, 25 n.s., 2019, pp. 191-205 – ISSN 1120-9364


Amedeo Ruberto

posso citare solo Jung e Bion. Qui farò riferimento solo al primo. Rimane in ogni caso un personale giudizio negativo su chi si sia impegnato solo e soltanto sul lato tecnico della cura rimanendo indifferente a ciò che, come l’empatia, la rende possibile: questi ultimi possono solo descrivere cosa fanno o cosa pensano ma non sono in grado di offrire alcun motivo sottostante e generalizzabile del perché dicono e fanno qualcosa. Mi si rende quindi necessario porre qualche limite al discorso che offrirò al lettore e che proverò a esemplificare in questa breve definizione. Pongo l’empatia innanzitutto come funzione psichica relazionale il cui compito è quello di tradurre nei limiti della coscienza individuale una processualità psichica sovraindividuale.2 Considero quindi tale funzione come specie-specifica e solo secondariamente individuale: prima ci batte il cuore e poi ci rendiamo conto che il cuore ci batte. A tutti i viventi batte il cuore e poi, per via della comunicazione, tutti lo sanno. “Accorgersene” è già un primo livello di astrazione in cui l’individuo traduce in sensazione/emozione, non ancora in linguaggio, ciò che nell’accorgersene percepisce. Siamo qui per un verso a un livello puramente soggettivo che si colloca a un livello comune alla specie e quindi di un con-essere. Diviene “conoscenza” – ovverosia convenzione – attraverso una condivisione in una parola che fondi la prima categorialità astrattiva di un fenomeno naturale. Questo progresso astrattivo riposa, appunto, sull’empatia intesa come funzione relazionale della Psiche che garantisce la progressiva presa d’atto e il ri-conoscimento di un qualsiasi fenomeno naturale nella condizione originaria dell’esser condiviso in quanto appartenenti alla stessa specie. Utilizzo il termine ‘funzione’ in analogia con lo Jung della funzione trascendente: «Con il nome di funzione trascendente non si deve intendere niente di misterioso di sovrasensoriale o di metafisico per così dire, bensì una funzione psicologica che (…) risulta dall’unificazione di contenuti “consci” e contenuti “inconsci”» (C.G. Jung, “La Funzione trascendente” (1958), trad. it. in Opere, vol. 8, Boringhieri, Torino 1983, p. 83). Come si sa, l’espressione dell’attività di questa funzione si risolve nella percezione di immagini psichiche che hanno carattere inconscio, sia esso personale o collettivo. Jung parla spessissimo in termini “funzionali” ma non è tanto un riferimento a un dispositivo formale di tipo matematico quanto piuttosto ad attività o processi finalizzati; in tal senso le riconosce anche come autonome, automatiche e inconsce. 2

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Empatia ed ecfrasia. Osservazioni dalla psicoterapia

Non è tuttavia difficile osservare come l’empatia intesa nella sua condizione originaria e quella che sperimentiamo nella nostra personale esperienza non siano esattamente la stessa cosa. Questa definizione comporta una certa paradossalità poiché fa dell’empatia una sorta di “oggetto” ipotetico o di “potenza attuale”, direbbe Whitehead, cui in realtà si giunge per esclusione piuttosto che per immediatezza, eliminando via via ogni altra definizione variamente distribuita, dal senso comune, dalle neuroscienze e dalla stragrande maggioranza delle teorie psicologiche, mostrandone i possibili pregiudizi e conseguenti errori. L’empatia intrattiene dunque un carattere ipotetico legato alla presupposizione di una funzione extra cosciente come condizione di possibilità della sua percezione autocosciente e, secondariamente, la distonia che rileviamo tra l’originario e la praticità dell’esperienza individuale dipende tutta dalle caratteristiche e dai limiti di ogni coscienza individuale in cui si rappresenta. Le caratteristiche e i limiti generali della coscienza cui qui ci si riferisce, sono quelle universalmente ben note: parzialità, serialità, costruzione frammentata di coordinate organizzative del conoscere in paradigmi convenzionali di carattere spazio temporale. Se dunque l’empatia originaria, come l’abbiamo inizialmente definita, vive in un continuum spazio temporale sotteso all’evoluzione della nostra specie, la sua rappresentazione coscienziale si disloca in una storia e, quotidianamente, nelle sue estasi temporali di passato, presente e futuro, mentre, automaticamente, si concretizza in vicinanze o lontananze spaziali. Cercheremo successivamente di mostrare come, anche nel caso dell’empatia, l’ontogenesi ricapitoli la filogenesi sicché la funzione relazionale originaria si ritrovi nell’esperienza ordinaria e quotidiana di ogni soggetto individuale nonostante le condizioni restrittive imposte dai limiti strutturali della sua coscienza. Si potrebbe osservare che l’originarietà in-finita e collettiva si mantenga inalterata in ogni declinazione singolare. L’unica descrizione teorica o, meglio, visionaria, che conosco in ambito psicologico è quella contenuta nella proposta di Jung di prende193 ©

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L’occhio vivente. Empatia e biologia Antonino Trizzino

English title  The living eye. Empathy and biology Abstract  The eye is the cabin closest to the brain, the membrane in which interior and exterior are ref lected; it is not just a border, it is a sensor at the service of emotions. Imitation and empathy pass through this door, even at the most basic evolutionary levels: the reference is to Darwin’s studies on the expression of emotions in animals, to Heidegger’s analyzes on the surface of amoebas, to Portmann’s theories of biological value of appearances, to Damasio’s ref lections on worms emotional intelligence, to research on the neurobiological origin of empathy, to the heroic and tragic history of a colony of empathic penguins. Keywords  Darwin, Heidegger, Damasio, penguins, neurobiology of empathy Indovinello — È solo una porticina, ma ci può passare il mondo intero.

Collocato in posizione centrale nella testa dell’uomo, l’occhio è il primo sistema di allarme nella lotta per la sopravvivenza; primitivo nei pesci pietra, dotato di un bulbo luminoso sempre acceso che l’animale, come ultima risorsa prima di morire, rivolge dentro di sé; di forma esagonale nella mosca, un occhio formato da migliaia di ommatidi che raccolgono raggi di luce da un’infinità di angoli e percepiscono non sappiamo quali incredibili iridescenze; celeste nei pinguini, corredato di una seconda palpebra trasparente che li ripara dal sale e corregge la loro ipermetropia; rosso strumento di precisione nella cabina di pilotaggio del condor; mirino con cui il giaguaro mette a fuoco la preda prima dell’assalto. 207 ©

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Antonino Trizzino

L’occhio umano si è evoluto come senso della vista ed è diventato il fondamento dell’espressione, prima ancora della gestualità e della parola; la sua funzione non si spiega con l’idea di un semplice sensore al servizio dell’organismo: l’occhio è la cabina più vicina al cervello, la membrana in cui interno ed esterno si specchiano. Quando la retina è al culmine della sua attività, coglie l’immagine giusta, quella che colpisce, e la fissa al proprio interno per tutta la vita.

I vermi di Darwin L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali viene pubblicata nel 1872 e, dopo il primo successo con novemila copie vendute in quattro mesi, scompare dal dibattito scientifico e filosofico. In questo testo rivoluzionario, Charles Darwin cerca di dimostrare la continuità fra espressioni ed emozioni umane e animali, denunciando il paradosso di una creazione separata degli esseri umani. Tra l’animale e l’uomo è l’essenziale a essere identico; c’è differenza di grado, non di natura. Darwin dedica il capitolo 6 alla funzione espressiva dell’occhio: alla secrezione delle lacrime, alle cause della contrazione dei muscoli che circondano l’occhio durante l’emissione di grida, al pianto nei bambini piccoli. All’epoca, il dibattito sull’occhio in quanto organo era già stato sottratto alla teologia e consegnato alla fisiologia. Il darwinismo ha dovuto fare i conti con un silenzio durato milioni di anni, mentre nelle dottrine rivelate il processo si svolge fuori dal tempo e inizia con il caos. «Ricordo bene quando il pensiero dell’occhio mi fece rabbrividire in tutto il corpo»,1 scrive Darwin con la tensione di chi sa di avere davanti un enigma. Nei cinque anni in cui viaggia sul Beagle (1831-1836), Darwin raccoglie un’enorme quantità di osservazioni e inizia a elaborare l’idea di un rapporto fra tutti gli esseri viventi più tardi confluita in una teoria dell’evoluzione che avrebbe rinnovato la concezione occidentale della natura. Non è un caso che, a bordo del Beagle, Darwin fosse sopranCit. in C.S. Sherrington, Man on his nature, Cambridge University Press, Cambridge 1940, p. 103 (trad. it. Uomo e natura, Boringhieri, Torino 1960, p. 91). 1

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L’occhio vivente. Empatia e biologia

nominato philosopher. Le scienze naturali di oggi, invece, dipendono dall’astrazione, sono più prossime al platonismo che al sapere basato sull’esperienza. La scienza nel significato aristotelico, senza strumenti, senza statistica è estranea al nostro tempo. Gli strumenti scientifici illuminano, ma fanno anche da filtro: trattengono l’imponderabile; privilegiano una scienza più vicina alla fisica che alla scienza ereditata dall’evoluzionismo che ha i suoi fondamenti nell’anatomia, nella zoologia, nella paleontologia. Darwin estende la sua teoria fino al grado zero dell’evoluzione mentale: il verme. «Le Planarie sono coscienti», scrive nei Taccuini filosofici. Le planarie sono organismi di pochi millimetri di lunghezza che vivono nei fondi sabbiosi degli stagni e hanno un sistema nervoso più piccolo delle formiche: Darwin è convinto che «una planaria deve essere considerata un animale che ha coscienza, perché sceglie il cibo, strisciando con la luce. Possiamo anche dividere la planaria in tre animali, e questa coscienza si moltiplica insieme alla struttura dell’organismo, è come se la coscienza fosse effetto di una sufficiente perfezione dell’organizzazione, è come se la coscienza fosse effetto di individualità».2 L’intelligenza dei vermi è testimoniata dalla nozione della forma di oggetto, dalla presenza di un rudimentale senso sociale e dalla capacità di risolvere problemi geometrici. Un accostamento tra coscienza umana e coscienza della planaria non dovrebbe essere più tanto scandaloso dopo i recenti studi sulla neurobiologia animale. Il neuroscienziato Antonio Damasio parla di piccoli vermi Caenorhabditis elegans con 5.000 connessioni (negli umani sono migliaia di miliardi) e 302 neuroni (negli umani diversi miliardi) che, in condizioni di scarsità di cibo o in difficoltà ambientali, si associano in gruppi e cooperano nella ricerca e nella divisione del cibo. In questi comportamenti sono prefigurati diversi concetti sociali, quali «la sicurezza data dal numero, la forza attraverso la cooperazione, lo stringere la cinghia, l’altruismo

2 C. Darwin, Metaphysics, materialism & evolution of mind: Early writings of Charles Darwin, The University of Chicago Press, Chicago 1974 (trad. it. Taccuini filosofici. Taccuini «M» e «N», Note sul senso morale, Teologia e selezione naturale, Utet, Torino 2010, p. 140).

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Estetica dello “sfioramento”, o dell’empatia e dell’ontogenesi∗ Luca Pinzolo

English title  Aesthetics of the “touch”, or empathy and ontogenesis Abstract  The article tries to rethink empathy outside of a paradigm centered on interiority, through a reversal of perspective that, through a path with multiple entrances, privileges the dimension of an exteriority that cannot be internalized and yet constitutes the feeling and being of the subject himself. If, as Arendt teaches, man can find in his artifacts the guarantee of his own consistency and subjective identity, on the other hand some places in the Weird literature evoke a world that is foreign and incompatible with any human idea of order and “cosmos”. This “order” finds, as Levinas teaches, its background in an impersonal “there is”, the notion of which inherits and reformulates the traditional concept of Being. It is the Being, thus intended, to activate the life of the “soul” through an affection whose paradigm is the feeling of horror, trace of an original and constitutive passivity. Keywords  Weird, empathy, Levinas, Husserl, Arendt, Lipps, Lovecraft, Bierce, Simondon Non siamo noi come soggetti che sentiamo qualcosa, ma al contrario offriamo noi stessi a un sentire che è dislocato altrove. Mario Perniola1 ∗ Questo lavoro è parte di un progetto più ampio che si propone di pensare congiuntamente alcuni motivi dell’ontologia del giovane Levinas con altri emersi dalla riflessione sulla transindividualità proposta da Gilbert Simondon. Di questo progetto, al momento, è possibile solo abbozzare una provvisoria mappa, pur nella consapevolezza che, come ammoniva Gregory Bateson, “la mappa non coincide con il territorio”. 1 M. Perniola, Del sentire, Einaudi, Torino 1991, pp. 95-96.

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Luca Pinzolo

1. Un “enigma tormentoso” Un tratto qualificante delle attuali concezioni dell’empatia risiede senz’altro nella presupposizione di uno spazio di interiorità come luogo privilegiato per una visione esaustiva di una certa classe di enti: l’“anima”, o la “mente”, la si chiami come si vuole, come luogo immateriale e tutto interno a sé stesso da cui guardare, “da dentro”, “cose” che di questo “luogo” condividono la stessa stoffa immateriale – i vissuti, le emozioni, le intenzioni, cose “mentali” o fatti dello spirito che non hanno mai smesso di essere modificazioni della “res cogitans” e che si possono offrire solo a una visione “interiore”.2 Sotto questo punto di vista, la relazione con l’Altro è, o può essere, di natura empatica solo facendo dell’introspezione il paradigma dell’empatia, ridotta, a questo punto, a un impiego estensivo della prima, o a una “introspezione vicariante” – per usare una efficace espressione dello psicoanalista H. Kohut, secondo il quale, appunto, la base della comprensione dell’altro non è se non quella stessa comprensione di sé che si ottiene introspettivamente.3 Se, infatti, l’introspezione è l’unico modo per avere accesso a quei fenomeni interni che costituiscono l’oggetto della psicologia, l’empatia non potrà che essere una sua variante, ossia la visione “da dentro” del mondo interiore altrui. Quanto, però, questo approccio resti nell’ambito dell’ipotetico e sconfini con la proiezione immaginaria lo sapeva bene lo stesso Husserl, allorché definiva l’empatia «un enigma oscuro e addirittura tormento­ Per una lettura storico-critica della sovrapposizione tra “mentale” e “immateriale”, si rimanda a R. Rorty, La filosofia e lo specchio della natura (1979), trad. it. Bompiani, Milano 2004, in part, la parte i, pp. 41-264. Un’ulteriore elaborazione del tema, in consonanza con quanto qui si cerca di delineare, si può trovare in alcuni sviluppi dell’approccio cosiddetto “neofenomenologico” e, segnatamente, in T. Griffero, Quasi-cose. La realtà dei sentimenti, Bruno Mondadori, Milano-Torino 2013. 3 H. Kohut, “Introspezione, empatia e psicoanalisi. Indagine sul rapporto tra modalità di osservazione e teoria” (1959), in Id., Introspezione ed empatia. Raccolta di scritti (1959-1981), trad. it. Bollati Boringhieri, Torino 2003, p. 53: «I nostri pensieri, desideri, sentimenti, fantasie, non possono essere visti, ordinati, uditi o toccati. Non hanno alcuna esistenza nello spazio fisico, e sono tuttavia reali, tanto che li possiamo osservare così come avvengono nel tempo: con l’introspezione in noi stessi, e con l’empatia (cioè l’introspezione vicariante) negli altri». 2

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Estetica dello “sfioramento”, o dell’empatia e dell’ontogenesi

so».4 Possiamo fare un esempio delle difficoltà cui va incontro una teoria della intersoggettività centrata sull’introspezione rifacendoci a un passo di Alexander Lowen, fondatore della bioenergetica, una pratica psicoterapeutica particolarmente attenta al “sentire”. È un passo, se vogliamo, straordinario, perché l’autore ci mette sotto gli occhi tutti i problemi cui va incontro un tentativo di pensare le relazioni intersoggettive facendo ricorso all’empatia – senza, però, vederne nemmeno uno: Sentire un’altra persona è un processo empatico. L’empatia è una funzione dell’identificazione: vale a dire che, identificandosi con l’espressione corporea di una persona, è possibile sentirne il significato. Si può anche sentire che effetto fa essere quest’altra persona, benché ovviamente sia impossibile sentire quello che sente un altro. I sentimenti e le sensazioni di ciascuno sono privati, soggettivi. L’altro sente quello che succede nel suo corpo: voi sentite quello che succede nel vostro. Ma, dato che tutti i corpi umani sono simili nelle funzioni fondamentali, quando sono sulla stessa lunghezza d’onda possono entrare in risonanza. Quando succede, le sensazioni di un corpo sono simili a quelle dell’altro.5

Balza subito all’occhio come Lowen sovrapponga due esperienze di diverso genere e due giudizi il cui soggetto è differente: da un lato abbiamo un’esperienza vissuta, ossia la “risonanza” in cui “entrano” due corpi, dall’altro lato un giudizio mediante il quale viene postulata (ma non sperimentata) una somiglianza tra i corpi e viene stabilito un rapporto di causa ed effetto tra questa somiglianza e la possibilità di avvertire in risonanza lo stare di due corpi sulla stessa “lunghezza d’onda”. Da un lato, insomma, un soggetto immediatamente coinvolto in un evento che affetta due corpi, dall’altro il soggetto di un atto cognitivo, ossia di un giudizio che sussume la dinamica di quest’evento sotto una legge generale. Ogni individuo è spettatore diretto di sé stesso e non ha alcuna esperienza del vissuto di altri individui, né potrebbe mai averla; questo però non toglie che possa avvertire qualcosa come un intreccio o una covibrazione del proprio corpo e di quello altrui, “dato che” i corpi di tutti gli esseri umani sono simili e, quindi, funzionano allo stesso modo. 4 E. Husserl, Logica formale e trascendentale (1929), trad. it. Laterza, Bari 1966, p. 295. 5 A. Lowen, Bioenergetica (1975), trad. it. Feltrinelli, Milano 2004, pp. 86-87.

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Indice degli articoli di “atque” 1990-2019 secondo l’ordine alfabetico dell’autore La rivista “atque” prosegue a pubblicare i fascicoli in formato cartaceo per i tipi di Moretti & Vitali di Bergamo, per cui questi sono tuttora disponibili presso le librerie e ordinabili all’indirizzo elettronico ordini@morettievitali.it. Si comunica inoltre che è stato deciso che ogni fascicolo, dopo un “embargo” di due anni, sia reso disponibile in formato pdf – in maniera completamente gratuita – sul sito www. atquerivista.it Si comunica infine che è ormai completata la digitalizzazione dell’intero archivio storico, sicché ogni singolo articolo e ogni intero fascicolo di “atque” – dal 1990 (anno della sua fondazione) sino a quelli di due anni fa – sono leggibili e scaricabili on line.

Filippo Accurso, “Freud e Wittgenstein: mitologia del quotidiano e linguaggio della scienza”, «atque», 23-24, 2001, pp. 159-194 Paolo Aite, “La visibilità da conquistare: note sull’immaginazione in analisi”, «atque», 12, 1995, pp. 47-62 Angela Ales Bello, “Comprendere le psicopatologie. Un approccio filosofico-fenomenologico”, «atque», 15 n.s., 2014, pp. 219-240 Massimo Ammaniti, “Attualità e evoluzione del concetto di ‘Sé’ in psicoanalisi”, (intervista di Francesca Cesaroni), «atque», 9, 1994, pp. 69-86 Gertrude Elizabeth Margaret Anscombe, “La prima persona”, «atque», 13 n.s., 2013, pp. 187-212 Massimiliano Aragona, “Oltre l’attuale crisi della nosografia psichiatrica: uno sguardo al futuro”, «atque», 15 n.s., 2014, pp. 35-54 Giampiero Arciero, “Il problema difficile e la fine della psicologia”, «atque», 13 n.s., 2013, pp. 157-184 Elisa Arnaudo, “Soglie del dolore”, «atque», 22 n.s., 2018, pp. 89-98 Luigi Aversa, “La schizofrenia: una patologia della funzione simbolica. Anomia percettiva e devianza del conoscere”, «atque», 4, 1991, pp. 183-190 Luigi Aversa, “L’esperienza antinomica della psicoterapia”, «atque», 18-19, 1998, pp. 139-148 Luigi Aversa, “La coscienza e i suoi disturbi”, «atque», 20-21, 1999, pp. 77-86 Luigi Aversa, “L’analista, l’empatia e l’inconscio”, «atque», 25-26, 2002, pp. 117126 Luigi Aversa, “Le figure etiche dell’esperienza analitica”, «atque», 1 n.s., 2006, pp. 197-204 Luigi Aversa, “Dialogo con Mario Trevi”, «atque», 1 n.s., 2006, pp. 333-340 Arnaldo Ballerini, “La incompresa ‘incomprensibilità’ di Karl Jaspers”, «atque», 22, 2000, pp. 7-18

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Indice degli articoli di “atque” 1990-2019 Arnaldo Ballerini, “Dalla clinica del ‘caso’ all’incontro: verso una psicopatologia della prima persona”, «atque», 13 n.s., 2013, pp. 21-40 Arnaldo Ballerini, “Dove e quando comincia la schizofrenia”, «atque», 15 n.s., 2014, pp. 19-34 Arnaldo Ballerini e Andrea Ballerini, “Affetti e delirio”, «atque», 13, 1996, pp. 19-31 Arnaldo Ballerini e Mario Rossi-Monti, “Delirio, scacco gnoseologico, limiti della comprensibilità”, «atque», 1, 1990, pp. 59-72 Alessandro Barchiesi, “‘Atque’ e atque”, «atque», 1, 1990, pp. 129-130 Federico Barison, “Risposta ‘originale’: vetta ermeneutica del Rorschach”, «atque», 12, 1995, pp. 154-164 Paulo Barone, “Sul non-nato”, «atque», 4, 1991, pp. 173-182 Paulo Barone, “‘Pensare dialetticamente e non dialetticamente a un tempo’. Quindi ‘rompere’ (con) questo stesso tempo”, «atque», 1 n.s., 2006, pp. 205218 Franco Basaglia e Agostino Pirella, “Deliri primari e deliri secondari, e problemi fenomenologici di inquadramento”, «atque», 22, 2000, pp. 19-28 Enrico Bellone, “Sulle italiche fortune del professor Feyerabend”, «atque», 10, 1994, pp. 77-92 Franco Bellotti, “L’esperienza delle emozioni nell’incontro analitico”, «atque», 17 n.s., 2015, pp. 123-139 Gaetano Benedetti, “Intenzionalità psicoterapeutica”, «atque», 13, 1996, pp. 31-50 Gaetano Benedetti e Maurizio Palliccia, “Il disegno speculare catatimico”, «atque», 14 n.s., 2014, pp. 221-255 Roberto Beneduce, “‘I doppi dimenticati della storia’. Sofferenza, diagnosi e immaginazione storica”, «atque», 15 n.s., 2014, 277-298 Arnaldo Benini, “Il senso del tempo e i disturbi neurologici del presente”, «atque», 3-4 n.s., 2008, pp. 445-459 Arnaldo Benini, “La coscienza e il cervello. Raccomandazioni di un fisicalista a chi indaga sulla mente”, «atque», 15 n.s., 2014, pp. 55-64 Sergio Benvenuto, “Verso una verità che ci libera dalla dipendenza?”, «atque», 1819, 1998, pp. 165-188 Vania Berlincioni e Enrico Petrella, “Note su Per la critica della psicoanalisi di Karl Jaspers”, «atque», 22, 2000, pp. 151-164 Marianna Bernamaschi Ganapini, “Asserzione ed espressione”, «atque», 5 n.s., 2008, pp. 67-74 Graziella Berto, “La cura della singolarità”, «atque», 10 n.s., 2012, pp. 63-72 Graziella Berto, “Immagini di pensiero”, «atque», 14 n.s., 2014, pp. 29-40 Mariano Bianca, “Téchne o épistéme: quale stato della psicoterapia”, «atque», 1, 1990, pp. 73-90 Mariano Bianca, “Oggetto percettivo e percezione”, «atque», 4, 1991, pp. 197-212 Remo Bodei, “Un episodio di fine secolo”, «atque», 1, 1990, pp. 91-106

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Indice degli articoli di “atque” 1990-2019 Remo Bodei, “Curare il dolore dell’anima. Su alcune tecniche eterodosse e sulla funzione terapeutica della filosofia”, «atque», 16 n.s., 2015, pp. 63-71 Rossella Bonito Oliva, “Rappresentazioni e narrazioni dell’azione: l’altrimenti e la decisione. Per una fenomenologia del contingente”, «atque», 21 n.s., 2017, pp. 25-41 Eugenio Borgna, “I confini Io-Mondo nella Wahnstimmung”, «atque», 3, 1991, pp. 43-54 Eugenio Borgna, “La psicoterapia delle psicosi e le sue premesse filosofiche”, «atque», 6, 1992, pp. 45-58 Eugenio Borgna, “C’è ancora un senso nella psicopatologia?”, «atque», 13, 1996, pp. 51-60 Eugenio Borgna, “Sogno ed esistenza. Note su Binswanger”, «atque», 8-9 n.s., 2011, pp. 97-102 Gerardo Botta, “Riflessioni su L’altro maestro”, «atque», 6-7 n.s., 2009, pp. 223-234 Gerardo Botta, “La traducibilità trasformativa del linguaggio”, «atque», 14 n.s., 2014, pp. 189-204 Adriano Bugliani, “Terapia e fenomenologia. Hegel e la psicoanalisi”, «atque», 2728, 2003, pp. 203-218 Massimo Caci, “Contatto vs perdita del contatto. Per una antropologia dell’ambiente fra Eugène Minkowsky e Gilles Deleuze”, «atque», 11 n.s., 2012, pp. 175-200 Bruno Callieri, “‘Curare’ o ‘prendersi cura di’. Un dilemma psichiatrico della responsabilità esistenziale”, «atque», 8, 1993, pp. 121-132 Bruno Callieri, “Inquadramento antropologico dell’esperienza d’incontro con lo psicotico”, «atque», 13, 1996, pp. 61-86 Bruno Callieri, “Prefazione”, «atque», 1 n.s., 2006, pp. 11-17 Giacomo Calvi e Lorenzo Calvi, “Nora: un’immagine letteraria dell’esaltazione”, «atque», 13, 1996, pp. 87-96 Giuliano Campioni, “La difesa dell’illusione metafisica: una ‘wagneriana’ risponde a Friedrich Nietzsche”, «atque», 12, 1995, pp. 165-172 Giuliano Campioni, “Ressentiment: il pericolo da superare per NietzscheZarathustra”, «atque», 19 n.s., 2016, pp. 17-33 Giuliano Campioni, “Friedrich Nietzsche: critica e affermazione della ‘volontà’” «atque», 21 n.s., 2017, pp. 109-128 Sandro Candreva, “Perversione e caduta dell’alterità”, «atque», 7, 1993, pp. 123132 Eleonora Cannoni, “Capire la paura. Lo sviluppo della rappresentazione della paura tra i cinque e i dodici anni”, «atque», 23-24, 2001, pp. 109-134 Baldassarre Caporali, “L’‘altro’ tra differenza e pluralità”, «atque», 7, 1993, pp. 155166 Vincenzo Caretti, “La solitudine del curante, la scissione mente-corpo e il deficit della simbolizzazione”, «atque», 1 n.s., 2006, pp. 323-332

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Indice degli articoli di “atque” 1990-2019 Enrico Castelli Gattinara, “Piccole grandi cose: tra ordinario e straordinario”, «atque», 10 n.s., 2012, pp. 19-40 Enrico Castelli Gattinara, “Zero come simbolo: uno sconfinamento indeterminato”, «atque», 11 n.s., 2012, pp. 95-112 Stefano Catucci, “‘Reimparare a sognare’. Note su sogno, immaginazione e politica in Michel Foucault”, «atque», 8-9 n.s., 2011, pp. 103-118 Paola Cavalieri, “Fenomenologia del primo incontro. Vissuti di estraneità e capacità di improvvisare del terapeuta”, «atque», 10 n.s., 2012, pp. 213-224 Paola Cavalieri, “Introduzione. Verso una psichiatria critica”, «atque», 15 n.s., 2014, pp. 11-15 Paola Cavalieri, “Il concetto di psicosi unica può essere oggi valido per una comprensione dei processi affettivi nelle psicosi?”, «atque», 17 n.s., 2015, pp. 199216 Paola Cavalieri, Mauro La Forgia e Maria Ilena Marozza, “Prefazione”, «atque», 10 n.s., 2012, pp. 11-15 Giorgio Caviglia, “Simbolo ‘vero’/simbolo ‘falso’: il dilemma clinico del simbolo diabolico”, «atque», 1 n.s., 2006, pp. 101,114 Felice Cimatti, “Il paradosso del ricordare. La memoria e il segreto del corpo”, «atque», 5 n.s., 2008, pp. 131-147 Felice Cimatti, “Quanto fa 25x20? Per una logica del cambiamento psichico”, «atque», 10 n.s., 2012, pp. 41-62 Felice Cimatti, “Divenire cosa, divenire corpo”, «atque», 18 n.s., 2016, pp. 107132 Giuseppe Civitarese, “Sul concetto bioniano di contenitore/contenuto”, «atque», 17 n.s., 2015, pp. 101-121 Alberto Clivio, “L’‘io’ biologico”, «atque», 9, 1994, pp. 141-152 Giorgio Concato, “Thymós”, «atque», 2, 1990, pp. 107-124 Giorgio Concato, “Note su percezione, intuizione e complessità nella psicologia di C. G. Jung”, «atque», 4, 1991, pp. 149-172 Giorgio Concato, “Gadamer, Jung e Bateson. Il colloquio psicoterapeutico in forma di dialogo”, «atque», 6, 1992, pp. 131-158 Gianluca Consoli, “Affetto, emozione e conoscenza”, «atque», 17 n.s., 2015, pp. 1333 Pietro Conte, “Metapherein. Il paradigma metaforico tra parola e immagine”, «atque», 14 n.s., 2014, pp. 17-28 Pietro Conte, “Sembra viva! Estetica del perturbante nell’arte contemporanea”, «atque», 17 n.s., 2015, pp. 265-281 Francesco Corrao, “Sul sé gruppale”, «atque», 11, 1995, pp. 11-24 Laura Corti e Marta Bertolaso, “Prospettive sulle/delle metamorfosi tecnologiche”, «atque», 24 n.s., 2019, pp. 63-84 Elena Cristiani, “Il presente in analisi”, «atque», 3-4 n.s., 2008, pp. 341-354

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Indice degli articoli di “atque” 1990-2019 Nora D’Agostino e Mario Trevi, “Psicopatologia e psicoterapia”, «atque», 13, 1996, pp. 97-120 Riccardo Dalle Luche, “Noia”, «atque», 17, 1998, pp. 43-66 Mario De Caro, “Volontà, libero arbitrio ed epifenomenismo”, «atque», 21 n.s., 2017, pp. 69-88 Luciano Del Pistoia, “Psicopatologia: realtà di un mito”, «atque», 13, 1996, pp. 121145 Vanessa De Luca, “Risentimento e vergogna: le basi morali della responsabilità”, «atque», 19 n.s., 2016, pp. 153-171 Roberta De Monticelli, “Alla presenza delle cose stesse. Saggio sull’attenzione fenomenologica”, «atque», 3-4 n.s., 2008, pp. 219-240 Daniel C. Dennett, “Il mito della doppia trasduzione”, «atque», 16, 1997, pp. 1126 Daniel C. Dennett e Marcel Kinsbourn, “Il dove e il quando della coscienza nel cervello”, «atque», 3-4 n.s., 2008, pp. 131-182 Fabrizio Desideri, “L’alterità come soglia critica”, «atque», 7, 1993, pp. 65-80 Fabrizio Desideri, “La fuga in sé. Variazioni sul tema della coscienza”, «atque», 9, 1994, pp. 47-68 Fabrizio Desideri, “Resonabilis Echo. La coscienza come spazio metaforico”, «atque», 11, 1995, pp. 93-114 Fabrizio Desideri, “Al limite del rappresentare: nota su immaginazione e coscienza”, «atque», 12, 1995, pp. 135-153 Fabrizio Desideri, “Il velo dell’autocoscienza: Kant, Schiller e Novalis”, «atque», 16, 1997, pp. 27-42 Fabrizio Desideri, “Kant: la malattia mentale come patologia della coscienza”, «atque», 20-21, 1999, pp. 23-40 Fabrizio Desideri, “Empatia e distanza”, «atque», 25-26, 2002, pp. 7-24 Fabrizio Desideri, “Uno sguardo sul presente: relativismo, pluralismo e identità umana”, «atque», 3-4 n.s., 2008, pp. 69-98 Fabrizio Desideri, “Interni. Quattro variazioni quasi dialettiche intorno a sensibilità e linguaggio”, «atque», 5 n.s., 2008, pp. 13-32 Fabrizio Desideri, “Del comprendere. A partire da Wittgenstein”, «atque», 6-7 n.s., 2009, pp. 137-156 Fabrizio Desideri, “Sulla polarità tra ‘estetica e poietica’: intorno al Discorso sull’estetica di Paul Valéry”, «atque», 8-9 n.s., 2011, pp. 121-144 Fabrizio Desideri, “Parva gramaticalis ovvero Impossible love”, «atque», 13 n.s., 2013, pp. 11-18 Fabrizio Desideri, “Frammenti di conversazione sulla cura di sé e sulla cura in generale”, «atque», 16 n.s., 2015, pp. 17-31 Fabrizio Desideri, “A due voci. Quasi un dialogo per nastro magnetico, Glasharmonika e rumore di fondo”, «atque», 20 n.s., 2017, pp. 17-30

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Indice degli articoli di “atque” 1990-2019 Fabrizio Desideri, “Adversus empathicos! Quasi un dialogo in tre scene”, «atque», 25 n.s., 2019, pp. 9-23 Fabrizio Desideri e Paolo Francesco Pieri, “Prefazione”, «atque», 18 n.s., 2016, pp. 9-13 Fabrizio Desideri e Paolo Francesco Pieri, “Prefazione”, «atque», 19 n.s., 2016, pp. 9-14 Fabrizio Desideri e Paolo Francesco Pieri, “Prefazione”, «atque», 20 n.s., 2017, pp. 9-14 Fabrizio Desideri e Paolo Francesco Pieri, “Prefazione”, «atque», 21 n.s., 2017, pp. 9-15 Fabrizio Desideri e Paolo Francesco Pieri, “Prefazione”, «atque», 23 n.s., 2018, pp. 9-14 Fabrizio Desideri e Paolo Francesco Pieri, “Prefazione”, «atque», 25 n.s., 2019, pp. 25-35 Astrid Deuber-Mankowsky, “La soglia e il tempo della sensazione: sulla critica della psicofisica di Hermann Cohen”, «atque», 22 n.s., 2018, pp. 33-44 Massimiliano De Villa, “Kafka e l’«immenso insetto»: nuove vie della trasformazione”, «atque», 24 n.s., 2019, pp. 35-45 Massimiliano De Villa, “L’igienico intervallo tra Io e Tu. Umfassung contro Em­ patia nel pensiero di Martin Buber”, «atque», 25 n.s., 2019, pp. 163-180 Antonella Di Ceglie, “La categoria jaspersiana della ‘incomprensibilità’ tra dimensione individuale e dimensione sociale”, «atque», 22, 2000, pp. 29-42 Michele Di Francesco e Alfredo Tommasetta, “Mente cosciente e identità personale”, «atque», 13 n.s., 2013, pp. 1905-130 Giuseppe Di Giacomo, “Ironia e romanzo”, «atque», 2 n.s., 2007, pp. 133-152 Michele Di Monte, “Metafore vi(si)ve? I limiti del linguaggio figurato nel linguaggio figurativo”, «atque», 14 n.s., 2014, pp.57-84 Gianfranco D’Ingegno, “L’analizzabilità del candidato-analista nel terzo millennio. Una professione in via di estinzione?”, «atque», 6-7 n.s., 2009, pp. 235-248 Francesco Di Nuovo, “Operai babelici, camaleonti di metodo: l’ineludibile dialogo interiore del diagnosta”, «atque», 15 n.s., 2014, pp. 163-200 Roberto Diodato, “The touch beyond the screen”, «atque», 11 n.s., 2012, pp. 153174 Ellen Dissanayake, “Incunaboli estetici”, con una introduzione di Mariagrazia Portera, «atque», 20 n.s., 2017, pp. 109-124 Elisabetta Di Stefano, “Il vetro e il velluto. La casa tra opacità e trasparenza”, «atque», 18 n.s., 2016, pp. 205-218 Riccardo Dottori, “Oltre la svolta ermeneutica?”, «atque», 14-15, 1996, pp. 9-38 Rossella Fabbrichesi, “Sé, io, me: La psicologia della coscienza in Georg Herbert Mead”, «atque», 13 n.s., 2013, pp. 59-80 Adriano Fabris, “Il sacro e l’alterità”, «atque», 7, 1993, pp. 81-94 Adriano Fabris, “L’esperienza del sé”, «atque», 11, 1995, pp. 137-148

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Indice degli articoli di “atque” 1990-2019 Adriano Fabris, “Sul ridere in alcune prospettive religiose”, «atque», 2 n.s., 2007, pp. 93-104 Adriano Fabris, “La filosofia e la cura di sé”, «atque», 16 n.s., 2015, pp. 47-62 Silvano Facioni, “Tra mutoli e scilinguati: una rapsodia”, «atque», 20 n.s., 2017, pp. 33-52 Ubaldo Fadini, “Verità e pratiche sociali”, «atque», 18-19, 1998, pp. 35-50 Ubaldo Fadini, “La paura e il mostro. Linee di una ‘filosofia della simpatia’”,«atque», 23-24, 2001, pp. 29-42 Ubaldo Fadini, “Il fattore opacità. Stupidità e indeterminazione in Gilles Deleuze”, «atque», 18 n.s., 2016, pp. 239-252 Ubaldo Fadini, “Ri/sentimenti di rete. Osservazioni”, «atque», 19 n.s., 2016, pp. 173-186 Ubaldo Fadini, “Contro l’ossessione della fine. Per un ‘vissuto’ di collaborazione”, «atque», 23 n.s., 2018, pp. 31-45 Ubaldo Fadini, “Plasticità e metamorfosi. Alla ricerca di nuove mediazioni”, «atque», 24 n.s., 2019, pp. 17-33 Ubaldo Fadini e Paolo Francesco Pieri, “Prefazione”, «atque», 24 n.s., 2019, pp. 9-13 Benedetto Farina, “Il presente dissociato”, «atque», 3-4 n.s., 2008, pp. 391-418 Maria Farneti, “Dalla confusione ‘ronzante e fiorita’ di James al bambino ‘supercompetente’. Note sulla genesi della percezione visiva”, «atque», 4, 1991, pp. 129-148 Maurizio Ferrara, “La trama”, «atque», 3, 1991, pp. 67-80 Enrico Ferrari, “L’alludere del conoscere clinico. La diagnosi nella prospettiva fenomenologica”, «atque», 15 n.s., 2014, pp. 141-162 Roberto Ferrari e Ricardo Pulido, “L’esperienza animale del contatto. Zoofenomenologia e addestramento meditativo”, «atque», 11 n.s., 2012, pp. 35-62 Bruno Ferraro, “Arte combinatoria e processi di pensiero nelle Città invisibili di Italo Calvino”, «atque», 5, 1992, pp. 71-98 Paul K. Feyerabend, “Università e primi viaggi: un’autobiografia”, «atque», 10, 1994, pp. 9-26 Piero Fidanza, “Lutto e perdita del soggetto”, «atque», 1, 1990, pp. 117-128 Piero Fidanza, “Legame emotivo e conoscenza”, «atque», 2, 1990, pp. 135-144 Roberto Finelli, “Il presente come soap-opera”, «atque», 3-4 n.s., 2008, pp. 99-112 Primavera Fisogni e Lucia Urbani Ulivi, “Metamorfosi di sistema. Il cambiamento come processo nella prospettiva del pensiero sistemico”, «atque», 24 n.s., 2019, pp. 117-137 Stefano Fissi, “L’orientamento prospettico-narrativo nella psicologia del profondo”, «atque», 5, 1992, pp. 131-154 Stefano Fissi, “Il labirinto del sé”, «atque», 11, 1995, pp. 115-136 Stefano Fissi, “I molti e l’uno in alchimia: l’immaginatio come luogo di integrazione e di confusività della materia psichica”, «atque», 12, 1995, pp. 79-106

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Indice degli articoli di “atque” 1990-2019 Stefano Fissi, “Materia, forma, mente e coscienza”, «atque», 16, 1997, pp. 43-72 Stefano Fissi, “La coscienza nella metapsicologia postmoderna”, «atque», 20-21, 1999, pp. 153-178 Stefano Fissi, “I territori selvaggi e proibiti della soggettività dell’analista”, «atque», 25-26, 2002, pp. 171-198 Stefano Fissi, “La coscienza affettiva. Emozione e cognizione nel determinismo della coscienza”, «atque», 17 n.s., 2015, pp. 143-167 Giovanni Foresti, “Esperable uberty. Gli interventi clinici dell’analista come ipotesi di ricerca”, «atque», 10 n.s., 2012, pp. 197-212 Mauro Fornaro, “L’empatia da Jaspers a Freud e oltre”, «atque», 22, 2000, pp. 4362 Mario Francioni, “L’atteggiamento filosofico fondamentale delle psicoterapie”, «atque», 6, 1992, pp. 37-44 Elio Franzini, “Arte, parola e concetto”, «atque», 14 n.s., 2014, pp. 149-156 Pierfrancesco Franzoni, “La natura coerente: discontinuità non essenziale tra natura, vita e coscienza”, «atque», 22 n.s., 2018, pp. 99-108 Françoise Frontisi Ducroux, “Disturbi della personalità e tragedia greca”, «atque», 20-21, 1999, pp. 7-22 Anna Fusco di Ravello, “Il giro della prigione”, «atque», 11 n.s., 2012, pp.63-74 Carlo Gabbani, “Notizia bio-bibliografica (su Gertrude Elizabeth Margaret Anscombe)”, «atque», 13 n.s., 2013, pp. 213-218 Hans Georg Gadamer, “Pensare le regole” (intervista a cura di Baldassarre Caporali), «atque», 5, 1992, pp. 169-178 Umberto Galimberti, “Filosofia e psicoterapia”, «atque», 6, 1992, pp. 31-36 Umberto Galimberti, “La verità come efficacia”, «atque», 18-19, 1998, pp. 19-34 Umberto Galimberti, “Karl Jaspers e la psicopatologia”, «atque», 22, 2000, pp. 63-78 Umberto Galimberti, “La questione dell’etica in Freud e Jung”, «atque», 27-28, 2003, pp. 107-124 Umberto Galimberti, “Il simbolo: orma del sacro”, «atque», 1 n.s., 2006, pp. 41-60 Vittorio Gallese, “I neuroni specchio e l’ipotesi neurale: dalla simulazione incarnata alla cognizione sociale”, «atque», 6-7 n.s., 2009, pp. 181-219 Paolo Galli, “Lettura razionale dell’oggetto e tenacia dei linguaggi consolidati”, «atque», 4, 1991, pp. 191-196 Aldo G. Gargani, “Il valore cognitivo delle emozioni”, «atque», 25-26, 2002, pp. 25-34 Emilio Garroni, “Simbolo e linguaggio”, «atque», 1 n.s., 2006, pp. 21-40 Alberto Gaston, “Karl Jaspers: l’inattuale attualità della psicopatologia”, «atque», 22, 2000, pp. 79-96 Rino Genovese, “La negazione e l’‘altro’”, «atque», 7, 1993, pp. 145-154 Enrico Ghidetti, “Verso una poetica dell’esistenza: l’‘umorismo’ di Pirandello”, «atque», 2 n.s., 2007, pp. 49-54

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Indice degli articoli di “atque” 1990-2019 Sebastiano Ghisu, “Dialogo, scienze, verità”, «atque», 14-15, 1996, pp. 39-70 Sebastiano Ghisu, “Spiegazione, descrizione, racconto”, «atque», 18-19, 1998, pp. 65-88 Anna Gianni, “Andirivieni di contatti tra corpo e mente”, «atque», 11 n.s., 2012, pp. 201-214 Anna Gianni, Roberto Manciocchi e Amedeo Ruberto, “Introduzione”, «atque», 11 n.s., 2012, pp. 11- 16 Elena Gigante, “Nòstoi inauditi. Dalla percezione sonora fetale all’ascolto analitico”, «atque», 10 n.s., 2012, 129-149 Elena Gigante, “Del miraggio, della trasparenza. Le immagini sonore tra limite e sacro”, «atque», 14 n.s., 2014, pp. 157-185 Giovanni Gozzetti, “La perdita del sentimento del Sé. Tra psicopatologia fenomenologica e psicoanalisi”, «atque», 13, 1996, pp. 145-154 Tonino Griffero, “Alle strette. L’atmosferico tra inatteso e superattese”, «atque», 10 n.s., 2012, pp. 101-128 Tonino Griffero, “Forte verbum generat casum. Espressione e atmosfera”, «atque», 14 n.s., 2014, pp. 85-105 Rossella Guerini e Massimo Marraffa, “La natura delle emozioni. Il dibattito fra Martha Nussbaum e Paul E. Griffiths”, «atque», 17 n.s., 2015, pp. 81-99 Luciano Handjaras, “Critica del metodo e utopia pluralista del relativismo di P.K. Feyerabend”, «atque», 10, 1994, pp. 127-141 Dieter Henrich, “Intervista”, «atque», 16, 1997, pp. 199-216 Nicolas Humphrey e Daniel C. Dennett, “Parlando per i nostri Sé”, «atque», 2021, 1999, pp. 41-76 Alfonso Maurizio Iacono, “L’idea di zòon politikòn e la conoscenza come costruzione”, «atque», 2, 1990, pp. 79-92 Alfonso Maurizio Iacono, “Valori condivisi e processi cognitivi”, «atque», 4, 1991, pp. 37-44 Alfonso Maurizio Iacono, “Paura e fame di futuro”, «atque», 23-24, 2001, pp. 1728 Alfonso Maurizio Iacono, “La cura tra la malinconia e l’autonomia”, «atque», 16 n.s., 2015, pp. 229-243 Alfonso Maurizio Iacono, “Rousseau e l’ingannevole sogno dell’utopia come fine del risentimento”, «atque», 19 n.s., 2016, pp. 141-152 Angiola Iapoce, “Il soggetto tra continuità e discontinuità”, «atque», 18-19, 1998, pp. 149-164 Angiola Iapoce, “Il tempo affettivo del simbolo”, «atque», 1 n.s., 2006, pp. 115-135 Angiola Iapoce, “L’incompletezza dell’umano: configurare, costruire, testimoniare”, «atque», 14 n.s., 2014, pp. 205-220 Marco Innamorati, “La psicopatologia in Théodule Ribot”, «atque», 20-21, 1999, pp. 137-152 Marco Innamorati, “La rimozione del simbolo”, «atque», 1 n.s., 2006, pp. 87-100

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Indice degli articoli di “atque” 1990-2019 Marco Innamorati e Mario Trevi, “Verità ed efficacia in una prospettiva junghiana”, «atque», 18-19, 1998, pp. 129-138 Augusto Iossa Fasano, “Oggetti dentro i corpi. Ridefinire il post-umano”, «atque», 18 n.s., 2016, pp. 133-154 Vladimir Jankélévitch, “L’angoscia dell’istante e la paura dell’al di là”, «atque», 23-24, 2001, pp. 7-12 Vladimir Jankélévitch, “L’umorismo e la rivincita dell’uomo debole”, «atque», 2 n.s., 2007, pp. 39-40 Vladimir Jankélélitch, “L’impalpabile”, Incontro con Eric Binet, «atque», 2 n.s., 2007, pp. 175-181 Karl Jaspers, “La prospettiva fenomenologica in psicopatologia”, «atque», 22, 2000, pp. 97-124 Giovanni Jervis, “Corporeità e quotidianità nell’esperienza analitica”, «atque», 8, 1993, pp. 33-42 Giovanni Jervis, “Identità”, «atque», 11, 1995, pp. 45-52 Giovanni Jervis, “Naturalità e innaturalità delle psicoterapie”, «atque», 6-7 n.s., 2009, pp. 11-20 Luis Kancyper, “Risentimento, rimorso e viscosità della libido”, «atque», 19 n.s., 2016, pp. 125-139 Mauro La Forgia, “Il rapporto Freud-Mach: una prima ricognizione”, «atque», 6, 1992, pp. 107-130 Mauro La Forgia, “Psicodinamica intenzionale”, «atque», 16, 1997, pp. 73-92 Mauro La Forgia, “Le parole dell’efficacia nella clinica psicoanalitica”, «atque», 18-19, 1998, pp. 105-116 Mauro La Forgia, “Livelli di coscienza e sensibilità clinica”, «atque», 20-21, 1999, pp. 127-136 Mauro La Forgia, “Empatie radicali e distali”, «atque», 25-26, 2002, pp. 139-152 Mauro La Forgia, “Prospettive cliniche dell’intenzionalità”, «atque», 1 n.s., 2006, pp. 297-322 Mauro La Forgia, “Note su ironia, consapevolezza e processo conoscitivo”, «atque», 2 n.s., 2007, pp. 123-132 Mauro La Forgia, “Le forme del dire”, «atque», 5 n.s., 2008, pp. 51-66 Mauro La Forgia, “L’apparente specificità della clinica”, «atque», 6-7 n.s., 2009, pp. 123-134 Mauro La Forgia, “Psicoterapia e sogno come pratiche retoriche”, «atque», 8-9 n.s., 2011, pp. 211-224 Mauro La Forgia, “Fenomenologia e clinica dell’ordinario”, «atque», 10 n.s., 2012, pp. 177-196 Mauro La Forgia, “Le immagini come prassi dell’eccedenza”, «atque», 14 n.s., 2014, pp. 41-56 Mauro La Forgia, “Venticinque anni di Atque. Un tragitto di vita e di cura”, «atque», 16 n.s., 2015, pp. 265-276

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Indice degli articoli di “atque” 1990-2019 Mauro La Forgia, “La voce delle parole”, «atque», 20 n.s., 2017, pp. 159-174 Mauro La Forgia, “Cronache dell’oltresoglia”, «atque», 22 n.s., 2018, pp. 71-88 Mauro La Forgia, “Vademecum di un consigliori. Ai confini del concetto di empatia”, «atque», 25 n.s., 2019, pp. 181-189 Mauro La Forgia e Maria Ilena Marozza, “Introduzione”, «atque», 14 n.s., 2014, pp. 9-13 Roberta Lanfredini, “Materia cosciente tra prima e terza persona”, «atque», 13 n.s., 2013, pp. 41-58 Roberta Lanfredini, “Intenzionalità fungente: involontarietà e impersonalità in fenomenologia”, «atque», 21 n.s., 2017, pp. 91-108 Andrea Lanza, “Oltre lo ‘specchio’ e la ‘fusione’: il fondamento dell’Einfühlung husserliana nel Leib”, «atque», 25 n.s., 2019, pp. 139-162 Mario Lavagetto, “Dall’‘Accademia Spagnola’ al romanzo storico. Appunti sulla spiegazione e sulla messa in intreccio nell’opera di Freud”, «atque», 5, 1992, pp. 45-70 Luigi Lentini, “Ragione critica, razionalità scientifica, relativismo”, «atque», 8, 1993, pp. 181-200 Luigi Lentini, “Anarchismo, irrazionalismo, post-razionalismo”, «atque», 10, 1994, pp. 93-110 Luigi Lentini, “Immagine metodologica e ‘realtà’ scientifica sulla teoria anarchica della conoscenza”, «atque», 12, 1995, pp. 107-134 Federico Leoni, “L’inconscio è il mondo. Jean-Luc Nancy legge Sigmund Freud”, «atque», 27-28, 2003, pp. 81-106 Vittorio Lingiardi e Francesco De Bei, “Al punto fermo del mondo che ruota”, «atque», 3-4 n.s., 2008, pp. 355-390 Giovanni Liotti, “Trauma e dissociazione alla luce della teoria dell’attaccamento”, «atque», 20-21, 1999, pp. 107-126 Enrica Lisciani-Petrini, “Paura dell’al-di-là o angoscia del quasi niente?”, «atque», 23-24, 2001, pp. 13-16 Giuseppe O. Longo, “Il sé tra ambiguità e narrazione”, «atque», 9, 1994, pp. 153-172 Giuseppe O. Longo, “Verso le emozioni artificiali?”, «atque», 17 n.s., 2015, pp. 219241 Primo Lorenzi, “Bruciar d’amore”, «atque», 17, 1998, pp. 101-144 Riccardo Luccio, “Complessità e autoorganizzazione nella percezione”, «atque», 4, 1991, pp. 91-108 Luca Lupo, “Il pozzo e la scala. L’umorismo etico di Wittgenstein”, «atque», 2 n.s., 2007, pp. 55-75 Cesare Maffei, “L’ambiente della cura”, «atque», 8, 1993, pp. 73-88 Giuseppe Maffei, “Fondamenti dell’apparato per pensare i pensieri”, «atque», 3, 1991, pp. 105-124 Giuseppe Maffei, “La psicoterapia e il modo indicativo”, «atque», 8, 1993, pp. 105122

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Indice degli articoli di “atque” 1990-2019 Valeria Maggiore, “I vincoli della trasformazione: riflessioni sulla metamorfosi tra letteratura, filosofia e biologia”, «atque», 24 n.s., 2019, pp. 161-186 Mauro Mancia, “Sulle origini della coscienza e del sé”, «atque», 20-21, 1999, pp. 87-106 Roberto Manciocchi, “Il pensabile e l’impensabile tra Wittgenstein e Bion”, «atque», 5 n.s., 2008, pp. 75-99 Roberto Manciocchi, “Stati di sonnolenza. Ovvero quando sonno e veglia non sono fenomeni uniformi ma ampie classi di fenomeni”, «atque», 8-9 n.s., 2011, pp. 225-242 Roberto Manciocchi, “Capovolgimenti e catastrofi. Fra pratiche del contatto e pratiche del contagio”, «atque», 11 n.s., 2012, pp.127-149 Roberto Manciocchi, “Il non-luogo della psicoterapia”, «atque», 16 n.s., 2015, pp. 217-228 Sergio Manghi, “Di alcune orme sopra la neve”, «atque», 8, 1993, pp. 145-152 Amedeo Marinotti, “Il dialogo ermeneutico per Gadamer”, «atque», 14-15, 1996, pp. 71-90 Maria Ilena Marozza, “Le ‘convinzioni del sentimento’: desiderio e ragione nella psicologia del profondo”, «atque», 2, 1990, pp.41-60 Maria Ilena Marozza, “Il senso dell’alterità onirica”, «atque», 7, 1993, pp. 107-122 Maria Ilena Marozza, “L’immaginazione all’origine della realtà psichica”, «atque», 12, 1995, pp. 63-78 Maria Ilena Marozza, “L’attualità come vincolo interpretativo”, «atque», 14-15, 1996, pp. 91-108 Maria Ilena Marozza, “La ricerca della verità come etica della cura”, «atque», 1819, 1998, pp. 89-104 Maria Ilena Marozza, “Da Jaspers a Jung. Il ripensamento dell’esperienza come base della teoria clinica”, «atque», 22, 2000, pp. 125-151 Maria Ilena Marozza, “La clinica tra modello e metafora”, «atque», 1 n.s., 2006, pp. 139-164 Maria Ilena Marozza, “La psicoterapia, l’ironia, l’onestà”, «atque», 5 n.s., 2008, pp. 97-110 Maria Ilena Marozza, “Di che parla la talking cure”. Lo sfondo sensibile del discorrere in analisi”,«atque», 6-7 n.s., 2009, pp. 33-49 Maria Ilena Marozza, “Dove la parola manca il segno. Negli interstizi trasformativi della talking cure”, «atque», 10 n.s., 2012, pp. 153-176 Maria Ilena Marozza, “Immagini prospettiche della cura. A mo’ di postfazione”, «atque», 16 n.s., 2015, pp. 277-291 Maria Ilena Marozza, “Quando un corpo incontra il linguaggio. Modulazioni vocali nella talking cure”, «atque», 20 n.s., 2017, pp. 125-141 Maria Ilena Marozza, “Linguaggi della vaghezza. Oltre il mito dell’interiorità”, «atque», 23 n.s., 2018, pp. 111-131

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Indice degli articoli di “atque” 1990-2019 Massimo Marraffa, “Identità corporea e identità narrativa”, «atque», 18 n.s., 2016, pp. 81-105 Massimo Marraffa, “Empatia, mindreading e introspezione”, «atque», 25 n.s., 2019, pp. 77-105 Vieri Marzi, “Il mondo della cura nel servizio psichiatrico territoriale”, «atque», 8, 1993, pp. 133-144 Felice Masi, “Empatia della forma espressiva. Il modello anaforico da Brandom a Bühler”, «atque», 25 n.s., 2019, pp. 121-137 Claudia Mattalucci, “Tabù, paure e soggettività. Un percorso antropologico”, «atque», 23-24, 2001, pp. 73-94 Giovanni Matteucci, “Il linguaggio dell’apparenza. Note a partire dalla lettura junghiana di Joyce”, «atque», 5 n.s., 2008, pp. 213-221 Marco Mazzeo, “Alla scoperta dell’America: cecità, sinestesia e plasticità percettiva”, «atque», 5 n.s., 2008, pp. 117-130 Marco Mazzeo, “Contro il fanciullino. Infanzia cronica e sindrome di Peter Pan”, «atque», 23 n.s., 2018, pp. 211-225 Luciano Mecacci, “Freud e Pavlov, e la Neuropsicoanalisi. Tre note storiche”, «atque», 27-28, 2003, pp. 125-138 Luciano Mecacci, “Cos’è il teatro della mente?”, «atque», 16 n.s., 2015, pp. 153166 Luciano Mecacci, “Pereživanie: tema centrale della psicologia e psicoterapia nella Russia contemporanea. Breve nota storica”, «atque», 23 n.s., 2018, pp. 227-241 Maria Fiorina Meligrana, “Vite assediate. Riflessioni psicopatologiche sulla diagnosi di disturbo ossessivo”, «atque», 15 n.s., 2014, pp. 201-215 Maria Fiorina Meligrana e Roberto Manciocchi, “Il silenzio del corpo e l’autismo. Dopo oltre cent’anni dalla Psicopatologia della vita quotidiana”, «atque», 27-28, 2003, pp. 159-172 Ferdinando G. Menga, “L’inatteso e il sottrarsi dell’evento. Vie d’accesso filosofiche tra domandare e rispondere”, «atque», 10 n.s., 2012, pp. 73-100 Eugène Minkowski, “L’affettività”, «atque», 17, 1998, pp. 145-162 Marina Montanelli, “Sulle tracce dell’esperienza. Walter Benjamin tra critica del vissuto e uomo nuovo”, «atque», 23 n.s., 2018, pp. 133-146 Sergio Moravia, “Homo loquens. Immagini della comunicazione e immagini dell’uomo nel pensiero contemporaneo”, «atque», 2, 1990, pp. 15-40 Atsuo Morimoto, “Il sogno e la po(i)etica in Paul Valéry”, «atque», 8-9 n.s., 2011, pp. 183-197 Diego Napolitani, “Le figure dell’altro da pre- a trans-figurazioni”, «atque», 7, 1993, pp. 45-64 Salvatore Natoli, “Lo spazio della filosofia”, «atque», 3, 1991, pp. 125-142 Chiara Nicolini, “Il colloquio di ricerca tra conversazione e colloquio clinico”, «atque», 14-15, 1996, pp. 109-130 Friedrich Nietzsche-Mathilde Maier, “Epistolario”, «atque», 12, 1995, pp. 173-198

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Indice degli articoli di “atque” 1990-2019 Yamina Oudai Celso, “Antipsicologismo husserliano e anticoscienzialismo freudiano. Spunti comparativi”, «atque», 27-28, 2003, pp. 173-202 Yamina Oudai Celso, “Nietzsche ‘primo psicologo’ e genealogista del ressentiment”, «atque», 19 n.s., 2016, pp. 81-104 Alessandro Pagnini, “Davidson, Freud e i paradossi dell’irrazionalità”, «atque», 8, 1993, pp. 153-180 Alessandro Pagnini, “‘Vedere la scienza con l’ottica dell’artista’: note su Feyerabend e il significato filosofico dell’arte”, «atque», 10, 1994, pp. 111-126 Alessandro Pagnini, “Ma le storie, curano? Narrative, simboli, effetti placebo”, «atque», 16 n.s., 2015, pp. 89-105 Alessandro Pagnini, “Introduzione” a Giulio Preti, “Sodoma: risentimento e democrazia”, «atque», 19, 2016, pp. 189-192 Daniela Palliccia, “Bachelard e la ‘rottura’ fenomenologica dell’istante”, «atque», 3-4 n.s., 2008, pp. 257-291 Massimo Palma, “La critica dell’empatia in Walter Benjamin. Acedia, merce, dominio”, «atque», 25 n.s., 2019, pp. 107-120 Felice Ciro Papparo, “Dalla magia naturale del sogno all’ars dell’esitazione in Paul Valéry”, «atque», 8-9 n.s., 2011, pp. 145-160 Felice Ciro Papparo, “Un tocco di ri-guardo”, «atque», 18 n.s., 2016, pp. 157-180 Alfredo Paternoster, “Percezione e resistenza dell’oggetto”, «atque», 18 n.s., 2016, pp. 57-78 Giorgio Patrizi, “Dalla grana della voce alla grana della scrittura. Alcune riflessioni sulla parola detta e scritta”, «atque», 20 n.s., 2017, pp. 53-61 Pietro Perconti, “I limiti delle storie su se stessi”, «atque», 13 n.s., 2013, pp. 131144 Luciano Perez, “Il tempo del puer”, «atque», 3-4 n.s., 2008, pp. 325-340 Alberto Peruzzi, “Intermezzo sul significato”, «atque», 14-15, 1996, pp. 131-154 Alberto Peruzzi, “Soglie e loro trasferimenti”, «atque», 22 n.s., 2018, pp. 45-58 Fausto Petrella, “Il messaggio freudiano e la psichiatria del presente”, «atque», 1, 1990, pp. 107-116 Fausto Petrella, “Sulla psicopatologia: caute riflessioni di uno psichiatra che non disdegna la psicoanalisi, di uno psicoanalista che non disdegna la psicopatologia”, «atque», 13, 1996, pp. 155-178 Fausto Petrella, “L’ascolto e l’ostacolo”, «atque», 14-15, 1996, pp. 155-188 Fausto Petrella, “Diagnosi psichiatrica e dintorni: considerazioni di un clinico”, «atque», 15 n.s., 2014, pp. 121-140 Fausto Petrella, “Cavalli e asini, muli, bardotti e carpe. Storia, invenzione, memoria e verità in psicoanalisi”, «atque», 23 n.s., 2018, pp. 147-189 Marco Piazza, “L’alterità e il mélange”, «atque», 7, 1993, pp. 177-196 Marco Piazza, “Il sé molteplice di Fernando Pessoa”, «atque», 9, 1994, pp. 173-192 Paolo Francesco Pieri, “I margini della conoscenza”, «atque», 2, 1990, pp. 11-14

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Indice degli articoli di “atque” 1990-2019 Paolo Francesco Pieri, “La visione e le cose. Una conversazione sulla simultaneità”, «atque», 4, 1991, pp. 11-24 Paolo Francesco Pieri, “Segno, Simbolo e conoscenza. Per una epistemologia critica del pensiero di Jung”, «atque», 6, 1992, pp. 159-184 Paolo Francesco Pieri, “Attraverso il dire”, «atque», 8, 1993, pp. 43-66 Paolo Francesco Pieri, “‘Sono io, questo?’ Ovvero, il Selbst nel pensiero di C. G. Jung”, «atque», 11, 1995, pp. 73-92 Paolo Francesco Pieri, “Dialogo, confutazione, dialettica”, «atque», 14-15, 1996, pp. 189-208 Paolo Francesco Pieri, “Coscienza plurale”, «atque», 16, 1997, pp. 7-10 Paolo Francesco Pieri, “Il problema della coscienza nella scienza della mente”, «atque», 20-21, 1999, pp. 179-190 Paolo Francesco Pieri, “Conoscenza e osservazione in psicologia. Due voci del Dizionario junghiano, Bollati Boringhieri”, «atque», 22, 2000, pp. 165-182 Paolo Francesco Pieri, “Il paradigma dialogico nella conoscenza e nella cura psicologica. Considerazioni sul pensiero di Mario Trevi”, «atque», 1 n.s., 2006, pp. 237-268 Paolo Francesco Pieri, “Umorismo e innovazione della conoscenza. La transizione dei codici simbolici e lo sconquasso nel corpo dei saperi”, «atque», 2 n.s., 2007, pp. 11-38 Paolo Francesco Pieri, “Il presente rappresentato”, «atque», 3-4 n.s., 2008, pp. 9-13 Paolo Francesco Pieri, “Prefazione”, «atque», 5 n.s., 2008, pp. 9-10 Paolo Francesco Pieri, “La terapia attraverso il linguaggio: dall’approccio analitico a quello simbolico”, «atque», 6-7 n.s., 2009, pp. 21-58 Paolo Francesco Pieri, “Introduzione”, «atque», 8-9 n.s., 2011, pp. 9-17 Paolo Francesco Pieri, “Prefazione”, «atque», 10 n.s., 2012, pp. 9-10 Paolo Francesco Pieri, “Prefazione”, «atque», 11 n.s., 2012, pp. 9-10 Paolo Francesco Pieri, “I saperi come limiti e come risorse del pensiero”, «atque», 15 n.s., 2014, pp. 93- 117 Paolo Francesco Pieri, “Tra psicoterapia e filosofia. Ovvero sulla cura e le sue varie declinazioni”, «atque», 16 n.s., 2015, pp. 13-15 Paolo Francesco Pieri, “Prefazione”, «atque», 22 n.s., 2018, pp. 9-13 Paolo Francesco Pieri e Daniel C. Dennett, “Il sé e i sé. Quale tipo di realtà?”, «atque», 9, 1994, pp. 193-196 Luca Pinzolo, “La voce tra sonorità e respirazione in Emmanuel Lévinas. Abbozzo di una metafisica dell’atmosfera”, «atque», 20 n.s., 2017, pp. 81-105 Luca Pinzolo, “L’evento della volontà in una prospettiva comparativa. L’azione e l’agente nella Bhagavadgītā”, «atque», 21 n.s., 2017, pp. 173-201 Luca Pinzolo, “Per un’ontologia del vissuto”, «atque», 23 n.s., 2018, pp. 83-110 Luca Pinzolo, “Estetica dello ‘sfioramento’. O dell’empatia e dell’ontogenesi”, «atque», 25 n.s., 2019, pp. 223-243

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Indice degli articoli di “atque” 1990-2019 Sergio Piro, “Antropologie trasformazionali e filosofie diadromiche”, «atque», 11, 1995, pp. 177-195 Elisabetta Pizzichetti, “L’‘altro’ invisibile”, «atque», 7, 1993, pp. 167-176 Lucia Pizzo Russo, “Percezione e conoscenza”, «atque», 4, 1991, pp. 45-90 Helmut Plessner, “Il procedimento sintagmatico del linguaggio e il problema della traduzione”, «atque», 5 n.s., 2008, pp. 151-166 Donatella Poggiolini, Vanna Valoriani, Paola Benvenuti e Adolfo Pazzagli, “Ansia in gravidanza: una condizione di normalità?”, «atque», 23-24, 2001, pp. 135158 Fabio Polidori, “Jaspers, le rovine di Nietzsche”, «atque», 22, 2000, pp. 183-196 Raffaele Popolo e Chiara Petrocchi, “Le rappresentazioni mentali in psicoterapia cognitiva”, «atque», 16 n.s., 2015, pp. 245-262 Maria Grazia Portera, “Chi sono io? Forme dell’individuo fra filosofia e biologia”, «atque», 13 n.s., 2013, pp. 81-104 Mariagrazia Portera, “Introduzione” a Ellen Dissanayake, “Incunaboli estetici”, «atque», 20 n.s., 2017, pp. 109-110 Lorena Preta, “Fare artistico, fare analitico”, «atque», 2, 1990, pp. 145-156 Giulio Preti, “Sodoma: risentimento e democrazia”, con una introduzione di Alessandro Pagnini, «atque», 19 n.s., 2016, pp. 189-215 Antonio Rainone, “Razionalità: vincoli a priori e indagini empiriche”, «atque», 18-19, 1998, pp. 51-64 Franco Rella, “L’arte e il pensiero. Il pensiero dell’arte”, «atque», 5, 1992, pp. 99110 Franco Rella, “Porte sull’ombra”, «atque», 7, 1993, pp. 197-208 Paolo Rossi, “P.K. Feyerabend: un ricordo e una riflessione”, «atque», 10, pp. 2740 Paolo Rossi, “Il conoscere come fare”, «atque», 18-19, 1998, pp. 7-18 Romolo Rossi e Piera Fele, “Clinica della nostalgia e patologia del Nestos”, «atque», 17, 1998, pp. 67-82 Mario Rossi-Monti, “Il delirio tra scoperta e rivelazione”, «atque», 3, 1991, pp. 5566 Mario Rossi-Monti, “Sulle orme della vergogna”, «atque», 17, 1998, pp. 83-100 Mario Rossi-Monti, “Lo stato di emarginazione della psicopatologia. Quali responsabilità per gli psicopatologi?”, «atque», 22, 2000, pp. 197-214 Mario Rossi-Monti, “Empatia psicoanalitica ed empatia naturale”, «atque», 2526, 2002, pp. 127-138 Mario Rossi-Monti, “Psicopatologia e figure del presente”, «atque», 3-4 n.s., 2008, pp. 295-324 Mario Rossi-Monti e Giovanni Stanghellini, “Nosografia e psicopatologia: un matrimonio impossibile?”, «atque», 13, 1996, pp. 179-194 Martino Rossi Monti, “Il carcere, la tomba, il fango. Sulla fortuna di alcune immagini da Platone all’età di Plotino”, «atque», 18 n.s., 2016, pp. 181-202

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Indice degli articoli di “atque” 1990-2019 Marino Rosso, “Realtà e possibilità di un incontro”, «atque», 7, 1993, pp. 133-144 Marino Rosso, “Il fumo e il fuoco”, «atque», 25-26, 2002, pp. 81-116 Marino Rosso, “La filosofia come terapia, saggio su Wittgenstein”, «atque», 16 n.s., 2015, pp. 121-149 Pier Aldo Rovatti, “Il giro della parola. Da Heidegger a Lacan”, «atque», 6, 1992, pp. 71-80 Gian Giacomo Rovera, “Formazione del Sé e patologia borderline”, «atque», 9, 1994, pp. 127-140 Gian Giacomo Rovera, “Tra Adler e Freud rammentando Jung”, «atque», 27-28, 2003, pp. 65-80 Claudio Rozzoni, “Vedere l’irreale. Vissuto d’immagine, vissuto di fantasia”, «atque», 23 n.s., 2018, pp. 191-209 Amedeo Ruberto, “Note sulla paradossalità dello psichico negli scritti di C.G. Jung”, «atque», 2, 1990, pp. 126-134 Amedeo Ruberto, “Appunti su ‘verità e efficacia’ nel lavoro psicoterapeutico”, «atque», 18-19, 1998, pp. 117-128 Amedeo Ruberto, “Tempo, memoria, empatia”, «atque», 25-26, 2002, pp. 219-230 Amedeo Ruberto, “Coscienza e sogno in psicoterapia”, «atque», 8-9 n.s., 2011, pp. 201-210 Amedeo Ruberto, “Dell’impossibilità di non essere in contatto. Contributo allo sviluppo della psicologia analitica”, «atque», 11 n.s., 2012, pp. 75-92 Amedeo Ruberto, “Condivisibile e non condivisibile. Note su una visione eticopolitica della psicoterapia”, «atque», 16 n.s., 2015, pp. 107-119 Amedeo Ruberto, “Io, coscienza e volontà. La necessità del possibile”, «atque», 21 n.s., 2017, pp. 131-155 Amedeo Ruberto, “Empatia ed ecfrasia. Osservazioni dalla psicoterapia”, «atque», 25 n.s., 2019, pp. 191-205 Amedeo Ruberto e Antonella Leonelli, “Ansia, paura e panico tra psicologia e neurofisiologia”, «atque», 23-24, 2001, pp. 95-108 Amedeo Ruberto e Roberto Manciocchi, “La forza teorica del complesso. Mo­ dernità e specificazioni”, «atque», 1 n.s., 2006, pp. 269-296 Alessia Ruco, “Sensibilità, psiche e linguaggio nella riflessione estetica e antropologica di Helmut Plessner”, «atque», 5 n.s., 2008, pp. 167-184 Mario Ruggenini, “Il principio dell’io. Io, gli altri, l’alterità come abisso”, «atque», 9, 1994, pp. 21-46 Anna Sabatini, “La cristallizzazione del trauma”, «atque», 3-4 n.s., 2008, pp. 419444 Nicoletta Salomon, “Radici antiche della paura”, «atque», 23-24, 2001, pp. 43-58 Giorgio Sassanelli, “L’lo e il Sé”, «atque», 9, 1994, pp. 87-100 Barbara Scapolo, “Creare attraverso le ‘parole’ lo ‘stato di mancanza di parole’”, «atque», 5 n.s., 2008, pp. 185-212

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Indice degli articoli di “atque” 1990-2019 Attilio Scarpellini, “L’impronta. Trattenere i corpi, toccare l’immagine”, «atque», 11 n.s., 2012, pp. 113-126 Riccardo Scarcia, “Fermare il tempo. Applicazioni di cronografia romana”, «atque», 3-4 n.s., 2008, pp. 113-130 Antonello Sciacchitano, “Perché nella scienza non si piange e non si ride?”, «atque», 2 n.s., 2007, pp. 105- 119 Antonio Alberto Semi, “Interrogativi attuali sulla cura”, «atque», 8, 1993, pp. 6772 Carlo Serra, “Gesti vocali. Conflitti tra mimesi e senso”, «atque», 20 n.s., 2017, pp. 143-157 Carlo Sini, “I segni della salute”, «atque», 1, 1990, pp. 49-58 Carlo Sini, “La quarta casella”, «atque», 3, 1991, pp. 11-22 Carlo Sini, “Narrazioni e suoni di flauto”, «atque», 5, 1992, pp. 11-24 Carlo Sini, “La verità di rango superiore. Considerazioni sui Seminari di Zollikon”, «atque», 6, 1992, pp. 59-70 Carlo Sini, “I modi come cura”, «atque», 8, 1993, pp. 9-14 Carlo Sini, “La voce del Sé e la signora Darwin”, «atque», 9, 1994, pp. 9-20 Carlo Sini, “Il mito del mito. Confini problematici dell’epistemologia feyerabendiana”, «atque», 10, 1994, pp. 41-52 Carlo Sini, “Immaginazione e realtà”, «atque», 12, 1995, pp. 17-24 Carlo Sini, “La passione della verità”, «atque», 17, 1998, pp. 31-42 Carlo Sini, “Empatia e comprensione”, «atque», 25-26, 2002, pp. 73-80 Carlo Sini, “Da quando gli alberi non rispondono: Platone e Freud”, «atque», 2728, 2003, pp. 7-16 Carlo Sini, “Umorismo alla lettera”, «atque», 2 n.s., 2007, pp. 41-48 Carlo Sini, “Il sonno e la coscienza (peripezie del sapere)”, «atque», 8-9 n.s., 2011, pp. 41-46 Carlo Sini, “Aver cura del sapere”, «atque», 16 n.s., 2015, pp. 35-45 Carlo Sini, “Il soggetto del volere”, «atque», 21 n.s., 2017, pp. 19-23 Elisabetta Sirgiovanni, “Riduzionismo in un’ottica pluralista: riflessioni epistemologiche sulla spiegazione neuroscientifica in psichiatria”, «atque», 15 n.s., 2014, pp. 65-92 Luigi Solano, “Elaborazione affettiva e salute”, «atque», 17 n.s., 2015, pp. 169-197 Umberto Soncini, “Fenomenologia e psicologia”, «atque», 6, 1992, pp. 81-106 Davide Sparti, “Tea for two. L’ironia nel jazz di Thelonious Monk”, «atque», 2 n.s., 2007, pp. 175- 174 Paolo Spinicci, “Immaginazione e percezione nell’esperienza pittorica”, «atque», 14 n.s., 2014, pp. 109-128 Giovanni Stanghellini, “Percorsi psicopatologici. La disforia e il tragico”, «atque», 5, 1992, pp. 155-168 Giovanni Stanghellini, “Il sé vulnerabile”, «atque», 25-26, 2002, pp. 199-218

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Indice degli articoli di “atque” 1990-2019 Giovanni Stanghellini, “Per una psicoterapia fenomenologica”, «atque», 6-7 n.s., 2009, pp. 113-122 Giovanni Stanghellini e Alessandra Ambrosini, “Karl Jaspers. Il progetto di chiarificazione dell’esistenza: alle sorgenti della cura di sé”, «atque», 10, 2012, 225-237 Giovanni Stanghellini e Milena Mancini, “La dialettica della volontà e dell’involontario”, «atque», 21 n.s., 2017, pp. 157-170 Jean Starobinski, “Macchine e passioni. Il modello di Galeno”, «atque», 17, 1998, pp. 21-30 Luca Taddio, “Sulla resistenza delle cose”, «atque», 18 n.s., 2016, pp. 35-56 Silvano Tagliagambe, “Evento, confine, alterità”, «atque», 7, 1993, pp. 11-44 Silvano Tagliagambe, “I presupposti dell’anarchismo epistemologico di Paul K. Feyerabend”, «atque», 10, 1994, pp. 53-76 Silvano Tagliagambe, “Creatività”, «atque», 12, 1995, pp. 25-46 Silvano Tagliagambe, “L’identità è il destino dell’uomo”, «atque», 16, 1997, pp. 93126 Silvano Tagliagambe, “Empatia e rappresentazione della conoscenza”, «atque», 25-26, 2002, pp. 35-72 Silvano Tagliagambe, “Inconscio e conscio in Dostoevskij”, «atque», 27-28, 2003, pp. 17-64 Silvano Tagliagambe, “Il presente e l’ontologia delle relazioni”, «atque», 3-4 n.s., 2008, pp. 17-68 Silvano Tagliagambe, “La vita è sogno”, «atque», 8-9 n.s., 2011, pp. 47-96 Silvano Tagliagambe, “La cura nello spazio intermedio tra il corpo e la psiche”, «atque», 16 n.s., 2015, pp. 167-216 Silvano Tagliagambe, “Livelli di emozioni”, «atque», 17 n.s., 2015, pp. 35-78 Silvano Tagliagambe, “Raskol, logica del diavolo: il risentimento in Dostoevskij”, «atque», 19 n.s., 2016, pp. 35-79 Silvano Tagliagambe, “Il coraggio (e il bisogno) di regredire. Dalla semantica alla fonetica, dal significato al puro e semplice suono delle parole”, «atque», 20 n.s., 2017, pp. 177-208 Silvano Tagliagambe, “La metamorfosi estrema del corpo: i trapianti e l’intruso”, «atque», 24 n.s., 2019, pp. 85-115 Silvano Tagliagambe, “ Ulterior…mente: l’empatia e il mito della prospettiva internalista”, «atque», 25 n.s., 2019, pp. 39-76 Salvatore Tedesco, “Il progetto di una morfologia plastica”, «atque», 24 n.s., 2019, pp. 47-61 Filippo Tempia, “Neuroscienze della volontà e della decisione”, «atque», 21 n.s., 2017, pp. 45-67 Ines Testoni, “Paura della morte e anoressia. Mistica del digiuno tra Caterina Benincasa e Simone Weil”, «atque», 23-24, 2001, pp. 59-72

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Indice degli articoli di “atque” 1990-2019 Stefano Tognozzi, “I molti problemi insoluti della percezione che rivolve i problemi”, «atque», 4, 1991, pp. 109-128 Gabriele Tomasi, “Asimmetrie che contano. Wittgenstein sul dolore, la prima persona e le altre menti”, «atque», 23 n.s., 2018, pp. 47-81 Stefano Tomelleri, “Il risentimento e il desiderio mimetico. A partire da René Girard”, «atque», 19 n.s., 2016, pp. 105-124 Monica Toselli e Paola Molina, “Il bambino davanti allo specchio: l’interazione e la costruzione del sé”, «atque», 11, 1995, pp. 149-176 Enzo Vittorio Trapanese, “Il problema della definizione sociale di realtà”, «atque», 2, 1990, pp. 93-106 Enzo Vittorio Trapanese, “Le due metafore istitutive della psicoterapia di orientamento junghiano”, «atque», 1 n.s., 2006, pp. 165-196 Enzo Vittorio Trapanese, “La tirannide del presente”, «atque», 3-4 n.s., 2008, pp. 183-216 Enzo Vittorio Trapanese, “Sfondi della psicoterapia analitica”, «atque», 6-7 n.s., 2009, pp. 59-98 Enzo Vittorio Trapanese, “Il disagio psichico e l’interpretazione del mondo sociale”, «atque», 15 n.s., 2014, pp. 241-276 Giuseppe Trautteur, “Distinzione e riflessione”, «atque», 16, 1997, pp. 127-142 Mario Trevi, “Configurazioni e metafore della psicologia e dell’analisi”, «atque», 1, 1990, pp. 29-48 Mario Trevi, “Inchiesta ingenua sulla natura della psicoterapia”, «atque», 6, 1992, pp. 15-30 Mario Trevi, “I modi manipolativi della psicoterapia”, «atque», 8, 1993, pp. 15-32 Francesco Saverio Trincia, “Riflessioni sul simbolo in, e oltre, Freud”, «atque», 1 n.s., 2006, pp. 61-86 Gianfranco Trippi, “Perdita di sé e perdita del mondo nell’esperienza psicotica”, «atque», 3, 1991, pp. 81-104 Gianfranco Trippi, “Shahrazàd e la psicoterapia”, «atque», 5, 1992, pp. 25-44 Gianfranco Trippi, “Lo specchio delle brame. L’io e il soggetto agli esordi della teoria lacaniana”, «atque», 9, 1994, pp. 101-126 Antonino Trizzino, “Empatia e introiezione”, «atque», 25-26, 2002, pp. 153- 170 Antonino Trizzino, “La dimora estranea. Note su Freud e Tausk”, «atque», 27-28, 2003, pp. 139-158 Antonino Trizzino, “Morire dal ridere. Quattro figure del Comico”, «atque», 2 n.s., 2007, pp. 79-92 Antonino Trizzino, “Tempo in abbandono”, «atque», 3-4 n.s., 2008, pp. 241-256 Antonino Trizzino, “La fisica dell’immagine. Sguardo anatomico e sguardo poetico”, «atque», 14 n.s., 2014, pp. 129-148 Antonino Trizzino, “La macchina morbida. Androidi, emozioni e altri oggetti non identificati nella fantascienza di Philip K. Dick”, «atque», 17 n.s., 2015, pp. 243262

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Indice degli articoli di “atque” 1990-2019 Antonino Trizzino, “Bartleby o l’opacità. L’uomo segreto nella letteratura americana”, «atque», 18 n.s., 2016, pp. 219-236 Antonino Trizzino, “Robert Walser. L’invenzione del silenzio”, «atque», 20 n.s., 2017, pp. 209-228 Antonino Trizzino, “Soglia Lubitz. Manovre di discesa controllata”, «atque», 22 n.s., 2018, pp. 109-125 Antonino Trizzino, “L’occhio vivente. Empatia e biologia”, «atque», 25 n.s., 2019, pp. 207-221 Masanori Tsukamoto, “Gradi del disegno. Per una poetica del sogno in Paul Valéry”, «atque», 8-9 n.s., 2011, pp. 161-182 Ernst Tugendhat, “Il problema dell’autodeterminazione: Freud, Hegel, Kierkegaard”, «atque», 14-15, 1996, pp. 231-260 Carlo Tullio-Altan, “Delirio e esperienza simbolica”, «atque», 3, 1991, pp. 23-32 Maria Consuelo Ugolini, “Ricerca di senso e psicoanalisi in Wittgenstein”, «atque», 5, 1992, pp. 111-130 Andrea Vaccaro, “Il sapere nel gioco linguistico della cura. Un excursus attraverso l’opera di Freud”, «atque», 8, 1993, pp. 89-104 Italo Valent, “L’identità come relazione”, «atque», 11, 1995, pp. 53-72 Italo Valent, “La coscienza secondo Hegel”, «atque», 16, 1997, pp. 143-170 Paul Valéry, “Frammenti del Cahier Somnia”, «atque», 8-9 n.s., 2011, pp. 21-34 Margherita Vannoni, “La personalità dell’analista come principale strumento del lavoro analitico. Ma quale formazione?”, «atque», 6-7 n.s., 2009, pp. 249-258 Luca Vanzago, “Le relazioni naturali. Il relazionismo di Whitehead e il problema dell’intenzionalità”, «atque», 11 n.s., 2012, pp. 19-34 Luca Vanzago, “Sulla genesi della partizione tra interiorità ed esteriorità. Analisi fenomenologiche”, «atque», 23 n.s., 2018, pp. 17-29 Mario Vegetti, “La psicopatologia delle passioni nella medicina antica”, «atque», 17, 1998, pp. 7-20 Mario Vegetti, “Fra Platone e Galeno: curare il corpo attraverso l’anima, o l’anima attraverso il corpo?”, «atque», 16 n.s., 2015, pp. 75-87 Francesco Vitale, “Flatus Vocis. Voce e scrittura tra Jacques Derrida e Giorgio Agamben”, «atque», 20 n.s., 2017, pp. 63-80 Sergio Vitale, “Una macchia di inchiostro di Freud. Note sulla conoscenza del­ l’evento”, «atque», 1, 1990, pp. 13-28 Sergio Vitale, “Estetica dell’analisi”, «atque», 2, 1990, pp. 61-78 Sergio Vitale, “La coscienza della simultaneità”, «atque», 3, 1991, pp. 33-42 Sergio Vitale, “Percezione e identità. Osservazioni sull’accadere del soggetto”, «atque», 4, 1991, pp. 25-36 Sergio Vitale, “ll sentimento della ricorsività. Sulla possibilità del cambiamento attraverso la filosofia e la psicoterapia”, «atque», 6, 1992, pp. 185-206 Sergio Vitale, “Distanze”, «atque», 7, 1993, pp. 94-106 Giuseppe Vitiello, “Dissipazione e coscienza”, «atque», 16, 1997, pp. 171-198

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Indice degli articoli di “atque” 1990-2019 Giuseppe Vitiello, “Essere nel mondo: io e il mio doppio”, «atque», 6-7 n.s., 2009, pp. 157-178 Giuseppe Vitiello, “Opacità del mondo e conoscenza”, «atque», 18 n.s., 2016, pp. 17-32 Giuseppe Vitiello, “La verità oltre la soglia”, «atque», 22 n.s., 2018, pp. 17-32 Giuseppe Vitiello, “Simmetrie e metamorfosi”, «atque», 24 n.s., 2019, pp. 139-160 Vincenzo Vitiello, “Violenza e menzogna dell’autocoscienza”, «atque», 11, 1995, pp. 25-44 Vincenzo Vitiello, “Devi, non sei. Sulla soglia del possibile: la Legge”, «atque», 22 n.s., 2018, pp. 59-69 Alberto Voltolini, “Varietà di esperienza percettiva: ‘vedere-in’ vs. scambiare qualcosa per un’altra”, «atque», 5 n.s., 2008, pp. 103-116 Benedetta Zaccarello, “Viatico après coup. Note di accompagnamento alla traduzione [di P. Valéry] ”, «atque», 8-9 n.s., 2011, pp. 35-40 Andrea Zhok, “Per un concetto formale di libertà”, «atque», 14-15, 1996, pp. 209230 Andrea Zhok, “Passione e contraddizione materiale: un modello”, «atque», 17, 1998, pp. 163-196

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