Marirosa Tardivello, la bella storia di cinque coperte di Marzia Mecozzi
C’è un detto americano che recita: “Coloro che dormono sotto un quilt, dormono sotto una coperta d’amore”. E i motivi sono tanti. Ma principalmente è perché il compito di realizzare un lavoro così lungo e complesso, preciso e prezioso, deve necessariamente sottendere una dose importante di amore. Amore per l’arte implicita in quel compito e amore per coloro che, ad opera finita, ne faranno uso.
La chiacchierata con Marirosa Tardivello, la quilter udinese che nell’ultimo Carrefour Européen du Patchwork, la più importante manifestazione del settore in Europa che si svolge ogni anno in Alsazia, ha esposto le sue opere fra quelle delle più famose quilter del mondo, offre l’occasione per conoscere da vicino una donna brillante, ricca di cultura e di energia, appassionata di tessuti e di colori e per ripercorrere la storia affascinante di una tecnica artistica le cui origini sono antichissime: il patchwork. Iniziamo proprio da quella manifestazione e dall’esposizione che lei ha intitolato “Non è mai troppo tardi”, perché, a 73 anni, partecipare a un evento di simile livello è veramente un traguardo inatteso e gratificante. “Ho scoperto il Patchwork all’età di sessantasei anni grazie alla mia amica Anna, fra un caffè e le chiacchiere da salotto. – Racconta Marirosa. – Colpita e incuriosita dalla sua creazione, senza aver mai seguito un corso, da perfetta autodidatta, mi sono lanciata nell’impresa: la realizzazione della mia prima coperta il cui disegno, ad esagoni, si chiama tradizionalmente ‘Grandmother’s garden’ (il giardino della nonna) e che io ho chiamato ‘Il Giardino di Paolina’, come omaggio a mia madre, lavorando tutto a mano come da tradizione più antica.” Dopo aver lavorato per una vita in banca, dove è stata vice direttrice della più grande agenzia della città, finalmente in pensione, Marirosa ha colto l’occasione per dedicarsi a quella creatività che l’appassiona fin da bambina, coinvolgendo nella nuova avventura il marito architetto, ‘complice’ nella realizzazione dei modellini in carta sui quali nel patchwork, solitamente, viene costruito il disegno. “Il fatto è che io ‘rubo con gli occhi’. – Dichiara – Ci sono lavori che ho imparato solo guardando. Dagli abiti delle bambole che realizzavo da bambina, alla creazione delle bambole di pezza. Invece, per quanto riguarda i miei ‘scarpetz’, le tradizionali calzature friulane che faceva la mia nonna carnica, desiderando
Il giardino di Paolina (cm 244x244)
Mountmellick (cm 237x239)
proseguire una tradizione di famiglia, ho partecipato a un corso specifico; si tratta infatti di un lavoro assai complesso e strutturato per cui è necessario un insegnamento. Anche in quel caso ho comunque aggiunto il mio personalissimo tocco di creatività. Sarà per l’influenza del mio segno zodiacale, la vergine, con il contributo del mio ascendente, sempre nella vergine, che posso contare su precisione ed esattezza, doti indispensabili nell’esecuzione di certi lavori.”
Sembra che Enrico VIII avesse regalato ben 23 Quilt alla settima moglie Catherine Howard, segno di ‘regale benevolenza’. Sul finire del Seicento, queste tradizioni vengono portate in America dagli Amish in fuga proprio da quella zona dell’Alsazia in cui ancora oggi è tanto sentita questa tradizione. Quel tipo di lavorazione si radica principalmente in Pennsylvania nella contea di Lancaster, territorio in cui tuttora ha sede una delle più grandi comunità Amish del mondo, influenzando anche i secoli successivi. Quello della creazione della coperta, per le donne delle comunità del Nuovo Mondo era un vero e proprio rituale a cui lavoravano anche insieme. Il lavoro di gruppo, detto ‘Quilting bee’ era un momento di grande socializzazione, si venivano via via elaborando nuovi disegni e tecniche. Ad ogni disegno corrispondeva un nome, fra i più noti e tutt’oggi molto apprezzati vi sono i disegni ‘Log Cabin’ (capanna di tronchi) perché ricordava le case dei coloni e dei pionieri, ‘Nine patch’ (le nove toppe), ‘Sister’s choice’ (la scelta della sorella), ‘Friendship star’ (stella dell’amicizia).
E non è soltanto la tecnica del Patchwork che ha catturato l’attenzione di Marirosa, ma anche la storia interessante che racchiude. Come molte delle arti moderne, anche il Patchwork affonda le radici nella tradizione popolare ed è diffusa in molte culture. Il lavoro con gli scampoli di stoffa si trasforma attraverso i secoli, passando dall’assemblamento dei ritagli meno consunti di vecchi abiti o biancheria da casa, alle pregiate composizioni degli artigiani dei casati reali, sontuosi lavori realizzati con raffinati tessuti dalle infinite trame e colori; dalle vere e proprie ‘pezze’ utilizzate per necessità ai tempi in cui i materiali erano scarsi e le possibilità economiche pure, alle moderne composizioni che possono contare su un infinito catalogo di meraviglie filate. “Dall’oriente all’occidente, dalla cultura egizia a quella giapponese alle quali è riconducibile, il Patchwork e la tecnica del Quilting, ovvero la trapuntatura che dà il nome al manufatto finale, il Quilt, si ritrovano un po’ ovunque. – Spiega Marirosa – Lo indossavano i crociati di ritorno dalla Terra Santa, segno che il manufatto era in voga in quei paesi; così come in India, in Cina, in Persia…
Portata a termine con successo la prima coperta, fatta quiltare dall’amica Vania Bailo, presso il negozio Balù, sede dell’associazione Zampa dell’Orso, con la maestria che le è propria, all’apposita Longarm (la macchina che trapunta il manufatto con l’ovatta all’interno e la fodera, operando sul tessuto un tracciato che, in molti casi, segue le linee del disegno), Marirosa, ormai completamente innamorata del patchwork e delle sue ricercate combinazioni, si appresta a realizzare la sua seconda coperta, progetto Mountmellick.
Le pecore (cm 232x232)
Gli esagoni (cm 238x238)
“Avevo iniziato a seguire, su QUILTmania (la rivista di riferimento per i cultori del Patchwork, edito in Francia e tradotto in tante lingue), i lavori di un’artista che ho sempre amato molto e che purtroppo ci ha recentemente lasciato: l’australiana Di Ford. – prosegue nel racconto. - Era il 2014 e aveva pubblicato il primo blocco del Quilt Mystere, si trattava di un medaglione centrale floreale che ricreai col mio consueto metodo dei pezzetti di carta.” Per i non addetti ai lavori, il Quilt Mystere è un disegno a patchwork che viene svelato un po’ alla volta e che solo al termine si rivelerà nella sua compiutezza. Quel disegno, terminato, aveva dimensioni diverse da una coperta matrimoniale, così Marirosa decide di aggiungere una variazione sul tema creando una cornice lungo tutto il perimetro con la tecnica dell’appliqué che consiste nell’applicare elementi di tessuto, precedentemente sagomati, su una base di altro tessuto, procedendo con una cucitura di piccolissimi punti per fissarli insieme.
“Con questo lavoro ho iniziato a ricamare su patchwork. Dovevo riprodurre delle piccolissime mele sugli alberi e con la stoffa non era proprio possibile, erano mele grandi quanto la metà di un’unghia del mignolo. Allora mi viene in mente di ricamarle sopra al tessuto. E così ho fatto anche con le orecchie delle pecore, il muso, i fiori. Il risultato mi è piaciuto a tal punto che oggi ogni mio patchwork comprende applique e parti ricamate. I tessuti li acquisto da Balù, il negozio del patchwork di Cecilia Zoratti, che ha materiali pregiati e una scelta di colori unica; alcune volte faccio compere su eBay e mi rifornisco di fat quarter (uno dei tagli di tessuto più utilizzati nel patchwork, pezze quadrate di mezzo metro per la metà dell’altezza totale della stoffa, dai 45 ai 55 cm) di prevalenza americani. Le stoffe sono sempre state la mia passione, ne possiedo una quantità industriale!”
Con quel lavoro decide di partecipare ad un concorso internazionale indetto da QUILTMania per selezionare venti riproduzioni o interpretazioni del Quilt Mystere Mountmellik; la sua coperta viene scelta fra i lavori candidati e Marirosa viene invitata a partecipare all’esposizione Salon pour l’amour du Fil che si tiene ogni anno a Nantes, dove espone per la prima volta un suo lavoro. Nell’agosto del 2015, sempre ispirata dal libro della sua autrice preferita, inizia la terza coperta, che intitola ‘Le pecore’. Il medaglione centrale è una citazione di un’opera del diciannovesimo secolo, una coperta realizzata nei primi dell’Ottocento da Phebe Warner di New York il cui motivo centrale è un albero in fiore che ricorda popolari arazzi indiani e dipinti di paesaggi pastorali; invece per il cornicione, Marirosa si ispira a un’opera di Catherine Tompkins del 1819. Il lavoro la impegna per circa un anno e mezzo.
Dalla seconda metà dell’Ottocento, con la diffusione di alcuni strumenti meccanici, fra cui anche la macchina da cucire (ricordiamo che la Fondazione Singer possiede una delle più importanti collezioni statunitensi di Patchwork – Quilt) e con il progressivo impiego delle donne in fabbriche e uffici, il lavoro manuale è andato via via diminuendo, l’emancipazione portò in un primo momento ad allontanarsi da quei tipi di lavori considerati troppo ‘femminili’, ma alla fine fu proprio il Movimento Femminista Americano che, alla fine degli anni Sessanta, riportò in auge quell’universo femminile protagonista per secoli di grandi opere. In Italia il patchwork si è diffuso negli anni Novanta; una delle prime estimatrici e cultrici che ha contribuito alla sua valorizzazione e diffusione è proprio Cecilia Zoratti, titolare del negozio Balù e fondatrice dell’associazione Zampa dell’Orso. “Nel 2016 ho iniziato la quarta coperta, “Gli esagoni”, un lavoro geometrico complesso composto da 2119 pezzi che mi ha impegnato per otto mesi; ma un’impresa ancor più titanica è quella
compiuta con la quinta coperta, “Gli uccelli”, progetto di Di Ford, pubblicato da QUILTMania. Per il rosone centrale ho lavorato 4 mesi! La scena presenta fiori, uccelli, melograni e farfalle, una composizione tutta fatta a mano e ricamata con la quale mi propongo all’organizzazione del Carrefour Européen du Patchwork che si svolge a Sainte-Marie-Aux-Mines.” Dall’esposizione alsaziana chiedono di poter vedere tutte le cinque coperte di Marirosa e decidono di metterle a disposizione una parete di 15 metri, per esporle tutte. “Così, nel settembre del 2019 io e mio marito partiamo per l’Alsazia. Ci vado con cinque coperte che raccontano la storia di questa mia grande passione, di un lavoro intenso e arricchente, di lunghe serate a comporre tasselli sul tavolo della cucina, il mio atelier, dove il tempo passa così in fretta che neppure me ne accorgo. Ciascuna coperta riporta, cucita sul retro come vuole la tradizione, una etichetta con la dedica; io le ho dedicate tutte alla mia famiglia, a mio marito e alle mie due figlie. L’esposizione è emozionante, non solo perché vedo tutti i miei lavori appesi alle pareti (nel modo in cui il Quilt va mostrato, appeso, perché il lavoro possa essere guardato come un quadro, nella sua completezza), ma anche perché questi miei lavori sono esposti accanto a quelli degli artisti il cui lavoro seguo e apprezzo da anni.”
Gli uccelli (cm 224x224)
Un vero trionfo, un’esperienza gratificante che ispira Marirosa a rimettersi subito al lavoro, sulla sua nuova coperta, la sesta, che avrà ancora una volta i suoi colori preferiti, i colori caldi dell’autunno, e che sarà sicuramente pronta per l’International Quilt Festival, la più grande esposizione-fiera annuale di patchwork degli Stati Uniti che si svolge ogni autunno a Houston, in Texas, al quale Marirosa si è proposta, fuori concorso. “I contatti con gli organizzatori proseguono anche se la pandemia ha interrotto il normale svolgimento di tutte le manifestazioni. – spiega Marirosa – Ho già inviato le foto delle mie coperte e mi sono state proposte le date di partecipazione alle prossime edizioni, quella del 2021 e quella del 2022; io ho già scelto quella del 2022, quando, come tutti ci auguriamo, saremo definitivamente fuori dai problemi di oggi.” C’è dunque tutto il tempo per terminare l’opera, per la quale Manidoro e Giuliana Ricama le augurano fin d’ora il più straordinario successo.
Carrefour Européen du Patchwork (Alsazia)
www.manidorofiera.it