La Scultrice Tessile

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La Scultrice Tessile di Marzia Mecozzi

Ogni ricetta speciale ha un ingrediente segreto: quel particolare differenziante che rende unico e originale un prodotto. Nella magia creativa, l’ingrediente segreto è la formula del successo, è quel ‘quid’ distintivo che trasforma l’opera in opera d’arte. In questa bella storia d’arte e di ricerca che parla di nodi e d’intrecci, del filo come dell’anima, l’ingrediente segreto è celato all’interno di un lavoro che lo custodisce come uno scrigno.

Il nodo: intreccio di idee e di pensieri che si stringono e si sciolgono, si allacciano, si districano, si fanno e si disfano, in forme diverse e con funzioni specifiche usando fili, corde, nastri… Il nodo è un legame che ha assunto nella storia anche il significato di amore e che in questa storia accompagna con amore il cammino pieno di passioni e di creatività della sua protagonista, Diana Poidimani, artista visionaria e intuitiva, maestra di Macramè, fondatrice dell’associazione L’ErbaVoglio di Tivoli, da anni impegnata in una ricerca personale sulle attività manuali e le espressioni artistiche che hanno come comune denominatore il filo, che ha tradotto in formule alternative l’idea classica dell’intreccio e ne ha fatto scultura. “Sono nata a Siracusa, in una famiglia di artisti. – Esordisce Diana. – Pittori, scultori, amanti dell’arte in tutti i suoi aspetti. Mio zio Biagio era un noto scultore, insegnante all’Accademia delle Belle Arti di Roma e pittori e scultori erano pure i suoi fratelli. È seguendo le sue orme che sono approdata alla scultura, diplomandomi all’Istituto d’Arte, in scultura e modellazione. L’arte scultorea mi affascina e, qualunque sia il materiale impiegato, dalla corda alla creta, dal filo al legno, quel che cattura la mia attenzione è la tridimensionalità. Amo i volumi e le forme che creano giochi e rappresentazioni nello spazio e sono sempre stata attratta dalla sperimentazione e dalla ricerca. L’arte è nel mio DNA. Ma sono anche una persona pratica, amo le applicazioni dei vari linguaggi artistici e le innovazioni nelle tecniche di lavorazione. Così, per lungo tempo, mi sono interrogata sulla mia vera natura, se essere artista o essere artigiana.” Nei primi anni Ottanta, Diana inizia a frequentare il corso di Tessitura presso la Scuola delle Arti Ornamentali S. Giacomo


Sopra l’opera “Civetteria” e accanto un particolare.

di Roma, una delle istituzioni educative e formative tra le più antiche e riconosciute della città, nella quale sono transitati numerosissimi allievi ed insegnanti, tra cui alcuni famosi artisti. Qui, sotto la guida della Maestra d’arte Lydia Predominato, autorevole esponente della ‘Fiber Art’, intraprende il primo passo di una ricerca che innanzitutto è ricerca di sé. Artista o Artigiana? Entrambe, a voler cogliere il suggerimento di William Morris e delle “Arts & Crafts” e poi della Bauhaus che nel processo produttivo di un manufatto non esiste differenza fra ideazione ed esecuzione e che il creatore deve essere allo stesso tempo capace esecutore. E quindi, dove finisce l’arte e dove comincia l’artigianato e viceversa? “Alla fine, è stato nella tessitura che ho trovato la mia dimensione più autentica. – prosegue Diana. - Un’arte particolare alla quale mi sono dedicata con entusiasmo, attratta anche dall’aspetto più prettamente tecnico, ovvero il funzionamento delle macchine e i sistemi di produzione. C’era ancora una cosa, tuttavia, che mi lasciava insoddisfatta: la bidimensionalità. A me interessavano il rilievo, il movimento nello spazio, i volumi. E mi ricordai del nodo. Lo avevo conosciuto tanti anni prima, da bambina, quando i miei genitori erano arrivati da Siracusa e ci avevano affidati alle cure di una parente di Puccianiello, un quartiere di Caserta circondato dalla campagna; qui, le donne usavano lavorare tutte insieme le frange di pesanti coperte stese fra un girotondo di sedie, sotto le quali noi bambini ci nascondevamo fingendo che fosse la capanna dei giochi. Lì ho annodato il mio primo filo, ho giocato con la mia prima frangia.”

Negli anni Ottanta, affascinata dalla moda dei porta-piante da appendere, inizia ad elaborare l’intreccio e nel gesto famigliare ritrova il piacere del gioco dell’infanzia. Quel nodo e quella ‘antica’ capacità di farlo, da passatempo giocoso si traducono nella lavorazione artistica del Macramè, della cui sapienza da allieva diviene infine insegnante. Negli anni Novanta, su suggerimento ed esortazione della Maestra Predominato, inizia infatti a insegnare l’arte del Macramè alla Scuola delle Arti Ornamentali, un corso che, iniziato con qualche ora ogni tanto, è diventato ed è tuttora un classico, al San Giacomo di Roma. “Ritrovando il nodo, ricongiungendomi con il mio ‘inizio’, ho trovato la tridimensionalità dell’opera. – spiega Diana. – Un’opera realizzata con una tecnica antichissima e sempre nuova: il Macramè. Quello che insegno agli allievi del mio corso è il Macramè classico. Si parte dal ‘nodo semplice’ e piano piano si cresce in complessità. Nel corso spiego come un tempo venisse fatta la tela e che, con la tecnica del Macramè venisse infine realizzata la frangia. Il ‘mio’ Macramè, invece, non ha frange, affrancato dalla tela, è esso stesso tessuto e opera.” Fra le figure di riferimento nel suo percorso di crescita nel Macramè, Diana cita, come maestra e mentore, Adriana Lazzari, nota insegnante di merletto a fuselli presso la Scuola Merletti di Gorizia ed autorevole esperta di Macramè, con la quale ha mosso i primi passi nel pizzo Margarete. “Sono rimasta affascinata dalla sua particolare applicazione – dice Diana – che corrisponde al mio ideale di lavoro, anche in questo caso si tratta di un Macramè libero, tendente alla scultura.”


La caratteristica che rende estremamente preziosa e allo stesso tempo pericolosamente esposta all’estinzione la tecnica del Macramè, è la totale irriproducibilità industriale. Il nodo e le sue varianti sono appannaggio esclusivo degli umani e, a partire dagli anni Cinquanta, degli artisti che si cimentano con il filo, la sua volumetria e con la continua ricerca e contaminazione: il filo, la corda e altri materiali diventano espressione artistica fino a diventare scultura. In quegli anni lo scultore Ruth Asawa sperimenta opere all’uncinetto di forme astratte che appaiono come disegni tridimensionali e, in seguito, inizia a sperimentare sculture in filo intrecciato di immagini tratte dalla natura, geometriche ed astratte. “La mia ricerca sul nodo è iniziata quando avevo trent’anni, ricorda Diana - da ‘tecnica’ sentivo l’esigenza di trarre, dall’esperienza pratica, un metodo, una regola codificata di lavorazione. E mi sono concentrata sull’economia: del gesto, del filo, del lavoro. La semplicità del filo, la sobrietà del movimento, la misurata essenzialità del gesto impegnato in complessi intrecci e la razionale composizione di un lavoro che si legge da entrambi i lati e mostra, libero, il suo ‘rovescio’, sono gli elementi distintivi della

mia personale tecnica che, nel tempo, ho elaborato e codificato e che oggi è racchiusa in un libro che ho intitolato ‘Essere Nodo’ che vedrà presto le stampe.” Il libro “Essere nodo” è la sintesi di un percorso artistico ed esistenziale che parte dal nodo e che, nella ricerca di perfezione, trova nel nodo la ‘chiave’ di volta, l’applicazione ‘segreta’ l’ingrediente misterioso che fa sì che non vi siano fili che pendono, fili da tagliare o da bruciare o da nascondere con difficoltà. Non ci sono nodi a fermare il lavoro, ma tutto è un fluire in sicurezza all’interno del lavoro stesso. Per ‘trascinamento’, come lo definisce Diana, lavorando in contemporanea e scambiando i ruoli fra portante e montante. Nel libro ci sono schemi, sequenze fotografiche e disegni dell’autrice, ogni oggetto è corredato da illustrazioni che facilitano la comprensione e rendono agevole l’applicazione. E, nel corso della ricerca, tante sono state le contaminazioni che hanno influenzato la sua visione dell’opera e dell’arte. L’esperienza con l’associazione L’ErbaVoglio di Tivoli di cui è stata la fondatrice, per esempio, l’ha portata a confrontarsi


non soltanto con la cesteria, una delle produzioni di artigianato fra le più antiche del mondo, ma con una realtà umana di grande coinvolgimento, con un’atmosfera che riporta indietro nel tempo, quella dei mestieri antichi e della saggezza dei ‘nonni’. Iniziatrice dell’arte del recupero, con l’associazione ha dato vita alla ‘cesteria di città’, con tecniche della tradizione ma con materiali nuovi, come la carta, la stoffa, inventando tecniche nuove e creative. In questa rivisitazione dell’arte tessitoria e della cesteria supera ancora una volta i confini dell’abituale e sperimenta una fusione di arti, dove compare anche l’aspetto teatrale. Il gesto di tessere, la composizione d’intrecci diventano una storia umana descritta in un video affascinante che racconta l’arte del nodo usando figure umane che rappresentano i montanti su cui si costruisce la trama del tessuto o, nella cesteria, del canestro intrecciato, mentre una figura danzante, srotolando il filo, ne compone l’ordito. “Amo le grandi installazioni, le opere ‘macro’, le rappresentazioni di grandi dimensioni. – Chiarisce Diana – i miei piccoli lavori, li considero ‘bozzetti’ di qualcosa di più grande che un giorno vorrei realizzare. Per ora sono soddisfatta di quel che ho realizzato, sintetizzato nel libro di imminente pubblicazione.” La definizione “Scultrice Tessile” che in diverse occasioni le è stata data ben le si addice ed è da questa fortunata combinazione di arte e artigianalità che deriva. Artigiana dunque, degli intrecci ingegnosi e della manualità, ma anche artista desiderosa di confrontarsi con l’idea primigenia, con l’ingrediente differenziante, con la ‘ricetta segreta’, con l’illuminazione che trasforma l’opera in opera d’arte. Infatti, come ebbe a ribadire Gropius: “Non v’è differenza tra l’artista e l’artigiano. Sono solo rari istanti, istanti di illuminazione, o per volontà o per grazia del cielo, in cui l’opera delle sue mani diviene arte. Ma tutti gli artisti devono necessariamente possedere una competenza tecnica. È questa la vera fonte dell’immaginazione creatrice…” (1969, Parigi, Catalogo della mostra dedicata alla Bauhaus). Qui accanto, Diana Poidimani nell’atto di intrecciare un cesto all’interno dell’associazione L’erba Voglio di Tivoli. Nella pagina accanto, in alto, composizione dal titolo “Biblio-teca” Teca con libri di vita sospesa. Sotto, collana che l’artista definisce “La mia primavera”: un insieme di fiori di campo di macramè e stoffa. Vestito in Macramè e sotto, “Collana nera”. Qui sopra, bracciale plissè e una sintesi di cinta: due opere facenti parte del libro “Essere nodo” e la collana “Edera” .

www.manidorofiera.it


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