ph. Paritani
3| SOMMARIO 5 EDITORIALE ... T’cè sla schina de buratel
6 NOTIZIE E DINTORNI A scuola di territorio “Vanina” la nuova avventura Giornate FAI Viserba
10 PAGINE DI STORIA
13
La litoranea e il ponte sulla Fossa dei Molini Il Servizio postale e telefonico 16 DELLE ARTI E DEI MESTIERI Legno e Ingegno la bottega di Penna e Zvan Una storia a caratteri tipografici Dalle due ruote al “Brec” Dal carbone al 45 giri
Vis a Vis periodico semestrale Anno VII - N.10 - GIUGNO 2018 • Supplemento a Il Ponte n.24 del 24/06/2018 a cura dell’associazione L’Ippocampo Viserba Laboratorio Urbano della Memoria tel. 0541 735556 info@ippocampoviserba.it www.ippocampoviserba.it
La piadina con cinque stelline
22
Cinquanta sfumature di tutti i colori Regole e strategie per vincere la sfida
• Direttore responsabile: Giovanni Tonelli • Editore: Confraternita Maria SS. Ausiliatrice di Santa Croce di Rimini
• Direttore editoriale: Marzia Mecozzi AUDIO TRE s.r.l. Rimini
38 VOLTI E STORIE Il lungo viaggio sulle note dell’orchestra
• Promotore: Romagna Acque Società delle Fonti S.p.A.
• Progetto creativo, contenuti culturali, servizi e foto d’epoca: Associazione Culturale L’Ippocampo Viserba Presidente: Pierluigi Sammarini
Sul filo dei ricordi
60 LA TERRA DELLE ACQUE Le risorse idriche nei periodi di siccità
38
62 LUOGHI DEL CUORE Villa Adelia una storia d’amore
• Caporedattore: Maria Cristina Muccioli • Responsabile commerciale: Ruggero Testoni • Fotografi: collezioni archivio L’Ippocampo, Nicola Sammarini, Ruggero Testoni • Progetto grafico e impaginazione: Rosalia Moccia, Nicola Sammarini AUDIO TRE s.r.l. Rimini • Hanno collaborato: Elisa Angelini, Roberto Drudi, Silvia Fabbri, Nerea Gasperoni, Manlio Masini, Maria Marzullo, Alberto Mazzotti, Marzia Mecozzi, Maria Cristina Muccioli, Francesco Protti, Pierluigi Sammarini, Ruggero Testoni
In copertina:
62
Antonia Domeniconi Francesco (Franco) Bernucci Rosa Cesarina (Rosina) Neri Carlo Battistini Adelia Natali Diego Galeotti Patrizia Rinaldis Genny Campedelli Giancarlo (Carlo) Amati
• Stampa: La Pieve Poligrafica Editore Villa Verucchio s.r.l. • Chiuso in redazione il 08/06/2018
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5| EDITORIALE
... T’cè sla schina de buratel Eravamo, poche settimane fa, alla scoperta del tracciato della fossa dei mulini, fossa Viserba, dal vecchio mulino fino al mare, lungo la passeggiata Elio Paglierani, con una terza elementare e le sue insegnanti di Viserba quando il professor Baietta, nostro socio e accattivante Cicerone, per catturare l’attenzione dei bimbi ci ha propinato questa perla di saggezza: “o burdel... t’ce sla schina de buratel!” spiegando che, tanti anni fa, quando la fossa dei mulini era navigabile, nelle sue acque limpide si potevano pescare le anguille, i buratel appunto, che erano scivolosi e serpeggianti, facevano rabbrividire i bimbi di allora e le mamme usavano questa frase per ricordare, quando la misura era colma, che la pazienza stava per finire. Questo messaggio vale anche per me che mai avrei pensato che, dall’ormai lontano dicembre 2012 ad oggi che esce il decimo numero di Vis a Vis, non avessi ancora imparato a stare in equilibrio. Non è l’età che mi fa barcollare, sessantun’anni non sono niente. Mi sento ancora un indomito utopista, sognatore, innamorato degli altri e del bene comune; continuo a pensare che tanto si debba fare, pur vedendo crescere attorno rassegnazione, stanchezza, indifferenza. È un momento di passaggio? È ora di calmarsi e cedere il passo? Tutto è possibile. Però: se è vero che la memoria aiuta il ragionamento e che, allenando la nostra parte del cervello che custodisce i ricordi, alleniamo tutto il nostro corpo ad affrontare dai semplici comportamenti quotidiani ai progetti più articolati, allora la memoria ci fa vedere il futuro. Se è vero che il futuro è ciò che noi ci costruiamo passo dopo passo, salvo qualche colpo di fortuna, allora è vero che noi, nel quotidiano, non possiamo solo sopravvivere, ma dobbiamo sempre guardare un po’ più in là, altrimenti avremo un futuro incerto, oscuro e deciso da altri che non hanno partecipato alla costruzione del nostro progetto. La memoria ci porta alla realizzazione dei nostri sogni futuri, chiari e limpidi come un progetto disegnato su carta. Per questo, in questi ultimi sei lunghi anni tanto spazio e tanto valore abbiamo dedicato alla memoria e alle memorie, di noi tutti, dai nostri genitori ai nostri nonni, indietro indietro verso l’origine di questa nostra storia comune. Questo nostro decimo numero di Vis a Vis è ancora una volta ricchissimo di storie e racconti: quelli del professor Masini che ci portano agli albori della nostra cittadina; quelli di artigiani storici (falegnami, tipografi, meccanici ciclisti, piadinare e merciaie) che con le loro botteghe hanno fatto la storia del commercio locale; quelli dei personaggi i cui nomi hanno oltrepassato i confini locali. Fra questi ultimi abbiamo il musicista Franco, da autodidatta a componente di grandi orchestre; la famiglia di imprenditori nel mondo delle vernici, da ‘Macron’ a Fabrizio -oggi presidente della Camera di Commercio- e una prima donna come Patrizia Rinaldis, albergatrice e presidente dell’Associazione Albergatori di Rimini. Infine abbiamo anche una storia d’amore: quella di casa Matteoni nella bella villa Adelia. Chissà se in questi anni vi siamo piaciuti! Quel che speriamo è che la splendida squadra dell’Ippocampo e la redazione intera di Vis a Vis abbiano contribuito all’esercizio di comunità che si erano proposte. Anche se siamo sulla schiena di un’anguilla in questo mondo, possiamo vedere oltre per un bene comune fatto di condivisione e di intelligenza. Buon Vis a Vis a tutti! L’Ippocampo simbolo dell’omonima associazione
Pierluigi Sammarini - presidente associazione L’Ippocampo
6| NOTIZIE E DINTORNI A scuola di territorio Conoscere il proprio territorio significa essere consapevoli delle peculiarità, eccellenze e diversità che contraddistinguono l’ambiente in cui viviamo, peculiarità che provengono in primis dalle condizioni storiche che hanno caratterizzato l’area e l’insediamento umano che l’ha abitata e vissuta nelle varie epoche. In questo contesto, si colloca il progetto ministeriale ‘scuola e territorio’ accolto anche a Viserba, presso le classi terze della scuola elementare Flavia Casadei, come interessante spunto di riflessione per approfondire alcune delle più significative ‘tracce’ del passato di Rimini nord. L’approfondimento si è svolto durante un ciclo di incontri dal titolo “Viserba, dai primi del novecento ad oggi” curati e condotti dall’associazione L’Ippocampo Viserba grazie al personale interessamento della maestra Antonietta Bazzocchi e di Silvia Fabbri, responsabile del Ci.vi.vo. e Ci.Leggo di Viserba. Gli incontri sono stati condotti da Pierluigi Sammarini, presidente dell’Ippocampo, dal consigliere Roberto Drudi, con la collaborazione di Davide Lucrezio, che da anni si dedicano alla ricerca, conservazione e valorizzazione del patrimonio fotografico del territorio. L’iniziativa fa seguito ad un primo ciclo di incontri avvenuti nella primavera scorsa da un pro-
getto del professor Vincenzo Baietta con la collaborazione di Alessandro Guerra. I temi trattati: le origini di Viserba e dei paesi limitrofi, gli albori del turismo, la guerra, l’architettura locale. Storie che in questi anni sono state raccontate anche dalle pagine di “Vis a Vis”, rivista dell’associazione, in cui sono raccolte immagini e testimonianze a partire, appunto, dalla fine del XIX secolo. Anche questa serie di importanti incontri, che ha visto la partecipazione entusiasta dei giovanissimi studenti, si colloca all’interno del
progetto culturale che l’associazione persegue dalla sua fondazione: valorizzare la memoria di cui sono custodi specialmente le persone più anziane; ricercare, approfondire, comprendere, utilizzare e diffondere la storia locale e le trasformazioni del territorio; rivisitare, creare e promuovere iniziative culturali, incontri, dibattiti, convegni, con l’intenzione di stimolare nuovi approfondimenti e nuovi approcci con la storia locale stimolando l’interesse dei giovani verso la storia narrata dagli anziani.
7| NOTIZIE E DINTORNI L’Ippocampo a Manidoro Fiera L’associazione Ippocampo, in collaborazione con E’ Scaiòn’ Museo della Marineria e delle Conchiglie di Viserbella, è stata presente con una delegazione a Manidoro Fiera. I soci Roberto Drudi e Ruggero Testoni hanno spiegato ai giovani alunni della scuola elementare di Bellaria il percorso didattico legato al mare, tema della manifestazione, che si è completato con l’esposizione di strumenti sulla storia della pesca e delle tradizioni marinare della riviera a nord di Rimini. “Nel pensare al tema della Fiera, il pensiero è andato in maniera naturale e diretta nella direzione di una delle istitu-
zioni territoriali più autorevoli in materia. – hanno dichiarato le organizzatrici della manifestazione Manidoro s.r.l. – Infatti, proprio a due passi da Bellaria Igea Marina, nel tratto di litorale a nord di Rimini, sorge, in località Viserbella, E’ Scaiòn’, un museo nato dalla passione per il mare e le sue tradizioni di un gruppo di amici perché questo patrimonio non andasse
“Vanina”, la nuova avventura dell’estate 2018 Il museo della marineria di Viserbella E’ Scaion ha invitato tutti gli amanti del mare e della cultura popolare organizzando un pranzo il 13 Maggio presso il giardino di via Aurelio Minguzzi 7 a Viserbella, per la presentazione del progetto “E’ Scaion per la Vanina” . La Vanina è una batana di 7.30 metri, barca storica tipica delle coste di Rimini Nord, che verrà ristrutturata e portata nell’alveo del porticciolo di Viserba “Fossa dei Mulini” per esibirsi come memoria perfettamente navigante con vela al terzo. Per tutto il periodo estivo farà bella mostra di sè e potrà essere visitata e utilizzata da chiunque ne farà richiesta. Erano presenti: l’ammiraglio Aleardo Cingolani, presidente del Circolo Nautico “Fossa dei Mulini” di Viserba, gli organizzatori, con Stefano Benaglia, neo presidente dell’associazione E’ Scaion, e gli amici dell’Ippocampo che, curando la
memoria del territorio si sono particolarmente appassionati alla realizzazione del “progetto Vanina”. Tutto questo sarà possibile col contributo delle associazioni del territorio: Museo E’Scaion, Pro Loco Viserbella, l’Ippocampo, Vele al Terzo, Ci.vi.vo Viserbella, Circolo Nautico di Viserba, V Running. Viserbella e il suo museo si confermano ancora una volta un polo di attrazione culturale per tutta Rimini Nord.
perduto, ma fungesse da eredità culturale alle giovani generazioni. Un ringraziamento speciale va a L’Ippocampo Viserba per l’impegno profuso alla buona riuscita dell’iniziativa.”
Nelle foto, a sinistra, Ruggero Testoni vice presidente Ippocampo e Roberto Drudi consigliere con una scolaresca
8| NOTIZIE E DINTORNI Giornate FAI a Viserba Dal 23 al 25 marzo, sul lungomare di Viserba, si sono tenute le Giornate FAI di Primavera, denominate “Sulle ali del Liberty”. Riccione, Rimini e Viserba sono state destinate alla ricerca e alla scoperta dei tesori meno conosciuti dell’arte Liberty in Italia. Viserba ha ospitato più di 500 turisti e giovani amanti del bello, che hanno potuto percorrere un ideale itinerario sulle ali del Liberty. Una splendida padrona di casa, Adelia Natali, ha ricevuto gli ospiti sfoggiando un abito originale degli anni Trenta. Da Villa Adelia partiva l’itinerario che, ospitando visite guidate anche all’interno delle ville, con giovani ciceroni addestrati dagli addetti del Fai delegazione di Rimini e coadiuvati dall’architetto Pierluigi Sammarini, presidente dell’Ippocampo, si è svolto sul lungomare alla scoperta di 13 villini. Dopo la sosta all’hotel Madalù, oggi eccellenza moderna sorta
L’estate al Tartughino L’estate è la stagione migliore per vivere il Tartughino. Gustosi piatti della tradizione gastronomica romagnola, ottimi drink e grande senso di ospitalità fanno del bar ristorantino piadineria il punto di riferimento nella zona monte di Viserba. A tutte le ore, dalla colazione fino a tarda notte, l’offerta del Tartughino è ricca e varia: si possono gustare straordinarie piadine e cassoni ma anche primi piatti, secondi di carne e pesce, verdure fresche, grigliate, gratinate…
dalle ceneri del bar Ideale e pensione Milano, si è approdati alla Villa Gubellini, del 1904, appena restaurata. Lungo il percorso sono stati oggetto di visita: l’area dell’ex Kursaal, il villino Pirotti, l’hotel Sorriso, la villa Baschieri, la villa Bavassano, la villa Drei e il villino Sant’Antonio, la villa Scaglietti e villa Maria. Una scoperta
Pensate che ogni giorno si possono trovare quattro tipi di primo: due di pesce, uno di carne e uno vegetariano. Secondi di pesce, carne e vegetariano e tante insalatone! Dallo spuntino veloce all’aperitivo accompagnato da un buffet ricco di tante golose sfiziosità, il Tartughino è meta ormai consueta di viserbesi e turisti. Come ristorantino, da provare tutti i giorni a pranzo e tutti i venerdì sabato e domenica a pranzo e a cena con piatti tipici della tradizione romagnola e piatti di pesce. Ci vediamo là. Nelle foto accanto, Filippo Berni e Anna Bruni; sotto, Marilena Cinzia e Anna
inaspettata anche per i viserbesi residenti che, avvicinatisi a quel vociare incuriosito e alle frotte di giovani, chiedendosi cosa fosse accaduto, alzando gli occhi a edifici sempre visti ma con occhi distratti, hanno percepito il valore della storia raccontata dai giovani ciceroni degli istituti scolastici del Serpieri di Viserba.
9| NOTIZIE E DINTORNI Buone notizie per la nostra Sacramora A fine dicembre 2017 gli organi di stampa locali hanno diffuso una notizia che ai lettori di “Vis a Vis” non può fare che piacere: il gruppo riminese Galvanina, che fattura oltre 55 milioni di euro con le sue acque e bevande, riaprirà i capannoni dell’ex Sacramora, con un investimento di oltre 12 milioni di euro che permetterà di far ripartire lo stabilimento dello storico marchio di acqua chiuso da oltre dieci anni (nel numero 2/2013 del nostro giornale ne avevamo raccontato la storia, accompagnati da Luciano Savioli, l’attuale proprietario). Come dichiarato dal patron della Galvanina, “lo stabilimento vi-
Negli occhi di un ragazzo Abbiamo chiesto a un giovane viserbese una testimonianza dell’esperienza e dei sentimenti che le nuove generazioni hanno del nostro paese. Eccone qualche riga... “Viserba è in tutto l’amore che si è consumato sulla spiaggia, sotto le stelle, con il rumore delle onde in sottofondo a rendere tutto perfetto; è nei baci rubati su uno scoglio del porticciolo; è nelle sigarette fumate di nascosto nel boschetto del Lago Riviera; è nelle parole scambiate all’ombra dei pini del parchetto dell’A&O; è in tutte quelle impronte lasciate sulla sabbia perché solo una bella passeggiata al mare sa rimette-
serbese sarà presto operativo; lo abbiamo preso in affitto dalla proprietà e lo stiamo adeguando e attrezzando per le nostre esigenze produttive”. Fra gli obiettivi dichiarati, quello di rivitalizzare la sorgente: lo stabilimento tornerà infatti a produrre ac-
qua minerale, che sarà chiamata ‘Acqua San Giuliano’. Il complesso di Viserba (oltre 10mila mq) sarà anche luogo di produzione di altre bevande a marchio Galvanina, diventando così un polo produttivo molto importante per il gruppo.
re ordine al caos dei nostri pensieri. Viserba è la mia casa. Chi sono io? Un giovane viserbese qualunque con tanto da dire e tanto da imparare, a cui è stata data la possibilità di farvi vedere questo piccolo microcosmo marittimo del Riminese con i miei occhi. Non crediate, però, sia tutto rosa e fiori, perché Viserba è tante cose, ma di certo non è a misura di millennial; è opinione comune che per un giovane, nel 2018 sia molto difficile trovare posto nella comunità viserbese, la quale risulta chiusa e talvolta ostile davanti al nuovo che avanza. Questo articolo è un appello a tutti voi: ricordatevi che vivo in questa piccola frazione tanto quanto voi e quindi è giusto rendermi partecipe e darmi la possibilità di vivere il posto in cui abito. Aiutatemi
a costruire una comunità a misura di giovane abbattendo il muro invisibile che si è creato fra vecchio e nuovo; Viserba non è una loggia, anzi, risulta sempre più necessario trovare un punto di incontro per facilitare il passaggio di testimone generazionale. Non sono un alieno, sono solo un ragazzo che può imparare tanto da voi e anche insegnarvi qualcosa. Datemi una possibilità.” (Silvia Fabbri)
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La litoranea e il ponte sulla Fossa dei Molini di Manlio Masini | foto archivio L’Ippocampo
La storia del ‘lungomare’ viserbese per le cronache inizia nel 1914 con la costruzione del primo tratto di strada litoranea che collega Viserba con Viserbella, comprensivo del ponte sulla Fossa dei Molini. Il 27 agosto 1914 il Consiglio Comunale di Rimini approva la costruzione del tratto di litoranea che collega Viserba a Viserbella. La delibera, che riporta l’atto, recita: «In seguito al notevole sviluppo verificatosi nella località Viserbella dove sono sorte numerosissime ville che in estate vengono abitate da una estesa colo-
nia di forestieri, si è ravvisata la necessità di eseguire il prolungamento della strada litoranea che congiunge l’abitato di Viserba a quello di Viserbella». La costruzione di questa strada, richiesta ostinatamente per anni dai residenti attraverso petizioni e articoli di giornale, era necessaria prin-
cipalmente per i viserbellesi, dato che la loro sopravvivenza dipendeva dalle attività commerciali dalla vicina borgata. Una spinta alla realizzazione dell’opera fu impressa dai disoccupati, i quali, se non si fosse dato il via ai lavori, avrebbero promosso addirittura una dimostrazione di piazza.
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Il progetto del tratto di strada litoranea, compilato dall’Ufficio tecnico comunale, comportava una spesa complessiva di circa 14.000 lire, «di cui 12.000 per opere d’appalto e 1.400 a disposizione dell’amministratore»1. La prima parte del percorso, comprensivo dell’attuazione del ponte in cemento armato sulla Fossa dei Molini prese il via nel mese di settembre2. A causa delle lungaggini burocratiche i lavori del ponte, assegnati all’impresa del capomastro Benzi, tardarono ad iniziarsi e Giulio Cesare Gamberini, attraverso “Il Momento” del 3 aprile 1915, espresse il suo disappunto: «Ci permettiamo rivolgere una giusta domanda al Municipio. Giacché la costruzione del Ponte è già stata appaltata, perché non si dà ordine di cominciare i lavori? Cosa si aspetta?». Gli interrogativi colpisco-
no nel segno e l’8 maggio Gamberini dà l’attesa risposta: «Finalmente! Da giorni sono incominciati i lavori per la costruzione del ponte sulla Fossa dei molini che deve congiungere Viserba con Viserbella. Questa congiunzione apporterà vantaggi non lievi alla simpatica nascente colonia. Essa è dotata di un bel piano regolatore, è fornita di acqua eccellente; le sue costruzioni sono isolate e circondate da ampi giardini; è illuminata a luce elettrica, ha telefono e una spiaggia spaziosa, vellutata e sicura e certamente avrà un prosperoso avvenire». La realizzazione del ponte sulla Fossa dei molini porta sollievo ai residenti, ma non risolve il grave problema dei percorsi di Viserbella. Il disagio che offre la rete stradale della piccola frazione adriatica è enorme ed è ben evidenziato dal solito “rompiscatole”
Nella pagina accanto, una veduta del ponte di legno sulla Fossa dei Molini. In alto, il Viale Litoraneo
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Gamberini su “Il Momento” del 20 novembre 1915: «Altre volte abbiamo mosso vive lamentele per lo stato veramente deplorevole, indecente nel quale è abbandonata la viabilità della nostra frazione. E anzitutto domandiamo: presso l’Ufficio Tecnico del Comune esiste una sezione per la manutenzione delle strade? E se c’è cosa fa? Nulla si vuol fare per mettere la nostra frazione nella privilegiata condizione di avere almeno una strada praticabile? Non solo è necessaria per chi ha quotidianamente interessi di recarsi a Rimini, ma i poveri bambini che debbono, da qui, dalla Turchia e dal Cavallaccio recarsi solo a Viserba per la scuola rimangono affondati nel fango e ritornano nelle loro case in istato compassionevole. L’inverno si avanza e conviene provvedere. Il Sindaco che tanto si
interessa dei giusti reclami, a mezzo dell’Ufficio Tecnico, veda e provveda sul serio perché è ormai tempo».
Note 1) Atti del Consiglio Comunale di Rimini, seduta pubblica del 27 agosto 1914. Cfr. “Il Momento”, 13 settembre 1914. 2) Cfr. “Il Momento”, 27 settembre 1914, 23 gennaio 1915, 13 marzo 1915.
Sopra, pescatori armeggiano sul bragozzo all’interno della Fossa dei Molini
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Il servizio postale e telefonico di Manlio Masini | foto archivio L’Ippocampo
Nei primi anni del Novecento spedire una lettera o una cartolina da Viserba era un’impresa! Riceverla poi… era un miracolo: consegnata alla prima persona incontrata per strada! Dal 1902 Viserba ha un «recapito postale», o meglio una «collettoria postale», dove tutti i giorni arriva il portalettere da Rimini e dove “a volte” si possono anche comprare i francobolli. “A volte”, perché la «collettoria postale» oltre a non avere orario – il postino arriva quando capita, consegna la posta, la ritira e se ne va – è quasi sempre sprovvista di francobolli, tant’è che spesso, stando alle lamentele della gente, «succede di dover aspettare lunghe ore il procaccia e di dover riportare a casa le lettere da spedire non trovando i francobolli»1. La pretesa, avanzata da alcuni, di fissare un orario per il corriere concedendogli «una tolleranza di mezz’ora», è impensabile: il percorso che il “poveruomo” effettua giornalmente in bicicletta è un rompicapo, soggetto a imprevisti di
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ogni genere, che spesso impediscono addirittura il raggiungimento della meta. Nel 1907, la rilevanza acquisita dalla piccola stazione balneare e dalla sua numerosa colonia bagnante, convince il Municipio a stanziare un fondo di 600 lire per dotare Viserba di una «posta ad uso pubblico», cioè di un recapito fisso «provvisto di francobolli»2. Quello stesso anno il Regio Ministero delle Poste e Telegrafi promuove la «collettoria postale» ad «ufficio postale di seconda classe». L’aumento di grado, comporta la dotazione del telegrafo e del telefono; ma per attivare i due servizi Viserba dovrà aspettare un biennio3. Con il cambio di livello si risolve il disagio dell’affrancatura, ma non si risolve quello della distribuzione della posta, ancorato ad una metodica artigianale. L’incaricato del servizio,
infatti, vuoi per la mancanza delle strade – quelle che ci sono non hanno ancora intestazione –, vuoi per sbrigare in fretta l’erogazione, affida molto spesso la corrispondenza «non al vero destinatario, bensì alla prima persona che incontra» delegando ad essa la consegna4. La gente si lamenta della procedura e protesta: «quell’impiegato o non conosce il proprio dovere o ignora la delicatezza del servizio postale»5. Non tutti però se la sentono di dare addosso al “postino”; c’è chi lo difende riversando la colpa del disservizio alla mole di lavoro che è costretto a svolgere. Scrive “Il Momento” il 28 agosto 1913: «sia d’inverno – quando poche centinaia di abitanti vivono qui la loro vita monotona – sia d’estate – quando parecchie migliaia di persone vi portano l’eco dei loro affari –, un portalettere solo separa al mattino
Nella pagina precedente, la facciata della palazzina in cui aveva sede l’ufficio postale, telegrafo e telefono (oggi sede della delegazione comunale). Sopra, alcune persone posano per la foto davanti e all’interno della sede dell’ufficio postale
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le corrispondenze e corre, povero, ignoto messaggero di sventura e di gioia, a distribuirle in tutto il paese. È possibile tollerare più oltre una simile larva di servizio postale? È umano pesare così sopra un modesto portalettere?». Insomma il lavoro è decisamente troppo per un solo salariato. Anche il servizio telefonico e telegrafico, una volta impiantato, ha i suoi lati bui. L’ufficio che “custodisce” questi due portentosi ritrovati della scienza chiude bottega alle 23 e da quel momento è impossibile qualsiasi comunicazione. La gente si duole della limitatezza dell’orario, vorrebbe che il recapito restasse aperto tutta la notte: «i casi di bisogno, come gli incendi o le malattie capitano quasi sempre nelle ore piccole»6. Nel 1914 la “ricevitoria postale”, diretta da Giuseppe Urbinati, non soddisfa più le aumentate esigenze della “cittadina”, che la vorrebbe più spaziosa e confortevole. Su questo specifico argomento c’è anche chi invoca la costruzione di un grande fabbricato che riunisca più servizi pubblici: l’Ufficio postale e telegrafico, le Scuole elementari, l’Ufficio sanitario, la Delegazione comunale, le Guardie doganali e i Regi Carabinieri7. A smorzare certi entusiasmi provvederà la guerra.
A lato, due cartoline dei primi del Novecento
Note 1) Cfr. “L’Ausa”, 9 agosto 1902. 2) Cfr. Atti del Consiglio Comunale di Rimini, previsioni per l’anno 1907. 3) Cfr. “Gazzettino Verde”, 23 giugno 1907. 4) Cfr. “Il Momento”, 29 agosto 1912. 5) Ibidem. 6) Cfr. “Corriere Riminese”, 14 agosto 1912. 7) Cfr. “Il Momento”, 9 aprile 1914.
16| DELLE ARTI E DEI MESTIERI
Legno e Ingegno
la bottega di Penna e Zvan di Nerea Gasperoni | foto archivio famiglia Amati
In via Catalani, a Viserba, per circa sessant’anni, la bottega di falegnameria di Giuseppe Amati e Giovanni Battagli è stata una fucina di attività e genialità. Da un ricordo di Giancarlo Amati, rivivono Penna e Zvan. L’incontro è fissato con Giancarlo (Carlo) Amati, nella sua grande casa di Viserba, ma chi ci riceve festosa, prima ancora del protagonista, è Sofi, il suo cane da caccia, una delle grandi passioni di Carlo. Il secondo benvenuto è quello di Pippo, il pappagallo colorato e simpaticamente chiassoso che Carlo provvede subito a mettere a tacere usando la “modalità notte”, ovvero un cappuccio che ricopre per intero la gabbia. Fra i motivi di questo incontro c’è il desiderio di rivivere, attraverso i ricordi di famiglia, uno dei più diffusi e anche più artistici mestieri artigianali del tempo andato, quello del falegname; ricordare suo padre, Giuseppe Ama-
ti, detto ‘Penna’, artigiano piuttosto conosciuto nella zona di Viserba, e far luce su un geniale strumento di lavoro pensato, progettato e realizzato nella bottega di falegnameria in cui Carlo ha lavorato dall’età di
Nella foto, Carlo Amati detto “Penna”
dodici anni fino al 2009, anno della morte di suo padre e della chiusura dell’attività. Una precisazione: la bottega era stata aperta nel 1945 dal nonno, Vito Amati, che faceva il carpentiere (opere sue sono molte villette di Viserba costruite nei primi anni del Novecento). “Finita la guerra - spiega Carlo mio nonno Vito, che usava il capannone di via Catalani per il suo lavoro, decise che era venuto il momento di andare in pensione. Così mio babbo, insieme al suo grande amico Giovanni Battagli, detto ‘Zvan’, trasformò quel capannone nella loro bottega di falegnameria.” I due amici, divenuti anche soci, avevano caratteri molto diversi. “Battagli era un tipo sempre piuttosto serio, composto, di quelli che si dicono ‘tutti d’un pezzo’. - ricorda Carlo - Penna, più incline allo scherzo, alla battuta, era un compagnone. Fu forse proprio grazie a questa diversità che i due uomini riuscirono a lavorare insieme per quarant’anni senza mai litigare e portandosi sempre un profondo rispetto che noi operai ammiravamo molto.” Va ricordato che i due imprenditori, insieme a Ferruccio Bernardi, sono stati soci fondatori di Confartigianato Rimini. “Anche professionalmente avevano caratteristiche diverse, - prosegue Carlo - Penna svolgeva il lavoro con i pochi utensili che aveva a disposizione, mentre Zvan pensava e ripensava a come inventare una macchina che li sostituisse tutti, passando, grazie a quella, a un lavoro più organizzato.” E piano piano, recuperando i pezzi da un vecchio carro armato, Zvan assemblò il prototipo e realizzò il suo sogno. “Nacque così, dal genio di quest’uomo, - sorride ammirato Carlo - la prima macchina combinata
18| DELLE ARTI E DEI MESTIERI nabè detto ‘Badarel’. Per restare in tema di soprannomi, non possiamo non chiedere quale origine avesse il soprannome di suo padre: Penna. “La caccia è una passione che ho ereditato da mio babbo, - sorride Carlo anche lui cacciatore. Quel soprannome deriva da una frase che, al ritorno dalla battuta, con niente nella bisaccia, era solito ripetere agli amici: Un s’è vest ‘na penna!” Erano gli anni del boom turistico (non ancora economico) e le pensioni nascevano come funghi, generalmente dalla trasformazione delle stesse abitazioni. La moneta corrente dell’epoca era la cambiale. I lavori
per la lavorazione del legno (più tardi sarebbero venuti anche dalla stessa SCM a vederla) che avrebbe svolto in sincronia la funzione di pialla, di sega, di buchettatrice, di immaschiatrice per le finestre e le cornici dei mobili, nonché di calcolo degli spessori del legno!” Ma, abbiamo capito bene? Assemblando i pezzi di un carro armato? “Certo! - asserisce Carlo - L’area dove adesso si trova il Supermercato Conad, all’epoca era intrisa di sabbie mobili e lì, durante la guerra, si era insabbiato un carro armato. Da quel mezzo bellico Zvan recuperò tutti i materiali per la sua invenzione. Un recupero che, generalmente, avveniva di notte, non senza rischi, dal momento che era illegale e, malgrado le fucilate che non di rado si sono beccati, non ci furono né morti né feriti!” Agli inizi degli anni Cinquanta la macchina, finalmente finita, entrò in funzione e con essa il lavoro procedette molto speditamente, soprattutto la produzione di porte e infissi. “Avevo dodici anni – prosegue Car-
lo – quando, nel 1952, entrai a far parte, come dipendente, della ditta Battagli-Amati. Ci lavoravano già altri operai: Delmo Perazzini il bocia, Elio Pagliarani detto ‘Burasca’, Quarto Cappella detto ‘Bavero’, l’anziano esperto già in pensione, e Sergio Ber-
In alto, la falegnameria di via Catalani; Sotto, a sinistra, Giancarlo Amati e a destra suo padre Giuseppe “Penna”
19| DELLE ARTI E DEI MESTIERI due persone in bicicletta. Con questo portavamo i nostri lavori in tutta la città. Quando le avversità climatiche lo richiedevano ci volevano fino a quattro persone, se poi dovevamo camminare nella neve poteva anche succedere che ne perdessimo qualcuno per strada! Consegnavamo tutto a mano, anche i vetri delle finestre. Andavamo in bici fino a Rimini, presso la vetreria Lambertini, dalla quale ci rifornivamo, ritiravamo vetri e ferramenta e, con questo carico, si tornava a Viserba in bicicletta. Pur nella fatica, però, tra noi dipendenti e i ‘capoccia’ regnava una bella armonia. Si lavorava sodo, ma le risate non mancavano. Ricordo un giorno che Pino ‘Canocia’ rivolgendosi al titolare gli disse: ‘Sa faz treg ma la Sisal, a spac tot i vidri’ (se faccio tredici alla Sisal - azienda che si occupa di giochi e scommesse n.d.r. - spacco tutti i vetri!). Alcuni giorni dopo, mentre giocava fuori dalla bottega, con una gran pallonata infranse veramente (ma involontariamente!) tutta la vetrata. Quando tornò il titolare Zvan, la prima cosa che disse fu: “l’a fat treg?” Finalmente il biroccio fu sostituito da un furgone di tre metri e mezzo. “Con questo nuovo mezzo a disposizione le consegne ci sembravano un gioco! - ricorda Carlo - Anche se,
cominciati a settembre, dovevano essere consegnati entro la Pentecoste, per l’arrivo dei tedeschi. All’epoca i mobili venivano consegnati già montati e non di rado noi uscivamo, a lavoro consegnato, con i clienti sulla porta con le valigie, pronti per entrare in casa.” Negli anni Sessanta, con l’aumentare del lavoro, il laboratorio venne
allargato creando uno spazio per l’assemblaggio e la finitura e divenne necessaria anche più manodopera. In quegli anni vennero assunti altri due operai: Pino Gattei, detto ‘Canocia’ per la sua magrezza e Mario Amaducci. “Io, allora, ero responsabile delle consegne e il nostro mezzo di trasporto era un biroccio trainato da
In alto: i soci della Federazione Italiana della Caccia, sezione di Viserba. Sotto: Carlo e il suo cane da caccia
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una volta, per portare un unico corrimano lungo sei metri, dovemmo mettere, davanti e dietro al furgone, due persone che scortavano a piedi il mezzo, tenendo le estremità del legno con le mani!” Fra i lavori più importanti dell’epoca, che a Carlo piace ricordare, ci sono tutte le parti strutturali in legno della chiesa di Viserba Mare e la porta del cimitero comunale, ma anche tutte le sedie dell’allora Cinema Roma, di proprietà del signor Zignani, che venne inaugurato con una grande cerimonia ufficiale. Di grande pregio anche la magnifica porta di Villa Adelia, questa realizzata in epoche più recenti, nel 2002, in puro stile Liberty. “Il proprietario Massimo Matteoni e il suo architetto Roberta Marcuzzi di Pesaro - racconta ancora - mi commissionarono l’opera ricordandomi che stavo lavorando ad una casa tutelata dai beni culturali e che, per la fedele collocazione nello stile della belle époque, attirò anche pullman di persone e intenditori che venivano a visitarla.” (vedi articolo pag. 62).
Nel 1961 Carlo partì per il servizio militare e dopo diciotto mesi, al rientro, si sposò con Adriana Ceccarelli. “Nel frattempo, però, il lavoro era un po’ calato – prosegue - e noi operai lavoravamo a giorni alterni. Durante i mesi estivi alcuni di noi si ingegnavano con lavoretti di fortuna, chi come salvataggio, chi come barista. Fu una crisi temporanea dei primi anni sessanta. Poi, con la ripresa del lavoro,
In alto, lo stand fieristico nel quale la Bottega di Falegnameria Carlo Amati espose uno dei suoi lavori più importanti, la porta d’ingresso di Villa Adelia. A lato, la porta completata come tuttora appare sulla facciata principale di Villa Adelia Sotto, Carlo Amati riceve il riconoscimento in occasione della manifestazione “Art’Arte” dedicata all’artigianato artistico
anche la nostra vecchia macchina combinata dovette andare in pensione. Nel 1968 acquistammo un macchinario più moderno e sofisticato, ma meno efficace. Gli eventi ci riservarono anche brutte notizie: prima fra tutte, nel 1975, quella che ci fu comunicata dal parroco di Viserba, l’allora don Antonio: si trattava del ricovero urgente e inaspettato di Giovanni Battagli che, quindi, per motivi di salute, non sarebbe più tornato al lavoro. Zvan ci ha lasciati nel 1985. Nel 1995, tutta la responsabilità della bottega passò a me, anche se il consiglio e l’appoggio morale del mio anziano babbo mi avrebbe comunque sempre affiancato fino ai suoi 85 anni: fino ad allora prese parte alla vita della bottega con la stessa passione per il lavoro che aveva caratterizzato la sua intera vita. L’attività chiuse nel 2009, senza mai registrare, in sessant’anni, un solo incidente sul lavoro! È bello oggi sentire ancora tanti clienti e amici viserbesi che, ricordando i nostri lavori, esclamano: “Mi temp ad Bataia e Penna, l’era un’ elta roba!”
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Una storia
a caratteri tipografici di Nerea Gasperoni e Roberto Drudi | foto archivio famiglia Battistini
In un mondo dove la carta stampata e tutto ciò che è di carta rischia l’estinzione, Viserba festeggia i cinquant’anni della sua tipografia.
Entrare nella Tipografia Adria in via Ponchielli è come fare un salto nel tempo, balzati in un emozionante passato di inchiostri, carte e vecchie macchine tipografiche. Qui non ci sono le atmosfere industriali della moderna tipografia letterpress, come la chiamano gli anglosassoni, ma tavoli di formica anni Cinquanta,
immagini sacre sparse qua e là alle pareti insieme a quelle della cara moglie di Carlo, piccolo uomo con la dolce espressione dei grandi. Il racconto di Carlo Battistini, che per rintracciare meglio i ricordi si fa aiutare dall’amico ed ex socio Renzo Mini, inizia da quando lui, dopo aver frequentato un corso professionale
da tipografo presso la scuola professionale di Cesena, venne assunto nel 1956 presso la Tipografia Gattei di Rimini, all’età di 18 anni, con la mansione di compositore a mano. Tre anni dopo, nella stessa tipografia venne assunto anche Renzo, un ragazzo di 16 anni che, nel 1967, diventerà suo socio nell’attività di via
23| DELLE ARTI E DEI MESTIERI Mazzini 1 e che chiameranno Grafiche Adria. Carlo sarà il compositore mentre Renzo si occuperà delle macchine alla stampa. In pieno boom economico i due operai di Gattei decisero di fare il grande passo: a Viserba stavano nascendo come funghi locali da ballo, esercizi commerciali e pensioni che certamente avrebbero avuto bisogno di volantini e pubblicità, anche in quattro lingue! L’unica tipografia esistente in quegli anni a Viserba era la tipografia Giorgetti, che però lavorava principalmente per Comuni e commissioni statali. La prima sede delle Grafiche Adria si trovava nella stessa palazzina in cui viveva il poeta Elio Pagliarani. Ma non erano sue le lamentele per il rumore che la tipografia faceva fino a tarda notte. Erano di un certo “s-ciafuleina” che aveva il figlio iscritto all’università e doveva studiare per gli esami: quei sibili incessanti dei macchinari non lo facevano dormire! “Noi eravamo senza soldi e senza clienti. - raccontano a due voci - Acquistammo i nostri primi macchinari e cioè stampatrici tipografiche, macchina pedalina, stella tagliacarte, tutte automatiche adatte a formati standardizzati e piccoli. Il nostro primo fornitore fu Mussini di Reggio Emilia e non dimenticheremo mai la fiducia che ci accordò nel lasciarci otto milioni di macchinari con un solo acconto di quattrocentomila lire. Non ci chiese nulla di più. Non una firma, nessuna cambiale. In tre anni saldammo il nostro debito e in quella stretta di mano iniziale riconoscemmo il valore della lealtà degli uomini di un tempo.” Il primo lavoro venne commissionato
dal signor Renato Sberlati di Tagliata di Cervia. Il cliente lo aveva mandato un ex collega di Rimini perché all’epoca Gattei non aveva tempo per soddisfarlo in breve tempo, vista l’urgenza. “Noi, invece, - prosegue Carlo - non avevamo neanche la carta necessaria a fare quei cinquemila volantini e depliant con cliches di
Nella pagina accanto, da destra Carlo Battistini con il socio Renzo Mini all’interno del laboratorio delle “Grafiche Adria”. Sopra, le varie fasi del processo di stampa mostrate da Carlo
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zinco, destinati ad una fiera in Germania e una a Milano.” Il ricordo torna a quei primi giorni di attività, con la carta in prestito e il lavoro fino a notte fonda. Ma finalmente e in tempo fu consegnato il lavoro e con esso arrivarono i primi soldi con i quali Carlo e Renzo riuscirono ad aprire un conto corrente. “Con quel cliente la Grafiche Adria era partita! - dichiarano orgogliosi Il lavoro successivo furono i blocchi commissioni per la ditta Vini Faggioli. Un piccolo lavoro procacciato dalla mamma di Renzo.” Era un lavoretto, ma i due soci tennero gli scatoloni con la merce pronta alcuni giorni in vetrina per mostrare al paese che erano già molto attivi e pieni di lavoro. “Poi - ricorda Renzo - durante il periodo estivo, furono i lavori per dan-
cing e discoteche riminesi a farci decollare: soprattutto per la Villa dei Pini di Viserba, ma anche per l’Altro Mondo, per il Geo, per lo Chez Vous, per il Mondo di Notte e per il Confi-
dencial. Gli impresari decidevano le serate con gli artisti a notte inoltrata e dalla sera alla mattina dovevamo consegnare locandine e volantini. La nostra povera macchina Super Ege-
25| DELLE ARTI E DEI MESTIERI ria Nebiolo ha più volte rischiato il grippaggio!” I ricordi più divertenti di quegli anni si legano alla genialità tutta romagnola del signor Zarri, gestore della Villa dei Pini. “Fu lui a farci conoscere dei giovanissimi Claudio Baglioni, Lucio Dalla, Mario Tessuto, la Equipe 84, i Renegade. Era un mattatore che riempiva la pista del locale viserbese con furberie e spregiudicatezze: annunciava sulla locandina “serata con Antonio Biolcati”, sconosciuto, con caratteri minuscoli, “cugino di MILVA”, artista già famosa, a caratteri giganteschi o ancora la locandina riportava il complesso “I Giganti” e, in piccolissimo, “di Imola”, non già quelli conosciuti e famosi!” Quando l’attività nel 1972 viene trasferita in via Ponchielli, Carlo e Renzo potenziano i macchinari aggiungendo la Litografia, ma l’attività dell’azienda, ieri come oggi, si è sempre concentrata soprattutto su stampe di vario genere: depliant e listini prezzi per alberghi e attività, volantini, manifesti, biglietti augurali ma anche ricordini per i sacramenti, partecipazioni ed inviti e tutto quanto è solito accompagnare la vita del paese. “Solo i manifesti da morto non facevamo!” sottolinea Renzo. Una attività che nel tempo, con il sopraggiungere della tecnologia, è diventata meno creativa e ingegnosa, fino a divenire una semplice esecuzione con il digitale. “Noi lavoravamo, se necessario, ancora con i caratteri semovibili e la composizione a specchio: una vera e propria arte creativa.” Oggi Carlo, pur mantenendo la carica ad honorem e senza mancare un solo giorno nella sua bottega, ha lasciato le redini della tipografia al figlio Gabriele, entrato come operaio
nel 1990, divenuto socio nel 1994 e titolare dal 2003, mentre Renzo si gode la sua pensione e non lavora più in tipografia. Anche se oggi la tecnologia ci ha abituato a design, grafica e stampanti 3D, la storica artigianalità della Grafiche Adria accontenta ancora non poche esigenze della comunità Viserbese.
Nella pagina accanto, in alto: Carlo e Renzo in compagnia di Giancarlo Panighelli (Todro) e di Gabriele Battistini (figlio di Carlo). Sotto, alcuni prodotti editoriali realizzati da “Grafiche Adria”. In questa pagina, Carlo mostra il procedimento di taglio e rilegatura della carta
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Dalle due ruote al “Brec”
di Ruggero Testoni | foto archivio famiglia Mini
Chi non si ricorda del primo e storico meccanico viserbese? Una pedalata di ricordi in compagnia del novantatreenne Mario Mini. Dopo il cavallo, nella storia, la bicicletta divenne il mezzo più conosciuto e diffuso per lo spostamento dell’uomo sulla terraferma. All’inizio esibita dai più temerari, in seguito usata dagli avanguardisti, per un certo periodo simbolo di benessere sociale, poi mezzo di trasporto diffuso per una popolazione che si proiettava verso il boom economico e industriale post bellico, la bicicletta ha un passato glorioso. Oggetto desiderato fin da bambini, di utilità e divagazione nell’adolescenza, mezzo da competizione e sport per molti, la due ruote continua ad essere, ancor oggi, fonte di lavoro e passione per tante persone, compagna di eroici campioni nella storia del ciclismo. Queste righe, tratte da una lunga chiacchierata, intendono rendere omaggio a un uomo, Mario Mini di Viserba Monte, che alla bicicletta ha dedicato una vita, con passione e genialità. Nato a Bordonchio, zona Castellabate, nel luglio del 1924 da genitori contadini trasferitisi da Verucchio, fin da ragazzino ha manifestato una
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grande passione per la meccanica. Poco propenso a continuare le attitudini contadine dei genitori, sognava e seguiva curioso quel movimento circolare delle pedivelle, motrici di una catena e di una corona dentata che muovevano una grande ruota. Da ragazzino, durante le festività, Mario si posizionava sul sagrato della chiesa offrendosi di pulire e custodire le biciclette dei fedeli in cambio di un piccolo riconoscimento. Ogni occasione offriva al giovane l’opportunità di cogliere qualche piccolo segreto in più di quella ‘macchina’ ammaliatrice. Assecondato dal padre, persona dallo spiccato acume affaristico, iniziò ad acquistare biciclette usate nei vari mercati paesani, ripristinandole e proponendole poi a confinanti e paesani. In quegli anni il ciclismo e i suoi campioni contribuivano in maniera marcata alla diffusione della passione per la bicicletta. Il mercato di Cesena rap-
presentava il più interessante serbatoio di acquisizione, per la maggior disponibilità del nuovo e dei pezzi di ricambio. Con il passare dei mesi si ampliava anche la zona di vendita di Mario che, ricorda, sconfinava fino a San Marino. Precisamente era la zona di Falciano quella più fruttuosa, data la maggior facoltà d’acquisto della popolazione. Si partiva in due su altrettante bici, se ne vendeva una e si tornava in due sull’altra. Diversamente, se si vendevano entrambe, si tornava a piedi, stanchi. Ma era festa grande! Nel 1957, realizzando il sogno di quando era ancora un bambinetto, Mario decide di aprire una piccola rivendita sotto casa (negli spazi in cui oggi c’è il bar Angelo, a Viserba Monte). Qualche anno dopo l’attività si espande nei locali limitrofi, con annesso distributore di benzina. Come si suol dire: casa e bottega. La passione e le richieste per biciclette sempre più performanti lo
Nella pagina accanto e sopra, Mario Mini all’opera negli anni di gestione dell’attività
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porteranno negli anni ad assemblare mezzi su misura, ricercando e acquistando accessori particolari e costosi, curando più la qualità che il profitto, scegliendo, in poche parole, di restare nell’ambito del piccolo artigianato per potersi dedicare anima e corpo ai suoi ‘gioielli’. ‘Mini delle biciclette’. Chi non si ri-
corda del primo e storico meccanico viserbese? Eccellente artigiano, ricercatore e frequentatore di mercatini alla ricerca di pezzi di autentico antiquariato, ricorda con un sorriso quella sera che trovò sua mamma in soffitta che osservava con una candela in mano le ruote di legno di un fantastico cimelio che lui aveva
scovato da un rigattiere! Negli anni successivi, la storia si intreccia con la concessionaria Piaggio di Ettore Ruggeri di Rimini. Le ore a bottega sono state tante, dall’alba all’imbrunire, con la Gigia (sua moglie, Luigia Baietta, sposata nell’aprile del 1953 e mente commerciale della famiglia) che lo chiamava a gran voce per il pranzo in tavola, che lui riusciva a mangiare sempre freddo! Ancora oggi, a 93 anni, è rimasto amante della bicicletta: ne possiede tre, di grandi marchi dal passato glorioso (Bianchi, Legnano, Dei), tutte rigorosamente color nero con fregi dorati. Appassionato di moto, preferisce le vecchie Guzzi rosse con aquila in oro. Ne ha alcune, interessanti, da collezione, riposte in garage sotto la coperta. E di due ruote in due ruote, dal pedale al motore, ricorda con orgoglio di aver contribuito alla modifica del rullo propulsore del Mosquito prodotto dalla Garelli. Il Mosquito era un propulsore ausiliario, applicabile al telaio delle biciclette nella zona retrostante i pedali, che trasmetteva trazione alla ruota tramite un rullo zigrinato abrasivo; il serbatoio era situato nel portapacchi posteriore. Questa bicimotore ebbe un grande successo negli anni Cinquanta-Sessanta poiché non c’era bisogno di sostituire la bicicletta posseduta, ma semplicemente bastava assemblare il kit sulla propria. I vantaggi erano notevoli, perché quel propulsore imprimeva velocità alla bicicletta senza dover pedalare e quindi era lui a fare tutto il lavoro. Si riscontravano tuttavia alcune problematiche; fra queste, in particolare, l’eccessivo consumo del copertone, allora molto sottile e inadatto a quel rullo ricoperto di materiale abrasivo, che serviva sì ad aumentare l’attrito specialmente sul bagnato, ma che
limitava drasticamente la durata del copertone, che doveva essere periodicamente sostituito fra continue lamentele dei clienti. Un giorno nel negozio di Viserba Monte giunse un ispettore-capozona della Garelli. Disquisendo a proposito del Mosquito, Mini si lasciò sfuggire la definizione dialettale con la quale, data la sua funzione trainante, era solito chiamare il propulsore: ‘e brec’. L’ispettore, proveniente dal nord Italia, non capì il significato di quel vocabolo e dovette chiedere spiegazioni alla signora Luigia, che rispose: “un somaro!” Un po’ risentito nell’orgoglio aziendale (difficile capire le sfumature di cui le parole dialettali si ammantano) il rappresentante della Garelli pensò di dover spiegare meglio al ‘meccanico di paese’ il valore del mezzo in questione (“come sarebbe a dire, un somaro?”) che però diede all’esperto pan per focaccia con una descrizione tecnica dettagliatissima e non priva di suggerimenti sulla componentistica del rullo e su come superare il problema dell’attrito sul copertone. L’intervento fu talmente pertinente e valido sul piano tecnico da lasciare senza parole l’interlocutore. Trascorsi pochi giorni, dalla casa Garelli giunse per Mario un invito a presentarsi in fabbrica per un colloquio. Il rullo fu sostituito e rifabbricato secondo i suggerimenti di Mario Mini da Viserba, a cui fu inoltre prospettato di diventare il direttore corse delle Moto Garelli al giro ciclistico d’Italia.
Nella pagina accanto, Mario Mini in una foto degli anni 80 alle prese con un “Ciao”. Sotto, una veduta esterna della sua officina
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Dal carbone al 45 giri
di Maria Marzullo | foto archivio famiglia Campedelli
Le vetrine sono lo specchio della società su cui si affacciano, raccontano di mode che cambiano, di trasformazioni epocali, del nuovo che avanza…
Ci sono persone e botteghe che hanno contribuito, trasformandosi negli anni, alla storia economica di Viserba. Fra queste, guidati dal racconto di Genny, archeologa e guida turistica, vogliamo ricordare suo nonno Orazio Campedelli, scomparso a fine febbraio 2017 e sua nonna Marisa, scomparsa già da qualche anno. Genny Campedelli è figlia di Claudio, il primogenito della coppia, che ha avuto altri due figli: Carlo e Corrado. Orazio, ‘commerciante con la C maiuscola’ come lo definiscono alcuni amici viserbesi, era nato nel 1933 in località Case Nuove di via Orsoleto. Negli anni Cinquanta si sposò con Marisa trasferendosi a Viserba Mare dove, insieme alla moglie, ereditò l’attività di rivendita di carbone e piccoli elettrodomestici che era stata aperta dai suoceri alla fine degli anni Quaranta in via Polazzi, nello stabile
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in cui oggi si trova la fioreria Piccadilly. Con l’evoluzione del mercato energetico, il carbone venne via via sostituito dalle bombole a gas e verso la fine degli anni Cinquanta l’attività si sviluppò con l’apertura di una nuova sede in via Dati, di fronte alla piazza principale di Viserba, dove oggi c’è l’Ottica Galassi. Il negozio dei Campedelli, come molti dei residenti ricorderanno, non vendeva soltanto bombole a gas; era anche un negozio di elettrodomestici e siccome erano gli anni dell’esordio della televisione italiana, in vetrina facevano bella mostra di sé i nuovi apparecchi televisivi con le loro antenne chilometriche accanto a fornelli a gas, lavatrici, radio, giradischi e frigoriferi. Di fronte a quella vetrina i passanti si fermavano incuriositi ed affascinati da tanta nuova tecnologia! Negli anni Sessanta, oltre ad elettrodomestici e materiale elettrico, grazie all’intuito della signora Marisa, da Campedelli si potevano comprare anche dischi in vinile, tra cui i primi 45 giri dei beniamini del momento.
E, sull’onda della modernità, il negozio cambiò il nome in “La casa del disco”. “Mio nonno mi raccontava che in quegli anni tanti artisti venivano a Viserba in vacanza e alcuni per esibirsi al Garden Ceschi. - ricorda Genny Tutti, diceva con orgoglio, erano passati nel suo negozio! Ma quel negozio era anche un punto di riferimento per i viserbesi e sebbene pochi, anzi pochissimi, potessero permettersi di acquistare radio, giradischi e televisori, a chi si fermava incuriosito, veniva sempre rivolta una parola cordiale e un invito: ‘ti piace? prendilo, me lo pagherai!’ Erano anni difficili, il commercio si svolgeva quasi tutto a rate, ma senza tante firme e contratti, semplicemente sulla parola, come usava al tempo in cui la stretta di mano valeva su tutto e l’onestà non era solo un valore proclamato.” C’è un altro momento fondamentale della storia del commercio, non solo viserbese, che porta la firma di Campedelli. Fu quando, nel 1973, per poter essere competitivo con i prezzi degli elettrodomestici, a fronte dei
Nella pagina accanto, Orazio Campedelli davanti alla sua vetrina con il Maestro Secondo Casadei e signora in una foto del 1959. Sopra, un primo piano di Orazio Campedelli. Accanto, la moglie Marisa all’interno del negozio in una foto del 1964
32| DELLE ARTI E DEI MESTIERI grandi rivenditori che cominciavano ad aprire in quegli anni, insieme ad alcuni colleghi negozianti Orazio diede vita alla prima cooperativa di acquisto. L’intento era quello, appunto, di battere la concorrenza e offrire ai propri clienti un servizio sempre migliore. Inizialmente i soci si contavano sulle dita di una mano, ma in poco tempo il numero si allargò, fino a raggiungere una ventina di aderenti, con attività sparse sui territori di Rimini, Santa Giustina e Pesaro. Uno spirito cooperativistico che probabilmente fa parte del DNA dei romagnoli in genere, visto che questo atteggiamento si è contraddistinto nella nostra regione più che in altre, con iniziative svilup-
patesi tra la gente già nell’Ottocento, quando, piuttosto che aderire in massa ai flussi emigratori, in Romagna si sviluppò una specifica identità di classe che dal mutualismo si trasformò in cooperazione come strumento di miglioramento sociale ed economico. “La cooperativa si chiamava R.E.A. (Rivenditori Elettrodomestici Associati). - conclude Genny - Un’intuizione geniale per quei tempi! Il nonno e gli altri soci non sapevano di essere i precursori dei moderni gruppi d’acquisto, quelli che oggi conosciamo come G.A.S. (Gruppi di Acquisto Solidale).”
Genny, nipote di Orazio e il marito Giovanni oggi sulla spiaggia di Viserba
Orazio Campedelli nel ricordo degli amici Nei giorni successivi alla sua scomparsa, diversi concittadini, ricordando Orazio sul gruppo “Sei di Viserba se…” di Facebook, hanno ricostruito l’evoluzione della sua attività di commerciante/amico e confermato l’immagine di una persona per bene e stimata da tutti. Abbiamo raccolto alcuni dei loro commenti: “E chi non ha comprato da lui una televisione, una lavatrice o una cucina economica? Io lo ricordo con affetto quando veniva, anche di domenica, a cambiare la bombola del gas da mia nonna Carolina che si era appena accorta che… l’era finì e’ gas proprio mentre preparava da mangiare. Lui, sempre disponibilissimo a tutte le ore, col suo camioncino arrivava e in due minuti salvava il pranzo della famiglia.” “Nel suo negozio apparve il primo televisore, che riceveva i segnali con una lunghissima antenna che oltrepassava il tetto della casa dove era situato il negozio, edificio trasformato in seguito in Albergo Riviera.” “Credo di aver comprato da lui le mie prime musicassette.” “Finché c’è stato lui, la televisione si comprava solo nel suo negozio. Ricordo quando ero piccolo e con mio padre entravo in quel mondo tecnologico in cui mi piaceva già curiosare.” “Bella persona, Orazio, sempre disponibile e pacato; quando non funzionava qualcosa di elettrico, mia mamma lo chiamava e lui la tranquillizzava!” “Anche io ci ho comprato i miei primi 45 giri per il mangiadischi... Quando chiuse ci sentimmo spaesati.” “Con la scomparsa di Orazio Campedelli se ne va un altro pezzo della nostra cara Viserba.”
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La piadina
con cinque stelline di Marzia Mecozzi | foto Ruggero Testoni
Sapori e saperi, aneddoti scherzosi e storie di vita mentre la piada cuoce. “La piadina è il pane, anzi il cibo nazionale dei romagnoli”. L’affermazione di Giovanni Pascoli, che alla piada ha dedicato più di uno scritto, ben rappresenta questo prodotto, semplice e famigliare, emblema della Romagna. Anche “Vis a Vis” ha più volte raccontato la piada, attraverso il lavoro e le specialità dei suoi rivenditori, nel cui solco si collocano anche le protagoniste di queste pagine. A Viserbella, in piazzale Calboli, la piadineria e rosticceria ‘Le tre Sorelle’ è una delle più antiche botteghe del paese. Con Antonia Domeniconi e Anna Sorrentino, le due titolari, ci ritroviamo attorno alla stufa, mentre la cipolla e le salsicce si indorano lentamente sul fornello e l’aria si riempie degli odori tipici della Romagna mangereccia. Nel 2018 si festeggiano i trent’anni di attività. Era, infatti, il 1988 quando Antonia, dopo vent’anni di lavoro nella sua merceria e un periodo trascorso a fare esclusivamente la mamma, con le sorelle Rina (esperta cuoca) e Guerrina, decide di rilevare il negozio di piada e cassoni, già esistente, di Viserbella e dar vita alla nuova impresa. “Tre
sorelle che finalmente iniziavano la loro avventura insieme! - racconta Antonia, originaria di San Mauro (poi trasferitasi a Santarcangelo dove tuttora abita) - E così, ‘Le Tre Sorelle’ è stato il nome col quale abbiamo battezzato la nuova attività, acquistata nel giro di un solo giorno dopo averla trovata casualmente su un periodico di annunci: deciso e fatto! Giusto il tempo di portare a termine i lavori di ristrutturazione necessari (circa venti giorni) e nell’autunno siamo partite.” Dopo dieci anni di attività, ad allargare il gruppo che, dato l’aumentare del lavoro, necessitava di nuove forze, arriva Anna, amica e vicina di casa di Antonia. “I nostri figli giocavano insieme e noi mamme ci siamo piaciute subito. - spiega Anna - Una domenica ho
deciso di venire a trovare Antonia sul lavoro e mentre i ragazzini si divertivano nella piazzetta, ho dato una mano alle tre sorelle in negozio. Sono tornata anche la domenica successiva e poi quella dopo… Per l’estate mi hanno proposto di prendere ufficialmente servizio!” Anna, che di mestiere faceva la macellaia, è originaria di Scafate, un paese vicino a Pompei, e con la famiglia si è trasferita a Santarcangelo nel 1992. “Lavorare insieme ha ulteriormente rafforzato la nostra amicizia - prosegue Antonia - e quando le mie sorelle hanno lasciato l’attività, le ho proposto di diventare mia socia. Se non avessi avuto Anna al mio fianco sarebbe stato veramente duro affrontare le difficoltà di questi ultimi anni, come la perdita di
35| DELLE ARTI E DEI MESTIERI persone care, in particolare quella di mio marito che ci ha lasciati lo scorso anno.” Donne genuine e di carattere, che ci conducono dentro alle loro storie. Antonia parla dei rally e della passione che legava lei e il marito all’ambiente delle automobili sportive, Anna della sua nuova vita in Romagna dopo aver lasciato la sua terra all’ombra del Vesuvio. Passioni, lavoro e amicizia si intrecciano mentre il matterello rotola veloce sul disco di acqua e farina. È un luogo, la bottega della piada e dei cassoni, che sa di antico e di storia locale, un luogo di incontro per i clienti abituali che si accomodano sulle poche sedie permesse dal regolamento (solo per i tempi di attesa del prodotto da asporto) per scambiare due chiacchiere. Da quando la piazzetta davanti alla piadineria è stata arredata con il verde e la fontana, la zona è diventata anche più vivace e, soprattutto d’estate, è un gran via vai di gente, perlopiù turisti, di quelli, però, che tornano ogni anno e che ‘Le Tre Sorelle’ annovera nel gruppo dei clienti affezionati.
“Passione sì, ce ne vuole, perché il lavoro non è leggero. - riprende Antonia - D’inverno iniziamo a lavorare nel primo pomeriggio e andiamo avanti fino a sera, circa fino a mezzanotte. Invece l’estate iniziamo al mattino e andiamo avanti a oltranza anche fino alle due di notte. Alla sera si preparano gli impasti e le basi per l’indomani.” Però questa attività dà anche tante soddisfazioni, per esempio le cinque stelline nelle recensioni su Facebook. “La nostra forza è la qualità dei prodotti, tutto di prima scelta e di marchi italiani. – precisa Anna – Inoltre, lavoriamo di fronte al cliente: tutto a vista. Quindi: garanzia di pulizia, freschezza degli ingredienti, bontà del risultato.” E fra tipicità e tradizione si parla anche di modernità e di una comunicazione ‘al passo con i tempi’. Mettendo ‘mi piace’ sulla pagina Facebook ‘Le Tre Sorelle piada e cassoni’ è possibile vincere una buona merenda. Infatti, ogni cento ‘mi piace’, il centesimo fortunato vince una ‘piada classica’ (con prosciutto crudo, stracchino e rucola) e un cassone con la Nutella.
Tutti i vincitori sono documentati con foto sulla pagina del social network. In tanti anni di attività sono molte anche le storie simpatiche e gli aneddoti, fra i quali le due amichesocie si divertono a ricordare i più curiosi. “Le proposte gastronomiche sono scritte in cartoncini colorati con la forma delle nuvole affisse su quel muro. - dice Antonia, indicando la parete del negozio - Un giorno, mentre stiravo la piada di spalle, un cliente mi chiede un suggerimento e io gli rispondo ‘può prendere qualche spunto dalle nuvole’… Allora lui esce dal negozio e va a guardare il cielo!” La richiesta più stravagante? Nutella e alici, abbinamento richiesto da un cliente (straniero, naturalmente). Ma Antonia non gliel’ha preparato! Adducendo che le alici erano finite, consigliò al signore dal palato strampalato un abbinamento meno ardito! “Eh no, - ride Anna - non si può imbarbarire a tal punto un prodotto nobile come la piadina!” Piadina che, ci tengono a precisare le due signore, viene preparata alla vecchia maniera, con lo strutto. “Non è vero che il cliente vada sempre assecondato, - ribadiscono all’unisono - anzi, trattandosi di prodotti tipici del nostro territorio, è importante guidare le persone nella loro degustazione per far sì che una scelta di gusto sia anche una scelta di buongusto!” E a proposito di buongusto, alla fine della nostra chiacchierata ecco comparire sulla tavola un bel vassoio pieno di delizie, fra le quali il ‘rotolo’ specialità della casa, con prosciutto cotto, mozzarella e funghi, in abbinamento a una bottiglia di Sangiovese. Per brindare insieme al decimo numero di ‘Vis a Vis’ che le ha scelte fra i protagonisti di quest’ultima avventura.
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Sul filo dei ricordi
di Elisa Angelini | foto Nicola Sammarini
Cinquantasei anni di attività e una bottega nella quale sembra che il tempo non sia trascorso…
Rosa Cesarina Neri, meglio conosciuta come Rosina, è la storica ‘merciaia’ di Viserba. La sua bottega, nella quale ogni viserbese è entrato almeno una volta, dal 1962 si affaccia sulla via Sacramora, proprio di fronte a Villa Ombrosa. Pur non essendo originaria del paese, il lungo corso
del suo lavoro, iniziato a Viserba alla giovane età di dodici anni, le regala a buon diritto una cittadinanza ad honorem. Il viaggio della memoria di Rosina parte dal suo paese di nascita, Pietracuta, che le diede i natali il 28 novembre del 1928 da genitori originari di Santarcangelo di
Romagna. È una storia che parla di guerra, di amore e di un lavoro che ha accompagnato la sua intera vita e che ancora oggi, con alle spalle novanta primavere, prosegue con la tenacia di sempre. “Quando, prima della fine della guerra, nel 1940, rimasi orfana di padre, - racconta – i miei progetti per il futuro vennero completamente stravolti. Mi vidi costretta ad abbandonare il sogno di diventare sarta andando ‘a bottega’, e a ripiegare su un lavoro ben diverso, dovendo contribuire economicamente al sostegno della famiglia.” Iniziò così, a dodici anni, a svolgere il mestiere di ‘collaboratrice domestica’ in casa della cugina che abitava in una grande casa che sorgeva dove attualmente è stato edificato il centro commerciale Conad La Fonte. “Feci ritorno a Pietracuta in piena guerra, come tanti riminesi che avevano cercato riparo tra le colline. Lì eravamo al sicuro dalle bombe, ma non dalla dolorosa attesa di riveder tornare a casa i miei fratelli sani e salvi. Attesa. Non solo dei fratelli, ma anche di Luigi, il giovane che prima di partire per la guerra, nella casa viserbese dove lo aveva conosciuto, le aveva chiesto di aspettarlo perché sarebbe tornato da lei. Rosina lo aspettò, per sei anni, senza avere notizie di lui, fino al 1947. In quell’anno Rosina era tornata a Rimini e lavorava presso una famiglia benestante. In occasione di una visita alla cugina
37| DELLE ARTI E DEI MESTIERI ritrovò Luigi; anche lui era tornato sano e salvo dalla guerra e adesso viveva e lavorava come falegname a Viserba. Dopo un anno e mezzo di fidanzamento, i due giovani convolarono a nozze e vennero ad abitare in via Sacramora nella casa di Luigi, esattamente dove ora è situata la merceria. Gli anni successivi furono allietati dalla nascita dei loro tre figli: Serafino, il più grande, nato nel novembre del 1949; il secondo, Domenico, nato nel 1953; la terza figlia, Antonietta, nata nel 1958. Rosina, che non aveva mai dimenticato il vecchio sogno di diventare sarta, iniziò a pensare di riprendere a lavorare; gli affari di Luigi, nella sua falegnameria, andavano bene e così, nel 1962, decisero di aprire un negozio di merceria e biancheria intima. “Non era proprio come essere una sarta – dice Rosina – ma aveva qualcosa in comune con quel mestiere. Vendevamo anche articoli da spiaggia, bigiotteria, costumi da bagno…” Il negozio è lo stesso che oggi vediamo, cinquantasei anni dopo. “Pensate che l’arredamento lo ha fatto mio marito quella volta. È ancora lo stesso, non abbiamo toccato niente!” Luigi, purtroppo se ne è andato all’età di sessantatre anni, quando Rosina ne aveva solo cinquanta. È anche per questo motivo che tutto è rimasto come lui lo aveva fatto, per non perdere neanche un solo ricordo della loro vita insieme. Questa bottega è come un grande scrigno che racchiude una storia importante. La sua proprietaria ha un dono straordinario: la gioia di vivere e la voglia di sorridere e per questo vuole raccontarci anche le cose buffe che, in tanti anni sono accadute. “Una volta entrò di corsa una signora che voleva comprare immediatamente un paio di mutande... – ricorda - io
avevo cominciato a mostrargliene diversi tipi quando la signora, non riuscendo più a trattenersi, ha detto ‘me ne dia uno qualunque, la prego! Ho addosso le mutande che ho comprato in un negozio di articoli cinesi e mi bruciano troppo!” I suoi prodotti, infatti, sono sempre stati di prima qualità, tutti filati e tessuti di aziende italiane. “Una volta - dice ancora a proposito di stranezze - è entrata una signora cercando un pizzo particolarissimo, molto pregiato, di colore rosa. Le domandai se avesse bisogno di fare una cuscino di nozze, perché solitamente queste richieste riguardano le cerimonie. Invece era per il cuscino del suo gattino che adorava il colore rosa. Il rappresentante presente alla scena rideva sotto i baffi!” Purtroppo con l’avvento dei grandi store la vendita si è ridotta notevolmente, ma da Rosina si viene a comprare maglie, intimo, cerniere, passafilo, filo, gomitoli, aghi...quello che non si trova più nei centri commerciali. Ma soprattutto, qui si viene perché, entrando nella sua piccola bottega, si è accolti da
lei, la Rosina, una colonna portante del commercio viserbese da oltre sessant’anni e dove a ciascuno sembra che il tempo, come per magia, si sia fermato.
Nella pagina accanto, un primo piano di Rosina. In questa pagina, in alto, la vetrina della sua bottega oggi. Sotto, Rosina all’interno del suo negozio
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Il lungo viaggio sulle note dell’orchestra di Francesco Protti | foto archivio Franco Bernucci
Una vita fatta di tante città, eleganti locali, bel mondo e tanta musica, al tempo in cui le orchestre erano una delle attrazioni più amate dal pubblico. Alla chitarra, Francesco Bernucci. La Romagna ha dato i natali a tanti illustri personaggi della cultura, della poesia, del cinema e soprattutto della musica; personaggi nati e cresciuti nelle tradizioni artigiane degli anni Trenta e Quaranta, alcuni dei quali non avrebbero mai immaginato che il destino avrebbe riservato loro vite diverse dalla quotidianità cui erano abituati. Erano giovani che, in quegli anni difficili, crescevano all’ombra del campanile della piccola chiesa di paese e che ancora dovevano sperimentare tutto ciò che il secondo conflitto mondiale avrebbe portato nella loro vita e nella loro terra. Fra questi ragazzi c’era Francesco (Franco) Bernucci, classe 1928, musicista e, nella fattispecie, chitarrista e violinista. Il racconto di Franco parte dagli anni Quaranta, esattamente dal novembre 1943 nel pieno dei drammatici eventi bellici e descrive quadri di
39| VOLTI E STORIE vita e aneddoti che ricordano i film di Federico Fellini. “Nonostante la guerra eravamo pur sempre ragazzi! - esordisce Franco - Fra i problemi di ogni giorno, quello più serio e turbolento era il mio rapporto con la scuola, specialmente con la professoressa di chimica. Il problema era stato causato dalla mia somiglianza con il mio compagno di banco (tanto che ci scambiavano per fratelli), certo Sperandini. Lui abitava a San Marino e io a Pietracuta. Nella stessa San Marino abitava la professoressa che, ogni volta che passava davanti al bar frequentato dal mio compagno, questi la chiamava e, subito dietro, una gran pernacchia! La nostra insegnante prese di mira me e non mancava occasione per riprendermi a scuola in tutti i modi, credendo che l’autore degli scherzi fossi io. Un giorno persi la pazienza, gettai tutti i libri sulla cattedra, mandai all’inferno l’insegnante e tutta la scuola e me ne tornai a casa. Intervennero anche i carabinieri! Poi tutto finì, ma non potei più tornare in quella scuola, né in altre, essendo stato espulso.” Archiviata l’avventura scolastica, Franco Bernucci, utilizzando la vecchia chitarra del padre, trascorreva il suo tempo dedicandosi con sempre maggior passione alla musica. Un giorno, per caso, lo ascoltò un fisarmonicista (si chiamava Grilli) che in quel periodo aveva fatto alcune incisioni per la casa discografica “La Voce del Padrone”. Ben presto gli propose di suonare insieme e siccome Franco sapeva a malapena alcuni accordi, iniziò il periodo di apprendimento più serio che, nel giro di poco tempo, lo portò alla confidenza con le note e il pentagramma, cui seguirono le prime feste sull’aia dei contadini, nel
dopolavoro locale e nei paesi limitrofi. Trasferitosi con la famiglia a Rimini, a un anno dalla fine della guerra, Franco iniziò una nuova avventura musicale con Vittorio Corcelli che, in qualità di cantante di musica leggera e jazz si unì al gruppo creato da Franco Bernucci (chitarra e violino). Del gruppo facevano parte anche Ettore De Minicis (fisarmonica), che sarebbe poi diventato ginecologo al Niguarda di Milano; Osvaldo Paganelli (sax contralto e clarino), che in seguito sarebbe diventato vice direttore all’Università di Bologna; Michele Tarrico (tromba), che sarebbe diventato un noto pittore surrealista; Mimmo Monticelli (primo violino), specializzato in valzer e tanghi, e Athos Mancini (batteria). Ben presto il successo arrise al bel gruppo che allietò molti pomeriggi e serate danzanti “propagandistiche“ per i movimenti politici dell’epoca. Nel frattempo si andava consolidando il sodalizio artistico tra Franco e Vittorio Corcelli, che ben presto misero in piedi una grande orchestra di dodici
Nella pagina accanto, Francesco (Franco) Bernucci in una recente immagine. In questa pagina, in alto, Franco durante una performance. Sotto, con la moglie Ottavia e il figlio Paolo
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elementi dal nome ‘Old Metronome Band’ con la quale intrapresero il primo ‘tour’ alla periferia di Rimini (Miramare, Riccione, Santarcangelo, Coriano, Verucchio, San Marino) collezionando applausi, pubblico entusiasta e bei locali. Per Franco uno di questi locali, il ‘Teatro Nuovo’ di Viserba nato come sala da ballo e poi trasformato in cinematografo, significò una svolta nella vita privata. “Il viserbese Neri Naccari - racconta Franco - aveva rilevato il locale facendone una sala da ballo e ci propose di suonare il sabato e la domenica. Fu un successo strepitoso! Quando suonavamo i tanghi, Vittorio non cantava ma scendeva tra il pubblico e si univa al ballo. Io, tra le signore e signorine presenti, ero rimasto colpito da una ragazzina con delle trecce e una frangetta sulla fronte da sembrare una indiana; ne avevo parlato entusiasticamente con Vittorio che, un pomeriggio, tornando sul palco mi disse che quella ragazza aveva manifestato l’intenzione di ballare
con me. Non me lo feci ripetere due volte e la invitai con grande slancio, tanto che lei pensò che fossi ubriaco. Ballammo e tra una chiacchiera e l’altra prendemmo appuntamento per il giorno seguente. Il giorno dopo seppi da lei che era stato Corcelli a combinare il tutto; uno dei suoi
scherzi proverbiali. Ma mai scherzo fu più riuscito: perché, galeotto il ballo, conobbi mia moglie Ottavia.” La carriera musicale di Franco entra nel vivo con le prime tournée a Trieste, dove viene scritturato dal grande fisarmonicista Gianni Fallabrino, per la sua orchestra, cui fa seguito la stagione veneziana, al celeberrimo locale ‘Antico Martini’, adiacente al Teatro La Fenice. Nella Serenissima, allora, erano di casa personaggi come l’attrice Barbara Hutton e il compositore Cole Porter. C’era anche l’armatore Onassis, che, sul suo panfilo ‘Cristina’, durante l’estate organizzava la ‘Crociera dei Re’, un viaggio in compagnia del bel mondo dell’epoca, fra cui Maria Callas, Cole Porter, l’armatore greco Stavros Niarchos, l’ex re Edoardo VIII (che aveva abdicato per sposare Wallis Simpson), la regina Federica di Grecia e altre personalità illustri. Fra i tanti ricordi di quel periodo, Bernucci si sofferma su un curioso episodio avvenuto alla cena di gala per la partenza
41| VOLTI E STORIE della ‘Crociera dei Re’. “Ad un certo punto della serata, - racconta - una signora elegantissima che indossava un gioiello incredibilmente bello mi chiama vicino a sé e mi chiede se potevamo suonare ‘Night and Day’ in onore di Cole Porter, presente alla festa. Tornando sul palco, accidentalmente con il filo della chitarra rovesciai un bicchiere pieno che finì proprio sul vestito della signora. Ci fu un gran via vai e accorrere di personale, tutti sembravano molto arrabbiati con me per l’accaduto. L’unica persona divertita era la signora che, in seguito, seppi essere nientemeno che la regina Federica di Grecia!” Nel 1957 Franco venne chiamato dalla Rai, che gli affidò la direzione dell’ ‘Orchestra Italiana’ al Festival della Canzone Italiana di Barcellona. Sempre in quell’anno l’orchestra Fallabrino si sciolse. Franco propose quindi ai superstiti del gruppo di recarsi a Viserba, posto tranquillo, dove avrebbero potuto raccogliere idee e nuovi progetti. Fu qui che
nacque l’orchestra ‘I Dandies’. L’impresario trovò per il nuovo gruppo musicale un vecchio castello trasformato in albergo e night club ad Appiano. Il locale era una specie di banco di prova per orchestre che dovevano ‘forgiare’ nuovi elementi; non c’era stipendio, venivano forniti esclusivamente vitto e alloggio.
Ma era una prassi comune nel mondo artistico. Sono tanti i bei momenti vissuti con il gruppo e Franco, ricordandoli con grande emozione, riesce a collegarli tutti, fra una data e l’altra, a braccio e seguendo gli appunti raccolti e le fotografie, ricordi che collegano località turistiche e città d’arte, in Italia e all’estero.
Nella pagina accanto, in alto, Franco e la band posano davanti all’Embassy Club di Rimini. Sotto, i Dandies sulla fontana di via Roma a Viserba. In questa pagina, in alto, i Dandies al “Estoril Night Club” di Torino. Sotto, le prove prima del concerto all’”Antico Martini” di Venezia
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Nel 1958, precisamente il 13 settembre, Franco sposò Ottavia e insieme si stabilirono a Torino, dove il nostro protagonista continuò la sua avventura musicale, lavorando in pianta stabile presso l’ ‘Estoril Night Club’, locale di grande prestigio, frequentato dagli Agnelli, dai Ferrero, dai Lavazza e dal mondo del cinema per il quale, Franco Bernucci ha in serbo un curioso siparietto... “Una sera - ricorda - arrivarono all’Estoril Walter Chiari e Ava Gardner che in quel periodo stavano vivendo la loro intensa love story. Alle tre e mezza del mattino, mentre i clienti uscivano dal locale, Walter Chiari mi chiese di rimanere a suonare la chitarra solo per loro due e così, accontentandoli, giunse quasi l’alba. Ava Gardner, piuttosto alticcia per l’alcool bevuto, era prodiga di complimenti per me, ripeteva che suonavo meglio di Segovia! Dopo avere suonato molti brani, alle sette del mattino, mentre stavo eseguendo ‘il Concerto d’Aranjuez’, io e Walter Chiari ci accorgemmo che
l’attrice piangeva copiosamente per l’emozione; fu in quel momento che Walter la caricò sulle spalle e, dopo avermi allungato centomila lire di mancia, se ne andarono.” Nell’estate del 1959 ci fu il grande balzo oltre confine, con un ingaggio a Beirut, in Libano. All’arrivo i ‘Dandies’ vennero accolti dal proprietario del ‘Cave de Roi’, un edificio incredibile, stile regno di Re Artù. Nel locale suonava già Bruno Martino e vi fu grande propaganda per la sera del debutto dei ‘Dandies’ nell’altro famoso locale di Beirut, l’ ‘Elefant Noir’, pubblicità che Bruno Martino non gradì molto, tanto che una sera si lamentò perché nel locale dove lui suonava non c’era nessuno! Il successo dei ‘Dandies’ fu tale che un noto importatore di juke box per il Medio Oriente, allora poco conosciuti in Italia, fornì i dischi che andavano per la maggiore affinché l’orchestra li imparasse per eseguirli nei locali. Vale ricordare che tra questi dischi era presente quello di un cantante, certo Harry Belafonte,
sconoscito in Italia, con la sua ‘Banana Boat’. Fu un momento magico per gli orchestrali italiani, che ogni sera registravano il tutto esaurito con grande risalto sulle pagine dei giornali specializzati. Solo una sera l’orchestra non calcò le scene del locale, essendo stata invitata dallo Scià e dall’imperatrice di Persia a rallegrare una serata nella loro maestosa villa in montagna! La permanenza dell’orchestra a Beirut fu bruscamente interrotta dalla rivoluzione; le serate furono sospese per il coprifuoco e per paura di attentati. Si susseguirono giorni d’ansia, anche perché, nel frattempo, Franco e Ottavia erano stati allietati dalla nascita del loro figlio Paolo. Con un bambino così piccolo, per il quale era difficile persino trovare il latte, la permanenza era abbastanza problematica. La situazione politica e la rivolta aumentavano i pericoli e gli orchestrali dovettero partire precipitosamente, prima con un cargo (carretta del mare), poi attraverso un estenuante viaggio in treno. Arrivarono a Rimini distrutti nel fisico e nel morale; il tempo di respirare e già il Maestro era pronto per raggiungere i suoi orchestrali al Casinò del Lido di Venezia. “Lasciata Beirut e la rivoluzione in atto, a Venezia ci aspettava l’incarico di sostituire l’orchestra di Alberto Rabagliati, contestata dal pubblico. Un impegno gravoso che ci preoccupava non poco, conoscendo la fama di Rabagliati. Ma al pubblico, evidentemente, lui proprio non piaceva. Iniziammo in sordina e con una certa ansia da prestazione con ‘Banana Boat’, ancora sconosciuta in Italia, e continuammo con brani sudamericani; il pubblico smise di ballare ed entusiasta, in mezzo
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alla pista, ci ascoltava cercando di imparare questi nuovi ritmi. Una sera capitò nel locale Vittorio De Sica, che mi si avvicinò e mi disse: ‘Maestro, suonate, suonate! Perché con quello che ho perso questa sera potete suonare un mese’. E ci diede cinquantamila lire di mancia. A Venezia, applauditi e felici, suonammo per due estati e due inverni...” Scaduto il contratto a Venezia, i ‘Dandies’ approdano a Napoli, allo ‘Shaker Club’. Anche in questo locale non mancavano, alla sera, personaggi della cultura e della musica; piace ricordare al nostro Franco lo scrittore Ennio Flaiano che, con Carlo Vian (autore della celeberrima ‘Luna Rossa’), era un habitué del locale. Tantissime le serate memorabili del quintetto in un locale dove erano passati Renato Carosone, Peter Wan Vood e un giovanissimo e allora poco conosciuto Peppino di Capri. Nel novembre di quell’anno il gruppo fece nuovamente i bagagli con destinazione Roma, si suonava alle famose ‘Grotte del Piccione’, un locale particolare dove si respirava l’aria dell’antica Roma, frequentato da tutto il jet set della città: Aldo Fabrizi e la sua compagnia, i fratelli De Filippo, qualche apparizione di Paul Newman, mentre ospite fisso, in quel periodo, era Gregory Peck, impegnato nelle riprese di un film (pensiamo si sia trattato del famosissimo ‘Vacanze Romane’ - ndr). Nel locale i ‘Dandies’ si alternavano, ogni due ore, con l’orchestra di Don Marino Barreto jr. Dopo una puntata per un contratto a Torino, a fine febbraio con grande felicità il gruppo poteva tornare a Beirut, che aveva battezzato come il paradiso terrestre, ma che ben presto si rivelò ancora pieno di disordini.
Così, per non incappare in altre drammatiche situazioni, fece ritorno in Italia per suonare a Sorrento. Breve parentesi musicale a Milano, poi la telefonata dell’impresario per un nuovo contratto in Danimarca, in quel di Copenaghen; non proprio dietro l’angolo. In terra danese Franco, Ottavia e il piccolo Paolo si sistemarono in una pensione in cui affittavano piccoli appartamenti nella quale fecero amicizia con una gentilissima signora, madre di un famoso scienziato. “Una parentesi curiosa. - spiega Franco - Ricordo che un pomeriggio con un cameriere del locale andai allo stadio per un incontro di calcio. Mentre eravamo in fila per l’acquisto del biglietto, il mio amico mi indicava insistentemente un distinto signore davanti a noi per poi dirmi che quella persona era nientemeno che il re Federico di Danimarca in fila come tutti per l’acquisto del biglietto!” Durante questa permanenza la famiglia Bernucci, una sera, ricevette la visita di un distinto signore che li ringraziò
Nella pagina accanto, i Dandies atterrano a Beirut. Qui sopra, la formazione durante le prove. Sotto, Franco Bernucci a Copenaghen
44| VOLTI E STORIE vivamente per la compagnia che lui e sua moglie avevano fatto a sua madre; il signore altri non era che Julius Robert Oppenheimer, nientemeno che il padre della bomba atomica! Gli appunti di viaggio di Franco Bernucci fanno scalo a Montreux, in Francia, meravigliosa cittadina di villeggiatura per vip, dove ‘I Dandies’ passarono due mesi mietendo successi nei locali del Casinò e soprattutto nel locale dove si esibiva uno strepitoso Gilbert Becaud con il suo repertorio (“Et maintenant”, “Nathalie”, “Mes mains”, “Mé qué, mé qué”), per poi terminare ballando sul pianoforte e suonandolo con... i piedi. Qui i nostri presentarono la celeberrima “Granada” (lanciata in quegli anni dal grande tenore Mario Lanza), con un successo strepitoso! A Londra, invitati dalla I.TV, network della televisione inglese, si esibirono in una diretta TV all’interno dello spettacolo della cantante Connie Francis. Fu una serata incredibile, messa in risalto, il giorno seguente, dalla stampa inglese specializzata. Nel 1963 i Dandies si sciolsero a causa di forti dissapori fra due orchestrali e in quello stesso anno Franco Bernucci ricevette la proposta dell’Orchestra “I 5 Duca”, gruppo alla ricerca di un chitarrista; fu assunto e il tour in Italia e in Europa proseguì in prestigiosi locali di Roma, Tunisi, Zurigo, Ginevra, raccogliendo ovunque lusinghieri successi. Il tempo passava inesorabile; Paolo cresceva (era ormai giunto alla terza elementare) e per il suo bene era giusto fermarsi dal tanto girovagare. Fu il 1966 l’anno in cui Bernucci appese la chitarra al chiodo per riprenderla saltuariamente solo in occasione di feste tra amici. Si concluse così per l’artista un’esperienza unica e una carriera invidiabile, dopo aver lavorato e
vissuto in città e locali favolosi, dove ogni serata era una sorpresa fra teste coronate, attori e artisti che rappresentavano il meglio dell’alta società di quegli anni, quando i locali da ballo non si chiamavano discoteche, quando i night club erano anche situati all’interno di sontuosi palazzi o ristoranti, quando il rock and roll doveva ancora coinvolgere le schiere di ballerini, i juke box facevano la loro prima timida apparizione e la musica italiana, francese e d’oltre oceano suonata da prestigiose orchestre la faceva da padrone. L’Odissea del chitarrista romagnolo è stata una splendida avventura, costellata sì da tanti sacrifici e a volte seri pericoli, ma gratificata dalla soddisfazione di avere rallegrato le persone, reso felici tante coppie e magari favorito lo sbocciare di nuovi amori. Come per lui e Ottavia.
Accanto, un trafiletto di giornale elogia le qualità del musicista. Sotto, la formazione de “I 5 Duca”
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Cinquanta sfumature di tutti i colori di Marzia Mecozzi | foto archivio famiglia Moretti
Il prossimo anno il colorificio MP festeggerà il 50° anniversario. Con pennellate precise ne dipinge i contorni Fabrizio Moretti CEO dell’azienda, parlando anche di momenti difficili e decisioni coraggiose.
Alcune fra le storie imprenditoriali di maggior successo hanno in comune un romantico quanto favoloso inizio o luogo d’origine: il garage di casa. È lì che avvengono le alchimie più straordinarie e, che si tratti di invenzioni dell’epoca di Internet o di imprese diverse, non fa differenza: il garage è il luogo mitologico in cui si forgiano le basi del successo. È nel garage di famiglia, infatti, che Giorgio Moretti con la moglie Maria Pasini, nel 1969, fonda il Colorificio MP, una delle più note aziende del territorio riminese che oggi opera nell’ambito della produzione e vendita di tutte le linee di vernici per
interni ed esterni, smalti murali, pitture e rivestimenti ad alte prestazioni, sistemi a cappotto, effetti decorativi, sistemi per il restauro, il risanamento e la sanificazione degli ambienti. La storia del Colorificio MP è fatta di colori, come quelli brillanti del suo marchio che, nell’acronimo MP, contiene i cognomi dei due coniugi: Moretti e Pasini. La racconta, per queste pagine di memorie della terra delle acque, Fabrizio Moretti, primogenito di Giorgio che, insieme al fratello Onide, di sette anni più giovane, prosegue, con interessanti sviluppi, un’attività di famiglia fatta di tappe e di decisioni coraggiose. Già pre-
47| VOLTI E STORIE sidente di CNA e oggi di Camera di Commercio della Romagna di Forlì – Cesena e Rimini, Fabrizio, CEO di MP, ci riceve nel cuore direzionale dell’azienda situata nella zona artigianale di Viserba, sopra il moderno show room. Onide, invece, presiede la produzione, nel cuore ‘creativo’ della MP, dove avvengono tutte le magie e dove tecnologie industriali all’avanguardia si ‘mescolano’ alla tradizionale impronta romagnola che rappresenta uno dei pilastri fantasiosi e laboriosi del Made in Italy. “La famiglia di mio padre, il cui soprannome è ‘Matiòn’ (i mattacchioni) – inizia a raccontare Fabrizio Moretti – era originaria di Bordonchio e dedita all’agricoltura. Non appagato dal lavoro nei campi, mio padre iniziò a fare l’imbianchino lavorando per la IVAS (Industria Vernici e Affini Sammarinese) finché, trasferitosi a Viserba, avviò insieme a due soci una ditta di pittura edile in proprio. Fu una scelta fortunata, anche in considerazione del periodo storico in cui, in questa zona, l’edilizia stava vivendo il suo boom. Costruì la nostra casa in via Marconi e dopo qualche anno, all’incirca a metà degli anni Sessanta, aprì il negozio di vernici e ferramenta in piazza Dossi, vicino al Bar Tazza d’Oro.” La prima svolta nell’attività fu determinata dal suggerimento di un rappresentante di vernici che propose a Giorgio di avviare una produzione di vernici propria, con formule e ricette da lui suggerite. “L’idea piacque molto a mio padre che si mise all’opera adibendo il garage dietro casa a laboratorio.” La cosa funzionò talmente bene che, di lì a pochi anni, il garage non bastò più a contenere tutta la produzione. Il laboratorio fu quindi trasferito nel nuovo capannone preso in affitto dai signori Pozzi,
sito di fianco alla loro casa. Fra le note curiose, ricordiamo che in quel capannone non si miscelavano soltanto vernici; infatti, un giovanissimo Fabrizio, liceale del Giulio Cesare e appassionato musicista, in quegli spazi faceva le prove con la sua band che aveva un nome in linea con le suggestioni dell’epoca: “Le Origini”. “Nel 1969, dopo aver lasciato la ferramenta, mio padre si dedicò anima e corpo alla nuova attività. – prosegue il presidente Moretti – E io con lui. Quando finiva l’anno scolastico, infatti, iniziava la mia ‘stagione’. Non era leggera: durante il giorno lavoravo alla produzione delle vernici che veniva fatta tutta a mano e ogni sera, con la band, suonavamo nelle feste e negli hotel. Nelle ore intermedie facevamo le prove. Il fatto è che, quando si hanno quindici o sedici anni, si ha la forza per fare tutto… compreso scaricare ogni giorno sacchi da cinquanta chili di materiale, tutti a mano, in condizioni lavorative che nulla hanno a che vedere con quelle attuali!”
Nella pagina accanto, da sinistra, Giorgio Moretti, Maria Pasini, al centro don Giancarlo Moretti fratello di Giorgio, a fianco Onide Moretti in braccio al nonno Vincenzo Moretti, Fabrizio Moretti nel 1965. Sopra, Giorgio e Frabrizio Moretti davanti al negozio di ferramenta in piazza Dossi a Viserba nel 1967. Sotto, l’antica sede del Colorificio MP presso Villa Pozzi in via Marconi 28 a Viserba nel 1977
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Nel 1975 Fabrizio entrò ufficialmente in azienda. “In quei primi anni mi sono occupato di tutte le fasi della nostra attività: – ricorda Moretti – vendita e acquisto vernici e prodotti complementari, consegne, rappresentanza; poi ho iniziato anche a creare i colori. Intanto l’azienda continuava a crescere impegnando in vari ruoli tutta la famiglia e nuovi collaboratori. Finito il militare ci affiancò mio fratello Onide; all’età di diciannove anni fu la volta di mia moglie Gigliola, entrata in azienda come ragioniera; sempre a diciannove anni aveva iniziato il lavoro anche Roberta, oggi moglie di Onide. Nei primi anni Ottanta la MP fu trasformata in una società di capitali ponendo le basi finanziarie per un significativo balzo in avanti sul piano industriale.” Datata 1987 è una nuova importante svolta: il trasferimento nella nuova attuale sede, uno stabilimento di 2500 mq. “Fu un investimento rilevante in rapporto al fatturato dell’epoca. – dichiara Moretti – Una decisione coraggiosa, ma giusta perché significò trasformare la piccola impresa arti-
giana in un’azienda industriale dinamica e proiettata al futuro.” In quello stesso anno Fabrizio sposa Gigliola e avranno due figli, Francesca e Luca. Nei primi anni Novanta, iniziò l’industrializzazione e specializzazione nei prodotti naturali a base di calce. Fondamentale nel processo di ammodernamento fu l’installazione di un impianto industriale per la produzione di idropitture e, paralle-
lamente, l’avvio della distribuzione in esclusiva per l’Emilia Romagna, Marche, Abruzzo, dei prodotti dell’azienda tedesca Einz’A. “Lavorando con questa nuova importante azienda, - prosegue Moretti - e partecipando a fiere e meeting del settore durante i quali incontravamo imprenditori nati e cresciuti nel mondo dei ‘colori & complementari’, scoprivamo di essere tutti motiva-
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ti dalla volontà di uscire dalla realtà locale, dalla possibilità di creare un nuovo marchio con una nuova idea di prodotto e di distribuzione del colore.” Dall’unione di molti nacque il gruppo d’acquisto e il relativo marchio ‘Gruppo Europeo DOC’ di cui MP è socio fondatore. Venne realizzato il catalogo prodotti DOC e una rete di distribuzione a livello nazionale. “Anche questa scelta contribuì ad allargare la distribuzione e la rete commerciale con una decina di nuovi agenti. – racconta Fabrizio - Io affiancavo gli agenti, come responsabile anche della nuova rete vendita. Ma, se da un lato eravamo soddisfatti per il prestigio del gruppo e perché gli orizzonti si erano molto allargati e c’erano grandi relazioni, dall’altro ci rendevamo conto che a questi importanti risultati non corrispondevano profitti adeguati.“ Comprendere le dinamiche dei mercati, i gap dello sviluppo e le possibilità e i limiti del proprio sistema impresa è uno dei fondamentali aspetti che consente ad alcune realtà di cavalcare con successo il proprio tempo, allineandosi ai cambiamenti, modificando con flessibilità le proprie strategie e riuscendo a ‘vedere più lontano’. In tal senso la MP, supportata da un valido consulente aziendale, decise di compiere la sua scelta più importante. “I mercati stavano cambiando. - Spiega Moretti - Mi rendevo conto che MP aveva maturato una significativa esperienza nel campo dei prodotti innovativi e che era arrivato il momento di scegliere su quale settore puntare il massimo: produzione specializzata e innovativa oppure commercializzazione.” Per un quinquennio (dal 1995 al 1999) la MP si dedicò allo sviluppo di nuovi prodotti nel settore pitture per edilizia e al relativo riposiziona-
mento sul mercato e, alle porte del nuovo millennio, intraprese lo studio di fattibilità e la progettazione dei nuovi impianti di produzione. MP entra nel nuovo millennio con una veste e una mission completamente rivoluzionata: con la sostituzione integrale degli impianti di produzione si compie il ‘balzo tecnologico’ puntando sullo sviluppo di prodotti a basso impatto ambientale.
Nella pagina accanto, in alto, il negozio del Colorificio MP presso Villa Pozzi in via Marconi 28 Viserba. A fianco, Matrimonio di Fabrizio e Gigliola nel 1987, da sinistra Giorgio Moretti, Maria Pasini, Gigliola Lorenzi, Fabrizio e Onide. Sotto, inaugurazione impianti MP 1999 da sinistra, Onide con in braccio il figlio Eros, Giovanni Giungi Presidente di CNA, don Giancarlo e Fabrizio Moretti. In questa pagina, sopra, la Festa per i 30 anni del colorificio. Sotto, inaugurazione nuova sede MP in via Pastore nel 2010
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Nel settembre del 1999 con i festeggiamenti per i 30 anni di MP, vengono inaugurati i nuovi impianti di produzione. L’anno successivo viene presentato al mercato il nuovo Sistema Tintometrico “Colorplus” studiato e realizzato utilizzando le più avanzate tecnologie per garantire alte prestazioni ed un risparmio economico rilevante. Inoltre MP ottiene il premio “Best product of the year” per il pro-
dotto “Stucco di Venezia” conferito dall’Istituto di Ricerca Scientifica Austriaco “VFF Mare nostrum”. Per due anni consecutivi, MP è selezionata fra le 30 migliori imprese nel “Premio Imprese Eccellenti della Provincia di Rimini” per lo Sviluppo di elementi distintivi di servizio per il cliente anche post vendita e per la Progettazione e introduzione continua di nuovi prodotti e servizi. La Ricerca e lo sviluppo di nuovi prodotti a tecnologia avanzata, attenti alle problematiche della salute, dell’ambiente, della protezione degli edifici e attento al particolare gusto estetico del Made in Italy prosegue e caratterizza tutto l’ultimo ventennio della MP che, grazie a fiere dell’edilizia come il SAIE e grazie a Internet, inizia la sua espansione anche sugli interessanti mercati di Beirut, Mosca, Dubai… “Il Made in Italy è apprezzatissimo all’estero, i prodotti italiani risultano eccellenti e il loro costo è anche dieci volte più alto di quello di altri prodotti. spiega ancora – i nostri sono prodotti ‘di nicchia’ piacciono molto ai russi, agli arabi, ai cinesi. A Dubai, una delle piazze di cui più andiamo fieri,
sono state realizzate con nostri prodotti edifici come Palazzo Versace, l’Armani Hotel, il J W Marriot Hotel. Naturalmente a questo sviluppo internazionale doveva corrispondere, all’interno dell’azienda, una struttura in grado di gestire la relazione e un marketing di livello.” È a questo punto che la nuova generazione si fa strada in MP e la giovane Francesca, figlia di Fabrizio, laureata in lingue con una laurea magistrale in marketing appare sempre più la figura adatta a ricoprire quel ruolo. “Era assolutamente la persona e la professionalità giusta. - Dice, non senza una punta di orgoglio paterno – Avevo bisogno di lei. E, anche se non è stato facile convincerla a scegliere, fra le varie opportunità, l’azienda di famiglia, alla fine ha accettato l’incarico che attualmente svolge con grande soddisfazione di tutti.” E Francesca non è la sola giovanissima in azienda, nel frattempo sono state inserite altre tre giovani ragazze neo laureate, ed un giovane geometra, nel laboratorio di ricerca e sviluppo, nel laboratorio di creatività e decorazione artistica, e nell’ufficio
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AMBULATORIO marketing, e nel reparto consulenza e assistenza tecnico - commerciale. “Io sono entrato in azienda che ero un ragazzino e sono convinto che le imprese abbiamo bisogno di gioventù, di idee, di entusiasmo e di quella creatività al passo con i tempi che particolarmente i giovani sanno avere…” Avanti i giovani, quindi, ma sono tante le persone che, nei lunghi anni, hanno contribuito al successo di MP e, senza poter fare un elenco di nomi, Moretti le ringrazia tutte. “Il futuro dipende da ciò che facciamo nel presente.” la bella frase di Ghandi scelta per titolare la mission dell’azienda esprime pienamente lo spirito di un’impresa che in ogni azione e da sempre mette al primo posto l’uomo e l’ambiente, scelta che comporta una continua ricerca di soluzioni innovative ed ecosostenibili volte a migliorare il benessere abitativo. “L’attenzione per la persona, il rispetto dell’ambiente, la realizzazione di prodotti naturali e la qualità rigorosamente Made in Italy, sono da sempre i nostri capisaldi, - conclude Moretti - motivo di orgoglio per noi e per tutti i nostri clienti.” Questa bella storia, di persone, di scelte, di coraggio e di prospettive sempre nuove, aggiunge un tassello importante al patrimonio locale di arti e mestieri che su queste pagine sono stati raccontati e che speriamo possano essere, per le nuove generazioni, modello ed esempio da seguire e dal quale attingere valori e sogni. In conclusione: se state pensando al vostro futuro professionale iniziate scegliendo il vostro garage.
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IL PUNTO DI PARTENZA PER UNA CURA EFFICACE Dr. Alessandro Parma
medico chirurgo specialista in ortopedia e traumatologia
Servizi: visite specialistiche ortopediche e controlli ortopedici; prescrizione e collaudo di ortesi e plantari; valutazione sportiva traumatologica; definizione e monitoraggio di percorsi riabilitativi (in collaborazione con il fisioterapista).
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trattamento integrato per problematiche cervicali e lombari (terapia manuale, educazione all’ergonomia e autotrattamento); riabilitazione post traumatica; trattamento fisico dell’edema; riabilitazione neurologica.
Nella pagina accanto, sopra, il Ristorante Armani al Burji Kalifha Tower a Dubai. A fianco, lo staff MP nel 2012. Sotto, Francesca Moretti inaugura il Rolex Store di Singapore
Studio via Polazzi,25 Viserba (RN) dr.alessandroparma@gmail.com diegogaleotti79@gmail.com
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Regole e strategie per vincere la sfida di Marzia Mecozzi | foto archivio Patrizia Rinaldis
La recente conferma al quinto mandato della presidenza dell’AIA e la nuova nomina nel Consiglio Direttivo di APT della Regione Emilia Romagna sono solo due dei suoi numerosi incarichi all’interno del tessuto economico del territorio. Di turismo, punta di diamante della nostra economia, e non solo, parliamo con Patrizia Rinaldis.
53| VOLTI E STORIE Patrizia, la ‘Prima Donna’. Definizione provocatoria, certo, ma molto vera, anche se non con il significato che di solito viene attribuito a questo modo di dire. Prima donna, nel suo caso significa, ad esempio, primo arbitro donna di calcio in Italia… Prima donna alla guida di una delle più importanti associazioni di categoria del territorio, l’associazione albergatori di Rimini… Prima donna (e unica) in tanti importanti consessi che vedono da sempre protagonisti assoluti gli uomini. Prima donna perché, sulla scena economica degli ultimi vent’anni, ha saputo ritagliarsi un ruolo preciso, coerente, forte e rilevante. Con Patrizia Rinaldis, classe Sessantuno, dal 2006 presidente degli albergatori di Rimini, amministratore delegato di AIA Servizi, membro del consiglio direttivo di Federalberghi nazionale e della Giunta di Federalberghi Emilia-Romagna, vice presidente per il quinquennio 2014-2019 di Camera di Commercio e oggi membro del consiglio direttivo di APT Emilia Romagna, parliamo di turismo e di territorio ma anche di sociale, di formazione, di lavoro, di cambiamenti, di famiglia e, appunto, di genere. Ma partiamo dall’inizio. Arbitro di calcio? “All’inizio degli anni Settanta le donne vengono ‘ammesse’ alla direzione di gare calcistiche – spiega il presidente - e io, che non sono mai stata una appassionata di sport e tantomeno di calcio, a diciotto anni decisi di cimentarmi con questa disciplina, frequentando presso l’associazione (che si chiama AIA, acronimo di Associazione Italiana Arbitri, tanto per cambiare n.d.r.) le lezioni necessarie, sostenendo prove atletiche sul campo e, infine, un esame scritto e orale su temi di carattere disciplinare e tecnico.”
Non è difficile immaginarla con fischietto e cartellino a dirigere il gioco maschile e robusto, con la grinta che la contraddistingue. E questo emblematico primato molto dice di lei. “Se c’è una costante, nella mia vita, è il desiderio di fare ‘bene le cose’, pretendendo il massimo principalmente da me stessa: nella scuola, nel lavoro, nell’associazione; sfidando il pregiudizio maschile – dice con un sorriso – con il quale noi donne dobbiamo confrontarci ogni giorno. E l’arbitraggio è stata una di queste sfide.” Per dirigere una partita occorrono conoscenza perfetta della materia, allenamento e visione di gioco. Requisiti che possono essere applicati su qualsiasi ‘campo’. Dopo il diploma di ragioneria e la scuola di scienze del turismo, a 25 anni Patrizia sposa Ivano Para e parallelamente inizia il lavoro da albergatrice nell’hotel che il marito aveva recentemente rilevato a Rivabella, e che tuttora dirige. “Non nasco albergatrice, - precisa- la mia formazione è legata all’impresa e cimentarmi con la nuova avventura è stato, anche in questo caso, una sfi-
Sotto, Patrizia Rinaldis all’assemblea generale ordinaria dei soci, nell’aprile 1997
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da. Però vorrei precisare che le sfide non si vincono con l’improvvisazione e tantomeno con la presunzione. C’è un’unica via per fare ‘bene le cose’ e si chiama formazione. Così ho iniziato a partecipare a corsi di tutti i livelli, fino al Master in Management Turistico e da allora non ho più smesso. Credo nella formazione continua unica alternativa per essere sempre competitivi in un mondo che cambia alla velocità della luce.” Dagli anni del suo esordio nel mondo del turismo sono trascorsi tre decenni, di quelli che non passano senza lasciare il segno. Nel frattempo, infatti, è accaduta una rivoluzione: sono successi internet, il low cost, la globalizzazione… Il turismo conosciuto all’epoca del
boom economico si è estinto insieme ai suoi modelli e ai suoi primati che parevano certezze inossidabili. “Nel 1994 sono entrata come consigliere nel direttivo dell’associazione albergatori con l’allora presidente Mario Petrucci e ho approfondito l’impegno con l’associazione Turismo Insieme, un gruppo di giovani albergatori motivati, con una visione a lungo termine del turismo e del futuro del nostro territorio. Il vento dei cambiamenti era nell’aria, sentivamo di voler e dover cavalcare quel nuovo spirito, governandone i processi, per traghettarci nel futuro con un bagaglio di consapevolezze nuove. Anzitutto allargando gli orizzonti e guardando il nostro lavoro da una prospettiva ‘macro’.
Patrizia nel suo studio presso l’Associazione Italiana Albergatori di Rimini. Nella pagina accanto, a sinistra, in una simpatica posa in occasione di un servizio sul turismo riminese. Accanto, Patrizia con il marito Ivano Para
55| VOLTI E STORIE Non più focalizzandoci sul settore turistico come comparto, ma considerandolo strategicamente come una delle leve del territorio, parte di un organismo complesso chiamato Rimini, che deve lavorare insieme per essere competitivo, mantenersi eccellente e vincere la sfida di oggi, che è su base mondiale.” Nelle elezioni del 1997 diciannove consiglieri su diciannove votarono il nuovo consiglio direttivo dell’AIA Rimini, con Maurizio Ermeti presidente e Patrizia Rinaldis vice presidente. “Le trasformazioni hanno gestazioni lunghe ma quel che conta sono gli obiettivi, la ‘vision’. – prosegue Patrizia - Ci siamo buttati a capofitto nel lavoro, vivendo l’associazione come prioritaria, con l’intenzione di costruire un nuovo modello di turismo, capace di funzionare anche in futuro, di una città che per vocazione è turistica e la cui economia molto di-
pende da esso. Quel lavoro e quegli anni sono stati l’incubatore di quello che sarebbe stato il Piano Strategico. – aggiunge - Andavamo formulando un’idea nuova non di turismo, ma di città. Perché è da lì che si deve partire.” Rimini, secondo un servizio de Il Sole 24 Ore, risulta essere la seconda città d’Italia per Pil turistico pro capite, cioè per valore aggiunto, prodotto dal turismo, per ogni residente. A questo dato si aggiungono altri primati: quello degli addetti nel settore (oltre il trenta per cento) e quello delle imprese (oltre il venticinque per cento) “Questo per dire – specifica – che il comparto turistico apporta benefici a tutti, a tutto il territorio e pertanto che è un patrimonio da salvaguardare da parte di tutti. In questa direzione sono andate le politiche strategiche dell’associazione. E come donna e mamma? “Nel frat-
tempo, avevo avuto mio figlio Nicolò e gestirmi fra famiglia con bambino piccolo, albergo e associazione non è sempre stato facile. Il mondo economico e politico è impostato con i tempi degli uomini… Loro sembrano non avere orari! Io mi dovevo scapicollare fra riunioni, asilo poi scuola, fare la spesa, appuntamenti, preparare il pranzo, esserci, ricevere i clienti in albergo, ancora riunioni… Sono stati anni intensi. Per fortuna da parte di mio marito Ivan ho avuto, soprattutto nel tempo, comprensione e appoggio. – conclude con una risata Se sono ancora sposata significa che ho avuto il suo supporto!” Nel 2006, Patrizia Rinaldis succede a Maurizio Ermeti alla guida dell’AIA. Prima donna presidente della categoria economica più ‘strategica’ del territorio. Oggi alla quinta nomina, ottenuta nelle recentissime elezioni del 23 maggio. Dodici anni che, ancora
56| VOLTI E STORIE una volta, sembrano secoli. “È vero, - conferma – attraversati, o meglio, investiti, dalla crisi economica globale, dalla questione dell’aeroporto e da tutta una serie di altre difficoltà che costellano il nostro cammino ogni giorno, come in ogni settore per altro… Però la mia filosofia è quella di sempre: se sei bravo governi i processi, se non sei bravo li soffri. E pertanto la mia volontà quotidiana e ciò che cerco di trasmettere dalla guida di una associazione è che si deve essere più bravi degli altri!” Nonostante tanti e tali impegni e incarichi Patrizia trova sempre il tempo anche per il sociale, superattiva anche nel vo-
lontariato. Già presidente della onlus Una Goccia per il Mondo, attraverso la sua pagina Facebook la seguiamo, per esempio, in Cambogia, a prestare sostegno e aiuto ai più poveri e bisognosi. Chi la conosce sa che il suo impegno è silenzioso e continuativo, fatto di tante piccole accortezze come la raccolta di prodotti per l’igiene per i poveri recentemente promossa presso la sede dell’associazione, o la risposta sempre presente a chi si rivolge a lei per qualsiasi esigenza che sia di carattere umano o professionale. Chi la conosce come amica sa anche che è una ‘ragazza’ divertente, so-
lare, che ha una risata contagiosa e che, in sua compagnia, non ci si annoia mai. Difficile stare al suo passo, questo sì, perché per essere ‘primi’, come sul campo di gioco, bisogna sudare molto. Infine, come vede il futuro? “Il futuro è fatto di infinite variabili, ma la regola è sempre la medesima: - conclude- si indossa la maglietta e si dà il meglio di sé!”
In queste pagine, scatti tratti dal reportage fotografico dell’ultimo viaggio in Cambogia
Bar Via John Lennon, 7 - Viserba (RN) - Tel. 0541 733500
comunicazione istituzionale
Romagna terra delle Acque
www.romagnacque.it
Il bilancio 2017 e le prospettive future Lo scorso 15 dicembre, l’assemblea dei soci di Romagna Acque - Società delle Fonti S.p.A. ha approvato il preconsuntivo di bilancio 2017, il budget previsionale 2018 e le modifiche allo Statuto della Società. Il preconsuntivo 2017 quantifica un valore della produzione di euro 56.320.000, con un incremento di 1.123.000 rispetto al budget. Il risultato prima delle imposte è di 6.150.551 euro (pari a circa il 10,9% del valore della produzione). Il budget 2018 individua un valore della produzione di euro 59.628.000, con un incremento di 3.300.000 rispetto al preconsuntivo 2017 e con un utile di esercizio previsto in 6.449.000 euro. Si segnala inoltre che anche per il biennio 2016-2017 e quindi per il biennio 2018-2019, i canoni di spettanza
sono stati determinati sulla base delle rinunce proposte da ATERSIR ed accettate da Romagna Acque di circa 4,4 mln/euro (importo che arriva a 11,8 mln di euro se si considera l’intero periodo di PEF 20162023). Oltre agli interventi infrastrutturali, continuano gli importantissimi investimenti in campo energetico, allo scopo di ridurre i costi e migliorare la qualità di energia elettrica utilizzata. E’ stato quindi dato ulteriore sviluppo alla produzione di energia da fonti rinnovabili (fotovoltaiche e idroelettriche): dopo la produzione record del 2016 (8 milioni e 900 mila KW), anche il 2017 ha comunque registrato una produzione superiore agli 8 milioni e 600, e la stessa previsione riguarda il 2018. Ad oggi, la percentuale di autosufficienza energetica
è del 28%: l’obiettivo resta quello di arrivare a breve al 40%. Nel corso del 2017 diversi degli impianti realizzati negli anni precedenti sono entrati pienamente in efficienza; contemporaneamente, anche l’indicatore energetico dell’impianto della Standiana (il più energivoro di quelli gestiti da Romagna Acque) ha registrato cifre significativamente inferiori. Nel 2018, infine, è prevista la fase di progettazione di tre nuovi impianti fotovoltaici: rispettivamente a Forlimpopoli (da 200 KW), a Bellaria-Bordonchio (da 100 KW) e alla Standiana (da 800 KW). Prosegue anche l’attività di collaborazione della Società con forze dell’ordine, associazioni ed enti diversi al fine di migliorare il presidio di sicurezza sulle diverse parti del territorio. Rientrano in quest’ambito i
rapporti con il Soccorso Alpino, con il 118 Elisoccorso, con i Vigili del Fuoco, le Prefetture e il corpo dei Carabinieri (nel quale sono confluite le precedenti competenze della guardia Forestale). Prosegue anche l’iter per insediare all’interno del complesso immobiliare della Diga del Conca un centro integrato del soccorso: ovvero per riunire, in questa “cittadella” baricentrica per il territorio, la sede della Protezione Civile, dei Vigili del Fuoco e della Croce Rossa Italiana. Infine, il 2017 ha visto proseguire la costante e crescente collaborazione con il mondo universitario, visto che la Società ha scelto di investire sulla ricerca, per essere sempre protagonista delle progressive evoluzioni delle competenze che via via si svilupperanno. Si sono irrobustiti i rapporti con diverse sedi Universitarie (fra cui quella di Scienze Ambientali di Ravenna e il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Uni-
versità di Roma “Sapienza”, il rapporto con il DICAM di Bologna, la collaborazione con l’Università di Perugia), con altri consolidati Enti di ricerca (come il Centro Ricerche Marine di Cesenatico) e con importanti soggetti istituzionali del territorio (come l’Istituto Oncologico Romagnolo). Sta proseguendo infine il rapporto sia con l’Università di Urbino sia con la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa per quanto riguarda la ricerca su un tema emergente, anche a livello legislativo: quello dei cosiddetti “pagamenti ecosistemici”.
Nella pagina accanto: il Consiglio di Romagna Acque con al centro il Presidente Tonino Bernabè Sotto il presidente Bernabè con una delegazione del Soccorso Alpino e Speleologico Emilia-Romagna (SAER)
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Le risorse idriche nei periodi di siccità di Alberto Mazzotti | foto archivio Romagna Acque
Anche nella ‘terra delle acque’, nei lunghi periodi di siccità il reperimento di risorse idropotabili diventa un’emergenza da fronteggiare. In questo servizio ecco le strategie di intervento di Romagna Acque. Da diversi anni, ormai, i cambiamenti climatici hanno portato a modificazioni evidenti del clima anche sul nostro territorio, caratterizzati da lunghi periodi siccitosi e da repentine e violente precipitazioni. Consapevole delle conseguenze di questi cambiamenti, Romagna Acque ha attivato già da anni una strategia di interventi con l’obiettivo di diversificare le fonti idropotabili e di prevenire situazioni
di carenza idrica: la recente apertura del potabilizzatore ravennate della Standiana (attivo da fine 2015) è stato il più corposo risultato di questa strategia. Nell’estate 2017, la Romagna ha registrato una scarsità di piogge senza precedenti: evento che è stato preceduto da due inverni altrettanto siccitosi. Una situazione che in diverse zone d’Italia (e della stessa regione Emilia-Romagna) ha creato fin dall’inizio dell’estate
notevoli problematiche generate dalla progressiva riduzione delle risorse idropotabili, culminate con la proclamazione dello stato di scarsità idrica e la conseguente richiesta di finanziamenti al governo per fronteggiare l’emergenza. La carenza di risorsa è stata evidente, e aggravata, per il concomitante persistere di temperature eccezionali, da consumi più elevati che in passato: il consumo complessivo è stato di circa 114 milioni di metri cubi, superiore a quelli dello scorso anno - 110 milioni di metri cubi - e della recente media di circa 106-107 milioni di metri cubi. Romagna Acque-Società delle Fonti Spa ha affrontato le criticità generatesi durante il periodo siccitoso (in costante coordinamento con gli enti locali interessati, con Hera, e con il Canale Emiliano Romagnolo, anche per quanto riguarda il ragionamento sugli usi plurimi della risorsa) grazie alla pluralità delle varie fonti disponibili: non più solo la diga di Ridracoli - che rimane comunque la fonte più importante, ma che ha potuto contribuire nel corso del 2017 con soli 46 milioni di metri cubi, contro gli oltre 52
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degli anni precedenti - ma appunto il nuovo potabilizzatore Standiana di Ravenna, nonché le molteplici fonti locali presenti sul territorio, di falda e di subalveo. Una modalità operativa che ha consentito di attraversare l’estate con pochissime situazioni critiche, e ha confermato che il disegno strategico messo a punto da Romagna Acque negli ultimi anni era assolutamente opportuno; strategia che deve proseguire inalterata nei prossimi anni a fronte degli ormai evidenti cambiamenti climatici. Proprio tale attenzione è da anni al centro di iniziative promosse dai vertici dell’azienda. Ne è prova, fra le altre, l’ormai radicato rapporto di collaborazione con il DICAM dell’Università di Bologna, avviato nel 2013: proprio nel corso del 2018 il DICAM illustrerà ai Comuni soci di Romagna Acque i risultati dello studio svolto in questi anni, che daranno indicazioni agli stakeholder sull’utilizzo razionale
di reti integrate e flessibili da implementare con ulteriori stoccaggi nelle aree appenniniche, per garantire continuità del servizio di approvvigionamento e sicurezza. Da qui al 2023, la Società ha previsto nel proprio piano degli investimenti, che accompagna la definizione tariffaria, altri cento milioni di investimenti infrastrutturali (dopo quelli già investiti negli ultimi anni con particolare riferimento alla costruzione del potabilizzatore della Standiana e della rete di collegamento ad esso collegata), proprio per garantire una migliore copertura dell’intero territorio. Le opere più significative riguardano il collegamento fra la Standiana e Montecasale, sulle colline forlivesi; la derivazione che collega le medesime località con Cesena e Torre Pedrera, per garantire una maggiore sicurezza e flessibilità all’intero sistema infrastrutturale; e la ricerca di ulteriori fonti di falda, sorgente
e subalveo nelle aree montane non servite da Ridracoli ma vincolate alle fonti locali (per evitare in futuro situazioni critiche come quelle accadute quest’estate a Modigliana e Tredozio). Un ultimo aspetto da non sottovalutare è rappresentato dalla velocità con cui si succedono gli eventi estremi che come mostrano i dati osservati presentano una frequenza in aumento. Per tale ragione è oggi una necessità ridurre, per quanto possibile, i tempi di realizzazione delle opere pianificate, e prevedere ulteriori interventi per migliorare l’approvvigionamento in quelle aree non interconnesse con la rete infrastrutturale proprio per attenuare le criticità emerse nel corso dell’estate.
Nella pagina accanto, la diga di Ridracoli e sopra, il Presidente Tonino Bernabè con una delegazione in visita al bacino idrico
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Villa Adelia una storia d’amore di Pierluigi Sammarini | foto archivio L’Ippocampo e Nicola Sammarini
Uno dei villini tra i più antichi della Viserba balneare è al centro di una bella storia che parla di arte e di amore.
Ai primi del Novecento, il brulicare di attenzioni sulle spiagge di Viserba da parte di nobili, ufficiali, uomini d’affari e industriali emergenti, fece incrociare le attenzioni dell’imprenditoria illuminata locale con gli interessi di quegli ospiti che provarono a colonizzare una delle più belle spiagge d’Italia. Aiutati dall’onda euforica di un Novecento che, avendo allontanato le ombre delle guerre europee, sembrava a favore di una ventata di innovazione e progresso,
non era difficile riversare quell’entusiasmo anche nelle arti e nella cultura che appariva sempre più disinibita e alla portata di tutti. Era l’alba della Belle Époque e tutto sembrava essere possibile, anche dedicare una casa di vacanze alla propria amata. Accadde nel 1905. Sul bordo di una spiaggia quasi senza lungomare, venne eretta una villa che, guardando la battigia, pareva inneggiare all’amore. Il costruttore, Sante Polazzi, non fece in tempo ad ultimarla che già era stata
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venduta a villeggianti alla ricerca di territori ancora vergini, i quali, sopra il portale d’ingresso e sopra la copertura, vollero un timpano in stile Liberty con altorilievo intitolato ad una certa Dorina, scritto nello stile grafico dell’epoca: DoRINA. La villa, con dependance tipica dell’epoca, rimase pressoché inalterata per decenni, passando di proprietà, nel 1939, dai Turchetti all’industriale tessile Giovanni Ricignolo, finché, nel 1998, fu restaurata e riportata ai fasti originali dalla famiglia Matteoni che l’aveva acquistata nel 1982. Il restauro, durato diversi anni anche a causa delle lunghe ricerche svolte dai nuovi proprietari, ha interessato sia gli interni che gli esterni. In particolare, per quanto riguarda gli esterni, sopra alle finestre sono stati riportati gli stucchi e le decorazioni Liberty di cui la bella facciata era stata privata negli anni Cinquanta e ripristinato il cornicione ligneo. Per quanto riguarda gli interni, sono stati recuperati i pavimenti in graniglia originali e riproposte le decorazioni dell’epoca, interne ed esterne, con l’apporto del ceramista Gio Urbinati, sotto la guida attenta dell’architetto Roberta Martufi. Il proprietario, Massimo Matteoni, ha voluto riproporre ed “aggiornare” quel richiamo d’amore dedicandolo alla propria amata Adelia, che oggi troneggia sulla copertura. Ma la caratteristica Liberty per eccellenza che ne configura una rarità è il portale d’ingresso a forma di omega. Anche se la diffusione dello stile Liberty la fa da padrone nei primi 15 anni del Novecento, dal Kursaal alla Villa Gubellini e Bavassano, dal cantonale della Villa Pellegri al portico al primo piano di Villino Buzzi, una simile porta d’ingresso ha una unici-
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tà forse riscontrabile solo nel Villino Scott dell’ingegner Fenoglio a Torino. L’amore che contraddistingue la vita di questo fabbricato e dei suoi occupanti lo si riscontra sia all’interno che all’esterno, dove ogni angolo è pensato e curato nei minimi dettagli con grande attenzione e ricercatezza. Ci sorprendono in particolare la pacatezza dei modi della signora Adelia
Natali, mentre ci racconta insieme al marito Massimo Matteoni la storia del loro incontro, lei turista toscana in vacanza a Rimini dove i genitori Matteoni possedevano un albergo a Marina centro. La storia si incentra ancora una volta sulla villa, come un richiamo del destino. La giovane Adelia, infatti, presa in prestito una bicicletta in hotel, dal lungomare di
A sinistra, una veduta della Villa oggi. A fianco, alcuni dettagli dell’interno. Nella pagina accanto, la scalinata con il mosaico decorativo opera dell’artista Giò Urbinati e due vedute del soggiorno
65| LUOGHI DEL CUORE Rimini si era allontanata verso nord, al di là del Marecchia, verso le spiagge più tranquille tra la Barafonda e Torre Pedrera e nella calda estate aveva passeggiato alla scoperta delle belle ville sparse fra le pensioni di quel tratto di litorale. Rientrata dall’escursione, Massimo, al quale la bella toscana non era certo passata inosservata, le aveva domandato
cosa l’avesse più colpita di quel giro e lei aveva risposto che, fra le bellezze di quella zona nord, c’era una villa, con un particolare ingresso rotondeggiante che sembrava guardare la spiaggia come un occhio discreto ma sensuale. Immaginarsi la sorpresa della ragazza nell’apprendere che quella villa apparteneva proprio a Massimo. Galeotta fu Villa Dorina
che, in seguito, cambiò il suo nome in Adelia. Lei nel corso di quell’estate tornò a Rimini e fu per rimanere. Le ricerche storiche e architettoniche, la scelta dell’architetto, dell’artista e dei professionisti che hanno contribuito a realizzare i particolari mancanti, la cura nel seguire tutti i lavori di restauro si devono in primis a questa appassionata signora che conserva
66| LUOGHI DEL CUORE gelosamente tutta la documentazione raccolta in questi anni e le immagini delle fasi dei lavori. Il suo ‘gioiello’ Liberty, riportato agli antichi splendori, nella quale vivono Adelia e Massimo e dove sono nati e cresciuti i loro due figli, è oggi meta
di visite di curiosi e studiosi del Liberty per la cura con cui sono stati recuperati, valorizzati ed integrati gli arredi architettonici originali dell’epoca e dove tutto viene conservato con la consapevolezza e l’amore che si devono alle opere d’arte.
Adelia Natali, mostra la camera da letto padronale. A lato, un particolare d’arredo e un dettaglio della pavimentazione d’epoca
ph. Paritani
LA FONTE
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