I classici
Lamborghini Miura P400
POCHE AUTOMOBILI HANNO SAPUTO COLPIRE L’IMMAGINARIO COLLETTIVO COME LA LAMBORGHINI MIURA, ICONA INDISCUSSA DELLA SUA EPOCA. HA RAPPRESENTATO IL SOGNO SU QUATTRO RUOTE DI UN’INTERA GENERAZIONE. CON SOLUZIONI TECNICHE ALL’AVANGUARDIA E UNA LINEA CHE LASCIA SENZA FIATO, HA FATTO INVECCHIARE DI COLPO LE CONCORRENTI. È STATA LA PRIMA VETTURA STRADALE DI CUI SI FAVOLEGGIAVANO VELOCITÀ PROSSIME AI 300 KM/H. PREFERITA DA POP STAR E TESTE CORONATE, RAPPRESENTA OGGI PIÙ CHE MAI UN MITO. CHI HA VISSUTO QUEGLI ANNI, ANCORA OGGI, AL SUO COSPETTO, SI EMOZIONA, COME IL PROPRIETARIO DELL’ESEMPLARE CHE ABBIAMO PROVATO: L’ACQUISTO DI QUEST’AUTO HA RAPPRESENTATO PER LUI IL CORONAMENTO DI UN SOGNO CULLATO PER DECENNI, CHE SI È AVVERATO GRAZIE A UN MIX DI TENACIA E CIRCOSTANZE, E CHE CON IL PASSARE DEGLI ANNI HA ASSUNTO ANCHE CONNOTAZIONI RAZIONALI, PERCHÉ LA MIURA, COME E PIÙ DI ALTRE SPORTIVE DI QUEL PERIODO, SI È RIVELATA NEL TEMPO ANCHE UN ECCELLENTE INVESTIMENTO
INTRAMONTABILE MITO MIURA
Dopo averla cercata a lungo, un appassionato ha scoperto quasi per caso una Miura ferma da anni e, dopo averla acquistata, l’ha riportata in piena forma. Abbiamo avuto il piacere e l’opportunità di sottoporre a un test stradale questa rara supercar degli anni ‘60. Alla guida, oggi, si è rivelata sempre appagante grazie a performance di tutto rispetto, mentre l’età e le caratteristiche di auto estrema si sono fatte sentire a livello di comfort, al quale però si può rinunciare senza problemi in cambio delle forti emozioni che la vettura della Casa del Toro sa trasmettere | 100
TESTO CLAUDIO IVALDI FOTOGRAFIE GIORGIO DALL’OLIO | 101
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La grande carica di innovazione, tecnica e stilistica, che la Miura ha portato nel mondo delle auto sportive, trova una spiegazione anche nella giovane età dei suoi progettisti: Marcello Gandini che la disegnò per Bertone, i responsabili tecnici del progetto, gli ingegneri Giampaolo Dallara e Paolo Stanzani, e il collaudatore che la sviluppò, il mitico Bob Wallace, recentemente scomparso, all’epoca tutti “under 30”. Ideata da questi tecnici come conceptcar, tra lo scetticismo iniziale dello stesso Lamborghini, che prediligeva Gran Turismo più confortevoli, la Miura suscitò scalpore già alla presentazione del telaio “nudo” al Salone dell’auto di Torino, nel 1965, per via delle innovative caratteristiche ispirate alla Ford GT40, abbinate al collaudato V12 (progettato anni prima da Giotto Bizzarrini), disposto trasversalmente. Scalpore che divenne un successo travolgente alcuni mesi dopo, quando il telaio fu “vestito” da Gandini con una linea ritenuta ancora oggi un capolavoro assoluto del design. Il “boom” di richieste di acquisto che ne seguì convinse Ferruccio Lamborghini a deliberarne la messa in produzione, e sarà proprio quest’auto a determinare il successo del Marchio del Toro nel mondo. Lo sviluppo della vettura proseguì incessante negli anni, con diverse modifiche già in corso di produzione della prima versione “P400“, a cui seguirono la versione “S”, più rifinita negli interni, e infine la “SV”, potenziata, affinata tecnicamente e dalla linea resa più aggressiva dalle bombature accentuate. La produzione terminò nel 1973, a quota 763 esemplari. La vettura del test è una P400 “Model Year 68” (versione che aveva beneficiato di alcune migliorie rispetto ai primi esemplari), di color corallo, di proprietà di un collezionista piemontese che ce ne racconta la particolare storia: “La Miura ha sempre
rappresentato il mio sogno in fatto di automobili. Ero ventenne quando ne vidi per la prima volta una, verde chiaro, guidata da Little Tony in un film, e ne rimasi folgorato. Poi iniziarono a vedersene anche in giro; dalle mie parti c’era un dentista che la usava quotidianamente e tutti rimanevamo incantati ad ammirarla. Solo chi ha vissuto quegli anni può comprendere appieno cosa significasse vederla su strade in cui circolavano le Fiat 600 e le 1100”. Ma per un ventenne di allora la Miura restava inevitabilmente un sogno. Anche se, a metà del decennio successivo, conobbe anch’essa un periodo buio: deprezzate e fuori moda, alcune Miura finirono in mano a individui poco raccomandabili. “Durante la crisi petrolifera - ricorda il fortunato proprietario - ne vidi un esemplare in vendita a un prezzo stracciato, ma in quel periodo davvero in pochi si sarebbero azzardati ad acquistare
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un’auto del genere”. Negli anni Ottanta scoppia invece la moda delle auto storiche, e i prezzi delle Miura iniziano a risalire. Il nostro intervistato si appassiona alle auto sportive, con un debole per i marchi emiliani, ma la Miura pareva sempre inarrivabile. Fino a quando, una decina di anni fa, non si è recato con la sua Maserati a un Concorso di Eleganza nel Modenese, dove ha incontrato per la prima volta l’esemplare che in seguito diventerà suo. La vettura apparteneva a un produttore di vini, che l’aveva acquistata sul finire degli anni Settanta, su consiglio dello stesso Ferruccio Lamborghini, suo vicino di ombrellone, il quale gli aveva pronosticato forti rivalutazioni future. Tuttavia, dopo un breve periodo di utilizzo, la abbandonò in un capannone, dove
rimase ferma per una ventina d’anni, fino a quel raduno, al quale fu portata da un giovane dipendente dell’azienda vinicola, appassionato di motori, che aveva ottenuto dal proprietario il permesso di rimetterla in moto per iscriverla al concorso. Ne seguì un insistente corteggiamento, che nel giro di qualche mese portò alla conclusione dell’affare. La macchina si presentava molto bene a livello di carrozzeria e interni e il motore girava perfettamente, ma il fermo prolungato costrinse ovviamente a effettuare alcuni interventi sull’impianto elettrico e sulla meccanica fredda, con la sostituzione di pneumatici, freni, ammortizzatori e la revisione di molti componenti. A seguito di questi interventi, la Miura è tornata in perfetta forma, e
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rappresenta il classico esempio di auto storica “conservata”, caso abbastanza raro per un modello che solitamente viene sottoposto a restauri radicali. Questa, invece, è ancora nelle condizioni originali, e quando si aprono i due enormi cofani, si scorge qualche superficie dall’aspetto vissuto, ben diverso dalla lucida perfezione degli esemplari restaurati. “La somma necessaria per portarla a casa - spiega il proprietario - appariva impegnativa per quei tempi, suscitando non poche perplessità in famiglia, ma per coronare un sogno inseguito a lungo ci vuole anche un po’ di incoscienza”. Poi, appena un paio d’anni dopo l’acquisto, in occasione del quarantesimo anniversario del modello, le quotazioni delle Miura registrarono una notevole crescita, trend
che è proseguito costantemente fino a oggi. Per l’appassionato che non ha intenzioni speculative, questo è un fattore importante, ma non fondamentale: “Certo, fa piacere vedere che l’acquisto si sia rivelato azzeccato nella scelta e nella tempistica, divenendo anche una sorta di investimento, ma all’aumentare del valore si perde un pizzico di serenità nel guidarla e si impone maggiore prudenza. Per questo la uso ormai in rare occasioni, come raduni di marca e concorsi di eleganza, in cui viene spesso premiata, oltre che per la linea e l’importanza storica, anche per il fatto di essere una vettura conservata, fattore che colpisce positivamente i giurati. Tuttavia, è importante non lasciarla ferma per periodi prolungati: un giretto, di tanto in tanto, è d’obbligo per
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mantenerla in efficienza”. Lo spauracchio dei proprietari di Miura è però il fuoco, perché diversi esemplari hanno manifestato principi di incendio, rischio che si previene con una manutenzione scrupolosa (e con un buon estintore). Ma eccoci alla prova su strada, alla quale ci approcciamo con grande emozione, ma anche con un po’ di timore reverenziale. L’ingresso in abitacolo è tutt’altro che agevole, per via della ridotta altezza da terra. La visuale dal posto di guida non è ottimale anteriormente, mentre è pressoché assente in direzione posteriore. L’interno ha finiture decisamente spartane (che miglioreranno nelle versioni successive), la strumentazione ha un bel disegno, mentre c’è davvero poca razionalità nella disposizione dei comandi, alcuni dei quali sono posizionati nel cielo, come sugli aerei. I sedili, rivestiti in pelle (uno dei pochi optional disponibili all’epoca), sono ergonomici e meno scomodi del previsto, mentre la posizione di guida non è delle migliori, perché impone di tenere le braccia eccessivamente distese. A peggiorare la situazione ci sono i tre pedali dei comandi, duri da azionare e incernierati sul pavimento, peraltro troppo indietro, cosa che costringe a far assumere posizioni innaturali a gambe e piedi. Questi disagi passano però in secondo piano non appena si gira la chiave: dopo qualche giro del motorino di avviamento, il V12 inizia a borbottare. All’accensione a freddo, il motore ha un andamento irregolare e scoppiettante, e i dodici cilindri non riescono a cantare tutti all’unisono. Bastano pochi secondi per
farli accordare stabilizzando il minimo, regime al quale è già apprezzabile un discreto sound. Un breve riscaldamento e siamo pronti a partire. Innestiamo la prima … o meglio, ci proviamo: il cambio è durissimo e serve non poco sforzo per inserire la leva nella corsia del selettore. Ci viene spiegato che a freddo la manovra è difficoltosa, perché la lubrificazione del cambio è comune a quella del motore: questo è uno dei difetti congeniti della Miura, che verrà risolto solo negli ultimi esemplari della versione “SV”, con la separazione delle lubrificazioni. Lo sterzo, invece, non è per nulla duro, grazie alla disposizione posteriore del motore, e il volante ha dimensioni e impugnatura di stampo moderno per l’epoca. Basta un filo di gas e la Miura si muove con decisione. Iniziamo a condurla in una strada di campagna, libera dal traffico. Appena prendiamo un po’ di confidenza con i comandi, questa esperienza diviene entusiasmante, grazie soprattutto al motore, che ruggisce pochi centimetri dietro alla nostra testa, separato solo da un sottile vetro, che permette anche di ammirare i possenti Weber triplo corpo. Ogni accelerata è un boato che appaga, l’erogazione è piena, corposa, senza tentennamenti. Un po’ di traffico ci costringe a rallentare, e la berlinetta di Sant’Agata mostra di non gradire le basse andature, ma bastano un paio di accelerate per pulire le candele e ridarle piena voce. A motore caldo, il cambio diventa leggermente più “trattabile”, ma necessita sempre di muscoli e piglio deciso nell’inserimento delle marce. La frenata è discreta (questo
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SCHEDA TECNICA
LAMBORGHINI MIURA P400 MOTORE: posteriore centrale trasversale CILINDRI: 12 a V di 60° ALESSAGGIO E CORSA: 82 x 62 CILINDRATA: 3929 cc RAPPORTO DI COMPRESSIONE: 9.8:1 POTENZA: 350 CV a 7000 giri/min DISTRIBUZIONE: albero a camme in testa per bancata ALIMENTAZIONE: 4 carburatori Weber triplo corpo LUBRIFICAZIONE: a carter umido TRASMISSIONE: cambio a 5 marce + retromarcia; trazione posteriore; frizione monodisco a secco PNEUMATICI: 205 R 15 (versione MY68: 215/70 VR 15) FRENI: a disco sulle 4 ruote SOSPENSIONI: 4 ruote indipendenti, triangoli sovrapposti con barre antirollio esemplare ha ancora i dischi pieni, gli autoventilanti saranno introdotti solo nelle ultime versioni). Entriamo in autostrada e proviamo a spingere di più: ebbene, le sensazioni saranno forse amplificate dal sound e dal piacere di guida, ma le doti di accelerazione e di allungo della Miura appaiono ancora notevoli, anche secondo i canoni odierni. Creiamo letteralmente il vuoto dietro di noi, mentre il rumore invade prepotentemente l’abitacolo e impone di alzare il tono di voce per conversare col passeggero. Alle alte velocità, tuttavia, il muso manifesta una tendenza all’alleggerimento che inizia a minare la stabilità globale della vettura (fino a quel momento perfetta), e che ci riporta a più miti consigli. Procedendo in corsia di sorpasso ci rendiamo conto di quanto la Miura sia bassa rispetto agli altri veicoli, fattore che contribuisce alle ottime doti di tenuta di strada che abbiamo avuto modo di testare sia nel misto sia nei curvoni veloci. Sembra di condurre un’auto da corsa, letteralmente incollata a terra, che soffre solo lo sconnesso. Con la Miura, poi, non si passa certo inosservati: i camionisti alzano il pollice, mentre dalle altre auto fanno capolino telefonini con fotocamera pronti a immortalare il nostro passaggio. A differenza di altre sportive dell’epoca, che suscitano sguardi interrogativi, la Miura ha infatti una linea famosa, inconfondibile, che viene subito riconosciuta anche dai non esperti. Non vorremmo mai smettere di goderci questi attimi, ma la nostra prova volge al termine. Al termine del breve giro al volante della Miura, si scende accaldati, un po’ affaticati e con gli abiti impregnati dei gas di scarico, ma con lo stato d’animo di chi ha vissuto una grande emozione e di chi ha provato una incondizionata ammirazione per un’auto del passato e per le performance, che la Miura ha saputo regalare. D’altronde, Ferruccio Lamborghini era solito ripetere che guidare la Miura è come uscire con la donna più bella del mondo, alla quale si deve perdonare tutto.
DIMENSIONI: lunghezza 4360 mm; larghezza 1760 mm; altezza 1000 mm; passo 2504 mm CARREGGIATA ANTERIORE: 1412 mm PESO: 980 kg VELOCITÀ MASSIMA: 285 km/h PRODUZIONE Dal novembre 1966 al dicembre 1968 (esclusi prototipi) sono stati prodotti 275 esemplari (di cui 125 “prima serie”, e 150 versione “Model Year ‘68“); progressione numeri di telaio (esclusi prototipi): prima serie dal 0979; MY’68 dal 3312 al 3772; prezzo nel 1968: 7.700.000 Lire CLUB Lamborghini Club Italia www.lamborghiniclubitalia.it REGISTRI e DATABASE www.lamborghiniregistry.com www.themiuraregister.com FORUM www.lamborghini-talk.com www.lamboforum-italia.forumativo.com LIBRI “Lamborghini Miura”, di Stefano Pasini Automobilia 1988 SPECIALISTI Top Motors di L. Salvioli - Nonantola (MO) Tel 059.54.92.24 Autofficina GB di G.Breviglieri - Crevalcore (BO) Tel. 051.98.18.54
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