P E R I O D I C O
T R I M E S T R A L E
D E L L A
F O N D A Z I O N E
A V S I
D i r e t t o r e r e s p o n s a b i l e : R o b e r t o F o n t o l a n . P e r i o d i c o r e g i s t r a t o a i s e n s i d e l l a L . 47/4 8 a l Tr i b u n a l e d i F o r l ì n . 15 d e l 5 l u g l i o 19 9 5 . S t a m p a : T i b e r, B r e s c i a ( B S ). G r a f i c a A c c e n t o n D e s i g n , M i l a n o
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dal 18 al 24 agosto AVSI ti aspetta al
anno XI|I n.2
Papa Francesco: “E pensiamo alla Siria” 2 Diritti umani in carcere in Brasile 4 L’imprenditorialità delle donne in Albania 6 La fabbrica dei mosaici in Romania 8 Adozioni internazionali 10 L’artigianato della vita 11
Libano Foto di Roberto Masi
Il Sostegno a distanza in classe 12
EMERGENZA UOMO: PER PAPA FRANCESCO È L’INDIFFERENZA
La presenza di Papa Francesco a Lampedusa ci è parsa la risposta più pertinente all’emergenza uomo che AVSI vive ogni giorno, specie col popolo Siriano. Riportiamo alcuni passi
della sua omelia. «Il sogno di essere potente, di essere grande come Dio, anzi di essere Dio, porta ad una catena di sbagli che è catena di morte. Porta a versare il sangue del fratello! Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo,
si giunge alle tragedie. Oggi nessuno nel mondo si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo “poverino”, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci tranquillizziamo, ci sentiamo a posto.
La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile che porta all’indifferenza verso gli altri. Anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza.
In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza.
La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza volto. Ma io vorrei che ci ponessimo una domanda: Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?, Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del “patire con”: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere! Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto nel nostro cuore, la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada ai drammi come questo».
Poste Italiane SpA - Sped. in Abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L.27.02.2004, n°46) art.1, comma 1, LO/MI - Editore: Fondazione AVSI, Padre Vicinio da Sarsina 216 - 47521 Cesena (FC) AVSI è una FONDAZIONE - ONLUS - ONG idonea DM n. 0347 del 5 luglio 1973 - cod. fisc.: 81017180407
Marco Perini di AVSI in Libano con Marina Molino e Chiara Nava
AVSI al Cerca gli appuntamenti www.meetingrimini.org
E pensiamo alla Siria Sono più di un milione e seicentomila le famiglie in fuga dalla guerra in Siria che ha già causato la morte di 90 mila persone. Oltre 500mila sono rifugiate in Libano e poche di meno in Giordania in condizioni disumane. Vivono accampate in tende dove manca tutto e dove AVSI lavora perché non sia sempre così.
Famiglie rifugiate in Libano in fuga dalla guerra Foto di Roberto Masi
“Q
uello che sta succedendo da queste parti sembra interessare pochi, ma abbiamo bisogno di aiuto perché ogni giorno la situazione peggiora e colpisce i più deboli, a cominciare dai bambini”. Sono le parole di Marco Perini da Beirut e Simon Sweiss da Amman, i responsabili di AVSI in Libano e Giordania, dove da mesi stanno lavorando con i loro team per portare un po’ di sollievo alla popolazioni. La crisi siriana non sembra ridurre il suo impatto devastante, migliaia di famiglie in fuga dal conflitto continuano ad arrivare ogni giorno lasciandosi alle spalle case distrutte, violenza e spesso parte della famiglia.
A fine giugno, il numero dei rifugiati provenienti dalla Siria è salito a 1.688.955, di cui 556.181 in Libano e 487.543 in Giordania. “Manca acqua e cibo, ma bisogna anche far giocare i bambini – avverte Marco Perini - e dobbiamo pro-
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grammare il rientro a scuola e l’arrivo del prossimo inverno che è freddissimo e innevato”. I numeri di quello che AVSI ha fatto fino ad oggi in Libano e Giordania parlano di 17.500 persone aiutate con materiali di prima necessità, 1.063 persone assistite con cibo e medicinali, 600 studenti accompagnati nel loro difficile percorso scolastico con corsi di recupero, 1.250 bambini e giovani supportati con attività psico-sociali e decine di attività fatte sulle singole persone per rispondere a bisogni specifici.
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“La partecipazione di tutta la comunità cristiana a questa grande opera di assistenza e di aiuto è un imperativo nel momento presente”. Ha affermato Papa Francesco “E pensiamo tutti, tutti pensiamo alla Siria.” Raccogliendo l’appello del Santo Padre agli organismi caritativi cattolici che operano nel contesto della crisi in Siria, promosso il 5 giugno dal pontificio consiglio Cor Unum, AVSI ha lanciato la campagna di raccolta fondi #10forSyria che invita a donare 10 euro per continuare a sostenere le popolazioni rifugiate. In questo contesto AVSI interviene in partnership con l’UNHCR, l’agenzia dell’Unione Europea ECHO, UNICEF, COR UNUM e la Fondazione svizzera San Camille, oltre al fedele sostegno degli amici italiani degli AVSI Point con le Tende e il Sostegno a distanza che, in tutto il Libano, aiuta
SI RINGRAZIA
AVSI TI ASPETTA A RIMINI dal 18 al 24 agosto.
Il titolo del Meeting 2013 mette a tema la cosa più bella e al tempo stesso più drammatica che esista sulla faccia della terra: l’uomo, più precisamente “l’emergenza uomo”. L’uomo nel suo bisogno di esistere come realtà unica ed irripetibile, l’uomo nella irriducibilità del suo desiderio, l’uomo che sente che ciò da cui è definito e caratterizzato è la libertà. Come ogni anno AVSI ti aspetta al Meeting di Rimini
con esperienze e testimonianze. Lo stand è sempre nel padiglione C1 della CdO e quest’anno si affaccia sul corridoio di fronte alle piscine. Saranno presenti molti amici dal mondo, come le donne artigiane dell’Albania e i ragazzi che creano i mosaici in Romania (articoli pagina 6 e 8). Venerdì 23 agosto, ore 15 in sala D3, Alberto Piatti di AVSI partecipa all’incontro “Una finestra sul mondo” con Belini Cledorvino, presidente
FIAT Brasile, Moreno Luis Alberto, presidente BID, Fantino Julian, ministro canadese per la cooperazione internazionale. Sabato 24, ore 15 in Auditorium, “Nella persecuzione si vive” con Mons. Antoine Audo, Vescovo caldeo di Aleppo. Programma e aggiornamenti su www.avsi.org e www.meeting.org. Ringraziamo Mistral Tour per l’aiuto di allestimento dello stand!
LA CRISI SIRIANA
1.300 ragazzi e famiglie vulnerabili. Inoltre, AVSI collabora con il Ministero dell’Educazione libanese e con la Cooperazione Italiana allo Sviluppo e con tutte le organizzazioni presenti sul territorio. In tutto il campo di Marj el Khokh, nel Sud del Libano, si vedono solo due serbatoi da 1.000 litri. Chiara Nava dello staff di AVSI è lì: “Ci servono subito almeno 11 cisterne da 10mila litri ciascuna e, una volta installate, dobbiamo fare un accordo con un’autocisterna perché ogni 5 giorni venga a riempirle. Solo così in questo campo potranno bere, lavarsi e condurre una vita quasi normale”. Chiara non lo dice, ma in giro, con l’arrivo del grande caldo, si teme anche il colera. Tre medici volontari amici di AVSI hanno visitato le persone del campo e distribuito medicine generiche, kit igienici, termometri e anche due sedie a rotelle per altrettante persone che da sei mesi non riuscivano ad uscire dalle loro tende. Come Loulou El Eid, una ragazza scappata dalla guerra in Siria, giunta in Libano e da sei mesi chiusa in tenda a causa di un handicap. “Grazie a questa sedia a rotelle ora posso muovermi. Posso vedere questo Libano che mi ha accolto e ringraziare la famiglia italiana che mi ha aiutata”. Di ritorno dal campo profughi di Marj El Kok, Marco Perini non può dimenticare un bimbo piccolissimo: “Avrà avuto un anno o poco più e vederlo gattonare dal buio in
di Gian Micalessin
IL FOTOGRAFO Roberto Masi ha realizzato un reportage in Libano con AVSI per Tracce “Sono andato in Libano perché volevo raccontare come degli uomini sopportano l’ingiustizia di una guerra e affrontano condizioni di vita al limite estremo della sopravvivenza. Così ho visto e raccontato un attimo della vita dei profughi siriani in Libano e un attimo è bastato per vedere nei volti dei bambini una contentezza inaspettata, perché c’era qualcuno lì che li aiutava. Anche nelle più lontane e disperate periferie del mondo ci sono uomini che compiono gesti di solidarietà e passione all’umano che riaccendono la speranza, nei bambini di Marj El Kok e in me.”
1.688.955 numero dei rifugiati provenienti dalla Siria e ospitati nei paesi dell’area
una tenda per profughi mi ha fatto un certo effetto. Chi si accorgerà di lui in quel villaggio disperso della West Bekaa? Avrà potuto bere dell’acqua? E il latte? Il suo papà è al lavoro in un campo e quindi questa sera tutti mangeranno oppure è morto? Quel bambino è ancora troppo piccolo per porsi queste domande. Uscito dalla tenda, ha sentito che faceva un gran caldo ed è rientrato all’interno; noi invece non abbiamo avuto il coraggio di entrare a cercare le risposte alle domande che ci siamo fatti”.
e compra 2 kg di fagioli, 2 di riso, 2 di zucchero e 2 litri di olio
riempi una cisterna di 2.000 litri di acqua
e paga 1 ora di corso di recupero per un bambino siriano
COME DONARE
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CREDITO VALTELLINESE Sede Milano Stelline, Corso Magenta 59 • Iban IT04D0521601614000000005000 Causale: Siria • C/c intestato AVSI FONDAZIONE • Donazioni in sicurezza anche dal sito www.avsi.org
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“Quando - nella primavera 2011 - le prime manifestazioni di piazza infiammano Damasco, Washington, Parigi e Londra accarezzarono l’opportunità di favorire la deposizione di Bashar Assad e recidere quell’asse sciita che attraversa Iraq, Siria e Libano e consente a Teheran di esercitare il ruolo di potenza regionale. Per isolare Damasco ed accelerarne la caduta, Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna disegnano una politica intransigente priva d’iniziative negoziali rivolte alla soluzione pacifica del conflitto. In breve, anche l’Unione Europea si lascia trascinare su questa linea tagliando i rapporti con Damasco. L’intransigenza occidentale soffre però di un’evidente miopia che le impedisce di vedere le differenze tra la crisi siriana e quella egiziana libica o tunisina. La prima diversità è il solido gioco di alleanze che rende difficile l’isolamento di Assad, che conta sull’appoggio di Iran, Russia e Cina. Il secondo errore di valutazione riguarda la tenuta del regime e il consenso che continua ad avere. Nonostante i suoi eccessi, il regime di Damasco ha sempre garantito la pacifica convivenza di cristiani, alawiti e sunniti. Questo regala al regime il sostegno di un buon cinquanta per cento della popolazione. E il restante 50 si guarda bene dallo schierarsi compatto, con una opposizione armata controllata dai gruppi radicali ed eterodiretta da Turchia, Qatar e Arabia Saudita. I gruppi jihadisti, grazie alla presenza di veterani dell’Afghanistan, Cecenia e Libia hanno facile gioco nell’imporre la propria egemonia bellica, monopolizzando i rifornimenti di armi provenienti dal Qatar e attirando la maggior parte dei volontari decisi a rovesciare Assad. La lotta per la democrazia e la libertà lascia il posto a una guerra santa per la creazione di uno stato islamico. E così Washington e l’Europa dopo aver delegittimato il regime di Damasco, isolandone anche le componenti più moderate, si ritrovano prigioniere degli estremisti e incapaci di avviare un negoziato. Il risultato sono 90mila morti e una guerra civile senza sbocchi.
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BRASILE
Emergenza uomo
in carcere
Strutture penitenziarie alternative senza agenti e senza armi dove la sicurezza è affidata agli stessi detenuti. Un progetto pionieristico, che permette all’uomo di riflettere e crescere.
Brasile. Foto di Marina Lorusso
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e Associazioni di Protezione e Assistenza ai Condannati (APAC) sono organizzazioni della società civile, senza fini di lucro, che da 40 anni prevedono l’umanizzazione della pena dei detenuti promuovendo i diritti umani e custodendo le persone in strutture alternative al carcere, nelle quali non ci sono guardie armate e dove la sicurezza è affidata agli stessi detenuti seguiti da supervisori. Nel mondo del sistema carcerario, dove è molto difficile trovare soluzioni adeguate, l´APAC si propone come un metodo “brasiliano”, pionieristico e innovatore in cui le carceri così gestite si caratterizzano per l´assenza di armi e di polizia. AVSI, nella convinzione che l’attività di cooperazione allo sviluppo non possa mai prescindere da azioni concrete, volte allo sviluppo del potenziale umano ancor prima che prettamen-
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Gli autori di questo articolo, Deborah Amaral e Jacopo Sabatiello vivono e lavorano a Belo Horizonte in Brasile. Jacopo è il responsabile di AVSI e Deborah segue le relazioni istituzionali.
te economico, non solo ha recepito la metodologia delle APAC, ma l’ha promossa con il progetto “Além dos Muros (Oltre le mura)”, nello stato brasiliano di Minas Gerais finanziato dallo Strumento Europeo per la Promozione della Democrazia e dei Diritti Umani dell´Unione Europea.
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Per accedere al programma è necessario che il condannato sottoscriva delle regole, dopo di che “è libero”. Da qui in poi è chiamato ad essere protagonista in prima persona del proprio percorso di vita: il motto spiega bene: “Qui entra l’uomo, l’errore resta fuori”. L´esperienza delle APAC nasce nel 1972, nella cittá di São Jose dos Campos – São Paulo in Brasile, quando un gruppo di volontari cristiani, guidati dall´avvocato e giornalista Mario Ottoboni, nel carcere di Humaità, ha dato vita a un´esperienza rivoluzionaria. Nel 1974, l´équipe costituita dalla Pastorale Penitenziaria ha instituito giuridicamente l´APAC, con l´obiettivo di aiutare la giustizia nell´esecuzione delle pena, “recuperando” i carcerati, proteggendo la società, soccorrendo le vittime e promuovendo una giustizia restaurativa che aiutasse a recuperare e non solo
SI RINGRAZIA
ULTIMO MIGLIO
Mi sono coinvolto in un delitto e sono finito a scontare la mia pena in una APAC. Ho creato un vincolo di responsabilita’ e impegno con l’Associazione e qualcosa e’ cambiato dentro di me. Prima di arrivare nell’APAC i soldi e il denaro avevano la priorita’, ma poi ho capito che e’ possibile vivere con dignita’ e avere un’ etica.”
A BRUXELLES
Rinaldo, ex detenuto
a punire. Lo scopo era chiaramente educativo. “Nel 1972 ho cominciato a preoccuparmi dei problemi sociali, così ho riunito 15 amici disposti a lavorare con me in questa sfida. Quando abbiamo saputo della grave situazione del sistema penitenziario brasiliano abbiamo deciso, insieme, di fare qualcosa per innovarlo.” Spiega Mario Ottoboni. Il gruppo ha affrontato grande resistenza da parte della società, autorità politiche e polizia. “Tuttavia, la resistenza piú grande era dei carcerati, che avevano il cuore chiuso e non erano preparati a ricevere nessun tipo di aiuto che non fosse materiale”. Nel 1984 è cominciata la prima esperienza nello stato di Minas Gerais, che più tardi sarebbe diventato lo stato con il maggior numero di APAC. Questa nuova sfida è stata frutto della perseveranza di Valdeci Ferreira, che quando coordinava la Pastorale carceraria della città di Itauna – Minas Gerais, ha scoperto il metodo APAC attraverso un libro. Dopo un contatto iniziale con l´autore, e ancora diffidente, si recò a São Paulo per conoscere da vicino come funzionava in pratica quell´idea che tanto lo provocava. Tornato ad Itauna aveva radicato dentro di sé la convinzione che fosse possibile creare un carcere senza polizia. “Sono stati anni molto difficili, soprattutto per rompere le barriere del pre-
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giudizio della società e conquistare le autorità”. Valdeci Ferreira. Era necessario che altre persone credessero nel metodo. Valdeci conobbe il giudice della città di Itauna, Paulo Antonio Carvalho, che divenne in seguito uno dei principali sostenitori. Attualmente Itauna può essere considerata l´APAC madre. “Sono oltre 30 le APAC funzionanti e 40 in costruzione in 18 Stati del Brasile e abbiamo anche esperienze in 23 paesi del mondo” spiega Valdeci Ferreira. Nel 2009 AVSI, sollecitata dal presidente della FIAT/Chrysler dell´America Latina, Cledorvino Belini, sviluppa insieme all´Unione Europea un programma di assistenza tecnica e formazione dei direttori di queste prigioni alternative e qualificazione professionale dei detenuti. In questo programma sono
coinvolti importanti partner come l´Istituto Minas Pela Paz, creato dalle 10 maggiori imprese del Minas Gerais e che da quasi 10 anni realizza attività educative e professionali per i detenuti. “Sono forze che, unite, trasformano vite attraverso la creazione di opportunità motivate dal fatto di credere che le persone possono cambiare e meritano una chance. Questa iniziativa prova che le grandi questioni devono essere affrontate insieme, per la costruzione di soluzioni legittimate e sostenibili.” Ha evidenziato il presidente Belini. La sfida inaspettata che Belini ha rivolto ad AVSI parte dal riconoscimento di una condivisione di metodo prima di tutto educativo, emerso nel progetto “Arvore da Vida” in partnership con la FIAT che crea lavoro e migliorare la qualità della vita a 13.500 beneficiari diretti. Quello che non era nei nostri programmi è diventato un progetto che ci ha ancora una volta messi davanti a uomini con un volto e un cuore. E a un uomo non può rispondere che un altro uomo. Questo è quello che impariamo ogni giorno dai detenuti delle APAC: che la libertà è ciò che rende l’uomo tale e niente può eliminarla, neppure il carcere.
Cledorvino Belini, presidente FIAT/Chrysler America Latina, sarà al Meeting di Rimini il 23 agosto per l’incontro “Una finestra sul mondo” (vedi breve pagina 3).
A Bruxelles il 14 maggio si è svolto un seminario presso il Comitato Economico e Sociale Europeo dal titolo “L’ultimo miglio: al cuore dello sviluppo”, per discutere di sviluppo sostenibile insieme ai rappresentanti delle istituzioni dell’Unione Europea (Parlamento Europeo Commissione Sviluppo, Servizio Europeo di Azione Esterna, Direzione Sviluppo e Cooperazione-EuropeAid della Commissione Europea), le organizzazioni della società civile e il mondo accademico. Rose Busingye, fondatrice del Meeting Point International in Uganda, ha dato voce all’esperienza vissuta dai protagonisti sul campo. L’evento ha messo in luce l’urgente necessità di condividere la responsabilità per il bene comune e lo sviluppo di un’attenzione sempre maggiore verso la dignità umana in tutti i suoi aspetti. “I farmaci sono fondamentali, ma non abbastanza per prendersi cura della persona. Il punto centrale è la scoperta del valore infinito di ogni persona per riscoprire la gioia di vivere”. Il Meeting Point oggi riunisce a Kampala migliaia di donne sieropositive che da “escluse” e stigmatizzate sono diventate promotrici di un cambio radicale del loro quartiere. “Voi lavorate per la dignità umana”: questa è stata la risposta di Thijs Berman, membro del Parlamento europeo alla testimonianza di Rose. “L’Unione Europea dovrebbe proteggere la dignità umana, e per questo abbiamo bisogno del sostegno della società civile”.
Il professor Jeffrey Sachs, incaricato dalle Nazioni Unite come coordinatore del “Sustainable Development Solutions Network” e come consulente all’High Level Panel per lo Sviluppo Sostenibile coordinato dal Primo Ministro Britannico David Cameron, ha sottolineato l’importanza di un quadro globale sugli obiettivi di sviluppo sostenibile considerando le componenti ambientali, sociali, economiche e di governance. “È necessario un approccio costruttivo che coinvolga tutti gli attori, ovvero le varie istituzioni dell’Unione Europea, le organizzazioni della società civile e del mondo accademico, per lavorare sempre di più per la dignità umana.” Ha concluso Alberto Piatti, Segretario Generale AVSI.
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ALBANIA
Al Meeting da vedere nello stand di AVSI
Artigiane
imprenditrici Il premio Nobel per la Pace Yunus le ha definite come la soluzione dei problemi della gente. Sono le donne di una rete di micro imprese femminili che, attraverso la tradizione artigianale, creano lavoro e dignità. Di Aida Ndrevataj
Aida Ndrevataj, 30 anni, nata a Tropoja, all’estremo nord dell’Albania, al confine con il Kossovo, è la responsabile di Rozafa. Dal 2005 lavora con AVSI. Ha studiato economia agricola e attualmente sta facendo un master professionale all’Università di Economia e Agrobusiness di Tirana.
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empre più spesso i produttori artigiani lavorano troppo e guadagnano troppo poco. Il loro compenso viene spazzato via dagli intermediari. Il social business proposto invece da Rozafa è di assoluto aiuto a queste donne che, crescendo, migliorano le loro condizioni di vita e perfezionano i loro talenti, trovando spazio anche nel mercato internazionale. Queste imprese si concentrano nella soluzione dei problemi della gente. L’occupazione è un problema globale, ma questo esempio in Albania deve diventare un modello per gli altri Paesi.” Sono le parole che ha detto Muhammad Yunus, Nobel per la Pace, lo scorso gennaio, al Primo Ministro Sali Berisha per la giornata mondiale del “Social business”. Il professore, molto colpito per il metodo applicato nel lavoro svolto fino ad ora da Rozafa in favore della micro imprenditorialità femminile e in parti-
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colare della crescita umana e professionale delle donne, ha confermando il suo appoggio al progetto. Io ho cominciato a lavorare per AVSI nel 2005 proprio su questo progetto a favore delle donne che ha fatto nascere la Fondazione Rozafa e, con il progetto, sono cresciuta anch’io, perchè in quegli anni mi sentivo piccola, avevo solo 22 anni e non pensavo certo di meritare quel posto. Sono stati lo sguardo e le parole di Alberto Piatti che mi hanno fatto cambiare. Era il maggio 2006, durante uno delle sue missioni mi ha detto “che male c’è essere giovani? ”. Oggi la gente mi identifica con Rozafa che rappresenta uno dei frutti nati dal progetto di promozione e incentivazione della micro-imprenditoria femminile in Albania finanziato dal Ministero Italiano degli Affari Esteri e
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implementato da AVSI e dalla Associazione Albanese SHIS, come organo operativo per un efficace servizio di sostegno a una rete di laboratori femminili albanesi, specializzati nella manifattura artigiana di articoli tessili e di biancheria per la casa, di alta qualità. La nostra missione è migliorare le condizioni di vita delle donne albanesi che abitano nelle aree marginali, attraverso il sostegno allo sviluppo di microimprese artigiane, occupazione femminile e promozione e commercializzazione dell’artigianato. La visione della Fondazione Rozafa è la costruzione della dignità della persona attraverso il lavoro. Le donne sono uno dei gruppi più vulnerabili della società albanese, specialmente quelle che vivono in zone rurali e suburbane, con un’istruzione minima e dei gravi problemi socioeconomici.
SI RINGRAZIA
SIAMO ARRIVATI QUI, GRAZIE A VOI
Senza l’accompagnamento degli amici di AVSI, in tutto il mondo, così come il Sostegno a distanza, gli AVSI Point, gli amici della CdO Opere Sociali e certamente di SHIS, la ONG locale albanese (Shoqata Internazionale per Solidaritetin) non saremmo mai arrivati qui, noi di Rozafa! In particolare, vogliamo ringraziare Vito Rimoldi SpA, Banca Popolare di Milano, Associazione Odiemme, Giuseppe Giana Spa. Ma anche l’architetto Victoria Spagnoli, consulente volontaria di
I laboratori coinvolgono donne di fasce sociali svantaggiate: donne capofamiglia, vedove o col marito emigrante fuori paese e con la responsabilità della crescita dei bambini da sole, ma che da sempre svolgono per tradizione e cultura, attività puramente femminili, quali il ricamo, la tessitura, il cucito. Una rete che comprende 13 “centri donne” situati nelle aree rurali e suburbane di Scutari, Kruja, Fushe-Kruja, Gramez, Tirana. I soldi che guadagnano, attraverso la commercializzazione di articoli finiti, come lenzuola, tappeti, borse, cuscini, tovaglie, sono di vitale importanza: prima di tutto servono per il cibo, per portare i figli a scuola, per le visite mediche. Gli utili conseguenti all’attività commerciale vengono reinvestiti a fronte delle esigenze. Rozafa è stata il primo raggio di speranza dopo un periodo molto difficile della situazione socioeconomica in Albania e della donna stessa. La sete di libertà nella creazione della propria identità, auto affermazione e sostenibilità (portando soldi a casa) mi ricorda i volti delle prime donne incontrate come Albana di Kruja, Iva di Kamza e le giovani ragazze a Valona, così come la ricamatrice Esmeralda con le mani d’oro, e le donne di Rreshen. AVSI ha iniziato ad operare in Albania nel 1997, caratterizzandosi per interventi nel campo dell’educazione e della sanità. Lo stesso anno ha avviato il programma di Sostegno a distanza, e oggi sostiene circa 800 bambini. Negli anni a venire AVSI si è adoperata per la costruzione di un centro educativo polivalente, per la riabilitazione funzionale dell’ospedale di Valona e interventi di igiene ambientale, assistenza ai minori. Con lo scoppio della guerra in Kossovo, nel 2000, ha assistito anche i profughi con progetti di emergenza nei settori sociale, sanitario e alimentare.
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AVSI per Rozafa, che ci ha dato un grande contributo per l’immagine e comunicazione e ci ha aiutato a vendere in Italia; i Fratelli Berto Salotti, che con il loro show-room a Meda, Brianza, hanno promosso azioni di marketing; John Felici della sociatà francese PO! Paris (in albanese Po! significa “Sì!”) che ci ha dato un grande sostegno e assicurato un lavoro continuo e prestigioso vendendo i prodotti nel mondo; infine anche YUNUS Social Business Albania, l’associazione del Nobel della Pace, Muhammad Yunus, per il sostegno che ci sta dando per lo scale up d’impresa.
dre è senza lavoro e Anila, con tre figli che vanno a scuola, ricama per il nostro centro. Una volta consegnato il lavoro, Anila ha dato una piccola mancia al figlio e lui ha detto “con questi soldi vado finalmente dal dentista! ” Questa testimonianza mi ha impressionato, perchè i ragazzi pensano solitamnente a divertirsi, invece qui l’unità della famiglia e la responsabilità sono da ammirare.
Fin dall’inizio della sua attività, AVSI ha collaborato con l’ong locale SHIS (Associazione Internazionale per la Solidarietà) per progetti in ambito educativo (centro diurno “Piccolo Principe”), della formazione (centro di formazione “Kardinal Mikel Koliqi”) e di sostegno alla micro imprenditoria. Un cammino lungo e serio, maturato negli anni che ci ha aiutato a capire necessità e bisogni. Anila, 37 anni, con un grande talento, mi ha raccontato un episodio particolare. Suo figlio maggiore, durante le giornate troppo fredde d’inverno che lo obbligavano in casa, ricamava a punto croce sui sacchi di iuta aiutandola. La loro famiglia è molto povera, il pa-
Tanto è stato fatto e altrettanto è ancora da fare. Ma di passi ne abbiamo certo fatti. Victoria Spagnoli, architetto e consulente di AVSI, ci aiuta molto ed è sempre con noi. In questi anni, il ruolo della donna nella società si è evoluto. Il bisogno di avere più entrate economiche ha contribuito al cambiamento della mentalità e adesso anche le famiglie più patriarcali o chiuse permettono alle donne di uscire fuori casa per lavorare. Le donne nelle aree urbane sono più predisposte a studiare. Queste donne costituiscono il punto di legame con altre donne più vulnerabili, sono “l’ultimo miglio della sviluppo”. In questi centri per donne, le nostre amiche parlano e si incontrano tra loro. Madri e sorelle che a loro volta parlano e incontrano altre donne, vicine di casa o della zona. E insieme, crescono.
I NUMERI DELLE DONNE
> Oltre 250 donne impiegate in base ai loro talenti (cucito, taglio, tessitura, ricamo, ecc); > 35 donne formate in amministrazione per poter gestire un piccolo business, > 13 laboratori artigianali; > Export: vendita dei prodotti sul mercato internazionale; > 6 centri donne formalmente costituiti, oltre ai piccoli laboratori; > Scambio di conoscenze con esperti internazionali; > Promozione, pubblicità e visibilità del progetto; > Networking tra i centri sul territorio; > Reinvestimento degli utili nel progetto. PER SAPERNE DI PIÙ www.fondacionirozafa.com
Muhammad Yunus, Nobel per la Pace, visita un laboratorio di Rozafa
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ROMANIA
Al Meeting da vedere nello stand di AVSI
La fabbrica dei mosaici Un’impresa sociale simbolo del bene comune: piccoli tasselli che, messi insieme, creano un’opera straordinaria. Nata l’anno scorso in Romania, la start-up fa lavorare ragazzi fragili che AVSI conosce da quando erano bambini. Di Simona Carobene
Simona Carobene è amministatore delegato dell’impresa sociale. Gli ultimi 15 anni li ha passati a lavorare per AVSI, metà in Italia e metà in Romania con il partner locale Fundatia Dezvoltarea Poporealor.
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arissimi amici, mi hanno chiesto di raccontare dei ragazzi che lavorano con me in Romania, perché quest’anno saremo presenti anche noi, in agosto al Meeting di Rimini presso lo stand di AVSI. Lo abbiamo deciso perché ci interessa conoscere la tradizione italiana del mosaico: visiteremo le chiese di Ravenna e una fabbrica che produce, esattamente come la nostra, mosaici. Desideriamo vedere con i nostri occhi tutto il bello della tradizione italiana e capire il perché di questo bello. E poi perché desideriamo incontrare tutti voi, cari amici, e raccontarvi chi siamo e, soprattutto, quello che sappiamo fare. La nostra storia è una storia lunga, che cercherò di riassumere in poche ri-
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All’inizio non avevo molta fiducia in questo posto di lavoro ma poi, quando ho visto come hanno lottato i miei colleghi piu’ grandi, ho capito che se vuoi qualcosa nella vita devi lottare anche tu.” Costica ghe, il resto ve lo diremo a voce, magari, davanti ad un buon gelato italiano. Quando abbiamo iniziato a pensare ad un’impresa, avremmo voluto produrre il gelato. Avevamo già il luogo per produrlo e amici in Italia pronti ad insegnarci il mestiere. Sarebbe stato bellissimo e grazie ai fondi sociali europei l’investimento potevamo farlo, ma è bastato uno
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studio di fattibilità per farci capire che questa idea non sarebbe stata sostenibile: in Romania non piace tanto il gelato, si vende solo per due o tre mesi l’anno. Insomma, questo non ci sarebbe bastato. Noi desideravamo un lavoro vero! Mantenendo vivo questo desiderio abbiamo iniziato, con dei tentativi informali, a “sporcarci le mani”. Il primo lavoro vero è stato una richiesta di assemblaggio, semplice ma pagata pochissimo. Poi, abbiamo piegato e imbustato magliette (un lavoretto che seguiamo ancora quando ce lo chiedono, su commissione). Poi, grazie alla collaborazione degli amici della cooperativa sociale Il Carro di Paullo, (www.coopilcarro.it), abbiamo iniziato a realizzare gli strap-
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Le imprese sociali possono rappresentare un fattore di cambiamento molto forte. Per produrre risultati migliori per il bene comune. Per dimostrare che e’ possibile fare le cose in modo piu’ responsabile e piu’ equo, pur continuando ad avere successo nel mercato. E per diventare un vero motore della crescita nell’Unione Europea.” José Manuel Barroso, presidente Commissione Europea.
pi (una tecnica per rimuovere dipinti murali dalla loro sede). Siamo stati in Italia una settimana per “rubare” le regole del mestiere e, una volta avviata l’attività, l’amico Egidio, per noi un maestro, è venuto in Romania per aiutarci a perfezionare la tecnica. Siamo diventati bravi, abbiamo iniziato a partecipare a diverse manifestazioni, e abbiamo iniziato a vendere con discreto successo. Ma non ci bastava. Così siamo andati avanti nella nostra ricerca, guardando quello che la realtà intorno a noi ci diceva e lasciandoci correggere, fino al punto da stravolgere totalmente l’idea. E non solo l’idea, anche il budget del progetto che Fundatia Dezvoltarea Poporealor – l’organizzazione locale partner di AVSI in Romania - stava gestendo. Ovvero un progetto con fondi sociali europei che aveva tra i suoi obiettivi quello di “avviare una impresa sociale a Bucarest che potesse offrire lavoro a giovani in difficoltà”. L’obiettivo è rimasto, ma l’investimento è cresciuto e dopo l’approvazione siamo partiti per avviare una fabbrica di mosaici, la seconda di tutta la Romania.
muletti, camion per i trasporti e così via), a carico nostro i macchinari e, ovviamente, la manodopera. Per vedere cosa significasse una vera attività, siamo andati a visitare la sua azienda. Non dimenticherò mai le espressioni stupite e incredule dei ragazzi. Stefi: “Finalmente un lavoro vero!”. Per non parlare di quando sono arrivati i macchinari, i tecnici italiani che ci hanno spiegato cosa fare e quando abbiamo visto le macchine in funzione! “Il bene comune è come un mosaico al quale partecipa ogni piccolo pezzettino per creare l’insieme, per fare qualcosa di bello. … un segno reale della solidarietà”. Ha affermato all’inaugurazione il vescovo Ioan Robu. Costica, ha 23
L’idea è nata in modo inaspettato, da un incontro con Luigi Caverni, responsabile del gruppo di aziende Menatwork (presenti in Romania dal ’94 con circa 400 dipendenti) che ci ha proposto di avviare la produzione. Lui ci avrebbe aiutato per la parte commerciale e con la logistica necessaria (dotazione del capannone,
“PER SEMPRE” I ragazzi di cui vi
racconto, oggi miei colleghi di lavoro, sono gli stessi bambini che AVSI ha incontrato alla fine degli anni 90 e che da allora, insieme al suo partner romeno Fundatia Dezvoltarea Popoarelor, ha accolto in case famiglia perché abbandonati e troppo fragili. Certo i progetti in questi 15 anni sono cambiati. Sono cresciuti e si sono adattati alle esigenze degli stessi ragazzi. Le case famiglia non ci sono più.
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anni, ma i suoi amici lo chiamano Neyo. “Prima lavoravo al Don Orione, una comunità per anziani, dove facevamo dei cartoncini. Oggi che faccio il mosaico, sono molto orgoglioso!”. Sandor, che è diventato il portavoce della nostra impresa sociale, oltre ad aver partecipato ad una trasmissione televisiva e aver rilasciato un sacco di interviste, una volta mi ha detto “In questo posto mi sento IO”. E questo credo proprio riassuma bene la dignità di una persona che finalmente si sente che vale perché sta costruendo qualcosa di bello. È passato poco più di un anno da quando abbiamo avviato questa piccola fabbrica e, se guardiamo tutto il percorso fatto, non possiamo non stupirci di quello che ci è accaduto. Ma tutto ciò è stato possibile grazie anche ai tanti amici della CdO Opere Sociali, di AVSI e di tutti gli amici italiani di aziende private, del Sostegno a distanza, degli AVSI Point e non solo che in questi anni, fin da quando questi ragazzi erano bambini, sono stati al nostro fianco.
L’ESPERIENZA IN ROMANIA non si sarebbe
potuta concretizzare se non ci fosse stato l’aiuto degli amici di AVSI, i sostenitori a distanza, i volontari degli AVSI Point con le Tende e iniziative, così come le tante aziende o realtà private. Ringraziamo tutti, non potendoli citare tutti, ma avendoli sempre nel cuore. In particolare grazie all’Associazione Gerolamo Sacchi, gli amici di Renate, AVSI San Marino, Andrea Matteoni.
PER SAPERNE DI PIÙ
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Partecipare al Meeting di Rimini, significa poter ringraziare di persona tutti gli amici per tutto quello che ci è accaduto e che ha sorpreso anche noi. Come mi ha detto un giorno il giovane Jhon: “è la prima volta che riesco a mantenere un posto di lavoro così tanto tempo. E questo è successo perché qualcuno ha avuto fiducia in me”.
Diversi ragazzi oggi sono diventati genitori e quasi tutti autonomi. L’incontro con ognuno di loro, per ognuno di noi, è stato, ed è, per sempre. La fabbrica di mosaici è un’impresa sociale in cui lavorano persone con disabilità. Nell’impresa lavorano in questo momento 8 ragazzi, assunti con contratto di lavoro, mentre altri 5 ragazzi sono in borsa lavoro, 2 ingegneri, un amministratore delegato e un responsabile finanziario part-time.
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ADOZIONI INTERNAZIONALI
In famiglia Adottare un bambino per la gioia di averlo e non per la mancanza di non averlo avuto. Le famiglie che hanno adottato con noi lo testimoniano.
“S
e si vuol adottare un bambino, credo si debba fare per gioia di averlo e non per la mancanza di non averlo avuto.” Racconta Alessandro, 46 anni, di Milano, che con la moglie Giusi e il figlio Francesco hanno adottato nel 2012 una bimba. Abbiamo scelto di adottare un bambino perché volevamo arricchire la nostra famiglia di una nuova presenza. Dopo l’approvazione da parte del Tribunale di Milano, e tutto l’iter, siamo stati avvertiti che una bimba era stata abbandonata in ospedale dopo il parto a causa di una piccola malformazione. La bimba, era affetta da labiopalatoschisi mono laterale, comunemente chiamata labbro leporino. Ma appena l’abbiamo incontrata, ci ha colpito la sua solarità. Dopo aver chiuso tutte le pratiche, finalmente siamo rientrati in Italia con Maria Celeste, la nostra nuova figlia.
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AVSI è un ente autorizzato dalla Commissione del Governo Italiano per le procedure di adozione internazionale e opera in Brasile, Messico, Lituania, Kazakhstan e Colombia. Inoltre, grazie all’intesa con la Fondazione Nidoli opera anche in Bolivia, Cile, Perù, Bulgaria e Federazione Russa. Attraverso i suoi progetti e le attività nel mondo incontra quotidianamente tanti bambini senza famiglia. L’adozione internazionale diventa così una possibile via concreta d’espressione d’amore per questi bimbi e per le loro storie di vita. “È stato un anno meraviglioso il 2012, nel quale siamo diventati genitori di Michele, un bambino fantastico, che ora è la nostra vita!” Questo entusiasmo arriva dalle porte di Napoli, dove mamma Emilia e papà Alfonso vivono. In Lituania, il 28 giugno 2010 è nato il piccolo Michele, che loro hanno accolto in famiglia in
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Italia con un amore incommensurabile. “Dentro di noi è nato un desiderio forte, un desiderio di diventare genitori e trasmettere a nostro figlio tutto l’amore e i valori che abbiamo ricevuto. I bambini sono dei tesori e il compito di noi genitori è quello di essere degli scrigni, per poterli custodire, educare e proteggere.” Giovanna Maria, la mamma, è avvocato. Bruno, il padre, è funzionario di banca. Nel 2008, insieme, hanno adottato Aurora Maria che ha 16 anni e Neringa Chiara, 14 anni e mezzo. Due sorelline lituane. Contemporaneamente sono stati adottati da un’altra famiglia anche i due fratelli più piccoli, Tommy e Marco. E tutti, vivono a Cesena. “Abbiamo un’altra figlia, Sofia Maria, che ha 19 anni, anche lei già adottata precedentemente, nel 1996, in Bulgaria. Ed è proprio anche per lei che ci siamo convinti a questa nuova ado-
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COME ADOTTARE
L’ARTIGIANATO DELLA VITA
le principali tappe dell’adozione internazionale con AVSI
1.
incontri informativi di gruppo Proposti a coppie con idoneità e a coppie senza.
“Con i soldi che guadagno con le collane riesco a mandare a scuola i miei bambini.” Mary vive a Kampala con altre mamme unite insieme come una famiglia. Come le collane che producono di carta riciclata con le amiche del Meeting Point International, l’organizzazione ugandese diretta da Rose Busingye che si prende cura di 5mila persone, principalmente donne malate di Aids e bambini orfani della guerra o della malattia.
anche da vecchie lavatrici – raccontano da Port-auPrince - o di utensili in metallo inutilizzabili.
I crocefissi in ferro battuto sono invece realizzati a Cité Soleil negli atelier artigianali di Haiti costruiti da AVSI per dare un luogo di lavoro ad artisti locali che hanno perso i loro laboratori durante il terremoto del 12 gennaio 2010. “I crocefissi provengono dal riciclaggio prevalentemente di barili di petrolio, ma
La Bottega di AVSI è un sito internet nato in partnership con la cooperativa di solidarietà Inter Sinergy che promuove un’economia sostenibile attraverso la vendita di prodotti artigianali che nascono in luoghi dove i giovani e le donne trovano nel lavoro un modo nuovo per vivere dignitosamente in alternativa all’illegalità.
I biglietti d’auguri sono tanti e diversi. Foto d’autore che portano in mondi lontani dove bambini sorridenti sembrano messaggeri di felicità e speranza; particolari illustrazioni che permettono alle aziende di personalizzare gli auguri, sostenendo le attività di AVSI nel mondo.
2.
corso di preparazione all’adozione internazionale
Condotto da una psicologa con la partecipazione di operatori AVSI e famiglie con esperienza adottiva.
3.
colloquio di approfondimento e scelta del paese/colloquio d’incarico
L’equipe sociale incontra la coppia per approfondire il progetto adottivo, la disponibilità, individuare il Paese estero e preparare l’incarico all’Ente.
4.
preparazione e invio dei documenti al paese estero
Spiegazione, preparazione e consegna all’autorità del Paese estero della domanda di adozione.
5
attesa e proposta di abbinamento con il bimbo
Nel tempo di attesa la coppia è accompagnata con vari incontri e colloqui. L’equipe tecnica dedica specifici colloqui per la proposta di abbinamento e il consenso della coppia.
6.
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zione.” Spiegano i genitori. “Ci sembrava giusto darle un fratello o una sorella. Volevamo dare una famiglia a chi ne aveva bisogno, avendo sempre entrambi creduto nei valori come fondamento della vita.” Perché avete scelto l’adozione internazionale? “Vista la bellissima esperienza con Sofia e le difficoltà burocratiche per quella nazionale, ci è sembrata la soluzione ideale. Sin dal primo colloquio con AVSI a Cesena abbiamo capito che il fondamento cristiano che anima il cuore della Fondazione e dei suoi collaboratori e volontari era quello che cercavamo noi e che ci ha dato sicurezza.” Daniela e Franco abitano a Ravenna, ma sono originari del-
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Dentro di noi e’ nato un desiderio forte, un desiderio di diventare genitori e trasmettere a nostro figlio tutto l’ amore e i valori che abbiamo ricevuto”. la Sardegna. Hanno 44 e 47 anni. Nel 2008, con la Fondazione AVSI, hanno adottato Ariane, una bambina brasiliana che oggi ha quasi 11 anni. “Abbiamo adottato perché il nostro essere famiglia, noi due soli, non ci
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bastava più. Sentivamo il bisogno di crescere dei figli, di moltiplicare il nostro amore. Il sorriso e la solarità di nostra figlia è la cosa più bella del mondo, quello che ti fa dire grazie ogni momento della giornata, per averci dato l’opportunità di vivere un’esperienza così unica e grande.” Adottare con AVSI, dicono, “è stato come stare in famiglia”. L’adozione è un percorso spesso lungo. Nel caso di Daniela e Franco è durato 4 anni. “Ma questo tempo ci ha aiutato a crescere interiormente e ci ha preparati e resi più forti per affrontare le difficoltà. Quando siamo partiti per il Brasile, sicuramente eravamo due persone diverse.”
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organizzazione del viaggio permanenza all’estero
Dopo il consenso della coppia si organizzano il viaggio/i e la permanenza/e della coppia nel Paese estero. Nel periodo di permanenza la coppia è assistita dal referente di AVSI.
7.
post adozione
Per 2 o più anni la coppia dovrà mantenere rapporto con i Servizi Sociali del territorio e con AVSI per le relazioni post-adozione da inviare al Paese estero.
per saperne di più
www.avsi.org/adozioninternazionale periodico della Fondazione AVSI, ONG-Onlus, in abbonamento postale gratuito ai donatori. Direttore: Roberto Fontolan Redazione: Elisabetta Ponzone, Maria Teresa Gatti, Regina Valdameri, Anna Zamboni, Elena Zondini, Elena Ricci, Paola Ferrari, Dania Tondini, Grafica: Accent on Design, Milano Redazione: Fondazione AVSI, via Legnone, 4 20158 Milano - Tel. 02.6749.881 - buonenotizie@avsi.org ARRETRATI L’archivio completo è scaricabile dal sito www.avsi.org AIUTACI A RISPARMIARE Mandaci i tuoi dati a buonenotizie@avsi.org; ti spediremo il giornale via mail. INFORMATIVA DATI I Suoi dati sono registrati e custoditi con i più corretti
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SOSTEGNO A DISTANZA
Sei una scuola o un insegnante? Chiedi informazioni per portare il Sostegno a distanza di AVSI anche in classe da te sostegno.distanza@avsi.org
Il sostegno a distanza
in classe
Un’esperienza unica per proporre nuovi percorsi didattici utilizzando metodologie che permettono di avvicinare i ragazzi a tematiche che li aiutano a crescere. Di Elena Zondini ed Elena Ricci
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A scuola in Rwanda. Foto di Brett Morton
empre più sono le scuole che decidono di attivare un Sostegno a distanza, di classe o di istituto e che ci inviano bellissime testimonianze della loro esperienza. Parlano di un’avventura coinvolgente che permette di allargare gli orizzonti, un’amicizia, fatta di corrispondenza scritta e di collegamenti via Skype e videomessaggi, ma anche un modo nuovo di studiare lingue, geografia e di approcciarsi alle tecnologie informatiche. Il Sostegno a distanza infatti, oltre a permettere di incontrare una cultura diversa dalla propria e di aiutare concretamente un coetaneo, fattori che destano da subito l’interesse degli studenti, si rivela anche uno strumento utile ai fini della didattica. In un’unica esperienza la possibilità di collegare, far confluire più tematiche. Su questo tema è stata avviata una collaborazione con l’associazione di insegnanti Diesse (www.diesse.org) che ha portato allo studio di materiali, percorsi didattici e strumenti per impostare un lavoro a scuola attraverso l’esperienza del SAD, reperibili sul sito dell’associazione stessa. La risposta dei ra-
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gazzi e degli insegnanti, è stata sorprendente: un entusiasmo e una creatività davvero grandi che hanno dato vita a meravigliose storie di amicizia davvero senza confini. Un incontro di due culture e di storie tanto diverse quello tra i bambini della scuola primaria Don Giovanni Bosco di Pesaro e Maria Gratia, la loro amica del Kenya. Poco prima di Natale, durante una videoconferenza su Skype con grande emozione hanno potuto salutarla e farsi raccontare un po’ della sua vita. Il desiderio di continuare questa condivisione è stato tale che pochi mesi dopo Maria Gratia ha ricevuto tante lettere da questi bambini dove le raccontavano dell’inverno in Italia e della neve che
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non ha mai visto, ma di cui ha potuto provare l’emozione attraverso le loro parole e disegni. Festeggia cinque anni la storia di amicizia tra Angela, una bambina ugandese e una scuola media nel milanese. Un sostegno a distanza caratterizzato da incontri via Skype ricchi di canti, novità e possibilità di imparare. Quest’anno per Angela, che i ragazzi considerano una compagna di classe, hanno creato un calendario poi venduto per raccogliere fondi per il suo sostegno e una favola in inglese, con tanto di illustrazioni, che le hanno inviato come regalo. Al Liceo M. L. King di Genova di studenti hanno deciso di “creare” una nuova classe, composta dai bambini che insieme hanno deciso di sostenere a distanza. Al primo sostegno attivato per Nadia, una ragazza di Haiti, molti altri ne sono seguiti da parte delle classi di questa scuola. Così è nato tra i ragazzi un desiderio: “Sarebbe bello che al King potessimo avere una classe in più delle 56 che già abbiamo, fatta dai nostri bambini di valore, che sosteniamo con AVSI nel mondo”.
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