Diario di Haiti Ricostruire l’umano dopo l’emergenza
MARIETTI 1820
A Junior e Brice
L’unico orizzonte adeguato per sostenere l’urto e la ferita che le immagini di giornali e televisioni suscitano, è che la vita abbia un compito, che ci abiliti a partecipare anche alla ricostruzione di Haiti, rilanciandoci a vivere ogni giorno, ovunque siamo, testimoniando nella vita quotidiana che c’è un disegno buono su di noi e sulla nostra esistenza, che la vita ha un senso, un significato.”
Straordinaria e commovente la risposta dei sostenitori di AVSI, in Italia e nel mondo, che immediatamente dopo la tragedia del terremoto hanno donato prezioso tempo e denaro a favore delle persone di Haiti.
Testi Andrea Bianchessi, Lucia Capuzzi, Fiammetta Cappellini, Maria Teresa Gatti, Elisabetta Ponzone Design e concept Luca Sanfelici Pubblicazione a cura di Maria Teresa Gatti e Elisabetta Ponzone In copertina foto di Ilaria Di Biagio Photo Courtesy Emiliano Larizza, Simone Sarcià, Patrizia Vergani, Ilaria Di Biagio, Andrea Bianchessi, Paolo Carpi, Chiara Mezzalira, Alberto Reggiori, Roberto Zangheri, Edoardo Panunzio, Giovanni Galli © 2012 Casa Editrice Marietti S.p.A. - Genova - Milano Finito di stampare nel mese di Aprile 2012 Rilegatoria Varzi, Città di Castello (PG) I edizione 2012 ISBN 978-88-211-7771-2 www.mariettieditore.it
AVSI - ITALIA Via Legnone 4 20158 Milano Tel: 02 6749 881 Fax: 02 6749 0056 milano@avsi.org Via Padre Vicinio da Sarsina 216 47521 Cesena (FC) Tel: 0547 360 811 Fax: 0547 611 290 cesena@avsi.org AVSI - USA DC Office 529 14th street NW suite 994 Washington, DC 20045 Tel/fax: +1 202 429 9009 infoavsi-usa@avsi.org www.avsi-usa.org
Sommario
Prefazione di Maria Teresa Gatti direttore Knowledge Management Fondazione AVSI ..................................
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La storia di Haiti di Lucia Capuzzi, giornalista di “Avvenire” .................................................
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Il terremoto. I diari di Fiammetta .......................................................
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Ricostruire l’umano. AVSI in Haiti ......................................................
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L’educazione: i centri educativi ...................................................................
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Il sostegno a distanza ..................................................................................
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Il lavoro .....................................................................................................
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I centri nutrizionali ....................................................................................
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L’emergenza colera .....................................................................................
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Agricoltura, sicurezza alimentare e acqua ....................................................
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Le case .......................................................................................................
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Il metodo AVSI, i valori guida .............................................................
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Ringraziamenti........................................................................................
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Prefazione Haiti due anni dopo. Qualcosa sta cambiando «È proprio necessario che le cose cambino… Il vostro (Haiti) è un bel Paese, ricco di risorse umane. E si può parlare di un sentimento religioso innato e generoso, della vitalità e del carattere popolare della Chiesa… Occorre che i “poveri” di tutti i tipi riprendano a sperare. C’è infatti certo un profondo bisogno di giustizia, di una migliore distribuzione dei beni, di una organizzazione più equa della società, con una maggiore partecipazione, una concezione più disinteressata del servizio da parte di tutti coloro che hanno delle responsabilità; c’è il desiderio legittimo, per i mass media e la politica, di una libera espressione che rispetti le opinioni degli altri e il bene comune; c’è bisogno di un più libero e facile accesso ai beni e ai servizi che non possono restare appannaggio di qualcuno: per esempio la possibilità di mangiare a sufficienza e di essere curati, l’abitazione, la scolarizzazione, la vittoria sull’analfabetismo, un lavoro onesto e dignitoso, la sicurezza sociale, il rispetto delle responsabilità familiari e dei diritti fondamentali dell’uomo. In breve, tutto ciò che fa sì che l’uomo e la donna, i bambini e gli anziani conducano una vita veramente umana. Non si tratta di sognare ricchezze o società dei consumi, ma si tratta, per tutti, di un livello di vita degna della persona umana, dei figli e delle figlie di Dio. E tutto questo non è impossibile se tutte le forze vive del Paese si uniscono in un medesimo sforzo, contando anche sulla solidarietà internazionale che è sempre auspicabile».
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Sembrano scritte oggi, a due anni di distanza dal devastante terremoto che ha ucciso 230.000 persone e ne ha messe per strada oltre 1 milione, all’inizio del mandato di un Presidente eletto e di un governo nuovo, e invece sono parole pronunciate dal Beato Giovanni Paolo II a Port-au-Prince il 9 marzo 1983, alla chiusura del Congresso Eucaristico che aveva come tema “Bisogna che qui qualche cosa cambi”. Da allora, sicuramente qualcosa è cambiato, molto più in questi ultimi due anni che non in quelli precedenti. Una capitale da ricostruire, insieme a maggiore libertà, a maggiore consapevolezza, a una forte (forse troppo) presenza della comunità internazionale. Sulle ceneri di una catastrofe senza precedenti si leggono oggi imponenti programmi per il futuro. Tra le grandi sfide che il governo di Haiti deve affrontare, due sono decisamente prioritarie: l’educazione e il lavoro. Nel recente forum organizzato dalla Banca Interamericana di Sviluppo sugli investimenti in Haiti, si è parlato di grandi opere, di insediamenti di gruppi industriali, di turismo e infrastrutture. Per generare posti di lavoro, obiettivo 500.000. Contemporaneamente, si persegue il programma di scolarizzazione dei bambini, con la leadership della Banca Mondiale e di altre organizzazioni. Certamente uno sforzo da appoggiare senza indugio, anche se la comunità internazionale non si è astenuta da critiche a volte molto pesanti sui ritardi della ricostruzione.
Viste “dal basso”, queste prospettive stile “piano Marshall” paiono molto lontane. La vita quotidiana dell’80% della popolazione è ancora finalizzata ai servizi di base: casa, acqua, cibo, sopravvivenza famigliare. In un mondo globale che ci ha in più occasioni rivelato come la prospettiva di chi governa è molto lontana da quella delle persone, che il “sistema” si sta sempre più divaricando da chi lo genera, che le risorse del popolo sono messe in stand by in attesa che “grandi interventi” creino le condizioni perché queste possano esprimersi, è auspicabile che il “nuovo inizio” di Haiti riprenda dalle sue risorse umane, riparta dalla dignità della persona. L’esperienza di AVSI di oltre dieci anni di vita, lavoro e legami in Haiti mostra che quella di Giovanni Paolo II è ancora la visione più realistica. Un Paese ricco di risorse umane, che hanno bisogno di tornare a sperare per ripartire. Una visione che parte dalla persona e non da un piano. L’educazione è certamente una condizione essenziale, per questo sono fondamentali la scolarizzazione e luoghi di ricreazione in cui bambini e giovani possano scoprire il valore di sé, degli altri e del mondo. Il lavoro è altrettanto essenziale, per questo occorre che gli investimenti partano dalle risorse presenti e non si tenti di fare del Paese un’isola di manodopera. Una visione che parte dalle forze vive della società, dalle persone. Non da programmi a immagine e somiglianza della società dei consumi. Occorre la pazienza di far crescere soggettività consapevoli della propria
identità e del proprio compito nel mondo, capaci, per questo, di trasformarlo e renderlo più umano. Il lavoro del governo di Haiti è quindi particolarmente delicato e può essere un esempio per tutti: dare unità alle forze vive del Paese e al sostegno della solidarietà internazionale, verso l’obiettivo di una vita degna della persona umana. Maria Teresa Gatti Direttore Knowledge Management Fondazione AVSI Gennaio 2012
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La storia di Haiti
La storia di Haiti Non è un politico e prima del 16 maggio 2011 non aveva mai ricoperto incarichi pubblici. Per tutta la vita è stato un rapper di successo. Ora, l’ex Sweet Micky alias Michel Martelly è il presidente di Haiti. Con i voti di quasi il 70% dei cittadini. Che l’hanno preferito a funzionari di “lungo corso”. Una scelta bizzarra solo in apparenza. L’insofferenza verso la politica è una costante degli haitiani, delusi da secoli di promesse mai mantenute. E dall’interminabile serie, ai posti di comando, di dittatori feroci, capi popolo verbosi e violenti, leader corrotti o inetti. Eppure, nel 1804, Haiti si mise in luce come esempio per il mondo: proprio in questa parte occidentale dell’isola caraibica di Hispaniola nacque la prima “Repubblica nera” della storia. A fondarla, gli ex schiavi che si erano ribellati alle vergognose condizioni in cui erano costretti a vivere dai colonizzatori francesi. Una lezione, forse, troppo “moderna”. Stati Uniti – dove era in vigore la schiavitù – ed Europa temevano che il “virus” della ribellione si estendesse oltre i ristretti confini di Hispaniola. Per questo, decisero di “punire” gli haitiani, isolandoli. Parigi riconobbe l’ex colonia solo nel 1825 ma, in cambio, pretese un esorbitante risarcimento: 60 milioni di franchi. Per pagarlo, Haiti finì sull’orlo della bancarotta, diventando la prima nazione del Sud del mondo ufficialmente “indebitata” con l’estero. Con le casse dello Stato vuote, la giovane repubblica entrò in una fase di recessione cronica. Da cui non si è ancora ripresa. Colpi di Stato e rivoluzioni sono state una costante nel passato remoto e prossimo dell’isola. All’anarchia della prima parte del Novecento, ha fatto seguito, dal 1957, la spietata dittatura dei Duvalier. Quella che lo scrittore Graham Greene ha definito la “Repubblica da incubo”. Appena arrivato al potere, Francois Duvalier creò un sistema claustrofobico, in cui ogni cittadino era potenziale bersaglio dei crudeli tonton macoutes, gruppo paramilitare che esercitava
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un controllo capillare sulla società, pronto a zittire ogni minima forma di dissenso. Alla morte di François, nel 1971, alias Papa Doc, la dittatura sopravvisse grazie al figlio Jean Claude – Baby Doc. In totale, i due Duvalier straziarono l’isola per ventisette anni: si appropriarono delle sue ricchezze, sperperarono immani risorse, lasciarono cadere in pezzi l’apparato produttivo e vendettero parti di Paese alle imprese straniere. I due dittatori non devastarono solo economia e natura: per mantenere il potere, si accanirono contro la società civile. Il controllo sui mezzi di comunicazione era ferreo. Gruppi e movimenti, per non parlare dei partiti, venivano soffocati nel sangue. Non solo. Papa Doc cercò di manipolare le coscienze: si presentava in pubblico con frac e cilindro nero, l’abito con cui nella religione vudù viene raffigurato il loa della morte, Baron Samedì. Come quest’ultimo, Duvalier padre si considerava l’arbitro supremo della vita del suo popolo: con un cenno poteva toglierla o risparmiarla. Non era la morte, però, il castigo peggiore per gli oppositori. Papa Doc aveva diffuso la leggenda di essere un bokor, ovvero uno stregone vudù capace di trasformare i nemici in zombie. Cioè cadaveri privi di volontà, destinati a diventare per sempre suoi schiavi. Per questo, non restituiva i corpi di chi veniva fatto uccidere. Eppure i Duvalier riuscirono a nascondere tanta brutalità dietro una patina luccicante. Al mondo, vendevano un’isola “da cartolina”: spiagge mozzafiato, mare cristallino, hotel esclusivi. La “Perla Nera dei Caraibi”, così veniva chiamata Haiti. La miseria veniva segregata dietro la facciata dei resort. Era l’Haiti Chèrie immortalata nelle canzoni francesi e nei quadri naïf. Per non turbare la sensibilità degli ospiti milionari - da John Kennedy ad Ava Gardner -, i Duvalier fecero radere al suolo i quartieri poveri di Port-au-Prince. Le ruspe di Papa Doc sospinsero migliaia di indigenti verso il mare. Qui nacque Cité Simon - in onore della moglie del dittatore - ora
Cité Soleil, la più disperata delle baraccopoli della capitale. Quartiere ben conosciuto anche ad AVSI (ndr). Il regime duvalierista cadde finalmente nel 1986. Jean Claude fuggì in Francia salvo poi tornare dopo il terremoto del 12 gennaio per “far del bene al Paese”. Poco dopo, è rientrato a Port-au-Prince anche l’altro grande protagonista degli ultimi decenni: Jean Bertrande Aristide. Ex sacerdote salesiano, fondatore del movimento di rinnovamento spirituale Ti Legliz (Piccola chiesa) e, poi, del partito Lavalas, “Titid” – come lo chiamano gli haitiani – fu uno dei più strenui oppositori dei Duvalier. Tanto che, quando era ancora un religioso, la sua chiesa venne incendiata dai sostenitori del regime. Aristide fu eletto presidente nel 1990. Solo grazie all’intervento degli Stati Uniti riuscì a finire il mandato: un golpe lo depose dopo pochi mesi e i marines dovettero reinsediarlo con la forza. Dopo la rielezione nel 2001, però, l’Aristide riformatore si trasformò in un visionario assetato di potere. Non esitò a manipolare le bande armate giovanili per eliminare gli avversari. In cambio, elargiva agli sbandati delle baraccopoli qualche centinaio di dollari, provenienti ovviamente dalle casse dello Stato. Anche gli avversari del presidente si armarono. La prima vittima del feroce conflitto fu la fragile democrazia haitiana. Il populismo autoritario, ancora una volta, aveva vinto. La guerra civile fu tremenda. L’intera nazione era un campo di battaglia: da una parte les chimères (gli arrabbiati) - i fedelissimi del presidente, crudeli e poverissimi quanto la bidonville da cui provenivano: Cité Soleil - dall’altra gli anciens soldats (veterani), altrettanto brutali e nemici giurati di Aristide. In mezzo la popolazione, stritolata dal terrore, barricata in casa per timore di una pallottola vagante. Muta perché parlare poteva costare la vita. Stupri, rapine e omicidi erano all’ordine del giorno. I colpevoli restavano impuniti a meno che non venissero colti sul fatto e linciati dalla folla.
Solo le Nazioni Unite – in missione nell’isola dal 2004 – sono riuscite a porre fine alla serie di massacri ed esecuzioni. Il protagonista di questa fase turbolenta è stato René Preval, eletto democraticamente nel 2006. La Minustah – missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite – ha impiegato due anni per riportare un minimo d’ordine. Dal 2006, progressivamente, la situazione ha cominciato a migliorare: le bande armate sono state smobilitate ed è stata avviata la ricostruzione – o costruzione – delle istituzioni pubbliche. Quando la situazione sembrava sul punto di migliorare, cinquanta secondi di furia sismica hanno ridotto il Paese a un cumulo di macerie. Alle 16.53 del 12 gennaio 2010, una scossa del settimo grado Richter ha straziato Port-au-Prince, precipitandola in un tunnel da cui non è ancora uscita. Sarà l’ex cantante Michel Martelly – subentrato a Preval alle elezioni del 20 marzo 2011 – a dover affrontare l’enorme sfida di ricostruire il Paese. Un compito difficile ma non impossibile. Gli haitiani, nonostante i drammi, non hanno perso la speranza. Del resto, come ripete sempre il missionario salesiano Attilio Strà: «In francese, la parola “speranza” si traduce in due modi: espoir, la speranza razionale, ed espérance, quella che ti porta a credere ostinatamente anche quando sarebbe ragionevole lasciarsi andare. Ad Haiti, quando sembra non ci sia più espoir, resta sempre tanta espérance». Lucia Capuzzi giornalista di “Avvenire”
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Il terremoto
Il terremoto di Haiti del 2010 è stato un terremoto catastrofico di magnitudo 7,0 Mw con epicentro localizzato a circa 25 km in direzione sud-ovest della città di Port-au-Prince, capitale dello Stato caraibico di Haiti. La scossa principale si è verificata alle ore 16:53:09 locali (21:53:09 UTC) di martedì 12 gennaio 2010 a 13 km di profondità. Lo United States Geological Survey (USGS) ha registrato una lunga serie di repliche nelle prime ore successive al sisma, quattordici delle quali di magnitudo compresa tra 5,0 e 5,9 Mw. Il numero di vittime stimato è di 230.000. L’entità dei danni materiali provocati dal sisma è ancora sconosciuta. Secondo la Croce Rossa Internazionale e l’ONU, il terremoto avrebbe coinvolto più di 3 milioni di persone.
Legenda Capitale Capitale amministrativa
Scossa percepita Estrema
Popolazione esposta 332.000 2.246.000
Violenta Potente Molto forte Forte
314.000 571.000 1.049.000
Moderata Leggera
7.261.000 5.887.000
Cuba Oceano Atlantico
Port de Paix Cap Haitien Fort Liberte
Gonaives
Hinche
Haiti * JĂŠrĂŠmie
Port-au-Prince Miragolne
Les Cayes
Jacmel
Mar dei Caraibi
Repubblica Dominicana
I diari di Fiammetta Eravamo in ufficio in AVSI a Port-au-Prince. La prima scossa è stata fortissima ed è durata sicuramente più di un minuto. Appena possibile abbiamo lasciato i locali. Le strade però si sono rivelate una trappola. Io e la seconda macchina con Jean Philippe e un collega haitiano siamo rimasti bloccati per ore. Alla fine abbiamo deciso di fare ritorno all’ufficio. Ci siamo riforniti di acqua potabile e cose simili e ci siamo diretti verso la ex casa di Carlo Zorzi (ex rappresentante di AVSI in Haiti, prima di Fiammetta, e ora in Costa d’Avorio), unica meta raggiungibile”. 13 gennaio 2010: Fiammetta Cappellini di AVSI era l’unica voce da Haiti che comunicava con l’Italia chattando con la sede a Milano via Skype. In seguito, i suoi diari, pubblicati su “ilsussidiario.net”, sono stati letti da milioni di persone.
Port-au-Prince 13 gennaio 2010 Dalla capitale di Haiti, Port-au-Prince, Fiammetta Cappellini, rappresentante di AVSI in Haiti, scrive via chat utilizzando Skype: «Cerco di essere breve perché cerchiamo di fare economia di batterie. Come sapete il terremoto è avvenuto alle 17 ora locale, mentre ci accingevamo a chiudere gli uffici. La prima scossa è stata fortissima ed è durata sicuramente più di un minuto. Appena possibile abbiamo lasciato i locali. Constatato che non c’erano danni rilevanti, siamo andati tutti a casa. Le strade però si sono rivelate una trappola. Io e la seconda macchina con Jean Philippe e un collega haitiano siamo rimasti bloccati per ore. Alla fine abbiamo deciso di far ritorno all’ufficio. Ci siamo riforniti di acqua potabile e cose simili e ci siamo diretti verso la ex casa di Carlo Zorzi (ex rappresentante di AVSI in Haiti, prima di Fiammetta, e ora in Costa d’Avorio), unica meta raggiungibile. Qui però ci ha sorpresi la seconda scossa, al che abbiamo deciso di dormire fuori. Non potendo raggiungere casa mia, abbiamo chiesto ospitalità in una struttura dell’ambasciata brasiliana di Port-au-Prince. Quando la situazione nelle strade si è un po’ normalizzata, verso le 10 di sera, ci siamo avventurati verso casa mia. Abbiamo praticamente attraversato la città. Il panorama è devastante. I più importanti edifici sono scomparsi. Danni ingenti si registrano ovunque. Solo da quello che abbiamo visto noi, i morti non possono che contarsi a migliaia. Interi edifici di diversi piani sono completamente rasi al suolo. Gravissimi danni ha subito un noto supermercato che a quell’ora non poteva essere che pieno di gente. È praticamente ridotto a niente. Verso mezzanotte ho potuto ritrovare mio marito, al che abbiamo fatto un giro a casa di Jean Philippe, il francese che lavora con noi, la casa è gravemente danneggiata e chiaramente non più abitabile. Quindi per ora sta da me. La casa dove vi-
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vono i “nostri Edoardo-Alberta” non sembra apparentemente aver subito gravi danni. Il nostro ufficio principale della città è integro. Fortunatamente i nostri colleghi stanno bene. Attraversando la città abbiamo visto scene di devastazione terribili. Abbiamo notizia di almeno due colleghi che hanno trovato la casa rasa al suolo. D’altronde anche quella di fianco alla mia non esiste più. Per le strade vagano persone in preda a crisi di panico e di isteria, feriti in cerca di aiuto. Gli ospedali sono difficilmente raggiungibili, le strade della capitale impraticabili. Il nostro viaggio verso casa è durato oltre 2 ore per fare meno di 10 chilometri. E per fortuna avevamo la jeep. Abbiamo cercato di portare aiuto come potevamo per trasportare i feriti, almeno i bambini non accompagnati, ma ci siamo presto resi conto di quanto poco servisse rispetto alla dimensione di questa tragedia. Si sentono dalle macerie le grida di aiuto di chi è rimasto sotto e i parenti impotenti si disperano. Mancano luci per illuminare la scena e continuare a scavare di notte. Non possiamo che attendere la mattina, ma questa notte è veramente nera per tutti noi. Il commissariato di Delmas 33, con annessa prigione e centro di detenzione di minori, un edificio di tre piani, non esiste più. Sul posto la Minustah ha montato luci a grande potenza per poter continuare l’opera di soccorso. L’hotel Montana, dove oggi ho pranzato, è semidistrutto e conta 200 dispersi. Non ho più notizie della mia ospite di oggi. Spero per lei. Tutti i mezzi della missione ONU sono mobilitati per portare aiuto, ma le Nazioni Unite stesse hanno subito gravi danni, con il loro quartier generale semidistrutto e diversi impiegati civili dati per dispersi. In tutta la città la gente resta in strada: chi non ha più una casa, ma anche chi teme nuove scosse. Della maggior parte dei colleghi haitiani non abbiamo notizie, come anche di moltissimi amici e colleghi. Abbiamo incontrato in strada il capomissione di Action contre la faim. Ci ha raccontato che il loro edificio è interamente distrutto e che per ore hanno cercato i colleghi vittime del crollo. Un loro collega haitiano manca all’appello. Lo stesso capo missione era leggermente ferito e cercava a piedi di raggiungere la propria abitazione e avere notizie della famiglia.
Ciò che abbiamo visto con il collega Jean Philippe nell’attraversare la città è spaventoso. Non so davvero da che parte potremo ricominciare, ma lo faremo. È terribile. Penso ai quattro bambini che abbiamo soccorso oggi pomeriggio, quattro fratellini che si sono trovati sotto una casa distrutta senza i genitori non ancora rientrati dal lavoro. Uno di loro aveva gravissime ferite alla testa e piangeva disperato. La sorellina piangeva chiedendo: “Come fa la mamma a ritrovarci che la casa non c’è più?”. Pregate per questo paese sfortunatissimo. Ciao, Fiammetta»
Port-au-Prince 14 gennaio 2010 Carissimi, riassunto della giornata di ieri, mercoledì 13 gennaio 2010, con il collega di AVSI Jean Philippe, che è di stanza a casa mia, perché la sua è crollata. Oggi ci siamo finalmente resi pienamente operativi. Obiettivo della giornata: valutare la situazione e vedere come utilizzare le nostre risorse. Siamo partiti di buonissima ora per sfruttare tutte le ore di luce, visto che non c’è corrente. Ieri abbiamo visto altre organizzazioni: Cis, Mrt, Unicef, Oim, nostro ufficio, Msf ospedale e capo missione, OCHA, ONU base logistica. Abbiamo cominciato da Cité Soleil, la bidonville nella quale lavoriamo con tante attività educative, di alfabetizzazione, diritti umani, formazione, ecc. Abbiamo trovato una situazione disastrosa. Gli edifici di maggiori dimensioni sono crollati. Segnalo solo per citarne qualcuno: la parrocchia, la scuola nazionale, la scuola cattolica Foyer Culturel, storicamente teatro di molte nostre iniziative. Tutto distrutto. Il commissariato e il comune invece si sono salvati. Il nostro centro di appoggio psicosociale è in piedi, ma danneggiato.
Non funzionale in questo momento, ma con pochi lavori potrebbe. Il numero di vittime a Cité Soleil è molto elevato, pur non essendo una delle comunità più toccate. Dopo 12 ore dal sisma, l’unico ospedale che serve una popolazione di almeno 200.000 persone non funziona. Dentro una sola infermiera, abbandonata a se stessa, senza alcun materiale, senza un medico, con l’aria stralunata di chi cerca di cavarsela in qualche modo in un vero inferno. Nel cortile dell’ospedale, feriti gravissimi e moltissimi cadaveri, buttati sull’asfalto, in pieno sole. Vedeste quanti bambini, a volte senza un arto o con ferite così terribili da essere non identificabili al volto. Una cosa terribile. L’unica parola che ci ha detto, in quella stanza di morte è stata: «un dottore, vi prego»... le abbiamo promesso che lo avremmo trovato. A Cité Soleil non siamo stati in grado di trovare che circa il 30% del nostro personale locale. Di un altro 20% riusciamo ad avere notizie. Degli altri non si sa nulla. Moltissimi, quasi tutti, hanno vittime in famiglia o hanno perso la casa. Comunque il personale è disponibile, soprattutto i ragazzi. Sono bravissimi. In mezz’ora abbiamo potuto disporre di un’équipe di 18 persone. Come valutazione per Cité Soleil direi quindi: ancora urgenza. First step: medica e scavo (tra le macerie). Da fare attenzione alla creazione di dinamiche di dipendenza dagli aiuti e di crisi sociale/popolare per aiuti sensibili come il cibo. La situazione era molto tesa già ieri. Abbiamo lavorato sulla logistica per assicurare a Msf di poter lavorare. Abbiamo aperto la strada tra le macerie, altrimenti non sarebbero mai arrivati. Abbiamo messo in piedi l’équipe, creato un minimo di spirito di squadra e riconfortato gli animi dei nostri. Operativamente, abbiamo cercato di rendere possibile l’ingresso di Msf a Cité Soleil. Ora hanno una squadra operativa e noi facciamo un po’ di appoggio. Li supportiamo ancora uno o due giorni per l’arrivo del cargo, per spostare la merce, poi proseguiranno da soli. Abbiamo un debriefing domani con loro per la questione cadaveri. Se si identifica un sito, ci siamo offerti con le squadre per scavare, per seppellirli. Mi sono anche offerta di negoziare il sito con i capi banda, visto che la zona, come sapete, è tutta controllata da feroci bande armate.
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Fatte queste due cose (assicurato l’ospedale e risolta questione cadaveri) possiamo attivarci per iniziative più di ricostruzione. Pensavo: aprire il centro come ufficio di appoggio. Requisire i locali della vicina scuola OPJED (possiamo farlo, sono nostri partner) per fare accoglienza a famiglie senza tetto o per orfani. Iniziare l’identificazione delle vittime legate al nostro sostegno a distanza. Al momento però nessuno dei tre partner sembra reperibile, nemmeno la coordinatrice Sherline. Appena possibile, necessita distribuzione di kit da cucina per il cibo, quindi pentole, taniche eccetera, vestiti, teli da usare tipo tende, materassini da campo, coperte leggere (pensavamo di usare le salviette Ikea che ci ha dato UNICEF). Chissà… Ci siamo poi spostati a Martissant, altra zona “feroce” di bidonville nella quale lavoriamo. Siamo andati dapprima all’ospedale Msf: un girone infernale. Due medici e dieci persone per centinaia e centinaia di vittime. Da non sapere dove mettere i piedi. Abbiamo visitato i nostri uffici, quelli delle basi locali dell’Unione Europea, FED e centro appoggio UE3: non danni gravi, quasi nulla, agibili, pronti all’uso. Abbiamo lasciato messaggi scritti alle équipe, appuntamenti per i prossimi giorni, indicazioni, ma nessun risultato. L’unica équipe in azione è il FED. Hanno fatto il censimento per lo stato delle nostre scuole. A ieri pomeriggio su 8, 2 sono totalmente perse, 2 gravemente danneggiate. Di tutta la nostra équipe qui a Martissant (15 persone + 15 mediatori) solo 5 assistenti sociali e un coordinatore sono reperibili e in grado di lavorare. Da notare comunque che quasi tutti hanno riportato ferite lievi e hanno famiglie in mezzo alla strada. Ma hanno assicurato disponibilità a lavorare a tempo pieno. A Martissant la situazione è da ecatombe in alcuni quartieri come Grande Ravine, Descaiettes e TiBwa. Comunque per la cronaca le nostre casette OCHA hanno resistito. Molti feriti gravi non riescono a raggiungere gli ospedali. Molti bambini hanno bisogno di interventi urgenti di aiuto. L’ufficio FED è diventato un naturale punto di appoggio, la gente che ha perso la casa si è radunata lì davanti. E da questi che vorremmo cominciare. Pensavamo di aprire l’ufficio e adibire le sale ai bambini secondo fasce di età. Possiamo pren-
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derne in carico fino a 250 contemporaneamente. Un’inezia, ma meglio di niente.Vorremmo istituire un servizio di accoglienza per bambini, in modo da dare ai genitori la possibilità di andarsi a cercare le proprie cose o quel che ne resta, in casa. Cominceremmo anche a fare il punto su case distrutte, case da risistemare, orfani e bambini non accompagnati. Appena possibile, necessita distribuzione di: stesse cose dette sopra per Cité Soleil. Per Les Cayes, la zona a sud-ovest dove sta il nostro Tito Ippolito, per il momento non ha avuto problemi, stiamo ospitando in casa e giardino altre organizzazioni. Situazione casa mia:
• carburante e generatore funzionante, autonomia almeno • • • • •
8-9 giorni a ritmo pieno, se razioniamo la corrente anche 2 settimane. cibo secco scorta per 4 giorni. Cibo fresco finito. acqua potabile: 1 giorno di autonomia. Ma possiamo trattare l’acqua della cisterna. In tal caso: massimo 10 giorni. Gas cucina per una settimana. Benzina auto ne ho per tre giorni al massimo No acqua corrente, ma acqua per lavarsi disponibile.
Urgenza: la comunicazione. Fateci arrivare quei benedetti satellitari! Ciao, Fiammetta
Port-au-Prince 15 gennaio 2010 Ragazzi ciao, oggi vi mando poche righe via chat, stasera le nuvole impediscono anche questi pochi collegamenti. La giornata l’abbiamo trascorsa prima a rintracciare il nostro personale nelle due bidonvilles Cité Soleil e Martissant, di alcuni non conosciamo ancora la sorte, mentre altri sono felicemente ricomparsi sani e salvi. Purtroppo abbiamo avuto la prima certezza di una perdita tra le nostre file, Junior, un giovane mediatore comunitario. Era molto capace, sempre allegro. Poi abbiamo lavorato alle emergenze, anzitutto quella sanitaria e quella igienica. I corpi giacciono ovunque. A Cité Soleil abbiamo allestito un primo tendone di accoglienza. I senzatetto sono innumerevoli. Iniziamo dai bambini, perduti, soli. Stiamo procurando altri tendoni, materassi e coperte e generi di prima necessità. Cominciamo ad avere riferimenti nelle Nazioni Unite, abbiamo saputo la sorte di alcuni amici e colleghi. Alcuni destini tragici. Il dolore è forte, pensare a quei volti ci mette grande tristezza. Abbiamo buone notizie dai Camilliani, padre Gianfranco Lovera e i fratelli sono in piedi, il loro ospedale è fitto di gente. Li aiutiamo. Una giornata tremendamente intensa, anche se complessivamente oggi la situazione pare essere stata meno caotica, forse perché abbiamo ritrovato alcuni punti di riferimento: la Minustah è operativa. Non abbiamo visto episodi di sciacallaggio, ci pare che le persone siano sotto choc, sgomente, ma attente agli altri.Vedremo nelle prossime ore. Dalla Farnesina ci hanno comunicato la possibilità di evacuare. Ora, per me non ci penso proprio. Guardavo il mio
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piccolo Alessandro. Chissà cosa lo aspetta. Ma la nostra grande speranza non crolla, anzi cresce. Affermare la vittoria della vita sulla morte e ricostruire l’umano è ora il nostro compito qui.
rischiosi, e non di certezze borghesi. Questo ho imparato dai miei genitori, questo desidero per Alessandro. Ma il distacco è stato dolorosissimo.
State con noi.
Ieri abbiamo accolto nei nostri spazi di Martissant tre turni di 300 bambini che i familiari ci lasciavano per 3-4 ore per poter cercare parenti, verificare le case, capire cosa fare. In uno spazio sicuro, a giocare lontano dalla distruzione e dalla morte.
Ciao, Fiammetta
Port-au-Prince 16-17 gennaio 2010 Sabato c’è stata ancora una scossa forte, ha dato il colpo definitivo a vari edifici pericolanti. Ma la gente vive per strada. L’indicazione è ancora e sempre dormire fuori. Di giorno si fa in tempo a scappare ma di notte, se dormi, no. Ieri notte eravamo in quattordici nel nostro giardinetto, il clima dei Caraibi aiuta. Avevamo tanti ospiti anche perché si preparava l’evacuazione di un gruppo di italiani. Dopo tanti dubbi mio marito e io abbiamo deciso di mandare nostro figlio Alessandro in Italia dai nonni, accompagnato da Diane, la moglie in gravidanza del nostro collega Andrea che lavora alla sistemazione di un acquedotto da parte di AVSI con Mlfm. Abbiamo passato molte ore in aeroporto prima che il C130 dell’aeronautica militare partisse, il caos dell’aeroporto è grande, il personale non tutto operativo, aiuti che arrivano e stazionano, compresa la task force americana che si attendeva come la risoluzione dei problemi. Ho avuto molto tempo per ripensarci, per capire se stavo facendo la cosa giusta. Penso di sì, che sia giusto per Alessandro andar via da questi orrori, raggiungendo la sua mezza patria. Ma è giusto che respiri una vita che sa di grandi ideali, anche
La ricezione degli aiuti e la loro dislocazione è molto difficile: strade ingombre, mezzi rari, caos. Alcune cose sono disponibili nel resto del paese, anche nei dintorni della città, ma la catena logistica ha bisogno di tempo per partire.
Port-au-Prince 18 gennaio 2010 Scrivo di sera, intanto che posso usare internet. Ormai ho l’ossessione della linea, quando il segnetto verde di Skype diventa grigio si ripiomba nell’isolamento. Stasera dormiremo in casa. A Les Cayes, al sud del paese, nella zona rurale, già ieri hanno dormito in casa. I nostri due colleghi di AVSI ospitano altre cinque persone. Anche là, dove non è successo nulla di grave, si stanno allestendo campi sfollati, sono confluiti feriti negli ospedali, e la Minustah (United Nations stabilization mission in Haiti, presente dal 2004, ndr) si sta attrezzando per stoccare merce che forse arriverà via mare. Si sta decentrando la crisi. Oggi a Cité Soleil, una città nella città di Port-au-Prince, abbiamo raccolto i primi dati sui bambini di cui ci siamo occupati fino al terremoto di martedì scorso. Ne seguiamo (o seguivamo?) diverse centinaia, personalmente, uno a uno, da vari anni. Li aiutavamo, con il sostegno a distanza, ad andare a scuola, avere le cose più necessarie (materasso per dormire, scarpe, divisa per la scuola, cibo), fare esperienze di ordine e di bellezza.
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Ci ha sempre sostenuto in questo la convinzione che una vita povera dev’essere anche degna. Un bambino senza scarpe non può andare a scuola. Si vergogna, è considerato indegno. Siamo andati a cercarli e a vedere le loro famiglie. Su un centinaio, oltre 60 hanno perso la casa o ce l’hanno gravemente danneggiata. Ma quando riesci a trovarli, che gioia grande! Quando non conosci la sorte di qualcuno, com’è bello ritrovarsi, o sentirsi dire di un bambino che sì, c’è, ma è andato dalla zia, che ha la casa ancora in piedi. Ho bussato a molte porte per avere il necessario per i nostri campi. Qualcosa abbiamo avuto, acqua, salviette, generi di questo tipo, ma cibo no. Il cibo va accompagnato dalla Minustah. La sicurezza lo impone. Però le situazioni di violenza, che pur ci sono, mi paiono non essere così generalizzate. Certo, pare tutto appeso a un filo, un filo che per ora tiene. L’atmosfera di Port-au-Prince è surreale. Da una parte le giornate sono scandite dalla presenza delle personalità mondiali più potenti, che determinano traffico, blocco delle attività, affollarsi dei media, delle forze di sicurezza. Dall’altra ti guardi intorno e pensi all’impotenza totale dell’uomo. Anche il Segretario generale dell’ONU era così impotente di fronte alle macerie. Ho sentito che in Italia è cresciuto il dibattito sull’adozione temporanea di questi bambini. Ma qui già prima c’erano moltissimi abbandoni. Ora bisogna pensarci bene, se dopo il trauma del terremoto, magari con la perdita di uno o di entrambi i genitori, vale la pena trapiantarli. Bisogna pensare che ogni caso è diverso, che i bambini non sono funghi, hanno relazioni, rapporti, e reciderli può essere fatale. Meglio tendere ad aiutarli qui. A proposito di aiuto, mi è sembrata interessante la proposta di Piatti (Alberto Piatti, Segretario Generale di AVSI, ndr) di destinare da parte dell’Italia metà del montepremi del gioco del lotto ad Haiti. Non risolve ma educa. E ne abbiamo tutti bisogno. Fiammetta
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Port-au-Prince 19 gennaio 2010 La situazione è sempre molto grave, ma alcuni aspetti della vita, per chi non è rimasto gravemente vittima del sisma, si stanno normalizzando. Ciò significa che anche per noi la vita è un po’ più semplice, anche se il dolore continua. Con ogni persona che si incontra si fa un bilancio, si fa una sorta di appello. E tutti ti dicono chi è rimasto e chi no. Chiedi di amici, parenti, famigliari di questo e di quello, persone con cui hai parlato, vissuto esperienze, lavorato, discusso. Amici, spesso. E si scoprono i vuoti. Possibile che sia successa una cosa così devastante? Il bilancio delle vittime è sempre più grave. Se il governo confermerà il numero delle vittime nelle fosse comuni, allora le cifre che girano sono esatte. Si scava sempre meno tra le macerie, perché è sempre meno probabile trovare altri superstiti. Ora gli aiuti si dovrebbero concentrare sui campi. La situazione all’aeroporto è difficilissima e, anche se potrà sembrare surreale, si vivono situazioni che gli esperti di emergenze conoscono bene. I francesi (istituzioni, Medici senza frontiere e Médecins du monde France) protestano perché pare che gli aiuti in aeroporto siano ormai moltissimi, ma non si possono distribuire. Arrivano carichi in continuazione, ma dove c’è bisogno si riceve pochissimo di ciò che arriva. La polemica monta tra gli americani, che usano tutti gli slot, e gli europei che devono atterrare nella Repubblica Dominicana. Come sapete, invece, gli aiuti italiani sono correttamente arrivati e sono stati distribuiti. I campi informali censiti sono decine e decine, ci avviciniamo al centinaio. Ma, che mi risulti, al momento nessuna tenda è stata distribuita. Il numero degli sfollati è enorme e le soluzioni per gestirli
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sono difficili da trovare: molte discussioni, posizioni diverse, poche iniziative. Le istituzioni locali spingono per la realizzazione di un’immensa tendopoli, le Nazioni Unite vogliono intervenire senza rendere definitiva la permanenza dei campi. Si teme un’impasse come con gli uragani del 2008, a seguito dei quali si è parlato molto e fatto poco. O come a Fond Verrettes, al confine con la dominicana, dove, dopo l’uragano Mitch del ’98, la situazione è ancora come allora, forse peggiorata dall’uragano del 2003. Una grande urgenza, che viene dai nostri campi e impegna la sala operativa delle Nazioni Unite, è sbloccare la distribuzione del cibo (fino a lunedì hanno coperto tre siti al giorno su quasi 100 esistenti…), dell’acqua potabile e prendere finalmente una decisione sul fare o meno le tendopoli. Noi abbiamo ritrovato altre persone del nostro staff e così il numero dei nostri collaboratori dispersi è sceso. A questo punto abbiamo la speranza che siano solo da rintracciare e che - prima o poi - li troveremo tutti. Stiamo “stabilizzando due siti”, cioè due campi sfollati. Uno, con circa 1.200 persone, l’abbiamo diviso in quattro settori e sta prendendo un po’ di parvenza di ordine. Mi sono resa conto di com’è importante un luogo in cui stare, di un po’ di ordine, di punti di riferimento. Specialmente in una situazione così drammatica. Ora mancano i bagni. Noi non pensiamo mai quanto questi siano segno di civiltà. Ma 1.200 persone senza bagno è ben complicato gestirle. Finora però non era una priorità… Continuiamo ad accogliere bambini per le attività diurne nel centro dell’altra bidonville, Martissant, zona rossa sulle mappe. Vorrebbero che ne aprissimo un altro e l’abbiamo chiesto ai nostri amici di Cesal, l’Ong spagnola con cui collaboriamo da tempo.Vorrebbero che noi facessimo un assessment in altre due città vicine alla capitale colpite dal terremoto. Ironia della sorte, abbiamo già lavorato lì per il recupero di bambini dopo il trauma degli uragani del 2008. Lo faremo di nuovo. Vorrebbero che al sud, a Les Cayes, dove sono arrivati i pri-
mi sfollati decentrati, facessimo un censimento per il ricongiungimento famigliare e il riconoscimento di bambini non accompagnati. Faremo anche questo, con l’aiuto dei nostri colleghi che sono là. Siamo al fronte, ma sentiamo molto la vicinanza di tante e tante persone. E la certezza della speranza cresce. PS: ho appena finito di scrivere. È in atto una rivolta al carcere di Les Cayes, vicino alla sede AVSI. Si sono avvertiti spari. La polizia ha chiesto di rimanere al coperto. Io sono in ufficio, sono riuscita a contattare Tito che è nella sede di un’altra ong per una riunione. Rimane lì fino a che non si calma la situazione. Fiammetta
Port-au-Prince 21 gennaio 2010 Che giornate concitate, di grande lavoro, di stress e tristi notizie. Come sapete, dopo lo choc iniziale di questa tragedia, che ancora ci sembra enorme e inimmaginabile, stiamo cercando di recuperare i nostri punti fermi, dal punto di vista personale e dal punto di vista dell’organizzazione della missione di cooperazione qui ad Haiti. Abbiamo contattato tutto il personale locale, i collaboratori e i conoscenti che siamo riusciti a trovare. Ma nonostante i nostri sforzi ancora in tanti mancano all’appello. Troppi. Voglio fermamente credere che sia solo un problema di comunicazione, anche se confesso che certi giorni ho paura. Paura che anche loro siano stati inghiottiti da questo buco nero che in un minuto e mezzo ha spazzato via tutto, le certezze e la vita di tante persone. Ci stiamo organizzando, siamo operativi. Il campo sfollati di Cité Soleil prende forma con gli ormai famosi “tendoni blu”. Un quarto del campo (circa 500 persone) ha quindi un tetto
sulla testa, le famiglie hanno ritrovato un minimo di intimità, almeno uno spazio circoscritto e identificabile. È importante per loro sapere che quel piccolo spazio è loro, anche se non hanno più niente. Li aiuta a ritrovare la loro identità, il loro essere famiglia, dove possibile. Sul resto del campo, stiamo lavorando. Le donne al termine della gravidanza sono state identificate e a loro riserviamo - com’è ovvio - un trattamento speciale: hanno un materassino! Le richieste non si contano… In lista d’attesa ci sono le mamme che hanno un bambino di età inferiore ai sei mesi. Abbiamo pensato per loro di montare una grande tenda speciale, dove si possano trovare con un po’ di tranquillità ad allattare, e dove la nostra infermiera Claudinette possa spiegare loro l’importanza dell’allattamento al seno, visto che non c’è acqua potabile. È importantissimo proteggere questi bambini, che già vivono in condizioni tanto precarie. Abbiamo veramente paura che si ammalino e che la situazione si deteriori rapidamente. Speriamo di riuscirci. Abbiamo avuto già due parti in una settimana e la condizioni sono difficilissime, l’igiene è quasi impossibile. Insomma, non è il posto ideale per questi piccoli. Il collega Jean Philippe sta facendo un grande lavoro, a volte mi stupisco di come e dove trovi l’energia e la lucidità per trovare soluzioni ai mille problemi di questa terribile situazione. È in pista dalla mattina alla sera, instancabile. Sempre di buon umore e con una parola di incoraggiamento per tutti. È bello vedere quanta speranza riesce a suscitare, anche in un posto e in una situazione in cui la speranza a volte non sembra proprio esserci. Grazie soprattutto a lui, l’équipe piano piano si organizza, comincia a credere di nuovo nel proprio lavoro, nella presenza qui, tra questa gente. Speriamo di riuscire a tenere alto il morale, non è facile viste le condizioni di lavoro e la frustrazione nel vedere tante necessità e il poco che riusciamo a fare. Stiamo cominciando a ricevere i famosi aiuti della solidarietà internazionale, che in gran parte sono rimasti bloccati nei
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giorni scorsi all’aeroporto di Port-au-Prince. Le agenzie delle Nazioni Unite si stanno organizzando e piano piano smistano quanto disponibile. Riceviamo anche noi e quindi la gente di Cité Soleil e Martissant, i quartieri dove siamo presenti. Piano piano la vita si riorganizza. Sono soprattutto i bambini che reagiscono prima e meglio: hanno già voglia di giocare, chiedono della scuola, delle attività ricreative… Fiammetta
Port-au-Prince 26 gennaio 2010 In questi ultimi giorni sono successe tante cose, all’apparenza piccole in questa desolazione, tanto che mentre accadono non ti accorgi di quanto siano grandi. Sabato è arrivato un carico dalla Repubblica Dominicana (picconi, pale, carriole, lenzuola, coperte, ecc.), accompagnato dal nostro collega Edoardo Panunzio, da altri colleghi del Cesal (una Ong spagnola) e diversi amici dominicani e italiani. Incontrarlo è stata una bella emozione: erano giorni che non ci vedevamo, ma, soprattutto, l’ultima volta la città non era stata rasa al suolo. Anche per lui è stato uno choc, ha avuto bisogno di tempo per capire che tutto quel che stava vedendo era vero. Al campo di Place Fierté le persone sono aumentate: 1800 contro le 800 che abbiamo contato all’inizio. Ora c’è un comitato di coordinamento. Un altro bel risultato di questi giorni è stato sistemare le ultime 66 mamme in gravidanza con un materasso sotto la tenda. L’ultima aggregazione di senzatetto che si è formata a Cité Soleil non è ancora un campo, è un assembramento di persone che hanno perso tutto e si mettono insieme per far fronte all’oggi e iniziare a pensare al domani. A volte è sconfortante guardare sotto le tende. Almeno un
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bambino per famiglia è malato. Dissenteria, parassitosi, denutrizione. Le mamme lasciano i più piccini ai più grandicelli per fare ore di code e ricevere gli alimenti. Si fa tanta fatica a incentivare le persone ad aggregarsi nei campi, in modo da organizzarsi, stabilizzarsi, censirsi, poi però arrivano i “grandi distributori” e danno a chiunque, senza regola, anche a chi staziona ai lati delle strade. Nell’altra area dove abbiamo un presidio c’è una comunità poverissima abbarbicata abusivamente sulla collina quasi totalmente crollata. Lì non esiste un vero e proprio campo, non c’è lo spazio e la gente continua a stare davanti alle proprie case. In quella zona siamo riusciti a distribuire generi di prima necessità a 2875 persone. È gente che non aveva niente e ha perso tutto. Aspettano che vengano prese delle decisioni sul destino delle loro ex case. Non possono permettersi di abbandonare le loro macerie, rischiando che nessuno si ricordi di loro. Spero davvero che non sia l’ennesima illusione per questa gente. Intanto l’esodo continua. Moltissimi affollano i pullman che le autorità hanno organizzato verso le periferie. Tornano alle loro famiglie di origine. A Les Cayes, nel sud, si registrano 9000 nuovi arrivi, e la cifra continua a crescere. La vita di tutti i giorni pretenderebbe la normalità, ma per certi aspetti si è complicata. Le banche avrebbero dovuto riaprire giovedì scorso, ma hanno rimandato a domani. Spostarsi nella città richiede ore di viaggio. Le file alle poche pompe di benzina aperte sono interminabili. Sabato c’è stato il funerale del Vescovo, mons. Miot, che conoscevamo bene, fin dai primi tempi di presenza di AVSI in Haiti. C’era davvero tanta gente. Un sisma che ha mietuto tante vite di tutti i livelli sociali, di tutte le estrazioni, di tutte le età. Ugualmente trasversale è il moto di popolo che ci sta raggiungendo con calore e concretezza: ragazzi universitari dell’Aquila e studenti svizzeri, comunità povere messicane, carcerati di Padova, suore di clausura, amici argentini, venezuelani, americani, tedeschi, e tanti brasiliani, che hanno iniziato a conoscere questa nostra Haiti con un legame particolare.
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Hanno scelto di sostenere un piccolo gruppo, di 80-100 persone che combattono per (e con) poche migliaia di fratelli. In questa macchina globale, siamo un puntino, ma vicino alle persone tangibilmente dal primo giorno. Non a tutti, ma a quelli che ci sono dati, con cura e attenzione perché la miseria e la distruzione non abbiano la meglio su di loro. Fiammetta
Port-au-Prince 27 gennaio 2010 Oggi sono arrivati i rinforzi! Alberta, già nostra collega, che va a dare man forte ai nostri colleghi al sud, a Les Cayes, per gli arrivi dei rifugiati, e Simone, che a Natale si era trasferito in Africa… e ha voluto tornare qui per due mesi, salutare amici feriti, ritrovare le persone che aveva lasciato e lavorare nel luogo in cui aveva faticosamente costruito molto. Simone sapeva dialogare con la gente di Cité Soleil, e a tutti i livelli. Aveva seguito anche l’attivazione di attività artigianali, corsi di formazione che poi erano sfociati nell’avvio di una panetteria, di un laboratorio per sandali di gomma, orti urbani. Tanto lavoro spazzato via. Ma le persone sono rimaste, e su questo rapporto ripartiremo. La presenza di Simone sarà preziosissima. E anche quella di Alberta. Ieri siamo stati con i medici, Chiara Mezzalira e Alberto Reggiori, al campo. Hanno fatto un sopralluogo, al momento non c’è uno spazio per un ambulatorio. Non c’è una tenda sotto la quale non ci sia un bambino con problemi di salute: dissenteria, parassiti, denutrizione, disidratazione. La situazione pregressa, già critica, peggiora in questa desolazione. I fratellini più grandi accudiscono i piccoli intanto che le mamme fanno interminabili file alla distribuzione del cibo. Oggi un altro piccolo passo avanti: abbiamo montato una tenda che ci ha offerto (insieme ad altre 14) la Protezione
civile italiana: uno spazio per i bambini! Un risultato piccolo ma importate per rendere più umano questo campo. Uno spazio in cui raccogliere i bambini, organizzare le attività educative e quel che serve per iniziare ad affrontare il trauma è un primo passo fondamentale. Poi avere un luogo per il medico, latrine, luci. Uno spazio per l’allattamento, uno spazio per l’alimentazione dei bambini. Insomma luoghi di ordine in cui ci si possa sentire amati, accuditi. Sentire che qualcuno si occupa di te. Poco a poco. Anche se vorresti la bacchetta magica. Invece devi organizzare, fare la richiesta, aspettare, dialogare per definire a chi consegnare, cioè dare priorità, consegnare, montare. Stamattina Chiara e Alberto hanno riaperto l’ambulatorio dei padri scalabriniani. Le suore che lo gestivano sono state richiamate dopo il terremoto. Appena si è diffusa la voce che riapriva, l’ambulatorio si è affollato. Mamme e bambini riempiono le sale d’attesa dei pochi poliambulatori presenti. Oggi in Canada si è parlato di ricostruzione di Port-au-Prince e del Paese. Ma qui più che ricostruire occorre costruire. Ma le fondamenta di un Paese sono le persone. E qui le persone sono addolorate, affaticate e sfiduciate. Occorrono gesti concreti, anche piccoli, che permettano di consolidare la persona, che ricostruiscano l’umano. I cuori sofferenti si compattano intorno a gesti di attenzione e di cura. E poi ripensare il paese e la sua capitale. Auspichiamo che si investa anche sul rilancio dell’agricoltura, sull’impulso alla trasformazione dei prodotti agricoli, perché si generi lavoro nelle aree rurali e si decongestioni la capitale che, per la gente in cerca di fortuna, si rivela inospitale. Speriamo in prospettive che possano restituire dignità a questa gente. Noi non ci tiriamo indietro. Fiammetta
Una mamma a Fiammetta:
“Sei la persona che fa più compagnia a me e al mio bimbo”
29 gennaio 2010
Riceviamo e pubblichiamo una lettera giunta in redazione e indirizzata a Fiammetta Cappellini, cooperante di AVSI ad Haiti, e di seguito la risposta di Fiammetta. «Sono nati diversi bambini – scrive Fiammetta –. Sono piccolissimi, sono fragili. Dobbiamo fare presto, perché la loro vita è appesa a un filo. Questo filo è nelle mani di tanti amici come voi, che ci aiutano e ci sostengono». Dopo aver letto il diario di Fiammetta Cappellini, vorrei farle avere questa mia lettera. Spero voi possiate inoltrargliela o altrimenti possiate fornirmi un altro recapito. Grazie Cara Fiammetta, il 6 gennaio è nato il mio secondo bimbo e nei giorni successivi ero tutta preoccupata di stare davanti a questa nuova situazione. Poi è arrivato il terremoto e soprattutto è arrivato il tuo diario. Mi si sono aperti gli occhi e il cuore. Mi hanno colpito soprattutto due cose: il fatto che voi abbiate iniziato subito a ricostruire senza soffermarvi lamentosamente su una disgrazia che colpiva un Paese già in disgrazia e che distruggeva i vostri sforzi di questi anni; e, in secondo luogo, la tua decisione riguardo a tuo figlio. Ho iniziato a domandare una povertà così, una fiducia così davanti ai miei bimbi. Lasciarli andare, lasciarli essere perché certa del mio compito, del luogo e del modo in cui Dio mi chiama. Sei la persona che mi sta facendo più compagnia in questi giorni e nel mio “fare la mamma”. Ogni notte, svegliandomi un po’ frastornata e a volte un po’ arrabbiata per accudire l’uno o l’altra, offro tutto per voi, per la vostra costruzione e per la vostra speranza.
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Domenica 7 febbraio il piccolo Paolo Luigi riceverà il battesimo: abbiamo chiesto ad amici e parenti, come regalo di battesimo, un’offerta per il vostro progetto ad Haiti. Tu prega per noi, dentro questa grande prova che il Signore ti mette davanti. Maria Francesca
La risposta di Fiammetta Carissima Maria Francesca, tantissimi complimenti per il tuo piccolo bimbo! È sempre una cosa meravigliosa e faticosissima ogni nuovo nato, no? Almeno per me il mio Alessandro lo è stato, per cui capisco la gioia e anche la fatica. Ricordo che io avevo sempre un sonno terribile e le ore di sonno non mi bastavano mai… un po’ come adesso! Ti ringrazio per le tue parole, che ci incoraggiano e che mi fanno riconciliare con una scelta – quella di far partire Alessandro da Port-au-Prince – che non è stata facile. Settimana prossima sarà il suo secondo compleanno e già so che non sarò con lui. È veramente una sofferenza enorme per me. Pero so anche che il suo posto non era qui, che non poteva capire una tragedia così, che non era giusto che affrontasse questi disagi, questo dolore, questa desolazione. Spero che tornerà presto con noi, appena le condizioni lo permetteranno, per vedere anche la speranza della ricostruzione, la forza della vita che vince sempre e che sconfigge ogni distruzione. Al campo dei rifugiati in queste due settimane sono nati diversi bambini. Sono piccolissimi, sono fragili, la nostra pediatra italiana Chiara li guarda e dai suoi occhi capisco che la situazione è gravissima, che dobbiamo fare presto, che la loro vita è appesa a un filo. Questo filo è nelle mani di tanti amici come voi, che ci aiutano e ci sostengono. Senza di voi, noi non possiamo quasi nulla. Questa gente ha bisogno di tutto e sono i vostri sacrifici e la vostra generosità di ogni giorno che rendono possibile a noi aiutarli. Ti ringrazio per le parole che mi hai scritto e per l’aiuto che dai a questo popolo. Ricostruiremo, vedrai, e magari un giorno verrai a trovarci con il piccolo Paolo Luigi! Un abbraccio e un carissimo saluto Fiammetta 36
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Port-au-Prince 31 gennaio 2010 Carissimi, Vi do qualche aggiornamento. La prima grande notizia è l’arrivo dei rinforzi: Simone e Alberta ci hanno infatti raggiunti, come sapete, e si sono resi operativi praticamente in due ore, una cosa incredibile. Siamo andati direttamente sul terreno, e si sono messi all’opera. Siamo contentissimi di averli tra noi, per la competenza che apportano, per le nuove energie che hanno (noi cominciamo ad essere un po’ stanchi), per l’entusiasmo e la voglia di fare, di impegnarsi, di uscire da questa terribile situazione in cui ancora siamo bloccati. Devo dire infatti che nonostante ce la mettiamo tutta, a volte abbiamo l’impressione che i nostri sforzi siano la classica goccia in mezzo all’oceano. C’è talmente tanto da fare, ci sono talmente tante esigenze… ma non ci scoraggiamo, soprattutto ora con i nuovi colleghi l’équipe si moltiplica in capacità ed entusiasmo e sono certa che potremo avanzare più rapidamente. Ieri Alberta è partita (e felicemente arrivata) a Les Cayes, nel Dipartimento Sud, dove ha raggiunto Tito e Andrea. Tito dice che la situazione si fa più difficile di giorno in giorno a causa degli sfollati che arrivano al Sud in fuga da Port-auPrince. Alberta si è buttata a capofitto nel duro compito di identificare i più bisognosi, di istituire i servizi minimi, di organizzare gli aiuti soprattutto ai bambini. Si occuperà anche di rinforzare la formazione dell’équipe, che non era preparata per una urgenza di queste dimensioni (d’altra parte, chi lo era?). È una grande risorsa per noi la sua disponibilità a cambiare terreno e andare al Sud, perché ci permetterà una azione precisa e competente. Ieri siamo stati sul terreno con Simone a Cité Soleil, dove ormai svettano le fantastiche tende della Protezione civile italiana (per ora 15, confidiamo aumentino!). Il lavoro comincia a strutturarsi e finalmente i nostri medici e l’infermiera avranno un posto quasi adeguato dove lavorare. Nell’uscire da Cité Soleil abbiamo scoperto un nuovo insediamento, poco
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lontano dal campo di Place Fierté. Si tratta di alcune centinaia di persone che hanno lasciato altri “campi” per venire qui, sperando così che la vicinanza al nostro campo possa portare loro qualche beneficio. La prima reazione a questa scoperta è stato il panico, della serie: oddio, adesso che cominciavamo ad organizzarci un po’, ne arrivano di nuovi? Però poi ci siamo detti che, beh, meglio vicini a noi che da un’altra parte, così la logistica sarà meno complicata. Ciò significa però che dovremo chiedervi un nuovo sforzo per aiutarci e sostenerci, perché la gente aumenta e il lavoro anche. I nostri medici si sono detti immediatamente disponibili a venire e fare una prima valutazione, e speriamo di poter avere qualche elemento in più per organizzare il lavoro. I nostri ragazzi (gli operatori sociali) comunque sono all’opera già da oggi per fare qualche attività con i bambini. Non li si può lasciare lì senza far nulla in condizioni così difficili. La cosa che mi stupisce di questi giorni, e su cui ho finalmente un po’ di tempo per riflettere, è l’instancabile coinvolgimento della nostra équipe, Jean Philippe e Simone per primi. Fanno orari impossibili, lavorano in condizioni molto difficili tutto il giorno, spesso senza una pausa, senza un pasto decente, senza fermarsi un attimo, eppure ascoltano tutti, hanno un sorriso per ogni bambino, sanno essere sereni anche quando gli animi si scaldano. Mi chiedo come facciano. Eppure le ferite sono ancora aperte, hanno perso amici e colleghi, e non hanno avuto il tempo per piangerli. La loro forza d’animo e il loro credere fermamente nel nostro dovere di portare l’aiuto che sappiamo e che possiamo, non finiscono di stupirmi. L’équipe locale reagisce positivamente e con grande disponibilità, sono molto motivati. Anche questo mi stupisce, se penso alle situazioni terribili che hanno vissuto e che vivono. Ieri ho trovato impegnato sul campo il mediatore di pace Pierre Richard, un nostro collaboratore di vecchissima data. Se ne stava in pieno sole a giocare a pallone con i bambini. Sua moglie è rimasta schiacciata sotto la loro casa crollata e ha avuto una grave lesione alla spina dorsale. Per ora è a letto paralizzata e la situazione è molto grave. Msf ha predisposto per lei l’evacuazione sanitaria in Francia, sperando di poter salvare il salvabile. È partita ieri. Eppure Pierre ieri si è presentato regolarmente al lavoro. Perché? Che ci fai qui?, gli ho chiesto.
«È il mio dovere verso i bambini – mi ha detto –, no?». Abbiamo insistito un po’, e cosi si è preso due giorni di permesso. Davvero ammiro la forza di questi nostri amici haitiani, la loro speranza, il loro sapersi rialzare sempre e nonostante tutto. C’è chi arriva qui e vede solo la disorganizzazione, l’incapacità delle autorità locali, l’impotenza di questa enorme macchina degli aiuti. Io invece vedo i nostri ragazzi di Cité Soleil e Martissant, li vedo arrivare al lavoro ogni giorno nonostante tutto, li vedo scaldarsi in discussioni accesissime su come caricare un maggior numero di materassini sul pick up, li vedo andarsene la sera quando ormai fa buio, stanchi, distrutti, sporchi e accaldati. E mi dico che questo Paese deve farcela a risollevarsi, che ce la farà necessariamente, grazie a persone come queste. Ora vi lascio perché se no arrivo in ritardo su tutto. Spero stiate bene, salutatemi tutti gli amici a cui non riesco mai a rispondere e mandate un bacino a Alessandro da parte mia. Fiammetta
Port-au-Prince 1 febbraio 2010 Oggi è il giorno della riapertura delle scuole di Haiti.
villes. Per questi bambini negli ultimi anni abbiamo lavorato molto, per convincere le famiglie ospitanti a dar loro delle opportunità reali. Ricordo giornate liete con alcune famiglie che avevamo coinvolto in un percorso per trasformare questa ospitalità con un prezzo, in accoglienza vera e propria, imparando il valore della vita, il prendersi cura dei bambini, di tutti i bambini. Ieri un bambino è corso incontro a Simone e gli ha detto: «Simone quando riapre la scuola?». La sua scuola non c’è più. Per ora abbiamo preparato classi miste nel tendone della Protezione civile di Place Fierté, ancora con attività ricreative. Per la scuola ci vorrà ancora un po’ di tempo.
Port-au-Prince 2 febbraio 2010 Alessandro compie 2 anni. È una strana giornata, triste per la distanza di Alessandro, ma lieta, perché lo so vivo, sano e in ottime mani. La distanza è difficile, stride con l’essere madre. Fa capire come non siamo padroni della nostra vita. Spero un giorno di poter ricordare con Alessandro questo suo secondo compleanno come un momento speciale in cui anche lui a soli 2 anni ha combattuto per un mondo migliore. Fiammetta
Dai primi giorni dopo le vacanze di Natale, ci stavamo preparando a questo giorno. Provvedere al materiale scolastico, verificare le scuoline di Cité Soleil, parlare con gli insegnanti, preparare le liste di iscrizione, e poi visitare tutti i bambini, soprattutto i restavek per fare in modo che potessero andare a scuola. I restavek sono bambini che vivono presso famiglie che li ospitano in cambio di un impegno lavorativo domestico. Sono quindi bambini destinati a non andare a scuola, a fare una vita di serie B (o forse C, o anche D). Comunque ad avere meno degli altri bambini delle bidon39
Port-au-Prince 2 febbraio 2010 A volte capita che anche nelle peggiori situazioni ci arrivino dei segnali di speranza, delle piccole cose che in altri momenti non avrebbero avuto grande significato e che invece nel contesto del momento diventano decisive. Tra ieri e oggi sono capitati ben due episodi. Il primo: ieri il cielo si è rannuvolato in modo preoccupante, grossi nuvoloni neri che qui vogliono dire una sola cosa: pioggia torrenziale. Siamo stati nervosi tutto il giorno, pensando ai nostri tendoni blu, così precari, di fronte alla violenza delle piogge caraibiche… Invece... Miracolo! Non è piovuto! D’accordo, lo so, voi direte che capita un sacco di volte, ma non qui: quando da queste parti si rannuvola così, piove SEMPRE. Quindi davvero abbiamo tirato un sospiro di sollievo! Il secondo episodio: da giorni litigo con il personale dicendo di non mandare amici e conoscenti a portare il curriculum perché in questo momento abbiamo bisogno di assistenti sociali, formati, capaci, con esperienza. E null’altro. E da giorni infatti non intervisto altro che queste persone. Invece oggi, a sorpresa, proprio mentre i bambini per l’ennesima volta chiedevano a gran voce la scuola, mi si materializza davanti un ex impiegato direttore didattico che non vedevo da almeno tre anni. E cosa mi dice? Che la scuola non c’è più e lui non potrà più insegnare, e che ha perso la casa e ora vive con tutta la famiglia nel nuovo campo sulla route neuve. Beh, sembrava fatto apposta. Lo abbiamo ingaggiato immediatamente e da domani… si comincia! Il solito Jean Philippe ha scovato tre casse di libri e quaderni e Simone ha promesso che monterà a tempo di record altre due tende. Domani, scuola. Non vediamo l’ora! Fiammetta
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Port-au-Prince 3 febbraio 2010 Ieri è stata la giornata di Chiara, il nostro pediatra. Ha visitato almeno 200 bambini del campo di Place Fierté e anche alcune mamme. La sua dedizione e la sua esperienza decennale in Nigeria e altri Paesi del continente africano si è proprio vista all’opera. Nell’ambulatorio che abbiamo avviato nella tenda donata dalla Protezione civile italiana, con farmaci che si è procurata chiedendo in qualche tenda dei donatori (anche gli uffici ONU sono allestiti in tende), con un assistente medico volontario argentino reclutato allo stesso modo, ha passato al setaccio una prima parte dei più piccoli e di quelli che hanno bisogno di cure. Chiara ha coinvolto anche il nostro staff locale di infermieri e agenti di salute comunitari. La nostra équipe era entusiasta, tanto che Simone (che non è medico, neppure infermiere, ha studiato tutt’altro!) ha detto che desidera dedicarsi ai progetti di salute. Dice che danno molta più soddisfazione che quelli educativi, si vedono subito i risultati e le persone sono subito contente. Per chi vive in condizioni di necessità, sentirsi oggetto di cura, sapere che c’è qualcuno di cui fidarsi che si fa carico di te restituisce alla tua persona quel valore che era rimasto sepolto sotto le macerie. Così, dal campo vicino, quello di cui tra poco dovremo occuparci (sono 3500 persone di cui nessuno si è ancora preoccupato, cosa facciamo, le lasciamo lì?) sono venuti a dire che anche loro vogliono la tenda. Noi ci siamo stupiti perché ci aspettavamo che volessero il medico. Ma poi chiedendo se volevano anche loro la tenda blu, ci hanno risposto di sì, volevano «la tenda blu, quella con dentro il dottore…». Allora abbiamo capito meglio: sono venuti a chiederci “la tenda blu”, riferendosi all’ambulatorio, cioè tenda ma anche quel che c’era dentro, medici e infermieri e farmaci!
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I colleghi dall’Italia mi hanno fatto avere la lettera aperta che Giulia, Federica, Francesco e Teresa mi hanno scritto nell’ambito di un approfondimento sui terremoti. Hanno scritto delle iniziative loro e dei loro compagni della scuola Malpighi di Bologna, per sostenere le azioni a favore di Haiti. Sono molto grata per me, per AVSI e anche per questo popolo; è veramente bello vedere che ci sono ragazzi che si preoccupano del bene degli altri, del bene comune, che sanno apprezzare i beni di cui godono (come i cellulari ultimo modello!) ma sanno anche pensare che altri coetanei lottano per le cose più scontate, come cibo, acqua, casa, scuola. Questo filo che ci lega ci porta molta letizia e ci sostiene. E in fondo ci ricorda che è proprio nella natura dell’essere umano il desiderio di contribuire a un mondo migliore, dove tutte le persone possano esprimere la propria dignità. Peccato che sia necessario un tremendo terremoto per ricordarci questa tensione che ci è donata in quanto esseri umani. Carissima Fiammetta, abbiamo letto i tuoi diari in cui racconti ciò che hai visto tu lungo le strade di Haiti, tra la gente. Sappiamo che hai trovato e aiutato quattro fratellini dispersi e che hai già trovato 60 dei tanti bambini adottati a distanza mediante AVSI di cui tu sei cooperante, che ospiti oltre 300 bambini mentre i genitori vanno a cercare parenti e le proprie cose e ti ringraziamo perché ci hai fatto capire meglio cosa è accaduto ad Haiti. Noi vediamo le immagini in TV ma tu vedi cosa fa la gente durante tutto il giorno. Dalle immagini noi non ci rendiamo “veramente” conto della situazione in cui state vivendo, ma sappiamo lo stesso dalle tue lettere che tutti i giorni vi muovete per fare qualcosa per i terremotati: cercate i dispersi, riuscite a trovare cibo, acqua, date alloggio a chi non ne ha e, in qualche modo, un aiuto “da vicino”. Guardando immagini e video, ci siamo accorti che i bambini di Haiti si accontentano e sono felici con niente rispetto a noi, che abbiamo anche il coraggio di chiedere l’ultimo nuovo cellulare. Siamo rimasti molto colpiti da questo comportamento. Abbiamo anche sentito dire in TV che i bambini
feriti si lasciano curare senza piangere: devono avere proprio sofferto molto! Sappiamo che hai deciso di rimanere ad Haiti per aiutare i bambini e le loro famiglie invece di tornare in Italia con tuo figlio, mentre qui avresti potuto ritrovare una vita “facile e normale”. Abbiamo immaginato cosa proveremmo noi nei vostri panni, pensiamo a tutte le cose che alcuni di voi hanno perso: la famiglia, gli amici, la casa, la scuola, senza pensare a quanto la gente fosse povera già prima del terremoto. Ma come farete a continuare a vivere? Grazie anche al tuo aiuto e alla tua associazione, molti riusciranno a ricostruirsi una vita in cui avranno una nuova casa e riuniranno la famiglia, ma non riusciranno mai a dimenticare quel giorno, quindi hai fatto proprio bene a rimanere perché quella gente non si senta abbandonata. I nostri insegnanti ci hanno proposto due iniziative che abbiamo accettato volentieri. Molti di noi hanno inviato con il cellulare uno o più messaggi ai numeri suggeriti per sostenere la Croce Rossa. Inoltre nella nostra scuola è in atto una lotteria il cui ricavato verrà donato alla tua associazione. Era stata organizzata per sostenere la scuola, ma ora è più importante aiutare voi, così i ragazzi del liceo si stanno molto impegnando nella vendita dei biglietti e anche noi abbiamo pensato di dare il nostro contributo. Salutiamo te e tutti gli haitiani, in particolare i bambini. Giulia Martera, Federica Babbi, Francesco Del Conte e Teresa Babini.
Port-au-Prince 4 febbraio 2010
Due tende pluriclasse: prima, seconda, terza e quarta quinta sesta. Sono un po’ fitti i ragazzini, ma nei prossimi giorni montiamo altre due tende della Protezione civile per suddividerli. A Martissant, l’altro quartiere dove AVSI fa accoglienza e sostegno ai senzatetto, quando siamo arrivati alla piccola struttura dove siamo basati, c’era un gruppo di una decina di mamme con i loro neonati in braccio. Bimbi nati dopo il terremoto. Hanno accolto Jean Philippe e me dicendo: «Ci han detto che questo è l’ufficio delle mamme». Cioè hanno identificato quel luogo come un punto cui poter appoggiare se stesse e la propria maternità. Abbiamo dato loro un materasso, lenzuola, bacinelle. Per domani prepareremo per loro degli alimenti: abbiamo ricevuto un piccolo stock di “razioni K”. Sì, quelle dei militari! Le apriremo e le prepareremo adeguatamente al loro essere mamme e non militari, poi gliele daremo. Dobbiamo fare in modo che si nutrano per poter allattare i loro bambini, altrimenti con l’acqua così inaccessibile e così impura, alimentare i neonati diventa un’impresa. Le persone adulte vanno sostenute. Spesso ne incontriamo alcune evidentemente perse. Non hanno punti di riferimento, vagano nel campo senza meta o orientamento. Hanno perso i loro punti cardinali. Per questo si possono capire coloro che stanno con le loro tende improvvisate davanti alle macerie della propria casa: è una parte del loro vissuto fisicamente presente, anche se inagibile o ridotta in macerie. Per questo stiamo organizzando i lavori, attrezzandoci per iniziare a fare in modo che ciascuno trovi un compito. Come costruttori di cattedrali. Fiammetta
Oggi al campo sfollati di Place Fierté (si vede anche su Google Earth!) è iniziata la scuola. Con quattro giorni di ritardo sul calendario, a 23 giorni dalla catastrofe. Con il direttore che non vedevo da tre anni e i tre bauli di libri.
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Port-au-Prince 8 febbraio 2010 Carissimi, ieri è stata una giornata triste: in Italia sono stati celebrati i funerali della mia amica Cecilia. Lavorava alla Minustah, si occupava di risoluzione della violenza comunitaria. Noi di AVSI insieme a lei stavamo preparando un progetto per il reinserimento sociale dei bambini legati alle bande armate, da realizzarsi a Cité Soleil. Giovedì 14 gennaio sarebbe partita in vacanza. Ci eravamo salutate pochi giorni prima. Invece è andata diversamente. Il 12 gennaio alle 5 era ancora in ufficio. Purtroppo. Quando abbiamo saputo della sua morte. È stato un duro colpo per tutti noi. Cecilia era una persona positiva, che credeva nel suo lavoro e amava questo Paese. Lascia un grande vuoto e una grande nostalgia in tutti noi. Avremmo voluto esserci anche noi a salutarla. Ma abbiamo la nostra missione da realizzare qui. Quella stessa missione in cui anche lei credeva. Sono certa che avrà capito perché noi non c’eravamo. Oggi a Cité Soleil abbiamo ricevuto la visita di un’importante esperta di Unicef sulla nutrizione. È rimasta attonita vedendo le difficili condizioni di vita della gente, dei bambini, soprattutto. Ma è rimasta anche stupita nel vedere la solidarietà dei piccoli gesti, di una mamma che ne aiuta un’altra a lavare e cambiare il suo bambino perché l’altra è troppo stanca per farlo. Sono contenta che questa signora abbia potuto vedere con i propri occhi il coraggio e la determinazione di questo popolo, che non si lascia sconfiggere nemmeno da questa tragedia. La signora di Unicef guardava i nostri bambini e forse pensava ai suoi protocolli e alle sue statistiche, nelle quali non si trova modo per quantificare l’importanza della solidarietà. Io invece oggi guardando i nostri bambini e le nostre mamme, pensavo a Cecilia, a quanto amava i bambini. Pensavo che il
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suo sacrificio non è stato inutile, che la sua vita ha avuto un significato grande, quello di insegnarci a sperare senza arrendersi nemmeno nelle situazioni più difficili. Vorrei poter dire ai genitori di Cecilia, che non conosco, che gli haitiani ce la faranno, e sarà anche merito di chi, come Cecilia, ha sempre creduto in loro. Arrivederci Cecilia, que la terre te soit légère. Fiammetta
Port-au-Prince 9 febbraio 2010 Oggi era prevista una missione a Petite Goave, cittadina non lontana da Port-au-Prince, pure distrutta dal terremoto, con i colleghi di GVC per un intervento congiunto. Petite Goave è una cittadina dove nel 2009 Unicef ha chiesto ad AVSI di fare un’azione per i bambini che avevano subito il trauma della devastazione seguita agli uragani del 2008. Cosi abbiamo creato un luogo in cui i bambini e i ragazzini potessero fare esperienza del valore di sé e della cura da parte di un gruppo di adulti, attraverso il gioco e l’incontro. Ora vorremmo riprendere e prolungare questa iniziativa. Però il programma della giornata è cambiato: a sorpresa la Protezione civile italiana (che aspettavamo) ci ha convocato per il sopralluogo a uno dei campi e per il montaggio di alcune tende familiari. Così a Petite Goave è andato Jean Philippe e io ho seguito il lavoro delle tende a Cité Soleil. La squadra della Protezione civile, ragazzi giovani, è stata fantastica. Uno di loro è stato preso d’assalto da una signora anziana che gli spiegava che insomma va bene la precedenza alle mamme, ma anche lei aveva già avuto otto figli, certo ormai adulti, e anche lei è di queste mamme. Lui, come un po’ tutti noi,
avrebbe voluto materializzare su due piedi una tenda adeguata anche per la signora, ma purtroppo non è possibile rispondere a tutti i bisogni che ci circondano. Così le parlava e l’ascoltava, lui, dalla Val d’Aosta, un’anziana signora haitiana. Intanto, un nugolo di bambinetti guardava i ragazzi montare le tende. E tanti adulti. Il sole a picco. 40 gradi. Otto nuove tende, cioè otto nuove case per circa 15 famiglie, prevalentemente donne e bambini. È stato un bel passo avanti, oggi. Li aspettiamo anche domani questi giovani della Protezione civile italiana, con altre tende blu. Per sistemare altre persone, e contemporaneamente dover dire altri no. È così triste ma così evidente che per ogni cosa fatta ne mancherebbero altre cento. Ma c’è da dire che ogni cosa fatta ne rende possibili altre mille, testimonia una possibilità, può diventare oggetto di imitazione, può illuminare. Noi confidiamo molto in questo: che vedere un esempio permetta a molti di ripeterlo. Fiammetta
Port-au-Prince 15 febbraio 2010 In questi giorni abbiamo celebrato un mese dal terremoto con una messa presso la struttura dei missionari scalabriniani, dove è sepolto il vescovo Miot. È sempre stato un luogo di riferimento per la zona e lo è ancora di più in questo momento. Chiara, il nostro medico, è sempre lì, assieme ad altre persone tra cui l’amica suor Marcella. Padre Bepi è molto paterno e accogliente, apre le porte a tutti, ed è un’istituzione qui a Port-au-Prince. È stata un’occasione per ritrovarci e per pregare per le persone che hanno perso la vita in questo disastro.
Le giornate sono molto frenetiche. Ci siamo dedicati al montaggio delle tende della Protezione civile italiana. Simone dice che non è mai stato così bruciato dal sole (e pensare che è siciliano!). Qualche piovasco ha gettato il panico e questa è la priorità. Un luogo dove stare e ripararsi. Il problema dell’acqua è diventato durissimo, così abbiamo chiesto aiuto al nostro collega Andrea Fabiani, che è venuto da Les Cayes, l’altro polo di AVSI, per aiutarci con il depuratore che ci ha dato la Protezione civile: la situazione dell’acqua era infatti tale da renderlo inutilizzabile. Così l’intervento di Andrea, che a Les Cayes sta seguendo il ripristino di un acquedotto, insieme ai volontari ha fatto sì che da qualche giorno ci siano 7500 litri di acqua al giorno per le circa 1200 persone del campo. Ieri mattina abbiamo registrato una neonata: è nata nella sua tenda di stracci, 2 metri per 2, dove vivono anche mamma, papà, zia e quattro fratellini. Oggi abbiamo potuto a tempo record assegnare loro una tenda nuova ed è stata una vera festa. Dopodiché abbiamo portato le prime 5 tende al campo Parc Bobi. Anche qui grandi feste! È un campo molto grande, precario, cui nessuno si dedicava… finché siamo arrivati noi… Così, vedendo che le attività hanno impatto e danno risultati, il medico dei pompieri spagnoli ha deciso di prolungare la sua missione di dieci giorni per restare a darci una mano: da lunedì verrà sul terreno con noi e Chiara avrà un altro aiuto per i nostri ambulatori. Ci sentiamo presi tra un profondo desiderio di un po’ di pace, e una frenesia che ti spinge a non fermarti di fronte all’infinito bisogno. Che sta sbucando anche ora dietro l’angolo. Dobbiamo preparare la richiesta dei farmaci e dei cibi terapeutici per i bambini denutriti. E così devo salutarvi e tornare al lavoro!
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Port-au-Prince 24 febbraio 2010 Carissimi, è da un po’ che non scrivo. Cioè: mi rendo conto che non scrivo da un po’ perché guardo la data dell’ultimo messaggio… ma per il resto… si corre talmente tanto e talmente in fretta tutto il giorno che le giornate e le settimane passano in un soffio. Le attività sono a pieno ritmo e avanziamo di giorno in giorno non dico verso la normalità e la normalizzazione, ma quanto meno verso una situazione di vita leggermente migliore. I campi dove lavoriamo a Cité Soleil sono sempre più popolosi: diverse persone si stanno spostando dai campi più piccoli verso quelli più grandi (come i nostri due di Place Fierté e di Parc Bobi). Da un certo punto di vista, vedono che i campi più grandi sono meglio serviti, sotto un altro punto di vista invece si rendono conto che la loro casa non è recuperabile e quindi non è utile restare vicino alle macerie sperando in un miracolo. Diciamo che per certi versi è una sorta di accettazione dell’attuale situazione a spingerli verso di noi. Questo nuovo afflusso di gente crea alcuni problemi e nuove sfide. Cerchiamo di prenderlo come una opportunità che rende il nostro lavoro ancora più importante, però, insomma, devo ammettere che ogni mattina vedere il campo più vasto, più affollato, sempre più brulicante… beh, a volte ci scoraggia un po’. Solo un po’. Poi ci rimbocchiamo le maniche e andiamo avanti. A Place Fierté siamo ormai a circa 2500 persone. A Parc Bobi l’ultimo conteggio dava oltre 4500 persone. Abbiamo chiuso la settimana scorsa festeggiando l’arrivo dell’acqua potabile, mentre questa settimana speriamo di festeggiare entro sabato l’installazione della luce. Infatti, uno dei criteri per definire un campo profughi come 46
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minimamente rispettoso dei criteri di sicurezza (specie per le donne e per le ragazze) è che la zona toilette almeno sia illuminata. È un modo per rendere meno pericolosa la promiscuità e scoraggiare la violenza contro le donne. Noi le toilette non le abbiamo ancora (ahimé…), pero siamo quasi pronti a creare almeno due punti illuminati in ogni campo. Sara una grande innovazione e ci stiamo lavorando con impegno, grazie anche agli ormai cari amici della Protezione civile italiana che ci hanno regalato i generatori e le alogene. Saremo in assoluto il primo campo illuminato di Port-auPrince! Per il resto, appunto, ci stiamo strutturando: da una cosa ne nasce un’altra e molti aiuti ci arrivano in modo inaspettato anche dal fatto che si constata il tanto che siamo riusciti a fare. Entrambi i campi contano ora una cinquantina di grandi tende ciascuno. Ogni tenda sono due o tre famiglie, per un totale di circa 1015 persone per tenda. Si tratta delle famiglie più vulnerabili, con bambini piccoli, donne sole con molti bambini, persone anziane, con handicap. In una delle tende più grandi funziona a pieno ritmo l’ambulatorio della pediatra Chiara. Chiara è aiutata a tempo pieno da tre suore messicane, di cui una è medico. Si sono offerte volontarie dopo una prima visita al campo, vedendo il grande lavoro che c’era da fare. Siamo così attivi che lavoriamo ormai tre giorni alla settimana anche nel nuovo ambulatorio di Parc Bobi (altre due tende…). Uno dei problemi principali dei bambini da 0 a 5 anni è la malnutrizione. Chiara se n’è resa conto immediatamente, senza bisogno di tante statistiche che pure abbiamo raccolto. Così abbiamo chiesto aiuto al PAM e a Unicef e proprio oggi abbiamo ricevuto una prima donazione di latte terapeutico per i bambini di meno di 6 mesi che avrebbero bisogno del latte materno ma che spesso una mamma non ce l’hanno più. Cominceremo domani questa nuova esperienza con un primo gruppetto. Poi da settimana prossima arriveranno i supplementi alimentari del PAM, che dovrebbero coprire il fabbisogno di circa 3500 bambini. Sarà uno sforzo logistico immenso, ma sono fiduciosa che troveremo una soluzione anche a questo.
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Altro punto di grande attrazione del campo è la scuola: le nostre prime due tende sono diventate presto insufficienti per i bambini del campo, così da qualche giorno ci siamo trasferiti in una nuova grande tenda dono dell’Unicef. L’abbiamo montata a tempo record anche se… ci manca ancora il pavimento! Sono 72 metri quadri di tenda e i nostri bambini ne sono felicissimi: ha persino le finestre! Il campo di Parc Bobi è molto invidioso, per cui mi sa che entro breve dovremo provvedere a montarne una anche là… In tutte queste frenetiche attività, il tempo per fermarsi a rifiatare manca del tutto. Oggi tra i mille messaggi ho trovato la mail di una carissima amica, che non vedo ormai da anni, ma con la quale non ci siamo mai davvero perse di vista. Mi pone domande che mi fanno riflettere e forse in un certo senso mi mettono un po’ in crisi. Chiara – la mia amica – si domanda e mi domanda: «Ti immagino lavorare a ritmi molto alti perché sei in una situazione in cui si potrebbe lavorare 24 ore su 24 e neanche questo basterebbe a fare tutto quello che è necessario; ma quanto reggi ancora? Ogni tanto fermarsi è un’esigenza, come fai ad andare avanti? … La tua scelta per Alessandro fa pensare, non so cosa avremmo fatto noi al tuo posto perché certe situazioni non si possono giudicare dall’esterno, si possono capire solo vivendo tragedie così dall’interno. … Non so come fai a stare lontana da lui da così tanto, io non so se ce la farei, ma soprattutto, lui ce la fa? Cosa pensa della situazione?….». Eh, Chiara, quante domande… Non le ho tutte queste risposte! Però le sue parole mi fanno pensare. Come facciamo ad andare avanti con questi ritmi? Non lo so. Però ogni volta che vado al campo e Simone ha un nuovo “caso umano” dei suoi, anche se siamo stanchi, distrutti, ci riattiviamo in cerca di una soluzione, di un medico, di un materasso in più, di un posto in una tenda sovraffollata, di una bottiglietta di latte “speciale” per uno dei piccoli di Chiara… e come si potrebbe dire di no? Come si fa a dire a questa gente, che ci guarda con la spe-
ranza negli occhi, come si fa a dire loro: «no, guarda, ora siamo stanchi, ci pensiamo magari domani»? Come si fa? Forse a freddo, a tavolino, ce lo diciamo, che bisogna rallentare, che siamo stanchi. Ma quando siamo lì, sul terreno… no, non possiamo ancora rallentare. Non finché ci sono bambini senza nemmeno un telo di plastica a ripararli, non finché c’è la signora di 80 anni che non mangia da tre giorni e va portata in ospedale, non finché troviamo bambini di 2 anni soli in tenda perché i genitori sono usciti a cercare cibo. Come facciamo ad andare avanti? Non lo so. Ma mi chiedo: e con che coraggio ci potremmo fermare? Poi certo, la scelta di restare, di continuare con questi ritmi, diventa scelta obbligata di restare lontani dal nostro piccolo Alessandro ancora per un po’. Qui non ci sono ora le condizioni perché lui torni e io non posso partire ora. E quindi lui è in Italia e noi siamo qui. Oggi guardavo le sue foto di carnevale e mi dicevo che mi sto perdendo delle cose importanti della sua vita. È difficile da accettare per un genitore. Mi chiedo: Capirà il perché? Non lo so. Cosa pensa della situazione? Non ne ho idea. Però io penso che Alessandro sia un bambino fortunato, anche se è lontano dai suoi genitori, perché questa è una separazione temporanea, perché comunque non gli mancherà l’affetto di cui avrà bisogno, né le certezze che gli servono per crescere. Penso anche di essere io una mamma fortunata, perché il mio bambino non è morto sotto una casa crollata, non gli hanno amputato un braccio per strapparlo alle macerie, perché ho potuto scegliere di non tenerlo in questo inferno, perché lo so al sicuro e amato e accudito. Mi manca molto, e credo di mancare a lui. Ma quando mi guardo intorno in questa città che non esiste più, e vedo come vive questa gente, di quante cose ha bisogno, quanti bambini non hanno assolutamente nessuno…, mi dico che questa è la cosa giusta da fare, perché il nostro dire che «ogni uomo è mio fratello» sia una cosa vera, non siano solo parole. Anche questi bambini hanno diritto come il mio a una
casa, a una famiglia, a un gesto di affetto, a una vita normale. Finché il mio lavoro serve a garantire questo… io resto. Almeno ancora un po’. Io credo che Alessandro capirà, che dici Chiara? A presto, Fiammetta P.S. Oggi (il 24 febbraio ndr) la terra ha tremato ancora piuttosto forte. Abbiamo fatto il solito giro di telefonate e di controlli e abbiamo verificato che tutto era rimasto a posto. La gioia delle buone notizie batte lo sconforto dell’insicurezza 3-0.
Port-au-Prince 25 febbraio 2010 Venerdì mattina sento il bip bip del telefono mentre tra le mille carte sulla scrivania cerco di fare il punto della settimana caotica che spero presto di concludere. È un amico, capomissione della più grande Ong medica di stanza ad Haiti. Uno della “vecchia guardia”, un “reduce” come me: uno dei pochissimi (quattro o cinque?) che erano qui prima, durante e dopo il 12 gennaio, quel terribile spartiacque della nostra vita. Pranziamo insieme. Sa cosa voglio sapere: è il giorno della missione di accertamento del ministero della Salute a SaintMarc e da giorni si sussurra di epidemia. Da almeno 24 ore noi addetti ai lavori abbiamo capito di cosa si tratta. E così, finalmente, ora l’amico superinformato me lo dice. È colera. Il Governo lo confermerà entro la giornata. L’Organizzazione Mondiale della Sanità lo ha già accertato 12 ore fa, ma vige la consegna del silenzio finché le Autorità non fanno la loro dichiarazione. E così si tengono le bocche cucite per rispet-
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tare le Autorità locali. Ma la realtà non cambia: precipitiamo in un nuovo incubo. A mezzogiorno le vittime si contano già a decine, e trattandosi delle stime ufficiali, significa che quello è solo il numero delle persone morte certamente di colera e in ospedale. Poi ci sono tutti gli altri, quelli senza nome e senza gloria di cronaca. Quanti? Impossibile dirlo. L’Istituto di epidemiologia, nel sito blindato a registrazione obbligata, dichiara già il livello 5 di gravità sulla scala di 6 livelli delle epidemie. È grave. Non conta quanti sono, ora, non è importante. Le cose importanti sono altre. Quali? Che l’epidemia avanza rapida, per esempio. I focolai sono due: St. Marc, in Artibonite, a 100 km da Port-au-Prince, e il secondo a Mirebalais. Incriminato principale: il fiume Artibonite. In meno di 6 ore c’è già un caso a Cabaret, 30 km dalla capitale. In tarda serata di venerdì sarà segnalato un caso sospetto a Croix des Bouquets, praticamente già in città. Le cifre dei morti accertati cominciano ad essere pubblicate dal ministero: dall’ordine delle decine, i decessi passano in breve all’ordine delle centinaia. Avanza, inesorabile. Le ragioni della rapidità sono la mancanza di igiene, l’acqua contaminata, l’essere una malattia sconosciuta agli haitiani, quindi nessuna resistenza da precedente immunizzazione. Per qualche minuto nessuno dei due parla. Poi il pensiero peggiore se ne esce allo scoperto: se arriva in città, sarà una strage. Mi chiede cosa ne penso dei campi. Racconto del primo giro di sensibilizzazione fatto oggi: la gente non ne sa assolutamente nulla. I nostri agenti di terreno sono passati casa per casa nelle baraccopoli e tenda per tenda nei campi. Il messaggio standard dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è breve e chiaro: bere solo acqua trattata, lavarsi le mani, usare le latrine, andare in ospedale ai primi segni di diarrea. Stamattina una vecchia signora ci ha guardato con il bambino al collo e ha commentato: che bello, adesso quando abbiamo la diarrea ci curate? Avrei voluto sprofondare. Se arriva in città sarà una catastrofe, questo è certo. Non c’è acqua potabile, non a sufficienza, le latrine sono troppo po-
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che, far da mangiare in modo igienico in un campo rifugiati è un’utopia ridicola. E sono in 800.000, nei campi. I nostri ragazzi avanzano coraggiosamente di tenda in tenda, tra rivoli di acqua putrida e fango di dubbia origine, sotto il sole dei Caraibi che non perdona neppure a ottobre; avanzano coraggiosamente con il loro povero messaggio: lavatevi le mani, usate le latrine… Ora di mezzogiorno è chiaro a tutti che se arriva, sarà una cosa terribile. Penso ai nostri bambini delle scuole in tenda, del centro di appoggio, a quelli faticosamente strappati alla malnutrizione. Li abbiamo protetti e incoraggiati per mesi, ricostruito un sorriso alla volta, e ora? «Lavatevi le mani» di fronte ad un virus che uccide in meno di 24 ore, lavatevi le mani. Improvvisamente mi sento cadere addosso la stanchezza di questi lunghi 9 mesi. Lo dico a Stefano. Un po’ ci passa l’appetito. È stato un pranzo veloce, 20 minuti compreso pagare il conto, ed è già un lusso. Non ci saranno altri pranzi seduti, né momenti di relax per parecchio tempo. Di nuovo siamo in emergenza. Abbraccio rapida l’amico mentre le macchine e i rispettivi autisti già ci aspettano sul piazzale con il motore acceso. «Abbi cura di te, se puoi, fai attenzione», le solite raccomandazioni. Sappiamo che non ci rivedremo per settimane, almeno finché la crisi sarà passata, e non sappiamo quante ferite lascerà in ciascuno. Ma sappiamo anche che il peggio non è per noi, non sarà per noi. La città è una polveriera e il colera è una bomba a orologeria. Nel pomeriggio finalmente esce il comunicato stampa del ministero. È ufficiale, è colera. Il silenzio è rotto, ora si può parlarne, si può agire. Cominciamo con le scorte di antibiotici, poi con le casse di acqua, poi le taniche, poi il cloro, è una lotta contro il tempo, svuotare magazzini, contare, prevedere, moltiplicare. Poche istruzioni chiare, nella prima riunione logistica ci dividiamo i compiti: le infermiere ai posti di depistaggio a bordo campo, i logisti a montare le tende per l’isolamento, tutti gli altri a volantinare. A me toccano le riunioni. OMS, poi ministero della Salute, cluster acqua, cellula di crisi. Affiggo la mappa con i siti sanitari di isolamento, guardo sulla carta la
strada che scende da St. Marc verso la capitale, strada da cui arriverà il contagio. Perché arriverà, ormai è chiaro che arriverà. È solo questione di ore. I ragazzi sono rientrati dal terreno, le facce serie. Non serve dire nulla, hanno già capito. Ci aspettano tempi duri. Ricevo le prime telefonate di amici: partono, hanno figli piccoli, non vale la pena rischiare. Hanno ragione. Ci salutiamo per telefono: arrivederci a gennaio… L’équipe AVSI invece è granitica, nessun tentennamento, restiamo tutti. Solo Laura anticipa la partenza: dovrebbe rientrare comunque a fine mese e non vale la pena rischiare di restare bloccati qui. Chiudo l’ufficio alle otto passate. La giornata è stata lunga e faticosa e so bene che è solo l’inizio. Mi sento come in una città assediata che attende l’arrivo del nemico. Eppure la gente ignara continua a fare la vita di ogni giorno nel frenetico via vai delle prime ore di buio. Guardo questa moltitudine brulicante e mi chiedo se ce la faremo. Ma non sono troppo fiduciosa. Arrivo a casa, preparo la borraccia d’acqua per domani, lo zaino, le scarpe, la carta dei siti sanitari, la lista dei numeri di urgenza. Non prendo i guanti in lattice e la mascherina, per scaramanzia. Speriamo non tocchi subito a noi… Domani è il giorno della verità, si saprà se il cordone sanitario ha funzionato o se il contagio è arrivato in città.Vado a letto oppressa, ma serena. È il nostro lavoro, la gente ci aspetta, faremo ciò che possiamo.
contagiati e oltre 500 morti, ufficiali. I documenti pubblici parlano anche di under-reporting pari al 400%, ciò porterebbe secondo le loro stime il numero di contagiati a oltre 50.000 (speriamo non sia così). La cosa che ci riguarda più da vicino è il focolaio di epidemia di Warf Jeremie, uno dei quartieri di Cité Soleil della capitale Port-au-Prince, dove sosteniamo le attività dell’amica suor Marcella. Siamo tutti stupiti dall’escalation del contagio. Da una persona sospetta, a un morto accertato, in poche ore si è arrivati a 4 morti (ieri), 2 oggi e decine e decine di contagiati trattati nella clinica di Marcella. La situazione stamattina all’apertura è apparsa subito grave ed è peggiorata con il passare delle ore. Su richiesta di aiuto di suor Marcella, abbiamo distaccato da lei per il pomeriggio Cristina, la nostra infermiera, che se l’è cavata benissimo ed è stata di grande aiuto. Sempre su richiesta di suor Marcella e grazie all’impegno di Marianna, la nostra cooperante che segue un programma nutrizionale, abbiamo consegnato alla loro clinica materiali di uso comune, e per l’igiene. Domani ci occuperemo dell’acqua potabile per la comunità di Warf Jeremie, dove è necessario migliorare la disponibilità, qualità e quantità. E tra poco ci sarà il problema anche dei cadaveri. I parenti, che temono il contagio, abbandonano i corpi alla clinica e poi lì non si sa che farne. Dovrebbero occuparsene Msf-Belgique.
Ormai è un’evidenza: l’epidemia di colera dilaga in città e altrove. Ci sono casi accertati a Petit Goave (15 ospedalizzati), a ovest della capitale, e anche a Les Cayes (5 casi ospedalizzati), dove portiamo avanti principalmente attività di sviluppo rurale. Il Sud era l’unico baluardo importante di non contagio.
L’équipe di AVSI sta supportando ora suor Marcella con i materiali a disposizione, poi vedremo. Intanto siamo anche impegnati con attività su acqua e sensibilizzazione, soprattutto per l’igiene, negli altri campi sfollati dove già lavoriamo nel quartiere di Cité Soleil. Speriamo però che il contagio non si estenda, perché non abbiamo mezzi a sufficienza. Ad oggi, la situazione appare in tutta la sua drammaticità. Tra il weekend dei morti, le visite a parenti e conoscenti, le funzioni pubbliche e il ciclone con le inondazioni, il contagio si è esteso. La città e la cooperazione internazionale stamattina erano in preda al panico. Non dimenticatevi di noi. Non dimenticatevi di Haiti.
Attualmente i numeri ufficiali si attestano su circa 8000
Fiammetta
Port-au-Prince 10 novembre 2010
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Port-au-Prince 18 novembre 2010 Carissimi amici, vi scrivo queste righe dopo aver saputo che i giornali in Italia riprendono a parlare di Haiti. Come spesso succede, le cattive notizie viaggiano sempre più veloci e fanno più clamore di quelle buone. Prima di tutto vorrei rassicurare quanti hanno scritto e telefonato che noi di AVSI stiamo bene e continuiamo il nostro lavoro. Come sapete, il colera è alla fine arrivato in città e il contagio si estende. Purtroppo è difficile avere dei dati certi e che rappresentino davvero la situazione, ma certamente ci sono oltre 1000 vittime, che sono un numero enorme, e migliaia di contagiati in trattamento ospedaliero. Gli ospedali della capitale sono alla capienza massima e le organizzazioni umanitarie come noi ricevono pressanti inviti ad attivarsi per cercare di prendere in carico almeno i casi meno gravi. Cosi abbiamo organizzato due tende in due avamposti di Cité Soleil, il quartiere più colpito, per identificare le persone contagiate, prestare la prima idratazione e vedere se si riesce a stabilizzare il paziente, prima di decidere se trasferirlo in un centro meglio attrezzato. Le persone vengono numerose, ed è di grande sollievo per loro avere un posto dove essere ascoltati e magari rassicurati, senza dover avere paura delle reazioni della gente, dell’isteria del contagio che si diffonde. Molti non hanno la fortuna di sapere dove andare e aspettano di essere veramente molto gravi per andare in ospedale, dove arrivano a volte troppo tardi. Per questo stiamo lavorando per migliorare la sensibilizzazione comunitaria e raggiungere tutti ma davvero tutti. Unicef ha approvato la nostra proposta di distribuzione di pastiglie per potabilizzare l’acqua a tutte le famiglie beneficiarie, così mentre facciamo la sensibilizzazione possiamo anche direttamente intervenire per migliorare la situazione di vita della gente. Vediamo che questa prossimità alla gente dà dei risultati, che il contagio leggermente rallenta
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là dove riusciamo ad arrivare in modo energico a sensibilizzare e prendere in carico la gente. Vorremmo fare di più, ma non sempre ne abbiamo le energie e le risorse e le nostre équipe a volte sono davvero stanche. Abbiamo anche ricevuto un appello da alcuni ospedali a prendere in carico i neonati delle mamme che entrano in trattamento di isolamento, affinché non deperiscano in assenza dell’allattamento. Avendo già lavorato sui neonati orfani di madre in risposta al terremoto, siamo pronti e il nostro staff è formato. Sotto la guida di Cristina e Clotilde, la nostra équipe medica sta avendo grandi risultati. Il più importante dei quali è che la gente non ha paura a rivolgersi a noi, che ci accoglie e ascolta le nostre spiegazioni. In questa come in molte altre situazioni, impariamo che l’ignoranza e la non conoscenza fanno molti più danni che le malattie e le catastrofi, abbiamo avuto delle difficoltà a far accettare le tende di primo soccorso per i contagiati all’interno delle comunità, ma la pazienza e la tenacia dei nostri collaboratori nello spiegare cosa stavamo facendo e il perché hanno avuto la meglio. Non dappertutto è così e purtroppo le tensioni, a volte anche strumentalizzate, stanno causando incidenti gravi nel Paese. Le energie e la pazienza sono purtroppo messe a dura prova da troppi mesi, ci vorrebbero nuove risorse e nuovi appoggi per accompagnare questa gente in modo opportuno in queste nuove difficoltà, invece siamo tutti stanchi e provati da questa lunga difficile annata. Cerchiamo comunque di non perderci d’animo, nella certezza che la nostra serenità e lucidità possano fare la differenza. Un saluto a tutti e a risentirci presto Fiammetta
Port-au-Prince 9 dicembre 2010 Carissimi, come avrete sentito anche ai telegiornali italiani, le notizie di cronaca da Haiti continuano a non essere buone. Le novità più recenti sono che la Commissione Elettorale Provvisoria ha pubblicato i risultati dello scrutinio elettorale, e non sono quelli attesi. I partigiani di uno dei candidati esclusi al prossimo ballottaggio hanno invaso le strade della capitale di buon’ora questa mattina (mercoledì 8 dicembre) e messo la città a ferro e fuoco. La maggior parte delle attività sono bloccate, il centro città inaccessibile, ma anche diversi altri quartieri subiscono la violenza di numerose manifestazioni di protesta, con barricate di pietre e di pneumatici in fiamme, diversi veicoli incendiati e negozi e uffici saccheggiati. Anche se in parte attesa, questa reazione violenta ci coglie ugualmente in contropiede, in un momento in cui il Paese ha bisogno di tranquillità ed equilibrio per far fronte a ben altri problemi. Questa violenza diffusa impedisce a molti di lavorare, e non permette a nessuno di farlo secondo il ritmo abituale, mentre l’epidemia di colera continua la sua escalation e i morti ufficialmente riconosciuti oltrepassano le 2000 unità. Soprattutto nella capitale, a molti dottori e infermieri è impossibile o estremamente difficile raggiungere il proprio posto di lavoro, proprio mentre migliaia di malati attendono cure urgenti e tempestive, le uniche che possano salvare loro la vita. Si cerca di far fronte a questa ennesima crisi con i mezzi che abbiamo. Chi può, raggiunge i centri di salute più vicini e si mette a disposizione, anche se magari quello non è il suo posto di lavoro, sperando che qualcun altro abbia fatto lo stesso là dove lui ha lasciato un vuoto.
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Lo staff AVSI, come molti altri, fa del proprio meglio per non far mancare ai nostri beneficiari il supporto necessario. In questo senso, la scelta di reclutare come staff locale dei giovani provenienti direttamente dai quartieri dove lavoriamo, ci facilita molto: i nostri assistenti sociali sono già in mezzo alla gente, senza dover attraversare la città in preda alla violenza per poter raggiungere “i propri posti”. Certo, siamo molto limitati, ma siamo comunque almeno in parte operativi.
nuovo centro hanno meno voglia di partecipare alle attività in tenda…
Un discorso a parte merita Martissant, uno dei due quartieri della capitale dove si concentrano le nostre attività. Qui da settimane, nel silenzio e nel disinteresse di molti, si consuma un importante conflitto tra bande rivali, per il controllo del territorio, che ha già fatto nove vittime tra i nostri giovani beneficiari. Si tratta di nove ragazzi tra i 14 e i 18 anni che partecipavano a un programma di recupero e reinserimento sociale dopo l’esperienza delle bande armate. Anche diversi bambini sono rimasti feriti in questi scontri a fuoco e i nostri assistenti sociali si prodigano per assisterli negli ospedali e far sì che nulla gli manchi perché possano ristabilirsi al più presto.
Un caro saluto e a presto
Una zona di Martissant (Grande Ravine) è attualmente inaccessibile ed è quella l’unica area nella quale abbiamo dovuto sospendere le nostre attività, almeno temporaneamente, per non esporre il personale (ma anche i beneficiari delle attività) a un rischio troppo elevato. La nostra équipe testimonia al solito una grande perseveranza e determinazione, anche di fronte allo stress di questa situazione e anche nei momenti più difficili. Ciò che è di stimolo a tutti, come sempre, è vedere che la nostra gente ci aspetta e vedere quanto il nostro lavoro possa fare la differenza per mamme, bambini e giovani del quartiere. Le tende dei Punti di ritrovo delle mamme allattanti continuano ad essere frequentatissime, come anche quelle delle attività per i bambini, mentre le scuole si avviano agli esami di fine trimestre e alla chiusura natalizia. Le attività psicosociali accusano invece un po’ una pausa di stanchezza: forse la gente dopo la “posa della prima pietra” del nuovo centro si aspettava che il centro stesso si materializzasse da un giorno all’altro… e ora che sanno che ci sarà un
Insomma: abbiamo quasi più gente sul cantiere a vedere come procedono i lavori che nelle tende alle attività, ahimé! Speriamo nella Campagna Tende per incrementare il ritmo dei lavori e concluderli al più presto. Per questo, contiamo su voi tutti, come sempre!
Fiammetta
Port-au-Prince 24 dicembre 2010 Carissimi amici, il Natale è ormai alle porte e finalmente anche noi ci ritagliamo un po’ di tempo per pensare alle feste e alle celebrazioni. E pensiamo anche a voi. Questa lettera è prima di tutto per ringraziare voi e tutti gli amici che in questi lunghi mesi hanno seguito le vicende del popolo di Haiti. Come sapete, sono stati mesi lunghi e difficili per la gente dei nostri quartieri e per tutti gli haitiani. Ma grazie all’attenzione che ci avete dimostrato, abbiamo potuto affrontare queste fatiche sentendoci accompagnati, nella consapevolezza di non essere soli. La vostra solidarietà e la vostra sensibilità hanno fatto sì che sapessimo, quasi in ogni momento, che non eravamo soli. Oggi la gente di Haiti si prepara al Natale. Non lo fa nella miseria e nella disperazione, e nemmeno nella semplicità e nella povertà, ma lo fa con tutto lo sfarzo e la grandiosità di cui è capace, pur nella situazione difficile in cui si trova. Gli haitiani sono così: non c’è difficoltà o problema tanto grande
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e tanto drammatico da annullare il desiderio di celebrare le ricorrenze che sono ritenute importanti e non c’è modo migliore per spendere il poco che si ha, che prepararsi per una festa, per accogliere gli amici, per andare alla Messa solenne del giorno di Natale. Questa volontà di non lasciarsi abbattere e schiacciare dai drammi della vita, questo desiderio irriducibile di affermare la forza della vita e la speranza del domani, questo è ciò che caratterizza la nostra festa oggi e il nostro Paese (Haiti) in generale. La mattina di Natale vediamo i bambini e le loro mamme uscire presto dalle case, dalle baracche, dalle tende, vestiti di tutto punto e imborotalcati fino alle orecchie. Le bambine hanno la vestina della festa, chi ha l’età giusta, quella candida della prima comunione, con tanto di coroncina in testa. I maschietti sopra i 2 anni sfoggiano completi da uomo tre pezzi con scarpe nere con i lacci. Fuori da ogni chiesa c’è la fila dal lustrascarpe, perché con le strade ingombre di macerie e di fango, è difficile arrivare a destinazione con le scarpe immacolate, ma non sia mai che si entri in chiesa con un capello fuori posto. La festa grande comincia dal presentarsi all’appuntamento degnamente agghindati. Per oggi le preoccupazioni e le miserie della nostra vita di ogni giorno le lasciamo fuori dalla porta, oggi è giorno di festa. E in questa festa, oltre a un ricordo per chi non è più con noi, lasciamo spazio anche al pensiero delle difficoltà che abbiamo affrontato, dei giorni complicati e delle persone che ci hanno aiutato a superarli. Oggi con i nostri amici haitiani ringraziamo per il dono del Signore che torna a nascere nei nostri cuori, nonostante tutto, per risollevarci dalle nostre miserie, e ringraziamo per il dono della vostra amicizia, che ci sostiene e ci incoraggia e ci spinge ogni giorno a guardare con fiducia al domani. Buon Natale a tutti voi, dai molti amici haitiani che da quaggiù, oggi, ringraziano e pregano per voi!
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Port-au-Prince 12 gennaio 2011 Carissimi, è passato un anno. È incredibile a pensarci: un anno dal terremoto, un anno dal giorno che ha cambiato per sempre la nostra vita, il nostro Paese, le nostre giornate, il cuore di ciascuno di noi. A guardarsi indietro, si ha il solito doppio effetto: da una parte sembra ieri che ci svegliavamo in un incubo mai visto prima, dall’altra sembra passato un secolo, tanto ci sentiamo emotivamente cambiati da allora. Eppure è davvero un anno, a pensarci bene: sono stati per ciascuno di noi i 12 mesi più difficili della nostra vita e anche quelli che ci hanno cambiati di più, che hanno lasciato un segno indelebile in ciascuno di noi. Oggi le ferite del 12 gennaio 2010 non sono ancora rimarginate. Forse sanguinano meno, ma certo non sono guarite. In tanti ci dicono che ci vorrà del tempo, e noi ci sforziamo di crederci: che il tempo pian piano le guarirà, ma per ora ci sentiamo ancora con il cuore ferito.
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tra le macerie nella nostra città ormai irriconoscibile, senza avere notizie di tanti a cui volevamo bene, incontrando nel nostro andare solo dolore e sofferenza e morte. Ma pensiamo anche a tutte le persone che abbiamo visto soffrire e morire nelle settimane e nei mesi successivi, i bambini prematuri che non ce l’hanno fatta, le giovani mamme morte per parto in condizioni terribili, i bambini malnutriti portati via in una notte da una banale febbre senza che avessimo un antibiotico per loro, e poi, ancora recentemente, i malati di colera che non abbiamo potuto salvare in tempo. Queste persone per noi oggi non sono cifre – terribili nella loro drammaticità – ma sono volti, i volti delle persone a cui abbiamo voluto bene. Ci ritroviamo fra colleghi e amici, ci raccogliamo e preghiamo ciascuno a modo suo, ma insieme, perché questa tragedia ci ha insegnato anche che le nostre differenze di credo e di religione e di corrente religiosa, sono piccolezze senza significato di fronte alla sofferenza e all’immenso valore della vita. Ci sentiamo uniti e ci facciamo coraggio, per ricordarci l’un l’altro che il dolore non deve vincere sulla speranza, che lo scoraggiamento non deve prendere il sopravvento.
Questi giorni del primo anniversario del terremoto sono per noi prima di tutto i giorni della memoria, della preghiera e del ricordo. Pensiamo ai nostri cari, agli amici, ai colleghi, ai vicini di casa, ai conoscenti di sempre. Pensiamo a tutti quelli che non ce l’hanno fatta. Come il giovane Junior, mediatore di pace dell’équipe di AVSI a Port-au-Prince che è morto sotto le macerie della sua casa.
Nel nostro anno terribile, abbiamo scoperto anche la grandezza della speranza che ci ha spinti sempre a guardare al domani, il coraggio di chi ha saputo rialzarsi e ricominciare, il valore dell’amicizia e della solidarietà. Il trionfo della vita sulla morte, sempre. Oggi, nella nostra città ancora martoriata, distogliamo gli occhi dalle ferite dei crolli e dei cimiteri, per fissarci invece sui piccoli e timidi cantieri, sulle carriole che percorrono su e giù le nostre strade, sugli umili mercati che raccontano una vita che riparte dal basso. Noi oggi vogliamo vedere il domani di Haiti.
Per tante persone lontane, 230.000 morti sono una cifra assurda e irreale. Per noi invece sono i 230.000 volti delle persone a cui abbiamo voluto bene e che non ci sono più, portate via tanto drammaticamente, in un soffio, da questa immane catastrofe. E così ricordiamo i giorni in cui vagavamo
Abbiamo imparato tanto da quest’anno. Grazie alla straordinaria solidarietà di tutti gli amici di Avsi abbiamo soccorso la nostra gente fra le macerie, abbiamo costruito campi per decine di migliaia di persone, abbiamo portato milioni di litri di acqua e imparato come trattare i nostri
piccoli bambini troppo magri per vivere, abbiamo permesso a oltre 2000 mamme di salvare i propri piccoli semplicemente allattandoli, abbiamo permesso che ognuno dei nostri 15.000 bambini trovasse un posto dove sorridere e giocare e vivere momenti sereni. Abbiamo fatto mille lavori e imparato con umiltà che non sappiamo fare tutto, ma che possiamo provarci. I nostri insegnanti hanno fatto scuola all’aperto, poi sotto i teloni, poi in tenda, poi sotto le tettoie. Ora sono dentro le loro classi, con i nostri quasi 5000 bambini che, nonostante tutto, hanno terminato l’anno scolastico. Orgogliosi di esserci. Le nostre infermiere hanno cercato i bambini malnutriti di maceria in maceria, poi dentro le tende bianche in mezzo ai campi rifugiati, poi nelle strutture provvisorie e ora, finalmente, 15.000 tra mamme e bambini hanno una struttura vera dove rivolgersi. Ma il risultato più grande per noi è che oggi, come il 12 gennaio 2010, la nostra gente la mattina si alza e trova il coraggio di cominciare, il coraggio di coltivare la speranza nel futuro. È questa la loro forza, e questa la nostra certezza per il domani. Un pensiero speciale agli amici che non ci sono più e al collega Junior. Noi non dimenticheremo il giorno in cui Haiti ha insegnato al mondo il coraggio della speranza.
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Avviso: Atis non è morto, telefonare al 39079920 per stampare magliette…” «La vita quotidiana ricomincia»… ecco la traduzione dal creolo del messaggio lasciato dal proprietario di una casa distrutta…
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Port-au-Prince 12 gennaio 2012 Ieri abbiamo partecipato alla cerimonia di commemorazione dei due anni del terremoto, organizzata da una Agenzia internazionale molto attiva in Haiti. Una cerimonia incentrata sulla ricostruzione e sul sostegno dato alla comunità locale, sui veri attori della ricostruzione e sui risultati raggiunti. All’uscita riflettevo sullo strano sentimento di freddezza che questa cerimonia mi aveva lasciato addosso. Se avessi dovuto dargli un nome, avrei detto che era la cerimonia dei risultati della ricostruzione, non la commemorazione del terremoto. Quasi arrivata al parcheggio ho incontrato una collega haitiana, che lavora proprio per questa Agenzia e che, anziché essere in sala, aveva stranamente preferito restare fuori. Ho fatto i consueti auguri di Buon Nuovo Anno 2012, ma ho subito visto la tristezza velarle lo sguardo. Mi ha detto: «Sa, per me un eventuale Nuovo Anno non può cominciare che dopo il 12 gennaio. Prima c’è solo il ricordo, il dolore del ricordo. Della mia bambina morta sotto le macerie, della tomba che non ho potuto darle, lo strazio di non avere nemmeno un posto dove andare a piangere». E così improvvisamente ho capito che cosa c’era di freddo nella cerimonia. Non era la “nostra” commemorazione. Noi che ad Haiti c’eravamo, noi che il cuore lo abbiamo in questo Paese, il 12 gennaio non pensiamo principalmente alla ricostruzione fatta o non fatta o parzialmente fatta. Pensiamo ai nostri morti. Agli amici (tanti, quanti!) che non ci sono più, alla sofferenza che abbiamo affrontato e che in qualche modo non ha mai smesso di accompagnarci. Sono passati due anni. 24 mesi. Pochi sono stati i giorni in cui siamo riusciti a non pensarci, a non pensare a quel momento in cui la terra ha tremato e in una manciata di secondi si è portata via la vita, le persone che amavamo, il mondo che conoscevamo. Niente è mai stato più come prima. Abbiamo imparato a convivere con la sofferenza, abbiamo imparato a guardare in faccia al dolore, abbiamo dovuto accettare che la miseria della vita da terremotati inghiottisse
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la nostra gente. Ma non abbiamo potuto dimenticare, non lo potremo mai. Domenica sono stata al cimitero, a pregare sulla tomba della famiglia di mio marito. Nello stesso caveau sono sepolte le due figlie di un amico, le due bimbe morte abbracciate sotto il tavolo della cucina mentre la mamma le guardava impotente dal giardino, senza poterle salvare. Il papà si era presentato a casa nostra con i piccoli corpi nel cassone del pick up, avvolti in un lenzuolo. «Non ho un posto dove seppellirle, non c’è più posto in nessun cimitero. Non voglio portarle alla fossa comune, sono le mie bambine. Aiutatemi, vi prego». Il viaggio in pick up con quel carico leggero, me lo ricordo ancora. Come ricordo gli occhi del papà. «Aiutatemi, vi prego». Quante volte abbiamo sentito queste parole in questi 24 mesi? Tante, troppe. Qualcuno degli amici, i più anziani, ci chiede come i nostri ragazzi riescono a essere ancora in piedi, dopo tutto questo. Come è stato possibile continuare. Noi non lo sappiamo con certezza, come è successo. Ma c’era quella domanda: “aiutateci”. Quella domanda a cui non si può non rispondere. Umanamente, non si può ignorarla. Abbiamo risposto come potevamo, come sapevamo, con le risorse che erano giorno per giorno disponibili, risorse emotive, professionali, materiali. Non le nostre risorse, ma le risorse che la grande solidarietà di tante persone ha reso disponibili. La solidarietà si è trasformata in tende, in scuole, in centri educativi; si è trasformata nei primi sorrisi, nella speranza. Per 24 mesi la solidarietà è stata per questa gente un segno tangibile della vicinanza e dell’accompagnamento della comunità internazionale. Dal dolore e dallo strazio sono nate prima la solidarietà e poi la fratellanza. Quando i tuoi morti riposano con quelli del tuo vicino, ti senti necessariamente più fratello. Questa umanità ritrovata e ricostruita, seppur ancora fragile e ferita, questa è la vera ricostruzione di Haiti oggi. E di questa siamo orgogliosi di aver fatto parte, nel nostro piccolo. Fiammetta
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Fiammetta Cappellini
L’hanno chiamata “la mamma di Haiti”. Il primo è stato Alessandro Gaeta, giornalista inviato del Tg1 della Rai nel suo reportage per Tv7 del 22 gennaio 2010 da Port-au-Prince. L’Italia intera si è commossa davanti ai tigì che riprendevano le lacrime di Fiammetta all’aeroporto di Port-au-Prince a pochi giorni dopo il terremoto quando decideva di far rientrare in Italia dai nonni il figlio Alessandro. Fiammetta Cappellini, classe 1973, due lauree, originaria di Treviglio, in provincia di Bergamo, vive in Haiti dal 2001 ed è responsabile della Fondazione AVSI. Il 15 marzo 2011, per ricordare la Giornata Mondiale dei diritti dell’Uomo, le Nazioni Unite premiano Fiammetta e l’impegno di AVSI per «la lotta contro la discriminazione e per il rispetto delle persone vulnerabili a Port-au-Prince e per l’attività svolta a difesa dei diritti dell’uomo». Il 2 dicembre 2011, Fiammetta vince anche il premio “popolarità” al “Premio Internazionale Donna dell’Anno 2011” di Aosta, patrocinato dal Ministero delle Pari Opportunità, in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri Italiano, la Regione Autonoma Valle d’Aosta, la Fondazione CRT e il Soroptmist International Club Valle d’Aosta. Per fare un piccolo bilancio, dopo il terremoto del 2010, in 20 mesi ha coordinato uno staff di circa 30 espatriati che si sono ruotati e 150 staff locali, in condizioni difficili e spesso estreme, portando a termine l’avvio di 16 strutture riabilitate o costruite: 9 scuole, un centro educativo, 5 centri nutrizionali, laboratori artigianali tra cui un ristorante comunitario.
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Ricostruire l’umano. AVSI in Haiti “Mèsì AVSI” (grazie! in creolo). La prima tenda AVSI allestita a pochi giorni dal terremoto a Port-au-Prince. L’immediatezza della consegna dei primi aiuti permette ad AVSI di dare riparo agli sfollati. Teloni di plastica, lenzuola e generi di prima necessità.
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Il 2010 è stato per AVSI un anno segnato profondamente dal terremoto in Haiti, realtà in cui AVSI è presente dalla fine degli anni ’90. Il terremoto del 12 gennaio 2010, che ha colpito la capitale Port-au-Prince e provocato 250.000 morti e 600.000 senzatetto, ci ha costretto a un lavoro di emergenza e di rinascita cui hanno contribuito decine di migliaia di persone. Un evento che ci ha segnato soprattutto a livello di esperienza professionale e umana. Pian piano abbiamo visto affermarsi il miracolo della speranza. Di fronte alla distruzione, la ricerca della vita, l’impegno personale dei nostri colleghi haitiani ed “espatriati”, la solidarietà di migliaia di sostenitori, l’impegno delle istituzioni, pubbliche e private, la partecipazione concreta delle imprese, della società civile. È stata straordinaria e commovente la risposta degli amici sostenitori di AVSI, in Italia e nel mondo che, immediatamente dopo il terribile sisma, hanno donato prezioso tempo e denaro a favore del popolo di Haiti. Giorno dopo giorno, insieme a tutte queste persone, abbiamo messo le fondamenta per un lungo lavoro di ricostruzione dell’umano.
Le persone adulte vanno sostenute. Spesso ne incontriamo alcune evidentemente perse. Non hanno punti di riferimento, vagano nel campo senza meta o orientamento. Hanno perso i loro punti cardinali. Per questo stiamo attrezzandoci per iniziare a fare in modo che ciascuno trovi un compito. Come i costruttori di cattedrali”.
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AVSI in Haiti, presente ininterrottamente dal 1999, è intervenuta immediatamente dopo la catastrofe con un importante programma d’emergenza a favore di 40.000 persone con scuola, accoglienza, protezione, educazione, sanità e sviluppo agricolo. Tutte attività realizzate in coordinamento con le Agenzie delle Nazioni Unite. In particolare, per le attività di “protezione dei bambini” sono state realizzate in partnership con UNICEF e quelle relative alla distribuzione del cibo con il World Food Programme. La Commissione Adozioni Internazionale (CAI) ha partecipato alla cura e assistenza dei bambini vulnerabili e la generosa collaborazione con la Protezione Civile Italiana, la Conferenza Episcopale Italiana (CEI) e la Regione Lombardia per l’accoglienza delle famiglie sfollate è risultata vitale. L’équipe di AVSI, diretta da Fiammetta Cappellini, in meno di due anni ha portato a termine l’avvio di 16 strutture: 9 scuole, 5 centri nutrizionali, un centro educativo, laboratori artigianali con un ristorante comunitario e atéliers di moda, ferro battuto e perlage. Le fasce vulnerabili della popolazione, specialmente donne e bambini, hanno beneficiato di attività specifiche di protezione dalla violenza, sia nei campi terremotati, che a livello comunitario; migliaia di bambini non accompagnati sono stati identificati e temporaneamente assistiti anche con azioni per il ricongiungimento famigliare. Parallelamente alla risposta all’emergenza, AVSI ha coordinato interventi educativi in tutto il Paese, attività di protezione dell’infanzia, scolarizzazione, nutrizione, agricoltura, acqua e ambiente; sta lavorando per il miglioramento delle abitazioni, il rafforzamento del sostegno a distanza, lo sviluppo rurale al sud dove, con le autorità locali, sta riattivando due acquedotti e costruendo 10 pozzi d’acqua potabile. Qui al sud, nella zona di Les Cayes, il cuore agricolo per tradizione, AVSI sta creando – con EXPO Milano 2015 e con il Rotary – orti comunitari con le associazioni locali dei contadini, formando tecnici agricoli anche a livello universitario, introducendo processi di trasformazione e di filiera per la manioca e altre produzioni locali, includendo la gestione del suolo per la riforestazione.
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Nonostante l’ampia risposta umanitaria e solidale a livello mondiale, e nonostante l’importanza degli aiuti promessi e stanziati, il secondo anniversario del terribile sisma evidenza una situazione Paese ancora difficile e fragile. La catastrofe che ha travolto Haiti è stata amplificata dalla preesistente situazione di emergenza cronica in cui il Paese versava, dall’insufficienza delle infrastrutture e dalla mancanza di politiche di protezione dei cittadini. La strada per Haiti è ancora lunga e difficile. Ma i miglioramenti si vedono. Le scuole ricostruite funzionano, i bambini studiano, le mamme imparano anche a fare le sarte e i padri a coltivare la terra. Lentamente, ma progressivamente, Haiti sta germogliando. Il terremoto non ha cancellato la vita. La centralità della persona, il riconoscimento del suo valore come essere unico e irripetibile, è l’elemento essenziale su cui costruire.
Lo staff AVSI in Port-au-Prince contava prima del sisma circa 80 persone, tra cui il mediatore di pace Junior, che è morto nel crollo della propria casa. Altri colleghi sono stati leggermente feriti, diversi hanno avuto perdite nelle proprie famiglie, e feriti gravi tra i propri cari. Ma è straordinario l’instancabile coinvolgimento di tutta la squadra, così unita. Sempre. Tutti fanno orari impossibili, lavorano in condizioni molto difficili tutto il giorno, senza fermarsi un attimo, eppure ascoltano tutti, hanno un sorriso per ogni bambino, sanno essere sereni anche quando gli animi si scaldano. La loro forza d’animo e il loro credere fermamente nel nostro dovere di portare l’aiuto che sappiamo e che possiamo, non finiscono di stupirmi. Fiammetta
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Qualcosa deve cambiare�. CosÏ disse Papa Giovanni Paolo II ad Haiti nel 1983.
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L’educazione: i centri educativi
Nei dieci giorni nei quali abbiamo seguito i cooperanti di AVSI in giro per Haiti, abbiamo percepito un’isola sfortunata ma orgogliosa, caotica ma viva, ribelle ma educata. È un posto complicato dove vivere. Ma lasciarlo non è facile. Da queste parti c’è miseria, si cammina tra i rifiuti e su strade dissestate. Eppure sono tutti vestiti in modo elegante: chi ha i soldi per comprarsi un abito, ha cura di quel che indossa. Si cerca di mantenere scarpe e automobili pulite anche se l’avversario fango è difficile da sconfiggere. Nelle scuole che AVSI costruisce sull’isola, i bambini indossano divise pulite e stirate. E le mamme passano ore a sistemare i fiocchetti coloratissimi sulle teste delle loro figlie”.
Andrea Riscassi, giornalista Rai di Milano, è autore di un reportage su Haiti per Tv7 realizzato nell’ottobre 2010. Con lui c’era anche Paolo Carpi, operatore Rai. Insieme hanno viaggiato tra le ferite dell’isola con Fiammetta e la sua squadra. Al rientro in Italia hanno lanciato un appello «aiutateli, nulla andrà sprecato!».
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Dopo il terremoto del 2010, l’80% delle scuole haitiane sono state dichiarate parzialmente o totalmente distrutte. Di queste meno del 5% è stato ricostruito nel corso del primo anno post catastrofe. La strategia seguita da AVSI e dettata dal Governo, è stata quella di approntare strutture provvisorie o semipermanenti che permettessero la continuità della scolarizzazione dei bambini contribuendo alla loro protezione, rinviando la vera e propria ricostruzione a un periodo successivo e alla preparazione di un piano integrato di ricostruzione scolastica nazionale.
L’idea è far vedere che una vita può essere diversa e quando ci riesci questi ragazzi mettono nel bene la straordinaria energia che prima mettevano nel distruggere e distruggersi”. Alberto Piatti, Segretario Generale Fondazione AVSI
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Ecole Communautaire Laurier Rose de Yolande Cité Soleil, zona Drouillard, Port-au-Prince. Una struttura per 220 bambini. Progetto realizzato con Mediafriends Una scuola che accoglie 220 bambini di età compresa tra i 6 e i 15 anni. Una struttura di 360 m2 realizzata nel quartiere della bidonville di Cité Soleil, su un terreno indicato dal comune e messo a disposizione dell’EPPLS (Impresa Pubblica per gli Alloggi Sociali di Haiti). Una scuola composta da sei aule che accolgono 6 classi del ciclo elementare primario. L’edificio è stato consegnato nel mese di agosto 2011 da AVSI all’Associazione locale OPSD riconosciuta dal Ministero dell’Educazione Nazionale.
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Ecole Dodo Martissant 17, Port-au-Prince. Una struttura per 180 bambini. Progetto realizzato con Mediafriends Un istituto scolastico che accoglie 180 bambini, tra i 3 e i 15 anni, di cui il 75% sono orfani del terremoto. Un edificio di 200 m2 inagibile dopo il terremoto che è stato interamente riabilitato e messo a norma, dotato di servizi igienici e acqua potabile. Una scuola con 6 aule scolastiche occupate da 3 classi di scuola materna, 1 classe di scuola elementare e 2 classi di surages (bambini troppo grandi per essere inseriti nelle classi “normaliâ€?, che seguono un programma di recupero secondo programmi ministeriali speciali).
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Ecole Maranatha e Jardin Lavi Cité Soleil, Place Fierté, Port-au-Prince. Una struttura per 400 bambini. Progetto realizzato con Mediafriends. Un edificio di 540 m2 realizzato sul sito di Place Fierte, un grande terreno di 5000 m2 messo a disposizione di AVSI dal comune di Cité Soleil, di fronte alla piazza centrale, per 420 bambini tra i 6 e i 15 anni. Una struttura composta da due edifici affiancati che accolgono 12 aule per altrettante classi del ciclo elementare primario, già ultimata nel mese di agosto 2011 e operativa da settembre, per il primo giorno del nuovo anno scolastico, in modo da non far perdere l’anno ai bambini. Nell’edificio si sono installate, su invito di AVSI, due scuole che hanno perso il proprio edificio storico nel terremoto del 2010: Maranatha e Jardin Lavi. Queste due scuole hanno carattere di scuole comunitarie, sono registrate presso il Ministero dell’Educazione Nazionale e funzionano da diversi anni beneficiando di programmi speciali di appoggio alle comunità vulnerabili. Le due, firmando una speciale convenzione che permette loro di usufruire dell’edificio costruito da AVSI, si sono impegnate a rispettare il principio di servizio alla comunità e gli standard di qualità dell’educazione.
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Istituto scolastico Mapuo Cité Soleil, Place Fierté, Port-au-Prince. Una struttura per 390 bambini. Progetto realizzato con fondi privati, Sostegno a distanza, AVSI-USA, AVSI Canada, AVAID, AVSI in Brasile, Germania e gli amici del Portorico. Un edificio scolastico, gemello alla struttura delle scuole Maranatha e Jardin Lavi di 540 m2, realizzato sullo stesso sito, che fa studiare 390 bambini, tra i 3 e i 15 anni, in 12 aule e 6 classi che effettuano due turni: 200 bambini nella scuola elementare, 90 nella materna e 100 nelle due classi di surages (bambini troppo grandi per essere inseriti nelle classi normali che seguono programmi speciali ministeriali). Un istituto scolastico in corso di registrazione presso il Ministero dell’Educazione Nazionale. La scolarizzazione è realizzata direttamente da AVSI attraverso il Sostegno a distanza, in favore di questi bambini che provengono dalle famiglie più vulnerabili della comunità. L’edificio – già iniziato nel 2010 – è stato ultimato nel mese di settembre 2011 e la scuola è operativa dal primo giorno del nuovo anno scolastico 2011-2012, 1° ottobre.
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Ecole OPJED Cité Soleil, Soleil 21 Port-au-Prince. Una struttura per 200 bambini. Progetto realizzato con fondi AVAID e Resilience. Una scuola che prende il nome dall’omonima associazione locale OPJED, per 200 bambini, ricostruita nel 2010 con fondi del partner svizzero AVAID e dell’Associazione Resilience. La scuola ha beneficiato di una fornitura continua di acqua potabile per tutto il 2011, banchi, kit scolastici per tutti i bambini e formazione degli insegnanti.
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Ecole Saint Alphonse Cité Soleil, Ti Haiti, Port-au-Prince. Una struttura per 250 bambini. Progetto realizzato con fondi AVAID e CBAU. Una scuola ricostruita nel 2010 con fondi dei partner AVAID e CBAU (Comunità Biellesi Aiuto Umanitario), che scolarizza oltre 250 bambini e che ha accolto, su richiesta di AVSI, 30 bambini del campo terremotati di Place Fierté e, per tutto l’anno 2010, ha beneficiato di una fornitura di acqua potabile, kit scolastici e formazione degli insegnanti.
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Ecole Ti Haiti Cité Soleil, Ti Haiti, Port-au-Prince. Progetto realizzato con fondi del Comune di Lessona (Biella). Una piccola scuola in prossimità del campo terremotati di Place Fierté ricostruita nel 2010 in modo temporaneo e ristrutturata successivamente nel corso dell’estate 2011 grazie al sostegno del partner CBAU (Comunità Biellesi Aiuto Umanitario).
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Centro educativo Le Soleil de la Cité Cité Soleil, Croix Bleu, Port-au-Prince. Progetto realizzato con fondi della BCC Treviglio, Associazione Il Germoglio e donazioni private della Campagna Tende di AVSI 2010-2011. Una struttura nata per rispondere a un bisogno educativo preciso che chiedeva ad AVSI un luogo sicuro e accogliente nel quale accogliere bambini e ragazzi vittime del terremoto con attività di sostegno psico-sociale. Un luogo di bellezza e serenità in uno dei quartieri più degradati della città, in cui l’educazione e la crescita equilibrata dei più piccoli sono l’obiettivo prioritario. Tra i principali obiettivi della scuola, vi è quello di lottare contro l’analfabetismo e combattere l’esclusione sociale dando priorità al reinserimento scolastico dei bambini che hanno dovuto lasciare la scuola a causa della mancanza dei mezzi economici necessari e della difficile situazione post-urgenza. Iniziata nell’estate del 2010, la struttura si sviluppa su due piani per un totale di 15 aule di cui una riservata, e molto ampia, alla formazione. Un centro di oltre 400 m2 con un terrenogiardino interamente cintato di 1000 m2 e completo di servizi igienici, cisterna e rubinetterie per l’acqua e un gazebo per le attività ricreative. Alcuni spazi sono riservati anche al counselling psicologico e familiare, alle attività di rinforzo delle associazioni locali, all’accompagnamento dei giovani alla formazione non accademica e alla formazione dei formatori. La struttura ospita un’équipe stabile di circa 25 persone tra coordinatori locali, assistenti sociali, facilitatori di terreno e psicologi, e quasi tutti, l’80%, provenienti dal quartiere. Nel quadro di una prospettiva di medio periodo, la scuola si trasformerà in scuola pubblica o semi-pubblica, e la sua gestione sarà gradualmente trasferita alle autorità locali.
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Centro educativo Martissant Martissant, Port-au-Prince. Progetto della campagna Tende 2011-2012. A Natale 2011 AVSI – con la campagna delle Tende – ha lanciato una nuova grande sfida: costruire un secondo importante centro educativo a Port-au-Prince, a Martissant, sulla Route National, per rispondere a una richiesta precisa delle famiglie del quartiere che chiedevano di avere un posto dove dare qualche raggio di serenità ai bambini. La struttura sarà specializzata nella presa in carico degli adolescenti con iniziative di avviamento al lavoro e accompagnamento dei giovani e adolescenti un tempo legati al fenomeno delle bande armate; accoglierà attività di doposcuola, laboratori di artigianato, formazione per insegnanti e genitori e al suo internoavrà anche un sala adibita a centro nutrizionale per bambini e mamme. Il Centro sarà frequentato soprattutto dai già 400 bambini della zona aiutati attraverso il Sostegno a distanza di AVSI.
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Il sostegno a distanza Rispetto alle attività di sostegno e rinforzo della qualità dell’insegnamento, nel corso del 2011 AVSI con il Sostegno a distanza ha mandato a scuola 1500 bambini vulnerabili di Cité Soleil e Martissant a Port-au-Prince, Fonds Verrettes, Torbeck. 1500 bambini nel corso del 2011 hanno potuto così frequentare la scuola, essere accompagnati settimanalmente e seguiti con competenza da assistenti sociali, grazie al progetto di Sostegno a distanza attivato per ciascuno di loro dai sostenitori italiani. Il progetto di Sostegno a distanza di AVSI in Haiti si carica delle spese scolastiche classiche e complementari (materiali scolastici, esami periodici, attività extracurricolari, recupero scolastico), visite domiciliari, colloqui con insegnanti e genitori, incontri periodici con il bambino, sostegno psicosociale con incontri di counseling e attività puntuali nel caso di problemi specifici, sostegno alla famiglia. Immediatamente dopo il terremoto e in parallelo alle attività di accoglienza e di protezione, AVSI a Port-au-Prince, si è impegnata a rintracciare tutti i 600 bambini sostenuti a distanza e relative famiglie della città che, prima del sisma, erano censiti e seguiti uno a uno. Inoltre, per portare la speranza di una certa normalità, AVSI ha avviato anche il programma speciale di “Sostegno a distanza in emergenza” grazie al quale si sono svolte attività scolastiche e ricreative per i bambini dei quartieri di Cité Soleil e di Martissant di Port-au-Prince e per aiutare le famiglie con la consegna di utensili e beni non alimentari di prima necessità, come lenzuola, bacinelle, sapone, pentole, teloni. A dicembre 2010, oltre ai bambini sostenuti a distanza regolarmente, erano già 600 i nuovi aiutati con la formula speciale “in emergenza” che ha permesso loro di frequentare regolarmente la scuola.
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Go to School Progetto realizzato con UNICEF per 43.860 bambini. Nel corso del 2011 UNICEF ha chiesto ad AVSI di sostenere il Ministero dell’Educazione di Haiti curando la distribuzione di kit scolastici per bambini, insegnanti e scuole delle aree vulnerabili e a rischio nella città di Port-au-Prince. Il progetto GO TO SCHOOL ha raggiunto in tre mesi 43.860 bambini, 877 insegnanti e 241 scuole nei quartieri di Cité Soleil, Martissant e Carrefour Feuilles.
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Protezione dell’infanzia e sostegno psicosociale
Nel settore della protezione dell’infanzia e del sostegno psicosociale, nel corso del 2011, AVSI ha operato su tre linee di intervento: A) Protezione diretta dei minori vittime del terremoto attraverso una rete di Child Friendly Spaces: ovvero spazi a misura di bambino nei campi rifugiati. A Port-au-Prince 3 a Cité Soleil e 3 a Martissant. E altri 3 nella cittadina di Petit Goave; B) Protezione secondaria attraverso la formazione degli operatori con il sostegno di esperti internazionali dell’Associazione Resilience, che hanno formato oltre 80 operatori e effettuato lezioni di rinforzo e aggiornamento a più di 200 insegnanti, grazie a fondi CAI e della Commissione Europea; C) costruzione di un Centro Educativo (Le Soleil de la Cité) di sostegno psicosociale nel quartiere di Cité Soleil con fondi BCC Treviglio, Associazione Il Germoglio e donazioni private della Campagna Tende di AVSI 2010-2011. Una struttura di due piani per un totale di 15 aule di cui una riservata, molto ampia, alla formazione. I Child Friendly Spaces, o Coin des Enfants, sono posti “riservati ai bambini” e a misura di bambino, dove ai minori sono garantiti la protezione, l’accompagnamento, attività adatte alla loro età e la serenità di un ambiente educativo con personale specializzato e adeguatamente formato.
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A misura di bambino Sono realtà generalmente temporanee, come tende o ripari provvisori, nelle quali AVSI ha accolto circa 4000 bambini nel corso del 2011, per cicli di attività periodiche settimanali, suddivise per fasce di età e per gruppi omogenei seguiti da oltre 40 operatori che si sono alternati. In ciascuna struttura, almeno una volta alla settimana, è stato presente uno psicologo per l’identificazione di problematiche specifiche e complesse e per il monitoraggio delle attività realizzate. Oltre 400 bambini in stato di grave abbandono o vittime di violenza fisica e psicologica grave sono stati identificati e hanno beneficiato di un supporto specifico. L’attività è stata finanziata dal progetto CAI e da fondi privati.
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Il lavoro
Gli ateliers Centre d’Activités Generatrices de Revenue Ci sono anche realtà che nascono dall’apertura verso queste comunità che siamo chiamati a servire. È il caso degli ateliers. L’idea è nata da un problema: davanti al nostro ufficio-tenda c’era un edificio pericolante usato come latrina a cielo aperto dai terremotati del quartiere. Un serio problema per la salute di tutti. Abbiamo cominciato con due giornate di “corvée di quartiere”: AVSI ci mette le carriole e le pale, la gente le braccia, e abbiamo ripulito tutto. L’edificio pericolante è stato riqualificato: 6 laboratori, o atelier, ogni stanza una professione: artigianato artistico, taglio e cucito, persino un ristorante comunitario. Ogni giorno un professionista viene qui a lavorare per metà giornata e insegna ad altri facendo insieme. Fino a 60 persone turnano ogni giorno tra apprendistato e produzione. Il lavoro per riprendere dignità. Quest’anno l’uniforme scolastica dei loro bambini se la pagano da sé.
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I centri nutrizionali
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Centri nutrizionali per mamme e bambini La ricostruzione degli ospedali e degli ambulatori non era ancora di fatto cominciata a 12 mesi dal terremoto, e lo scoppiare dell’epidemia di colera ha definitivamente mostrato l’urgenza di un sostegno strutturale e professionale al sistema sanitario haitiano, per una risposta minimamente adeguata. Nell’ambito della lotta alla malnutrizione, nei primi 12 mesi post-terremoto la cooperazione internazionale e il Ministero della Salute haitiano hanno applicato un protocollo nazionale di sorveglianza, supplementazione e presa in carico puntuale che ha permesso di stabilizzare il tasso di malnutrizione globale sui livelli pre-catastrofe, scongiurando una crisi in questo senso. Nonostante ciò la sfida per il 2011 restava quella di confermare la stabilità dei tassi pur in una situazione di rischio insicurezza alimentare molto forte. Per rispondere a questo bisogno AVSI ha messo in atto, grazie al sostegno e alla professionalità dei medici volontari di Medicina e Persona, attività puntuali di salute infantile a sostegno di mamme e bambini, ha creato Centri nutrizionali, cliniche mobili capaci di raggiungere le persone e i problemi nei vari quartieri, anche quelli più isolati, ha formato personale locale e organizzato corsi di educazione alla salute. Attività che continuano. Nel corso del 2011, AVSI è così riuscita a prendersi cura di 3100 bambini malnutriti, 450 donne incinte e 450 mamme allattanti nei quartieri di Cité Soleil e Martissant nella città di Port-au-Prince grazie anche al sostegno di donatori provati, CAI, Unicef, World Food Program e a un’équipe di 35 persone (tra medici, infermiere, nutrizionisti, assistenti sociali e facilitatori di terreno).
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Medici volontari Immediatamente dopo il terremoto, sono partiti dall’Italia Chiara Mezzalira, pediatra e Alberto Reggiori, chirurgo. A loro sono succeduti a turno altri medici volontari di Medicina e Persona: Rossella Mariani, pediatra; Raffaelle Pingitore, ginecologa; Clotilde Manzoni, pediatra; Vito Schimera, chirurgo; Patrizia Vergani, ginecologa; Giacomo Bona, infermiere; Andrea Rizzi, chirurgo; Chiara Turpini, internista; Norma Franzosi, anestesista; Massimo Alosi, pediatra; Francesca Bandozzi, pneumologo; Paola Mauri, ostetrica; Anna Capitanio, infermiera; Chiara Nava, ostetrica; Leonardo Frisari, chirurgo pediatra; Cristina Benetti, infermiera; Omar Grava, pediatra. Senza di loro non sarebbe stato possibile rispondere all’emergenza.
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Centro nutrizionale Descayettes Martissant, Descayettes, Port-au-Prince. Una struttura per 150 persone e una struttura per 250 persone. Progetto realizzato con ACRI. Nel quartiere di Martissant, nel comune di Port-au-Prince, in accordo con le priorità del Ministero haitiani della salute pubblica e della popolazione (MSPP) e con le indicazioni del Cluster nutrizione del sistema di risposta all’emergenza terremoto della Cooperazione internazionale – ovvero le riunioni di coordinamento settoriale con il Ministero della Salute e UNICEF – AVSI ha realizzato un intervento di supporto alle infrastrutture di presa in carico della malnutrizione, realizzando due centri nutrizionali, questo di Descayettes e quello di Baigne. Il Centro nutrizionale in zona Descayettes ha una capacità di presa in carico di 100 bambini e 50 donne incinte e allattanti. Una struttura di 60 m2 in grado di servire la comunità dei quartieri di Descayettes, Delouis, TiBois in zona Martissant. Il progetto che ha permesso la costruzione di questo centro nutrizionale è stato sostenuto da ACRI.
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Centro nutrizionale Place Fierté Cité Soleil, Place Fierté. Nel sito di Place Fierté, su un terreno di 5.000 m2 messo a disposizione di AVSI dal Consiglio comunale di Cité Soleil (Area urbana di Port-au-Prince), AVSI ha costruito una struttura di 170 m2, edificata come edificio “semipermanente”, che potrebbe agevolmente adattarsi alle nuove esigenze ed evolversi nel futuro. Le pareti sono metà in cemento e metà in legno, mentre il tetto è in lamiera. Per evitare allagamenti il centro è stato costruito a 75 cm sopra il suolo. La struttura è composta da una sala consultazione, una sala misure antropometriche, un ufficio e una farmacia con un piccolo deposito per generi alimentari, due verande per attività di sensibilizzazione e formazione di gruppo. Il centro nutrizionale ha una capacità di presa in carico di 150 beneficiari tra bambini malnutriti e donne incinte e allattanti ed è in grado di erogare servizio di presa in carico clinica per bambini in situazione di malnutrizione acuta e severa, sostegno nutrizionale di bambini in situazione di malnutrizione acuta moderata, sorveglianza nutrizionale per l’intera comunità, attività di educazione alimentare e nutrizionale per mamme dei bambini da zero a 5 anni, depistaggio delle complicazioni della malnutrizione, sensibilizzazione comunitaria. Nel centro opera un’équipe di sette persone: un medico pediatra, 2 infermiere, 2 assistenti sociali, 2 facilitatori di terreno. Un coordinatore assicura il monitoraggio delle attività in modo continuo. Nello stesso sito, accanto al Centro nutrizionale è stato inoltre realizzato un blocco di latrine comunitarie con una cisterna per lo stoccaggio di acqua dalla capacità di 4500 galloni, un tank da 1000 galloni per la distribuzione dell’acqua potabile e rubinetteria per approvvigionamento comunitario. Il progetto è stato realizzato grazie al finanziamento dell’impresa Trevi Group, che ha supportato anche il costo del personale per 12 mesi.
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Centro nutrizionale Soleil 21 Cité Soleil, Port-au-Prince. Progetto realizzato grazie a finanziamenti di donatori privati di AVSI. Il Centro nutrizionale di Soleil 21 accoglie centinaia di donne incinte e allattanti e bambini malnutriti nella comunità di Cité Soleil con attività differenti di supporto, presa in carico ed educazione nutrizionale.
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Centro nutrizionale Baigne Martissant, Baigne, Port-au-Prince. Una struttura per 250 persone. Progetto realizzato con ACRI. Nato con le stesse caratteristiche del Centro nutrizionale di Descayettes (vedi precedente), anche il Centro Baigne sorge nel quartiere di Martissant, nel comune di Port-au-Prince. Costruito come risposta all’emergenza nutrizionale causata dal terremoto, il Centro è stato costruito in concerto con il Ministero della Salute pubblica di Haiti e Unicef con le indicazioni della Cooperazione internazionale. Il Centro, di 100 m2, è a servizio della comunità di Baigne e può prendere in carico 150 bambini malnutriti e 100 donne incinte e allattanti.
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Centro nutrizionale Ti Haiti Cité Soleil, Port-au-Prince. Progetto realizzato con donatori privati. Ti Haiti è una zona all’interno del quartiere di Cité Soleil, dove AVSI lavora da tanti anni. L’omonimo centro nutrizionale realizzato con fondi privati di AVSI, si prende cura dei problemi legati alla malnutrizione, accogliendo centinaia di mamme in attesa di partorire, donne allattanti e bambini nutriti male.
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Centro nutrizionale Parc Bobi Cité Soleil, Port-au-Prince. Progetto realizzato con donatori privati. Un tempo la squadra di calcio di Haiti si allenava qui. Dopo il terremoto è diventato un enorme campo sfollati nel quale AVSI ha costruito il Centro nutrizionale Parc Bobi, un sito conosciuto anche con il nome di tapis verte per il verde dell’erba del campo. Come tutti i centri nutrizionali di AVSI, anche questo si prende cura, grazie alla sua équipe, di donne incinte, allattanti e bambini denutriti, fornendo loro anche un’educazione nutrizionale. Questo centro è stato realizzato grazie a differenti finanziamenti di donatori privati di AVSI.
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Emergenza colera A ottobre 2010 in Haiti scoppia una epidemia di colera che si cronicizza negli anni. Dalla segnalazione dei primi casi, AVSI risponde con una campagna di sensibilizzazione sulle norme igieniche per evitare il contagio a favore delle comunità nelle quali è operativa. Vengono raggiunte così più di 100.000 persone con attività di informazione e prevenzione porta a porta, identificazione e presa in carico precoce indirizzata a scuole, centri di salute, centri comunitari, istituzioni, associazioni di base. Viene raddoppiata la fornitura d’acqua potabile alle zone di intervento e negli ospedali, tutte le cisterne e i punti di distribuzione di acqua vengono clorate, secondo le percentuali indicate dalla Organizzazione Mondiale della Sanità. Si sostengono i centri sanitari di Suor Marcella a Port-auPrince con due medici pediatri dedicati e con la fornitura di medicinali. Inoltre, vengono aperti quattro centri in tenda di primo soccorso e reidratazione orale. Attività fondamentali per prevenire il contagio. Lo scoppiare dell’epidemia di colera ha motivato un nuovo impulso alle azioni in questo senso, mettendo l’accento sul problema dell’accesso ai servizi sanitari e alle condizioni igieniche generali della popolazione.
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Agricoltura, sicurezza alimentare e acqua
Occorre incrementare la disponibilità del cibo valorizzando l’industrialità dei piccoli agricoltori e garantendone l’accesso al mercato. Si tratta di un cammino certamente non facile, ma che consentirebbe, fra l’altro, di riscoprire il valore della famiglia rurale: essa non si limita a preservare la trasmissione, dai genitori ai figli, dei sistemi di coltivazione, di conservazione e di distribuzione degli alimenti, ma è soprattutto un modello di vita, di educazione, di cultura e religiosità”. Benedetto XVI, vertice FAO, Roma, giugno 2008
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Il Sud di Haiti è molto povero ma potenzialmente ricco di risorse naturali utili ad uno sviluppo agricolo. Nel comune di Torbek, che ha una superficie di 190 km2 ed è popolato da 69.189 persone (censimento IHSI del 2009), AVSI favorisce la creazione di nuovo lavoro e il ripristino della cura dell’ambiente, attraverso ricerca, formazione e riforestazione. Le attività si prefiggono di contribuire allo sviluppo del settore agroalimentare, sia per una adeguata alimentazione e per l’accesso all’acqua potabile, sia per generare uno sviluppo sostenibile, evitando il processo di inurbamento e favorendo la crescita decentrata delle aree rurali. In questo ambito, è già in avanzata lavorazione il programma Aquaplus in collaborazione con EXPO 2015 e Rotary che coinvolge l’Università degli Studi di Milano, Facoltà di Agraria, e il partner MLFM. Al Sud di Haiti c’è disponibilità di acqua, ma è insufficiente la capacità di gestione e quindi l’effettiva disponibilità per uso domestico e agricolo. AVSI con il programma Aquaplus – e grazie anche a un accordo quadro con DINEPA, l’Istituto locale per la Gestione dell’acqua – sta ripristinando e ampliando acquedotti per l’acqua ad uso domestico, costruendo pozzi, formando tecnici agricoli e migliorando la didattica della Facoltà di Agraria dell’Università UNDH di Haiti, migliorando la produzione, la trasformazione e la commercializzazione di prodotti agricoli (in particolare tuberi di manioca e albero del pane), includendo anche la gestione del suolo, la riforestazione e favorendo la crescita e la partecipazione delle associazioni locali dei contadini così come di tutta la comunità. Il progetto mira ad approdare a Milano all’EXPO del 2015 con la presentazione di questa esperienza per voce degli stessi protagonisti di Haiti. Intanto, per la cura e la prevenzione della malnutrizione infantile, sono stati creati cinque Centri nutrizionali nella zona di Les Cayes nei quali i bambini, quasi tutti figli di famiglie contadine, sono seguiti da personale specializzato e le mamme vengono accompagnate nella cura dei loro figli, insegnando loro anche a cucinare in modo più completo dal punto di vista nutrizionale utilizzando i prodotti naturali della terra che coltivano. 134
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Le case Per sostenere il ritorno alla normalitĂ , dopo il terremoto in Haiti, la Fondazione AVSI ha ristrutturato 39 case a favore di 222 persone, di cui 149 bambini e 7 anziani.
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Chi è AVSI
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La Fondazione AVSI è una organizzazione non governativa, ONLUS, nata nel 1972 e impegnata con oltre 100 progetti di cooperazione allo sviluppo in 38 paesi del mondo in Africa, America Latina e Caraibi, Est Europa, Medio Oriente, Asia. AVSI opera nei settori socio-educativo, sviluppo urbano, sanità, lavoro, agricoltura, sicurezza alimentare e acqua, energia e ambiente, emergenza umanitaria e migrazioni. La sua missione è promuovere la dignità della persona attraverso attività di cooperazione allo sviluppo con particolare attenzione all’educazione, nel solco dell’insegnamento della Dottrina Sociale Cattolica. La Fondazione AVSI lavora con 700 partner locali (istituzioni governative, educative, sanitarie, organizzazioni non governative e organizzazioni religiose); con donatori privati e pubblici come Comuni, Province, Regioni, Stato italiano, Unione Europea, cooperazioni bilaterali, organismi internazionali, banche di sviluppo) e con oltre 60 organizzazioni unite nel “network AVSI”, ovvero una rete informale di soggetti del privato sociale che in modo sistematico collaborano per la realizzazione di progetti, per la riflessione comune sulle problematiche dello sviluppo, per condividere metodi ed esperienze. Il network comprende soci fondatori e soci partecipanti di AVSI, ma anche partner. Una rete legata dall’amicizia operativa. AVSI è riconosciuta dal 1973 dal ministero degli Esteri italiano come organizzazione non governativa di cooperazione internazionale (Ong); è registrata come Organizzazione Internazionale presso l’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale degli Stati Uniti (Usaid); è accreditata dal 1996 al Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite di New York (Ecosoc); è accreditata presso il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia di New York (Unicef); è inserita nella Special List delle organizzazioni non governative dell’Organizzazione Internazionale dell’ONU per il Lavoro di Ginevra (Ilo); è iscritta nella lista dell’Agenzia delle Entrate come organizzazione non lucrativa per il 5 per mille; è un Ente autorizzato dal Governo italiano per le adozioni internazionali; è associata
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alla CDO Opere Sociali, che con le sue oltre 1000 realtà no profit in tutta Italia, offre una grande possibilità di attingere know how per i progetti e i partner nei paesi in cui opera. Dal 2006 la Fondazione per la Sussidiarietà è partner culturale e scientifico per la valorizzazione delle risorse, l’approfondimento di tematiche antropologiche e la comprensione dei fenomeni socio-economici secondo una visione basata sulla centralità della persona e il valore del bene comune. Il bilancio di AVSI è certificato da una delle maggiori società di revisione ed è pubblicato sul sito.
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Il metodo AVSI, i valori guida
Centralità della persona La persona è vista come un essere unico nelle sue relazioni fondamentali – famiglia e società – irripetibile e irriducibile a qualsiasi categoria sociologica o a un limite che contingentemente vive (povertà, malattia, handicap, guerra).
Partire dal positivo Ogni persona, ogni comunità, per quanto carente, rappresenta una ricchezza. Ciò significa valorizzare ciò che le persone hanno costruito e aiutarle a prendere coscienza del proprio valore e della propria dignità.
Fare con Partire dal rapporto con le persone a cui il progetto è rivolto e costruire insieme sulla base dei passi che maturano con loro e tra loro.
Sviluppo dei corpi intermedi e sussidiarietà Fare progetti di sviluppo significa favorire la capacità associativa, riconoscere e valorizzare il costituirsi dei corpi intermedi e di un tessuto sociale ricco di partecipazione e corresponsabilità.
Partnership Creazione di partnership fra tutte le entità presenti sul territorio per favorire sinergie e ottimizzare l’uso delle già scarse risorse a disposizione.
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Ringraziamenti Le attività descritte sono state realizzate con il contributo di: Regione Lombardia, Comune di Borgarello (Pv), Bresso (Mi), Brugherio (Mb), Buccinasco (Mi), Castellanza (Va), Carate Brianza (Mb), Cesano Maderno (Mb), Comune di Campione d’Italia (Co), Cusano Milanino (Mi), Desio (Mb), Fagnano Olona (Va), Provincia di Lodi, Meda (Mb), Monza (Mb), Odolo (Bs), Olgiate Olona (Va), Pavia, Peschiera Borromeo (Mi), Rozzano (Mi), Seveso (Mb), Seregno (Mb), Treviglio (Bg), Vaprio d’Adda (Mi), Varese, Uboldo (Va), Gerenzano (Va), Provincia di Macerata, Fossombrone (Pu), Fano (Pu), San Donà di Piave (Ve), Peschiera del Garda (Vr), Fidenza (Pr), Comune di Rimini, Comune di Cesena, Castel Maggiore (Bo), Savignano sul Rubicone (Fc), Chiaramonte Gulfi (Rg), Provincia Verbano Cusio Ossola (Vb), Provincia Biella, Lessona (Bi). Le opere sono state realizzate con il sostegno di molti donatori e, in particolare, di ACRI, BBC Treviglio, Mediafriends, Associazione Il Germoglio, Fondazione Rotary Club Milano, EXPO Milano 2015, Università degli Studi di Milano Facoltà di Agraria, TREVI Group, UNICREDIT Leasing, UNICOOP Tirreno, SAS, Perar, UNICEF, Protezione Civile Italiana, World Food Program, Commissione Europea, Governo Italiano, Commissione Adozioni Internazionale (CAI), Ge.Fi., Peddy, Banca Finetica, Fondazione Gruppo Credito Valtellinese, Minustah (missione delle Nazioni Unite in Haiti), OCHA (coordinamento Aiuti Umanitari delle Nazioni Unite), CEI (Conferenza Episcopale Italiana). I progetti sono stati implementati grazie ai partner del network di AVSI in tutto il mondo, in particolare: AVSI-USA, AVSI Canada, AVAID, AVSI in Brasile, Germania e gli amici del Portorico, Associazione Resilience, Medicina e Persona, CBAU, MLFM; i volontari degli AVSI Point coinvolti nelle Tende; il sostegno a distanza e tutti i suoi sostenitori; gli amici della CDO, di “ilsussidiario.net” e di “Tracce”. Un grazie particolare a tutti i giornalisti, fotografi e reporter che hanno dato voce ad Haiti. Grazie a tutto il personale di AVSI in Haiti e nel mondo. 144
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