Programma Lavoro

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AZIONE SCHEDA PROGRAMMATICA LAVORO

Scenario ............................................................................................................................................................ 2 Politiche attive: meno sussidi e più formazione ............................................................................................ 3 Servizi per l’impiego: un nuovo modello per integrare pubblico e privato ............................................... 4 Combattere la precarietà dei contratti irregolari promuovendo il lavoro a termine e la flessibilità regolare............................................................................................................................................................. 5 Accompagnare la grande trasformazione del lavoro ................................................................................... 6 Sostenere il lavoro agile e digitale .................................................................................................................. 7 Combattere la burocrazia: piano straordinario per la semplificazione ..................................................... 8 Ridurre il costo del lavoro, incentivare la produttività................................................................................ 9 Sciogliere i nodi delle relazioni industriali .................................................................................................. 10

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Scenario Più di 20 anni fa il compianto Prof. Biagi definì il mercato del lavoro italiano come “il peggior mercato del lavoro” in Europa; a distanza di due decenni, quella definizione è ancora molto attuale. Il sistema è improntato a un formalismo sfrenato, il costo del lavoro è altissimo, la produttività è bassa, la mobilità professionale molto limitata e gli spazi di ingresso per i giovani sono estremamente ristretti; le imprese che operano in modo regolare sono sovraccaricate di costi, oneri e procedure molto pesanti, mentre le aziende che scelgono di collocarsi ai confini della legalità riescono a violare ogni regola senza grandi problemi. Il lavoro flessibile – quello che offre garanzie, tutele e opportunità di ingresso nel mercato del lavoro viene contrastato dal sistema, mentre i contratti precari e illeciti si diffondono senza ostacoli efficaci. Un inedito e pericoloso “populismo giuslavoristico” si è affermato negli ultimi due decenni, come reazione alla positiva stagione di riforme che portò all’approvazione de Pacchetto Treu e della Riforma Biagi, e si è ulteriormente consolidato a cavallo dei due Governi Conte, che hanno prima avviato il processo di smantellamento del Jobs Act e poi, durante l’emergenza Covid, hanno approvato misure che hanno amplificato i problemi del mercato del lavoro, distribuendo sussidi a pioggia scollegati da qualsiasi concreto intervento volto ad agevolare il reinserimento lavorativo delle persone. I giovani e i precari hanno pagato in maniera importante il conto di questa impostazione, restando fuori dai luoghi di lavoro o rimanendo intrappolati dentro il lavoro grigio e irregolare. Sono stati completamente ignorati alcuni temi che, invece, sarebbero centrali per la ripresa economica: è mancata qualsiasi discussione critica sulle politiche attive del lavoro e sui risultati di alcune scelte recenti (come i Navigator), tema che sarà decisivo per gestire i tantissimi esuberi prodotti dal Covid; sono stati dimenticati gli investimenti nella formazione e nelle competenze digitali; c’è stato un totale disinteresse per la semplificazione del sistema normativo e degli adempimenti sul lavoro; non è stata neanche avviata la riflessione sull’impatto della grande trasformazione del lavoro imposta dal Covid e, prima di esso, dalla rivoluzione digitale. Inoltre, è clamorosamente mancata ogni riflessione critica sulle misure da approvare per aprire le porte del mercato del lavoro ai giovani, colpiti dalla crisi post Covid in maniera dura nel silenzio assordante della politica; mancanza particolarmente grave nel momento in cui è ripartita la discussione sull’ennesima riforma pensionistica, un tema che rischia di sottrarre ulteriori risorse alle nuove generazioni Per uscire da questa situazione e avviare un processo di rilancio del mercato del lavoro è necessario costruire un piano di azione che prevede un pacchetto coordinato di misure finalizzate a superare il binomio divieti\sussidi e ricostruire i pilastri di un sistema moderno ed efficiente; di seguito proviamo a descrivere queste misure.

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Politiche attive: meno sussidi e più formazione Sintesi Il Reddito di Cittadinanza è un sussidio che non ha aiutato nessuno a trovare lavoro. Servono politiche che guidino e supportino concretamente chi cerca lavoro durante tutta la vita professionale ed è necessario che la formazione diventi un diritto di tutti i lavoratori. Testo In Italia le politiche di aiuto a chi cerca lavoro di fatto non sono esistite, perché sono state finanziate con cifre risibili rispetto a quanto avviene in altri stati europei. Cifre enormi sono state investite sul Reddito di Cittadinanza, che tuttavia - pur avendo svolto, insieme al Reddito di Emergenza, un ruolo nell’assistenza alle famiglie in un periodo di crisi – si è rivelato totalmente fallimentare come misura di politica attiva del lavoro. Questo strumento va totalmente ripensato in chiave più selettiva e con impegni e oneri maggiori – in primo luogo di natura formativa per le persone in grado di svolgere un’attività lavorativa. I famosi “Navigator” sono risultati del tutto ininfluenti nel trovare lavoro agli italiani, anche a causa di un’assegnazione di compiti e inquadramento giuridico poco chiari fin dall’inizio. A fronte dell’enorme investimento sul RdC, pochissime risorse sono state destinate all’Assegno di Ricollocazione, l’unica politica attiva del lavoro presente oggi sull’intero territorio nazionale, in fase sperimentale dal 2016. E per questo pochi disoccupati hanno avuto la possibilità di fruirne. È stata una scelta sbagliata, perché in un mercato del lavoro in continua evoluzione, è fondamentale essere preparati ad affrontare il cambiamento. Con le risorse del PNRR e l’adozione del nuovo Programma per la Garanzia Occupabilità dei Lavoratori (GOL) sembra che questo trend stia cambiando, ma è necessario che i cittadini possano conoscere e accedere al più presto a tutte le misure previste dal Programma GOL che per ora è ancora solo sulla carta. Un sistema che offra percorsi di orientamento professionale, formazione continua, ricollocazione (erogati sia da soggetti pubblici che privati accreditati) che accompagnino i lavoratori in tutte le fasi della propria vita professionale va definitivamente collaudato e reso disponibile a tutti i lavoratori, con priorità per i disoccupati e occupati che percepiscono sussidi di sostegno al reddito. La formazione permanente (lifelong learning) insieme all’orientamento professionale (già a partire dai contesti scolastici e universitari) deve diventare un diritto di ogni lavoratore, perché solo con l’aumento delle conoscenze si può assicurare la permanenza nel mercato del lavoro. La formazione professionale può avere una grande incidenza non solo sui singoli lavoratori, ma anche nella creazione di attrattività dei mercati del lavoro, soprattutto se mirata alla realizzazione di concreti sbocchi occupazionali. Per questo è necessaria la realizzazione di un sistema di raccolta e sistematizzazione di dati che registri il tasso di coerenza tra la formazione impartita e gli sbocchi occupazionali effettivi. L’integrazione tra politiche attive e politiche passive va realizzata con un’attenta cura sia ai flussi informativi che devono essere opportunamente condivisi tra i soggetti coinvolti nei processi, sia agli obblighi in capo ai beneficiari ultimi delle politiche (sistemi di condizionalità). È necessario, inoltre, un sistema di controlli serio, puntuale ed efficace.

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Servizi per l’impiego: un nuovo modello per integrare pubblico e privato Sintesi La collaborazione tra soggetti pubblici e privati accreditati per l’erogazione di servizi di politiche attive, ma anche il coinvolgimento di sindacati, imprese, scuole e università, deve diventare il nuovo modello dei servizi pubblici per il lavoro. Testo Il sistema italiano dei servizi pubblici per il lavoro risulta ancora molto incentrato su attività amministrative e poco efficace nel concreto aiuto alle persone in cerca di lavoro. Inoltre, la competenza concorrente in materia di lavoro tra Stato e Regioni rende ancora più complicata la realizzazione di servizi omogenei e il “piano di rafforzamento dei Centri per l’Impiego” avanza a rilento. Esistono però esempi regionali virtuosi in cui i servizi pubblici per il lavoro hanno saputo creare forme efficaci di collaborazione tra il pubblico e il privato, mettendo al centro il bisogno della persona ed erogando servizi personalizzati realizzati da soggetti privati accreditati. Il vero cambio di rotta nel modello dei servizi pubblici per il lavoro sta proprio in un rinnovato ruolo centrale dei servizi pubblici in termini di programmazione, controllo ma anche coordinamento degli attori dei mercati del lavoro locali (agenzie per il lavoro, sindacati, imprese, scuole e università, associazioni ecc.). Così come per il settore della sanità, anche per il lavoro occorre la piena realizzazione di un sistema in cui il pubblico accredita i soggetti privati e fissa le regole, mentre il privato accreditato eroga i servizi in regime di concorrenza. Tale meccanismo, applicato da decenni nei principali Paesi europei, deve assegnare al cittadino il diritto di scegliere l’operatore presso cui fruire dei servizi per il lavoro, mediante un “voucher” che garantisce l’accesso a tali strumenti. L’operatore riceverà un finanziamento pubblico proporzionato alle attività svolte e ai risultati conseguiti in relazione alla situazione individuale della persona. Un punto strategico riguarda i sistemi informativi. Da decenni si parla delle “banche dati parlanti”, ma ad oggi non è ancora stato compiutamente realizzato il sistema informativo unitario delle politiche del lavoro previsto dal Dlgs. 150/2015. È prioritario il suo completamento in tempi brevi affinché si possano registrare, scambiare ed elaborare informazioni sulle fasi della vita professionale delle persone: stato di disoccupazione, contratti di lavoro, ammortizzatori sociali, percorsi formativi, opportunità di lavoro ecc. Tali informazioni devono essere la base della programmazione di misure efficaci di politica attiva. L’emergenza Covid19 ha rimesso in evidenza un problema noto: la frammentazione a livello regionale della potestà legislativa in materia di organizzazione del mercato del lavoro (art. 117 della Costituzione) non ha garantito maggiore efficienza della macchina pubblica ma anzi ha creato conflitti normativi e di competenza. È necessario promuovere una riforma costituzionale per riportare al centro la potestà legislativa, mantenendo sui territori le funzioni amministrative e di coordinamento degli attori locali. In ogni caso, fino a che permarrà l’attuale assetto istituzionale sarà comunque necessario ripensare completamente il ruolo di Anpal (Agenzia Nazionale delle Politiche Attive del Lavoro), che deve essere rilanciata – secondo il modello del d.lgs. 148/2015 - e deve svolgere il compito di ultimare in tempi brevi e certi il sistema informativo unitario delle politiche del lavoro, di controllare l’attuazione dei LEP sul territorio nazionale e di promuovere una costante collaborazione tra Stato centrale e regioni per un’azione il più possibile coordinata in tutto il territorio nazionale.

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Combattere la precarietà promuovendo la flessibilità regolare Sintesi Il Decreto Dignità ha perseguito un obiettivo giusto (combattere il precariato) ma è stato colpito l’obiettivo sbagliato: il problema del precariato esiste, ma assume le forme brutali e fortemente penalizzanti delle false partite IVA, delle collaborazioni irregolari, degli appalti illeciti, fenomeni che proliferano indisturbati nel mercato e generano abusi importanti. Bisogna tornare a sostenere la “buona flessibilità”, abrogando il Decreto Dignità, e avviando un’azione di contrasto deciso contro le forme di vero precariato. In tale ottica va anche ripristinato il “voucher” per i lavori saltuari e intermittenti. Testo Dal decreto dignità del 2018 in poi il contratto a termine e la somministrazione di manodopera – strumenti che assicurano tutte le tutele del lavoro subordinato, nessuna esclusa - sono state interessate da un maltrattamento legislativo del tutto ingiustificato, che ha indebolito le forme di “flessibilità regolare” a tutto vantaggio dei contratti meno tutelanti e più esposti al rischio di abusi. In questo modo è stato perseguito un obiettivo giusto (combattere il precariato) ma è stato colpito l’obiettivo sbagliato: il problema del precariato esiste, ma assume le forme brutali e fortemente penalizzanti delle false partite IVA, delle collaborazioni irregolari, degli appalti illeciti, fenomeni che proliferano indisturbati nel mercato e generano abusi importanti, ma sono sfuggiti agli occhi del legislatore. Bisogna tornare a sostenere la “buona flessibilità”, abrogando il Decreto Dignità, e avviando un’azione di contrasto deciso contro le forme di vero precariato che si nascondono dietro l’utilizzo irregolare degli strumenti appena citati, rendendo maggiormente conveniente il ricorso alla flessibilità regolare, rafforzando i meccanismi di contrasto agli abusi e sostenendo l’azione della contrattazione collettiva volta ad estendere le tutele verso le aree “dimenticate” del mercato del lavoro. Nella stessa ottica, bisogna accorpare e cancellare la miriade di “mini contratti” utilizzati per queste forme di lavoro, ripristinando il voucher, una forma contrattuale cancellata con troppa fretta che regolava in maniera corretta e trasparente rapporti che, oggi, sono tornati nel limbo dei contratti irregolari. Tale strumento consentiva di pagare le prestazioni di lavoro accessorio mediante un voucher con il quale venivano adempiuti tutti gli obblighi contributivi e fiscali; un istituto che va rilanciato (con tutele e controlli rigorosi per evitare gli abusi) come forma in grado di accorpare la miriade di forme contrattuali esistenti per i lavori di breve durata e di riportare dentro un perimetro di legalità e regolarità le prestazioni oggi svolte con forme irregolari.

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Accompagnare la grande trasformazione del lavoro Sintesi Il lavoro è interessato da un cambiamento radicale, rispetto al quale ha poco senso applicare gli schemi tipici del Novecento. Bisogna avviare un ripensamento delle categorie giuridiche contrattuali per ampliare le tutele a tutti i lavori “economicamente dipendenti”. Testo Un tema centrale per l'attuale diritto del lavoro è quello della subordinazione nell'era della rivoluzione digitale e della “Gig economy”. Le piattaforme che mettono in contatto diretto chi riceve e chi eroga un servizio tendono sempre più a chiamarsi fuori dal rapporto che si instaura tra l'utente e il lavoratore e, anche quando accettano di essere parte formale di questo rapporto, raramente scelgono di usare il lavoro subordinato. È necessario affrontare il tema senza soluzioni semplicistiche come il ricorso allo schema classico della subordinazione. Il mondo del lavoro è attraversato da una grande e radicale trasformazione che impone il ripensamento degli schemi giuridici tradizionali: esistono forme di dipendenza economica anche nel lavoro autonomo e parasubordinato. Serve quindi un ripensamento complessivo delle forme contrattuali e delle relative tutele che consenta di superare l’attuale situazione nella quale esiste un “fortino” di tutele molto incisive (il mondo del lavoro dipendente) e una vasta area di tutele deboli e lavoro precario (i nuovi lavori, il mondo della para subordinazione, ecc.).

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Sostenere il lavoro agile e digitale Sintesi Dopo la pandemia il lavoro non sarà più lo stesso: le tecnologiche digitali consentiranno un utilizzo strutturale dello smart working. Bisogno accompagnare ed agevolare l’innovazione con incentivi mirati su tecnologie, formazione ed ecosistema lavorativo. Testo La forma di lavoro che milioni di persone hanno sperimentato durante il lockdown non si può definire “smart working”. È stato un “lavoro casalingo” di massa, molto faticoso e poco produttivo, del tutto sprovvisto dell’elemento essenziale che caratterizza il “lavoro agile”: la libertà di scegliere come alternare il posto, le modalità, gli strumenti e il tempo di lavoro. Il vero e sano smart working è una cosa molto diversa e più ambiziosa: è una modalità organizzativa che mette al centro del rapporto la fiducia, gli obiettivi, la produttività e il bilanciamento tra vita e lavoro, e che si basta su una (agile) alternanza tra l’ufficio e gli altri spazi, per rendere più moderno il rapporto tra aziende e lavoratori. Con il lavoro agile cambia il parametro utilizzato per misure la prestazione di lavoro – il tempo lascia il passo al risultato – con la conseguenza che vanno rivisti molti istituti tipici del rapporto. Il futuro di questo strumento dipenderà in gran parte dalle scelte che farà il Governo, che ha più volte annunciato un intervento legislativo. Ma non serve un’ennesima legge che aggiunga burocrazia, procedure, vincoli e adempimenti. La legge già esiste e funziona bene (l. 81/2017), va solo integrata con interventi mirati sugli aspetti che, durante e dopo la pandemia, si sono rivelati maggiormente critici, come il diritto alla disconnessione, la disciplina degli strumenti di lavoro e il loro trattamento fiscale Va recuperato, inoltre, un ruolo attivo per la contrattazione collettiva, ingiustamente “dimenticata” dalla legge esistente, quale strumento per accompagnare e sostenere l’introduzione sui luoghi di lavoro di percorsi di lavoro agile. Serve invece una sana e corretta sperimentazione, anche nel settore pubblico, da sostenere con incentivi adeguati, per favore il rinnovamento degli strumenti e premiare gli incrementi di produttività. Nella stessa prospettiva, serve un potenziamento degli strumenti volti a finanziare la formazione, la riqualificazione e l’acquisizione di nuove competenze dei lavoratori, rendendo strutturali le sperimentazioni in corso.

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Combattere la burocrazia: piano straordinario per la semplificazione Sintesi È necessario cancellare il messaggio di ostilità verso il lavoro che manda alle imprese e agli investitori un ordinamento burocratico, formalista e illogico come quello attuale, riformando il sistema normativo. Bisogna riprogettare il futuro del nostro ordinamento lavoristico, puntando su regole più efficienti e moderne, in grado di attirare e mantenere gli investimenti. Testo Il nostro ordinamento del lavoro perde competitività ogni giorno per colpa di un ordinamento del lavoro illogico, nel quale è troppo difficile assumere dipendenti e gestirli in maniera efficiente, e che punisce con grande rigore chi, pur utilizzando contratti regolari, incappa in errori formali senza contrastare fenomeni di elusione di massa delle regole. Per cancellare il messaggio (“divieto di assumere”) che manda agli investitori un ordinamento burocratico, formalista e illogico come quello attuale, serve un forte investimento su un’infrastruttura sempre troppo trascurata: il sistema normativo. È necessario riprogettare il futuro del nostro ordinamento lavoristico, puntando su regole più efficienti e moderne, in grado di attirare e mantenere gli investimenti. Senza un vero investimento sulle regole, nessun sussidio e nessun divieto riuscirà frenare il declino del nostro sistema economico. Per questo va lanciato piano straordinario per la semplificazione, finalizzato a cancellare tutte le procedure e le regole inutili e inefficienti. Si pensi alle causali dei contratti a termine, le trappole costruite solo per generare contenzioso; agli adempimenti infiniti sugli appalti, che penalizzano solo le imprese regolari; agli infiniti adempienti da rispettare per utilizzare il “libretto di famiglia”, che rendono inaccessibile questo strumento a persone prive di una specifica competenza tecnica. Una massiccia semplificazione consentirebbe anche di ridurre quelle forme di contenzioso basate su violazioni formali, oggi molto diffuse, che minano la competitività del nostro mercato del lavoro senza offrire alcuna garanzia aggiuntiva ai lavoratori. Un esempio tipico è quello della “causale” dei rapporti a termine: un requisito, reintrodotto dal Decreto Dignità, che non hai svolto un ruolo di argine contro il precariato ma, piuttosto, è servito ad alimentare contenzioso che raramente hanno prodotti maggiori tutele e opportunità di lavoro. E sempre per facilitare la riduzione del contenzioso, vanno potenziati gli incentivi fiscali per gli accordi conciliativi sottoscritti prima del contenzioso giudiziale.

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Ridurre il costo del lavoro, incentivare la produttività Sintesi L’Italia ha un costo del lavoro tra i più alti d’Europa a fronte di una produttività tra le peggiori del continente: bisogna invertire la tendenza, riducendo il costo del lavoro e detassando la retribuzione collegata ai risultati e gli straordinari. Testo Guardando una qualsiasi busta paga, salta all’occhio la distanza siderale tra la retribuzione lorda e quella netta (per non parlare di quella, ancora maggiore, tra “costo azienda” e compenso netto). Da un lordo di 100 (che corrisponde a un costo aziendale di 130) si passa a un netto di 50: un carico insostenibile che funge da incentivo, illecito e sbagliato, all’evasione e all’infedeltà contrattuale. A fronte di tale situazione, nel corso dell’ultimo decennio l’economia italiana ha perso molto terreno in termini di valore aggiunto creata per unità di lavoro impiegata, portando il nostro Paese in fondo alla classifica degli Stati Membri dell’Unione Europea. Questo crollo della produttività ha causato anche un aumento comparativamente più forte del costo del lavoro per unità di prodotto rispetto agli altri paesi, peggiorando la competitività dei prodotti italiani. Pertanto, non solo l'Italia sopporta un cuneo fiscale tra i più alti in Europa, ma a tale elevato costo del lavoro corrisponde anche una scarsa produttività. È necessario riportare i valori entro livelli sostenibili e coerenti con le principali economie occidentali. Bisogna legare produttività e riduzione del costo del lavoro, riducendo le tasse e i contributi che si pagano sulla retribuzione erogata per premiare gli incrementi della produttività, detassando completamente i premi e il lavoro straordinario; serve, inoltre, una massiccia semplificazione dei criteri per l’applicazione degli incentivi, oggi interessati da regole complicate e procedure farraginose.

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Sciogliere i nodi delle relazioni industriali Sintesi La politica deve spingere le relazioni sindacali a sciogliere i nodi irrisolti da troppi anni, come la rappresentatività sindacale e l’efficacia dei contratti collettivi. Va potenziata la contrattazione di secondo livello. Testo È necessario affrontare una volta per tutte il tema della rappresentatività sindacale e quello, connesso, dell’efficacia dei contratti collettivi: la modifica dell’art. 39 della Costituzione, in una forma che renda più semplice l’estensione erga omnes dei contratti collettivi (e non dei soli minimali retributivi, come accade oggi per via giurisprudenziale) è sempre stato un tabù per via dei troppi veti incrociati, ma resta la strada maestra per affrontare il problema. Il potenziamento del contratto collettivo è la strada maestra per affrontare il tema del salario minimo, che può costituire uno strumento utile in rispetto a quelle forme di lavoro irregolare cui non si applica la contrattazione collettiva. Deve, inoltre, essere accompagnata la tendenza a favore la contrattazione di secondo livello, anche con adeguati incentivi fiscali, soprattutto quando questa serve a promuovere la produttività del lavoro oppure istituisce sistemi di welfare aziendale.

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