Stortoni e Califano - Ex falso sequitur quodlibet

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EX FALSO SEQUITUR QUODLIBET: L’INVOCAZIONE DI VINCOLI SOVRANAZIONALI NEL DIBATTITO SULL’ABROGAZIONE DELL’ABUSO D’UFFICIO

Luigi Stortoni* e GaetanoStefanoCalifano**

SOMMARIO 1. L’inquinamento concettuale – 2. I (reali) dati normativi e testuali. – A) la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione – B) La Proposta di Direttiva sulla lotta alla corruzione – 3. La sintesi.

1. L’inquinamento concettuale

Parrebbero maturi i tempi per dare “commiato ultimo” alla tormentata – e più che controversa – fattispecie di abuso d’ufficio.

Fattispecie, la discussione sulle cui sorti – come del resto periodicamente accade – monopolizza, in questi giorni, il dibattitto parlamentare, accademico, giudiziario e fors’anche – stavolta! – pubblico.

V’è, però, da dubitarne, alla luce della strenua difesa che del reato s’oppone soprattutto – ma non solo – da parte della Magistratura.

Rinnovata, vivida, discussione che si polarizza – progressivamente radicalizzandosi – attorno a due posizioni inconciliabilmente antitetiche.

V’è chi – e condivisibilmente – denunciando il (non) ultimo fallimento del legislatore del 2020 di ripensare la fattispecie, ovvero registrando i noti effetti paralizzanti di “burocrazia” e “amministrazionedifensiva”, ne propone secca abrogazione.

Altre autorevoli voci, al contrario, un po' adombrando sconfinate – quanto indimostrate – sacche d’impunità per gli amministratori “infedeli”, un po' incensando di virtù taumaturgiche la norma, presidio imprescindibile – si sostiene – per il contrasto alla maladministration , si oppongono pervicacemente alla prospettiva abrogativa.

* Professore Emerito di diritto penale nell’Università di Bologna

** Dottorando di ricerca in Diritto dell'Unione europea e ordinamenti nazionali nell’Università di Ferrara

8.6.2023

Ciò che qui vorremmo segnalare è come, tra le fila dei “contrari” all’abrogazione, s’innalzi sovente una identica obiezione, un refrain corale e canticchiato in crescendo da pressoché tutti gli intervenienti: “non possiamo abrogare l’abusod’ufficio,celochiedel’Europa,Merida,ilMondo!”.

La via della abrogazione – si proclama – risulterebbe ineluttabilmente preclusa, ostandone la presenza di obblighi di incriminazione di fonte sovranazionale.

Proprio a questo tema intendiamo, dunque, dedicare qualche considerazione, per sfatarne – diciamo subito – la consistenza.

Questo perché a noi pare che il dibattito sia stato – e incessantemente continui ad esser – inquinato dalla presenza di vistosi fraintendimenti concettuali, originati dalla – più o meno inconsapevole (?) – erronea precomprensione del contesto sovranazionale di riferimento.

Né tantomeno può sottacersi – sia detto sin d’ora, ma meglio ne diremo appresso – come, a ben vedere, questa “febbrile ricerca” di fonti sovranazionali ostative all’abrogazione, sembri tradire, più a fondo, una malcelata – e perciò ancor più evidente – carenza di validi argomenti di merito a sostegno della inopportunità politicocriminale dell’abrogazione.

Ma procediamo con ordine.

2. I (reali) dati normativi e testuali

A) La Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione

Il principale – ed asseritamente insormontabile – ostacolo di matrice sovranazionale all’abrogazione della fattispecie di cui si discorre viene anzitutto individuato – in maniera tanto unanime, quanto fors’anche eccessivamente precipitosa – nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (UNCAC), siglata a Merida, ed adottata dall'Assemblea generale in data 31 ottobre 2003.

S’è, infatti – ed anche autorevolmente – sostenuto che la Convenzione di Merida imporrebbe agli Stati firmatari – tra i quali, ricordiamo pur superfluamente, anche l’Italia – la penalizzazione delle condotte di abuso d’ufficio, e ciò ai sensi dell’art. 19 del suddetto accordo, che di esso dice1 .

1 Article 19 – Abuse of functions: “Each State Party shall consider adopting such legislative and othermeasuresasmaybenecessarytoestablishasacriminaloffence,whencommittedintentionally, theabuseoffunctionsorposition,thatis,theperformanceoforfailuretoperformanact,inviolation

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L’abrogazione della fattispecie, perciò, integrando una patente violazione della menzionata Convenzione, renderebbe responsabile l’Italia – ammonisce il Dott. Davigo, nell’ambito del ciclo di audizioni in Commissione Giustizia – financo di un gravissimo “illecitopenaledidirittointernazionale!”.

A parte la evocazione di categorie internazionalistiche – del tutto inedite o, comunque, non pertinenti – ciò che va sin da subito rilevato è che la Convenzione ONU di Merida nonimpone affatto un obbligo cogente d’incriminazione per l’abuso d’ufficio, dovendosi – al contrario – ritenere la penalizzazione delle condotte abusive una, del tutto eventuale, mera facoltàper i singoli Stati.

E ciò per un plurimo e concordante ordine di ragioni obbiettive.

Un primo dato di natura testuale – e dunque come tale difficilmente contestabile – sta, anzitutto, nella stessa formulazione letterale della Convenzione, che tipicizza le singole fattispecie di reato nell’ambito del proprio Capitolo III dedicato alla “Criminalizationandlawenforcement”.

Nel contesto di tale sezione, infatti, la Convenzione staglia nitidamente la distinzione tra le i) fattispecie la cui incriminazione viene imposta agli Stati firmatari; e le ii)fattispecie di cui soltanto facoltativane risulta la rispettiva incriminazione. Distinzione, questa, che trova immediato fondamento in una ben diversa formulazioneletteraledelle rispettive fattispecie.

Per il primo gruppo di disposizioni (i) , infatti, si prevede che: “EachStateParty shall adopt such legislative and other measures as may be necessary to establish as criminaloffences…”.

Per le seconde (ii) , invece, la Convenzione fonda l’obbligo – ed è proprio questo il punto – non già sulla “adozione”, quanto invece sulla “considerazione”, delineando – in tal modo – una mera facoltà in capo agli Stati firmatari: una mera raccomandazione, vale a dire, di prenderne in considerazione la eventuale penalizzazione. Si legge, infatti: “EachStatePartyshallconsideradoptingsuchlegislativeand othermeasuresasmaybenecessarytoestablishasacriminaloffence…”.

L’insieme delle incriminazioni, per così dire, “obbligatorie” della Convenzione ricomprende le fattispecie di corruzione di pubblici ufficiali nazionali (art. 15), di corruzione di pubblici ufficiali stranieri e di funzionari di organizzazioni internazionali pubbliche (art. 16, limitatamente al c.1, e dunque solo per ciò che attiene alla

oflaws,byapublicofficialinthedischargeofhisorherfunctions,forthepurposeofobtainingan undueadvantageforhimselforherselforforanotherpersonorentity”.

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“corruzione attiva”), la sottrazione, l’appropriazione indebita od altro uso illecito di beni da parte di un pubblico ufficiale (art. 17), il riciclaggio dei proventi del crimine (art. 23), l’ostacolo al buon funzionamento della giustizia (art. 25).

Non v’è l’abuso d’ufficio (art. 19) che viene, invece, considerato dall’atto convenzionale una incriminazione meramente facoltativa , assieme al millantato credito (art. 18), alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri e di funzionari di organizzazioni internazionali pubbliche (art. 16, limitatamente al c.2, vale a dire per ciò che attiene al versante “passivo” del pactumsceleris), all’arricchimento illecito (art. 20), alla corruzione nel settore privato (art. 21), alla sottrazione di beni nel settore privato (art. 22), alla ricettazione (art. 24)

Il descritto binomio – a fugare qualsiasi dubbio mai residuasse – trova immediata corrispondenza in ciascuna delle traduzioni ufficiali della Convenzione, così quella francese e spagnola: ChaqueÉtatPartieadopte – ChaqueÉtatPartieenvisage d’adopter ; Cada Estado Parteadoptará – Cada Estado Parteconsiderarálaposibilidad deadoptar

Proprio questa evidentissima differenza di formulazione indica, allora ed inequivocabilmente, una diversa graduazione della vincolatività delle rispettive disposizioni, che si traduce – come anche più volte s’è detto – nella obbligatorietà delle prime e nella merafacoltativitàdelle seconde.

La radicale differenza non è, del resto, sfuggita alla dottrina2

Ci basti – per tutti – riportare quanto scrive Mongillo con riguardo al tema dei vincoli sovranazionali di incriminazione del traffico di influenze illecite che, come visto, presenta la medesima formulazione letterale – “shallconsideradopting” e non, invece, “shall adopt” – dell’abuso d’ufficio: «Quando si discetta di figure criminose come la corruzione internazionale e ancor più il traffico di influenze illecite, vengono costantemente evocati obblighi internazionali di criminalizzazione che l’Italia sarebbe tenuta a rispettare. Ma seguendo queste rime si finisce per mettere sullo stesso piano veri e propri obblighi convenzionali e semplici raccomandazioni. Il tradingin influence rientra nel catalogo delle fattispecie rispetto alle quali la Convenzione dell’ONU di Merida non sancisce un vero dovere di penalizzazione ma solo una sollecitazione a prenderne in considerazione l’adozione. “Shall consider adopting” è

2 Cfr. tra gli altri: V. MONGILLO, La corruzione tra sfera interna e dimensione internazionale. Effetti,potenzialitàelimitidiundirittopenale “multilivello” dallo Stato-nazioneallaglobalizzazione , Esi, Napoli, 2012, pp. 564-567; V. SCALIA, La corruzione: a never ending story. Strumenti di contrastoemodelliditipizzazionenelpanoramacomparatoesovrannazionale , Giappichelli, Torino, 2020, pp. 85-86.

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l’appello rivolto agli Stati contraenti (art. 12), diversamente, ad es., dalla corruzione domestica, che tali Stati “shall adopt” (art. 15). Lo stesso discorso vale per la corruzione passiva di foreign public officials e officials of public international organizations (art. 19, comma 2, Convenzione ONU)3 ».

Ulteriore riprova – per quanto ultronea – dell’(in)sussistenza di un obbligo di incriminazione dell’abuso d’ufficio, derivante dalla Convenzione di Merida, è – dipoi

costituita dalla c.d. “Guidalegislativaperl’attuazionedellaConvenzionecontrola corruzione”4

Documento non di poco conto ai nostri fini, stante la centrale rilevanza di siffatti atti nell’ermeneutica del diritto dei Trattati.

Documento – ancora – d’interpretazione, per così dire, “autentica” della Convenzione, in quanto redatto dalle stesse Nazioni Unite (Ufficio “Drugs and Crime”) allo scopo, come anche suggerisce il titolo, di fornire ausilio ai singoli Stati nell’attuazione della Convenzione.

Ed invero, anche simile atto non manca di registrare la summenzionata distinzione tra reati per i quali sussiste effettivamente un vincolo di incriminazione e reati la cui penalizzazione risulta – al contrario – meramente facoltativa .

Nel testo del documento, in effetti, si legge: «The section on criminalization of theConventionagainstCorruptionisdividedintotwomainparts.Thefirstpartfocuses on mandatory criminalization, that is the offences that State parties must establish as crimes. These include bribery of national public officials, solicitation or acceptance of a bribe by national public officials, bribery of foreign public officials and officials of public international organizations, embezzlement, misappropriation or otherdiversionofpropertybyapublicofficial,launderingofproceedsofcrime, andobstructionofjustice(arts.15,16,para.1,17,23and25).

3 V. MONGILLO, Lalegge“spazzacorrotti”:ultimoapprododeldirittopenaleemergenzialenelcantierepermanentedell’anticorruzione , in Dir.pen. cont., fasc. 5/2019, p. 299. Nello stesso senso, ancora: V. MONGILLO, Iltrafficod’influenzeillecitenell’ordinamentoitaliano:crisievitalitàdiunafattispecie atipicitàimpalpabile , in SP , 2022, p. 5; F. PALAZZO, Corruzione:perunadisciplina“integrata”edefficace, in Dir.pen. proc., fasc. 10/2011, p. 1178; M. ROMANO, Art. 346-bis.Trafficodiinfluenzeillecite, inId., Idelitticontrolapubblicaamministrazione.Idelittideiprivati.Lequalifichesoggettivepubblicistiche.Commentariosistematico(Artt. 336-360 cod. pen.), IV ed., Milano, 2015, p. 161.

4 Legislative guide for the implementation of the United Nations Convention against corruption. Documento redatto in due diverse versioni (2006 – 2012), delle quali sarà indicata, nel proseguo, la rispettiva foliazione.

Ex falso sequitur quodlibet 5
[…]

ThesecondpartofthecriminalizationsectionoutlinestheoffencesthatStates partiesarerequiredtoconsiderestablishingandcoversarticles16,paragraph2,18 to 22and24»5

Ancor – se possibile – più chiaro, lo stesso documento, quando poche pagine oltre e proponendo una schematizzazione delle singole incriminazioni previste dalla Convenzione, si perita, apertis verbis , di distinguere tra: i) obligations to criminalize: mandatory offences; ii) obligations to consider criminalization: non-mandatory offences6

Fors’anche scontato – a questo punto – rilevare che l’abuso d’ufficio sia espressamente ricompreso nella categoria dei reati, per così dire, “non-mandatory”.

B) La Proposta di Direttiva sulla lotta alla corruzione

Sempre a sostegno dell’asserita presenza di vincoli sovranazionali di penalizzazione dell’abuso d’ufficio, si son dipoi evocati, per così dire, “futuribilifantasmi”.

Provocazione intellettuale a parte, vi sarebbe – s’è assicurato – una freschissima Proposta di Direttiva, confezionata di recente dalla Commissione Europea, che obbligherebbe gli Stati membri alla penalizzazione delle condotte di abuso d’ufficio7

Obiezione, anch’essa, il cui superamento non impone – a onor del vero –l’impiego di eccessivo sforzo argomentativo: basti sul punto sottolineare il decisamente stravagante riferimento ad un documento – al momento – non in vigore, la cui adozione risulta – perdipiù – contornata da considerevoli margini d’incertezza. Incerto è, prima di tutto, il “se” la Proposta di direttiva – una, tra le tante – verrà mai ad essere effettivamente adottata; incerti s’attestano gli stessi tempi della –conviene ribadire, del tutto eventuale – adozione8; ma soprattutto incerto è se gli organi dell’Unione, in sede di discussione, non apportino delle sostanziali modificazioni – magari “alribasso”, come pure di consueto accade – al suo contenuto.

5 Pp. 76-77 prima versione; pp. 58-59 seconda versione.

6 Pp 77; 95 prima versione; pp. 59; 76 seconda versione.

7 Proposal for a Directive of the European Parliament and of the Council on combating corruption, replacing Council Framework Decision 2003/568/JHA and the Convention on the fight against corruption involving officials of the European Communities or officials of Member States of the European Union and amending Directive (EU) 2017/1371 of the European Parliament and of the Council, Brussels, 3.5.2023, COM (2023) 234 final, 2023/0135 (COD).

8 Pensiamo, ad esempio, alla ben nota Direttiva PIF del 2017, la cui prima Proposta venne formulata nel 2001, mentre la seconda risale al 2012: ben sedici anni, dunque, tra prima Proposta e adozione definitiva!

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Più che un posticcio ostacolo all’abrogazione, la Proposta di Direttiva – e con ciò tornando solo per un attimo al discorso intrapreso nel precedente paragrafo – costituisce semmai ennesima ed inequivoca riprova di quanto poc’anzi s’è detto a proposito della Convenzione ONU di Merida.

Ed infatti, anche la Proposta del 2023 – perciò, significativamente, proprio uno di quei documenti considerati in sé ostativi all’abrogazione – dimostra l’inesistenza di obblighi di incriminazione per l’abuso d’ufficio derivanti dalla Convenzione di Merida.

La Proposta, in effetti, prendendo – exprofesso – in considerazione le diverse incriminazioni previste dalla Convenzione ONU contro la corruzione, s’esprime nei seguenti termini: «TheUNCACrequiresthatpartiestotheConventiontakelegislative and other measures to establishbribery,misappropriationandmoneylaundering as criminal offences and to considertakinglegislative and other measures to establish certain other acts as criminal offences (abuse of functions, trading in influenceand,subjecttoitsconstitutionandthefundamentalprinciplesofitslegalsystem,illictenrichment)»9 .

Come agevole desumere dalla mera lettura del brano appena riportato, anche dunque la stessa Proposta recepisce plasticamente la distinzione che la Convenzione di Merida delinea e che poc’anzi riferivamo, tra incriminazioni obbligatorie e incriminazioni meramente facoltative , fra le quali – come testualmente riportato – lo stesso abuso d’ufficio.

L’invocazione di obblighi sovranazionali diviene vacuo clamore alla lettura dei testi normativi, metaforico “gladio” gettato sulla bilancia della discussione per sottrarsi al confronto sulle ragioni vere di politica criminale in favore o contro la proposta di abrogazione dell’art. 323 c.p.

9 Il brano è tratto da p. 7 della Proposta. Concetto, peraltro, poco oltre ribadito – p. 22 – anche nei “considerando”: “TheEUisapartytotheUnitedNationsConventionAgainstCorruption(UNCAC), which is the most comprehensive international legal instrument to combat corruption, combining measurestopreventandfightcorruption.ItrequiresthatpartiestotheConventiontakelegislative andothermeasurestoestablishcriminaloffencesforbribery,misappropriationandmoneylaunderingandconsidertakinglegislativeorothermeasurestocriminaliseotheracts(suchasabuseoffunctions,tradingininfluenceandillictenrichment)”.

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3 La sintesi

Invocazione che cela malamente la fondatezza della tesi abrogazionista le cui motivazioni, quindi, restano – a nostro avviso – intatte.

Resta infatti incontestabile la realtà di una fattispecie inidonea a offrire concreta tutela penale al bene giuridico e – di contro – capace di creare inutili e dannosi effetti sia nei confronti dei cittadini che della stessa Pubblica Amministrazione.

Come dire “pericolositàpatologica” e “inefficaciafisiologica” che emergono incontrovertibili dai dati statistici: tanti procedimenti avviati, pochissime condanne. Un rapporto di uno a cento o via di lì che – val la pena rammentare anche a noi stessi

costituisce un bilancio che pone la previsione penale in esame in urto frontale con i principi del diritto penale liberale e della stessa Carta Costituzionale: frammentarietà, extrema ratio , presunzione di innocenza, ecc…

Ancora: s’è più volte rilevata – onde non è necessario dilungarci sul punto – la utilizzazione impropria della norma quale “grimaldello per tutte le porte dell’amministrazione”, “formidabile” quanto “inefficace” strumento di indagine rispetto a non provati quanto indistinti fenomeni di corruzione o – più genericamente

di malaffare10 .

Ebbene proprio il contrasto alla corruzione viene additato ad argomento per il mantenimento della norma; come dire la sua impropria funzionalizzazione ne giustificherebbe – paradossalmente – anziché l’abrogazione, il mantenimento.

D’altro canto non c’è davvero da stupirsi se si pensa che – nella strenua difesa del reato – s’è giunti ad invocare l’argomentumab autoritate della (necessità del reato per la) lotta alla mafia11; così ammettendo e legittimando un suo impiego efficacemente qualificato «a rete a strascico»12 .

Né ci acquieta la “tassativizzazione” che innegabilmente la fattispecie ha avuto con la sua riscrittura del 2020 perché essa non solo non impedisce – e già ve ne sono i segni

denunce e aperture di procedimenti penali destinati a dissolversi, ma lasciando feriti nel loro percorso, ma neanche le interpretazioni giurisprudenziali censurate vigenti le precedenti formulazioni della norma. Tra tutte la più eclatante costituita dall’impropria utilizzazione dell’art. 97 della Costituzione quale “norma di leggeviolata”; interpretazione a cui la recente riforma espressamente intendeva rea-

10 T. PADOVANI, Commento alla l. 16/7/1997-Modificadell’art.323delcodicepenaleinmateria diabusod’ufficio , in Leg.pen., 1997, pp. 741 ss.

11 Così, M. De Lucia; V. STELLA, «Senzaabusod’ufficiomafiepiùlibere»:pmsullebarricate , in Il Dubbio , 31.05.2023.

12 Così, G.D. Caiazza; V. STELLA, «Senzaabusod’ufficiomafiepiùlibere»:pmsullebarricate, in Il Dubbio , 31.05.2023.

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gire e che, invece, la stessa Corte di Cassazione è tornata – in spregio al nuovo testo –a riproporre nel 202113 .

Né si invochi in senso contrario altra giurisprudenza di legittimità che ha prestato ossequio al nuovo testo e ciò perché – in penale – quello che preoccupa e “basta” è l’esistenza – pur se infrequente – di possibili applicazioni di legge improprie e dannose; tantopiù se adottate dalla Suprema Corte cui è affidata la funzione nomofilattica.

Verità vuole che la storia dei vizi dell’art. 323 del codice penale venga da lontano: già nel 1965 fu portato avanti alla Corte Costituzionale e si salvò – per così dire – per il rotto della cuffia. Di poi ogni tentativo di emendarlo – 1990, 1997 ed ora 2020 – in modo da indurre la Magistratura ad un suo corretto impiego è miseramente fallito. Di questo occorre prenderne onestamente atto e trarre le logiche conseguenze senza cedere ai lai di chi paventa inesistenti vuoti di tutela.

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Ex falso sequitur quodlibet
13 Cass. pen., Sez. I, Sent., (ud. 06/12/2021) 18/01/2022, n. 2080.

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