Azione 09 del 1 marzo 2021

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Cooperativa Migros Ticino

Società e Territorio Abbandonare un obiettivo problematico per un altro più raggiungibile può essere benefico in un periodo di incertezza prolungata

Ambiente e Benessere L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 2021 «Anno Internazionale della Frutta e della Verdura»

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXIV 1 marzo 2021

Azione 09 Politica e Economia Gli interessi di Cina e Russia convergono davanti al nemico comune: gli Stati uniti

Cultura e Spettacoli Le maison di alta moda sono sempre più spesso anche innovative fucine creative

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shutterstock

Addio al faro della beat generation

di Federico Rampini pagina 32

Al chilometro 30 di Peter Schiesser «All’inizio della pandemia ci è stato ripetuto che stiamo correndo una maratona, credo che adesso ci troviamo più o meno al chilometro 30». Le parole del virologo e immunologo Volker Thiel, da un’intervista al «Tages Anzeiger», restituiscono una prospettiva temporale alla battaglia che stiamo combattendo contro il virus, in questi ultimi tempi dominati da un diffuso nervosismo. E cosa fate al chilometro 30, quando il corpo duole e sapete che ultimi gli 12 chilometri saranno ancora più duri, vi fermate a lamentarvi o cercate le risorse che la volontà può ancora mobilitare per arrivare al traguardo (poiché non avete scelta: al traguardo dovete arrivare)? Assumere una prospettiva più ampia può aiutare a sfuggire alla confusione generale e allo sconforto. Abbiamo percorso un lungo cammino in questi 12 mesi, per l’equilibrio psichico collettivo non è stato facile accettare che ogni errore compiuto (e ce ne sono stati) risulta fatale a molte persone, tantomeno convivere con l’incertezza, con la malattia, con il lutto, ma come collettività siamo ancora qui e non siamo messi così male, perlomeno meno peggio di tanti Paesi.

Era scontato che, senza nessun allenamento, arrivassimo al chilometro 30 di questa maratona, un anno fa? A marzo, giugno pareva lontanissimo e non immaginavamo, non volevamo immaginare che cosa ci avrebbero riservato l’autunno e l’inverno. Eppure ce la stiamo facendo, giorno dopo giorno. Con una prospettiva non lontanissima: in tutto il mondo e ancor di più in Occidente, l’immunizzazione di gregge, sia per aver superato la malattia sia per le vaccinazioni, procede e la pandemia verosimilmente cesserà quest’anno. Senza dubbio, più l’immunizzazione si allargherà, meno ospedalizzazioni e decessi ci saranno, e più recupereremo le nostre libertà, gli spazi pubblici, il piacere di stare insieme, bar, ristoranti e luoghi della cultura potranno finalmente spegnere la nostra sete. Ma adesso non è il momento di mollare, di cedere allo sconforto per le limitazioni che si protraggono, di creare ulteriori divisioni, di dare del dittatore ad un consigliere federale (come se da solo potesse imporsi sui sei colleghi). Piuttosto è il tempo di riflettere su come affrontare le diverse fasi dell’immunizzazione di gruppo: con il passare dei mesi ci saranno sempre più persone vaccinate o comunque immuni dopo un’infezione, è giusto che queste rimangano sotto-

poste a restrizioni nella vita quotidiana, viceversa fino a che punto è accettabile che si crei una discriminazione fra loro e gli altri? Il passaporto vaccinale diventerà il lasciapassare per la libertà, e chi non ce l’ha peggio per lui? Anche questa sarà una fase delicata per la società, poiché se può essere ancora accettabile che ci sia una discriminazione positiva verso chi accetta di farsi vaccinare, lo è molto meno se subisce conseguenze negative chi non è vaccinato solo perché non ne ha ancora avuta la possibilità. Per intanto il dibattito è agli albori, occorre prima di tutto sapere con (relativa) certezza se i vaccini proteggono anche dal contagio (come sembra indicare quello della Pfizer – ma sarà così anche per gli altri?), tuttavia risposte consistenti si avranno solo fra mesi. Se la risposta sarà negativa, anche i vaccinati resteranno pericolosi per gli altri, quindi sarà difficile immaginare una discriminazione positiva nei loro confronti, ma se la risposta sarà affermativa molto probabilmente le autorità dovranno adattare le misure restrittive a una situazione più differenziata, bilanciando le aspettative di libertà di chi non corre più il rischio di ammalarsi e di contagiare e le frustrazioni di chi non ha ancora potuto oppure non vuole farsi vaccinare. Sarà bene prepararsi in tempo.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 1 marzo 2021 • N. 09

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Società e Territorio Una scuola inclusiva In Ticino nei diversi ordini di scuola si sono create sezioni inclusive che accolgono bambini con bisogni educativi speciali pagine 6-7

Videogiochi Nintendo propone una riedizione di Super Mario 3D World includendo anche Bowser’s Fury: due giochi in uno

Passeggiate svizzere Oliver Scharpf ci accompagna a Rothenbrunnen per scoprire gli affreschi di Hans Ardüser, pittore ambulante dallo stile inconfondibile

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Lasciare il vicolo cieco Psicologia In periodi di incertezza

prolungata come quello che stiamo vivendo, può diventare necessario e benefico un «disimpegno dagli obiettivi» rinunciando a traguardi troppo difficili

Stefania Prandi In periodi di incertezza prolungata come quello che stiamo vivendo, può diventare necessario «aggiustare gli obiettivi» prefissati. Dagli studi di Carsten Wrosch, professore di psicologia alla Concordia University di Montreal, è emerso che perseguire traguardi difficili da raggiungere ha ripercussioni negative sulla salute a causa dell’aumento dei livelli della proteina C-reattiva, collegato a malattie cardiache, diabete e invecchiamento precoce negli adulti. Alle stesse conclusioni è arrivato Gregory Miller, docente di psicologia all’Università della British Columbia, che ha realizzato una serie di ricerche sui benefici derivanti dal «disimpegno dagli obiettivi». Miller ha scoperto che, in molti casi, passare da uno scopo problematico a un altro, più raggiungibile, aumenta il senso di benessere. Non è semplice capire quando fare un passo indietro, sia nella vita personale sia in quella lavorativa. Seth Godin, tra i più celebri pensatori nel panorama dell’economia e del management, spiega che quando ci si trova in un momento di forte difficoltà bisogna domandarsi se si tratta di una situazione temporanea e superabile oppure se è meglio cambiare strada. Non è detto, infatti, che impiegare tutte le proprie energie per farcela, nella direzione che si è intrapresa, sia la scelta migliore. Secondo Godin, che al problema ha dedicato un breve manuale, diventato bestseller, intitolato Il vicolo cieco. Il piccolo libro che vi insegna a comprendere se insistere o rinunciare (Mgmt edizioni), le persone che hanno successo sanno quando è il momento di mollare. Tra le domande da porsi per capire quando si è davvero in un cul-de-sac, è fondamentale chiedersi se il percorso scelto coinvolge i propri punti di forza oppure la capacità di superare la debolezza; in quest’ultimo caso sarebbe logico lasciare perdere. Inoltre, è importante interrogarsi sulla propria strategia per su-

perare l’impasse e valutare se gli sforzi che si stanno facendo valgono la pena. Ci si deve anche chiedere: ho la capacità di resistere per arrivare alla meta? Se il percorso e i vari passaggi sono chiari, ma non si hanno le risorse (ad esempio tempo o denaro) per continuare abbastanza a lungo da raggiungere l’obiettivo, prima si smette prima si potranno reinvestire gli sforzi in attività più fruttuose. Kathleen D. Vohs, professoressa di marketing alla Carlson School of Management dell’Università del Minnesota, autrice di diversi libri tra cui Handbook of Self-Regulation (The Guilford Press), ha studiato il problema in relazione alle persone che sono sempre a dieta. Perdere peso (e non riacquisirlo), sostiene Vohs, è tra gli obiettivi più frustranti in assoluto. Chi impiega energie in qualcosa che provoca una frustrazione costante, ha meno probabilità di riuscire negli altri ambiti della vita. Forse, allora, varrebbe la pena fare un passo indietro e dire: «Cercherò di vivere una vita sana e non mi sforzerò così tanto di dimagrire». A volte l’incapacità di mollare supera il buonsenso. Ori e Rom Brafman, autori del libro Sway: The Irresistible Pull of Irrational Behaviour (Broadway Books), sostengono che «c’è un’enorme quantità di forze sociali e psicologiche che impedisce alle persone di smettere in tempo». A dimostrazione della loro teoria, citano l’esempio fornito da un esperimento di Harvard nel quale è stata analizzata la reazione di diversi gruppi di persone che hanno preso parte all’asta di una banconota da venti dollari. I partecipanti potevano offrire la cifra che ritenevano più opportuna per avere in cambio i venti dollari. La maggior parte si è ritirata quando arrivava a dodici dollari, perché non credeva convenisse andare oltre. Ogni volta, però, restavano sempre due contendenti che continuavano a puntare a oltranza, incapaci di accettare l’idea di perdere. Il risultato è che si è arriva-

Saper «deviare» per tempo per non ritrovarsi in un impasse non è un fallimento, è un modo per sperimentare. (shutterstock)

ti all’offerta record di duecentoquattro dollari per una banconota da venti. Questa tendenza a sentirsi così coinvolti in una situazione – o troppo imbarazzati per ammettere di avere scelto la strada sbagliata – permea tutti gli aspetti della nostra vita. Tra gli obiettivi da abbandonare ci possono essere anche grandi sogni oppure progetti importanti. Secondo Godin, «smettere è come morire. Proteggiamo ciò a cui siamo attaccati troppo a lungo perché non ci sembra sicuro allontanarci». Maria Cristina Bombelli, fondatrice e presidente di Wise Growth, autrice di molti libri e coach per persone e aziende, dice ad «Azione»: «Nella cultura americana l’idea del cambiamento non è così drastica come da noi. Si prova una strada e se non funziona

si cerca altro. In Europa, invece, deviare dal percorso iniziale può diventare quasi un’onta verso se stessi. In realtà, è soltanto sperimentando che ci si rende conto se quello che si sta facendo sta portando da qualche parte. Bisognerebbe ridurre l’idea allo sperimentare e non al fallimento». C’è, in generale, una grande resistenza a lasciare andare una professione, anche se non è soddisfacente, perché nella nostra società è un fattore identitario. Secondo Bombelli, per capire se un cambiamento, motivato dal desiderio oppure da un sogno, è giusto, serve «ancorarlo» alla realtà. Per usare le parole di Herminia Ibarra, esperta di leadership e sviluppo, le possibilità vanno «assaggiate». Occorre intraprendere un percorso per potersi accorgere

se funziona. Il problema è quando si investono troppe energie e aspettative e si persevera, nonostante ci siano evidenti segnali negativi. In ogni caso, per cambiare è sempre necessario valutare la fattibilità: ad esempio, se si ha una passione diversa dal proprio lavoro, prima di lasciarlo bisogna specializzarsi, con corsi ad hoc, e crearsi una rete di nuove relazioni. In questo momento di isolamento, afflitti dalla Covid fatigue, ci sentiamo «congelati». «Eppure – conclude Bombelli – se ci pensiamo bene, potrebbe essere anche una fase per interrogarci sui nostri percorsi e provare a sondare nuove possibilità, magari con i corsi online. In rete c’è il mare magnum, per la formazione personale davvero l’imbarazzo della scelta».


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 1 marzo 2021 • N. 09

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Quegli angeli custodi (digitali) della terza età Anziani L’esperienza dei «tutor di comunità», volontari che aiutano gli anziani che vivono in regioni periferiche

ad approcciarsi alla comunicazione del terzo millennio. Per farli sentire più attivi e meno soli

Mauro Giacometti Appuntamento una volta la settimana, alle pendici della Valle di Muggio, nella casa di Maria, classe 1927, vedova. Un caffè, quattro chiacchiere e poi mano al tablet per spiegare ad una ultranovantenne la comunicazione del terzo millennio. «Maria è una donna curiosa e assolutamente lucida. Interessata all’attualità, ama leggere le notizie sui quotidiani e con internet ha avuto accesso a giornali e notizie che altrimenti avrebbe avuto difficoltà a reperire. Abbiamo curiosato molto nel web, su vari argomenti, e per ogni pagina visitata scaturivano nuove curiosità che portavano poi inevitabilmente ad altre ricerche. Ha pure fatto videochiamate e cercato su internet film d’epoca da rivedere, anche solo spezzoni o scene rimastele care. L’uso delle tecnologie che ha dato maggiori soddisfazioni ad entrambe è stato quello di raccontarsi in brevi filmati “fatti in casa”, attività che ci ha permesso di raccogliere una serie di piccoli video e di ripercorrere con la memoria periodi della sua vita, con dettagli e aneddoti tornati a galla inaspettatamente. E durante queste riprese abbiamo riso tanto…», racconta con entusiasmo Elena Marconi. Lei è una dei tutor della terza età formatasi grazie ai programmi Interreg promossi in Ticino e in Italia da LISS, Laboratorio di Ingegneria dello Sviluppo del professor Dieter Schürch. In una decina d’anni, grazie ai finanziamenti Interreg e cantonali, il professor Schürch e la sua équipe di ricercatori hanno formato una sessantina di volontari che al proprio domicilio o in casa anziani accompagnano i «capelli d’argento» verso la comunicazione digitale, togliendoli da un certo isolamento che con l’andare degli anni si fa sempre più malinconico e pesante. «La parte più importante è il contatto iniziale, superando una certa diffidenza e il naturale riserbo delle persone di una certa età. Poi, quando si entra in confidenza, cosa che non è assolutamente scontata, l’anziano si apre in una maniera così entusiastica e profonda che si potrebbero scrivere dei romanzi sui rispettivi vissuti», sottolinea Giovanni Ambrogini, presidente dell’ATTE della Valle di Muggio e «tutor di comunità». Prima del pensionamento, Ambrogini faceva il ristoratore nel Mendrisiotto, dunque con un approccio già facilitato nei contatti interpersonali. E anche come presidente locale dell’ATTE, l’Associazione ticinese terza età, è continuamente in contatto con gli anziani della valle. Ma attraverso il tutoring, spiega, ha dovuto ripartire praticamente da zero per superare la diffidenza e anche l’ostilità di chi, ultraottantenne, magari vedovo o vedo-

Azione

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Romina Borla, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

La comunicazione digitale può essere un aiuto per chi vive isolato, ma il rapporto con il tutor va ben oltre la tecnologia. (shutterstock)

va da tempo e con figli e nipoti lontani, s’è abituato a vivere da solo, discosto, quasi per non dar fastidio al mondo che lo circonda. «Conosco bene la mia valle e la gente che ci abita, soprattutto nei paesini e nelle frazioni. Ma ugualmente all’inizio ho avuto qualche problema, anche perché io stesso con l’informatica non ho molta dimestichezza. Preferisco il contatto umano, diretto, raccogliendo le storie che queste persone hanno da raccontare. Poi, grazie anche alla formazione del LISS, sono riuscito a mettere a frutto la mia esperienza aggiungendo anche qualche nozione tecnologica nei miei in-

contri con loro. Ma sempre in maniera molto soft per non creare imbarazzo in chi vive nel suo granitico mondo fatto di cose semplici ma autentiche», sottolinea ancora Ambrogini che ha svolto il suo lavoro di tutor sia in casa anziani che a domicilio. Ogni lunedì mattina la signora Iside, 92 anni, si presentava puntale con la sua sedia a rotelle nella postazione informatica al piano terreno della casa anziani di Cevio, dov’era ospite. «Abbiamo cominciato ad insegnarle le informazioni basilari per scrivere e spedire e-mail ad amici e parenti, fare ricerche su internet, giocare a solitario,

Manca però la «patente giuridica» In Ticino ci sono una quarantina di «tutor di comunità», volontari formatisi con contributi europei e cantonali, che hanno acquisito un attestato, ma è un capitale umano e professionale che potrebbe andare disperso, nonostante la pandemia abbia evidenziato come il collegamento digitale, soprattutto per gli anziani, sia stato un toccasana durante i periodi di lockdown. «Il Cantone, tramite il DSS, Dipartimento sanità e socialità, ci ha dato una grossa mano nell’allestire negli anni questa rete di persone che possono mettersi Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

al servizio degli anziani – sottolinea il professor Dieter Schürch, fondatore e direttore del LISS di Ponte Capriasca –. Ora però occorre fare un salto di qualità, dando a questo team una sorta di patente giuridica per operare, una base legale e anche, perché no, un riconoscimento economico per muoversi in un contesto molto delicato come l’assistenza agli anziani. Da tempo e più volte abbiamo sollecitato il DSS a cercare una soluzione per non disperdere questo capitale umano al servizio della terza età», conclude Schürch. Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31

fino alla videochiamata con i parenti che vivono in Italia e California. Era uno spasso vedere quanto entusiasmo ci metteva e come s’impegnava. Purtroppo abbiamo saputo che la signora Iside è mancata qualche mese fa, ma siamo convinti che, con quelle due ore la settimana di chiacchiere, racconti e risate, oltre ad averle insegnato a districarsi con un elaboratore le abbiamo un po’ allietato il suo soggiorno in casa anziani e gli ultimi anni di vita», raccontano Marco Conti, 48 anni, luganese e Germano Mattei, 69 anni, valmaggese. Ora, sempre come volontario, Conti insieme a Elena Marconi si occupano di un altro progetto Interreg, sostenuto da Cantone e Confederazione, che riguarda l’home care, cioè l’installazione di un sistema di sensori che permette di monitorare le abitudini dell’anziano nella propria abitazione e segnalare eventuali situazioni critiche. L’ex granconsigliere di Montagna Viva, Germano Mattei, invece, dopo la sua prima «allieva» Iside ha seguito altri over 80 nella sua valle. «Confesso che all’inizio ero un po’ scettico su questo corso di formazione, ma poi iniziando a frequentarlo ho capito che effettivamente mi poteva dare delle buone basi tecniche ma soprattutto umane per aiutare la mia gente ad evitare l’isolamento. E da lì, prevalentemente in casa anziani, ho cominciato a seguire alcune persone. Ma devo dire che al di

là dell’informatica e della tecnologia, è sempre il rapporto diretto, la conoscenza, la storia e il vissuto dei nostri anziani: li starei ad ascoltare per ore e sono gli elementi più arricchenti di questo lavoro che, sottolineo, è sempre su base volontaria», spiega Mattei. Formati, volontari senza però un riconoscimento giuridico che ne attesti la professionalità e il ruolo di operatori sociali. Entrano in stretto contatto con gli anziani, spesso al proprio domicilio, senza però un «paracadute» legale. «Il loro ruolo è in linea di principio riconosciuto e condiviso da più parti, soprattutto nell’attuale periodo di pandemia. Ma effettivamente manca una base associativa e direi anche legale per poter inserire a tutti gli effetti questi tutor nell’attività di mantenimento a domicilio della nostra utenza, in un contesto programmabile e riconosciuto di attività socialmente utile, fornita a titolo volontario. Ho suggerito ad alcuni di loro di costituirsi in associazione, e stiamo cercando una soluzione praticabile. Al contempo si sta discutendo a livello cantonale e con gli altri servizi di assistenza e cura a domicilio, per capire come poter integrare nella presa a carico domiciliare questa figura di assistenza agli anziani», conferma Gabriele Balestra, direttore dell’Alvad, l’associazione locarnese e valmaggese di assistenza e cura a domicilio, nonché vicepresidente di Spitex Svizzera.

Tiratura 101’262 copie

Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch

Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch

Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 1 marzo 2021 • N. 09

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Idee e acquisti per la settimana

Specialità artigianale ticinese

Attualità La mozzarella nostrana del Caseificio Ticino di Rivera è una bontà fresca e versatile

fatta con latte vaccino 100% ticinese

Azione 21% Mozzarella Nostrana 125 g Fr. 1.80 invece di 2.30 dal 2 all’8.3

Gustata da sola cruda senza nient’altro; come caprese con pomodori, basilico e un filo d’olio; spezzettata su un’insalata di stagione oppure calda e filante su pizza, paste, verdure… la mozzarella è uno dei formaggi freschi più utilizzati in cucina, anche alle nostre latitudini. Gli amanti dei genuini sapori a km zero saranno contenti di sapere che l’assortimento dei Nostrani del Ticino annovera tra le sue specialità una mozzarella realizzata a partire da latte vaccino proveniente rigorosamente dalla nostra regione. A produrla artigianalmente è il Caseificio Ticino di Rivera, azienda fondata cinque anni fa con l’intento primario di valorizzare il pregiato latte ticinese attraverso specialità casearie della tradizione locale e dell’Italia meridionale. Qualità, passione e rispetto

dell’ambiente sono i cardini su cui si fonda l’attività di questa piccola ma dinamica realtà imprenditoriale che in pochi anni ha saputo ritagliarsi uno spazio importante nel settore agroalimentare del nostro territorio. La mozzarella nostrana è prodotta senza l’impiego di conservanti o agenti chimici, ma solo con ingredienti naturali quali latte, sale e caglio. L’assoluta freschezza e gli elevati standard qualitativi del prodotto sono garantiti da una accurata lavorazione artigianale giornaliera del buon latte ticinese che giunge in azienda poche ore dopo la mungitura. Una mozzarella dal gusto di latte fresco, dolce e delicata, che si apprezza al meglio togliendola da frigorifero almeno mezz’ora prima del consumo.

Una delle fasi più delicate della lavorazione della mozzarella nostrana: la filatura manuale.

Pasta fresca dal 1968

Attualità Il Pastificio Di Lella produce per Migros Ticino alcune

paste fresche, tra cui le «Cicche del nonno» agli spinaci

Una mimosa per la festa della donna Attualità L’8 marzo è un’occasione

irrinunciabile per rendere omaggio a tutte le donne. Per esempio regalando loro un grazioso mazzo di fiori

Azione 25% Cicche del Nonno Di Lella 500 g Fr. 3.15 invece di 4.25 dal 2 all’8.3

Da oltre cinquant’anni specializzato nella produzione di pasta fresca, ravioli e gnocchi, il Pastificio Di Lella di Sementina è ancora oggi un’azienda a conduzione famigliare che negli anni ha saputo conquistare i palati di tutta la Svizzera. Uno dei prodotti artigianali d’eccellenza presenti da tempo al reparto refrigerati dei maggiori supermercati Migros – accanto agli gnocchi freschi, gnocchi di riso nostrani e ravioli ai porcini – sono

gli gnocchi di spinaci, conosciuti anche con il nome di «Cicche del nonno». Queste specialità rappresentano una gustosa alternativa ai classici gnocchi di patate e vengono lavorate delicatamente a caldo affinché possano mantenere perfettamente la loro consistenza e sofficità. Amate dai grandi e particolarmente dai più piccoli, le «Cicche del nonno» sono un prodotto 100% naturale, vegano e pronto in soli 2 minuti cuocendolo in

acqua salata bollente. Sono irresistibili anche solo condite con del burro e salvia, un sugo al pomodoro o, per uno sfizio in più, con una crema di formaggio o una salsa al salmone affumicato. Infine, il Pastificio di Lella riserva un occhio di riguardo anche all’ambiente e alla sostenibilità: gli gnocchi sono disponibili nelle nuove vaschette eco-sostenibili realizzate con il 90% di cartone riciclato e il 70% di plastica in meno.

Regalare un ramoscello di mimosa alle donne per la ricorrenza annuale a loro dedicata significa esprimere affetto, rispetto e ammirazione per la grande forza femminile. Per questo già gli indiani d’America usavano regalare questo bellissimo e profumatissimo fiore giallo alle loro compagne per dichiarare il proprio amore. Anche se apparentemente potrebbe sembrare un fiore fragile, in realtà la pianta è molto forte e resistente e in grado di crescere in condizioni climatiche anche difficili. Insomma, proprio come le donne!

Una delle maggiori regioni dedite alla produzione della mimosa è la Liguria, in particolar modo il territorio occidentale della provincia di Imperia, conosciuto in tutto il mondo anche come la «Riviera dei Fiori», dove la pianta viene coltivata in modo ecocompatibile sui caratteristici terrazzamenti. Ed è proprio da qui che arrivano le rigogliose mimose che potrete trovare in vendita in tutti i reparti fiori Migros a partire da sabato 6 marzo. Oltre a queste, sono pure disponibili dei bouquet con rose-mimose e gerbera-mimose.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 1 marzo 2021 • N. 09

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Idee e acquisti per la settimana

La farina Manitoba

Novità Una farina per uso domestico ideale per la preparazione di prodotti a lunga lievitazione

Mascherine FFP2

Focaccia con pomodorini Ingredienti: 500 g di farina Manitoba due cucchiai di olio di oliva 10 g di sale un cucchiaio di zucchero una bustina di lievito di birra ca. 300 ml di acqua Farcitura: pomodorini origano sale

La farina di grano tenero tipo «0» Manitoba è un prodotto ottenuto dalla macinazione di grani selezionati speciali di forza. Questa caratteristica permette alla farina di avere un alto tenore di proteine e un elevato assorbimento di acqua, in grado di supportare lunghi tempi di lievitazione dell’impasto variabili in funzione della temperatura dell’ambiente e della quantità di lievito impiegato. Di conseguenza, è una farina particolarmente indicata per la preparazione di pasta, prodotti da forno lievitati come croissant, krapfen, pan-

frutti, plumcake, pizze e focacce soffici e pani a lievitazione naturale. Utilizzata da sola o miscelata con altre farine, la farina Manitoba aumenta l’assorbimento, incrementa la resa, aumenta i tempi di lavorazione e in particolare di lievitazione, permette di ottenere un risultato dalle caratteristiche sensoriali superiori, conferisce maggiore fragranza al prodotto e consente di supportare farciture più pesanti. La farina Manitoba è un prodotto dell’azienda piemontese Il Molino Chiavazza, uno dei principali produttori italiani di farine.

Farina Tipo «0» Manitoba «Il Molino Chiavazza» 1 kg Fr. 2.60 In vendita nelle maggiori filiali Migros

Mascherine FFP2 10 pezzi Fr. 15.90 20 pezzi Fr. 25.90

Preparazione Lavorare gli ingredienti base in una ciotola aggiungendo l’acqua un po’ alla volta. Impastare fino a ottenere un impasto morbido. Lasciare lievitare per ca. 2 ore coperto con un panno. Stendere l’impasto su un piano infarinato ripiegando la pasta alcune volte su sé stessa. Lasciare riposare nuovamente per mezz’ora coperto con una pellicola. Stendere l’impasto su una teglia unta d’olio. Sistemare sulla focaccia i pomodorini tagliati a metà. Condire la superficie con un’emulsione di olio e acqua, aggiungere l’origano e il sale. Lasciare lievitare mezz’ora. Cuocere in forno preriscaldato a 200°C per circa 20 minuti sino a doratura.

Nelle maggiori filiali Migros sono disponibili mascherine FFP2 di elevata qualità nelle confezioni da 10 e 20 pezzi. Questi dispositivi con filtro offrono la migliore protezione contro particelle solide e liquide come virus, batteri, aerosol, nonché polveri e fumo. Sono certificate secondo la norma europea EN 149. Sono confortevoli da indossare grazie al morbido tessuto e alla barretta stringinaso regolabile. I laccetti in elastan assicurano una perfetta aderenza al viso evitando la formazione di punti di pressione. La mascherina è un dispositivo monouso e deve essere regolarmente sostituita. annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 1 marzo 2021 • N. 09

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Società e Territorio

Includere la diversità

Scuola In Ticino in 10 anni si sono aperte dieci sezioni inclusive nella scuole dell’infanzia, nove di elementari e due

di medie: è l’inizio di un processo che per ora coinvolge solo poche decine di bambini con bisogni educativi speciali

Fabio Dozio «Nostro figlio ha quasi 7 anni e sta finendo la scuola dell’infanzia. Abbiamo cercato di offrirgli sempre delle esperienze di inclusione sia da un punto di vista educativo che sociale, senza limitarlo a priori e dandogli supporto quando si scontra con le sue difficoltà. Dalla scuola del nostro comune abbiamo sentito da subito una grande apertura e accoglienza: durante il nostro primo incontro con il Direttore era evidente che per lui nostro figlio era un piccolo cittadino come gli altri e aveva diritto a frequentare la scuola del comune come tutti. Giustamente, e trovandoci completamente d’accordo, ci ha detto però che l’inclusione andava progettata con cura e con un certo anticipo. Questa ricerca di qualità e questa trasparenza hanno caratterizzato tutto il percorso di nostro figlio alla scuola dell’infanzia, non è stato sempre facile e non siamo stati sempre tutti d’accordo, ma credo che le parti coinvolte (direzione, ispettorato, ufficio del sostegno pedagogico, docenti, OPI, terapisti e noi genitori) si siano impegnate a dialogare e a progettare insieme. Il risultato è stato un’esperienza di inclusione molto positiva e il nostro desiderio è che possa continuare». È la signora Monica Induni-Pianezzi che racconta la sua esperienza di madre di un bambino con la sindrome di Down. Fino a una decina di anni fa, il Ticino ha sviluppato le scuole speciali, per offrire ai bambini disabili strutture

adeguate alla loro educazione. Ora si sta puntando sull’inclusione, ma siamo agli inizi e il cammino è ancora lungo. Il paradigma, introdotto dall’UNESCO, fin dal 1994, è questo: non è il bambino che ha bisogno di educazione speciale che deve adattarsi alla scuola, ma la scuola che deve essere ospitale nei confronti delle differenze delle persone. La legge ticinese del 2012 sancisce che «il diritto all’educazione e alla formazione dei bambini e dei giovani che presentano bisogni educativi particolari debba privilegiare e sostenere l’integrazione degli stessi nella scuola regolare e nel mondo del lavoro». «Nelle leggi e nei regolamenti della scuola – ci spiega Monica Induni – è espressa la possibilità di offrire le misure di pedagogia speciale sia all’interno delle classi speciali che all’interno della scuola regolare. Per capire qual è il percorso più adatto a ogni bambino, va valutata ogni situazione nella sua complessità. Oggi la comunità educativa chiede che i bambini con disabilità non siano visti come bisognosi di “cura e assistenza”, ma che si possa dare loro uno spazio di “crescita ed educazione”. La scuola inclusiva è sicuramente un modo molto efficace per acquisire e allenare una serie di importanti abilità, utili sia al bambino di oggi che all’adulto di domani». Monica Induni dirige l’associazione Avventuno, (https://www.avventuno.org) che sostiene le famiglie di persone con Trisomia 21. «Da qualche mese – ci dice – abbiamo assunto una maestra che faccia da ponte tra scuola e

La scuola inclusiva può essere un fattore positivo e uno stimolo per le competenze di tutti gli allievi. (shutterstock)

famiglia: conoscendo bene le specificità della sindrome, il mondo della scuola e le nostre famiglie, è disponibile a dare supporto a tutte le parti coinvolte». La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2006, sottoscritta dalla Svizzera solo nel 2014, precisa che «gli Stati parte devono assicurare che le persone con disabilità ricevano il sostegno necessario, all’interno del sistema educativo generale» e che devono essere prese «misure efficaci e appropriate per giungere alla piena inclusione e partecipazione in tutti gli ambiti della vita». Per Inclusion Handicap,

l’associazione mantello delle organizzazioni svizzere di persone disabili, i risultati elvetici sono deludenti: «Una società inclusiva in cui le persone con disabilità possano autodeterminarsi in tutti gli ambiti di vita, sembra ancora lontana». In Ticino negli ultimi dieci anni si sono aperte dieci sezioni inclusive di scuola dell’infanzia, nove di scuola elementare e due di scuola media, in una quindicina di comuni. Le classi inclusive, che offrono un docente specializzato accanto al docente titolare, coinvolgono poche decine di bambini con bisogni educativi speciali, mentre

quasi 500 allievi frequentano le scuole speciali. Quanti anni ci vorranno per realizzare l’inclusione? Una famiglia con un figlio che necessita di un’educazione speciale, nella maggioranza dei comuni ticinesi, si trova in difficoltà. Se non c’è la disponibilità dei docenti e delle direzioni, non può frequentare la scuola regolare, e la scuola speciale è, in molti casi, fuori dal comune di residenza, così come le poche classi inclusive. Ha senso cambiare comune se non c’è disponibilità in quello del proprio domicilio? «La frequenza in una classe inclusiva, – spiega Mattia Mengoni, annuncio pubblicitario


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 1 marzo 2021 • N. 09

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Società e Territorio Anche molti esperti intervenuti in questi anni sul tema dell’inclusione finiscono per sottolineare l’importanza del docente e delle direzioni, non sempre disponibili ad adeguarsi alla scuola inclusiva. «Non ritengo – sostiene Mengoni – che si possa affermare che i docenti non siano pronti a un sistema scolastico inclusivo o che vi sia una resistenza generalizzata a questo approccio. Un sistema scolastico inclusivo e accessibile nasce e si alimenta nelle classi ordinarie e nei diversi istituti scolastici e non deve essere una misura calata dall’alto; il clima di istituto, la visione dei direttori, l’apporto dei docenti sono fondamentali. Il cambiamento di paradigma che stiamo affrontando è relativamente recente ed è quindi necessario del tempo affinché tutti gli attori coinvolti possano condividerne i principi e l’attuazione. Lavorando in maniera congiunta dalla formazione di base, alle pratiche quotidiane, alla formazione continua possiamo raggiungere questo cambiamento. È un percorso e stiamo andando nella giusta direzione, dobbiamo partire dalle esperienze positive per favorirne delle nuove e passare quindi dai progetti alla pratica». Lei come vede il futuro: la scuola può diventare tutta inclusiva riducendo al minimo le scuole speciali? «Mi immagino una scuola unica per tutti, sorretta da un sistema scolastico che sappia erogare le giuste attenzioni in funzione dei bisogni di tutti gli alunni in un contesto il più ordinario possibile che favorisca l’accessibilità e non precluda al suo interno delle misure, anche importanti, a chi le necessita», conclude Mattia Mengoni, responsabile della pedagogia speciale. Da ultimo, ma non meno importante, va sottolineato che la scuola inclusiva, che apre a tutte le diversità, può rappresentare un fattore positivo, uno stimolo per le competenze, anche per gli allievi delle classi regolari.

Due giochi in uno

Videogiochi Avventure vecchie e nuove su Nintendo Switch

Davide Canavesi Per il mondo dei videogiochi, il momento di inizio anno è solitamente piuttosto povero di novità, dopo la scorpacciata di uscite nel periodo natalizio. Nintendo, dal canto suo, non disdegna i primi mesi dell’anno per lanciare alcune delle sue «novità». Allora ecco che la casa nipponica apre le danze nel 2021 con Super Mario 3D World + Bowser’s Fury, conversione di un gioco uscito sulla sfortunata Wii U nel 2013, che si fa il lifting per l’ibrida Nintendo Switch. Super Mario 3D World è la più classica delle avventure di Super Mario: una miriade di livelli ispirati ai classici del passato in cui il giocatore dovrà raccogliere monete d’oro e liberare prigionieri per salvare il mondo. L’avventura si apre con il consueto dramma: Bowser e scagnozzi hanno catturato il popolo delle fatine per rinchiuderle in ampolle. Nei panni di Mario, Luigi e compari i giocatori dovranno visitare diversi mondi tematici per salvarle. È possibile giocare sia da soli che in compagnia, entrando nella partita in qualsiasi momento, sia in locale che via internet. Funghetti, monete, power up e l’onnipresente costume da gatto, praticamente il tema centrale di quest’avventura, ci aspettano. I livelli sono moltissimi e divertenti da esplorare, zeppi di segreti e quasi sempre in grado di strappare un sorriso al giocatore. Eppure, questo Super Mario 3D World non è tradizionale al 100%, specialmente per quanto riguarda il modo di giocare. Il sistema di controllo non è puramente analogico ma distinto in otto direzioni ben precise. Questa scelta,

unita al fatto che il gioco proponga una prospettiva sostanzialmente isometrica (ovvero un level design tridimensionale che mantiene le proporzioni degli oggetti lungo tutti i tre assi dello spazio, senza però un punto di fuga), rendono l’attraversamento dei livelli un po’ più accessibile per i più piccoli. Tuttavia, rispetto all’avventura originale del 2013, i personaggi si muovono più rapidamente sullo schermo: un’aggiustatina apportata da Nintendo che era stata criticata dai fan proprio per la relativa lentezza di Mario e compagni. Facilitare il gioco sembra essere stato il mantra degli studios giapponesi dietro questa produzione. Il costume da gatto di Mario permette sia la difesa che balzi felini e la gestione dei poteri speciali fa sì che possiamo sempre tenere qualche oggetto per i momenti più critici, anche tra un livello e l’altro. Nintendo dimostra comunque di avere ben compreso che non è sufficiente riproporre un gioco del passato senza alcuna aggiunta per far felici i propri fan.

© 2021 nintendo

responsabile al DECS della pedagogia speciale – è una misura di pedagogia specializzata. Se questa misura risulta essere quella più indicata alle necessità dell’alunno, in fase di definizione delle classi si valuta la possibilità, con i comuni, gli ispettorati e le direzioni, di aprire una sezione inclusiva nell’Istituto scolastico del domicilio dell’alunno. Se questo non è possibile per una questione organizzativa, si propone alla famiglia il cambio di comune o un’eventuale ridefinizione del progetto dell’allievo. La necessità di cambiare comune è da una parte un problema poiché non permette agli alunni di frequentare la scuola nel loro contesto sociale, ma d’altra parte favorisce l’erogazione di una prestazione mirata. Stiamo lavorando con tutte le parti coinvolte affinché le misure di pedagogia speciale possano essere erogate sempre di più negli Istituti di domicilio degli alunni che ne beneficiano, purtroppo però la massa critica di alunni coinvolti e la situazione geografica del cantone non sempre rendono semplice questo esercizio». Monica Induni ha uno sguardo positivo: «Oggi mi sembra che tante sedi si stiano mostrando aperte all’inclusione, – afferma – soprattutto alla scuola dell’infanzia, purché questa venga progettata con attenzione. È necessario estendere il nostro sguardo dal bambino al contesto: costruire una cultura inclusiva che coinvolge tutta la società richiede tempo. Docenti e direttori possono avere differenti approcci alla professione, risultanti dal loro carattere, dalle loro esperienze, dalle loro idee. Sicuramente c’è chi è più predisposto a vivere un’esperienza nuova come l’inclusione di un bambino con disabilità e c’è chi invece potrebbe avere più timori o dei preconcetti difficili da cambiare. Man mano che le inclusioni aumentano, la mia speranza è che chi oggi si mostra restio possa essere rassicurato e invogliato da chi si è già messo in gioco».

Per questo motivo, con la riedizione è stata inclusa una nuova campagna inedita chiamata Bowser’s Fury. Una sorta di gioco nel gioco, visto che ci sono alcune sostanziali differenze rispetto all’avventura di base. In questa nuova storia dovremo aiutare Bowser Jr, figlio del cattivone principale della saga, a salvare un Bowser sfuggito ad ogni controllo. La nuova ambientazione, Lagogatto, è un’ampia zona open world, divisa in cinque settori, in cui il giocatore dovrà cercare i soligatto, speciali artefatti magici col potere di calmare l’impazzito Bowser. La caccia ai soligatto non sarà semplice. Detto questo, Bowser’s Fury si discosta in modo piuttosto traumatico dal gioco di base: una visuale 3D classica, atmosfere più cupe e una spruzzata di musica heavy metal lo rendono quasi un gioco a sé stante. Fortunatamente, durante la partita potremo richiedere l’aiuto di Bowser Jr oppure chiedere a un secondo giocatore di controllarlo direttamente. Ancora una volta, gli sviluppatori hanno voluto assicurarsi che il titolo sia compatibile anche con l’abilità dei più giovani. Super Mario 3D World + Bowser’s Fury sono due giochi in uno, piuttosto diversi tra loro. Pur essendo una riedizione di un titolo vecchio presenta contenuti inediti, una proposta che non viene sempre messa sul tavolo in questo tipo di produzione. Il gioco non arriva forse al picco d’eccellenza rappresentato da Mario Galaxy, eppure rimane godibile, un’esperienza che, a prescindere dal vostro grado di abilità, consigliamo di fare in compagnia, per qualche ora di spensierato divertimento felino. annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 1 marzo 2021 • N. 09

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Società e Territorio rubriche

Approdi e derive di lina bertola Differenze di genere e umanità comune Febbraio 1971: cinquant’anni fa le donne svizzere hanno finalmente ottenuto il diritto di voto. Un anniversario importante in cui è custodito un volto molto significativo della nostra storia. Una storia tuttavia piena di ombre, che racconta anche di resistenze, pregiudizi e ritardi vergognosi, cui forse non si addice il tono celebrativo con cui, in diverse occasioni, si è parlato e scritto di questi troppo brevi anni. A volte ho percepito un’enfasi esagerata e inopportuna, da ricondurre in parte alle forme di comunicazione spettacolari che oggi dominano la scena pubblica ma pure a qualche intenzione elettorale, perché è sempre buona cosa esibire interesse per la questione femminile. Non sono mancati tuttavia approfondimenti e riflessioni ben documentati di uomini e donne che hanno avuto il merito di portare a conoscenza, soprattutto delle nuove generazioni, segmenti importanti del nostro passato. Riflessioni importanti che proseguono,

oggi, su quella che continua ad essere la più inaccettabile realtà, ovvero la disparità salariale. Certo, i pregiudizi culturali nei confronti delle donne non vanno sottovalutati, ma questa inaccettabile disparità pesca in modo più ampio e più in profondità nel retroterra storico. E racconta anche di troppe disarmonie di società dal respiro corto, incapaci di riconoscere le proprie potenzialità, incapaci di interrogarsi e di trasformare le presunte debolezze del sistema in grandi ricchezze. A cominciare dalla maternità come esperienza esistenziale che può nutrire la convivenza in tutti i suoi aspetti e non solo in una dimensione privata e domestica. Queste disarmonie sociali, e la mancanza di sensibilità che le rende tuttora possibili, toccano anche altre categorie fragili, come lo sono, ad esempio, i giovani, spesso molto ben preparati ma che non possono esibire l’esperienza richiesta nei concorsi. O come i lavoratori

«anziani» che, nonostante l’esperienza, nella crisi occupazionale spesso vengono tagliati fuori dal mercato. Questi aspetti strutturali, che condizionano ancora profondamente l’organizzazione delle nostre società, suggeriscono che forse la chiave di lettura delle ingiustizie salariali nei confronti delle donne non può essere solo la cosiddetta questione di genere. A questo punto, sarebbe addirittura auspicabile andare oltre la questione di genere che spesso si esprime attraverso stereotipi in qualche modo retrogradi. Quando sento parlare, e accade spesso soprattutto in ambito politico, di sensibilità femminile, di un modo tutto femminile di vedere e di affrontare i problemi, rimango assai perplessa. Basterebbe mettere a confronto due protagoniste della storia recente, Margaret Thatcher, l’uomo politico in tailleur e cappellino, e Vandana Shiva, la scienziata che, abbracciando le piante, ci invita a comprendere la natura e in essa la nostra

umanità. Due donne, due mondi, a suggerirci come anche la cosiddetta sensibilità femminile possa esprimersi in varie forme oppure rimanere silenziosa e, soprattutto, come non si lasci mai imprigionare nella rappresentazione simbolica della donna in quanto donna. Ed ecco allora la domanda: siamo ancora vittime di stereotipi, di inopportune gabbie identitarie? Pensiamo ad esempio al mantra delle cosiddette quote rosa. Può essere imbarazzante, o addirittura mortificante per una donna nutrire anche il solo sospetto di essere scelta non tanto per la sua bravura quanto piuttosto, e mi si perdoni l’espressione forte, per la sua appartenenza ad una specie in qualche modo protetta. Anche Elisabeth Badinter mette in evidenza i limiti dell’approccio di genere. Secondo la filosofa, ciò che unisce uomini e donne è molto più importante e significativo di ciò che li distingue. Certamente esiste una differenza bio-

logica, per cui il genere non può essere considerato una costruzione soltanto culturale. Tuttavia la differenza ancorata nella biologia dev’essere modulata sul concetto fondamentale di «umanità comune». Oggi viviamo in un clima piuttosto ostile a questa visione universalistica della natura umana che affonda le sue radici nei valori illuministici e nell’idea di una comune appartenenza di tutti all’umanità. Oggi sembrano prevalere visioni in cui si sottolineano le differenze tra culture e la Badinter a ragione associa questo clima alle questioni di genere: «se continuiamo a sottolineare le differenze tra i sessi, così come ci rinchiudiamo nelle nostre comunità a scapito delle nostre somiglianze, allora è la guerra». Forse ciò che abbiamo chiamato sensibilità femminile è davvero una risorsa della nostra umanità di uomini e donne; una risorsa non ancora pienamente riconosciuta e perciò in buona parte inespressa.

corsetta passa via, un tossico di paese mi chiede una sigaretta. In groppa, l’elefante rosa di Rothenbrunnen (623 m) porta una specie di pavillon stile belvedere-gloriette, dove fuoriesce la tromba di un personaggio invisibile. A sinistra, in un riquadro impallidito, si vedono quindici mele di cui una, colta da Eva. Più su altre scene bibliche come l’ultima cena, Giona e la balena, ma non mi sembra certo la mano di Ardüser che sotto la lunga coda capricciosa del drago, in un cartiglio, data i suoi dipinti: 1584. Proprio lì a fianco, a pochi centimetri di distanza dall’elefante rosa ciclamino che si crede un tricheco e si dà quasi arie da mammut, possiamo ammirare ora, ancora meglio di prima perché è cresciuta un po’ d’ombra, tutta la «visione mitico-burlesca del mondo» come la cristallizza Nicolas Bouvier in L’art populaire en Suisse (1991). Un dragone nella classica posa remissiva a pancia in su, sul quale a cavalcioni, con tocco naïf, c’è un mercenario dai pantaloni alla zuava e barba rossa che rimpiazza il solito San Giorgio dell’iconografia tradizionale. Mescola le carte,

per meravigliare, il nostro Mastro Ardüser. Dentro una casa patrizia di Andeer, per esempio, uno struzzo – che sembra un giocattolo tipo cavallo a dondolo – della taglia di una giraffa è al guinzaglio di un buffo signore piccoletto. E a rimettersi in viaggio, tra un’oretta, sulla facciata di una casa a Filisur troveremo un cammello ridimensionato alla stessa grandezza di un uccello di fantasia. Ma non corriamo troppo, qui l’immaginazione di Ardüser è ancora da esplorare passo per passo. A guardare con attenzione, il cappello si scopre essere quello di uno spazzacamino, il volto forse è il suo che guarda i passanti. E soprattutto, almeno per me, la testa del drago, infilzato dalla lancia nella gola, è quella di un orso con il naso come Pluto. Il corpo gigantesco del drago-orso è cosparso di squame e in certi tratti assume il rossiccio delle triglie. Il finale della coda attorcigliata è un colpo di tacco dello spirito. A un certo punto dei suoi ghirigori, avvolta nella luce tardo-mattinale verso la fine di febbraio, la coda si intreccia in un magnifico bretzel.

le dice: «Prenderei volentieri un caffè», scambiandola per le segreteria di turno. Facciamo un altro esempio, questa volta però relativo a un algoritmo. Nell’ottobre del 2018 Amazon interrompe i suoi test per la selezione del personale. Parliamo di test dunque non di un vero processo di selezione. Il fatto è che viene interrotto perché Amazon e l’algoritmo utilizzato vengono accusati di sessismo e discriminazione contro le donne. L’algoritmo è stato addestrato sulle selezioni dell’ultimo decennio che erano state in prevalenza maschili. Risultato: l’algoritmo ha sviluppato un bias che lo induce a sottostimare i profili femminili. Non è difficile a questo punto dubitare delle potenzialità tecnologiche e della loro bontà. Proprio per questo vale la pena sentire il pensiero di Aurélie Jean perché ci aiuta a mettere le cose in prospettiva, a non perdere senso e proporzioni della realtà. Per

prima cosa ci dice che i bias esisteranno sempre così come i nostri pregiudizi cognitivi. Cancellarli e uniformare le nostre percezioni non è possibile, l’obiettività assoluta non esiste. Pretendere di combatterli a tutti i costi equivale a combattere un automatismo naturale dell’essere umano in nome della purezza intellettuale ed emotiva. Certo ci sono alcuni pregiudizi collettivi che devono cadere, perché ci impediscono di avanzare e di far progredire la civiltà come quelli sulle presunte difficoltà delle ragazze in matematica. Per il resto la sfida consiste nel maturare una certa consapevolezza dei nostri bias ed evitare che si convertano in pregiudizi algoritmici. Tutto sta nella misura, nella consapevolezza che abbiamo delle nostre reazioni e delle lezioni da trarre dalle esperienze che possono generare discriminazioni tecnologiche, e quindi sociali o razziali.

Passeggiate svizzere di oliver scharpf L’elefante rosa e il drago-orso di Rothenbrunnen La prima cosa, appena arrivato a Rothenbrunnen in tarda mattinata, è mettere le mani a coppa per raccogliere l’acqua della fontana che dà il nome al luogo. Toponimo (che mi ricorda un po’ Acquarossa) partorito dal rosso ruggine-sangue lasciato qui, un secolo dopo l’altro, dall’acqua curativa sulla pietra scavata dentro la fontana. Una fontana rossa, sulla sponda destra del Reno posteriore che scorre lento in mezzo alla vallata pianeggiante – tagliata al contempo dalla nauseante autostrada atredici – nota come Domleschg. Dalla quale sgorga, a metà strada circa tra Thusis e Bonaduz, l’acqua minerale ferruginosa che bevo ora a sorsate. Sotto la roccia, a precipizio, che domina e ripara questo paesino di trecentoquattro anime. Con una clinica psichiatrica, un ex kurhaus, in funzione dal 1888 al 1922 la cui sorgente è menzionata già due secoli prima dal medico e naturalista Johann Jakob Scheuchzer, un impianto di piscicoltura all’avanguardia. Più due rovine di fortezze, conosciute come Hochjuvalt e Innerjuvalt, che vigilano lassù, a strapiombo. E sulla facciata di una casa

cinquecentesca, gli affreschi di Hans Ardüser (1557-1618 ?): pittore ambulante dallo stile inconfondibile per il quale mi sono messo in cammino stamattina. Due minuti neanche, camminando a passo distratto sulla Dorfstrasse, ed ecco casa Tscharner, risalente al 1546. In pieno sole, alle undici in punto, scandite dal rintocco delle campane della chiesetta riformata non lontana, sulla facciata ondulata color crema, appaiono un elefante rosa scuro con in groppa qualcosa e un curioso San Giorgio e il drago. Maestro di scuola nato a Davos e morto a Thusis, lettore vorace, appassionato di catastrofi naturali e cronaca nera, instancabile camminatore, amante della cucina, forte bevitore, la figura pantagruelica di Ardüser l’ho incontrata tra le pagine del secondo volume di Svizzera insolita (1970). «Giubila con il pennello, cambia d’idea, di scala, mischia a personaggi mitologici e a personaggi cristiani la gente di casa, aggiunge fiori e animali impossibili: un elefante con la proboscide ritorta come la colonna di un altare barocco, un dragone con la coda attorcigliata, un

San Giorgio in tenuta da mercenario svizzero, uccelli e alberi esotici di sua invenzione» scrive Louis Gaulis. Ginevrino nato a Londra e morto a Tiro, in Libano, durante una missione per la Croce Rossa, Louis Gaulis (1932-1978), autore di teatro e attore, coglie in pieno il talento inimitabile di Mastro Hans Ardüser. Tre dei soggetti citati che lo hanno colpito, li ritroviamo proprio qui, sotto le finestre al primo piano. Cerco la posizione giusta, l’angolatura migliore, visto il sole, per scrutare come si deve l’elefante difforme che si comporta come un tricheco. Per atteggiamento e postura, mentre le zanne sono identiche. Solo all’incontrario, vale a dire nella direzione da elefante, all’insù, ma improbabili visto che partono verticali dalla bocca diventando così dei canini inferiori sproporzionati. Tra le zanne, passa la proboscide, intrecciata come una colonna tortile e spunta una lingua bluastra da mostro. Le orecchie sembrano quelle abbassate di un coniglio. Zaffate distensive di letame provengono dalla fattoria accanto, una in tenuta rosa fucsia da

La società connessa di natascha Fioretti Bias, se li conosci li eviti Non so voi ma quando leggo la parola inglese bias il significato non si palesa chiaramente nella mia testa. Devo riflettere sul contesto nel quale compare. Tra i tanti esempi che Aurélie Jean fa nel suo libro uno mi sembra davvero semplice e intuitivo per spiegare questa parola che in italiano si traduce con pregiudizio. Cosa c’entrano i pregiudizi con gli algoritmi, vi chiederete. Parecchio. Intanto c’è un filo diretto che lega i nostri pregiudizi nei comportamenti sociali ai bias algoritmici. Alcuni sono da ricondurre alla nostra cultura e al nostro ambiente, altri si formano nel corso delle nostre esperienze. Segnatevi questo «I bias algoritmici derivano da questi bias cognitivi». Li ritroviamo dunque negli algoritmi e nei modelli, nei dati utilizzati per addestrare gli algoritmi nel campo dell’apprendimento automatico. Comprendere il passaggio dai nostri bias ai bias algoritmici, ci

dice l’autrice, è essenziale per sviluppare uno sguardo critico sulle tecnologie che ci circondano. Per chi si fosse sintonizzato qui soltanto oggi e si fosse perso le due puntate precedenti, diciamo che il libro in questione è uscito per Neri Pozza, si intitola Nei paesi degli algoritmi. Allora, ci sono un gruppo di ricercatori riuniti al Massachussetts Institute of Technology e un fattorino delle pizze. Il gruppo di ricercatori si è riunito per presentare un progetto di ricerca per il calcolo della propagazione delle fessurazioni fino al cedimento di strutture o materiali, dalla scala atomica a quella metrica. Non focalizziamoci sulle cose difficili! Come in tutte le riunioni di questo mondo arriva l’ora del pranzo e il menù prevede pizze per tutti. Aurélie si gusta la sua mentre chiacchiera di calcolo atomistico con il professor Markus Buehler. Ad un tratto entra in sala un ometto dai tratti

messicani vestito con jeans, scarpe da tennis, felpa e cappuccio. Non il dress code da riunioni professionali insomma. Lei lo scambia per il fattorino delle pizze. In quel momento sente dire al collega: «Eccolo, il luminare del dipartimento di informatica del MIT!». Lei, da sempre contraria a qualsiasi forma di discriminazione, impegnata nella lotta agli stereotipi, proprio lei è caduta in questo pregiudizio, in questo bias cognitivo. È qui, in questa dinamica, che entrano in gioco molte delle questioni etiche legate agli algoritmi. I nostri bias cognitivi, e tutti ne abbiamo, si trasferiscono da noi agli algoritmi. Possono dipendere da diversi fattori: estrazione sociale, formazione, esperienze vissute, statistiche o nostre percezioni. Altro esempio. Sempre al MIT la nostra autrice entra in una sala riunioni per unirsi alla discussione e, come la vede, un professore di un’università straniera


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 1 marzo 2021 • N. 09

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Ambiente e Benessere La Ruta Cortés Nel 2021 si commemora il 500° della caduta di Tenochtitlán e dell’impero azteco pagina 13

Anche la cucina si rifà alle mode Uno dei modelli di gusto che più si è affermato oggigiorno nella cucina di tutto il mondo è quello dell’Asia Orientale

La signora degli anelli La nuova Audi e-tron GT è un perfetto capolavoro della mobilità elettrica

Virus zoonotici ONU: «l’allevamento intensivo fra i fattori di rischio per l’insorgenza delle pandemie»

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pagina 17 Mercato di Rialto, Venezia. (marco martucci)

Il 2021, anno di frutta e verdura

ONU Istituite anche due giornate internazionali: quella per la «Consapevolezza sulle perdite e gli sprechi alimentari»

e quella dedicata al tè

Marco Martucci Vi piacciono frutta e verdura? Oppure non fate follie per lattuga, carote o mele? In ogni caso, quest’anno offre una preziosa occasione per avvicinarsi a un mondo vastissimo e per molti versi poco conosciuto. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 2021 «Anno Internazionale della Frutta e della Verdura» (AIFV), «International Year of Fruits and Vegetables» (IYFV) con una risoluzione che inoltre fissa al 29 settembre di ogni anno la Giornata Internazionale di Consapevolezza sulle Perdite e gli Sprechi Alimentari e al 21 maggio la Giornata Internazionale del Tè. La coordinazione di tutte le attività durante l’AIFV è affidata alla FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura. Con il motto «Frutta e verdura, alimenti essenziali della tua dieta», l’AIFV ne vuole sottolineare l’importanza per l’alimentazione umana, la sicurezza alimentare e la salute, oltre che per realizzare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU. Dando il via all’AIFV 2021, il Direttore Generale della FAO, Qu Dongyu, ha lanciato un appello a migliorare la produzione alimentare, rendendola più

sana e sostenibile attraverso l’innovazione e la tecnologia e a ridurre le perdite e gli sprechi alimentari. Nel video promozionale dell’AIFV, frutti e ortaggi si presentano come «maturi, squisiti, saporiti e nutrienti, di ogni colore, ricchi di storia, cultura e tradizioni, talvolta di forma bizzarra o imperfetti ma mai e poi mai brutti!». Frutta e verdura non sono categorie botaniche e necessitano di una chiara definizione. Ai fini dell’Anno Internazionale della Frutta e della Verdura, sono le parti edibili dei vegetali, ad esempio foglie, fiori, gambi o radici, coltivati o di origine selvatica, allo stato grezzo o minimamente trasformati. Sono dunque esclusi fra gli altri i tuberi o le radici amidacee, come patate, igname e patate dolci, frutta a guscio, semi e semi oleosi, come noci di cocco, noci e semi di girasole, i cereali compreso il mais, tranne se raccolti non maturi, le spezie, gli stimolanti come cacao, tè o caffè, i prodotti trasformati e altamente trasformati, come vino, succhi di frutta confezionati, ketchup. Frutta e verdura minimamente trasformate sono frutta e verdura sottoposte a processi di lavaggio, sbucciatura, affettatura, che non influiscono sulla qualità del prodotto fresco. Frutta e verdura secche, congelate, confezionate, af-

fettate, sono minimamente trasformate e mantengono la maggior parte delle loro proprietà, anche quelle nutritive. L’AIFV cade nel Decennio d’azione delle Nazioni Unite sulla nutrizione (2016-2025) e nel Decennio dell’agricoltura familiare delle Nazioni Unite (2019-2028) e contribuisce alla realizzazione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile entro il 2030. Questi collegamenti rappresentano altrettante sinergie che si riflettono negli obiettivi dell’Anno internazionale della Frutta e della Verdura. Dapprima la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui vantaggi per la salute derivanti dal consumo di frutta e verdura e la promozione di diete e stili di vita sani grazie a frutta e verdura. Per molti non saranno novità ma occorre ricordare che frutta e verdura, con il loro contenuto di fibre, minerali, vitamine e altre preziose componenti, combattono la malnutrizione, contribuiscono a rinforzare il sistema immunitario, riducono i fattori di rischio di molte malattie. Ce lo rammentano FAO e Organizzazione mondiale della sanità che raccomandano di consumare almeno 400 grammi di frutta e verdura al giorno. Per sfruttare al meglio la disponibilità di frutta e verdura, prodotti facilmente deperibili, è essenziale ridurre

perdite e sprechi, dalla produzione al consumo: uno degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Lo spreco di cibo, noto internazionalmente come food waste, è un problema mondiale. Le perdite di frutta e verdura lungo la catena d’approvvigionamento raggiungono nei Paesi in via di sviluppo il cinquanta per cento della produzione. È uno spreco anche di risorse, come acqua e suolo: produrre una sola arancia può richiedere fino a 50 litri d’acqua. Come non bastasse, vengono eliminate, soprattutto nei Paesi ricchi, grandi quantità di frutti e ortaggi sani e perfettamente adatti al consumo, ma ritenuti imperfetti o brutti. La coltivazione di frutta e verdura è adatta anche per realtà a dimensione ridotta e un altro obiettivo dell’Anno internazionale consiste proprio nel riconoscere e sostenere l’attività di milioni di piccoli produttori, spesso famiglie, da cui proviene oltre la metà del raccolto mondiale di frutta e verdura. Sono cifre non da poco: nel 2018 si tratta di 868 milioni di tonnellate di frutta e 1089 milioni di tonnellate di verdura. L’agricoltura familiare crea lavoro, è fonte di reddito per molte famiglie in tutto il mondo, particolarmente nelle regioni più povere e contribuisce alla loro nutrizione. Inoltre, valorizza

il ruolo della donna, che spesso occupa un posto importante nella produzione, nella raccolta e nella preparazione dei prodotti ortofrutticoli. La varietà di frutta e verdura prodotta nel mondo è impressionante. Per quantità, in testa troviamo, fra la frutta, banane, agrumi, mele e uva, per la verdura i pomodori e, curiosamente, cipolle, aglio e scalogno. L’Asia è il maggior produttore di frutta e verdura al mondo, seguita dal Sudamerica e dall’Europa. Com’è ben noto, anche da noi si produce frutta e verdura. E non solo pomodori, di cui il Ticino è, insieme con il Canton Ginevra, il massimo produttore nazionale. Coltiviamo zucchine, lattughe, melanzane, patate, mele e decine di altre specialità. Fra le tante realtà operanti nel settore ortofrutticolo ticinese, la più grande è rappresentata dalla FOFT, Federazione Ortofrutticola Ticinese, fondata nel 1937, cui aderiscono 37 soci che nel 2020 hanno prodotto 12mila tonnellate di frutta e verdura, di cui oltre la metà destinate al mercato d’oltralpe, una promozione del nostro territorio nel resto della Svizzera. Informazioni

www.fao.org/fruits-vegetables-2021/it/


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 1 marzo 2021 • N. 09

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Sulla strada dei conquistadores Reportage Messico, verso la capitale azteca, tagliando un altipiano immobile punteggiato da cactus

Enrico Martino, testo e immagini Lei è alle prese con le balze del vestito da sposa, lui guarda impacciato le banconote che parenti e invitati gli stanno attaccando sulla giacca. Serviranno per iniziare una nuova vita tra i campi di canna da zucchero di La Antigua, vicino a Veracruz. Un matrimonio campesino come tanti in un villaggio come tanti perso lungo la costa del Golfo del Messico, a poche decine di metri dalle tracce di una storia destinata a cambiare il mondo.

L’arpista Teodulo, tra cervezas e tequila: «Se a uno non piace la musica perché mai dovrebbe venire a Veracruz?» Un cannone spagnolo arrugginito dalla salsedine, le rovine di una casa fasciata da romantici grovigli di liane, è quello che rimane della prima casa messicana di Hernàn Cortés, uno dei tanti caballeros rimasti disoccupati dopo la cacciata degli arabi dalla Spagna, un concentrato di determinazione e brama di conquista capace di trascinare un pugno di uomini barbuti e ricoperti di ferro alla conquista di uno dei più potenti imperi precolombiani. Trentadue cavalli, dieci cannoni, poco più di seicento tra soldati e marinai sbarcarono qui, alla foce del Rio Huitzilapan, un piccolo fiume dove Cortés decise di affondare le navi, nel caso a qualcuno venisse in mente di ritirarsi. Qualche giorno prima, il 22 aprile del 1519, la spedizione salpata da Cuba aveva fondato poco più a sud la prima città spagnola sulla terraferma americana, Villa Rica de la Vera Cruz dove i galeoni carichi d’oro in partenza per la Spagna sono stati sostituiti dalle orchestrine dei caffé di Plaza de Armas. «Se a uno non piace la musica perché mai dovrebbe venire a Veracruz?» puntualizza con logica ferrea Teodulo, trascinandosi dietro l’inseparabile arpa in un’aria satura di cervezas e tequila. Davanti al porto di quello che è stato soprannominato «il più grande manicomio con vista sul mare» biancheggiano le mura della fortezza di San Juan de Ulùa che ha difeso la «Quattro volte eroica» da pirati, marines americani e invasori francesi ai tempi di Massimiliano d’Asburgo, ma questa è un’altra storia. Cortés invece trovò l’aiuto inaspettato di Chicomacatl, governatore della vicina città totonaca di Zempoala

Città del Messico. Ogni giorno decine di danzatori ballano la danza de las Conchas. (su www.azione.ch si trova una galleria fotografica più ampia)

di cui restano poche rovine. Il cacique gordo (letteralmente «Capo grasso») sarà anche stato il «Grassone» delle cronache della Conquista, ma si rese conto in fretta che questi stranieri non erano divinità bensì uomini, pericolosi e molto terreni nel loro desiderio d’oro. Decise di aiutarli. Per liberarsi dal dominio azteco, e probabilmente anche per tenerli lontani dai grandi centri cerimoniali come El Tajin, scoperto per caso solo nel 1785, dove non lontano da una piramide con trecentosessantacinque nicchie, una per ogni giorno dell’anno, i voladores, gli «uomini-uccello», nei giorni di festa evocano culti della fertilità volteggiando lentamente giù da un palo alto più di venti metri, appesi per i piedi a lunghe funi. Ai conquistadores questo mondo povero d’oro non interessava e iniziarono una faticosa marcia verso Tenochtitlàn, la capitale azteca, tagliando un altipiano immobile punteggiato da cactus lungo quella che sarebbe stata chiamata la Ruta Cortés. Un nulla in cui può materializzarsi la rapida visione di una scritta rosso fiamma sulla fiancata di un camion mangiato dal sole e dalla pioggia, «Hay amores que te quitan el sentido», «ci sono amori

El Tajin, «l’uragano». Un gioiello archeologico totonaco, patrimonio UNESCO.

che tolgono la ragione». Chissà cosa ne pensano i santi barocchi delle chiese cariche d’oro di Puebla fondata dagli spagnoli pochi anni dopo la Conquista vicino a Tlaxcala, l’unica città dell’altipiano indipendente dagli aztechi e la più fedele alleata di Cortés. Un patto cementato dal sangue di migliaia di nobili e sacerdoti massacrati a tradimento a Cholula, il più importante centro di pellegrinaggio azteco,

I voladores di Zempoala antica città totonaca vicino a Veracruz.

dove oggi fortunatamente solo Pedro Armendariz e Maria Felix, mitiche star del cinema messicano, saettano sguardi assassini dalle pareti del Café Enamorada davanti a chiese che sembrano fortezze. Gli spagnoli ne avrebbero costruite una per ogni giorno dell’anno per far capire di chi era il dio più forte. La più famosa, Los Remedios, incorona una collina ricoperta di vegetazione che nasconde la piramide di Tepanapa, la seconda del mondo dopo quella di Cheope e la prima per volume. Un sincretismo che riaffiora tra i cherubini con piume azteche della chiesa del villaggio di Tonatzintla alle falde dell’immenso cono del Popocatepetl, Don Gregorio per i locali che forse sperano di ammansire con un nome famigliare il più famoso vulcano del Messico. Nell’aria rarefatta del Paso de Cortés, a oltre tremila metri di altezza, i conquistadores videro per la prima volta brillare in lontananza una città incantata circondata da giardini galleggianti, Tenochtitlàn irta di grandi piramidi che si riflettevano nel grande lago di Texcoco, «gli stessi soldati si chiedevano se non era un sogno» annotava Bernal Diaz del Castillo, cronista della spedizione.

Le piramidi dell’antica città di Teotihuacàn (situata a nord di Città del Messico).

L’otto novembre del 1519 i conquistadores attraversarono una pianura oggi ricoperta dalle sterminate periferie di Città del Messico per incontrare l’imperatore azteco Moctezuma lungo la strada-diga che collegava Tenochtitlàn alla terraferma. Le corazze degli spagnoli e gli splendidi abiti ricoperti di piume del seguito del Tlatoani azteco risplendevano nella fredda luce del mattino, un attimo di storia in cui tutto era ancora possibile. Invece due anni dopo, esattamente cinquecento anni fa, della capitale azteca rimanevano solo canali pieni di cadaveri, giganteschi scheletri di piramidi annerite dal fumo degli incendi e distese di rovine su cui venne fondata Città del Messico, la «Castigliana truccata da azteca» dove quel mondo ridotto in cenere riaffiora ancora tra le pieghe della megalopoli. Sono gli inquietanti serpenti di pietra incastonati nei palazzi coloniali, i milioni di fedeli che si inginocchiano davanti alla Madonna di Guadalupe sulla collina di Tepeyac, dove veniva venerata la dea madre Tonantzin, le decine di danzatori ricoperti di piume che attirano i turisti celebrando l’ossessione nazionale di una grandezza perduta sullo Zocalo, piazza centrale di un villaggio di oltre ventidue milioni di abitanti. Nel sobborgo di Xochimilco, zattere colorate cariche di gitanti e mariachi scivolano tra le chinampas, i giardini artificiali che galleggiano sugli ultimi lembi del lago di Texcoco. Le tracce degli aztechi riemergono anche lungo l’altipiano, tra grovigli di serpenti di pietra e piramidi che scalano il cielo a Teotihuacàn, l’antica «Città degli Dei» già ridotta a un fantasma di pietra ai tempi degli aztechi, o sui bassorilievi di Xochicalco, gli unici in cui aztechi e maya rivelano i loro legami. Un tempio mai terminato, scavato nella montagna a Malinalco dove i figli dei nobili venivano iniziati alle caste dei guerrieri Aquila e Giaguaro, è l’ultimo lampo di una civiltà travolta da un pugno di uomini arrivati dal mare.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 1 marzo 2021 • N. 09

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Ambiente e Benessere

Sicilia, isola del vino

Scelto per voi

Bacco giramondo Dai Catarratti, bianco comune, al Nero d’Avola, principe indiscusso –

1a parte

Davide Comoli È di certo un posto di primo piano quello occupato dalla Sicilia quando si parla di radici della viticoltura europea. La storia delle diverse dominazioni in questa terra è continuamente intrecciata con la presenza della vite e la preparazione dei vini. Intorno al 1860 sulle falde dell’Etna furono trovate alcune viti di tipo ampelide di un’era geologica assai antica, l’era terziaria; segno di una antica predisposizione di una terra dove la vite cresceva spontaneamente. Fenici, Greci, Romani, Bizantini, per secoli hanno contribuito a far conoscere il vino e la vite della Sicilia nel mondo allora conosciuto. Agli audaci navigatori Fenici, spetta il primato della commercializzazione dei vini siciliani, facendone uno dei prodotti principali per gli scambi commerciali dell’epoca. Sicuramente erano vini dolci come sta scritto in un frammento di «orcio» ritrovato nei pressi di Gela e risalente a 1600 anni a.C., su cui troneggia la seguente iscrizione «Vino fatto con uva passa nera».

Intorno al VII sec. a.C. i coloni Greci introdussero il sistema di coltivazione ad «alberello» e i siciliani divennero esperti conoscitori delle tecniche di coltivazione non solo della vite, ma anche dell’ulivo e del grano. Nota è la predilezione di Giulio Cesare per il Mamertino (l’odierno Catarratto Bianco); tra i vini che arrivavano sulle tavole della Roma repubblicana e imperiale, citiamo il Taormino Bianco, lodato da Plinio e prodotto con l’antenato dell’odierno Inzolia e con Minnella Bianca. L’avvicendarsi di culture diverse nei secoli successivi portò a uno sviluppo a fasi alterne della viticoltura nell’isola, dai Musulmani che azzerarono la produzione del vino, ai Normanni che finirono col portare all’estirpazione delle viti per l’eccessiva tassazione, sino ad arrivare agli Aragonesi e agli Spagnoli, che riportarono sia l’agricoltura sia la viticoltura sulla via dello sviluppo. Va comunque agli Inglesi, il merito di aver favorito la produzione vinicola siciliana. I movimenti della flotta inglese durante il periodo napoleonico permisero infatti il sorgere della grande industria enologica siciliana, incen-

Un incantevole vigneto sul lato nord dell’Etna, Sicilia. (gianfranco reppucci)

trata intorno alla produzione del Marsala. La Sicilia è la maggiore isola del Mediterraneo con 26mila kmq suddivisi in un territorio prevalentemente collinare (61,5 per cento) e montuoso (24 per cento). Il clima è mediterraneo sulle coste, continentale all’interno e a tratti addirittura alpino nelle zone vinicole dell’Etna e nelle colline delle Madonie. Nel massiccio dell’Etna i suoli formati da sgretolamento della lava, ceneri e sabbie sono ideali per il Nerello e il Carricante, mentre nella zona Sud-Est i terreni tufacei, con sedimenti calcarei sono ideali alla coltivazione del Nero d’Avola. Le isole di Pantelleria ed Eolie, sferzate dai venti di Scirocco e Maestrale, vantano terreni ricchi di tufo grigio di matrice vulcanica, dove dominano i profumati Moscato d’Alessandria e Malvasia delle Lipari. Con i suoi 103,5 mila ettari vitati, la Sicilia è la regione italiana con la più ampia superficie vitata; da notare che ben 16mila ettari sono vitati a «coltura biologica». L’interazione tra le culture ellenica, araba, sveva, normanna ha portato nel corso dei secoli a una ricca gastronomia, che si abbina ai molteplici vini prodotti in loco; ci riserveremo quindi di far conoscere le zone viticole e le specialità locali con il prossimo numero della nostra rubrica. I sistemi d’allevamento più diffusi sono il «cordone speronato» e il «guyot», mentre l’antico e tradizionale «alberello» ricopre oggi solo il 10 per cento del territorio. Oggi il 21 per cento del territorio vitato è occupato da vitigni internazionali che danno ottimi prodotti, ma quando parliamo di Sicilia, amiamo parlare di vitigni «autoctoni» che ci fanno capire meglio l’anima del territorio. Le varietà più coltivate sono i Catarratti e il Nero d’Avola. I Catarratti bianco comune, lucido ed extra lucido, sono i più diffusi (32 per cento), grazie alla loro facilità di coltivazione e perché con pochi problemi raggiungono un ottimo grado di matu-

razione, donandoci vini molto interessanti di buona acidità, con un discreto contenuto alcolico e un buon corredo aromatico. Antico vitigno è l’Inzolia (Ansonica), che dà origine a vini semplici, ma spesso usato in uvaggio con lo Chardonnay. Il Grillo è invece un vitigno ottenuto da un incrocio tra il Catarratto Bianco e lo Zibibbo; a fine 800 ha contribuito molto alla ricostruzione post-filossera: si ottengono vini di grande spessore con un notevole bagaglio olfattivo. Il Grecanico, già descritto in alcuni documenti del 1696, ha un curioso aroma che potrebbe essere definito di lunga evoluzione, perché si riescono a percepire sentori di cioccolato bianco e meringa. Il Moscato Bianco o Zibibbo coltivato a Pantelleria, è stato forse portato dai Fenici e ci viene da chiedere una sola cosa: chi non conosce il Passito di Pantelleria? Nelle isole Eolie, su 90 ettari viene coltivata la deliziosa Malvasia delle Lipari, da bersi in versione Spumante, Naturale o Passito. Mentre il Frappato è un vitigno a bacca rossa che, in purezza, dona vini beverini, ma in uvaggio con altri rossi dà un vino piuttosto austero. Il Nerello Mascalese è originario della piana di Mascali: questo vitigno ha trovato la sua terra d’elezione nello straordinario territorio vulcanico dell’Etna. Sui ripidi pendii vulcanici, allevato ad «alberello» e sostenuto da pali di castagno (l’antica «vinea»), a volte con viti a «pied-franc», dona vini di straordinaria eleganza. Il vero principe incontrastato dei vini siciliani è tuttavia il Nero d’Avola, coltivato a memoria d’uomo ad «alberello»; ha sempre prodotto vini molto alcolici, superando senza problemi il 15 per cento di alcol. Oggi, al contrario, si cercano vini più freschi d’acidità e meno caldi, con tannini setosi e grandi potenzialità d’invecchiamento. Tra le varietà internazionali citiamo infine: lo Chardonnay, il Syrah, il Merlot e il Cabernet Sauvignon che dona vini molto longevi.

Fontanasanta Manzoni Bianco

Il Manzoni Bianco è un incrocio tra Pinot Bianco e Riesling Renano, creato alla Scuola Enologica di Conegliano negli anni Trenta. Il Fontanasanta che vi proponiamo è prodotto a Mezzolombardo (TN), da quella grande donna del vino che risponde al nome di Elisabetta Foradori: la donna che ha fatto conoscere al mondo il Teroldego. Da più di una decina d’anni, Elisabetta ha progressivamente riconvertito i suoi vigneti in coltivazione biodinamica (il Fontanasanta ha la certificazione Demeter e TripleA) e da qualche tempo sta sperimentando la vinificazione in anfore. Dal colore giallo paglierino intenso, il Fontanasanta ha un profilo olfattivo particolare con richiami di frutta a polpa bianca, soprattutto la mela renetta, profumi floreali, note d’infuso di zenzero e tè verde, con un finale minerale. È questo un piacevolissimo vino d’aperitivo che può accompagnare tartine al formaggio fresco, verdure grigliate, primi piatti con sugo di pesce. / DC Trovate questo vino nei negozi Vinarte al prezzo di Fr. 29.50. annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere

Dai bassifondi all’alta cucina Gastronomia Le sinergie con tradizioni culinarie provenienti da altre culture non creano solo mode,

La parola moda non piace ai più e la frase: «Non seguo le mode» piace a molti. Io non sono d’accordo. Trovo la parola moda del tutto neutra: è una constatazione di un fatto che avviene. La definizione esatta è: aspetto e comportamento di una comunità sociale secondo il gusto particolare del momento. Nulla di strano. Anche la cucina è soggetta alle mode. In linea di massima, c’è sempre una ragione profonda a giustificare il fatto che una tradizione venga arricchita da stimoli esterni, mentre magari un’altra no, pur essendo uguali gli stimoli. Quindi, ad esempio, che la patata, domesticata 10mila anni or sono nelle Ande, abbia avuto successo in Europa prima nel mondo nordico che nel mondo mediterraneo è «logico», dato che era una coltura estremamente produttiva in quei climi. Però esistono mode che «accadono» e spiegarne a fondo il perché è difficilissimo. Una delle mode della cucina più dominanti oggigiorno, in tutto il mondo, a livello alto, è quella dell’Asia Orientale. All’inizio, esistevano locali solo cinesi popolari, poi prese piede la cucina giapponese di alto livello: ma è un processo avviatosi solo da 50 anni circa, ed è dunque una tendenza recente. Premessa: in genere la cucina «degli altri» arriva al seguito degli emigrati e quindi è la versione popolare di una cucina che portano seco. E gli emigrati giapponesi arrivati da poveri nell’allora ricca America Latina nell’800 portarono con sé la loro cucina popolare, ibridandola con la cucina locale in una sintesi di gran… moda che oggi si chiama nikkei. Invece l’alta cucina giapponese arrivò al seguito dei manager giapponesi che lavoravano negli Usa e in Europa. E boom fu, al punto che i «grandi & importanti locali» molto formali, da sempre un monopolio francese, furono affiancati da altri altrettanto importanti giapponesi.

Diverso fu il destino della cucina cinese, mentre lo stesso discorso vale per quella indiana, anzi quelle indiane, ché sono di diverse tradizioni. Arrivò dapprima la cucina popolare della zona da dove venivano gli emigrati, attorno a Canton, e si basò sostanzialmente su un prezzo imbattibile. Solo dopo, negli ultimi anni, è arrivata la cucina pechinese o imperiale, di alta gamma e costosa. E dunque quali sono le caratteristiche gastronomiche di questa moda? Proverò a fornire un elenco a punti, per sottolinearne gli aspetti principali, suggerendovi tra le righe come approcciarvi. 1. Tagliare sottile e cuocere rapidamente, è un precetto addirittura di Confucio, il quale così sentenziò: «Che il riso sia puro (cioè bianco, non integrale) e la carne tagliata finemente…», dando l’avallo del suo magistero al taglio sottile della carne e anche degli altri ingredienti. 2. La marinatura. Nella nostra tradizione si marinava solo la selvaggina, in Asia invece marinano tutto o quasi. Sempre per accelerare i tempi di cottura e risparmiare combustibile. 3. La scoperta del crudo, soprattutto per il pesce. C’era anche da noi questa tradizione, soprattutto nei porti, ma era ultrapopolare: si mangiavano i pescetti invenduti e i frutti di mare. In Asia, soprattutto i giapponesi, hanno del tutto sdoganata questa pratica, anche per i pesci importanti. 4. La gioia del mescolare ingredienti, anche carne e pesce, senza limiti: questo forse è stato il contributo dominante, che molto ha inciso nella nostra cucina di alta gamma. Tutto questo e altro non solo ha fatto aprire infiniti locali che si ispirano alla gastronomia dell’Asia Orientale ma ha dato una sferzata di nuovo a tutte le cucine. Quindi è di certo una moda, ma più che mai in questo caso definirlo riduttivamente «moda» è proprio sbagliato. È un’evoluzione della cucina.

CSF (come si fa)

marco Verch

Allan Bay

snappygoat.com

ma vere e proprie innovazioni

Vediamo come si fanno due piatti che sono un simbolo della tradizione cinese, non alta ma quella popolare. Zuppa agro piccante (ingredienti per 4 persone). Fate una salsa agrodolce mescolando in un wok (o in una capiente pentola) 2 cucchiai di olio, 4 cucchiai di aceto di mele, 2 cucchiai di vino dolce, 2 cucchiai di salsa di soia, 2 cucchiai di zucchero, 2 cucchiai di fecola

di patate stemperata in poca acqua e peperoncino a piacere. Fate cuocere a fuoco dolce finché la salsa incomincia ad addensarsi, allora scolatela. Mettete 4 funghi secchi (se cinesi è meglio, altrimenti nostrani) in ammollo per 15 minuti in acqua tiepida, scolateli, strizzateli, privateli dei gambi e tagliateli a fettine. Mondate e tagliate a striscioline 200 g di polpa di maiale, 1 petto di pollo, 2 cipollotti e 1 porro. Sgusciate 8 code di gamberetti e privateli del budellino nero. Nel wok fate saltare in un filo di olio il maiale, il pollo, il porro e i funghi per 2 minuti. Coprite con 1 litro di brodo vegetale o di pollo o acqua bollente e unite i cipollotti. Cuocete per 10 minuti, poi aggiungete la salsa agrodolce e fate addensare il tutto, mescolando. Unite i gamberetti, regolate eventualmente

di sale, cuocete per 1 minuto e servite. Chop suey. Preparazione tipica della cucina cantonese e sino americana. Messa a punto da cuochi cinesi immigrati negli Stati Uniti per soddisfare il palato dei consumatori a stelle e strisce, nel giro di poco più di un secolo è diventato l’emblema della cucina cinese nel mondo e ha poi fatto ritorno nel suo paese d’origine incontrando notevole successo. Una vera ricetta non esiste: esistono centinaia di versioni. Si tratta di un misto di maiale, pollo o manzo tagliati a striscioline oppure pesci a bocconcini e gamberi, saltati rapidamente nel wok con germogli di soia, sedano e cavolo (di qui il nome, letteralmente «miscuglio» nel dialetto di Canton); il tutto viene servito accompagnato da una salsa addensata con amido e riso.

Ballando coi gusti Oggi due gustose preparazioni a base di polpette, che vanno sempre bene e piacciono a tutti.

Polpette di prosciutto e spinaci

Polpette di pollo allo yogurt

Ingredienti per 4 persone: 400 g di spinaci lessati · 400 g di prosciutto cotto a fet-

Ingredienti per 4 persone: 600 g di petti di pollo tritati · 300 g di yogurt greco · 2 cipolle · 100 g di mollica di pane · 1 spicchio di aglio pelato e tritato · 1 uovo · 1 tuorlo · origano secco · foglie di menta fresca · ½ bicchiere di latte · olio di oliva · sale e pepe.

tine · 100 g di mollica di pane · 60 g di grana grattugiato · soffritto di cipolle · foglie di salvia · 1 cucchiaino di paprica dolce · 2 uova · pane grattugiato · farina bianca · ½ bicchiere di latte tiepido · burro · sale. In una padella, saltate gli spinaci con una noce di burro e 4 cucchiai di soffritto per 2 minuti. Sbriciolate la mollica di pane e bagnatela con il latte. Mettete in una ciotola alta gli spinaci, il prosciutto, il grana e la mollica di pane strizzata e frullate col minipimer. Aggiungete la paprica, regolate di sale, legatelo con un uovo e impastatelo. Formate delle polpette grandi come una noce. In una padella sciogliete il burro e rosolate le polpette fino a doratura. Mettetele in un piatto da portata caldo e servite con polenta grigliata.

Bagnate la mollica di pane e strizzatela. In una ciotola mescolate la carne, la mollica di pane, l’aglio, l’origano, sale e pepe. Impastate e formate con l’impasto delle palline grosse come una noce. Ungete con poco olio una pirofila. Sbucciate le cipolle, affettatele a rondelle e coprite con queste il fondo della pirofila. Sistemate le polpette nella pirofila e irroratele con il latte e con un filo di olio. Cuocete in forno a 180° per 40 minuti, girate le polpette a metà cottura. Mescolate l’uovo e il tuorlo con lo yogurt, salate e pepate. Sfornate la pirofila e ricoprite con la crema di yogurt, e cuocete ancora per 10 minuti. Profumate con foglie di menta e servite.


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Ambiente e Benessere

RS e-Tron GT, la Signora degli anelli

Un «Troll» in giardino

Mondoverde Il Ginkgo biloba può

raggiungere i venticinque metri, ma ne esiste anche una variante «nana» o bonsai

Motori Audi ha presentato il modello più potente,

ed è la sua prima Granturismo elettrica

Anita Negretti

La nuova Audi e-tron GT.

Mario Alberto Cucchi La signora degli anelli più potente di sempre si chiama e-Tron GT. Sotto il cofano scalpitano pronti a lanciarsi al galoppo 646 ecologici cavalli. Audi non si è fatta scappare l’occasione di un palcoscenico davvero eccezionale per il suo debutto. Ha scelto di svelarla al mondo in febbraio a Cortina d’Ampezzo in occasione dell’inaugurazione dei mondiali di sci alpino. Mentre Francesco Gabbani cantava sul palco a pochi metri è stata esposta e-Tron Gt ancora nella sua versione camuffata.

Gli ecologisti ringraziano ma assieme a loro applaudono anche gli appassionati delle performance estreme Un’anteprima della vera presentazione digitale che è avvenuta a pochi giorni di distanza nel corso del «Day of Progress». Evento nell’evento, il test è stato effettuato dal pilota di Formula E Luca di Grassi insieme al Campione del Mondo di Formula 1 Nico Rosberg. I due hanno messo a confronto le pre-

stazioni dinamiche dell’Audi RS e-tron GT con quelle dell’attuale Formula E della Casa dei quattro anelli. Il video è stato appena pubblicato sulla pagina YouTube del Campione e 180mila appassionati lo hanno già visto. Ecco il link: https://youtu.be/ezeRN7Ma4CY. Audi e-tron GT è un perfetto biglietto da visita della mobilità elettrica. Gli ecologisti ringraziano ma assieme a loro applaudono anche gli appassionati delle performance estreme. E-tron GT attacca gli occupanti al sedile sfoderando un’accelerazione degna di un aereo in fase di decollo. Per scattare da ferma a cento orari con la versione RS bastano solo 3,3 secondi. Più o meno il tempo che state impiegando per leggere questa breve frase. A spingerla sino a 250 km/h sono due motori elettrici sincroni a magneti permanenti, uno in corrispondenza di ciascun assale, assistiti da una trasmissione a due rapporti. Due le versioni disponibili: e-tron Gt quattro ed RS e-tron Gt con potenze massime in modalità boost, rispettivamente di 530 e 646 cavalli. La coppia massima è mostruosa: arriva fino a 830 NewtonMetro. Viene in aiuto la trazione integrale elettrica che regola permanentemente e in modo variabile la potenza ripartita tra i due assi. Lo fa con

una velocità di cinque volte superiore ai sistemi tradizionali Ad aumentare la tenuta di strada ci pensa una ripartizione dei pesi ottimale: 50:50 tra avantreno e retrotreno. La nuova Audi e-tron Gt è accreditata di un’autonomia di quasi 500 km grazie alla batteria da 93 kWh e tensione a 800 volt. La ricarica si può effettuare a 22 kW in corrente alternata e fino a 270 kW in continua nelle colonnine ultrafast. È così possibile ottenere 100 chilometri d’autonomia in 5 minuti e ricaricare l’80% dell’energia in meno di 23 minuti. Insomma, tanta tecnica ma non solo. Lunga quasi 5 metri, è caratterizzata da linee pulite e da soluzioni pensate per la mobilità elettrica. «Il design di Audi e-tron GT è la sintesi della nostra identità: linee emozionali, sportive, con la forma che segue la funzione nella ricerca della massima efficienza. Le straordinarie prestazioni della prima Granturismo elettrica dei quattro anelli regalano un’esperienza di guida unica, mentre la produzione carbon neutral presso il sito d’eccellenza Audi Bollinger Hofe è testimonianza della vocazione sostenibile del marchio, come ha affermato Markus Duesmann, CEO e responsabile dello sviluppo tecnico di Audi. Il prezzo? A partire da 109’900 franchi svizzeri.

Acquistati ad Amsterdam diversi anni orsono, una decina di Ginkgo biloba sono vissuti sempre nello stesso vaso: da allora, foglie giallo oro in autunno si sono alternati a quelle verdi in primavera, regalandomi colori sempre accesi sul terrazzo. Poi un giorno, spinta da un moto di libertà, ho deciso di trapiantarli in piena terra. Per i primi due anni si sono sviluppati bene, formando un boschetto di Ginkgo alto non più di un metro e largo altrettanto, senza mai svilupparsi oltre in altezza. Incuriosita dalla crescita bloccata, ne ho parlato con un amico bonsaista che mi ha svelato il motivo di tale comportamento: la variante da me acquistata è Ginkgo biloba «Troll», una selezione nana che arriva al massimo a un metro di altezza. Si tratta, insomma, di un innesto dal basso sviluppo, ma con le caratteristiche identiche alla specie tipo che invece raggiunge i venticinque metri di altezza. La corteccia bruna-grigiastra è suberosa e le foglie decidue ricordano un ventaglio con brevi piccioli inseriti

a mazzetti sui corti rametti. In autunno, giallo vivacissimo, le foglie vanno poi a cadere durante il mese di novembre, lasciando la pianta spoglia, senza nemmeno un frutto, essendo il Ginkgo biloba «Troll» incapace di fruttificare. Originari di Cina e Giappone, i Ginkgo sono apprezzati sia per il loro foliage autunnale, sia perché sono i testimoni di un genere diffuso da più di 150 milioni di anni, tanto da ricevere il soprannome di fossili viventi dal famoso Charles Darwin. Molto lenta nella crescita, questa varietà viene coltivata in pieno sole o a mezz’ombra, resistendo fino a –20°C e la potatura deve essere molto leggera per non comprometterne la crescita armoniosa. Se vi sembra troppo piccolo per il vostro giardino, mentre la specie tipo troppo grande, ma desiderate ugualmente aver un Ginkgo, potete scegliere altre varietà, come la «Fastigiata Blagon» che arriva al massimo a dieci metri; «Menhir» che si assesta tra i cinque e gli otto metri; o il piccolo «Mariken», con chioma molto globosa ma dallo sviluppo massimo di tre metri.

Foglie di Ginkgo. (Freeimg.net) annuncio pubblicitario

Fare la cosa giusta

Quando la povertà mostra il suo volto Legga la storia di Sidra e della sua famiglia: caritas.ch/sidra-i

Sidra, 10 anni, dalla Siria, è nata quando nel suo Paese è scoppiata la guerra. Vuole diventare medico per alleviare le sofferenze degli altri.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 1 marzo 2021 • N. 09

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Ambiente e Benessere

Zoonosi & Pandemie

Mondoanimale La salute umana e quella animale sono interconnesse

Maria Grazia Buletti «Oggi, è ipotizzabile l’esistenza di circa 1,7 milioni di virus zoonotici ancora sconosciuti alla comunità scientifica. Di questi, 800mila potrebbero avere la capacità di infettare l’essere umano» è quanto ha pubblicato qualche mese fa la massima autorità scientifica in tema di natura e biodiversità Ipbes (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services). Ma non si tratta di una novità, perché da molti anni esperti di tutto il mondo ci avvertono della possibilità che i virus (alcuni dei quali già in circolazione tra gli animali negli allevamenti intensivi e persino endogeni in alcune parti del mondo) possano sviluppare la capacità di trasmettersi facilmente tra gli esseri umani. «Questo è accaduto in passato, ad esempio nel caso di pandemia di influenza suina tra il 2009 e il 2010, e nel presente con il Sars-Cov-2, uno tra i tanti virus che ci sono stati trasmessi dagli animali (e non è nemmeno uno fra i più letali)», si legge nel rapporto Ipbes. Dal canto suo, l’Ufficio federale di sicurezza alimentare e veterinaria (Usav) ci ricorda che le zoonosi sono malattie trasmissibili dall’animale all’uomo o viceversa: «Spesso gli animali si ammalano senza manifestare sintomi e possono contagiare l’uomo tramite le derrate alimentari». Il contagio, di fatto «può avvenire proprio mediante contatto con animali infetti o consumando alimenti di origine animale contaminati». È quindi fondamentale sorvegliare le zoonosi negli animali, nell’essere umano e nelle derrate alimentari per evitare quel

«salto di specie» (detto spillover) che può colpire l’uomo e trasmettersi poi con facilità da un individuo a un altro. Per questi motivi, l’Usav pubblica regolarmente il Rapporto sulla sorveglianza delle zoonosi, con attenzione particolare ai focolai di malattie provocate da cibo contaminato: «Anche nel 2019 le zoonosi nell’essere umano maggiormente notificate rimangono la campilobatteriosi e la salmonellosi». Dal canto suo, il nostro Ufficio del veterinario cantonale (Uvc) spiega infatti che «alle nostre latitudini ad essere al centro dell’attenzione non sono più le epizoozie classiche, quali ad esempio la tubercolosi o il carbonchio». Secondo l’Usav, l’attenzione e la prevenzione nel 2019 si sono concentrate sulle due citate zoonosi più comuni, prima fra tutte la campillobatteriosi, con 7mila casi: «nella maggior parte dei casi l’infezione è causata dal consumo di carne di pollame contaminata». E anche in merito alla seconda zoonosi in Svizzera, la salmonellosi (con circa 1500 casi), «le fonti di infezione più comuni rimangono le derrate alimentari contaminate, soprattutto uova, latte non pastorizzato, carne, ma anche cibo contaminato di origine non animale come insalate e verdure». L’Usav avverte che «tuttavia, il numero stimato di casi non denunciati è molto più elevato», affermando che per ridurre notevolmente il rischio di infezione bisogna considerare l’importanza di una buona igiene in cucina. Quattro i principi fondamentali: «Evitare il contatto tra la carne cruda e i cibi pronti (usando stoviglie e posate separate); conservare sempre gli alimenti deperibili in un luogo fresco perché i

Mercato del pollo di Xining, nella provincia di Qinghai, Cina. (m m – padmanaba01)

germi patogeni si moltiplicano nei cibi a temperatura ambiente; carne, pollame, pesce e frutti di mare devono essere ben cotti prima del consumo». Infine, per evitare la trasmissione delle zoonosi, abbiamo ormai ben presente quanto sia essenziale il lavare le mani con il sapone prima e dopo la preparazione dei cibi e subito dopo il contatto con la carne cruda. Mai abbassare la guardia, raccomanda l’Usav che nel suo rapporto 2019 porta alla luce un altro dato non trascurabile riguardo alle zoonosi che hanno registrato un aumento del numero di casi: «La febbre Q ha visto raddoppiare la sua incidenza rispetto all’anno precedente: un aumento riconducibile in gran parte a un focolaio scoppiato in primavera (ndr: 2019) in Ticino e dovuto molto probabilmente a due greggi di capre infette».

Anche l’infezione da Escherichia coli (nell’uomo provoca diarrea grave e sanguinolenta) ha registrato un nuovo aumento di infezioni, così come sono aumentati i casi di Tularemia (infezione causata principalmente da punture di zecche). Per completare il quadro che sottolinea l’importanza di non abbassare la guardia sulle zoonosi a livello globale, elenchiamo alcuni esempi riportati nel rapporto dell’Ipbes, a cominciare dall’influenza aviaria che, tra l’autunno e l’inverno 2020, si è diffusa in Asia e in Europa: «Casi sono stati registrati in Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Irlanda, Paesi Bassi, Svezia, Regno Unito Giappone e India, mentre, per cercare di contenere il virus, dall’inizio di quest’anno la Francia ha ordinato l’abbattimento di oltre un milione di esemplari di pollame, soprattutto anatre».

Altro dato significativo riguarda la peste suina africana (Psa): «È una malattia virale altamente contagiosa e letale che colpisce suini e cinghiali: nel 2019 ha decimato la popolazione suina cinese, dove sono stati persi 200 milioni di animali tra quelli morti per la malattia, abbattuti preventivamente o macellati anzitempo». L’elenco poco rassicurante continua con l’Ipbes che paventa senza remore una soluzione che passa per la chiusura degli allevamenti: «L’abbattimento (preventivo o meno) di milioni di animali a causa di virus emergenti sempre più pericolosi può essere una soluzione: questi animali non nascono “naturalmente”, ma per inseminazione artificiale, sono allevati in condizioni che rendono inevitabile la diffusione di una zoonosi, e più gli allevamenti intensivi si ingrandiscono, più aumentano le probabilità che si verifichi un nuovo spillover». L’ONU rincara la dose in un suo rapporto pubblicato il 6 luglio 2020 dove inserisce «l’allevamento intensivo fra i fattori di rischio che provocano l’insorgenza delle pandemie», avvertendo inoltre che: «Altre epidemie continueranno a emergere, a meno che non si prendano attivamente misure governative che impediscano ad altre malattie zoonotiche di diffondersi tra la popolazione umana». Lungo l’elenco che induce a una seria riflessione: «Il coronavirus, l’aviaria H7N9 e H5N1, l’influenza suina H1N1 e la febbre Q appartengono a una lunga serie di malattie zoonotiche che proliferano negli allevamenti intensivi perché sono questi luoghi a permettere il loro sviluppo e la loro diffusione».

Giochi

Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku

Cruciverba Oltre al mitico Ben Hur, quali sono gli altri due film che si sono aggiudicati più Oscar nella storia del cinema? Scoprilo risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere nelle caselle evidenziate. (Frase: 2, 7, 5, 6 – 7)

ORIZZONTALI 1.Pelosi 7.Unanagrammadigai 8.Lettoalcontrariononcambia 9.Elogio 11.UnRickyregista(iniz.) 12.Lodicedinuovo 14.Duevocali 15.Scarsi,insufficienti 20.InterpretavaLasignoraingiallo (iniz.) 22.101romani 24.Piantaaromatica 25.Provocanolamorte 28.L’osteriamenoseria 29.Nomefemminile 30.Letteragreca 32.Dopoil«bi» 34.L’atmosferadelCarducci 35. D’altritempi

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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch 1 2 3 4 5 7

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I premi, cinque carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno 6 pervenire la soluzione corretta fatto entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.

V I L L I VERTICALIA G 1. DiNonnelTrentino 2.IlnomediStravinskij L O D E 3.Nomefemminile 4.AccesoaLondra R I P 5.Destino,fato 6.Accordo 10.Periodostorico D A O 13.Unfiore 16.AllevòBacco A L C 17.Emissionidifluido 18.L’antico«do» 19.Lasuatinturadisinfetta L E T A 21.Macchinesemplici 23.Piccolerane I V A 26.TribunaleAmministrativoRegionale 27.AndataperVirgilio 31.Sonougualinelfidanzamento A E R E 33.Leinizialidell’attoreCrowe Partecipazione online: inserire la

soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la so-

Sudoku Soluzione:

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Scoprire i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.

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O S I 1 6 4 8 9 5 1 2 8 6 N O N Soluzione R dellaTsettimana precedente BAMBINI DI OGGI! – Il bambino alla madre: «Mamma ho fame!» – «Non è ancora ora di pranzo, inganna la fame con una mela» – «Mamma non so la tua…» E T frase:E«… MA LA MIA FAME NON È COSÌ STUPIDA!». Resto della M A E L T S A MI A TG I TU A I 6 4 7 9 1 3 5 8 2 F I E L E G A R E 2 1 8 6 7 5 9 3 4 S F U S I M E N T R E IL A T O AM ENN TEE ’ TC O 3 9 5 8 4 2 6 7 1 1 3 6 2 9 4 7 5 8 D E S T O T Z E R O LA E I L E N TOI ’ TA R E D 4 7 9 5 8 1 2 6 3 8 5 2 7 3 6 1 4 9 T A G U A M ELI S TST OR SA T R I 7 2 1 3 5 8 4 9 6 B E L T A I A 5 6 3 4 2 9 8 1 7 P A E R N I C O T A N T I C O 9 8 4 1 6 7 3 2 5 M A R N E D S O S I A luzione, corredata da nome, cognome, indirizzo, email del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 6315, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui

concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 1 marzo 2021 • N. 09

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Politica e Economia Clubhouse sotto la lente Il social «esclusivo» basato sulle conversazioni in diretta prende piede anche in Ticino

Papa Francesco di nuovo in viaggio Tra il 5 e l’8 marzo Bergoglio volerà in Iraq dove incontrerà il mondo sciita e i cristiani perseguitati pagina 21

Effetti della pandemia In Svizzera non ci si aspetta un massiccio calo delle entrate fiscali, ma non ci sarà spazio per ulteriori riduzioni d’imposte

L’inflazione rialza la testa Negli Stati Uniti i prezzi al consumo stanno salendo ma i nostri esperti di Banca Migros non prevedono una spinta inflazionistica destabilizzante pagina 24

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Foto Keystone

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Russia e Cina, la strana coppia

Strategia Gli interessi delle due superpotenze convergono soprattutto a causa dell’ostilità degli Stati uniti

nei confronti di entrambe. Intanto al Pentagono si lavora sullo scenario di una guerra su due fronti Lucio Caracciolo Gli Stati uniti hanno quattro nemici più uno, come si dice nel gergo del Pentagono: Cina, Russia, Corea del Nord, Iran più il terrorismo. Ma si tratta di nemici molto ineguali. Non c’è dubbio che la coppia sino-russa sia in cima alla lista delle preoccupazioni di Washington. Ma, appunto, è una coppia o no? Nel dubbio, gli strateghi del ministero della Difesa, in particolare coloro che nell’Office of net assessment si dedicano alla pianificazione di lungo periodo, preferiscono considerarla tale. Negli ultimi mesi, e su speciale impulso del presidente Joe Biden, al Pentagono si lavora a pieno regime sullo scenario di una fortunatamente improbabile guerra su due fronti, per non farsi cogliere impreparati. Contro i cinesi e contro i russi. La prima sarebbe combattuta principalmente in mare e in

aria. La seconda è affare essenzialmente di Esercito e Marina. Il teatro primario dello scontro con la Repubblica popolare è il Mar cinese meridionale, insieme al Mar cinese orientale. In mezzo, lo spartiacque, Taiwan. Pechino intende riportare l’isola ribelle sotto la sua sovranità entro il 2049. In un modo o nell’altro, ha detto Xi Jinping, che studia personalmente il dossier, forte anche della diretta conoscenza del caso taiwanese, accumulata negli anni da dirigente nella provincia del Fujien, di fronte a Taiwan. Per gli Stati uniti si tratta di chiamare a raccolta tutti gli alleati regionali, Giappone e Australia in testa, più i partner europei più rilevanti, dalla Francia (potenza residente nel Pacifico) alla Gran Bretagna, dall’Italia alla Germania. Oltre all’India, recentemente conquistata alla causa americana. L’obiettivo cinese, prendendo Taiwan, è di spingersi oltre la prima e poi la

seconda catena di isole che le sbarrano il passaggio verso l’alto mare, l’Oceano Indo-Pacifico. Affermandosi così nuova talassocrazia globale, scalzando gli Usa dal trono. Ed emancipandosi dalla cultura geostrategica terragna di cui è rimasta prigioniera per secoli. Negli scenari americani e della Nato è prevista anche la sciagurata eventualità dell’apporto russo alla guerra cinese. In particolare lungo la nuova cortina di ferro che separa quel che resta dell’impero di Mosca dalla Nato, tra Mar Baltico e Mar Nero. Ma sono pronti gli Usa a combattere e vincere su due fronti, contro due potenze nucleari e militarmente agguerrite come Cina e Russia? Il dubbio è lecito. La questione ci riporta al dilemma strategico di fondo: Russia e Cina sono coppia, per quanto strana, oppure no? La risposta, ovviamente provvisoria: sembrerebbe di sì, e sempre di più. Il presidente Putin ha evocato nel

settembre scorso la possibilità che il trattato di amicizia oggi vigente con la Cina possa presto evolvere in alleanza vera e propria. Il termine alleanza non è contemplato nel gergo e nella mentalità dei mandarini rossi, ma la sostanza sì. Fatto è che gli interessi di Russia e Cina sono oggi piuttosto convergenti. Per causa soprattutto di Washington, che ha deciso di metterli entrambi nel mirino. Contravvenendo a un principio classico delle grandi potenze: divide et impera. E testimoniando del grado di confusione che regna negli apparati e nella politica a stelle e strisce. Questo paradosso costringe Pechino e Mosca, che diffidano profondamente l’una dell’altra, a serrare le fila. Per Xi Jinping è opzione, per Putin obbligo. La Russia è stata infatti messa all’angolo dagli occidentali, malgrado avesse segnalato, dopo la fine dell’Urss, la disponibilità a un’intesa con la Nato (Putin si spinse fino a proporre l’ade-

sione all’Alleanza atlantica, nel 2000, suscitando buonumore alla Casa Bianca). Dopo la disfatta in Ucraina, il Cremlino ha messo tutte le sue uova nella cesta cinese, offrendo in cambio armi di qualità, gas e petrolio siberiano. Dopo qualche esitazione, Xi ha deciso di giocare la carta russa per pesare di più nella partita con gli americani. La coppia si regge oggi su tre pilastri. Primo, l’ostilità degli Usa per entrambi. Secondo, la necessità per Mosca e per Pechino di non restare isolati, vista la scarsità di partner affidabili a disposizione sul mercato. Terzo, la manipolazione reciproca nel mercato strategico con il Numero uno, con cui gli uni e gli altri, alla fine, vorrebbero un accordo. Magari a scapito del partner attuale. La strana coppia resisterà finché gli americani non la scioglieranno, aprendo all’uno o all’altro. Prospettiva comunque lontana.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 1 marzo 2021 • N. 09

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Politica e Economia

Dove trovi Elon Musk e Orietta Berti Clubhouse Il social «esclusivo» basato sulle conversazioni in diretta prende piede anche alle nostre latitudini.

Amato dalle celebrità, in Cina ha aperto spazi di discussione. «Ma attenzione ai lati oscuri», dice Paolo Attivissimo

Romina Borla In un mondo fiaccato dalla pandemia che ha un estremo bisogno di vicinanza e di comunicare, la parola pronunciata ritorna protagonista con Clubhouse, un social network basato appunto sulle conversazioni in diretta che comincia a diffondersi anche alle nostre latitudini. Esiste da marzo 2020 (alcune fonti dicono aprile), quando è stato lanciato dagli imprenditori della Silicon Valley Paul Davison e Rohan Seth. In Cina è riuscito ad aprire spazi di discussione libera su argomenti tabù, come la sorte degli uiguri o la situazione di Hong Kong e Taiwan. Ma è durato poco: a inizio febbraio il Governo lo ha bloccato. La piattaforma è organizzata in «stanze», in soldoni delle chat vocali a cui si può partecipare alzando virtualmente la mano, e piace anche a Elon Musk. Infatti il fondatore di Tesla e SpaceX è di recente intervenuto in una room, mandando in tilt il social. L’evento, ritrasmesso in streaming su altri canali, ha fatto volare le quotazioni di Clubhouse. Sempre Musk ha ufficialmente invitato Vladimir Putin a entrare nella comunità. Comunità che comincia ad essere folta anche se il social – come suggerisce il suo stesso nome – è avvolto da una certa aura di esclusività. Come mai? In primo luogo è disponibile solo per iOS (quindi per iPhone e iPad, gli utenti di Adroid sono

per il momento tagliati fuori dai giochi), inoltre si entra nel «club» solo se invitati da un membro. Le limitazioni sono dovute anche a fattori tecnici ma – sottolinea il giornalista informatico Paolo Attivissimo – sono soprattutto riconducibili a una strategia di marketing già usata in passato, ad esempio da Google con Gmail (accesso su invito): «Se ti chiedono di entrare in una comunità dove hai la possibilità di interagire con delle celebrità ti senti importante. Sei stimolato a partecipare». Così tanto che per un invito qualcuno è disposto a pagare. Reuters riferisce addirittura di un «mercato degli inviti» su piattaforme quali eBay e Craigslist. Ma non è tutto oro quello che luccica, osserva l’intervistato. «I gestori del social assicurano che le conversazioni sono protette da un sistema di crittografia e il regolamento formalmente proibisce di registrare le discussioni, però è possibile aggirare facilmente il divieto con qualunque registratore esterno all’applicazione». Notizia di settimana scorsa: un utente è riuscito a catturare i file audio provenienti da alcune «stanze» e li ha trasmessi altrove in streaming. Inoltre, aggiunge Attivissimo, le norme di privacy di Clubhouse avvisano che Alpha Exploration, l’azienda che lo gestisce, è la prima a registrare tutto temporaneamente per motivi di sicurezza. Attenzione dunque. «Clubhouse non è uno spazio protetto, come del

Il simbolo della piattaforma è la foto di un utente che ogni tanto cambia. (shutterstock)

resto nessun social. Le conversazioni non sono per niente private, sono pubbliche. Quindi un conto è parlare del più e del meno, un altro esporsi con argomenti sensibili... La voce identifica le persone con precisione, anche dal punto di vista legale. È sempre possibile negare di aver detto una certa cosa in una chat di testo: “Non sono stato io, mi hanno hackerato il profilo”. In una chat vocale è proprio la vostra voce a dire le cose che vi vengono contestate. Cono-

Dalle chat politiche alle «stanze» a luci rosse Andiamo in esplorazione. Dopo esserci registrati, spalancando fiduciosi la nostra rubrica e indicando i nostri interessi, entriamo in Clubhouse. Subito appaiono «stanze» in diverse lingue (cinese, russo e arabo compresi) dedicate agli argomenti più disparati, da «Women in business» a «Invidia tra i dipendenti», passando per le room di Amnesty international, benessere, psicologia, politica (ad esempio l’ucraina «Free Sternenko») ecc. Che dire poi di «How to sleep with different men and women» vietato ai minori? Sbirciando tra gli utenti in Ticino e Italia, ne riconosciamo tanti appartenenti al mondo dei media e della comunicazione (ad esempio di recente sulla piattaforma è intervenuto il direttore di «la Repubblica», Maurizio Molinari, per parlare del Governo Draghi e dell’attacco al convoglio

italiano in Congo). L’accesso al «club» ci è stato regalato dal luganese Enrico Zamparo, uno che di social se ne intende. Infatti il 46.enne dopo la scoperta di un cancro al colon nel 2019 ha deciso di reagire con tutto l’umorismo di cui era capace, raccontando il suo percorso di guarigione su Facebook, Instagram e YouTube («Tumor with humor»). Adesso, insieme ad alcuni amici, vuole lanciare delle stanze ticinesi su Clubhouse (la prima martedì 2 marzo, alle 21.30, avrà come tema lo sviluppo di idee e talenti nella nostra realtà). Enrico ci fa notare il simbolo della piattaforma: la foto di un utente che ogni tanto cambia, segnalando tra le altre cose un aggiornamento completato. Il giovane ritratto ora nell’icona è Axel Mansoor, un cantautore conosciuto negli Usa, che sul social ha fondato «Lullaby club» dove ogni

sera, dalle 21, performer e ascoltatori si uniscono per offrire e godersi musica rilassante. Prima di lui il volto ufficiale del social era un altro musicista: Bomani X. «I suoni ma soprattutto la voce – riprende Enrico – danno la sensazione di essere presenti a un evento e più partecipi rispetto ai messaggini. Entrare in Clubhouse è coinvolgente, ci puoi anche incontrare Elon Musk o altri personaggi interessanti che condividono pensieri (noi on air abbiamo trovato Orietta Berti, ndr.)». Suggestioni che possono anche andare in profondità e, come abbiamo visto in Cina, dare molto fastidio. Il social è la rivincita del contenuto sull’immagine (pensiamo a Instagram e TikTok). Propone tempi lunghi, quelli di una conferenza, a dispetto della velocità del mondo. Vedremo nei prossimi mesi quanto arriverà lontano.

sco gente finita in tribunale per aver ignorato questa differenza». Un altro elemento su cui riflettere: per accedere a Clubhouse bisogna concedere ai gestori l’accesso alla propria rubrica telefonica. Commenta Attivissimo: «Tutti i social media e i motori di ricerca raccolgono una marea di dati personali per venderli agli inserzionisti. Il loro modello commerciale si fonda totalmente su questo». Oggi – spiega l’esperto – il mondo della pubblicità online si basa su quella che si chiama profilazione degli utenti. Si creano cioè dei profili commerciali con gusti, abitudini e status sociale degli utenti. Questi ultimi verranno poi «stalkerizzati» con pubblicità personalizzate (alle quali hanno dato il loro consenso non troppo informato, accettando senza leggere il regolamento). «C’è chi parla di sorveglianza commerciale. Un meccanismo che può sfociare nella sorveglianza delle opinioni». I social hanno un potere infinito, che in questo periodo pandemico è cresciuto. Sono capaci di trasmettere e amplificare idee, agitare le masse. Pensiamo a Navalny in Russia oppure ai profili bannati di Trump. I social sono entità potenti, dicevamo, che operano quasi a prescindere dalle frontiere. «È un problema serio», osserva Attivissimo. «Non esiste nessuna autorità transnazionale, tipo l’ONU, in grado di regolamentare la loro attività. E nessuno la vuole. Ogni Stato ha opinioni, limiti e regole differenti che intende difendere. Quello che è accettabile in un Paese è inconcepibile in un altro. Non è

possibile mettere tutti d’accordo. Così il potere rimane in mano allo Zuckerberg di turno». È il magnate americano – padrone di Facebook ma anche di Instagram e WhatsApp (tra l’altro approdato su Clubhouse come utente) – a dominare la Rete, insieme a Google. Sono loro gli arbitri delle conversazioni globali. «È un allarme che gli addetti ai lavori lanciano da tempo: Internet non è più un luogo aperto a tutti ma è diventato un insieme di giardini privati nei quali qualcuno ti dice cosa puoi dire o fare. E ciò che impone quest’entità non rispetta necessariamente la legge in vigore nel tuo Paese. Ma è così, prendere o lasciare». Nessuna soluzione in vista dunque. Non ci rimane che una cosa da fare, secondo il nostro interlocutore: rendere consapevoli gli utenti, informarli sull’ambiente insidioso in cui si muovono. Saranno poi loro a decidere se la realtà sia accettabile o meno. Torniamo adesso a Clubhouse e al suo successo trainato dai Vip che lo hanno abbracciato. Non è chiaro il reale numero di membri attivi sul social. Si oscilla fra i due milioni dichiarati dai cofondatori e i quasi cinque milioni stimati ad esempio da piattaforme di analisi come Apptopia (a inizio febbraio). In ogni caso Clubhouse ha già ricevuto offerte di capitalizzazione spaventose. «Intanto Facebook – dice Attivissimo – continua la sue campagne di rinnovamento e di assimilazione degli elementi che potrebbero comprometterne il monopolio. Non mi sorprenderei se avesse già provato ad acquistare anche questo social basato sulle conversazioni». annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 1 marzo 2021 • N. 09

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Politica e Economia

Il Papa e l’altra metà dell’Islam

Religioni Tra il 5 e l’8 marzo Bergoglio volerà in Iraq, un Paese segnato dalla guerra, dalle violenze e dalla pandemia.

Un viaggio storico che testimonia la volontà di tendere la mano al mondo sciita e sostenere i cristiani perseguitati

Giorgio Bernardelli Nel novembre 2019 si era spinto fino in Estremo Oriente, facendo tappa in Thailandia e Giappone. Allora neanche Francesco poteva immaginare che il lockdown presto sarebbe iniziato anche per lui: il Papa della «Chiesa in uscita» costretto a stare chiuso in Vaticano, o poco oltre. Assume dunque un significato particolare il fatto che questa settimana Bergoglio riprenda la strada del mondo: dal 5 all’8 marzo sarà infatti in Iraq per un viaggio profondamente desiderato e ostinatamente confermato nonostante le mille incognite che aleggiano intorno a Baghdad. Non ultima la Covid. Se infatti il pontefice ha già ricevuto entrambe le dosi del vaccino, l’immunizzazione è ancora una prospettiva lontana per chi vive tra il Tigri e l’Eufrate. Ed essendo i contagi anche qui nelle ultime settimane tornati a crescere, c’è il rischio che molti iracheni questo viaggio siano costretti a vederlo in Tv. Eppure sarà comunque per tutti un fatto epocale: erano anni che Bergoglio aveva espresso il desiderio di recarsi in quella terra. E sarà il primo Papa a riuscirci: l’Iraq era stato infatti uno dei viaggi mancati di Giovanni Paolo II. Nel 2000 – anno del suo grande Giubileo – anche Wojtyla aveva sognato di cominciare il suo pellegrinaggio in Terra santa da Ur dei caldei, in Mesopotamia, il luogo dal quale secondo la tradizione il patriarca Abramo iniziò il suo itinerario fisico e spirituale. Un posto che si trova poco lontano da Nassiriya, nel sud dell’Iraq. Quelli erano ancora gli anni di Saddam Hussein, che un Papa l’avrebbe anche accolto volentieri; ma alla fine furono le pressioni geopolitiche intrecciate alle preoccupazioni per la sicurezza a rendere impossibile il progetto. Poi in Iraq è successo di tutto: la seconda guerra del Golfo nel 2003, con l’uscita di scena del rais, ma anche

la sua eredità pesante, fatta di violenza fondamentalista e un vero e proprio calvario per la Chiesa locale. Vent’anni fa erano un milione e mezzo i caldei, i cristiani dell’Iraq. Le ripetute stragi, le minacce, l’emigrazione li hanno ridotti a poche centinaia di migliaia, concentrati soprattutto al nord, nella zona di Erbil, il capoluogo di quello Stato nello Stato che è il Kurdistan iracheno. Dentro tutta questa sofferenza – che le grandi potenze occidentali dopo aver scatenato la guerra hanno tendenzialmente rimosso – la parabola dell’Isis è stata solo l’ultimo anello della catena. Era l’estate del 2014 quando, da appena un anno salito al soglio di Pietro, Papa Francesco assisteva attonito da Roma alle testimonianze dell’esodo forzato da Mosul e dalla Piana di Ninive. Con le porte delle case dei cristiani marchiate con la lettera nur, l’iniziale di nazareni, dai miliziani del sedicente Califfato e l’ordine di lasciare le città entro l’alba per poter almeno avere salva la vita. C’è tutto questo dentro il viaggio che Bergoglio si appresta a compiere, con tante tappe legate alle lacrime di quel Paese: a Baghdad incontrerà i sacerdoti e i religiosi nella cattedrale siro-cattolica di Nostra signora della salvezza, dove il 31 ottobre 2010 ben 48 fedeli – famiglie con bambini, anche di pochi mesi – furono massacrati da un commando terrorista durante una celebrazione. A Mosul il Papa pregherà per tutte le vittime dell’Isis nella piazza della chiesa, ancora in macerie dopo il tempo dell’orrore. A Qaraqosh, nella Piana di Ninive un tempo culla di una folta comunità cristiana, incontrerà quanti pur tra mille difficoltà e in un Paese tutt’altro che pacificato hanno avuto il coraggio di tornare in case che non esistono più. Nello stadio di Erbil, infine, celebrerà la messa con chi ancora vive da esule nella propria stessa terra.

L’ultimo viaggio oltre i confini italiani del pontefice è stato in Thailandia e Giappone nel novembre 2019. (Keystone)

Accanto alla vicinanza ai cristiani iracheni perseguitati, però, il viaggio di Papa Francesco avrà anche un secondo tema non meno importante: sarà l’occasione per l’incontro con «l’altra metà dell’Islam». Se infatti il 2019 per Bergoglio si era aperto con l’altrettanto storico appuntamento di Abu Dhabi e la firma della Dichiarazione sulla fratellanza umana insieme al grande imam di al Azhar, Ahmad al Tayyeb (il più autorevole esponente del mondo dottrinale sunnita), l’Iraq sarà il teatro di un incontro della stessa portata con il mondo sciita. Il Papa vedrà infatti il grand ayatollah Sayyid Ali al-Husayni al-Sistani, figura religiosa ritenuta per molti versi il contraltare dell’ayatollah Khomeini,

il padre della Rivoluzione iraniana. E questo incontro si terrà a Najaf, una città fondamentale per la storia e la mistica del mondo sciita. Sarà dunque, questo viaggio in Iraq, un nuovo tassello nell’alleanza tra le religioni per la pace che Papa Francesco va ostinatamente cercando di costruire. Un ponte gettato anche sulla grande frattura tra sunniti e sciiti, che da secoli attraversa il mondo islamico e negli ultimi anni ha visto una grave recrudescenza nei conflitti che dalla Siria allo Yemen hanno sfregiato il Medio Oriente. Un tentativo di dialogo in un momento cruciale anche dal punto di vista geopolitico per quest’area del mondo: la presidenza Biden deve

decidere quale strada intraprendere nei confronti dell’Iran, dopo il duro confronto dell’era Trump, sostenuto a spada tratta da Israele, Arabia Saudita e Paesi del Golfo. Come uscire dalla logica della contrapposizione ma nello stesso tempo non chiudere gli occhi di fronte ai sogni di potenza di Teheran, che proprio in Paesi come l’Iraq appaiono in tutta la loro pericolosità? Proprio a Ur dei caldei, il luogo da cui Abramo partì per seguire la voce di Dio, Papa Francesco pregherà insieme agli esponenti delle altre religioni. Nella speranza che questa preghiera possa indicare una strada che conduca il Medio Oriente fuori dal bagno di sangue della sua storia recente.

Gwadar, la nuova Dubai in mani cinesi

Pakistan Nel bel mezzo di una regione dove mancano le infrastrutture e domina la miseria sorgerà un paradiso

dello shopping, del divertimento e degli investitori esteri. Nessuna prospettiva per la popolazione locale Francesca Marino Poche righe riportate a stento dai quotidiani locali alla fine dello scorso dicembre: il Governo pakistano, su sollecitazione cinese, sta fortificando Gwadar, la città sul mare fiore all’occhiello del China-Pakistan economic corridor dove i cinesi hanno costruito un porto commerciale e che intendono lanciare come «la prossima Dubai». A dispetto degli abitanti del luogo che si sono svegliati una bella mattina per ritrovarsi, una volta di più, ingabbiati da chilometri di filo spinato (24 a lavoro finito) inteso in teoria a proteggere le zone commerciali e industriali. Zone che, secondo il master plan per lo sviluppo di Gwadar pubblicizzato dal Governo, dovrebbero essere grosso modo tre: Gwadar port free zone, Gieda industrial zone e Epza export processing zone. Peccato che il filo spinato non sia nemmeno vicino a una di queste zone. Divide invece in due metà nette abitazioni private e condomini. Togliendo l’accesso al mare e ogni possibilità di sopravvivere a una buona fetta di popolazione locale che vive di pesca. La stessa popolazione che, sempre in nome del master plan e dello sviluppo, è stata già in larga parte privata dell’accesso all’acqua potabile. Gwadar, secondo i suoi abitanti, somiglia sempre di più a una prigione a cielo aperto. E il vero scopo del filo spinato e dei

15mila soldati cinesi installatisi al porto, su cui sventolano le bandiere cinese e pakistana, non è quello di garantire la sicurezza delle installazioni commerciali ma soltanto quello di difendere gli interessi di Beijing e di tenere i beluci fuori. Gwadar difatti, che si trova in una regione illegalmente occupata del Pakistan, teatro di guerra da più di 70 anni e duramente colpita da povertà e mancanza di infrastrutture, è destinata a diventare un paradiso dello shopping, degli investitori esteri e dei golfisti. I lavoratori coinvolti nel progetto sono quasi esclusivamente cinesi o pa-

L’importanza del mare. (shutterstock)

kistani importati dal Punjab. Mentre, secondo le ultime statistiche, il 71% degli abitanti del Belucistan vive sotto la soglia di povertà. La percentuale sale a 82% se si prendono in esame soltanto le zone rurali, che sono la maggioranza. Non ci sono ospedali, non ci sono scuole. Gran parte dei beluci non ha accesso all’elettricità, all’acqua potabile o al gas nonostante l’impianto di Sui rifornisca tutto il resto del Pakistan. Ma il master plan prevede, oltre a «1,2 milioni di posti di lavoro altamente retribuiti», lo sviluppo di «resort di lusso, campi da golf fronte mare e centri commerciali». Inoltre «i professionisti espatriati rappresenteranno l’80% di della popolazione di Gwadar», la quale «è destinata a diventare la prima città del Pakistan in cui non ci sono tasse né armi». «La sicurezza di espatriati e investitori è garantita da una solida rete, che include telecamere a circuito chiuso, uno stretto controllo dei veicoli in circolazione, telecamere ovunque e impianti di allarme». «Il primo paradiso fiscale del Pakistan avrà grandi teatri, una città universitaria, negozi in riva al mare e passeggiate per il tempo libero, parchi, spiagge, hotel a 5 stelle e un porto per navi da crociera che collega Muscat, Dubai, Doha, Bahrain e Jeddah». E il China-Pak golf estates, uno dei gioielli della corona del master plan, viene sviluppato e pubblicizzato dalla Cpic:

China-Pakistan investment corporation. La composizione dei membri del consiglio di amministrazione della società è molto interessante: almeno 3 militari o ex-militari pakistani, un paio di aristocratici inglesi in passato molto legati alla Cina e un ex funzionario cinese. La Cpic costruisce, inoltre, anche la International port city ed è alla ricerca di investitori. Secondo il suo sito web, il progetto è destinato «a soddisfare le esigenze degli espatriati e dei professionisti cinesi che dovrebbero lavorare lì in futuro» e «garantisce tutto il necessario per vivere, lavorare e divertirsi (...) e disporrà del primo tempio cinese costruito a Gwadar». Si trovano personaggi interessanti anche nel consiglio di amministrazione dell’altra società che fa la parte del leone nella zona, la Am99: il suo fondatore, ancora una volta un ex militare, è anche membro della Balochistan development authority, la commissione statale che supervisiona i progetti del Cpec in Belucistan. La stessa commissione che fieramente proclama di non «possedere un singolo pezzo di terra». Non ufficialmente, forse. Ma di certo il sito web del Gwadar club & Ninety nine beach resorts costruito dalla Am99 pubblicizza accessi privilegiati alla Bda per i businessmen membri del club. La silver membership (le tariffe per la gold e la platinum non sono disponibili) costa 300’000 rupie pakista-

ne. Il reddito pro-capite annuo degli abitanti del Belucistan è di circa 3000. A leggere i siti web del Cpic o della Am99 viene quasi da ridere. Secondo loro «Gwadar è anche ampiamente riconosciuta come una città sicura e protetta, quindi non ci sono preoccupazioni per il benessere dei suoi residenti. Si trovano in loco circa 9000 soldati dell’esercito pakistano e 6000 soldati appartenenti ai corpi paramilitari». Più i 15mila militari cinesi, ovviamente. Tutto ciò conferma i peggiori timori degli abitanti del luogo. Gwadar è destinata a diventare una Disneyland recintata e armata a uso e consumo di stranieri e militari, a essere di fatto tagliata fuori dal resto della regione che continuerà a versare in uno stato di povertà assoluta. La composizione etnica della regione sarà per sempre alterata, con pesanti ripercussioni politiche e amministrative. E mentre cinesi e militari faranno festa dentro ai club privati, il resto della città e della regione sarà sotto stretto controllo, con estremisti a piede libero importati nella regione (ad esempio i taliban e la shura di Quetta) più di quanto non siano già. I suoi abitanti continueranno a essere privati dei più elementari diritti umani e civili. Nel nome della nuova Via della Seta e del regime militare che domina il Pakistan.


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Come gustarlo Con formaggio a pasta molle, miele e senape Miscelare della senape e del miele, spalmarli sulle fette di pane e guarnire con delle fettine di formaggio. Cospargere con del crescione e condire con del pepe.

Il pane si sposa bene con… Il prosciutto crudo Prosciutto crudo affumicato o formaggio a pasta molle sono ideali da gustare con il pane chiaro di patate con noci.

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Pane di patate con noci L’aromatico pane semibianco con segale deve il suo inconfondibile sapore all’aggiunta di noci. I fiocchi di patate gli conferiscono una leggera nota dolciastra – permettendo di mantenerlo fresco più a lungo

Le noci Da sempre un piacere Le noci sono tra gli alimenti più antichi conosciuti. Già durante l’età della pietra erano considerate un gustoso piacere. Dei ritrovamenti archeologici hanno rivelato che l’albero di noce è originario della Siria e della Turchia. Oggi è coltivato principalmente in Cina, Italia, Turchia e Stati Uniti.


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Politica e Economia

Effetti della pandemia sulle imposte di Confederazione, cantoni e comuni Casse pubbliche La fiscalità è già pesante sui redditi alti e lascia poco spazio di manovra. Si potranno aiutare

imprese e persone fisiche con riduzioni di imposte? Il dilemma delle finanze pubbliche dei prossimi anni

Ignazio Bonoli Si calcola che l’attuale pandemia avrà conseguenze diversificate sui redditi della popolazione. In parecchi paesi, come anche in Svizzera, gli interventi dello Stato tendono per lo meno a frenare l’aumento delle diseguaglianze. Si sente talvolta anche dire che la pandemia provocherà «perdenti» e «vincitori», anche a livello di pressione fiscale. Qui, effettivamente, la progressività delle aliquote dell’imposta ha già qualche effetto. In media il gettito di questa imposta sui redditi, prelevato tanto da Confederazione, quanto da cantoni e comuni, varia tra i 55 e i 57 miliardi di franchi all’anno. Quale sarà l’effetto della pandemia su questo gettito? Forse è presto per avere dati certi, ma si può già pensare che non vi saranno grandi ammanchi, poiché i redditi più elevati non hanno sofferto. È la conclusione a cui giunge il professor Pascal Hinny, docente a Friburgo e titolare di uno studio specializzato in diritto fiscale a Zurigo. Basandosi sui dati più recenti (febbraio 2021) della pressione fiscale sui redditi delle persone fisiche, nei capoluoghi dei vari cantoni, Hinny conclude che l’aliquota globale media è del 33,8% (senza l’imposta parrocchiale) ed è praticamente uguale a quella dell’anno precedente e anche degli ultimi cinque anni.

La statistica permette però di constatare differenze talvolta notevoli tra cantoni e cantoni, e anche tra comuni, nonché fra i livelli di reddito imponibile. Le imposte più alte sono dovute, per l’imposta federale diretta, dai contribuenti sposati, con redditi sopra i 145’000 franchi. Nei cantoni, questa situazione si verifica però oltre i 200’000 o anche oltre i 300’000 franchi di reddito. Questo perché i cantoni praticano tassazioni molto differenziate, il che si ripercuote anche sulle tassazioni dei comuni che, a loro volta, applicano un moltiplicatore dell’imposta cantonale che varia da comune a comune. Si può così constatare che il comune più esigente è situato nel canton Ginevra, dove la tassazione globale raggiunge il 46% del reddito. Si tratta di più del doppio del comune più favorevole, situato nel canton Svitto, con il 22% soltanto. Il canton Zugo è sempre il più favorevole con il 22,4% a Zugo stessa, mentre in Ticino, nel capoluogo, si paga il 40,1%, ma il comune più caro risulta essere Astano (in difficoltà anche politiche) con il 42,7% e quello più favorevole è Castel San Pietro con il 34,4%. Il canton Grigioni è ancora tra i più favorevoli (33,2% a Coira), con vari comuni che però salgono al 36,8%, mentre Rongellen (vicino a Thusis) scende al 25,8%. Differenza sicuramente dovuta al comune piccolo, ma con forte

presenza di impianti idro-elettrici. Tra i capoluoghi più cari, oltre al Ticino, si trovano quelli dei cantoni con grandi città: Ginevra 45,0%, Basilea Campagna 42,2%, Berna 41,2%, Basilea-Città 40,5%, Zurigo 40,0%. Sotto questo livello, ma di poco, vi sono i cantoni romandi, mentre i più favorevoli, oltre a Zugo, sono i cantoni della Svizzera centrale e i due Appenzello (tutti sotto il 30%). Tutti gli altri si situano tra il 30,8% (Sciaffusa) e il 34,5% (Argovia). Questa situazione molto variegata è talvolta fonte di un certo turismo fiscale. Molti contribuenti con redditi elevati scelgono zone particolari come la «Costa d’oro», vicina a Zurigo (anche Roger Federer vi ha acquistato un terreno per la sua villa), oppure Muri, vicino a Berna, o da qualche tempo anche i cantoni della Svizzera centrale. Uno studio di qualche tempo fa dell’Università di Basilea aveva calcolato che la scelta di uno di questi comuni, per redditi fra i 300’000 franchi e 1 milione, permetteva di ridurre l’onere fiscale tra l’1 e il 3%. Per redditi più alti l’impatto è perfino maggiore. Tuttavia l’apporto fiscale degli alti redditi è notevole, grazie ad aliquote globali fra il 40 e il 45%. Questo significa anche un forte tasso di ripartizione delle risorse fiscali. Nel 2014 era stato calcolato che il 20% delle persone fisiche con i redditi più alti versava il 70%

Ueli Maurer, Guy Parmelin, Alain Berset: le misure per contenere la pandemia costano miliardi, che dovranno in qualche modo essere recuperati. (Keystone)

del gettito totale delle imposte di Confederazione, cantoni e comuni. Da tempo si constata che la Svizzera non è più un paradiso fiscale per tutti. Anche lo studio citato constata, infatti, che per gli alti redditi la fiscalità, tenuto conto anche dell’imposta sulla sostanza e di altri numerosi balzelli, si fa sempre più pesante. Per redditi tra i 100’000 e i 150’000 franchi la progressione delle aliquote abbastanza contenuta rende la Svizzera fiscalmente attraente. Il fenomeno nuovo dovuto alla

pandemia è però dato dal forte indebitamento degli enti pubblici. Per la Confederazione si prevedono deficit 2020 e 2021 che coprono la metà delle entrate ordinarie. Per cantoni e comuni la situazione dovrebbe essere meno grave. Tuttavia, per uscire dalla crisi e rilanciare l’economia saranno necessari interventi anche pubblici, ma sarà difficile aiutare il privato, comprese le aziende, con riduzioni di imposte, tanto più che i gettiti attuali subiranno qualche contrazione. annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

Sta tornando l’inflazione negli Stati Uniti? La consulenza della Banca Migros Thomas Pentsy

Finora negli USA la pressione inflazionistica è stata bassa (variazione rispetto all’anno precedente) 6.0 % 5.0 % 4.0 % 3.0 % 2.0 % 1.0 % 0.0 % -1.0 % -2.0 % -3.0 %

Indice dei prezzi al consumo dei prezzi della benzina. Escludendo i prezzi volatili dei prodotti alimentari e dell’energia, l’andamento dei prezzi è rimasto stagnante. Anche il tasso annuale di inflazione di base è risultato pari all’1,4% in gennaio rispetto all’1,6% di dicembre. Per il secondo trimestre dell’anno

Inflazione di base

sono prevedibili tassi d’inflazione più elevati negli Stati Uniti. Questo è dovuto al fatto che la crisi legata al Coronavirus ha colpito l’economia più duramente nel secondo trimestre del 2020. In un contesto di ripresa congiunturale i raffronti annuali forniranno probabilmente un quadro

Fonte: Datastream

Thomas Pentsy è analista di mercato presso la Banca Migros

Lo scorso anno la banca centrale statunitense ha reagito allo scoppio della pandemia dovuta al Coronavirus con un’espansione senza precedenti della massa monetaria. In passato, una politica monetaria ultraespansiva ha causato spesso tassi d’inflazione elevati. Nel frattempo, l’economia degli Stati Uniti continua a riprendersi mentre la campagna di vaccinazione avanza, i prezzi delle materie prime aumentano e il nuovo presidente Joe Biden ha presentato un altro pacchetto fiscale dell’ordine di diversi miliardi. Non sorprende quindi che le aspettative di inflazione siano aumentate sui mercati finanziari. L’inflazione può essere misurata in diversi modi. Il modo più comune di seguire l’inflazione è attraverso l’indice dei prezzi al consumo. Questo indicatore rappresenta le variazioni dei prezzi per un ampio paniere di beni e servizi. Il rapporto sull’inflazione statunitense di gennaio ha riflesso una pressione sui prezzi più debole del previsto. L’inflazione è ben al di sotto dell’obiettivo medio di inflazione del 2% della Federal Reserve. L’indice dei prezzi al consumo è aumentato rispettivamente dello 0,3% rispetto a dicembre e dell’1,4% rispetto all’anno precedente. L’aumento è dovuto soprattutto all’incremento

ingannevole dell’inflazione a causa degli effetti di base e dei recuperi dei prezzi. Il mercato del lavoro, a sua volta, si riprenderà meno rapidamente dell’attività economica. A più lungo termine la Banca Migros non si aspetta una spinta inflazionistica destabilizzante. annuncio pubblicitario


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Politica e Economia rubriche

Il Mercato e la Piazza di angelo rossi Ticino, capacità innovativa modesta Mai come a partire dall’inizio di questo secolo si è sentito parlare di innovazione tecnologica e di nuove tecnologie. Le ragioni di questo interesse sono sicuramente diverse. Una però ci sembra prevalere sulle altre. Dall’inizio degli anni Settanta dello scorso secolo il tasso di crescita del Pil reale delle economie europee, quella svizzera compresa, si è ridotto a poca cosa: raramente supera il livello del 2%. Che le cose stiano così lo si deve al fatto che anche gli investimenti del settore privato che, in tutte le economie di mercato rappresentano il motore della crescita, aumentano a tassi decisamente inferiori a quelli medi dei primi decenni del secondo dopoguerra. Gli uomini politici, i commentatori, gli economisti che si occupano di politica economica e quant’altri sono quindi tutti sull’attenti per scorgere se, da

qualche parte, si annuncia una nuova ondata di investimenti che potrebbe rilanciare l’economia. Come sappiamo oramai da più di un secolo, grazie in primis alle teorie di Joseph Schumpeter, solo l’innovazione tecnologica può provocare la ripartenza degli investimenti. E qui termina la nostra lezione sull’importanza dell’innovazione per la crescita. Quello di cui vogliamo infatti occuparci in questo articolo sono le differenze nella capacità innovativa tra regione e regione del nostro paese. Se tra una regione e l’altra esistono differenze nella capacità di innovare è anche chiaro che diversa sarà anche la probabilità di sviluppo delle stesse. Regioni con capacità di innovare alta si svilupperanno con tassi di crescita del Pil reale (e variazioni della produttività, aumenti dell’occupazione e dei salari) più elevati di regioni con capacità

di innovare basse. Ma come misurare la capacità innovativa di una regione, per esempio quella dell’economia ticinese? È qui che interviene lo statistico. Intendiamoci, non è un compito facile misurare la capacità innovativa di una regione perché ci si deve appoggiare sui dati forniti dalle aziende del settore privato. Le stesse non sono sempre pronte a riempire i questionari di un’inchiesta dell’Ufficio federale di statistica. Di conseguenza crediamo sia giusto osservare come i dati forniti dalla statistica sulla ricerca e sullo sviluppo vanno considerati con molta precauzione. Comunque qualcosa dicono. Di recente sono stati pubblicati quelli per il 2019, il che ci consente di verificare, tra l’altro, quanto grande sia il gap tra il Ticino e il resto del paese in materia di innovazione. La statistica federale si basa su tre indicatori: due

indiretti e uno diretto. I due indicatori indiretti sono il personale occupato nelle attività di ricerca e sviluppo e la spesa che le aziende effettuano per finanziare queste attività. L’indicatore diretto dell’innovazione è invece rappresentato dal numero di brevetti depositati da inventori svizzeri residenti nella regione analizzata. Cominciamo dall’impiego nelle attività di ricerca e sviluppo. Nel 2019, in Ticino, queste attività occupavano 1155 persone il che corrispondeva allo 0,8% dell’occupazione in attività di ricerca e sviluppo a livello nazionale. Anche in materia di spese per la ricerca e lo sviluppo la quota del Ticino era, nel 2019, pari allo 0,8%. Queste percentuali dimostrano che il Ticino non fa parte delle regioni con grande capacità innovativa. Lo possiamo constatare confrontando, per esempio, la quota della spesa per la

ricerca e lo sviluppo nel Pil. A livello nazionale, nel 2019, questa quota era pari al 2,1%; in Ticino solo allo 0,8%. Resta ancora molto da fare, insomma, per migliorare la capacità innovativa delle aziende ticinesi. La statistica sulla ricerca e lo sviluppo offre comunque un dato confortante. Dal 2000 al 2017 (ultimo anno per il quale si dispone di informazioni) il numero delle domande di brevetti depositati da inventori svizzeri residenti in Ticino è raddoppiato mentre a livello nazionale l’aumento è stato solo del 78%. In termini assoluti questo aumento significa però che in Ticino si è passati da 11 a 22 domande depositate mentre a livello svizzero si è passati da 1506 a 2684. La quota del Ticino nel totale delle domande di brevetto depositate resta modesta: ancora una volta si tratta dello 0,8%.

trebbe definire di solidarietà nazionale, con quasi tutti i partiti insieme in maggioranza. Draghi ha esposto un programma ampio, che richiederebbe anni, per riformare il fisco, la giustizia, la burocrazia; ma dice di non volere durare a ogni costo: «Il tempo del potere può essere sprecato anche nell’illusione di conservarlo». La sensazione è che la Lega non reggerà a lungo nella stessa maggioranza con la sinistra, lasciando da sola Giorgia Meloni all’opposizione. Anche perché la situazione dell’Italia è talmente grave che pure il migliore dei Governi rischia di diventare impopolare. Ovviamente con un arco temporale di un anno non si fa nessuna ricostruzione. L’Italia è reduce da una lunga crisi strisciante cominciata all’inizio degli anni Novanta, con la perdita di competitività e il declino industriale; da una crisi acuta importata dopo il 2008 dagli Stati Uniti, dalla quale secondo i politici gli italiani sarebbero dovuti uscire prima e meglio degli altri, mentre è accaduto il contrario; dalla crisi

drammatica provocata dalla pandemia, che un anno fa ha colpito l’Italia per prima tra le Nazioni europee. La metafora della ricostruzione, come dopo la Seconda guerra mondiale, non è affatto peregrina. Va detto che il Paese nel 1945 era incomparabilmente più povero di oggi. Fu ricostruito con il lavoro. Lavoro prestato in condizioni durissime, oggi per fortuna e doverosamente non riproducibili: bambini e donne incinte curve sui campi, ciminiere in città, acciaierie in riva al mare, reparti verniciatura. Ma lavoro. Oggi i soldi si fanno con altri soldi, il lavoro sembra diventato un retaggio del passato, da sostituire con i robot, la Rete e il reddito di cittadinanza. E se proponi un piano per inserire i giovani nelle aziende e nella pubblica amministrazione, con stage che siano vere esperienze e non forme per far lavorare la gente senza stipendio, ti seppelliscono di insulti. Non so se gli italiani abbiano lo spirito necessario a ricostruire, con il pensiero rivolto alle generazioni future. Di sicuro da Draghi si attendono molto.

parlamento: due-tre deputati in Gran Consiglio, con un tonfo clamoroso nel 1995 (un solo rappresentante). E invece il Pat risorse, sebbene sotto mutate spoglie. Cambiato il nome nel 1971 (Unione democratica di centro) riuscì ad agganciarsi alla nuova Udc nazionale («Schweizerische Volkspartei») trainata da Christoph Blocher, che proprio negli anni Novanta prese a mietere successi lungo due fronti: la politica anti-Ue e il contrasto allo straniero, nelle sue varie incarnazioni, dal rifugiato al frontaliere. In Ticino, benché insidiato dalla concorrenza leghista, l’Udc seppe sfruttare abilmente i punti controversi della proposta politica, sia nel campo della formazione (affossamento del Centro universitario e, più recentemente, della «Scuola che verrà), sia nel campo del mercato del lavoro («Prima i nostri»). Nell’ultima tornata elettorale cantonale, l’Udc è risalita a sette seggi; ma più rilevante ancora è stata la sua progressione a li-

vello nazionale, con un deputato alla Camera bassa (Piero Marchesi) e un rappresentante al Consiglio degli Stati (Marco Chiesa, che nel frattempo è pure diventato presidente dell’Udc nazionale). La traiettoria elettorale dell’Udc ticinese è stata dunque a gobba di cammello: ascendente durante i primi anni di esistenza, una quasi caduta verticale tra il 1927 e il 1995, un’energica ripresa dal 1999 in poi. Ogni raggruppamento conserva ed esprime tratti peculiari che lo distinguono dagli altri. La scheda segnaletica dell’Udc evidenzia soprattutto tre «segni particolari»: il patriottismo nel solco della tradizione elvetica «sovranista»; l’adesione al modello politico svizzero-tedesco (scarsa o nulla l’influenza della fraseologia e delle formule ideologiche italiane); e infine un’istintiva diffidenza nei confronti dell’intellighenzia (pressoché assenti nei suoi ranghi gli intellettuali d’area umanistica).

In&outlet di aldo Cazzullo La ricostruzione e la fragile solidarietà Ho seguito l’insediamento di Mario Draghi al Senato e ho provato un certo imbarazzo. Non per lui e per il suo discorso, di alto livello. Per i senatori. La realtà è che Draghi non lo voleva quasi nessuno, anche se hanno finito per votarlo quasi tutti. Un mese prima non si trovava un parlamentare disposto a scommettere su quella che pareva già allora la soluzione più logica: mettere a Palazzo Chigi l’italiano più qualificato in Europa e sui mercati a spendere i 209 miliardi del Recovery plan. Ci si è arrivati non grazie, ma nonostante i partiti. Draghi e i senatori si sono fronteggiati con circospezione. È stato l’incrocio tra un presidente del Consiglio che parlava per la prima volta in vita sua all’aula e parlamentari incerti se applaudire, a rischio di interromperlo, o restare a braccia conserte, a rischio di offenderlo. Il risultato? Tanti applausetti, in particolare quando i vari partiti riconoscevano le proprie parole-chiave: così il Partito democratico ha approvato il passaggio sull’europeismo, la Lega quello su rimpatri

dei clandestini. Quasi impietriti i Cinque stelle mentre qualche senatore, per non sbagliare, ha applaudito sempre, anche quando Draghi ha stigmatizzato la desertificazione del pianeta che agevola il passaggio dei virus dall’animale all’uomo. Il nuovo presidente del Consiglio ha incentrato il programma del suo Governo sul concetto di ricostruzione, come nel Dopoguerra, con i Governi di unità nazionale. Il tema del rapporto tra le generazioni, del resto, fa parte delle sue riflessioni pubbliche da molto tempo. Lo ricordo più di dieci anni fa a un convegno di Comunione e liberazione a Rimini, dove citò un insegnamento di suo padre, che su un muro della città tedesca dove era emigrato aveva letto questa scritta: «Se hai perso il tuo denaro non hai perso nulla perché potrai guadagnarne altro. Se hai perso l’onore hai perso molto, ma con un atto eroico lo potrai riavere. Ma se hai perso il coraggio hai perso tutto». In Senato non ha ripetuto quella citazione, ma ha detto un’altra frase

che mi ha molto colpito: «Spesso mi sono chiesto se la mia generazione stia facendo per i nostri figli e i nostri nipoti quello che i nostri padri e i nostri nonni hanno fatto per noi, sacrificandosi oltre misura». La risposta ovviamente è no. E quindi il suo Governo sarà un’occasione per fare qualcosa di concreto per le nuove generazioni. I toni del primo intervenuto pubblico di Draghi sono stati molto diversi dai rimproveri di Napolitano ai parlamentari che lo rieleggevano, o dall’atteggiamento di Renzi che con la mano in tasca esordiva a braccio: «Auspico che sia l’ultima volta che voi senatori votate la fiducia a un Governo». Al contrario Draghi ha sostenuto che la nascita del suo Governo non è la sconfitta della politica: nessuno deve fare un passo indietro, semmai un passo avanti. E ha chiarito che intende mostrarsi premier a tutto tondo, non solo uomo di finanza: «Vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta». Si tratta ora di capire quanto tempo potrà durare un Governo che si po-

Cantoni e spigoli di orazio martinetti Udc: siamo piccoli ma cresceremo Nel 1976, a conclusione di un saggio sulla storia politica dell’Ottocento, Roberto Bianchi e Andrea Ghiringhelli osservavano che «negli ultimi anni si è fatto parecchio per riscoprire e ricostruire le fonti disperse e qualcosa si è ottenuto. Ma siamo ancora agli albori, almeno per quel che riguarda la storia politica». Da allora sono trascorsi oltre quattro decenni e in questo lasso di tempo molto è stato fatto in questo ambito di studi (biografie, momenti di svolta, dissidi e scissioni), in primo luogo per merito dei medesimi ricercatori sopra citati. La storia delle formazioni politiche ticinesi non è più una distesa di sabbia in cui spiccano solo qui e là alcune pregevoli oasi. Tuttavia le lacune da colmare e le tessere mancanti sono ancora numerose, specie per le vicende dell’ultimo mezzo secolo. Per questo è da salutare con favore il recente volume sulla storia dell’ex Partito agrario ticinese, oggi Udc, pubblicato dall’editore Dadò con

il sostegno della Fondazione Carlo Danzi (Un secolo di storia politica). Gli autori, due storici (Fabrizio Mena e Marco Marcacci) e due politologi (Carolina Ferrari-Rossini e Oscar Mazzoleni), hanno potuto portare a termine il loro mandato in piena libertà; inoltre alcuni ex dirigenti hanno messo a disposizione i loro fondi archivistici privati: gesto, anche questo, commendevole, piuttosto raro tra le famiglie che sul piano politico hanno lasciato un’impronta nella storia cantonale. L’Udc nacque all’indomani della Grande Guerra, nel 1920, quale costola dei due partiti maggiori, i liberali e i conservatori (più dei secondi che dei primi). Allora la quota della popolazione attiva nel settore primario (agricoltura, allevamento, selvicoltura) era ancora elevata, benché calante di anno in anno. Il settore era però in affanno, nel solco di un’arretratezza che affondava le sue radici nei secoli precedenti, sia nei metodi coltivazio-

ne, sia nell’organizzazione complessiva (frazionamento dei terreni). Occorreva dunque porvi rimedio, varando riforme incisive, strutturali, fondate su una concezione moderna dell’impresa agraria. Compito che si propose, non senza incontrare ostacoli, l’ingegnere Gaetano Donini, senza dubbio la «mente» di questa prima fase del nuovo partito. Sulle prime il Partito agrario (Pat) raccolse un certo numero di consensi, specie nelle valli superiori e nel Locarnese; nel «governo di paese» varato nel 1922 da Giuseppe Cattori, il Pat ottenne subito un seggio in Consiglio di Stato, con Raimondo Rossi, amministratore rigorista che fece quadrare i conti ma senza guadagnarsi le simpatie dei colleghi. Fu la prima e unica volta. Dopo di che prese avvio la parabola discendente, un’esistenza precaria e marginale, una «traversata del deserto» (Marcacci) che fece temere più volte la scomparsa degli agrari dai banchi del


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 1 marzo 2021 • N. 09

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Idee e acquisti per la settimana

L’uomo non ne parla. L’uomo se ne vergogna. Oppure l’uomo pensa che l’incontinenza urinaria sia da attribuire unicamente all’invecchiamento. Ma non è vero. Perché a nessuna età è normale perdere urina in modo incontrollato. Circa un uomo anziano su dieci soffre di incontinenza urinaria, ma solo il 20 per cento di loro consulta un medico.

Quale il tipo di incontinenza più comune negli uomini? L’incontinenza da sovraccarico è il genere di debolezza vescicale più comune negli uomini. A differenza delle altre forme di incontinenza, non è dovuta a un malfunzionamento nell’immagazzinamento dell’urina, bensì a una disfunzione nello svuotamento della vescica. Spesso compare quale conseguenza di un restringimento dell’uretra, per esempio a seguito di un ingrossamento della prostata dovuto all’età, che porta a un ristagno di urina nella vescica.

Quando si dovrebbe cercare aiuto? Il più presto possibile. Molti uomini scelgono di non rivolgersi a un medico finché non è più possibile ignorare il problema. Devono però essere consapevoli che rimandando è possibile andare incontro a maggiori problemi e necessità di trattamento. È quindi meglio parlarne al più presto con il proprio medico di famiglia.

Cosa causa l’incontinenza urinaria? La causa più comune dell’incontinenza è dovuta all’ingrossamento della prostata, che ostruisce il flusso di urina. L’urina si accumula nella vescica, che si espande sempre più, e il bisogno di urinare viene percepito in modo improvviso. Malattie come il diabete, il morbo di Parkinson, l’ictus o la sclerosi multipla possono danneggiare i nervi preposti al controllo dei muscoli della vescica. Lo svuotamento della vescica può risultare disturbato anche in caso di paraplegia o di altri danni ai nervi del midollo spinale. Ciò può talvolta portare a una vescica «iperattiva»: uno squilibrio tra le forze muscolari che provvedono allo svuotamento della vescica e quelle che possono trattenere l’urina. Anche gli effetti collaterali di alcuni farmaci possono favorire l’incontinenza urinaria.

L’incontinenza urinaria può essere la conseguenza di un intervento chirurgico alla prostata? Sì, ma la sua incidenza è sopravvalutata. L’incidenza a seguito di un classico intervento alla prostata ingrossata riguarda infatti un massimo di tre uomini su cento. Sondaggi dimostrano che chi si è sottoposto all’intervento in genere si dichiara comunque soddisfatto della propria qualità di vita. Spesso infatti l’incontinenza urinaria era già presente

INCONTINENZA, UN ARGOMENTO TABÙ un uomo su dieci è confrontato con il problema. eppure la gran parte di loro non affronta la questione e non ha quindi accesso a possibilità di trattamento che si sono dimostrate efficaci testo: martina Frei

prima dell’operazione, a cui sarebbe dunque errato attribuirne la causa. È tuttavia possibile che l’incontinenza da sovraccarico aumenti notevolmente a seguito dell’operazione, anche se nella maggioranza dei casi il problema può essere trattato. Il rischio di incontinenza urinaria è invece più alto a seguito di un intervento per un cancro alla prostata. Quanto più alto dipende dalle dimensioni del tumore, ma anche dalle conoscenze e dall’esperienza del chirurgo. Nel corso del primo anno che fa seguito all’intervento è spesso possibile rimediare o almeno mitigare l’incontinenza grazie a un’intensa fisioterapia.

Quali sono le opzioni di trattamento più semplici? L’incontinenza urinaria più essere curata o almeno migliorata per oltre il 90% delle persone che ne sono affette. Un primo aiuto deriva in genere dal rafforzamento del pavimento pelvico, e per molti uomini è spesso necessario cominciare individuando i muscoli da esercitare. Inizialmente è quindi utile rivolgersi a un fisioterapista, quindi con determinazione e costanza fare ogni giorno pratica. Per esempio allenandosi mentre si guarda la televisione. Il biofeedback e l’elettrostimolazione

possono offrire un valido contributo all’allenamento.

E se ciò non rappresentasse un aiuto sufficiente? Un’altra opzione è costituita dai farmaci per il trattamento dei muscoli della vescica. Spesso vengono combinati con una pianificazione precisa delle minzioni. In caso di incontinenza molto grave, vengono considerati anche gli interventi chirurgici o l’impianto di uno sfintere artificiale.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 1 marzo 2021 • N. 09

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Un diario delle minzioni e dell’assunzione di liquidi aiuta il medico a capire di che genere di incontinenza si tratta. Risulta coì possibile comprenderne le cause e determinare una efficace terapia individuale. Nel tenere il diario delle minzioni e dell’assunzione di liquidi (definito anche diario minzionale) l’interessato annota per alcuni giorni quando va in bagno, quanto forte è lo stimolo e se ha urinato involontariamente, indicando anche le quantità dei liquidi consumati. Il rischio di incontinenza aumenta con l’età. Oltre alle lesioni e agli interventi chirurgici, anche gli effetti collaterali di alcuni farmaci possono favorire l’incontinenza, in particolare nei pazienti più giovani. Altre cause sono da ricondurre a disturbi fisici come la prostata ingrossata o a lesioni del sistema nervoso. Un regolare allenamento del pavimento pelvico può essere d’aiuto in caso di incontinenza causata da sforzo. Può inoltre avere un effetto preventivo. Anche il sovrappeso può favorire la debolezza della vescica e in questi casi è necessario dimagrire. In alcuni casi è utile allenare la vescica, ciò che comporta assumere una quantità appropriata di liquidi, scegliendo le bevande adatte e definendo degli orari fissi per le minzioni.

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Per quanto riguarda l’alimentazione è utile evitare le sostanze che potrebbero irritare la vescica, come le spezie piccanti o il caffè. Bisognerebbe rinunciare anche alla nicotina. A titolo generale le persone soggette a incontinenza dovrebbero mantenere una digestione regolare. Nel caso in cui si soffre di incontinenza da sovraccarico (con) causata da fattori psicologici, i metodi di rilassamento come il training autogeno contribuiscono spesso a migliorare la situazione. Altri fattori scatenanti, come la tosse persistente, infezioni ricorrenti al sistema urinario o il sollevamento di carichi pesanti, possono essere risolti solamente tramite terapie appropriate o cambiamenti dei comportamenti. Ci sono inoltre diversi medicamenti che possono mitigare o porre rimedio ai sintomi. Gli interventi chirurgici sono in genere indicati solo quando tutti gli altri approcci terapeutici si sono dimostrati inefficaci.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 1 marzo 2021 • N. 09

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Cultura e Spettacoli Ciò che succede nel mondo Il bel libro Notizie dal Mondo di Paulette Jiles è ora un film di Paul Greengrass con Tom Hanks pagina 32

Una donna (quasi) dimenticata Grazie alla penna e alle ricerche di Dirk Kurbjuweit, torna alla luce lo spessore della figura storica e intellettuale di Emma Herwegh

Il lavoro di Armenini Continua il nostro viaggio alla scoperta dei grandi autori di trattati del passato

pagina 33

pagina 35

Strizzando l’occhio all’arte

Fashion & Art Moda e arte, un binomio

elettrizzante che rompe le regole

Muriel Del Don Cosa rappresenta la moda per noi umili consumatori? Cosa si nasconde dietro la scelta di indossare un determinato abito o di seguire una determinata tendenza? Gotici, hippie, punk o normcore, tutti ci siamo confrontati almeno una volta nella nostra vita con la scelta di appartenere a un gruppo che si definisce e si esprime pubblicamente (anche) attraverso i vestiti. Che si tratti di gusti musicali, di una visione specifica del mondo (l’eco-fashion oppure la moda gender-fluid che vuole confrontare la società con le questioni di genere) o di rivendicazioni legate a uno statuto sociale (pensiamo per esempio alla streetwear o alle borse iper griffate) i vestiti parlano di noi, di chi siamo o per lo meno di chi vorremmo essere. In quanto trigger di rivoluzioni estetiche a volte davvero sconvolgenti, l’arte diventa allora per molti stilisti l’alleata perfetta nella creazione di nuove tendenze. In un moto quasi speculare, gli artisti mettono in scena le sfilate e partecipano alle campagne pubblicitarie dei più influenti brand mentre i musei e le gallerie d’arte espongono le opere dei creatori di moda. La confusione e l’ambiguità regnano sovrane come a volerci ricordare che i vestiti non servono solo a coprire (o scoprire) i nostri corpi, ma anche e soprattutto a forgiare un’immagine, a creare un’identità che spesso rimane volutamente sfuggente e malleabile. Negli ultimi vent’anni il rapporto tra arte e moda si è rafforzato, sfociando in vere e proprie collaborazioni che stravolgono le regole dell’industria del lusso, ma anche del mondo dell’arte, basti pensare al personaggio di Tom Ford, stilista, ma anche regista (Animali notturni) e sceneggiatore. In questo nuovo mondo spuntano nuove divinità da adorare: i curatori o i direttori artistici delle case di moda. La genialità di questi nuovi guru non risiede tanto nella capacità di creare qualcosa di nuovo, ma piuttosto nel saper mescolare i generi, nel mettere in scena delle idee, dei concetti, delle linee estetiche preesistenti, riappro-

priandosi della loro essenza, e questo senza complessi o finti intellettualismi. L’idea stessa di appropriazione artistica da parte del mondo della moda, di condivisione di un estetismo che da individuale diventa collettivo, è particolarmente presente nell’universo creativo della super star Alessandro Michele, dal 2015 direttore artistico di Gucci. Barbuto, androgino e manierista, il messia della maison fiorentina è riuscito a creare un universo che seduce tanto i giovani quanto i più attempati grazie a referenze estetiche che vanno dai pittori del Trecento a Luchino Visconti e Wes Anderson, passando per Caravaggio e Van Eyck. Alessandro Michele fagocita e restituisce con rinnovata creatività una moltitudine d’influenze che lo nutrono e caratterizzano in quanto persona ma anche (e soprattutto) in quanto personaggio. L’inatteso, il bizzarro, il queer e il kitsch diventano, grazie al suo sguardo inclusivo, paradigmi di una nuova bellezza. Emblematiche in questo senso la collaborazione con Ellie Goldstein, modella affetta da Trisomia 21, scelta per promuovere il mascara della linea Gucci beauty, l’abolizione del binarismo delle sfilate uomo/donna che diventano gender fluid o ancora, più recentemente, la scelta di Silvia Calderoni, brillante attrice e performer dalle parvenze androgine, come filo conduttore della serie di cortometraggi creati in collaborazione con Gus Van Sant, intitolata Ouverture Of Something That Never Ended. Niente più stagionalità o collezioni uomo e donna, ma un festival (il Gucci Fest) lungo sette giorni, e una mini serie diretta proprio da Gus Van Sant a mo’ di presentazione della nuova collezione 2021. Insomma, Michele ha messo in piedi una vera a propria Factory Warholiana dal sapore mediterraneo, un condensato multidisciplinare che mostra quanto arte e moda possano interagire in maniera fruttuosa e inaspettata. Ouverture Of Something è una mini serie decisamente sorprendente che ricorda a tratti il mondo dei fotoromanzi e delle fanzine tanto caro a Michele, ma anche la finta leggerezza e la spontaneità poetica di

Alessandro Michele con Silvia Calderoni. (page powell)

Van Sant. Quello che intriga, oltre all’opulenza e all’eleganza retrò degli abiti, è l’ambiguità delle storie raccontate, in apparenza semplici, ma nelle quali personaggi emblematici quali il filosofo e teorico Paul B. Preciado o le super star Billie Eilish e Harry Styles dicono la loro. Un’ode alla diversità quella proposta da Alessandro Michele e Gus Van Sant indubbiamente liberatoria e rigenerante. Demna Gvasalia, stilista georgiano dal 2015 alla testa della maison Balenciaga e creatore di Vêtements, brand ultra tendenza che della provocazione ha fatto il suo credo, è un altro esempio emblematico del legame fruttuoso tra moda e arte, lusso e subcultura. Grazie a Gvasalia, Balenciaga è diventato uno dei marchi più accattivanti e controcorrente degli ultimi tempi, miscela improbabile di minimalismo sovietico

e consumismo occidentale. Per le sue sfilate/performance (ambientate in un McDonald’s parigino, o virtuali, in stile videogioco, come nel caso dell’ultima collezione autunno/inverno 2021) poche sono le super modelle presenti. Al loro posto Gvasalia invita amici e conoscenti provenienti dal mondo dell’arte contemporanea (berlinese per lo più): la pittrice americana Eliza Douglas, l’artista modella Jane Moseley, il performer Antti Kettunen, l’architetta Neda Brady o la collezionista tedesca Karen Boros. Oltre a prestare la propria immagine, molti artisti duettano con l’universo dello stilista georgiano creando vere e proprie opere d’arte che stupiscono per la loro originalità e stravaganza: Jon Rafman con il suo video immersivo in forma di tunnel per lo show primaverile del 2019 o ancora Tabor Robak che ha utilizzato il logo della

griffe per creare un video cyberpunk dai toni apocalittici. In un’ottica decisamente più underground il giovane stilista scozzese Charles Jeffrey (attraverso il suo brand LOVERBOY) accoglie anche lui, all’interno del processo creativo, un’orda di amici artisti, musicisti, fotografi e muse per dare vita a un mondo stravolgente e über-inclusivo nel quale la follia dei club kids si amalgama con l’innocenza perduta di Peter Pan. Per la sua sfilata Autunno/inverno 19, modelli conosciuti hanno sfilato accanto a gente scovata su Instagram immersa in vasche da bagno piene di libri. Una vera e propria performance artistica che dimostra quanto le frontiere tra moda e arte (declinata in tutte le sue forme) siano permeabili e quanto il loro legame possa essere efficace e provocante. Aspettiamo con ansia la prossima mossa.


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Cultura e Spettacoli

Dal mondo, cattive nuove

Trasposizioni Notizie dal mondo, fortunato romanzo di Paulette Jiles, è ora un film Netflix diretto

da Paul Greengrass e interpretato da Tom Hanks

Blanche Greco Un romanzo che è un viaggio nel tempo e nel cuore della storia americana, Notizie dal mondo di Paulette Jiles, è a suo modo anche un romanzo di formazione malgrado i protagonisti siano un ex soldato settantenne e una bimba di dieci anni che, come tutto il Texas del 1870 appena uscito dalla Guerra di Secessione e con il progresso alle porte, devono imparare a vivere una nuova vita. Paulette Jiles, scrittrice, giornalista e storica, nella nota in fondo al libro spiega che, in parte, a spingerla a tracciare questo ricco affresco che è anche sentimentale quanto antropologico e geografico, sono state le storie dei bambini catturati e adottati dalle tribù

dei nativi americani lungo la frontiera del Texas. «Bambini rapiti di qualsiasi origine: inglese, anglo-tedesca, o messicana che sopravvissero alle stragi e al terrore e divennero indiani a tutti gli effetti e se ritrovati, magari anche nel giro di un anno, difficilmente riuscirono ad adattarsi al ritorno in famiglie non indiane». È così che il destino accoppia il Capitano Kyle Jefferson Kidd che aveva combattuto in tre guerre, fatto lo stampatore e il corriere, e Johanna, una ribelle bambina bionda di dieci anni, con gli occhi azzurri da «bambola di porcellana», rapita dagli indiani, una Kiowa come loro ormai, che tuttavia il capitano Kidd ha giurato sul suo onore di riportare agli zii Wilhelm e Anna Leonberger, coloni tedeschi di Castrovil-

le, a sud, non lontano da San Antonio. Il loro viaggio inizia da Wichita Falls, nel nord del Texas, dove lui, perfettamente sbarbato, occhiali d’oro e camicia di seta sotto la finanziera nera, prima di partire sfodera la sua voce stentorea e legge i giornali che porta con sé, deliziando il pubblico affamato di notizie del mondo vicino e lontano. La ferrovia sarebbe presto arrivata anche da quelle parti e così pure i giornali e il telegrafo, già talmente diffuso altrove che gli indiani avevano imparato a tagliarne i fili e a riannodarli con crini di cavallo in modo da renderlo inservibile e mascherarne l’interruzione, prolungando la propria tranquillità. È questione di tempo e poi degli affollati spettacoli del Capitano Kidd che con i suoi giornali, per pochi spiccioli aggancia il Texas del

Accampamento di indiani Kiowa, 1858, da B. Möllhausen, Tagebuch einer Reise. (Keystone)

nord a New York e a Chicago, e al resto del mondo, da Londra a Nuova Delhi, sarebbe rimasto solo il ricordo, perciò anche per lui è giunto il momento di affrontare il passato e forse tornare proprio a San Antonio dove si era svolta la parte più bella della sua vita passata. È un viaggio avventuroso di tre settimane sfidando la pioggia e i fiumi in piena della fine dell’inverno su un improbabile calesse, per strade dove la guerra civile, finita da cinque anni, ha lasciato una scia di risentimento, di violenza e di povertà; dove le pattuglie di «giubbe blu» a caccia di banditi e di confederati sono meno frequenti dei pistoleri in cerca di gloria e di guai; degli sbandati a caccia di soldi e dei profittatori e dei rinnegati attirati dai riccioli biondi di Johanna e dai capelli bianchi del Capitano Kidd, uomo prestante, ma che secondo la legge in vigore, dovrebbe girare disarmato. Scritto in modo asciutto, ma pieno di dettagli e curiosità, come una delle storie che il Capitano ama leggere sui suoi giornali, News of the World, pubblicato in America nel 2016, ha il ritmo e la ricchezza dei racconti del mitico West immortalato al cinema da John Ford in Sentieri Selvaggi, o dall’humour leggero di William Wyler in La legge del Signore, ambientato proprio nel 1868, e sono questi e tanti altri epici western che il regista inglese Paul Greengrass evoca nella sua versione cinematografica di Notizie dal Mondo con Tom Hanks nei panni del Capitano Kidd, in questi giorni su Netflix. Ma mentre il film cerca i suoi epigoni nello sfaccettato immaginario filmico del west, il libro di Paulette Jiles trova nelle pieghe della Storia Americana l’autenticità che fa da cornice al suo racconto, dagli accenni alle guerre messicane

che travagliarono parte del Texas rivoluzionandone anche il diritto di proprietà delle terre e delle case; al modo di vestire dei personaggi, alle diverse razze dei loro cavalli, al tipo di selle che usano, o alle armi che portano, tutti elementi che raccontano le mode e i cambiamenti dovuti al progresso; vi è inoltre l’epoca in cui si muovono, dove razzismo e politica s’intrecciano e infiammano gli animi, mentre gli afroamericani, malgrado le leggi che li proteggono, rischiano la vita a ogni angolo di strada. Sentiamo la presenza dei pellerossa senza mai incontrarli, emergono dai discorsi della gente ora pericolosi guerrieri, ora popolo spoliato e scacciato dalle proprie terre. Ma il tocco magistrale del libro sta nel rendere il territorio del Texas con i suoi paesaggi così diversi da nord a sud, non solo l’incantato ed emozionante scenario del viaggio del Capitano Kidd e di Johanna, ma il loro primo terreno di comprensione. Grazie a questo universo vegetale e animale cangiante i due protagonisti sono costantemente messi a confronto: Johanna con il suo vocabolario Kiowa popolato di spiriti, di magia e di ricordi, il capitano Kidd con il suo inglese paziente, divertito ed esasperato, che s’interroga sul ruolo di angelo custode, insegnante, forse mentore che si trova a rivestire suo malgrado. Come può insegnarle a non avere paura del mondo dei bianchi e del futuro, lui che sino a quel momento ha viaggiato senza sosta con i suoi giornali per non affrontare i crucci e i dolorosi segreti che si porta dentro? Bibliografia

Paulette Jiles, Notizie dal mondo, Vicenza, Neri Pozza, 2021.

Ferlinghetti, l’ultimo dei poeti maledetti In memoriam È scomparso all’età di 101 anni Lawrence Ferlinghetti, poeta-editore ribelle Federico Rampini «Dove nacque la Beat generation»: è lì che 21 anni fa, andando a vivere a San Francisco, incontrai una leggenda vivente: Lawrence Ferlinghetti, il poeta-editore ribelle, che è scomparso la scorsa settimana all’età di 101 anni. 261 Columbus Avenue, angolo Broadway: dichiarato monumento nazionale, l’indirizzo è ormai segnato sulle guide per viaggiatori. Eppure la libreria City Lights non ha perso né la sua vitalità sovversiva né il fascino bohémien. Da quando divenne famosa come la culla del movimento Beat, ha resistito all’usura di tutte le mode. Con i suoi scaffali all’antica, le pareti in linoleum, le piccole scomode sedie di legno per i dibattiti, prima ha sfidato gli assalti commerciali dei supermercati librari tipo Barnes&Noble, poi ha ignorato la concorrenza di Amazon. Casa editrice di nicchia e café littéraire affollato ogni sera, City Lights si è reinventata attirando generazioni di poeti giovani, saggisti anti-establishment, nuovi narratori delle minoranze etniche e del Terzo mondo. «Ci siamo imposti creando una comunità letteraria e un luogo d’incontro di tutte le avanguardie», mi disse Ferlinghetti, ottantenne quando lo incontrai per la prima di una lunga serie di conversazioni. Già vent’anni fa era l’ultimo sopravvissuto della «generazione maledetta» dei poeti Beat. Subito dopo la Seconda guerra mondiale, dopo aver visto di persona l’orrore atomico a Nagasaki, il giovane

reduce Ferlinghetti sbarcò in una San Francisco che gli sembrò «un po’ Parigi per la poesia europea di certi quartieri, un po’ Tunisi per le case bianche sul porto e la luce mediterranea». Il quartiere degli immigrati italiani, North Beach, aveva già una ricca tradizione letteraria con Mark Twain, Jack London, William Saroyan. Qui Ferlinghetti, figlio di un immigrato del Bresciano, insieme con l’amico sociologo Peter Martin, decise di aprire City Lights nel 1953: e fu subito originale per la scelta di vendere all’inizio solo paperbacks, i libri tascabili. In politica la scelta di campo era inequivocabile. Il maccartismo, il clima anticomunista di caccia alle streghe, non impedì a Ferlinghetti di mettere autori proibiti in vetrina. North Beach era un covo di resistenza anche perché aveva un nucleo di antica immigrazione ligure discendente da ex garibaldini, e di anarchici toscani: gli spazzini italiani fermavano il camion della nettezza urbana davanti alla libreria per approvvigionarsi di riviste di estrema sinistra. La notorietà nazionale arrivò con il processo del 1957, quando Ferlinghetti fu arrestato e incriminato per oscenità per aver venduto Howl and Other Poems, la raccolta di poesie di Allen Ginsberg. Ma il giudice Clayton Horn sancì che quei versi «si riscattavano per il valore sociale» e lo assolse in nome del Primo emendamento. Fu una vittoria legale che aprì la strada alla pubblicazione di importanti autori allora all’indice come D.H. Lawrence e Henry Miller. Nel frattempo City Lights era

diventata il centro del movimento Beat (un termine preso in prestito dal jazz dove «beat» voleva dire rigettato, emarginato). Jack Kerouac, Allen Ginsberg, William Burroughs si erano incontrati a Manhattan attorno alla Columbia University, poi emigrarono sulla West Coast dove si unirono a Ferlinghetti e diedero vita a quella che fu chiamata la «San Francisco Renaissance». Le loro poesie e i loro romanzi si distinguevano, scrisse Gilbert Millstein sul «New York Times» il 5 settembre 1957, «per la ricerca frenetica di ogni possibile impressione sensoriale, un’esasperazione dei nervi, una sfida costante delle possibilità estreme del corpo attraverso l’alcool, la droga, la promiscuità sessuale, la guida ad alta velocità o il buddismo zen». La generazione dei «beatnik» – così battezzata nel 1958 dopo il lancio del satellite sovietico Sputnik – era disillusa, ancora segnata dagli orrori della Seconda guerra mondiale, e in attesa di una Terza che sembrava inevitabile nell’escalation nucleare Usa-Urss. Dell’America di Eisenhower rifiutava quasi tutto: il grigiore del conformismo borghese, il puritanesimo, il razzismo, le gerarchie sociali plasmate sul modello della grande industria. Nel cuore della Bay Area di San Francisco i fermenti dell’epoca Beat hanno generato ribellioni e trasgressioni a ondate generazionali. Sull’altra sponda della Baia, a Berkeley, nel 1964 esplodeva il Free Speech Movement, precursore del Maggio ’68 parigino e della protesta contro la guer-

Un’immagine di Ferlinghetti risalente a un anno fa. (Keystone)

ra in Vietnam. Sempre sulle acque della Baia, a Oakland, nascevano negli stessi anni le Black Panthers, la più radicale organizzazione politica afroamericana, poi approdata al terrorismo. «Anche Woodstock», scrisse Burroughs, «è nato dalle pagine di Kerouac». La moda hippy, la New Age e il sincretismo con le religioni orientali, hanno mosso i primi passi in quest’angolo della West Coast. Nelle parole di Ferlinghetti «un luogo informale, intimo, con uno charme anarchico».

Di tutte le rivoluzioni che ha visto o sognato, solo quella tecnologica e industriale della New Economy non è piaciuta a Ferlinghetti. Impegnato a difendere la fisionomia bohémien del suo quartiere, il poeta vide con orrore l’invasione delle start-up, il boom dei prezzi immobiliari, la fuga dei giovani artisti allontanati da una città troppo cara. «Questa non deve diventare una città unidimensionale, una città del business omologata a tutte le altre città d’America», protestava.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 1 marzo 2021 • N. 09

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Cultura e Spettacoli

Emma Herwegh, donna libera Biografie L’autore tedesco Dirk Kurbjuweit ha scritto un interessante romanzo sull’eccezionale figura storica

di Emma Herwegh (1817-1904)

Natascha Fioretti C’era una volta una donna straordinaria, un’amazzone furiosa che sparava meglio degli uomini e, soprattutto, aveva più coraggio e cervello di tanti di loro. Si interessava di politica, leggeva i giornali e fumava il sigaro. Si chiamava Emma Herwegh, figlia di Johann Siegmund fornitore reale di sete e altre stoffe pregiate per Federico Guglielmo IV, sesto re di Prussia, che nel suo castello di Berlino governò dal 1840 al 1861. Il cognome Herwegh è quello del marito Georg, famoso poeta e rivoluzionario tedesco, amico di Wagner, Liszt e di Karl Marx, autore del volume Poesie di un vivente. Visti i tempi, una donna non era nulla senza suo marito, il matrimonio, come dice Emma Herwegh nel romanzo storico firmato da Dirk Kurbjuweit, era per una donna la strada verso la libertà. Così le sembrò «estremamente giusto sposare quest’uomo, perché entrava in una nuova relazione non come una figlia maggiore, ma come una persona libera, anche se ancora non sapeva il dolore che questo avrebbe comportato». D’altra parte, in piena sintonia con il suo spirito colto ed emancipato, con le sue idee repubblicane, Emma Herwegh il marito se lo era scelto. Al poeta di cui conosceva così bene i versi, all’autore di Der Gang um Mitternacht, poema che con toni tetri canta la realtà politica e sociale tedesca prima del 1848, Emma aveva fatto recapitare un biglietto: «Quando l’autore fosse stato a Berlino, Emma Siegmund e i suoi genitori avrebbero avuto il piacere di invitarlo a pranzo, Breiterstrasse 1, all’angolo con la Schlossplatz». Georg quell’invito lo accettò segnando l’inizio della storia che così magistralmente ci racconta Dirk Kurbjuweit, vicedirettore dello «Spiegel», autore fecondo, noto in Germania anche per i suoi saggi su Angela Merkel. La libertà di Emma Herwegh è il suo primo romanzo storico reso intenso e ricco di materia grazie alla struttura narrativa che si intreccia regalandoci al contempo due punti di vista, due racconti e diversi livelli temporali. Il ricordo emotivo e orgoglioso che Emma Herwegh nella Parigi del 1894 condivide con un curioso e libertino Frank Wedekind e la voce narrante che con passo cronologico ci racconta di Georg Herwegh e degli eventi storici a partire da quel novembre berlinese del 1842. Chi racconta assume il punto di vista della storia, quella che ha sempre privilegiato gli uomini e cancellato le donne, la voce di Emma invece rimette tutto in discussione e ribalta lo spessore delle due figure: ridimensiona il grande poeta ed esalta Emma, la sua sete di vita, il suo spirito combattivo e leale. A unirli sin dal loro incontro berlinese è quell’idea di libertà universale cara a Charles Fourier, pensatore politico che fece scalpore per la sua idea di una sessualità libera di uomini e donne. La condizione culturale di una società si misura nella condizione della donna, il grado dell’emancipazione femminile è la misura naturale dell’emancipazione universale, recitava il Fourier-pensiero, davvero troppo ardito per quei tempi. Incontro a Berlino

«Lei gli piaceva, questo dovette riconoscerlo su quel pavimento freddo, anche se aveva già venticinque anni, era troppo vecchia. Non aveva usato questa stessa età Fourier, venticinque anni, per dimostrare com’era ingiusto il mondo nei confronti delle donne più anziane e non sposate? Da un lato ci si aspettava dalle ragazze la castità, ma se vivevano troppo a lungo nella privazione diventavano oggetto di scherno. Le si trattava come merce avariata, ecco». Al pensiero di Georg, in modo quasi speculare, rispondono le parole di Emma «Noi siamo creature, siamo al mondo soltanto come

Emma Herwegh in un ritratto della pittrice tedesca Friederike Miethe (1838). (Wikipedia)

ornamenti, pagliuzze, non siamo noi che partecipiamo alla creazione dell’anima del mondo. Che cosa mi resta dopo ore di cavallo, di canto, di disegno, di letteratura? Ci riempiono di educazione e poi? Ci lasciano appassire». Ma lei che leggeva Georg Sand, Bettina von Arnim, Daniel Stern e Luise Buechner – tra le prime intellettuali femministe tedesche impegnate nella lotta per l’emancipazione femminile – di appassire non voleva saperne. Emma Herwegh voleva vivere, si interessava di politica, era pronta a lottare per la Repubblica, per il suffragio universale, per la libertà di avvicinarsi al nucleo della conoscenza, dell’arte senza accontentarsi soltanto del guscio. «Bettina von Arnim scrive, George Sand scrive. Ma sono così poche. E chi di noi è libera di comporre musica? Intendo musica vera, musica virtuosistica, non la musica delle ore di pianoforte, il faticoso, costoso chiasso acquisito contro il tempo che fugge».

Maupin in Béatrix di Balzac, e si mette in cammino con la Legione tedesca da Parigi a Baden. Una scelta rivoluzionaria e inconcepibile per l’epoca. Quando la Legione vota, il voto di Emma non viene mai contato, ma quando si tratte-

rà di andare fino a Kandern per incontrare Friedrich Hecker sarà lei impavida a mettersi in viaggio con quegli abiti confezionati su misura a Parigi, abiti da uomo alla George Sand, pantaloni da cavallo in velluto nero. A missione

La Legione

Alla Rivoluzione parigina del febbraio del 1848 seguì la Rivoluzione tedesca, Herwegh venne eletto alla presidenza del Comitato repubblicano e della Legione democratica tedesca. Per Emma è la grande occasione, spedisce a Berlino i figli Horace e Camille, come Camille

Bibliografia

Dirk Kurbjuweit, La libertà di Emma Herwegh, Bollati Boringhieri, 2020. annuncio pubblicitario

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Vita a Parigi

Dal 1843 al 1848 Georg e Emma animarono i salotti parigini dove frequentarono Alexander Herzen, Karl Marx, Michail Bakunin, George Sand, Victor Hugo e Heinrich Heine. Georg non gli perdonò mai quei versi in cui lo apostrofò «tu allodola di ferro, tanto in alto ti dondoli sulla terra / che di vista l’hai perduta se non erro». La coppia poteva permettersi i fasti parigini grazie alla dote di lei. Nel loro salotto si incontrava l’élite intellettuale progressista dell’epoca, i fondatori del giornale radicale «L’Avanti». Grande fu la passione di Emma per quelle serate, le sue intense chiacchierate con Heine, sempre intenta a difendere il talento del marito che, in verità, dopo la pubblicazione del secondo volume delle Poesie di un vivente nel 1844 non produsse più versi importanti. Si interessò invece ai crostacei e alla contessa Marie d’Agoult, il cui salotto fu uno dei più importanti centri di azione politica: lei stessa si impegnò a propugnare un liberalismo umanitario e democratico come testimoniano le sue opere più famose: Lettres Républicaines (1848) e Histoire de la Révolution.

compiuta dirà con orgoglio «ero una moglie, ora sono una staffetta». L’impresa della legione alla fine fallisce, grazie a Emma si mette in salvo anche Georg e l’amico Heine canta il suo coraggio nel Simplizissimus I: «L’amazzone che gli cavalcava accanto / Era la sposa dal lungo naso / Indossava sul cappello una piuma di civetta / E i begli occhi brillavano in plauso / La leggenda narra che la donna abbia / Combattuto invano la meschinità del marito / Quando il fucile da caccia le sue tenere / Carni ebbero a un tratto colpito / Lei gli aveva detto: ’Non essere odioso adesso, Frena il tuo cuore impaurito / Adesso si tratta di vincere o di morire / Della corona imperiale abbiamo appetito’». Non è finita qui, come si potrebbe pensare. La vita piena, avventurosa e anche dolorosa di Emma Herwegh continuerà fino al 1904. Di ritorno dalla Legione Emma vivrà a Zurigo, frequenterà Gottfried Keller, tradurrà letteratura rivoluzionaria e avrà una storia d’amore con Felice Orsini. Fino all’ultimo sarà fedele agli ideali democratici e a quell’idea di amore romantico per cui promise al suo Georg «ameremo e odieremo insieme». Grazie a Dirk Kurbjuweit per averci raccontato la sua storia e al contempo averci ricordato le altre grandi donne di quel tempo.

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Cultura e Spettacoli

Virtù e doti secondo Armenini Trattati Il testo di Armenini da una parte presenta al lettore dettagli importanti sul lavoro

pittorico di numerosi artisti, dall’altra offre la descrizione di opere, palazzi, chiese e musei

Ketty Fusco, elegante signora del teatro In memoriam Un

Gianluigi Bellei Giovan Battista Armenini nasce a Faenza intorno al 1533 da Pier Paolo Armenini e Laura Zanolini. Alcuni studiosi, come Gian Marcello Valgimigli e Achille Calzi, ritengono abbia svolto l’apprendistato presso Luca Scaletti detto il Figurino da Faenza, già collaboratore di Giulio Romano a Mantova. A 15 anni si trasferisce a Roma. Itinerario obbligato per ogni formazione artistica. In quegli anni lavorano a Roma Perin del Vaga, Marco Pino, Pellegrini Tibaldi, Luzio Romano, Daniele da Volterra. Nel 1556 assieme a Marco da Faenza lasciano Roma temendo un nuovo Sacco. Approdano a Milano. Nel testamento della sorella del 24 novembre 1562 l’Armenini viene citato come «Rev. D. Jo. Baptista frati carnali dicte testatricis». Una vocazione religiosa probabilmente coatta, derivata dall’eresia romagnola dopo il Concilio tridentino. L’unico suo dipinto rimasto è l’Assunzione della Vergine ora nella Pinacoteca di Faenza. Durante questi anni, nella tranquillità della provincia, scrive il trattato De’ veri precetti della pittura, stampato nel 1586 da Francesco Tebaldini di Ravenna. Nel 1603 rinuncia alla carica di Rettore della Chiesa di San Tommaso. Muore a Faenza intorno al 1609.

Armenini vive intorno a lui un momento di decadenza dell’arte con la morte di molti maestri Julius Schlosser Magnino nella sua Letteratura artistica scrive che il libro dell’Armenini è «uno dei documenti più preziosi per conoscere la pratica degli studi nel periodo del manierismo». Un libro da «saggiare nello spessore delle sue pagine gremite di spunti, di ricordi, di riflessioni, di proposte», chiosa Enrico Castelnuovo.

Armenini si trova in un momento di decadenza dell’arte. Entro il terzo quarto del secolo muoiono tutti i grandi artisti: Raffaello nel 1520, Rosso e Parmigianino nel 1540, Polidoro e Giulio Romano nel 1546, Sebastiano del Piombo e Perin del Vaga nel 1547, Pontormo nel 1556, Michelangelo nel 1564, Bronzino nel 1572 e Tiziano nel 1570. Alla «terza età» vasariana, quella del massimo splendore dell’arte, non può che seguire un lento declino. Anche perché non si vedono all’orizzonte altri artisti che possano prendere il loro posto. Nel Proemio Armenini scrive che sono «venuti meno quegli artefici che con tanta eccellenza e felicità l’avevano sollevata, né se ne vedon rinascere de gli altri in gran parte come quelli perfetti». Per queste ragioni bisogna imparare quelle regole e precetti che servono per ritornare a fare della grande arte. E dato che, secondo lui, non ci sono libri che la mettono «in scrittura» redige questo trattato dove, per cominciare, bisogna seguire i modelli dell’antichità classica, come aveva fatto la generazione di Taddeo Zuccari copiando la Sistina, i marmi e i bronzi di Roma. Il testo è interessante per vari motivi. Innanzitutto perché fornisce dettagli importanti sul lavoro pittorico di vari artisti, come Luca Cambiaso e Tintoretto, poi perché racconta di personaggi e avvenimenti, con aneddoti e pettegolezzi, come la vendita dei disegni di Perin del Vaga nel 1556: «Sì come io bene mi tengo in mente fra i tanti li molti dissegni, che ci rimase di Perino dopo la sua morte, i quali quando io ero in Roma, furono comperati tutti e da una suo figliola venduti il prezzo di scudi cinquantacinque d’oro, i quali li sborsò in mia presenza un mercante mantovano». Infine, ma non da ultimo, per la descrizione di opere, chiese, palazzi, musei di varie città. Citiamo la scomparsa decorazione eseguita dal Pordenone intorno al 1535 per la facciata di Casa di Martin d’Anna a Venezia: «et oltre al queste (figure) se ne vede una sul Canal Grande dipinta da Giovan Antonio da Pordenone dove, fra

ricordo personale Giorgio Thoeni

Un trattato descrittivo dai dettagli importanti.

l’altre cose di meraviglia, vi è un Curzio a cavallo, il quale scurta molto bene et un Mercurio che vola per l’aria, il qual, girando per ogni lato dà gran meraviglia alla gente». Oltre alle questioni tecniche-pittoriche Armenini si occupa delle virtù che deve avere un pittore. Deve essere, anche, un uomo «docto in buone lettere», come espresso dall’Alberti. E legge-

re, cito fra gli altri, la «Bibia, Plutarco, Tito Livio, le Trasformazioni di Ovidio o Antonio Apoleio…».

Fra le quaranta regole di scrittura che Umberto Eco ha elencato nella sua celebre rubrica La bustina di Minerva pubblicata da «L’Espresso», ce n’è una in particolare che ci ricorda come ne abbiamo spesso ignorato il dettato per i nostri scritti: Non usare mai il plurale maiestatis. Per l’occasione, toute proportion gardée, voglio violare il patto stipulato con me stesso e approfittare dello spazio concesso per un ricordo personale di Ketty Fusco, briciole di memoria che conservo nel cuore. Spero mi venga perdonata l’affettuosa familiarità, ma per me Ketty, venuta a mancare pochi giorni fa, non è stata solo la persona di cui si è scritto e detto riconoscendone l’indubbia personalità artistica e culturale di attrice, regista e sensibile poeta. La sua figura mi riporta ai primi anni luganesi quando, alla fine degli anni 60 da adolescente liceale, grazie alle leggendarie porte aperte di casa Canetta, mi sentivo quasi adottato, anche da lei, e circondato da atmosfere uniche per molte mie giornate di esule spesso solitario. Un clima che mi ha segnato anche dopo aver visto la Maddalena di Ketty in Amedeo o come sbarazzarsene di Ionesco. Rimasi subito colpito dalla sua straordinaria bravura ed eleganza. Fra i primi spettacoli visti al Teatro Kursaal, sebbene inesperto, l’avevo giudicato alla pari di compagnie ben più blasonate. Si vede che si era già insediato il tarlo per la scena, sebbene mi rodessi il fega-

Bibliografia

Edizione di riferimento (dalla mia biblioteca): Giovan Battista Armenini. De’ veri precetti della pittura, Torino, Einaudi, 1988.

Prima la salute o l’economia?

Massimario classico La sfida dei governi del mondo è riuscire a trovare

il difficile equilibrio tra salute ed economia Elio Marinoni «Nella vita, nulla è più importante della salute» (Menandro, 562 Jaekel) L’infuriare della pandemia da Covid-19 ha reso di drammatica attualità un’antica questione, quella del rapporto tra salute ed economia, tra benessere fisico e mentale da un lato e prosperità economica dall’altro: si tratta di un rapporto conflittuale o è possibile trovare una conciliazione? E nel primo caso, quale dei due beni è prioritario? A parole, è generalmente considerata prioritaria la salute, a partire dal verso del commediografo greco Menandro (fine del IV sec. a.C.) citato in epigrafe. La contrapposizione con il benessere economico è poi esplicitata in questi due versi di Orazio: «Se stai bene di pancia, di polmoni e di piedi, niente di più ti potranno dare ricchezze regali» (Epistole, I, 12, vv. 5-6). Una formulazione meno radicale si trova però nell’Epistola I, 4, dove, in una sorta di ricetta della felicità, la buona salute è elencata accanto ad altri valori, tra i quali una certa agiatezza: «che cosa di

Menandro rappresentato in un affresco a Pompei. (Wikipedia)

più potrebbe augurare la balia al suo caro lattante, se non che abbia senno e sappia esprimere ciò che pensa, e che gli tocchino in abbondanza favore, buona reputazione, salute e un tenore di vita decoroso con la borsa sempre fornita?» (Orazio, Epistole, I, 4, vv. 8-11).

Un secolo e mezzo dopo Orazio, la salute, fisica e mentale (mens sana in corpore sano) è indicata dal poeta satirico Giovenale come il bene assolutamente prioritario, l’unico che abbia senso chiedere agli dei: «Se si vuole chiedere qualcosa e dedicare agli dei nei tempietti le viscere e la sacra carne di un bianco porco, si deve pregare di avere una mente sana in un corpo sano» (Satire, X, vv. 354-356, trad. di Giuliana Boirivant). Che cosa si debba intendere per «mente sana» è esemplificato dall’autore nei versi successivi: «chiedi un animo forte, che la morte non tema, che consideri una vita lunga l’ultimo tra i doni della natura, che sopporti qualunque fatica, che ignori la collera, che non desideri nulla e preferisca le dure fatiche di Ercole e i suoi travagli agli amori lascivi, ai banchetti e alle piume di Sardanapalo» (vv. 357362, trad. cit; Sardanapalo è il re Assiro proverbiale per lussi e lussuria). Come si vede, siamo in un ordine di idee profondamente diverso da quello con cui l’espressione mens sana in corpore sano, assunta come motto da società sportive di tutto il mondo, viene comunemente citata.

Il luogo comune sulla salute come bene assolutamente prioritario, ben radicato nella letteratura classica, è stato poi recepito dalla tradizione popolare, trovando espressione nei proverbi, a partire da «Quando c’è la salute c’è tutto». Come recita una canzone in dialetto romanesco resa famosa da Nino Manfredi: «Basta ’a salute. / Quanno c’è ’a salute c’è tutto / Basta ’a salute e un par de scarpe nove / e poi girà tutto er monno» (Tanto pe’ cantà, di Ettore Petrolini e Alberto Simeoni). Talora l’antinomia salute/ricchezza e la priorità della prima sono sottolineate dalla rima o da altre figure di suono. In italiano: «Chi è sano è da più del Sultano», «Chi ha sanità è ricco e non lo sa». In inglese: «Health is above wealth», «la salute è al di sopra della prosperità». Ma una cosa è la scelta personale di un ideale di vita, coerente con la propria scala di valori; un’altra è la situazione drammatica, in cui la pandemia pone i governi di tutto il mondo, di dover cercare un difficile punto di equilibrio tra le esigenze della salute pubblica e quelle dell’economia, che permetta di superare l’apparente dicotomia di questi due valori.

L’amata Ketty Fusco. (Cdt - Demaldi)

to per non poter partecipare al gruppo teatrale di studenti liceali animato in quegli anni da Alberto Canetta con allestimenti impegnativi. Ma vado a braccio: un’altra briciola è del 1974, un anno dopo il golpe militare cileno di Pinochet. Centinaia di profughi arrivarono in Ticino e vennero ospitati da famiglie ticinesi. Fra le varie iniziative per raccogliere fondi a loro sostegno venne organizzato un reading itinerante di poesie di martiri della Resistenza lette da attori della Rsi. C’ero anch’io, contribuivo con un modesto apporto musicale. Ketty era la regina. La sua voce conquistava l’anima. Veniva accompagnata dall’inseparabile marito Francesco Bertola e alla fine mi aggregavo a loro per il viaggio di rientro, accompagnato dai consigli di due persone dalla straordinaria umanità, saggezza e vivacità intellettuale. Così come sento ancora vivo il ricordo, dieci anni più tardi, delle lunghe trasferte con il Teatro della Svizzera italiana con due atti unici di Max Frisch: palestre, sale parrocchiali, spazi spesso improvvisati, ma vissuti da Ketty con signorilità, professionalità e umiltà. Cara Ketty, sento risuonare la tua inconfondibile voce, rivedo la tua affettuosa considerazione nei miei confronti, per me così importante. Oggi alimenta un’intima e sincera commozione.


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30% Tutti i tipi di olio e di aceto M-Classic per es. olio di girasole, 1 l, 2.70 invece di 3.90, offerta valida dal 4.3 al 7.3.2021

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20% 8.80 invece di 11.10

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20% Biscotti Ovomaltine

Drink Ovomaltine

Crunchy o Petit Beurre, per es. Crunchy, 3 x 250 g

Original o High Protein, per es. Original, 3 x 250 ml, 4.65 invece di 5.85

Offerte valide solo dal 2.3 all’8.3.2021, fino a esaurimento dello stock.

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33% 5.– invece di 7.50

Petit Beurre con cioccolato al latte o fondente, per es. al latte, 3 x 150 g, offerta valida dal 4.3 al 7.3.2021


Migros Settimana it tane f o r p p A 2. 3 – 8. 3. 2021

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Tutte le mele sfuse

Tutte le uova di Pasqua

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(bio esclusi), per es. uova svizzere, con macchie, 6 x 50 g+, 3.65 invece di 4.30

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Tutti i tipi di pasta M-Classic

Tutti i tè e le tisane

Prodotti per la doccia Nivea

per es. penne, 500 g, –.90 invece di 1.80

(Alnatura esclusi), per es. Foglie di ortica Klostergarten bio, 20 bustine, 1.40 invece di 1.80

in confezioni multiple, per es. docciacrema trattante Creme Soft, 3 x 250 ml, 4.95 invece di 7.20

Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. Offerte valide solo dal 2.3 al 8.3.2021, fino a esaurimento dello stock

Migros Ticino


Frutta e verdura

Le nostre offerte più croccanti

CONSIGLIO DEGLI ESPERTI Il formentino, essendo sensibile alla pressione, dovrebbe essere consumato in fretta. Chi desidera gustare il formentino in altri modi, ovvero non con la forchetta ma come smoothie ricco di vitamine, può frullarlo insieme a banane, pere verdi, succo di limetta e acqua di cocco. Salute!

40% –.90

Cetrioli Spagna, il pezzo

invece di 1.50

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Asparagi Messico, mazzo da 1 kg

invece di 9.90

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Formentino Ticino, busta da 150 g

33% 1.60 invece di 2.40

Migros Ticino

Broccoli bio Italia/Spagna, imballati, 400 g

30% 1.75 invece di 2.50

Kiwi Italia/Francia, vaschetta da 500 g


Pane e prodotti da forno

Gusto delizioso in tutte le forme imana: tt se a ll e d e n a p o r st Il no ibianc o pane ar omatic o se m c i c on se g ale e no

25% 2.95 invece di 3.95

Fragole Spagna/Italia, vaschetta da 500 g

2.80 34% 2.95

Pane di patate con noci TerraSuisse 350 g, prodotto confezionato

Arance Tarocco Italia, rete da 2 kg

invece di 4.50

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25% Mango

Michette e panini al burro precotti M-Classic TerraSuisse

Perù, al pezzo

per es. michette, 1 kg, 4.30 invece di 5.75

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Migros Ticino

Offerte valide solo dal 2.3 al 8.3.2021, fino a esaurimento dello stock


Carne e salumi

Di cosa hai voglia oggi?

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Fettine di pollo Optigal

Ali di pollo Optigal

2 o 6 pezzi, Svizzera, per es. 2 pezzi, per 100 g, 2.80 invece di 3.30

al naturale e speziate, Svizzera, per es. al naturale, al kg, 9.70 invece di 14.50, in self-service

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40% 9.95 invece di 16.80

Migros Ticino

Fettine fesa di vitello fini TerraSuisse Svizzera, per 100 g, in self-service

Nuggets di pollo Don Pollo surgelati, in conf. speciale, 1 kg

25% 1.50 invece di 2.05

40% 1.20 invece di 2.–

Arrosto spalla di maiale TerraSuisse Svizzera, per 100 g, in self-service

25% 9.90 invece di 13.50

Carne di manzo macinata M-Classic Svizzera, per 100 g, in self-service

Galletto Svizzera, al kg, in self-service


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20x PUNTI

Novità

8.30

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Salametti all'aglio orsino Rapelli Svizzera, 2 pezzi, 180 g, in self-service

invece di 7.70

Piatto misto ticinese prodotto in Ticino, per 100 g, in self-service

invece di 5.30

Hit 4.90 Migros Ticino

25% 5.75

Hit 5.35

Prosciutto crudo dei Grigioni, affettato finemente Svizzera, in conf. speciale, 160 g

Bresaola Casa Walser Italia, per 100 g, in self-service

conf. da 5

Tartare di manzo Svizzera, prodotto in filiale, per 100 g, al banco a servizio

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Wienerli M-Classic Svizzera, 5 x 4 pezzi, 1 kg

invece di 12.50

Offerte valide solo dal 2.3 al 8.3.2021, fino a esaurimento dello stock


Pesce e frutti di mare

Quando la pesca è buona!

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21% 13.–

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Filetto di salmone bio con pelle d'allevamento, Norvegia, 300 g, in self-service

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21% 15.– invece di 19.–

Salmone affumicato al limone bio d'allevamento, Irlanda/Norvegia, in confezione speciale, 200 g

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7.90 Migros Ticino

Filetti di salmone marinati Teriyaki Style Pelican, ASC surgelati, 250 g

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Filetti di pangasio Pelican, ASC surgelati, in conf. speciale, 1,5 kg


Prodotti freschi e pronti

Prelibatezze pronte in un batter d’occhi.

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La Pizza 4 stagioni o Margherita, per es. 4 stagioni, 2 x 420 g, 11.50 invece di 15.40

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Cicche del Nonno Di Lella 500 g

Tutte le composte e tutti i succhi freschi Andros per es. succo d'arancia, 1 l, 3.90 invece di 4.90

Pasta fresca Garofalo ravioli ricotta e spinaci e tortellini prosciutto crudo, in conf. speciale, per es. ravioli, 500 g

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30% Cappelli di spugnole o boleti, secchi per es. cappelli di spugnole, 2 x 20 g, 14.70 invece di 21.–

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Pomodorini ciliegia misti Italia/Spagna, vaschetta da 500 g

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Migros Ticino

Offerte valide solo dal 2.3 al 8.3.2021, fino a esaurimento dello stock


Formaggi e latticini

Gusto dolce, speziato o delicato: a te la scelta Ora in ve ndita anc he bott ig liet ta da 2 5 0 ne lla ml

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Latte Drink Valflora UHT

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Migros Ticino

Tutti gli iogurt Nostrani

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Fondue Swiss Style non refrigerata Moitié-Moitié o Tradition, per es. Moitié-Moitié, Vacherin Fribourgeois e Le Gruyère, AOP, 2 x 800 g

prodotti in Ticino, per es. castégna (alla castagna), 180 g, –.95 invece di 1.05

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Grana Padano

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per es. in blocco, ca. 250 g, per 100 g, 1.90 invece di 2.25, imballato


Articoli vegetariani e vegani de l l a t t e o iv t u t i t s o Prodot t o s se di av e na a ba

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Drink all'avena bio plant-based V-Love 1l

San Gottardo Prealpi prodotto in Ticino, per 100 g, imballato

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Migros Ticino

20% Appenzeller surchoix per 100 g, confezionato

Cornatur scaloppine di quorn con mozzarella e pesto o nuggets, per es. scaloppine, 2 x 240 g, 9.90 invece di 12.40

Offerte valide solo dal 2.3 al 8.3.2021, fino a esaurimento dello stock


Dolce e salato

Delizie che fanno bene all’anima

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Trancio di brownie 2 pezzi, 140 g, confezionato

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20% Tutte le torte non refrigerate per es. torta di Linz M-Classic, 400 g, 2.40 invece di 3.–, prodotto confezionato

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Coppetta zampe d'orso al cioccolato 75 g

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Prodot to a Meile n, sul lago di Z urig con latt e e panna sv o, izze ri

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Torta nido pasquale Sélection 260 g, confezionata

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20% Tutti i gelati Crème d'Or in vaschette da 750 ml e 1000 ml surgelati, per es. Vanille Bourbon, 1000 ml, 7.95 invece di 9.90

Migros Ticino

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Delizia alle mandorle Sélection 200 g


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Ovetti di cioccolato Freylini classics Frey, UTZ

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Ovetti di cioccolato al latte finissimo con crema di latte Frey, UTZ

9.80

480 g

in conf. speciale, sacchetto, 1,3 kg

Ovetti di cioccolato Freylini Carrot Cake Frey, UTZ 480 g

a partire da 2 pezzi

Hit 9.95

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Tutte le tavolette di cioccolato Frey da 100 g, UTZ

in conf. speciale, 56 pezzi, 1,13 kg

(Sélection, Suprême, M-Classic e confezioni multiple escluse), per es. al latte finissimo, 1.60 invece di 1.95

20% Popcorn al cioccolato M-Classic e Corn Tubes in confezioni speciali, per es. popcorn al cioccolato, 300 g, 2.45 invece di 3.10

Migros Ticino

Hit 2.45

20% Popcorn al caramello M-Classic in conf. speciale, 240 g

Tutte le noci Party, Zweifel e bio (prodotti Alnatura esclusi), per es. Honey Nuts Party, 200 g, 2.30 invece di 2.90

Offerte valide solo dal 2.3 al 8.3.2021, fino a esaurimento dello stock


Scorta

Tutto l’occorrente dal mattino alla sera

a partire da 2 pezzi

20% Tutti i tipi di riso M-Classic da 1 kg per es. riso per risotto S. Andrea, 1.80 invece di 2.20

20% 8.60 invece di 10.75

Noci miste Sun Queen in conf. speciale, 500 g

Doppia quant ità di panini al mie le

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Tutti i tipi di zucchero fino cristallizzato 1 kg e 4 x 1 kg, per es. cristal, 1 kg, –.80 invece di 1.–

1.90

Purea di mele Alnatura con banana 360 g

20x

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59 g

2.95

cremoso o liquido, per es. cremoso, 2 x 550 g, 8.95 invece di 11.20

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Novità

Zuppa di porri e patate Knorr Natürlich Fein!

Miele di fiori

20x

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Novità

2.95

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Novità

Knorr Natürlich Fein! Zuppa di broccoli e cavolfiore 52 g

2.95

Zuppa di lenticchie Knorr Natürlich Fein! 67 g


a partire da 2 pezzi

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Tutti i tipi di caffè istantaneo Nescafé per es. Gold De Luxe, in busta da 180 g, 8.80 invece di 11.–

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Tutti i tipi di caffè Caruso, in chicchi e macinato, UTZ

Tutte le capsule di caffè M-Classic, UTZ compatibili con il sistema Nespresso®*, per es. Espresso, 30 capsule, 4.– invece di 6.90, * Questa marca (Nespresso) appartiene a terzi che non sono in alcun modo legati alla Delica AG.

per es. caffè Oro in chicchi, 500 g, 7.50 invece di 9.40

20x

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Novità

2.60

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Easy Soup Thai Tom Kha Bon Chef 4 x 15 g

a partire da 2 pezzi

30% Tutti i sughi Agnesi per es. sugo al basilico, 400 g, 2.– invece di 2.80

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Salsa di soja Kikkoman 150 ml

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Ceci marroni Alnatura 400 g

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disponibili in diverse varietà, per es. Hollandaise, 2 x 250 ml

disponibile in diverse varietà e in confezioni multiple, per es. Tonno all'Olio di Oliva, 3 x 104 g, 10.– invece di 12.60

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Bevande

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Tutto l'assortimento del mitico Ice Tea

Classic, Light o Zero, 6 + 2 gratis, 8 x 450 ml, per es. Classic

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Con vitamine B 12 + C e zinc o

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2.25

20%

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Novità

Vitamin Well Hydrate 500 ml

2.25

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Vitamin Well Refresh

Acqua tonica Gents Swiss Roots

500 ml, in vendita solo nelle maggiori filiali

4 x 200 ml o 200 ml, per es. 4 x 200 ml, 7.50, in vendita solo nelle maggiori filiali


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Novità

1.35

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Succo d'arancia dolce M-Classic, Fairtrade

Schorle di mela, torbido, bio

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1,5 l o 6 x 1,5 l, per es. 1,5 l, 2.80, in vendita solo nelle maggiori filiali

6 x 1,5 l o 6 x 500 ml, per es. Classic, 6 x 1,5 l, 8.65 invece di 12.95

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Se nza zucc he ro, con estr di succ o di frut ta bi att i o

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2.40

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Zenzero Zingi 500 ml, in vendita solo nelle maggiori filiali

1.20

Novità

Aproz Fruit Senses bio Passionfruit, Limette o Grapefruit, per es. Passionfruit, 500 ml

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Succo di limone Sicilia Intenso 200 ml

Offerte valide solo dal 2.3 al 8.3.2021, fino a esaurimento dello stock


Bellezza e cura del corpo

Cura di sé per un inizio di settimana energizzante

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Gel detergente mani I am Lavender, Aqua o Grapefruit, per es. Lavender, 250 ml, 6.90

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Lozione detergente per le mani Neutrogena

Sapone liquido olivo Le Petit Marseillais, bio 290 ml

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Saponetta da doccia I am Mint & Bergamot o Vanilla & Coconut, per es. Mint & Bergamot, 100 g

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Prodotti per la cura del viso Kneipp Mindful Skin per es. crema idratante 24 h, 50 ml, 17.50

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Crema per le mani Intensiv I am Natural Cosmetics

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20% Tutto l'assortimento Tena, Secure e Secure Discreet (confezioni multiple e sacchetti igienici esclusi), per es. Secure Ultra Normal, FSC, conf. da 10, 2.35 invece di 2.95

Burro per il corpo cocco e babassu I am Natural Cosmetics 200 ml

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Dental Fluid Candida per es. Parodin, 2 x 400 ml

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Spazzolini da denti Candida Sky Soft 6 pezzi

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Gel doccia M-Classic 300 ml, per es. Soft Shower Cream

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Deodoranti Nivea

Deodorante nebulizzatore pH balance

per es. spray Dry Impact, 2 x 150 ml, 4.55 invece di 6.10

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20% Barretta proteica PowerBar in confezioni multiple, per es. Banana Choco, 3 x 40 g, 5.95 invece di 7.50

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al limone o all'arancia, con borraccia gratuita, per es. al limone, 400 g

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Fiori e giardino

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Carta per fotocopie A4 Papeteria, FSC

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Meraviglia di tulipani M-Classic mazzo da 20, disponibili in diversi colori, per es. biancopink-rosso, il mazzo

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Trolley da viaggio Central Square disponibile in blu marino e grigio, 78 cm, per es. blu marino, il pezzo

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Rose M-Classic, Fairtrade mazzo da 10, disponibili in diversi colori, lunghezza dello stelo 50 cm, per es. rosa, il mazzo

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