MONDO MIGROS
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SOCIETÀ
Avere un figlio non può basarsi solo su una scelta di ragione: il rischio è quello di perdere il treno
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TEMPO LIBERO
S’intitola La mia città l’incantevole libretto poetico che Antonio Moresco ha dedicato a Mantova
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Russia e USA restano in contatto per evitare che un incidente li trascini in una guerra disastrosa
ATTUALITÀ Pagina 17
L’orgoglio delle «grandi anziane»
Sognando una tragedia in meno
Per lo sprezzo dei diritti umani che esibiscono, non provo alcuna simpatia nei confronti dei regimi dell’Arabia Saudita e dell’Iran. Ammiro le raffinatezze della loro cultura e provo soggezione per questi Paesi che rappresentano le terre-faro delle rispettive tradizioni musulmane: l’Arabia per i sunniti e l’Iran per gli sciiti. In determinati momenti della storia hanno espresso autentiche vette di civiltà, ma oggi sono impresentabili. Da giornalista non posso, per esempio, perdonare al principe saudita Mohammed bin Salman di essere stato il probabilissimo mandante della cattura e poi dell’autentica macellazione del collega dissidente Jamal Khashoggi nel 2018. Ovviamente, trovo meschino che buona parte dell’Occidente faccia affari con un simile individuo.
Dell’Iran che appende alle gru chi protesta in piazza non posso dire meglio. L’ultimo «banale» episodio delle ragazze costrette a pubblica ammenda perché hanno osato danzare a capo
scoperto il giorno della festa delle donne andrebbe annoverato tra i punti simbolicamente più bassi di questa straordinaria civiltà. Eppure, nei giorni scorsi, qualcosa di buono l’Arabia Saudita e l’Iran l’hanno fatto: sotto l’egida di Pechino hanno annunciato che riallacceranno le reazioni diplomatiche, interrotte sette anni fa dopo che i manifestanti nella Repubblica islamica hanno preso d’assalto le missioni diplomatiche saudite in seguito all’esecuzione a Ryad di un famoso religioso sciita. Le ruggini sono più antiche. Dalla creazione della Repubblica islamica dell’Iran nel 1979, i Paesi sunniti accusano Teheran di voler «esportare» la propria rivoluzione. Da allora, tra Ryad e Teheran è in corso una violentissima partita a scacchi, dove lo scacchiere è l’intero Medio Oriente. In Siria, per esempio, l’Iran sostiene il presidente Bashar al-Assad e l’Arabia Saudita i ribelli. Nello Yemen, invece, Ryad ha formato nel 2015 una coalizione araba sunnita a favore
del presidente yemenita e Teheran aiuta i ribelli sciiti Houthi. Non sappiamo se e quando avverrà il riavvicinamento tra le due potenze e non riusciamo ad immaginare quanto sia sincero. Mohammed bin Salman aveva descritto il leader supremo iraniano come il «nuovo Hitler». E tanto basti per capire una logica che da qui spesso sfugge: all’interno del mondo musulmano il peggior nemico è spesso il musulmano dell’altra corrente. Solo in seconda battuta è l’Occidente.
Ciò detto e incrociando le dita, la ripresa del dialogo tra i due acerrimi rivali è una buona notizia. Forse è ingenuo immaginare una pacificazione del Medio Oriente. A noi basterebbe anche «solo» l’inizio della fine della guerra nello Yemen. È infatti poco probabile, come osservava il «Guardian», che Ryad abbia concluso un accordo con l’Iran senza costringerlo a cessare la fornitura di armi agli Houthi. E un paio di settimane fa il ministro degli Esteri sau-
Intervista ad Anja Kampmann, scrittrice e poetessa tedesca ospite degli Eventi Letterari Monte Verità
CULTURA Pagina 25
dita aveva giurato che la massima priorità del suo Paese era «trovare un modo per ottenere un cessate il fuoco permanente nello Yemen». Volesse il cielo.
Quella dello Yemen è una gigantesca tragedia negletta. Nel Paese muoiono da uno a due civili all’ora. La guerra civile, iniziata nel 2014, ha causato centinaia di migliaia di vittime, e la sopravvivenza dell’80% degli yemeniti, pari a 20 milioni di persone, dipende in toto dagli aiuti umanitari.
Se questa mattanza finisse, gli unici a rimetterci sarebbero i produttori di armi in Francia, negli USA, ma anche in Svizzera (l’anno scorso un’inchiesta della RTS ha rivelato che i fucili elvetici Sig Sauer 551 erano finiti – per vie misteriose – nelle mani dei soldati sauditi attivi nello Yemen). Ma siamo quasi sicuri che, con i tempi malmostosi e violenti che corrono, una tragedia in meno nel pianeta non manderebbe in crisi i loro bilanci.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 marzo 2023 Cooperativa Migros Ticino
◆ ● G.A.A. 6592 San t’Antonino
edizione 12
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Simona Sala Pagina 7
Carlo Silini
Pixabay
Reati a sfondo sessuale
Le violenze sessuali rappresentano un rischio vitale per la vittima ma «guarire» è possibile: intervista alla psicoterapeuta Angela Andolfo Filippini
Vivere il terzo tempo
Nel suo ultimo libro Lidia Ravera affronta una serie di riflessioni sulla vecchiaia con un’attenzione particolare nei confronti delle «grandi anziane»
Il desiderio di avere un figlio
Medicina ◆ L’orologio biologico è sempre meno ascoltato perché si trova a fare i conti con le priorità della vita
Il rapporto con il desiderio di genitorialità, oggi, è inevitabilmente più complesso di un tempo a causa di una maggiore consapevolezza, ma non solo: è ampio il ventaglio di ragioni soppesate dalla donna e dalla coppia prima di pensare davvero a un figlio. «La donna tende ad aspettare finché non termina gli studi, dando la priorità all’indipendenza economica e alla carriera, con l’obiettivo di programmare una gravidanza quando ha raggiunto una stabilità. Si aspetta l’uomo giusto o il momento giusto anche se, alle pazienti che me lo chiedono, rispondo che non ci sarà mai un momento giusto razionale, perché il corpo non ha nessuna intenzione di aspettare e dopo i 35 anni per la donna le possibilità biologiche di procreare cominciano a diminuire». Queste le parole della ginecologa (primario all’ORBV) Claudia Canonica, a sottolineare che avere un figlio non può essere solo il frutto della ragione o di una decisione ben ponderata, perché si potrebbe pure perdere il treno.
«La donna tende ad aspettare finché non termina gli studi, dando la priorità all’indipendenza economica e alla carriera»
L’orologio biologico della donna è, infatti, «a termine» e il desiderio di maternità è qualcosa che irrompe nella vita e nella mente della coppia anche quando non tutto è perfetto: «Bisogna ricordarsi che gli ovociti non aspettano né il momento giusto, né il partner giusto e tantomeno la chimera del contratto a tempo indeterminato». La specialista osserva altresì che «le donne oggigiorno sono più in forma e più curate rispetto alle loro coetanee di 30-40 anni or sono. Una quarantenne di oggi non è paragonabile a quella di un tempo: le sue condizioni fisiche permettono di sopportare meglio una gravidanza».
Ma non bisogna dimenticare che il periodo fertile della donna rimane biologicamente lo stesso: «Le difficoltà di concepimento delle donne aumentano con l’avanzare dell’età, in quanto la qualità degli ovuli femminili diminuisce con l’invecchiamento e dopo i 35 anni le chances di procreare diminuiscono». Ne risulta che non sempre il percorso verso la maternità e il bambino sia una strada facile o immune da difficoltà, e non solo per i fattori legati all’età: «Se nel primo anno di tentativi una donna non riesce a rimanere incinta, le ragioni possono essere molteplici: oltre all’età, le cause più comuni relative alle donne riguardano un’ostruzione delle tube di Falloppio, un’ovulazione irregolare o assente, l’obesità o il fumo. Senza però
dimenticare le malattie sessualmente trasmissibili, come ad esempio la clamidia, che negli ultimi anni stanno aumentando e per proteggersi dalle quali basterebbe usare il preservativo, soprattutto con partner occasionali».
Emerge l’aspetto della banalizzazione di questo tema da parte dei giovani: «Non si parla più abbastanza di malattie sessualmente trasmissibili come AIDS, sifilide, gonorrea e clamidia. Bisogna far comprendere ai giovani che queste infezioni, oltre a essere pericolose per la salute in generale, possono causare problemi di sterilità come la chiusura delle tube». Ad ogni modo, a un certo punto, se un fi-
glio non arriva è il caso di cominciare a interrogarsi: «La maggior parte delle coppie fertili riesce ad avere una gravidanza nell’arco di un anno se i rapporti hanno una frequenza settimanale soddisfacente. Dopo questo ragionevole tempo di attesa, la donna arriva da noi spesso incentrata su sé stessa, colpevolizzandosi e sentendosi difettosa, senza considerare che anche il compagno potrebbe avere un problema di fertilità da investigare».
Il dottor Alessandro Santi del Centro Cantonale di Fertilità EOC indica che gli aspetti salienti legati alla difficoltà di procreazione sono sostanzialmente due: «Al netto delle pro-
blematiche legate all’età della donna, è tutt’altro che raro trovare un problema nell’uomo per il quale, soprattutto negli ultimi anni, si è riscontrata una quantità e una qualità diminuite dello sperma, anche se le ragioni di questa tendenza non sono univoche né facilmente sondabili. Ad ogni modo, affinché un uomo sia fertile, il suo liquido seminale (ndr : sperma) deve essere pronto ad assolvere alla sua funzione: raggiungere l’ovulo e fecondarlo».
Un processo che a prima vista potrebbe sembrare più semplice di quello legato alla fertilità femminile, ma il nostro interlocutore pone l’attenzione sul fatto che anche la fertilità maschi-
le deve soddisfare scrupolosamente specifiche condizioni senza le quali non si riesce a procreare: «Fra queste, la sufficiente produzione di spermatozoi funzionanti che si muovano nel modo giusto, così come il liquido seminale che li favorisce nel raggiungimento dell’ovulo».
Come la sterilità femminile, anche quella maschile può avere diverse origini: «Dalla scarsa produzione di spermatozoi, alle loro caratteristiche inadeguate, problemi ormonali, oppure fattori relativi allo stile di vita come fumo, età, stress e via dicendo». Sebbene l’impossibilità di rimanere incinta sia un sintomo importante, la sterilità può essere diagnosticata solo da un ginecologo per la donna e da un andrologo per l’uomo.
A questo punto si potrebbero aprire le strade per una fecondazione in vitro che, spiega Santi, può offrire due vie. La prima è «l’inseminazione intra-uterina (il seme viene iniettato all’interno dell’utero della donna, per un concepimento naturale (ndr : è riconosciuto dalle assicurazioni malattia), la cui riuscita è circa del 20%, molto vicina a quella naturale». Mentre una seconda possibilità è data dalla fecondazione in vitro: «Si raccolgono gli ovuli che saranno fecondati con gli spermatozoi in laboratorio dove si svilupperà in vitro l’embrione sull’arco di cinque giorni, periodo di tempo che ci permette di constatarne la sopravvivenza (di norma sopravvive solo 1 su 5 che viene poi trasferito nell’utero della donna). La percentuale di successo dipende molto dall’età: 40% nelle più giovani, 30% attorno ai 38 anni e 5% per le donne sui 42 anni».
Un trattamento, quello in vitro, non riconosciuto dalle assicurazioni malattia, «per il quale bisogna considerare un costo di circa seimila franchi a ciclo, farmaci compresi». Quest’ultima soluzione è senza ombra di dubbio una via molto impegnativa in termini psicologici, sanitari ed economici. Per questo, il dottor Santi ricorda un’ultima cosa da non sottovalutare: «Alla fine, è sempre la natura a determinare se si diventa mamma o no: nella vita come in questi percorsi di fecondazione assistita, più del 50% delle probabilità resta proprio nelle mani della natura».
Una grande maestra che, col suonare dell’orologio biologico, ricorda alla donna quando sarebbe bene lasciarsi andare al progetto di maternità e paternità.
Incontro
Martedì 28 marzo, alle 18.30, avrà luogo una conferenza pubblica con la ginecologa Claudia Canonica e il dottor Alessandro Santi del Centro Cantonale di Fertilità ORL
● ◆ 2 Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 marzo 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino
SOCIETÀ
Vedi link: https://bit.ly/3T7jXVR
Alessandro Santi, ginecologo del Centro Cantonale di Fertilità EOC e Claudia Canonica, ginecologa primario all’ORBV. (Vincenzo Cammarata)
Maria Grazia Buletti
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iCub, il robot che interagisce coi bimbi autistici
Tecnologia ◆ C’è chi la ritiene troppo pervasiva, ma può avere sbocchi terapeutici favolosi. Parla la dottoressa Federica Floris
Carlo Silini
Gli umani sono esseri contraddittori, i robot forse no. Da una parte l’umanità s’indigna per l’invasione molesta delle tecnologie che si infilano nelle camerette chiuse, nei dispositivi e soprattutto nelle teste dei nostri adolescenti, ma non solo. Dall’altra, la stragrande maggioranza degli adulti naviga e si perde senza vergogna nei social e nelle chat mangiatempo che dominano il web.
Incontro i responsabili dell’associazione ated-ICT Ticino e penso che, come ogni prodigio scientifico che si rispetti, la tecnologia è una magia bifronte: puoi usarla bene o puoi usarla male. Loro, quelli di ated intendo, la usano benissimo. Sarà che la loro «mission» in quasi mezzo secolo d’esistenza è «informare, educare, appassionare all’informatica, facilitare i progetti innovativi e creare sinergie che portino valore aggiunto al tessuto economico e sociale del nostro cantone». Fatto sta, che quando, il 2 marzo scorso, hanno presentato a Lugano il loro ultimo progetto, ated4special (vedi articolo in basso), è apparso subito chiaro che esiste un modo davvero virtuoso e creativo di sfruttare le nuove tecnologie a tutto vantaggio, per esempio, delle persone autistiche.
Un progetto avveniristico
Ne parliamo con Federica Floris che nelle righe che seguono ci illustra in che modo un robot molto espressivo di nome iCub può aiutare i bambini autistici a vivere meglio. La dottoressa Floris – che sarà tra le relatrici all’evento del 2 aprile (vedi scheda) nel quale ated presenterà al pubblico il progetto ated4special – è esperta in neuropsicologia clinica e riabilitativa. E, soprattutto, è responsabile del Coordinamento Educativo per l’Opera Don Orione Genova, dove, in collaborazione con l’Istituto Italiano di Tecnologia, coordina un progetto di ricerca Training robot-assistito per favorire le abilità sociali dei bambini con disturbi del neuro-sviluppo.
Federica Floris guida una sperimentazione d’avanguardia che tra le altre cose permette di migliorare l’attenzione dei bambini autistici
«Il progetto – spiega – nasce dall’idea di mettere concretamente la ricerca e la tecnologia più avanzata al servizio della società in un contesto puramente clinico e di cura». La sperimentazione da lei guidata è pionieristica. «Sì, perché prevede per la prima volta al mondo l’interazione tra il robot iCub e un gruppo di bambini con diagnosi di Sindrome dello Spettro Autistico già inseriti nel percorso terapeutico del Centro Boggiano Pico, il polo specializzato nel trattamento e la riabilitazione dei disturbi del neurosviluppo dell’Opera Don Orione Genova».
Con quale scopo, le chiediamo?
«L’obiettivo è quello di sviluppare alcune loro competenze specifiche che risultano deficitarie come l’attenzione condivisa, la prospettiva spaziale, la capacità di comprendere intenzioni,
Appuntamento
gli stati d’animo, e i desideri dell’altro, ovvero la cosiddetta Teoria della Mente. Negli anni abbiamo osservato come i training robotici non solo rappresentino un’attività entusiasmante e di per sé stimolante per i bambini coinvolti, ma siano realmente uno strumento efficace nel processo di acquisizione di alcune specifiche competenze».
La dottoressa Floris sarà una delle ospiti della giornata di presentazione del progetto «ated4special: la tecnologia al servizio delle persone» che si terrà il prossimo 2 aprile nel Campus Universitario USI/SUPSI di Lugano. L’appuntamento si inserisce nell’ambito della Giornata Mondiale della Consapevolezza sull’Autismo (WAAD, World Autism Awareness Day), istituita nel 2007 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il programma prevede diversi workshop sia con professionisti di livello internazionale sia con figure di riferimento nel territorio della Svizzera italiana. L’intento è quello di mostrare metodi e approcci innovativi che possono dare una mano alle famiglie con un figlio con disturbo dello spettro autistico.
I relatori
Fra i relatori, moderati da Luca Mauriello: Luca Bernardelli, psicologo; Martina Ferone, direttore clinico PECS; Federica Floris, esperta in neuropsicologia; Mirko Gelsomini, ricercatore SUPSI; Davide Ghiglino, Postdoc Researcher presso Istituto Italiano di Tecnologia; Matteo Maccione pedagogista; Michela Papandrea ricercatrice SUPSI; K atia Rezzonico logopedista e formatrice.
Viene da chiedersi se si notano già dei benefici e, soprattutto, se è realistico attendersi vantaggi concreti legati all’utilizzo di questo tipo di robot umanoidi. La ricerca, osserva la studiosa, non parte da zero: «Nel corso dell’ultimo decennio sono stati condotti numerosi studi sull’applicazione della robotica nel campo della disabilità. Una sezione rilevante degli studi si è focalizzata sull’utilità delle tecnologie robotiche nello stimolare le abilità deficitarie nella Sindrome dello Spettro Autistico (Autism Spectrum Disorder – ASD), dando conferma di come i robot sociali possano fornire un aiuto ai terapisti nello sviluppare diverse competenze, da quelle sociali ad alcune autonomie».
Dagli studi che si sono succeduti negli anni, osserva la dottoressa Floris, «è emerso per esempio che i robot pos-
sono aiutare a sviluppare e incrementare le competenze sociali dei bambini con autismo. Infatti, per questi bambini, l’interazione con le altre persone è disorientante, anche a causa della variegata espressività del volto umano. Interagendo con una persona, ognuno di noi viene a contatto con numerosissimi segnali sociali come le espressioni facciali, i gesti, la tonalità della voce; tutto questo per un bambino con autismo potrebbe essere difficile da interpretare. Il robot sociale diventa quindi una sorta di intermediario, affidabile e prevedibile per il bambino».
Meglio degli umani?
Un’ulteriore dimostrazione di come la robotica stia avendo un impatto sempre più inclusivo. Affiancandosi a professionisti e famiglie, la tecnologia può effettivamente agevolare la comunicazione e l’apprendimento, attraverso metodi fino a pochi anni fa impensabili. La cosa sorprendente è che il robot in alcuni casi sembra funzionare «meglio» degli umani nelle relazioni con i bimbi autistici.
«È vero. La scienza ci dice che i bambini con autismo riescono a man-
Il robot iCub consente ai bambini autistici di acquisire o rafforzare nuove importanti competenze per la vita. Sotto: la dottoressa Floris. (foto cortesia ated-ICT Ticino)
tenere il focus attentivo e il contatto oculare sul target robot per tempi maggiori rispetto all’interazione con un essere umano; questo è possibile ascriverlo al minor carico cognitivo ed emotivo che l’interazione con una macchina, seppur con fattezze umanoidi, implica».
Il progetto va annoverato tra altre interessanti possibilità di cura attraverso strumenti altamente tecnologici – diciamo così – alla portata di tutti. Ma con una marcia in più. «In effetti il sostegno dei robot sociali è risultato più efficace di altre terapie tecnologiche, come i videogiochi o le app: il robot incentiva l’interazione, indispensabile affinché esso funzioni. A differenza di altri strumenti come i software, che catturano completamente l’attenzione dei bambini, i robot umanoidi possono facilitare le naturali interazioni persona-persona. Migliorando i protocolli riabilitativi sull’utilizzo dei robot, incrementando le sperimentazioni, possiamo quindi immaginare che nei prossimi anni queste macchine possano diventare un nuovo strumento a disposizione dei terapisti per lavorare su determinate competenze, così come lo sono oggi app e software».
Figli, genitori, professionisti: gli ambiti di ated4special
Il progetto ated4special è stato presentato lo scorso 2 marzo dalla presidente ated-ICT Ticino, Cristina Giotto e, in modo più dettagliato, dal suo vice Luca Mauriello, che ha parlato con la doppia competenza dell’esperto di tecnologia e di padre di Alessandro, un bambino autistico che oggi ha 11 anni. «Non ci vogliamo sostituire alle associazioni di aiuto all’autismo, ha esordito Mauriello, ma mettiamo a disposizione le nostre conoscenze tecnologiche in questo ambito».
Il piatto forte di ated4special consiste in un villaggio virtuale nel Metaverso pensato per aiutare i ragazzi autistici ad affrontare situazioni di vita quotidiana. Come «attraversare la
strada, prendere un autobus, lavarsi, andare dal dentista, fare la spesa al supermercato. Vogliamo rendere accessibile una piattaforma virtuale sicura che insegni abilità sociali, comportamentali, comunicative e di vita per le persone con disturbo dello spettro autistico (DSA) e altre condizioni neuro diverse».
«Abbiamo poi creato un percorso di comprensione delle difficoltà del bambino con disturbi del neurosviluppo destinato alle famiglie. Attraverso simulazioni con visori di realtà virtuale i genitori vengono immersi in situazioni e ambienti sovra stimolanti per i propri bambini autistici. In questo modo possono acquisire con-
sapevolezza sull’autismo e iniziare a codificare gli stimoli che provengono dall’ambiente, i rumori e le sollecitazioni che stressano maggiormente bambini e adolescenti con disturbi del neurosviluppo».
Ated4special intende fornire anche a psicologi e psicoterapeuti le competenze necessarie per utilizzare i device tecnologici relativi ai progetti ated4special in the Metaverse e ated4special Digital Parent training con realtà virtuale e PECS (Picture Exchange Communication System). È possibile sostenere il progetto partecipando all’apposita campagna di raccolta fondi (https://www.lokalhelden.ch/it/ated4special/grazie#pnav)
● Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 marzo 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 3
da non perdere il prossimo 2 aprile
La colomba della Vallemaggia
Attualità ◆ Il dolce della panetteria-pasticceria
Poncini di Maggia è una delle specialità pasquali regionali più apprezzate dalla clientela Migros
Già vincitore di diversi premi, tra cui la coppa del mondo del panettone nel 2021 con il suo panettone al cioccolato, Luca Poncini dell’omonima panetteria-pasticceria di Maggia da ormai diversi anni rifornisce Migros Ticino con le sue specialità festive, nella fattispecie la Triestina al cioccolato durante il periodo di Natale e la Colomba classica pasquale. Quest’ultimo prodotto da qualche settimana è già disponibile sugli scaffali dei negozi Migros in una graziosa confezione di cartone, ideale anche per un regalo all’insegna dei prodotti del nostro territorio. Abbiamo posto qualche domanda all’artigiano valmaggese.
dopo la mia formazione di panettiere-pasticciere, subentro io e tutto il laboratorio e il negozio subiscono un’importante ristrutturazione per adeguarci ai nuovi standard. Quali sono i prodotti che escono dal vostro laboratorio?
Oltre alle classiche varietà di pane e pasticceria nelle più diverse tipologie, da oltre 50 anni ci siamo focalizzati sulla produzione di specialità festive, come appunto il panettone e la colomba, alcuni dei quali proposti anche nei negozi Migros. Questi prodotti sono realizzati con lievito madre fresco e ingredienti di elevata qualità, di cui sono sempre alla costante ricerca, e non contengono né conservanti né coloranti.
Ci vuole molto tempo per produrre una colomba?
«Ci
Produrre un dolce di qualità richiede una lunga e meticolosa lavorazione artigianale che implica quasi due giorni di lavoro. È solo in questo modo che si riesce a ottenere un prodotto eccelso dal punto di vista organolettico che possa conquistare pienamente i favori della clientela.
Il panettiere-pasticciere
Luca Poncini
Signor Poncini, quando nasce la vostra panetteria-pasticceria?
La nostra è un’attività a carattere familiare nata oltre 100 anni fa, nel 1904, quando mio bisnonno Augusto apre il suo primo laboratorio. Negli anni Trenta arriva in azienda il figlio Plinio, che a sua volta alla fine degli anni Settanta lo cede a mio padre Sandro. Infine, nel 1985,
Come descriverebbe questa specialità?
La nostra colomba si caratterizza per la sua inconfondibile morbidezza data dalla lievitazione naturale e dal suo profumo inebriante, mentre il sapore è deciso e avvolgente grazie al mix di profumi rilasciati principalmente da burro, bacche di vaniglia del Madagascar e scorza d’arancia della Sicilia e Calabria.
Voglia di primavera
Attualità ◆ Con l’arrivo della nuova stagione i coloratissimi tulipani la fanno da padrone.
Nei reparti fiori Migros ne trovate attualmente un’ampia scelta a prezzi particolarmente vantaggiosi Con i loro splendidi colori i tulipani sono tornati a conquistare le nostre case. Chi saprebbe resistere alla bellezza di questi fiori? Dopo le rose, i tulipani sono i fiori recisi più amati in Svizzera. Si stima che nel nostro paese ne vengano venduti ogni anno qualcosa come 80 milioni. Nel mondo esistono oltre 3000 varietà di tulipano. Anche se le origini della pianta vanno fatte risalire all’Asia Centrale, è in Olanda che a partire dal 16esimo secolo la sua coltivazione si sviluppò in modo significativo. Oltre l’80% dei tulipani smerciati mondialmente proviene infatti da questo paese. Siccome i fiori continuano a crescere anche dopo essere stati tagliati, si consiglia di metterli in un vaso piuttosto alto in modo che possano svi-
lupparsi al meglio. Per sbocciare bene i tulipani vanno collocati in locali luminosi e freschi, evitando i raggi diretti del sole e il calore che li farebbero appassire più velocemente. Prima di collocarli nel vaso, tagliate i gambi di ca. 1 cm e rimuovete le foglie che potrebbero marcire nell’acqua. Aggiungete poca acqua a temperatura ambiente e cambiatela tutti i giorni. Con questi piccoli accorgimenti i vostri magnifici tulipani in vaso possono durare anche fino a due settimane. A proposito: i tulipani sono perfetti per decorare la tavola pasquale. Scegliete per esempio fiori in colori coordinati con la decorazione della tavola e le stoviglie. In questo modo le emozioni primaverili sono garantite!
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Oleg Magni
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vogliono due giorni per produrre una buona colomba»
Hit Tulipani mazzo da 12 pezzi Fr. 4.95 dal 21.3 al 27.3.2023
Profumo di aglio orsino nell’aria
Attualità ◆ Desiderate provare alcune specialità aromatizzate con questa erba aromatica primaverile?
Con l’arrivo della primavera ritorna la voglia di aglio orsino, un’erba aromatica selvatica della famiglia del porro, della cipolla e dell’aglio comune che cresce spontaneamente anche nei nostri boschi. La pianta viene spesso utilizzata per la preparazione di pesti e burro alle erbe, ma grazie al suo aroma delicato si presta molto bene per insaporire tante altre pietanze, dalla pasta alla carne, dal formaggio agli spätzli, dalle uova fino alla carne e al pesce. Con l’inizio della stagione primaverile, Migros propone nel suo assortimento diverse specialità aromatizzate all’aglio orsino. Ma affrettatevi, perché saranno disponibili solo per un periodo limitato.
Secondo la leggenda, il nome dell’aglio orsino deriva dal fatto che l’erba aromatica sarebbe il primo cibo che trovano gli orsi una volta usciti dal letargo. Questa credenza è sostenuta dal fatto che questi animali si nutrano principalmente di bacche e piante. Dell’aglio orsino non si butta via niente: sia il bulbo, le foglie, come anche i fiori sono commestibili. La pianta è inoltre ricca di vitamina C, favorisce la digestione e aiuta a ridurre la pressione sanguigna e i livelli di colesterolo.
Gli articoli illustrati sono in vendita per un periodo limitato nelle maggiori filiali Migros
LITTLE THINGS MAKEDIFFERENCE A BIG
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Chiefs ® Protein Pudding è in vendita alla tua Migros L’aveteprovato? con Chips Choco NUOVO
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Pesto all’aglio orsino bio 140 g Fr. 4.60
Salametti all’aglio orsino Rapelli 180 g Fr. 6.95
Pommes Chips all’aglio orsino 150 g Fr. 3.20
Girasoli all’aglio orsino Garofalo 250 g Fr. 6.50
Spätzli all’aglio orsino bio 500 g Fr. 3.95
Formaggio all’aglio orsino 100 g Fr. 2.45
«Le donne non sono costole d’Adamo»
Violenze sessuali ◆ La psicologa Angela Andolfo Filippini: c’è un’idea distorta dei rapporti tra i generi
Romina Borla
Qualche settimana fa tre ventenni sono stati assolti in Appello dall’accusa di stupro di gruppo (perpetrato nel Sottoceneri). Si tratta di due fratelli che erano stati condannati in primo grado nel 2022 per atti sessuali con una ragazza incapace di discernimento o inetta a resistere – incontrata dopo una serata in discoteca – e il loro amico, ritenuto reo di violenza carnale ripetuta. Altri tre giovani del Luganese sono comparsi alla sbarra settimana scorsa: avrebbero abusato di una coetanea nel 2019, durante una festa campestre. Questi sono solo gli ultimi – i più eclatanti raccontati dai media – di una lunga serie di reati a sfondo sessuale che si consumano anche alle nostre latitudini. Dati della polizia alla mano, in Svizzera nel 2021 si sono registrati 757 casi di violenza carnale e 720 di coazione sessuale: la punta dell’iceberg di un fenomeno in realtà molto più diffuso (le cifre del 2022 saranno rese note a fine mese). Mentre continua il dibattito sulla revisione del diritto penale in materia (leggi box in basso), ne parliamo con una psicologa e psicoterapeuta.
Evitiamo i cliché
«Quando si parla di violenza carnale e abusi sessuali – dice Angela Andolfo Filippini che collabora con il Servizio di aiuto alle vittime di reati ticinese – si pensa di solito a una donna che cammina di notte da sola e in un angolo buio viene aggredita da uno sconosciuto che la stupra mentre lei urla disperata. Ma è una rappresentazione riduttiva del fenomeno; la maggior parte delle situazioni sono di tutt’altra natura». L’atto sessuale imposto non è sempre legato ad un autore violento, spiega l’intervistata. In molti casi si tratta di un «avvicinamento subdolo, manipolatorio o ingannevole» che spesso ha a che fare con momenti di vulnerabilità della persona che subisce violenza: ad esempio una donna non si sente bene o ha bevuto alcolici e l’amico o l’ex si offre di accompagnarla a casa e, invece di aiutarla, approfitta del momento… «Violenze sessuali di forme e grado diversi avvengono spesso anche all’interno di relazioni strutturate», sottolinea la psicologa. Relazioni che nulla hanno a che vedere con l’amore e il rispetto: si basano su un’idea distorta dei rapporti tra i generi e della donna, che diventa un oggetto in balia delle necessità altrui. Devastanti gli effetti sul corpo e la psiche della vittima che perde fiducia in sé stessa, negli altri e cade in uno stato di profonda sofferenza.
Le violenze sessuali sono traumi destabilizzanti e destrutturanti che rappresentano «un rischio vitale» per chi le subisce, afferma Muriel Salmona, psichiatra e presidente dell’associazione attiva in Francia Mémoire Traumatique et Victimologie (leggi Soigner les victimes de violences sexuelles sul sito www.memoiretraumatique. org). «Per sfuggire a questo rischio vitale il cervello mette in atto meccanismi di salvaguardia neuro-biologica che interrompono i circuiti emotivi e della memoria», i quali sono all’origine dei principali sintomi del disturbo post-traumatico da stress: ricordi intrusivi o memoria traumatica (flash back, incubi), ipervigilanza (stato di tensione e stress cronico), sensazione di pericolo permanente, comportamenti dissociativi e di evitamento del trauma, ansia generalizzata fino ad arrivare allo sviluppo di «disturbi fobici e ossessivi, depressione e tentativi
Animali un po’ magici
Teatro ◆ Minispettacoli con il Mago Magrino
maschile problematica che andrebbe educata, regolata, contenuta, incanalata se possibile all’interno di una relazione che può essere solo consensuale. Il corpo dell’altra non è un ricettacolo ad uso e consumo del maschio».
di suicidio, disturbi cognitivi, disturbi dello sviluppo e del comportamento, dipendenze, disturbi alimentari, del sonno o sessuali, malattie legate allo stress (…)». «A volte le vittime –che sono in maggioranza donne – si chiudono in uno stato di isolamento», aggiunge Andolfo Filippini. «Evitano di frequentare certi luoghi per paura di incontrare l’aggressore, di essere nuovamente esposte al pericolo, evitano di rimanere sole con uomini o situazioni che ricordino il trauma vissuto».
È possibile «guarire» da un’esperienza di questo tipo? «Le ferite variano da donna a donna; le possibilità di recupero dipendono anche da qual è il terreno emotivo su cui si innesta il trauma (a volte va ad aggiungersi ad altri traumi). Non si tratta comunque mai di “tornare come prima” ma di capire come andare avanti dopo».
Il primo passo – afferma l’esperta – è legittimare la propria sofferenza, riconoscerla come derivante dalla violenza subita e non come qualcosa di cui si è responsabili (ad esempio per un comportamento o un abbigliamento «sbagliato»). La violenza non è mai una reazione ma un’azione deleteria di cui la vittima non ha colpa. «In secondo luogo è necessario parlarne con persone di fiducia ed enti di aiuto che possono sostenere durante l’iter di denuncia. Sono passaggi cruciali dal punto di vista del recupero della propria autonomia e delle proprie risorse. Ma molte vittime faticano a denunciare». Perché non sono cose facili da dire: bisogna raccontare un fatto intimo e terribile a degli sconosciuti, agenti, procuratori ecc. C’è il forte senso di vergogna, il sentirsi colpevoli, che aumentano se la vittima ha bevuto, è uscita sola ecc. C’è
poi chi non parla perché vuole dimenticare. Anche l’idea che l’autore rischi poco non aiuta. Per uno stupro da uno a 10 anni di carcere; nel caso di coazione sessuale è prevista una pena detentiva sino a 10 anni o una pena pecuniaria. «Ma di rado il giudice infligge i massimi previsti dalla legge e purtroppo si assiste spesso al non luogo a procedere…». In ogni caso – sottolinea Andolfo Filippini – intervenire subito dopo l’aggressione (chiedendo assistenza medica, psicologica e legale) fa la differenza e aumenta le possibilità di recupero.
Superare gli antichi modelli
Le norme in materia di crimini sessuali stanno per cambiare. La direzione intrapresa è incoraggiante. «Purtroppo però non è passato il principio della necessità del consenso esplicito di tutte le persone coinvolte nell’atto sessuale (“solo sì vuol dire sì”)». Una soluzione adottata da una quindicina di Paesi europei e prevista dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. Per Andolfo Filippini solo il consenso esplicito toglie qualsiasi dubbio e rappresenta un cambiamento di prospettiva, la volontà di scardinare certe rappresentazioni terribili ancora molto diffuse: «Si scherza ancor oggi sul fatto che, quando una donna dice no, in realtà intende dire sì. Lo fa solo per flirtare, giocare, tenere l’altro sulle spine e aumentare il desiderio. Niente di tutto questo. Ribadiamolo: il no significa no e basta ma a volte viene mal interpretato o bypassato dall’altro. In questo si manifesta una pulsionalità
E qui si apre una vasta discussione su una questione culturale profonda, ancorata in una narrativa ancestrale che influenza sia uomini che donne. Per lungo tempo queste ultime sono state considerate «costole d’Adamo». Non avevano legittimità in quanto persone a sé stanti – spiega Andolfo Filippini – ma esistevano in un certo senso in funzione del marito, dei figli, della famiglia. Dipendevano dall’uomo a livello economico, legale, su tutti i fronti. Gli dovevano fedeltà, devozione e tante altre cose, favori sessuali compresi. Malgrado sia in atto un processo di emancipazione irreversibile e benefico, questa rappresentazione è ancora viva nell’inconscio. Genera sofferenza e fa danni enormi.
Abbiamo raccolto non poche testimonianze di donne che non sono state violentate nel senso stretto del termine. Ma hanno accettato atti sessuali non desiderati come male minore. I casi si possono classificare in due: escono con un uomo che si aspetta «la conclusione», a metà strada si accorgono di non desiderare lo stesso ma ormai è fatta (per paura di una violenza, perché «in fondo l’ho istigato ed è giusto così»); hanno una relazione e si «concedono» contro voglia al partner perché si sentono in un qualche modo «una sua proprietà», perché hanno il timore di essere lasciate, tradite ecc. In questi casi si può parlare di vittime? Non userei questo termine perché le situazioni non hanno valenza penale», afferma Andolfo Filippini. «Si tratta piuttosto di casi in cui la donna aderisce alle aspettative dell’altro piuttosto che alla propria volontà, ai propri desideri. Rinuncia alla sua autonomia emotiva e sessuale. Sono situazioni che – come nei casi di violenza classica – possono creare grande sofferenza. Malgrado viviamo nel 2023 e molti passi avanti sono stati fatti, questa visione del mondo rimane radicata nella psiche individuale e collettiva. E l’autonomia della donna è sempre messa in discussione. Questo limite tra sé e l’altro riguarda anche gli uomini, che talvolta percepiscono le donne come qualcosa su cui hanno dei diritti, perché in fondo “è cosa mia”, non accettandone l’indipendenza…». Tanto si può dunque fare, con la messa in discussione di modelli superati e l’educazione delle nuove generazioni a rapporti davvero paritari.
Le norme in materia di crimini sessuali stanno per cambiare
In Svizzera continua il dibattito sulla revisione del diritto penale in materia di crimini sessuali. Ad oggi solo la penetrazione vaginale non consensuale di una donna da parte di un uomo viene considerata stupro. Inoltre per legge è necessario che la vittima dimostri di avere espresso una certa resistenza mentre l’autore deve avere usato violenza o minacce. Si incontrano però un’infinità di situazioni che non rientrano nel caso descritto. Pensiamo al cosiddetto freezing o congelamento: spesso la vittima mostra di non essere d’accordo ma poi – paralizzata dal terrore – non riesce più a reagire. Tornando al dibattito in corso, il principio di estendere la fattispecie della violenza carnale è passato: definirà
Mago Magrino e gli animali magici della Compagnia C’è un asino che vola è ispirato dalle fiabe de Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile. Un bel giorno il piccolo Zefirino lascia la famiglia e va in cerca di fortuna. Dopo varie peripezie incontra il mago Magrino che gli regala gli animali magici custodi di oro e pietre preziose. Sulla sua strada, però, irrompe Perfidus, il
Concorso
«Azione» mette in palio 5x2 biglietti per Mago Magrino e gli animali magici (2 aprile 2023, ore 16.00, Oratorio di Minusio, a partire dai 4 anni). Per partecipare al concorso inviare una mail indicando il vostro indirizzo a giochi@azione.ch (oggetto: «Minispettacoli») entro sabato 25 marzo 2023.
Plasmare la società
tutti gli atti sessuali imposti che implicano una penetrazione corporale –sesso anale e orale compresi – e si applicherà anche alle vittime di sesso maschile. Sarà inoltre punito per stupro chiunque agisca contro la volontà di una persona, anche senza usare mezzi di coazione.
Il 7 marzo scorso il Consiglio degli Stati ha preso posizione, adottando un modello di compromesso che può essere qualificato come «no significa no, plus»; il dossier è quindi tornato al Nazionale. Ma cosa significa? Le varianti in discussione erano sostanzialmente due. Nella prima – ovvero la soluzione «no significa no» – vengono puniti gli atti sessuali commessi contro la volontà (espressa) di una
persona. Il secondo approccio – «solo sì vuol dire sì» – intende invece inserire il concetto del consenso nel diritto penale (ogni atto sessuale richiede il consenso esplicito di tutte le persone coinvolte). Il «no significa no, plus» rientra nel modello del rifiuto ma tiene in considerazione lo stato di shock (freezing ) che può paralizzare la vittima: sarà punito per stupro o violenza sessuale anche «chiunque approfitti dello stato di stupore di una persona a tale scopo».
Settimana scorsa inoltre il Consiglio degli Stati – dopo il Nazionale – ha approvato due mozioni per la creazione di centri per le prime cure destinati alle vittime di violenza sessuale e domestica.
Generando
◆
Nuovi incontri di genere
«Generando» vuole schiudere nuovi orizzonti, invitare alla riflessione e soprattutto al dialogo. Sull’arco di alcune settimane Generando propone iniziative, manifestazioni, eventi che favoriscono il dialogo sul tema del genere. Anche quest’anno si prospetta una stagione ricca di spunti di riflessione per una società più giusta e consapevole. (info: generando.ch)
I prossimi appuntamenti:
23 marzo 2023 (Bellinzona, Biblioteca cantonale, 17.00), Come declinare la parità di genere in italiano? Suggerimenti pratici e pragmatici. Come scrivere, parlare e interagire in modo equo, conforme al genere, gender-fair e non discriminante?
26 marzo 2023 (workshop, Manno, Sala Aragonite, 10.00-16.00), Human library – racconti di parti. Donne e uomini raccontano della loro esperienza di parto naturale.
6 Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 marzo 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino SOCIETÀ
mago cattivo che con l’inganno cerca di rubargli tutta la sua fortuna.
Kinga Howard / Unsplash
Fortunato chi ci arriva (oppure no)
Terzo Tempo ◆ Con un libro e una rubrica su Rete Due Lidia Ravera ci propone una serie di riflessioni intorno al delicato tema della vecchiaia
Simona Sala
Spesso i segnali dei cambiamenti della società ci giungono per primi dalla lingua, ossia dalla diffusione di un nuovo termine o modo di dire. E sono infatti più di una le espressioni nate anche intorno a un concetto che si traduce in un fenomeno largamente diffuso nelle società occidentali e per molti soprattutto preoccupante – ad esempio a livello previdenziale o sul piano della ripartizione della ricchezza – come quello dell’invecchiamento della popolazione. Ma poiché nella società della political correctness di vecchi, o di anziani non si può parlare, si preferisce definirli rappresentanti della silver age, oppure baby boomer, over, senior…, termini che probabilmente fanno più bene a noi che li utilizziamo che non a coloro cui sono riferiti.
Lidia Ravera (che collabora con «Azione» da alcuni anni ed è autrice del romanzo a puntate Nuove povertà), dopo essere entrata nella storia letteraria d’Italia nel 1976 insieme a Marco Lombardo Radice per il suo all’epoca dissacrante – ma, visti i tempi in cui viviamo, potrebbe essere tornato scabroso – diario sessuo-politico Porci con le ali, dopo oltre trenta romanzi, decine di racconti e innumerevoli articoli, si dedica nel suo nuovo libro a quello che ha deciso di chiamare «Terzo tempo».
Quello che ci propone in Age Pride (nella foto l’immagine di copertina) è un «Terzo tempo» da sostituirsi a «terza/quarta età», così come l’espressione «grandi adulti» potrebbe sopperire a «vecchi». Se infatti partissimo da un uso della lingua più inclusivo, rischieremmo di comprendere davvero i «grandi adulti» in una società che invece spesso guarda a loro con sospetto, da una parte per i privilegi che sembrano portarsi appresso (la loro pensione, a differenza della nostra, è sicura, così come i loro risparmi, spesso, sono ancora destinati a crescere),
dei ciliegi
Elisabetta Pica – Silvia Borando
Raccontami una storia
Minibombo (Da 3 anni)
Ecco un bell’albo visto alla recente Fiera di Bologna, del resto con l’editore Minibombo la qualità (la vividezza creativa, l’originalità, l’accordo perfetto tra idea narrativa e illustrazioni) è assicurata. C’è un bimbo che chiede al nonno di raccontargli una storia, ed ecco quella del ranocchio, in un prato, che fa indigestione di lattuga… però accidenti non si vede niente, è tutto verde! E non va meglio con la storia – troppo gialla! – della leonessa che ha smarrito la sua pallina da tennis tra le dune del deserto, né con quella della coccinella in un campo di papaveri… Il nonno prova e riprova, il nipotino è esasperato (ma il piccolo lettore sarà invece ogni volta più divertito!), poi arriva la nonna, ma anche la sua storia sui fenicotteri è un po’ troppo rosa, e allora il nipotino prende cappottino e cane e decide di uscire a fare una passeggiata. Fuori nevica, lo vedevamo già dalla finestra della sala, sin dai risguardi, ma ancora non potevamo immaginare di che colore fossero il cappottino e il ca-
dall’altra perché l’attaccamento che hanno alla vita, e che spesso si traduce nell’occupazione a tempo indeterminato di talune cariche professionali o politiche, può rischiare di corrispondere a una mancanza di prospettiva per le generazioni più giovani (come la vediamo in Italia, ma sempre più spesso anche da noi).
Come uscire dunque da quello che pare a tutti gli effetti un circolo vizioso non accettabile per Lidia Ravera, ma ingiusto a prescindere per tutti coloro che si trovano nella sua situazione?
Anzitutto è importante una convivenza effettiva tra puer e senex: giovani e non-giovani non dovrebbero condurre vite separate.
Lidia Ravera si sofferma sulla categoria delle «grandi anziane» osservando come siano soprattutto le donne a fare le spese dell’implacabile trascorrere del tempo
Lidia Ravera, che dal 2013 al 2018 è stata anche Assessore alla Cultura e Politiche giovanili della Regione Lazio, pur lamentando la mancanza di un Assessorato alle politiche senili (per «censire i vecchi, ascoltarli, studiarli, riflettere su questi trent’anni che prima non c’erano, che non ci sono mai stati e adesso ci sono»), riconosce come giuste le rivendicazioni di quell’ampia fascia generazionale che comprende i cosiddetti giovani, ma invoca anche una maggiore impostazione intergenerazionale per la nostra società, in grado di offrire a entrambe le categorie anagrafiche un campo comune di crescita e di scambio: «Io credo che la solidarietà intergenerazionale sia possibile solo se i vecchi sono generosi e i giovani curiosi. Credo
che non sia possibile se striscia l’invidia (dei vecchi verso i giovani) o il disprezzo (dei giovani verso i vecchi)».
Ravera però si spinge oltre, restringendo ancora di un poco il campo di osservazione per soffermarsi su una ulteriore categoria, che potremmo chiamare «delle grandi anziane». Non senza una certa irriverenza (a un certo punto si chiede cosa penserebbe l’opinione pubblica se una donna si presentasse come Giuliano Ferrara) osserva come a fare le spese dell’implacabile trascorrere del tempo siano soprattutto le donne, ossia quella parte della società che per definizione ancora gode di diritti minorati, e che una volta scaduto il tempo biologico con la menopausa, si riduce a un involucro sterile (a differenza dell’uomo il cui potenziale riproduttivo non conosce necessariamente data di scadenza), inutilizzabile e dunque spesso inutilizzato. E proprio questa pressione sociale, o la mancanza di qualsivoglia forma di pressione, poiché sostituita dall’indifferenza generalizzata della società, indurrebbe sempre più rappresentanti dell’universo femminile a cercare nella chirurgia, con tutte le sue diramazioni tecnologiche, un modo per fermare o rallentare almeno il tempo esteriore. Questo tipo di soluzione però, passeggera oltre che schiavizzante, è per Ravera inaccettabile, ma, si chiede, «Che cosa possiamo fare? Che cosa possiamo fare per smettere di essere considerate merce scaduta quando non ovuliamo più?».
Di soluzioni, forse però ce ne sarebbero più di quelle che si potrebbero pensare. Innanzitutto, le donne che hanno superato i sessant’anni dovrebbero eliminare una vergogna (per il proprio corpo, per l’età) che non ha alcuna ragione di esistere, imparando così a vivere da soggetti, invece che da oggetti; poi, per rendere più chiara la
potenziale buona direzione da prendere, Ravera offre una lunga lista di cose che si «potrebbero fare», o meglio basterebbe fare, come (e ne citiamo solo alcune) «esporre con orgoglio le poderose conquiste dell’intelligenza, del gusto, dell’ironia», «sventolare la bandiera della durata, che non è noia, non è ripetizione», «ribellarsi invece di obbedire alla legge del mercato dei corpi eterni». Oppure, in ultima istanza, e qui
Invecchiare può essere bello
Invecchiare è bello? È questa la domanda da cui nasce e si svilupperà la nuova rubrica di Rete Due Considera l’alternativa. Del bello di invecchiare, firmata da Lidia Ravera e a cura di Sandra Sain (27 marzo-7 aprile, luve; ore 7.50 Verde Aurora; ore 11.45 Alphaville, in replica). Attraverso una serie di lucidi e ironici momenti radiofonici Lidia Ravera affronterà gli aspetti principali dell’appartenere a una categoria che gode di brutta fama e pessima stampa come quella della vecchiaia.
ne (indovinate?). Un ulteriore sorriso finale ci è regalato dal contrasto tra l’affermazione del bimbo, il quale –un po’ come il dickensiano Grandgrind – sostiene che la realtà è molto meglio di tutte quelle storie assurde, e l’ironia sorniona dell’ultima immagine, che raffigura, per chi la sa vedere con gli occhi del cuore, la passeggiata di bimbo e cane nella neve! Silvia Borando, che di Minibombo è la geniale coordinatrice, valorizza con le sue illustrazioni la bella idea di Elisabetta Pica, dando vita a un libro che i bambini non si stancheranno di guardare e di riguardare, di leggere e sentirsi leggere. E il gioco continua, come di consueto, anche inte-
rattivamente sul sito minibombo.it. Visitatelo, ci troverete pure le varie iniziative per festeggiare i dieci anni di questa eccellente casa editrice.
Andrea Molesini
Storia del pirata col mal di denti e del drago senza fuoco HarperCollins (Da 8 anni)
Non sempre, anzi quasi mai, un ottimo scrittore per grandi riesce ad essere altrettanto convincente quando scrive per piccoli. Fa eccezione Andrea Molesini, apprezzato sin dagli esordi della sua produzione per bambini, e ancor più ora, con questo bel romanzo, che racconta l’avventura appassionante, divertente, e persino un po’ commovente, non solo di un pirata col mal di denti e di un drago senza fuoco, ma anche di tutta una schiera di deliziosi, acciaccati, malconci e tuttavia indomiti e simpaticissimi personaggi. Soprattutto non umani. A parte il nostromo Copecoperso e il suo capitano Panciagialla, entrambi pirati in pensione, e due bambini, gli altri protagonisti sono un drago dentista e filosofo, un gorilla intuitivo e un po’ sarcastico, un’intraprenden-
te puzzola con cappello e mazza da baseball, già fidanzata con un Orco buono e reietto dalla sua tribù, il suddetto Orco reietto, un cucciolo di ippopotamo orfano e spaurito, un leone zoppo, un pellicano cuoco, un elefante con una casa troppo piccola per lui, ma «a lui piace guardarla dal di fuori» e «gli serve per ospitare viandanti», una tartaruga saggissima nonché timorosa di finire nella zuppa di qualche umano. L’ironia di questi personaggi ha come bersaglio proprio gli animali umani, gli homo sapiens sapiens, anzi i «bipedi saputi saputi», definizione peraltro paradossale, perché, come nota la tartaruga, che la sa lunga, «bipe-
Lidia Ravera dimostra come gli anni trascorsi non ne abbiano scalfito la verve ironica, «Basterebbe guardare gli uomini (…) che se ne stanno lì, tutti impennacchiati, ad aspettare di essere scelti. Scelgono. Si comportano da soggetti di desiderio. Impariamo anche noi».
Bibliografia
Lidia Ravera, Age Pride, Torino, Einaudi, 2023.
In occasione del varo della rubrica martedì 28 marzo (ore 20.30), è prevista una serata speciale in diretta su Rete Due e in video streaming (rsi. ch/live-streaming). Oltre a Lidia Ravera vi parteciperanno Francesca Rigotti, autrice di De senectute (Einaudi), Stefano Knuchel che sta lavorando al capitolo sulla vecchiaia della trilogia su Hugo Pratt, Michele Serra, che su «Repubblica» ha spesso affrontato il tema e Massimo Mantellini, autore di Invecchiare al tempo della rete
de e sapienza non vanno d’accordo». I bipedi saputi saputi sono arroganti, vogliono dominare e controllare, sono duri di comprendonio nonostante pensino «di saperla lunghissima» (esilarante il capitolo ambientato all’Università, dove la gerarchia accademica prevede bipedi saputini, saputelli, saputi, saputoni e saputissimi), e per di più, a differenza dei loro cuccioli, credono che gli animali non sappiano parlare, che gli Orchi e i Draghi non esistano, e altre «stupidaggini del genere». L’umorismo, folgorante, a tratti surreale e sempre comunque a misura di bambino (con uso magistrale di paradossi, del tipo che il Pirata Panciagialla ha la pancia blu, e la sua gamba di legno fa toc-tic, e non tic-tac; o di non sense, per ridere ad esempio dell’assurdità del linguaggio dei saputoni) pervade ogni pagina; e non manca un intreccio avventuroso, fatto di viaggi nella foresta oscura, di incantesimi, di battaglie all’ultimo sangue e naturalmente di un confortante, allegro, happy end , in cui i nostri eroi sono felici e contenti, ma anche «puzzolenti, grassi e sporchi». Con buona pace (finalmente!) del politicamente corretto.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 marzo 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 7 SOCIETÀ
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Segreti di iniziati: il pasticciaccio brutto dei Catari
Non me ne vogliano i valorosi lettori de l’A l tropologo se li invito a resettare la loro memoria dal corrente Annus Domini fino ad arrivare al 16 marzo 1244. A partire da quei tragici eventi, desidero condividere con voi alcune riflessioni su questioni antiche e apparentemente irrilevanti nell’oggi che, invece e spero finirete per condividere, sono di grande e cogente attualità.
In illo die oggi/ieri diremmo leader/influencer della setta dei Catari, «I Perfetti», vennero bruciati al rogo al Prats des Cremats, il Prato dei Cremati, Comune di Montségur di soli 1100 abitanti (sopravvissuti? immigrati/eredi/convertiti?) residenti nella provincia meridionale di Occitania.
Da un punto di vista storico, que-
sto fu l’atto che segnò la fine di un altrettanto lungo e atroce assedio del Siniscalco di Carcassonne e delle truppe dell’Arcivescovo di Narbonne all’ultima ridotta catara di Montségur. A sua volta ultimo, penultimo e sempiterno atto di una coazione a ripetere strutturale a tutte le Religioni del Libro, dall’Ebraismo al Cristianesimo fino all’Islam, inchiodate come sono a domandarsi – e sancire – su quale sia l’interpretazione veritiera e fedele del Verbo Rivelato.
Bene: i Catari – dal greco «I Puri», ultima setta allora a ritenersi tale, votata alla conoscenza profonda della Verità nascosta in quel messaggio evangelico rivelato a tutti gratis ma a pochi iniziati con supplemento.
Tardo affioramento populista della
La stanza del dialogo
La crisi della monogamia
Cara Silvia, se mi guardo intorno trovo che le coppie stabili e felici sono quasi inesistenti. Le poche che mi sembrano tali sono nella fase dell’innamoramento e non so quanto durerà. La maggior parte degli ultracinquantenni ha almeno un divorzio alle spalle e la fine delle convivenze è difficile da rilevare. Sono uno psicoterapeuta di lunga data e di storie coniugali ne ho ascoltate tante ma ora l’universo matrimoniale mi sembra più confuso che mai. La maggior parte delle coppie vive nell’infelicità e molti cercano una soluzione ricorrendo all’antica pratica del tradimento tenuto, per quanto possibile, segreto. La trasgressione alimenta l’eccitazione ma dura finché dura. Il disvelamento dell’adulterio costituisce poi il più frequente movente delle separazioni e dei divorzi. Altri continuano a vivere insieme come niente fosse avendo reciprocamente accettato di avere entrambi un altro partner. Ma condividere la casa, il lettone, l’organizzazione familia-
re e le spese quotidiane fa sempre comodo. Senza sottovalutare che, in caso di crisi con l’amante, resta disponibile un comodo retrovia coniugale. Esiste poi una novità, che non è la coppia aperta degli anni della contestazione, ma un contratto esplicito e sottoscritto in cui i coniugi, considerandosi una coppia senza alcun obbligo di fedeltà, si consentono di praticare esplicitamente il «poliamore», inteso come libertà di mantenere, oltre al matrimonio, molteplici relazioni sessuali. Un esperimento che alcuni considerano destinato a prevalere. Lei che ascolta tante voci che ne pensa? / Lettera firmata
Caro collega, sembra anche a me che la monogamia sia in crisi e, come in altri, campi, si stiano cercando alternative. Come sostiene il filosofo Zygmunt Bauman, viviamo in una società liquida dove la coppia tradizionale, travolta da un profluvio di informazioni e di tentazioni, rischia di dis-
La nutrizionista
Gentile Laura, leggo sempre con piacere la sua interessantissima rubrica e la ringrazio per i suoi preziosi consigli. Di recente ho sentito spesso parlare del melograno che, oltre a portare molta fortuna, se mangiato la sera di San Silvestro, sembrerebbe avere molte proprietà benefiche. Volevo chiedere il suo parere riguardo a questo portentoso frutto: bisognerebbe mangiarlo frequentemente? / Tiziana
Gentile Tiziana, la ringrazio molto per leggere questa rubrica e per avermi sottoposto la sua interessante domanda. Personalmente adoro il melograno perché è un frutto dolce e aspro allo stesso momento e – nonostante sia laborioso da preparare per essere consumato, data la buccia spessa e a causa delle centinaia di semi succosi al suo interno – aspetto sempre con desiderio il suo arrivo a novembre. A dirla tutta però non sapevo della cre-
tendenza cosiddetta «gnostica» – in sostanza: «Noi iniziati “sappiamo”, e voi non sapete niente».
Però attenzione: i Puri, come tutti i Puri di questa nostra storia, avevano le loro ragioni, confuse che fossero (e, aggiunge l’A l tropologo, confuse che siano in un dibattito storiografico interminabile). Dicerie, gossip, relazioni e delazioni, inquisizioni, trattative diplomatiche, misure di polizia ecc… impegnarono in quei decenni cruciali la Roma Pontificale a negoziare termini e condizioni con il Resto del Mondo Imperiale. Occorreva obtorto collo consolidare la fase del Cristianesimo Trionfante, poi Amministrante ed infine Egemonico e Repressivo che va grossomodo dal VII Secolo dopo l’abortito/resa Revival neo-
modernista pagano di Giuliano l’Apostata fino alla svolta cruciale del XIII secolo. In sostanza si chiedeva al braccio secolare dei regnanti di farla finita con coloro, come i Catari, Bogumili e tanti altri in giro per l’Europa, che non si piegavano all’ortodossia. Così, nello specifico, la Roma diplomatica che aveva generato i suoi stessi mostri ora consegnava al Re di Francia Filippo la Parte di Cesare, per sottomettere in nomine Domini una periferia storicamente e religiosamente ostile e problematica, rognosa a partire da una lingua strana, complottista, ribelle, antagonista e in sostanza anarchica come era la Linguadoca d’allora. Come peraltro saranno, dopo i Catari – mutatis mutandis – i Valdesi dell’Occitania storica, di ascendenza
culturale celto-latina e non franca. Puri , dunque, si diceva degli influencer Catari massacrati. Così nelle chat e nei social di allora, confusi e controversi. Si mormorava che le Donne iniziate e dunque «Pure» potessero amministrare un nuovo, misterioso sacramentum. Si diceva che molti accorressero a convertirsi proprio per quello. Da qui un «su con le orecchie» per gli Inquisitori sulle tracce di «orge purificanti» iscritte da sempre nel principio teologico eretico manicheo della Lotta Infinita fra Bene e Male, laddove il Peccato diveniva esso stesso premessa e veicolo di redenzione. In cosa consistesse il sacramentum di preciso le fonti non lo rivelano ma se lo sono immaginato in molti. Referendum?
denza secondo cui porterebbe fortuna se mangiato la notte di Capodanno, ma so che è un frutto ricco di fibre, di antiossidanti – fino a tre volte più del tè verde o del vino rosso – di flavonidi, vitamina K, Vitamina E, vitamina B6, folato e potassio.
Antiossidanti e flavonoidi insieme impediscono ai radicali liberi di danneggiare le cellule, possono quindi prevenire alcune malattie e ridurre l’infiammazione e gli effetti dell’invecchiamento. Nello specifico, in alcuni studi, i melograni mostrano del potenziale per essere efficaci nella prevenzione dei tumori alla prostata, al seno, ai polmoni e al colon. È stato dimostrato anche da alcuni studi preclinici su animali: mangiare melograno può inibire la crescita dei tumori citati (più precisamente: di quelli polmonari, cutanei, del colon e della prostata). Sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere
solversi. Tuttavia, e questo è il mio punto di vista, l’ideale dell’«uniti per sempre» permane e rende ogni altra possibilità inquieta e insoddisfacente. Più moltiplichiamo le relazioni più le rendiamo superficiali e non credo che la quantità possa sopperire alla mancanza di qualità. Di una cosa sono certa: che i bambini desiderano, anzi lo considerano un diritto, essere amati e cresciuti in una famiglia sicura, dove papà e mamma sono unici, uniti e coerenti. Nel mio libro Quando i genitori si dividono. Le emozioni dei figli , Mondadori, raccolgo le toccanti testimonianze delle sofferenze che provano quando i dissidi coniugali minacciano la stabilità della loro vita. È vero che molte coppie, come dimostra l’inverno demografico, non hanno nessuna intenzione di avere un figlio, ma tutti si nasce tali e permane in noi una componente d’infanzia che ha fisso nella mente il triangolo: padre, madre, figlio. Di conseguenza, ogni alternativa susci-
ta un conflitto interiore ancor prima che esteriore. Dalle poche inchieste esistenti, sembra che i «poliamorosi» siano soddisfatti sessualmente e che si considerino vittime d’inutili atteggiamenti moralisti. Ma può bastare? E quanto dura la gratificazione erotica? La nostra identità è costituita, non solo di rapide emozioni, ma da affetti e sentimenti stabili e sicuri. Il «poliamore» sembra ricercato da personalità che amano le tensioni, i rischi, le situazioni estreme ma mi sembra che la nostra epoca, tra guerre, pandemie, crisi economica, collasso degli equilibri naturali, ce ne offra un’ampia gamma. Forse stordirsi d’incontri più o meno occasionali costituisce un tentativo di fuga da una realtà che fa paura e che non ci sentiamo più in grado di controllare. Eppure esistono ancora coppie positive, capaci di reggere, anche superando momenti di crisi, la sfida della fedeltà. Nella confusione in cui ci troviamo sarebbe opportuno, so-
di Laura Botticelli
prattutto per le giovani generazioni, ascoltare la testimonianza di coniugi che hanno saputo vivere e invecchiare insieme, accettando di porre limiti all’intemperanza dei desideri. Mi sembra che l’unico antidoto al groviglio di alternative in cui molte coppie si dibattono sia una presa di responsabilità globale e collettiva, trasmessa attraverso l’educazione. Una posizione etica che permetta a ognuno, senza stigmate e anatemi, di esprimere le proprie potenzialità tenendo conto che apparteniamo tutti alla stessa famiglia, quella umana, dove nessuno può essere felice senza armonia con sé stesso e con gli altri.
Informazioni
Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6901 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch
gli effetti sugli esseri umani e, come dico sempre, un singolo alimento da solo non può fare miracoli; è sempre bene seguire un’alimentazione equilibrata come prima regola.
Il succo di melograno sembra aiutare anche il nostro sistema cardiovascolare in più modi: abbassa il colesterolo lipoproteico a bassa densità – colesterolo «cattivo» – che ostruisce le arterie e aumenta il colesterolo lipoproteico ad alta densità – colesterolo «buono» – che riduce il rischio di ictus e infarti. Inoltre i suoi polifenoli, oltre a prevenire l’ostruzione dei vasi sanguigni, funzionano pure come dei veri e propri anticoagulanti naturali combattendo anche l’ispessimento delle arterie e lo sviluppo di trombi.
Il melograno è utile anche per abbassare la pressione sanguigna e ridurre i livelli di zucchero del sangue. Recenti ricerche hanno mostrato che
persone con diabete di tipo due che hanno iniziato a bere succo di melograno hanno avuto un miglioramento della resistenza all’insulina.
I melograni possono anche aiutare le persone senza diabete a mantenere un peso sano. La sua ricchezza di fibre lo rende pure un ottimo alleato contro la stitichezza e la fame. Insomma, come ha giustamente detto, è un frutto portentoso. Un problema però può sorgere perché rischia di interagire con alcuni farmaci: si consiglia di evitare o limitare il suo consumo se si stanno assumendo farmaci per la pressione alta (ACE inibitori o farmaci antipertensivi), o farmaci che sono modificati (Citocromo P450 2D6) o scomposti (Crestor) dal fegato.
Il melograno si può trovare quasi tutto l’anno, ma sconsiglio di consumarlo fuori stagione – l’autunno – perché, da esperienza personale,
posso dire che non è per niente maturo e succoso come dovrebbe essere. Ci sono come alternativa i succhi ma, preferite quelli che in etichetta scrivono «succo al 100%», per evitare calorie vuote da zuccheri extra oppure per evitare che siano solo acqua e sostanze chimiche con sapore di melograno. Ricordo pure che un bicchiere di succo può sostituire una porzione di frutta al giorno. Per concludere, e rispondere alla sua domanda, consiglio di consumare il melograno o il suo succo con la frequenza che si desidera, alternandolo agli altri frutti in un contesto di dieta sana ed equilibrata.
Informazioni Avete domande su alimentazione e nutrizione?
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 marzo 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino SOCIETÀ / RUBRICHE 10 ◆ ●
di Silvia Vegetti Finzi
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Laura
a lanutrizionista@azione.ch
Il melograno, tra fortuna e proprietà benefiche
Botticelli, dietista ASDD, vi risponderà. Scrivete
TEMPO LIBERO
Libera come l’Atlantico Nessun luogo della canadese Nuova Scozia dista più di sessanta chilometri dall’oceano Un viaggio al suono della cornamusa
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Non contorno, ma piatto forte Q uando l’ortaggio trionfa: le delicate carote rosolate nell’olio di cocco sono vere regine e lo spezzatino s’inchina
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Videogiochi
Hogwarts Legacy realizza il sogno di tutti i fan di Harry Potter: diventare allievi della famosa scuola di magia
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Mantova e la ragazza con il vestito di velluto rosso
Bussole, letture per esplorare il mondo ◆ S’intitola La mia città, il libro d’autore dedicato da Antonio Moresco al suo paese natale, con un testo molto poetico e arricchito dalle illustrazioni di Giuliano Della Casa
Radica nei fondali fangosi, ha grandi foglie che si adagiano sull’acqua e fiori di una bellezza mirabile. Ospite del lago di sotto di Mantova, dove se ne trovano ampie distese, il fiore di loto torna alla memoria di Antonio Moresco, quando ricorda come da adolescente, durante un’uscita in barca, tentò di prenderne uno con sé per procurarsi un po’ di compagnia «in mezzo a tutta quella solitudine liquida». Ma non ce la fece: «Tiravo, tiravo, in piedi a bordo della barca che oscillava, sempre sul punto di rovesciarsi. Cercavo di strappare quel gambo lungo e duro che collegava come un cordone ombelicale il fiore al fondo melmoso del lago. Ma non si spezzava. Sembrava un cavo d’acciaio. Non c’è stato niente da fare. Non sono riuscito a spezzarlo. Così ho continuato a vagare da solo», pur mantenendo a sua volta le radici affondate in quella sua città che «affiora dall’acqua ed è circondata dall’acqua», anche se la nebbia di tanto in tanto gli oscurava la mente oltre che la vista.
«La mia città affiora dall’acqua ed è circondata dall’acqua. (...) Vicino alla mia casa c’era il Rio pieno di pesci gatto. E poi il buio, la notte. Quelle grandi case buie, di notte»
S’intitola La mia città (collana «poeti», Nottetempo) l’incantevole libretto che l’autore mantovano ha dedicato al suo paese natale, impregnando di ricordi legati alla propria gioventù ogni riga dedicata ai luoghi da lui vissuti, parole che fanno di nuovo cantare le angurie e distendono la pasta per i tortelli fatti a mano dalla madre, oppure ridisegnano gli spazi della Camera degli sposi e ci lasciano immaginare come poteva essere aggraziata la giovane donna dello scalone.
Per goderne il contenuto bisogna leggerlo, ma possiamo spendere ancora qualche parola soffermandoci sulla struttura. Il libretto, che conta poco più di un centinaio di pagine, inizia con una poesia, i cui versi (che vanno dai colori al buio, dal caldo al freddo, quasi fossero le stagioni dalla primavera all’inverno) diventano i titoli dei capitoli che seguono, manco fossero semi ad alta germinabilità gettati sul fondale della narrazione.
Se all’inizio il testo potrebbe apparire controllato e letterariamente informativo, man mano che la lettura prosegue si fa sempre più intimo e appassionato, tanto che anche la voce autoriale a metà dell’opera inizia a dialogare con l’altrettanto buon au-
molto più di me e forse non condividerai quanto ti sto per dire o addirittura ci resterai male… Però te lo devo dire lo stesso: il palazzo Te mi riempie di vergogna». È dunque anche critico verso la sua città, Antonio Moresco, che non le risparmia altri biasimi, aiutando il lettore non solo a scoprirne la superficie, ma a guardare oltre il filo dell’acqua.
tore di questo libretto, autore nello specifico degli acquerelli che illustrano l’opera. A firmarle è per l’appunto
Giuliano Della
Casa, lui di Modena: «Per il resto, devo essere sincero, caro Giuliano, anche se so che tu sei un pittore e che di queste cose ne capisci
Dopo essere diventato intimo, il testo si fa anche un po’ metaletterario laddove, quasi come in uno svelamento d’autore, Moresco dedica un capitolo alla ragazza con il vestito di velluto rosso «che poi ho messo dentro molti dei libri scritti dopo, quando ero in un’altra vita che forse era già dentro quella di prima anche se io ancora non lo sapevo», racconta quindi di un ballo, di una lei arrivata con questo vestito di velluto rosso che si era fatta fare dalla sarta proprio e solo per quel ballo e per lui, ricorda che attraversarono il cortile tenendosi per mano, che erano entrati in quella ca-
sa e che «poi siamo saliti lungo quello scalone, fino alla sala dove c’è stato il ballo. E poi è successa una cosa. E poi ce ne siamo andati via emozionati, e io sono sceso di corsa, sono arrivato fino in fondo e poi ho guardato in alto, per vederla scendere verso di me lungo lo scalone, con il suo vestito di velluto rosso e la mano che scivolava sulla bianca ringhiera di marmo senza neppure sfiorarla. Giuliano, prova a far apparire ancora quella ragazza!» chiede lo scrittore al pittore, che fa emergere dalla pagina successiva un quadro con lo sfondo completamente annerito dal quale affiorano dei capelli rossi e il corrimano bianco della ringhiera.
È una Mantova abitata, più che descritta, quella che il lettore scopre pagina dopo pagina; una Mantova abitata e tinta da esperti acquerelli che ne ritraggono l’essenza, annullandone i contorni.
«E poi c’era freddo, Giuliano, in quelle notti d’inverno, in quella
grande casa dei soffitti a volte oppure a cassettoni, piena di scale e scaloni, di merda di gatto sotto i pesanti mobili neri, di ovali di battaglie nelle loro cornici d’oro, di letti a baldacchino gonfiati dalle sagome di preti di legno con dentro lo scaldino pieno di braci coperte dalla cenere, di corni da caccia appesi alle pareti, di tappezzerie scrostate, di spade avvolte dentro tappeti stipati nei cassetti, di fotografie di cartoni dei borghi seghettati (…). Giuliano, come si fa a dipingere il freddo, ma proprio quello che ti entra dentro le ossa?» si avvia così verso la fine, questa lettura che fa restare tanta voglia di visitare Mantova, ma che pure si radica nella mente del lettore con le immagini oltre che con le parole.
Bibliografia Antonio Moresco (testo) e Giuliano Della Casa (illustrazioni), La mia città, collana Poeti, Edizioni Nottetempo, 2018.
● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 marzo 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 11
Manuela Mazzi
Piccoli e grandi orti
Lortobio ◆ Anche quest’anno i giardinieri in erba sono invitati a scoprire le gioie della natura
menti d’immersione nel verde alla scoperta della natura, insieme a nuovi amici e imparando a coltivare nelle molteplici attività che offre l’orto, sotto la guida del gruppo di animazione. Si tratta di un’occasione imperdibile sia per chi ha già un orto a casa sia per chi vive per la prima volta l’esperienza di zappare e scavare con attrezzi «da grandi», scoprendo quali creature abitano o visitano l’orto e sporcandosi le mani in compagnia, nel segno del divertimento e della condivisione.
Dove e quando Alle attività di Lortobio sono benvenute bambine e bambini tra i 5 e gli 11 anni di età. Ritrovo: ogni primo sabato del mese, da aprile a ottobre (9.30-12.30).
L’iscrizione è intesa per tutte le sette mattinate fra aprile e ottobre. Per maggiori informazioni: www.lortobio.ch. Per iscriversi: info@lortobio.ch oppure tel. 079 9697766. Il formulario d’iscrizione si trova anche qui: forms.gle/Ny2m2Yb7d2nPDTgn6
Richiamo di vari prodotti da forno
A causa di un errore di produzione nell’impresa di Migros Industrie
FFB-Group (ex JOWA) in alcuni prodotti è penetrata acqua contaminata. Come misura precauzionale la Migros prega la propria clientela di non consumare i prodotti interessati. Il richiamo riguarda i seguenti articoli:
American Favorites Burger Buns 6 pezzi, da consumare preferibilmente entro il: 17.3.2023
American Favorites Burger Buns con sesamo 6 pezzi, da consumare preferibilmente entro il: 18.3.2023
American Favorites Burger Buns XXL 4 pezzi, da consumare preferibilmente entro il: 18.03.2023, 19.03.2023
M -Classic Cornetti al Burro 240G, da consumare entro il: 29.03.2023
Un ritorno gradito, quello di Lortobio di Gudo, che a partire da sabato primo aprile tornerà ad accogliere il progetto Giardinieri in Erba. Le attività di Lortobio, riproposte di anno in anno all’orto biologico di Gudo, rappresentano un’opportunità apprezzata e bene frequentata dalle famiglie della regione, e questo anche per i meriti
degli appassionati ideatori di questo progetto, che offrono ai partecipanti la sperimentazione della fioritura di una realtà di crescita biologica collettiva, la valorizzazione delle specie, la produzione di semi, la cura del suolo e la salvaguardia della biodiversità.
Grazie a Lortobio bambine e bambini potranno godersi preziosi mo-
Passione per la Pasta dal 1789
M-Classic panini di spelta 300 g, da consumare entro il: 22.3.2023
Bastoncini con ciccioli 4 × 70 g, da consumare preferibilmente entro il: 10.4.2023 Focaccia alle erbe 240 g, da consumare entro il: 22.3.2023
Millefoglie V-Love vegano 2 pezzi, da consumare entro il: 15.3.2023, 16.3.2023
M-Classic Cornetti al Burro IP-Suisse 5×48G, da consumare preferibilmente entro il: 02.04.2023
Bio Cornetti al Burro 2×90G, da consumare preferibilmente entro il: 26.03.2023, 29.03.2023
I prodotti erano in vendita nei supermercati Migros in tutta la Svizzera nonché su Migros Online. Si è già provveduto a toglierli dagli scaffali. La clientela è pregata di non consumare i prodotti in questione. Durante il processo di produzione i prodotti da forno sono entrati in contatto con acqua contaminata. Secondo le analisi e le verifiche eseguite immediatamente, sono molto improbabili problemi di salute per gli adulti. Per i bambini piccoli tali disturbi non possono tuttavia essere esclusi. Le e i clienti che hanno acquistato al supermercato uno dei prodotti interessati dal richiamo (osservare la data di scadenza), lo possono riportare al punto vendita e il prezzo di vendita verrà loro rimborsato. In caso di ordinazioni su Migros Online, la clientela verrà contattata direttamente dal servizio clienti.
Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli già ridotti. Offerte valide solo dal 21.3.2023 al 27.3.2023, fino a esaurimento dello stock
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 marzo 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 12
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Seguendo i saliscendi della marea
Reportage ◆ In Nuova Scozia (Canada) tra nebbia, suoni di cornamusa, barbecue, aragoste e chowder
Francesca Mazzoni, testo e foto
Il suono di una cornamusa riempie tutto il parcheggio; il suonatore però resta a lungo invisibile. La nebbia è fitta e il forte odore di salmastro impregna ogni cosa. Sono in Nuova Scozia: è una delle province più piccole del Canada ma, anche così, è comunque più grande della Svizzera.
Anche la Nuova Scozia
è terra delle Prime nazioni: i Mi’kmaq abitavano questo territorio ben cinquemila anni prima dell’arrivo degli europei
La Nuova Scozia è avvolta dalle agitate acque dell’Atlantico: nessun luogo dista più di sessanta chilometri dall’oceano. Avevo messo in conto il meteo capriccioso e le giornate brumose, ma speravo almeno di riuscire a fotografare la lanterna rossa di Peggy’s Cove, uno dei fari più scenografici al mondo. Nel corso dei secoli la forza dell’acqua ha scolpito e addolcito le rocce di granito, mentre il faro se l’è vista brutta più volte per i frequenti uragani. Anche così, nessun divieto di avvicinarsi per i turisti: come sempre in Canada, la libertà prima di tutto, anche quella di essere trascinati via dalle onde. Stasera, comunque, il tramonto dovrò immaginarmelo, visto che il cielo è coperto.
Per vivere qui servono fantasia e spirito di adattamento.
Il giorno seguente risalgo verso nord in direzione dell’isola di Capo Bretone. Dopo alcune ore, come un’oasi nel deserto, appare un emporio, la cui vetrina esibisce orgogliosamente camice di flanella a quadri, indispensabili anche nella breve estate delle province marittime. L’abbondanza di merci nel reparto surgelati è sempre un indice attendibile d’isolamento. Mi fiondo sullo scaffale dei boccon-
cini di carne essiccata, il commesso m’invita a scegliere quelli di bisonte: «Sono i migliori, indigeni al cento per cento». Anche la Nuova Scozia è terra delle Prime nazioni, nello specifico della popolazione Mi’kmaq, che abitava questo territorio ben cinquemila anni prima dell’arrivo degli europei, approdati qui solo nel 1497.
Proseguo il mio viaggio lungo il famoso Cabot Trail, trecento chilometri di strada panoramica stretta tra scogliere rocciose da un lato e montagne dall’altro. Mi fermo a Dingwall per qualche giorno per esplorare la punta più settentrionale della provincia, a picco sull’oceano. In questa zona di turisti se ne vedono pochi e non mi resta che affittare un cottage. Pur senza il numero civico, individuare l’appartamento rosa magenta è un gioco da ragazzi. Un breve scambio di battute con i due proprietari, Colin e Charlene, e subito rimedio un invito a cena. Scarico i bagagli, mi procuro un piccolo regalo per contraccambiare la gentilezza e mi ritrovo nel loro giardino con una birra in mano.
«Lavoro cinque settimane di fila nelle miniere dei Territori del Nord-Ovest, poi torno a casa e ci resto una quindicina di giorni», racconta Colin, armeggiando con la brace, mentre la moglie Charlene prepara una salsa con aglio e prezzemolo.
«I pescatori di aragoste guadagnano moltissimo, fino a centomila dollari canadesi a stagione, anche se la pesca è consentita solo due volte all’anno», prosegue Colin, intento ad aprire per il lungo i carapaci. È un fiume di parole e in poco tempo imparo che qui si trovano le migliori aragoste, che per bollirle va usata l’acqua dell’oceano ed esiste perfino un gusto aragosta nei gelati. Quando chiedo se domani il tempo migliorerà, risponde lapidario: «Potrebbe essere anche peggio». Riprendo il viaggio on the road
perlustrando piccoli porticcioli indaffaratissimi, dove numerose barche colorate vanno e vengono. Dal finestrino gli occhi si posano su baie silenziose e su soffici volpi che spuntano dai fitti boschi ai lati della strada. Immancabile la sosta gastronomica, sullo sfondo di un faro, al food truck che serve il chowder, una densissima zuppetta di pesce a base di patate, panna e vongole. A qualche metro di distanza una signora si dedica alla pittura en plen air. È qui da diverse ore, lottando per dipingere un paesaggio in costante mutamento. «La baia di Fundy ha le maree più alte al mondo. Due volte al giorno il livello del mare sale anche di venti metri» racconta Sharon, indicando con il pennello un punto della baia. Resto con lei per una mezz’oretta, mentre l’acqua sale così rapidamente da divorarsi la spiaggia come un ingordo boa con la sua preda.
Punto alla mia ultima tappa, sempre all’interno della baia di Fundy, ovvero la cittadina di Parrsboro, famosa per le sue scogliere ricche di fossili preistorici. Tutto è graziosamente perfetto. I giardini delle abitazioni sono verdi, curati e il lupino selvatico cresce abbondante, donando un tocco di colore. Sul mio B&B, il The Maple Inn, sventola la bandiera canadese. Una carta da parati floreale avvolge le stanze ricche di arredi vissuti, tessuti e fotografie.
Ci accoglie il sorriso di Paul, compositore, direttore d’orchestra e proprietario di questa piccola locanda con solo otto camere. «Ci siamo trasferiti qui tre anni fa – racconta – per provare a ricominciare a vivere. Nel 2019 mia moglie Mackenzie ha avuto un ictus e dopo appena sei settimane il suo figlio sedicenne si è suicidato. Avevamo bisogno di un luogo che ci aiutasse a guarire queste ferite», continua, porgendomi una tazza di tè e
invitandomi nel salottino. «Parrsboro è perfetta per lasciarsi alle spalle la vita frenetica delle metropoli americane» aggiunge con convinzione. «Con i vicini di casa si chiacchiera per strada, ci si prende cura l’uno dell’altro. Dopo una settimana dal nostro arrivo, senza conoscerci, avevano già organizzato a sorpresa la festa di compleanno per i miei cinquant’anni». Il mio sguardo punta verso la fine-
stra. È quasi l’ora del tramonto e oggi stranamente il meteo sembra collaborare. Prendo il sentiero verso la spiaggia senza macchina fotografica, alla ricerca soltanto di un momento di leggerezza. Niente di speciale: semplicemente Canada.
Informazioni Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 marzo 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 13
La Baia di Fundy; Sharon che dipinge la baia e il porticciolo di Lunenburg.
Ricetta della settimana - Carote con spezzatino di manzo
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Ingredienti
Piatto principale
Ingredienti per 4 persone
1 kg di carote novelle a mazzi
1 c di grasso di cocco o olio di arachidi
1½ cc di miele
1,5 dl di brodo di verdura
1 peperoncino
2 spicchi d’aglio
1 mazzetto di cipollotti
300 g di scamone di manzo
sale
1 cc d’amido di mais
ca. 4 c di salsa di soia
1,5 dl d’acqua
Preparazione
1. Tagliate le foglie verdi delle carote lasciando circa 2 cm. Dividete le carote per il lungo a metà e rosolatele bene nell’olio di cocco. Aggiungete il miele e amalgamatelo bene con le carote. Sfumate con il brodo e lasciate sobbollire per circa 8 minuti, fino a completa evaporazione del brodo.
2. Tagliate il peperoncino ad anelli e, a piacere, eliminate i semi. Tritate l’aglio, sminuzzate i cipollotti. Tagliate la carne a dadi di circa 1,5 cm.
3. Salate e rosolate la carne nel resto del grasso di cocco. Aggiungete il peperoncino e l’aglio e fateli rosolare brevemente.
4. Mescolate l’amido di mais con la salsa di soia e l’acqua; quindi, sfumate la carne con la miscela, e lasciate sobbollire dolcemente per circa 2 minuti.
5. Incorporate i cipollotti. Regolate di sale. Servite lo spezzatino con le carote.
6. Ottimo con del riso profumato.
Consiglio utile
Tritate le foglie delicate e verdi delle carote, mescolatele con olio ed ecco pronto un pesto; oppure utilizzate l’erbetta fresca per aromatizzare la pietanza a fine cottura.
Preparazione: circa 40 minuti.
Per persona: circa 20 g di proteine, 6 g di grassi, 27 g di carboidrati, 270 kcal/1100 kJ.
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I membri del club Migusto ricevono gratuitamente la nuova rivista di cucina della Migros pubblicata dieci volte l’anno. migusto.migros.ch
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Camille Bloch è in vendita alla tua Migros
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Il sogno di ogni fan di Harry Potter
Videogiochi ◆ Hogwarts Legacy permette di diventare studenti della più famosa scuola di magia
Davide Canavesi
La saga del maghetto Harry Potter non ha bisogno di presentazioni. Da fenomeno letterario a cinematografico, il Wizarding World immaginato dall’autrice inglese J.K. Rowling ha conquistato frotte di fan. Una fama, quella della Rowling, un po’ oscurata negli ultimi anni da polemiche scaturite da diverse sue dichiarazioni controverse riguardo il mondo LGBTQIA+. Tuttavia, nell’approcciare il gioco che recensiamo oggi vale la pena di ricordare come Hogwarts Legacy sia un prodotto creato da centinaia di persone diverse e non da una sola. Per questo motivo, non ci addentreremo nelle polemiche che circondano il gioco ma parleremo del prodotto in sé.
Hogwarts Legacy è un gioco d’avventura con componenti di gioco di ruolo. Pur ambientato nel mondo della magia reso famoso da Harry, Hermione e Ron, non ha molto da spartire con le vicende letterarie. Così l’avventura proposta da Portkey Games e Avalanche Studios non si svolge negli anni ’90 ma nel 1890. Liberi di creare storie, personaggi e avvenimenti senza doversi preoccupare troppo della continuità narrativa, gli sviluppatori si sono sbizzarriti nel proporre non solo una storia originale ma anche tutta una serie di elementi, luoghi e situazioni, inediti.
La partita comincia con la creazione del nostro personaggio, in quan-
to giocatori siamo liberi di creare un mago o una strega con le fattezze a noi più congeniali. L’avventura inizia immediatamente dopo questa fase. Il mondo magico attraversa un momento di grande tensione. Malumori e rancori serpeggiano tra le diverse razze che popolano il mondo fantastico di Hogwarts Legacy. I goblin, sconfitti nelle rivolte di oltre cent’anni prima, stanno tramando qualcosa, una rivincita sulla stirpe magica, forse. Un conflitto nel quale il giocatore si ritroverà fulcro più che pedina perché dotato di uno strano potere, la magia antica. Una forza dimenticata ma potentissima che tutte le parti, goblin, maghi e maghi oscuri, vogliono controllare. La premessa non è delle più originali: ancora una volta vestiremo i panni di un «prescelto», aiutato da un mentore anziano, destinato a grandi cose. Una storia che, nelle svariate decine di ore necessarie per completare il gioco, faticherà a ingranare e diventare davvero interessante. Alcune sottotrame sono più intriganti di altre ma in genere siamo lontani da capolavori complessi come il popolarissimo The Witcher 3. Non che Hogwarts Legacy abbia davvero bisogno di una storia favolosa. Pur offrendo parecchie avventure e sorprese apprezzabili da chiunque, è chiaramente un gioco pensato per i fan del mondo di Harry Potter e la fantasia di diventare studenti della Scuola di Magia e Stre-
Giochi e passatempi
Cruciverba
Forse non tutti sanno che Bob Marley è stato sepolto insieme a: un anello regalatogli da un nobile etiope, della marijuana, una Bibbia, la sua… Trova il resto della frase leggendo a cruciverba risolto, le lettere nelle caselle evidenziate.
(Frase: 8, 1, 2, 7, 2, 6)
ORIZZONTALI
1. Schiamazzo
7. L’oriente inglese
8. Principio d’Archimede
9. Simbolo chimico del radon
10. Sondaggio
12. Programma annuale di studi
13. Una moneta
16. Vene d’acqua
17. La famosa de’ Tolomei
18. Un antico modo di dire strega
20. Nel volume e nel fascicolo
21. Regione autonoma della Cina
22. Particella negativa
e stregoneria
23. Elementi accertati
24. Aspro in latino
26. Raggiunge anche i piccoli bronchi
27. Pronome dimostrativo
VERTICALI
1. Si attacca alla... bugia
2. Il maggiore gruppo etnico cinese
3. Dulcis in fundo
4. Sbalordita, sbigottita
5. Pietre
6. Vicino al casale
goneria di Hogwarts non è mai stata realizzata in modo migliore. Da subito avremo a disposizione un enorme parco giochi, compreso del Castello di Hogwarts con le sue stanze segrete, i suoi passaggi nascosti, tesori ed enigmi da risolvere. Il castello però non sarà, di gran lunga, l’unico ambiente esplorabile. Potremo visitare a piacimento anche il villaggio di Hogsmeade, le campagne e vallate attorno alla scuola oltre che diversi labirinti sotterranei e insediamenti rurali. La qualità e il livello di dettaglio di ogni ambiente è spettacolare. I riferimenti a libri e film non si contano e ogni angolino strizza l’occhio al fan più accanito. Tutto, dalle magie, agli oggetti, agli animali che incontreremo, sono
presi direttamente dal mondo fantastico che già conosciamo ed espansi in chiave videoludica.
L’esplorazione non è comunque fine a sé stessa. In quanto gioco d’azione, Hogwarts Legacy ci vedrà presto intenti a combattere a suon di magie, dalle più offensive alle più letali, comprese quelle oscure e proibite. Sebbene il gioco comprenda lo smistamento in una delle quattro Case di Hogwarts, non saremo limitati da un sistema di moralità particolarmente restrittivo. Ogni studente, sia esso Serpeverde, Grifondoro, Tassorosso o Corvonero, può imparare ogni magia, compreso l’anatema che uccide, senza che il suo status o le sue relazioni con altri personaggi cambino in
modo significativo. Il combattimento è frenetico e ben presto avremo a disposizione molte più magie di quante possiamo usare in contemporanea (quattro alla volta per un totale di sedici in uso e altre di riserva). Sebbene alla lunga poco variato, lo scontro con creature e nemici è un turbinio di incantesimi, lampi di luce e urla feroci. Il giocatore col pollice verde potrà sfruttare le sue conoscenze di erboristeria per combattere con l’ausilio di piante bellicose. Il pozionista potrà potenziarsi creando e utilizzando intrugli magici. L’amante degli animali potrà dedicarsi alla preservazione e al ripopolamento di diverse specie ben familiari ai fan del Wizarding World Le attività di contorno non mancano! Hogwarts Legacy è per prima cosa un gioco per i fan, che potranno realizzare videoludicamente il loro sogno di essere studenti di magia. La scoperta di ogni anfratto del castello, l’eccellente world building e le tante attività sapranno ampiamente soddisfare le loro aspettative. Meno consigliato ai giocatori che cercano invece un gioco di ruolo dalle meccaniche profonde e complesse. Hogwarts Legacy è stato creato chiaramente con l’accessibilità per tutti come punto centrale. Tutto sommato, una bella sorpresa per i possessori di PC, PS5 e Xbox Series. È atteso nel corso della prima metà dell’anno anche su PS4, Xbox One e Switch.
Vinci una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una carta regalo da 50 franchi con il sudoku
Sudoku Scoprite i 3 numeri corretti da inserire nelle
11. Ripida,
12.
13.
14.
15.
16.
18.
19. Isola
del Dodecaneso
21.
22. Piccoli difetti
23.
25.
Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
Soluzione della settimana precedente DELLE SINGOLARI MESSAGGERE – In Europa centrale sui letti di alcuni fiumi sono stati depositati dei sassi, si chiamano: PIETRE DELLA FAME – Se affiorano indicano il pericolo di: CARESTIA.
I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 marzo 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 15
scoscesa
Può essere avverbio e congiunzione
Unità geocronologica
Unione Italiana del Lavoro
Le iniziali del giornalista Alessi
Il Fazio della tv
I letti del vagons
nell’arcipelago
Lo adoravano i cinesi
Le iniziali della cantante Rettore
Duecento romani
caselle colorate.
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ATTUALITÀ
Cosa succede in Georgia e Moldavia
La solidarietà tra le ex colonie sovietiche sta creando un nuovo fronte ai confini della Russia, ve lo raccontiamo
Ultraortodossi e modernità
Mentre in Israele continuano le proteste antigovernative, prosegue il nostro viaggio tra i volti dell’ebraismo più tradizionale
La crisi del Credit Suisse
La FINMA e la Banca Nazionale sono disposte ad aiutare l’istituto che mercoledì scorso ha perso il 30% del valore del suo titolo
Quella sottile linea rossa
L’analisi ◆ Russi e americani restano in costante contatto per evitare che un incidente li trascini in una guerra dagli esiti disastrosi
Lucio Caracciolo
Dal 1945 a oggi l’America si è imposta una «linea rossa»: mai rischiare la guerra nucleare con la Russia (prima URSS). La ragione è che molto probabilmente segnerebbe la fine dell’America. Il fatto che questa fine trascinerebbe con sé quella della Russia, e probabilmente del resto del mondo, contribuisce a preservare questo principio. Maturato e praticato nelle eleganti bipartizioni della Guerra fredda – Est contro Ovest, Male contro Bene, Libertà contro Dittatura – questa scelta è stata prevalente in tutte le amministrazioni e nei laboratori strategici di Washington, con rare eccezioni, comunque mai capaci di sovvertire tanto principio. Insomma, gli Stranamore ci sono sempre stati e ve ne saranno ancora, ma appunto «strani». Fuori norma. E resi finora innocui. Questa lezione illumina l’atteggiamento dell’amministrazione Biden nella guerra di Ucraina. Fin dal 24 febbraio, il presidente e le voci più autorevoli della sua amministrazione hanno detto, ripetuto e enfatizzato che gli Stati Uniti non sono in guerra contro la Federazione Russa,
né hanno intenzione di combatterla. Certo, in privato e talvolta in pubblico alcuni esponenti più avventurosi, imbevuti di spirito neoconservatore – ad esempio il segretario di Stato Antony Blinken e soprattutto la sua vice Victoria Nuland – hanno spiegato che scopo non secondario dello scontro fra l’Ucraina sostenuta indirettamente dalla NATO o meglio da parte di essa e la Russia era di indebolire, se non «dissanguare», l’impero di Putin. E non c’è dubbio che questo obiettivo sia stato in parte raggiunto, anche se i conti andranno fatti a guerra sospesa. Resta che a «dissanguare» sul campo i russi sono stati i proxies ucraini, che per questo hanno pagato e continuano a pagare un tributo di sangue estremo.
Questa linea rossa è ben nota a Putin. Il quale la condivide, a parti rovesciate: mai scontro diretto con gli USA. Nel suo calcolo tattico, il colpo di Stato con invasione dell’Ucraina era possibile perché il Cremlino sapeva che alla Casa Bianca nessuno aveva voglia di morire per Kiev. Se solo avesse avuto sentore del rischio di scontro nucleare diretto con
l’America, non avrebbe azzardato l’«operazione militare speciale». In uno dei suoi frequenti slittamenti semantici, non aveva forse lo stesso Biden stabilito, poco prima dell’attacco all’Ucraina, che una «modesta incursione» russa sarebbe stata tollerabile?
Farla finita una volta per tutte con la minaccia russa parrebbe obiettivo allettante anche per gli americani. Non è così per tre motivi…
Più la guerra prosegue, più le probabilità di uno scontro accidentale fra Stati Uniti (più NATO) e Russia tuttavia aumentano. Come tutte le operazioni Blitz mal considerate per eccesso di fiducia in sé stessi o per sottovalutazione delle forze altrui, anche quella di Putin si è impantanata e probabilmente sfocerà in una mezza sconfitta spacciata per mezza vittoria. Ma non è affatto scontato che la sospensione delle ostilità, oggi attivamente cercata da tutte le parti in causa dietro la cortina della
retorica, sia davvero dietro l’angolo. In ogni caso, è interessante come per fedeltà alla «linea rossa» reciproca russi e americani restino in costante contatto per evitare che un incidente li trascini semiautomaticamente in guerra. L’episodio del drone Reaper americano caduto nel Mar Nero perché mandato in tilt da due caccia russi è solo l’esempio più macroscopico della cogestione dei «contatti» critici fra Forze armate russe e americane o NATO. Poche ore dopo l’evento il Pentagono, consultatosi con Mosca, ha deplorato l’evento con toni tutto sommato moderati, invitando i russi a comportarsi in modo più «professionale». E i russi non hanno esagerato nelle accuse agli americani di agire in modo «provocatorio» a ridosso delle frontiere di Mosca.
Le aree più pericolose sono semmai quelle baltiche, specie in prossimità dell’exclave russa di Kaliningrad (Königsberg), incastonata fra Polonia e Lituania. Territorio minimo ma strategico e armato fino ai denti, con missili capaci di colpire in profondità i Paesi NATO. Qui gli
incidenti aeronavali vengono sfiorati di frequente. Qualche volta accadono e non si annunciano per evitare di incendiare lo scontro.
Washington ha comunque stabilito che non intende partecipare a operazioni che puntino a frammentare la Federazione Russa. Polacchi, baltici, persino britannici – oltre naturalmente agli ucraini – evocano questa possibilità come esito auspicabile del conflitto, non sappiamo quanto convintamente. Farla finita una volta per tutte con la minaccia russa parrebbe obiettivo allettante anche per gli americani. Non è così. Per tre motivi: nessuno sa che fine farebbero le seimila testate atomiche russe in caso di spartizione certo non pacifica dello spazio moscovita; la Cina potrebbe profittarne per mettere le mani sulle ricchezze della Siberia e dominare da sola l’Asia centrale; se non vi fosse più una minaccia strategica a est di Varsavia sarebbe molto difficile per Washington spiegare a sé stessa a che cosa serva la NATO. In guerra le apparenze talvolta ingannano. L’importante è non restare prigionieri della propria retorica.
● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 marzo 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 17
Da destra: Vladimir Putin e Joe Biden in un’immagine del 2021. (Keystone)
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Manifestazione
Dalla parte dell’UE
Potentissime ◆ Un ritratto di Salomé Zourabichvili
Cristina Marconi
In rivolta contro la Russia
Prospettive ◆ Il punto sulle proteste in Georgia e uno sguardo alla Moldavia
Anna Zafesova
La bandiera europea torna sulle piazze georgiane, stavolta non come vessillo di libertà, ma come bersaglio di odio da dare alle fiamme. La vittoria dell’opposizione liberale ed europeista contro il Governo di Irakli Garibashvili, dopo giorni di scontri con la polizia nel centro della capitale Tbilisi, non si è ancora trasformata in una rivoluzione. La destra conservatrice va al contrattacco e mentre il movimento Alt-Info brucia bandiere europee in piazza, il leader del partito di Governo Sogno georgiano, Irakli Kobakhidze, denuncia il «fascismo liberale» dell’opposizione e scaglia accuse di «satanismo» contro i giovani «manipolati dagli USA». Dello stesso parere è anche Mosca, il cui Ministero degli esteri denuncia le «pericolose ingerenze americane» nella protesta di Tbilisi, paragona la piazza georgiana al Maidan di Kiev e denuncia sia «un pretesto per rovesciare il Governo con la forza».
Le linee divisorie sono molto chiare: da un lato il Governo georgiano –che si appoggia a una coalizione parlamentare nazionalista di centrodestra e segue gli interessi dell’oligarca Bidzina Ivanishvili – e dall’altro l’opposizione, un variopinto fronte di partiti e organizzazioni, rappresentati in piazza da un attore nuovo, i giovani. Gli scontri in piazza tra la polizia e i manifestanti che protestavano contro l’approvazione della legge sugli «agenti stranieri» (legge che poi è stata ritirata) sono stati abbastanza pesanti. Ma a colpire gli osservatori – e a spaventare il Governo – è stata soprattutto la capacità dei migliaia di manifestanti di organizzarsi per affrontare lacrimogeni e pallottole di gomma, sfoggiando un mix di bandiere – georgiane, europee, ucraine e arcobaleno – che ben descrive le loro aspirazioni. Il ministro russo Lavrov ha ragione a paragonare Viale Rustaveli di Tbilisi al Maidan di Kiev, nel senso di uno scontro anche generazionale e valoriale tra i giovani che sognano l’Europa e la nomenclatura che vorrebbe un riavvicinamento alla Russia.
La protesta contro la legge su-
gli «agenti stranieri» – una copia di quella russa, diretta contro media e ONG indipendenti e critici del Governo – diventa subito una rivolta contro la «legge russa», e contro la Russia in quanto tale, come entità politica e come modello ideologico. Non è un caso che i sostenitori del Governo del Sogno georgiano attingono a un vocabolario putiniano sul «satanismo» e si appoggiamo ad organizzazioni anti occidentali di destra; mentre l’ex presidente riformista Mikheil Saakashvili denuncia, dalla clinica dove si trova agli arresti, di essere in fin di vita dopo essere stato avvelenato su ordine di Putin. Il Governo georgiano non ha aderito alle sanzioni contro la Russia –nonostante la Georgia sia stata la destinazione di centinaia di migliaia di russi in fuga dalla dittatura, che hanno stimolato l’economia e reso molto più anti putiniano il clima politico –ed è stato penalizzato da Bruxelles già un anno fa, quando non ha ottenuto lo status di Paese candidato all’UE concesso a Ucraina e Moldavia. Con questi due Paesi la Georgia ha in comune l’essere stata vittima di una guerra lanciata dalla Russia, nel 2008, che le ha strappato due territori, Abkhazia e Ossezia del Sud, oggi controllati da Mosca che li riconosce come indipendenti. Una ferita nazionale e una spada di Damocle che rimane sospesa sull’indipendenza georgiana, come hanno ricordato anche i propagandisti russi che hanno inneggiato nei talk show a un «attacco a Tbilisi».
Attacco che potrebbe essere nei progetti del Cremlino, come emerso da diverse indiscrezioni, secondo le quali Putin avrebbe dato ai suoi militari l’ordine di studiare una campagna nel Caucaso per cercare di far dimenticare i fallimenti sul fronte ucraino. Non è un caso che volontari dal Caucaso combattano in Ucraina in un battaglione georgiano, e che Volodymyr Zelensky si sia schierato a fianco della protesta georgiana. La solidarietà tra le ex colonie sovietiche sta creando un nuovo fronte ai confini della Russia, nonostante le generazioni che ani-
mano la protesta non parlino quasi più russo (e non è casuale nemmeno il fatto che i media ucraini, e i russi dell’opposizione, hanno iniziato a chiamare la Georgia con il suo nome autoctono, Sakartvelo, e non con quello coloniale utilizzato in Russia e in Occidente). Il viceministro degli Esteri russo Aleksandr Grushko parla di «creazione di nuovi focolai di tensione» a opera degli USA, ma sembra semmai una mobilitazione di Paesi che vogliono uscire dal limbo russo, diventato troppo pericoloso. La differenza sta nella presenza al Governo di élite più moderne, come in Moldavia – dove la presidente Maia Sandu sta accelerando l’integrazione europea – oppure di quelle più spaventate dall’arrivo della democrazia di stampo europeo.
A Chisinau la tensione in piazza è elevata come a Tbilisi, con la differenza che a protestare sono partiti filorussi, in particolare quello legato all’oligarca Ihor Shor. I manifestanti chiedono risarcimenti per le bollette del gas dell’inverno e insistono per un’alleanza più stretta con Mosca, invece di «appoggiare la guerra in Ucraina». I servizi di sicurezza moldavi intanto continuano ad arrestare presunti infiltrati russi, tra cui agenti della compagnia di mercenari Wagner, e il primo ministro Dorin Recean ha parlato dell’esistenza di un piano sovversivo dei russi per organizzare una rivolta che dovrebbe insediare a Chisinau un Governo vicino a Mosca. Potrebbe essere lo stesso piano che Zelensky ha passato a Sandu qualche settimana fa. Anche la Moldavia ha un territorio ribelle sotto controllo russo, la Transnistria, dove dal 1992 è presente un «contingente di pace» di Mosca di circa 1500 uomini. Troppo pochi per un’invasione e non avendo confini in comune con la Russia la Moldavia teme più un’infiltrazione sovversiva, magari con successiva presa dell’aeroporto di Chisinau – operazione per la quale basterebbero poche decine di mercenari Wagner – per poi organizzare un ponte aereo per i rinforzi russi.
La presidente georgiana si chiama Salomé Zourabichvili (nella foto), ha 70 anni ed è francese. O almeno lo è stata interamente fino al 2004, quando ha preso anche il passaporto georgiano dopo un biennio da ambasciatrice della République a Tbilisi e prima di diventare ministra degli Esteri del Paese da cui i suoi genitori erano fuggiti negli anni Venti del Novecento per scappare dall’invasione dell’Armata Rossa. Lo è rimasta in parte fino al 2018, quando ha dovuto rinunciare alla doppia cittadinanza per presentarsi alle presidenziali. Nel 2004, quando la Georgia era un Paese molto vicino all’UE, la diplomatica era stata chiamata dall’ex leader Mikheil Saakashvili a ricoprire il ruolo di ministra nel suo Governo, ma la rottura tra i due, avvenuta nel 2005, è stata così profonda e radicale che ora che si trova agli arresti e malato, Zourabichvili si rifiuta di concedergli la grazia o di intercedere in suo favore affinché possa andare a curarsi all’estero, come vorrebbero il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il Parlamento europeo.
Intanto il politico e imprenditore Bidzina Ivanishvili, del partito di Governo Sogno georgiano, nonostante una lealtà di facciata nei confronti di Bruxelles, ha forti legami con la Russia e vede in Saakashvili, reduce da otto anni all’estero, una minaccia in grado di galvanizzare l’opposizione di un Paese sempre più instabile. Per questo preferisce avere Saakashvili agli arresti con l’accusa di abuso d’ufficio e una condanna a sei anni, pronunciata in absentia, definendolo un «nazista» che non dovrebbe mai tornare al potere, anche se i sondaggi gli danno consensi al 31%. Ma con la guerra alle porte la situazione si sta facendo incandescente anche a Tbilisi, dove i cittadini stanno protestando contro i legami con il vicino russo, che nell’estate del 2008 aveva fatto le prove generali dell’attacco all’Ucraina inviando i suoi carri armati in Ossezia del Sud e in Abkazia, e contro la svolta autoritaria che rischia di portare la Georgia sempre più lontana dall’UE di cui un tempo era la pupilla (leggi articolo a lato).
La nuova legge sugli «agenti stranieri», intanto, è stata ritirata e Bruxelles sta valutando con molto scetticismo la domanda della Georgia di ottenere lo statuto di Paese candida-
to, visto che non sono state ancora rispettate le 12 precondizioni necessarie e che tutto sembra andare in direzione di un regime autocratico. Le immagini delle violente proteste di Tbilisi, represse duramente dalle forze dell'ordine, e dei manifestanti a cui neppure gli idranti sono riusciti a far mollare la presa sulla bandiera europea, hanno fatto il giro del mondo e Salomé Zourabichvili, da una visita di Stato in America, ha mandato un video messaggio di sostegno e di presa di distanza dal Governo a cui fino a poco tempo fa era vicina. «Sono dalla vostra parte», ha spiegato con la Statua della libertà sullo sfondo e il suo sguardo fermo e volitivo. «La Georgia, che vede il suo futuro in Europa, non permetterà a nessuno di portare via il suo futuro», ha aggiunto, mentre la Casa Bianca definiva le violenze di Tbilisi come un momento nero per il Paese. La presidente georgiana settimana scorsa ha anche incontrato il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, il quale ha scritto su Twitter: «Ho ribadito l'impegno dell'UE per il percorso europeo della Georgia a Zourabichvili e ho accolto con favore il suo ruolo nel promuovere le aspirazioni del popolo georgiano. La decisione di concedere alla Georgia una prospettiva europea è un'opportunità storica da non perdere. I progressi sulle riforme restano cruciali».
Per la bambina Salomé la Georgia è stata una terra promessa, immaginata attraverso i racconti della vivace comunità georgiana di Parigi di cui la sua famiglia era una delle colonne portanti, fino al 1986, anno della sua prima visita, fatta quando era già una diplomatica con una certa esperienza. Parente neppure troppo alla lontana dello scrittore Emmanuel Carrère e studentessa eccezionale, formata nelle grandi scuole delle classi dirigenti francesi, Zourabichvili ha raccontato di aver sempre sognato di poter dare un contributo al suo Paese, tanto da aver cercato di fondare un partito nel 2006, senza però sfondare. Non sembra intenzionata a mollare, neppure ora che il gioco si fa duro. Eletta nel 2018 per un mandato di sei anni, con i poteri già ridotti da una legge recente, sarà l’ultima a essere nominata dal popolo: i suoi successori arriveranno dopo un voto parlamentare.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 marzo 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino ATTUALITÀ 19
a Tbilisi. (Keystone)
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Gli ultraortodossi e la sfida della modernizzazione
Nonostante siano trascorse quasi dodici settimane dall’inizio delle proteste, e benché le manifestazioni contro il Governo abbiano raggiunto proporzioni straordinarie per affluenza e tenacia, Netanyahu non sembra disposto a compromessi. La scorsa settimana, fedele alla propria linea, ha respinto anche lo schema di compromesso suggerito dal presidente Isaac Herzog nel tentativo di appianare la preoccupante faida tra coalizione al potere e opposizione. La storia dimostra che la distruzione delle istituzioni democratiche porta inevitabilmente alla persecuzione, al silenzio, alla censura e alla repressione che mirano a produrre una società obbediente e timorosa. Per questo, durante la notte tra mercoledì e giovedì, decine di artisti hanno dipinto di rosso la strada che conduce alla Corte Suprema di Gerusalemme, sottolineando così il legame inscindibile tra un sistema giudiziario indipendente e la libertà di espressione artistica e culturale.
È ormai evidente, del resto, che lo stato d’emergenza che Israele si trova ad affrontare esula ampiamente dai confini della riforma giudiziaria contro la quale manifestano con caparbietà ogni sabato sera centinaia di migliaia di cittadini.
Le dimensioni della crisi sono attestati, tra le altre cose, dalla gravità degli avvenimenti che hanno avuto luogo la notte del 26 febbraio scorso, quando un gruppo di coloni ebrei ha compiuto un vero e proprio attacco contro il villaggio palestinese di Hawara. Decine di macchine, attività commerciali e abitazioni private sono state incendiate, alcune di queste con le persone ancora all’interno. Un centinaio di feriti, un morto e animali mutilati sono il bilancio di una vendetta compiuta mente l’esercito stava a guardare senza intervenire.
Le comunità di questo tipo rappresentano già il 13% dell’intera popolazione
E fra 40 anni un ebreo su 3 sarà ultraortodosso
La violenza coloniale fa parte di una politica istituzionalizzata che serve un’agenda più ampia di pulizia etnica, ma tale logica di eliminazione istituzionalizzata continua tristemente ad essere ignorata anche da chi, in Israele e all’estero, ha espresso severe parole di condanna per il massacro. Le principali scusanti addotte sono generalmente quella della tanto attesa, quanto impraticabile, soluzione dei due Stati, e la necessità di garantire la sicurezza rispetto agli attentati a carico dei civili. Come se questi ultimi, in crescente aumento negli ultimi mesi, non fossero strettamente connessi all’occupazione medesima. Dipingere l’attacco in Cisgiordania come l’atto di un gruppo isolato di estremisti fanatici significa voler ignorare consapevolmente le dinamiche del gioco.
La definizione di stato ebraico democratico è posta oggi più che mai davanti a una sfida: non vi è democrazia senza porre fine all’occupazione, così come non ci deve essere un ebraismo che prescinda dalla garanzia di libertà e pienezza di diritti a tutti i residenti all’interno dei suoi confini. La legittimazione degli ebrei come popolo, e non solo come fedeli di uno stesso credo religioso, passa oggi attraverso l’urgenza di stabilire i parametri di un’etica nuova che meglio si
adatta alla sovranità territoriale. Ma di questo parleremo ancora.
In questo contesto – per cercare di comprendere meglio il complesso mosaico che compone la società israeliana – torniamo a parlare delle comunità ebraiche ultraortodosse che, come abbiamo detto (edizioni del 13.2.2023 e del 27 febbraio 2023), costituiscono circa il 13% della popolazione del Paese.
La prima forma di distinzione che salta agli occhi è quella dell’abbigliamento che spesso consente anche di risalire alla cerchia di appartenenza, o quanto meno di distinguere tra i due grandi gruppi principali: lituani e chassidici. I primi prendono il nome dalle scuole rabbiniche di Litta di cui mantengono la tradizione. Generalmente indossano un abito scuro con la camicia bianca e sopra la kippà portano un cappello in stile Borsalino. La corrente lituana è sorta all’inizio del XIX secolo sostanzialmente in opposizione al chassidismo, intorno al Gaon di Vilna e al rabbino Chaim di Volozhin, e successivamente ha dato vita anche al famoso movimento del mussàr, l’etica ebraica promossa dal rabbino Israel Salanter. Per i lituani lo studio devoto della Torà è considerato prioritario anche in condizioni di povertà. In seguito alla morte del Rabbino Chaim Kanievsky nel 2022, il loro leader principale è il rabbino Gershon Edelstein, direttore della grande scuola talmudica di Ponevezh, a Bnei Brak, e leader spirituale del partito Deghel Hatorà.
Il chassidismo invece è sorto intorno alla metà del 1700 tra l’Ucraina e l’Europa dell’Est, come movimento di carattere sociale e spirituale sviluppatosi intorno alla figura del Ba’al Shem Tov e dei suoi discepoli che proponevano una nuova filosofia di vita. Il loro approccio unisce ai motivi cabalistici il concetto della costante presenza di Dio in tutto il creato che sarebbe permeato dal divino anche dove la spiritualità è apparentemente celata. Da qui il dovere di ogni ebreo di coltivare la dvekùt, l’attaccamento, che consente di elevare spiritualmente anche gli atti quotidiani più materiali e banali.
Nei secoli il chassidismo si è ramificato intorno a molteplici corti di diverse dimensioni, comunità molto chiuse e unite, ognuna facente capo ad una guida spirituale, il cosiddetto Rebbe, o admòr, generalmente eletto per discendenza familiare e all’autorità del quale i seguaci sono strettamente dipendenti. Molti di loro, nella vita privata e in famiglia, al posto dell’ebraico moderno parlano ancora in yiddish, mantenendo viva la più importante lingua della cultura ebraica, dopo l’aramaico. Gli uomini chassidici sono più attivi nel mercato del lavoro rispetto alla media degli ultraortodossi e si distinguono per le peòt, i cernecchi, riccioli sfatti, che usano tenere lunghi rispetto a quelli appena accennati dei lituani. Anche le loro giacche sono più lunghe di quelle di un normale abito da uomo, e talvolta indossano pantaloni particolari, che infilano dentro i calzini, e altri segni distintivi come lo shtreìmel, il tradizionale cappello di pelliccia per il sabato e le solennità. Tra le corti più importanti si annoverano quelle di Gur, Satmar, Belz, Vishnitz e Sanz. I Chabad-Lubavitch il cui famoso
dei loro emissari che girano il mondo per promuovere il ritorno degli ebrei all’osservanza. I Breslav, invece, sono popolari tra le persone che fanno ritorno all’osservanza e i loro testi di riferimento, che raccolgono gli insegnamenti e i racconti del Rabbino Nachman (1772-1811), godono di sempre maggiore attenzione anche presso i laici grazie all’indubbio spessore e a contenuti filosofici e psicologici di attualità.
All’inizio degli anni ’80 gli ultraortodossi sefarditi e orientali, provenienti dai Paesi islamici o residenti a Gerusalemme da generazioni, hanno cominciato a ribellarsi alle discriminazioni subite dagli ashkenaziti, che rifiutavano di accoglierli nelle istituzioni scolastiche. Su tali premesse socio-politiche è nato il movimento e partito politico Shas, patrocinato dal grande rabbino di origini irachene Ovadia Yossef (1920-2013), figura
di grande carisma e per anni rabbino capo sefardita di Israele.
Benché tendano a non celebrare festività e commemorazioni nazionali laiche, mai come oggi gli ultraortodossi sono alleati del sionismo, non fosse altro per motivi di convenienza politica ed economica. Tuttavia permangono tra loro alcune correnti integraliste come la Edà Charedìt e i Neturei Karta che si contraddistinguono per un’opposizione netta allo Stato, che mettono in atto non partecipando alle elezioni e cercando di non ricevere contributi, convinti che non possa sorgere uno Stato ebraico prima della venuta del messia.
Nel complesso, tuttavia, nonostante gli stereotipi che insistono nel confinarla in ghetti anacronistici, la società ultraortodossa sta attraversando un continuo processo di modernizzazione riscontrabile dalla presenza dei suoi membri, non solo nei contesti di studio e lavoro, ma anche nei centri commerciali, negozi, ristoranti, parchi giochi e siti di divertimento. Le donne investono sempre di più nella moda, nei trattamenti di bellezza e nell’arredamento, e i loro mezzi di comunicazione e reti social stanno finendo per adeguarsi, nel bene e nel male, ai nuovi trend. Le previsioni demografiche stimano che tra soli quarant’anni un ebreo israeliano su tre sarà ultraortodosso!
leader,
rav
Menachem
Mendel Schneerson
è deceduto
nel 1994, sono più visibili all’esterno, grazie all’opera
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 marzo 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino ATTUALITÀ 21
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Israele ◆ Mentre nel Paese continuano le proteste antigovernative prosegue il nostro viaggio tra i volti dell’ebraismo più tradizionale Sarah Parenzo
Il celebre rav Menachem Mendel Schneerson, già leader del movimento Chabad-Lubavitch. (Wikipedia)
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Credit Suisse nella bufera
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Questa proprio non ci voleva: alludiamo alla dichiarazione rilasciata il 15 marzo dal presidente della Banca Nazionale Saudita, nella quale confermava che la banca, nel frattempo diventata il maggior azionista di Credit Suisse, con il 9,9% del capitale, non avrebbe più messo soldi a disposizione dell’istituto elvetico. Non ci voleva perché l’intero mondo finanziario stava cercando di porre rimedio alla crisi provocata dal fallimento della Silicon Valley Bank negli Stati Uniti, seguito da quello di altre piccole banche. Il panico che ne è seguito ha colpito tutte le Borse, con i titoli bancari in sensibile ribasso. Evidentemente ne ha sofferto di più il Credit Suisse, poiché aveva appena (9.2.23) reso noto i dati del bilancio 2022 che annunciavano una perdita di 7,3 miliardi di franchi. La presentazione ufficiale era comunque stata ritardata, perché nel frattempo la SEC, l’agenzia americana di sorveglianza dei mercati, aveva aperto un’indagine sui bilanci di Credit Suisse del 2019 e 2020.
La quotazione di Credit Suisse è scesa per la prima volta nella storia sotto i 2 franchi. A questi livelli aumentano i timori degli investitori
In un clima già di per sé molto teso sui mercati finanziari ogni notizia ha un effetto immediato e peggiora la situazione di chi ha più difficoltà proprie. Il CS usciva da una crisi profonda a causa di operazioni speculative di alcuni fondi d’investimento nei quali aveva preso parecchi impegni. Crisi che si riflette ancora oggi sui bilanci (vedi «Azione» del 7.11.22). La notizia di cui dicevamo all’inizio è arrivata proprio nel momento in cui si stavano assorbendo gli effetti delle ultime vicende e si tentava di rimettere in sesto un andamento molto pessimistico delle Borse. L’azione di Credit Suisse ne ha sofferto molto pesantemente, al punto che la sua quotazione è scesa per la prima volta nella storia sotto i 2 franchi. A questi livelli aumentano i timori degli investitori che operano attraverso la banca, tanto più che voci di un acquisto di Credit Suisse da parte di qualche grosso investitore erano già corse negli ultimi tempi. A poco sono quindi valse le notizie secondo cui la componente svizzera del gruppo ha chiuso il 2022 con un utile di 1,4 miliardi di franchi e sono in atto misure di risparmio che dovrebbero permettere di risanare la situazione.
Sono però anche corse voci secondo cui il CS non avrebbe dichiarato tutto l’ammontare di franchi ritirati dai clienti dopo la vicenda degli ultimi mesi, il che ha costretto i dirigenti a fornire altre cifre. Tutti motivi che si innestano su un canovaccio di problemi difficili da risolvere anche per una banca di lunga tradizione e di importanza nazionale e internazionale. Su queste considerazioni si innestano però anche le questioni della definizione di «banca sistemica» per la Svizzera. Perciò anche la FINMA, l’organo svizzero di sorveglianza dei mercati finanziari, è già intervenuta, ponendo a Credit Suisse una serie di condizioni, che ne fanno una specie di «sorvegliato speciale». Nella serata dello stesso giorno, tanto la FINMA quanto la Banca Nazionale Svizzera hanno dichiarato di essere a disposizione per aiutare il CS a uscire da questa scabrosa situazione.
In termini finanziari la giornata di mercoledì scorso si può riassumere in una perdita di circa il 30% del valore del titolo CS, il che porta la capitalizzazione della banca a soli 6,7 miliardi di franchi. Il mercato si aspettava un segnale di questo tipo, perché la crisi di CS stava trascinando con sé una brusca caduta non solo del settore bancario, ma anche di altri comparti che hanno già cominciato a soffrire a causa dell’aumento dei tassi di interesse.
Nella stessa notte, la direzione di CS faceva sapere, in un comunicato, di chiedere in prestito dalla Banca Nazionale Svizzera fino a un massimo di 50 miliardi di franchi per rafforzare il gruppo e contrastare la caduta del titolo in Borsa. Nel frattempo il CS ha comunicato una serie di riacquisti di debiti per un valore di circa 3 miliardi di franchi. Queste decisioni erano volte soprattutto ad assicurare i mercati sulla tenuta di CS e sulla volontà di proseguire nell’opera di risanamento. L’effetto è stato immediato. Giovedì 16 marzo, all’apertura della Borsa, il titolo CS aveva già recuperato il 31%, salendo a 2,22 franchi. Anche le Borse europee miglioravano.
La fuga di capitali della clientela si è intensificata lo scorso anno con un deflusso di oltre 123 miliardi di franchi, di cui 50 nella sola Svizzera
Mercoledì 15 marzo, in un clima depresso nei maggiori mercati europei, anche la Borsa svizzera aveva subito pesantemente gli influssi del calo del titolo di CS. L’azione UBS, per esempio, perdeva l’8,72%. Il calo toccava anche i settori assicurativi collegati. SwissRe perdeva il 5,18%, SwissLife il 5,78% e Zurich il 4,05%. Il calo si estendeva poi anche al settore industriale con ABB a –4,78% e Holcin a –3,13%.
Nel generale pessimismo il Credit Suisse ha fatto da detonatore per quella che poteva essere una crisi generalizzata. Di per sé però la banca non era (ancora?) nella situazione di dover chiedere aiuto. La FINMA aveva appena certificato che il CS poteva soddisfare le esigenze in materia di capitale proprio e liquidità per le banche di rilevanza sistemica. Però la fuga di
capitali della clientela si è intensificata lo scorso anno con un deflusso di oltre 123 miliardi di franchi, di cui 50 in Svizzera. Deflusso che si è intensificato dopo il citato caso della Silicon Valley Bank, nonostante l’intervento delle autorità USA. Ad accentuare i ribassi contribuisce anche la politi-
ca delle banche centrali (confermata proprio giovedì dalla Banca Centrale Europea) che, aumentando i tassi di interesse, contribuiscono a ridurre la liquidità in circolazione rispetto agli eccessi degli scorsi anni. I recenti avvenimenti ricordano quelli precedenti la crisi del 2008. Tuttavia oggi
la situazione è diversa. La vigilanza sulle banche è stata aumentata e il rispetto delle regole di Basilea III sulla gestione dei rischi permette interventi preventivi con capitali sufficienti. Si spera che proprio quella crisi e le difficoltà di oggi possano insegnare qualcosa.
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Nuova luce sull’arte parietale
Ne Il tempo sacro delle caverne, Gwenn Rigal, guida nella famosa grotta di Lascaux, fa il punto sui risultati delle ricerche sull’arte parietale
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Il jazz protagonista a Chiasso Curiosità e letture ex-post della 24esima edizione del Festival jazz che ha visto sul palco Julian Sartorius e altri bravi batteristi
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Paladine della giustizia
Le femministe Enola Holmes e Lidia Poët sono le protagoniste di due pellicole d’ambientazione storica, una per la televisione, l’altra per il web
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Di alberi, di guerra e di cieli innaturali
Feuilleton ◆ Dal 30 marzo al 4 aprile tornano gli Eventi Letterari. Ospite, tra gli altri, la scrittrice e poetessa Anja Kampmann
Natascha Fioretti
Se pensiamo a Bertolt Brecht di cui quest’anno ricorrono i 125 anni dalla nascita, alla nuova edizione – ormai alle porte – degli Eventi Letterari Monte Verità (si inaugura il 30 marzo al Palacinema di Locarno con lo scrittore Giuliano Da Empoli) e ai tempi che stiamo vivendo, corrono alla nostra mente i versi del drammaturgo e poeta di Augsburg: «Quali tempi sono questi, quando / discorrere d’alberi è quasi un delitto, / perché su troppe stragi comporta silenzio!». Versi ai quali la manifestazione letteraria – quest’anno giunta alla sua undicesima edizione con la nuova direzione di Stefan Zweifel – si è ispirata. Pensandoci bene però, c’è un’altra poesia di Brecht che risuona in noi in questo particolare frangente. Si tratta del famoso pioppo di Karlsberg, l’unico dei suoi fratelli ad essere sopravvissuto alla guerra. Ruth Berlau, regista, fotografa, scrittrice danese ma soprattutto collaboratrice e compagna di Brecht che viveva a pochi passi da lì, amava raccontare di quando il poeta una mattina uscì sul balcone e alla vista di quel pioppo circondato dalle macerie scrisse di getto quei versi che furono poi imparati a memoria in tutte le scuole della DDR. «Un pioppo c’è, sulla Karlsplatz, / in mezzo a Berlino, città di rovine, / e chi passa per la Karlsplatz / vede quel verde gentile. / Nell’inverno del Quarantasei / gelavano gli uomini, la legna era rara, / e tanti mai alberi caddero / e fu l’ultimo anno per loro. / Ma sempre il pioppo sulla Karlsplatz / quella sua foglia verde ci mostra: / sia grazie a voi, gente della Karlsplatz / se ancora è nostra».
«Mi premeva indagare quali sono i sogni e le motivazioni che spingono una persona a spingersi là fuori sul mare»
Quel verde gentile, quella sua foglia verde suonano come un messaggio di speranza. E di speranza abbiamo bisogno anche oggi come ben racconta Anja Kampmann (nella foto) che nelle sue opere, siano esse in prosa o in poesia, si confronta con le questioni spinose e complesse del nostro tempo – la globalizzazione, l’economia, lo sfruttamento delle risorse naturali – ma non senza aprire lo spiraglio alla bellezza, non senza dare alla luce e al calore la possibilità di aprire feritoie nei suoi testi. Vale per il suo romanzo Dove arrivano le acque (Keller editore, 2022) e anche per la sua seconda raccolta di poesie Il cane ha sempre fame (uscito in tedesco per Hanser Verlag), presto disponibile in italiano per La nave di Teseo.
Partiamo dal primo e diciamo subito che il tratto distintivo di Anja Kampmann risiede nella sua scrittura, quel-
la che Katrin Hillgruber sul «Tagesspiegel» ha definito «Der Rausch des Schauens» (L’ebbrezza dell’osservare) da cui scaturiscono descrizioni e momenti di intensa liricità. Per capire bastano le prime righe che introducono l’opera la storia di Waclaw, tedesco di mezza età impegnato a lavorare su una piattaforma di trivellazione nell’Atlantico che perde il suo collega e amico Mátyás: «Gli uomini sono inermi davanti a quella tempesta che imperversa in mare. Se ci si avvicinasse da molto lontano, il buio calerebbe a lungo su tutto, le creste delle onde inghiottirebbero la pioggia, inghiottirebbero i fulmini, si sentirebbe odore di metallo e di salsedine, ma non c’è nessuno che possa sentire quell’odore. Non ci sono occhi che osservino. E se ci fossero, non vedrebbero che i flutti impennarsi paurosamente. Il Sud e il Nord cesserebbero di esistere. L’acqua inghiottirebbe anche l’urlo impetuoso della tempesta che non giungerebbe all’orecchio di nessuno. Buio, superfici che si innalzano, onde che si infrangono in un’oscurità impenetrabile, e poco più in là, in fondo, la luce lontana è solo un tremolio inghiottito dalle onde, solo un attimo, una luce». La luce, seppur temporanea, flebile, come la speranza espressa dall’unica foglia rimasta sul pioppo di Karlsplatz, torna sempre nell’opera della Kampmann che a partire dalla citazione in esergo del commesso viaggiatore («There’s a new continent at your doorstep, William.») delinea il contesto e le atmosfere in cui opera e protagonista si muovono: «C’è una sorta di parallelo tra il
commesso viaggiatore che insegue il sogno americano e pieno di speranza gira da una parte all’altra per vendere la sua merce e Waclaw, trivellatore che lascia il suo piccolo paese in cerca di fortuna nel vasto mondo dei mari. E se in principio sembra essere molto promettente, la realtà, proprio come nel caso del commesso viaggiatore, si rivela essere tutt’altra. Tanto che Waclaw alla fine è stanco della vita sulle piattaforme petrolifere. Esprimo e descrivo il suo stato attraverso un termine che in tedesco viene utilizzato per i metalli: “Ermüdungsbruch ” ».
“Rottura da fatica” è il corrispettivo italiano e ben spiega cosa succede a Waclaw. D’altra parte l’autrice nel suo romanzo esplora l'intimità degli uomini, indaga la natura della memoria e del dolore e mette a nudo il costo della libertà per un uomo che vive ai margini della società.
Viene allora da chiedersi come sia venuto in mente ad Anja Kampmann di ambientare la sua storia su una piattaforma petrolifera nell’Atlantico: «Il mondo delle trivellazioni petrolifere mi affascinava perché sono una realtà dalla quale dipendiamo ogni giorno e al contempo però non conosciamo, tanto meno le condizioni in cui le persone lavorano là fuori sul mare in nome della flessibilità. Per riuscire ad entrare in questo ambiente ho fatto diverse ricerche, sono entrata in contatto con alcuni trivellatori, in diversi mi hanno inviato video di cabina, foto che descrivono la loro routine e i mezzi avanzati che oggi utilizzano per trivellare i fondali marini». Da qui nasce una riflessione aperta sulla no-
stra società, sulle conseguenze della globalizzazione che ci ha abituati, in particolare le nuove generazioni, a coniugare le sfide della professione con l’idea di mobilità e flessibilità. «Mi sono chiesta quale sia l’impatto di tutto questo sulle persone – da un lato la fascinazione del petrolio – dall’altra lo sfruttamento illimitato delle risorse. Mi premeva indagare quali sono i sogni, le motivazioni che spingono una persona a spingersi là fuori. Waclaw ci va con le migliori intenzioni, sogna di dare una nuova direzione e un nuovo senso alla sua vita, ma alla fine scopre di essersi nutrito di illusioni».
Ad aprirgli gli occhi è la scomparsa di Mátyás e l’indifferenza dimostrata dalla compagnia petrolifera che non indaga sul suo amico considerato solo un numero tra tanti. Per fare luce sul mistero Waclaw si mette in viaggio, visita paesi e città che sono stati importanti per Mátyás – Marocco,
Con «Azione» agli Eventi
La scrittrice e poetessa Anja Kampmann dialogherà con Maike Albath al Monte Verità nell’ambito degli Eventi Letterari domenica 4 aprile alle ore 11.00. «Azione» mette in palio alcuni biglietti, per partecipare al concorso inviate una mail a giochi@azione. ch, oggetto «Waclae» con i vostri dati (nome, cognome, indirizzo, no. di telefono) entro venerdì 25 marzo alle 24.00. Per il programma completo: www.eventiletterari.swiss
Budapest, Malta, Roma – fino al suo paese d’origine in Ungheria dove scopre un lato inedito del suo amico che credeva essere senza radici e senza legami come lui. «E il cavallo?» domanda Waclaw a sua moglie Patricia. «Ah, non lo sai? He didn’t tell you? Matyi, il grande allevatore di cavalli.» Chi ha un cavallo – quello di Mátyás è un purosangue pazzo – ha sempre un posto in cui tornare e questo Anja Kampmann – classe 1983, nata ad Amburgo e oggi di casa a Lipsia – lo sa molto bene. Lì dove è cresciuta, al confine con la Bassa Sassonia, ci sono cavalli ad ogni angolo, l’equitazione non è uno sport elitario e sin da quando era ragazzina ha conquistato anche lei. E di cavalli, di paesaggi nordici della Germania, di temi ambientali e sociali si parla anche nelle sue poesie. An eiken cura, ad esempio, racconta di un cavallo da polo che è stato clonato otto volte. In Argentina ci sono intere squadre di cavalli da polo clonati che vincono i migliori e più costosi tornei del mondo. Aiken Kura, il cavallo di punta di Adolfo Cambiaso, è stato un grande campione e quando si è rotto la gamba è stato clonato». «Nachfahrfahr » è la parola dal bel suono onomatopeico che Anja Kampmann ha creato per chiamare i cloni. Parola che il poeta e traduttore Federico Italiano su «Doppiozero» ha tradotto con «discen-discen-discendente».
Un’altra poesia che stimola la riflessione sull’oggi – in tempi di intelligenza artificiale e ChatGPT – è deep blue (come il primo calcolatore che vinse la partita a scacchi contro il Campione del Mondo Garry Kasparov). Cosa deve aver provato il campione russo quando è stato battuto da questa forza artificiale? Ci chiedono i versi che in chiusura recitano «pompa da stagno / un oceano contro il potere mentale / dell’anima umana, ah / e quale blu pensi/ che vedremo oggi?». Anja Kampmann mi spiega che il blu a cui si fa riferimento «è un blu diverso, un blu innaturale per cui il cielo sembra essere sempre lo stesso ma non lo è. Cosa vediamo effettivamente? Cosa dicono di noi questi cambiamenti tecnologici?». Domande che aprono scenari e pensieri complessi ai quali preferiamo rispondere con una (felice) constatazione conclusiva: la raccolta poetica si chiude parlando d’amore, probabilmente in virtù di quella luce e quella bellezza – soprattutto linguistica – che sempre trovano posto nei suoi testi. «Sarebbe tragico se l’amore non esistesse, scrivere una poesia d’amore è anche il tentativo di scoprire se nonostante tutto ciò che sta accadendo, ci sia la possibilità di tenere salda e viva una cosa bella che possa sempre risplendere». Il pioppo di Karlsplatz insegna, la speranza è ciò che mai dobbiamo lasciare andare.
CULTURA ● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 marzo 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 25
Dirk Skiba
Dentro la Cappella Sistina della preistoria
«Ho scritto il libro che avrei voluto leggere quando ho cominciato come guida e interprete a Lascaux»: ci dice lo stesso autore, approdato per caso da Parigi a Montignac dove da quasi vent’anni accompagna i visitatori nelle grotte considerate «la cappella Sistina della preistoria». Scoperte nel 1940, aperte al pubblico nel 1948, attirano centinaia di migliaia di visitatori all’anno, un flusso che mette ben presto in pericolo l’integrità di questi fragili reperti, al punto che l’allora ministro della cultura francese Malraux ne decreta la chiusura nel 1963. Si pensa così a riprodurre in parte queste grotte costruendo accanto Lascaux II inaugurato nel 1983, al quale segue un nuovo facsimile ad alta definizione, che si trova nel tecnologico Lascaux IV, il nuovo Centro internazionale di arte parietale sorto ai piedi della collina di Montignac nel 2016.
Il saggio di Gwenn Rigal – che si definisce «dilettante informato» – nasce da un sentimento di frustrazione; quella di dover riassumere in pochi minuti i risultati di anni di ricerche condotte sull’arte parietale. «La maggior parte delle domande di chi visita le grotte comincia con un perché o con un come», domande che io stesso mi sono posto più volte. Ecco allora l’esigenza di rendere conto delle ipotesi formulate dalla comunità scientifica, senza far prevalere l’una o l’altra: il risultato è un ampio saggio riccamente illustrato e documentato, attingendo
alla bibliografia più recente, scritto in un linguaggio accessibile, pensato per chi specialista non è, ma senza cedere alle semplificazioni.
L’anello mancante, insomma, tra il ricercatore e il visitatore moderno, ancora nutrito da luoghi comuni come l’idea che gli uomini di Cro-Magnon o Homo sapiens, autori di queste decorazioni parietali risalenti al Paleolitico superiore, fossero esseri bestiali incapaci di comunicare tra loro. «Si tratta di uomini anatomicamente moderni, che con un completo e cravatta potrebbero passare inosservati in una metropolitana di Parigi», ci racconta Rigal che nel suo saggio traccia un accurato ritratto di questa società di cacciatori-raccoglitori che ci ha lasciato le tracce di una delle forme d’arte più antiche al mondo (recenti datazioni ne collocano gli inizi a oltre 40mila anni fa), che abbraccia un periodo di 30mila anni circa e si estende sul territorio europeo, in particolare in Francia, Spagna e in Italia.
La scoperta di quest’arte risale al 1879 con i bisonti del soffitto policromo della grotta di Altamira: da allora si succedono le teorie interpretative che, scartata l’ipotesi di «arte per l’arte», hanno stabilito la vocazione utilitaristica e spesso soprannaturale di questi dipinti e disegni che rispondevano a logiche ben precise, «strutturate secondo chiare regole organizzative», in cui conta anche la topografia delle grotte. Questi Homo sapiens dunque
– pur nella pluralità di stili regionalinon disegnavano qualunque cosa, né disegnavano a caso, come dimostrano le invarianti che caratterizzano lo stile parietale. Fin dagli esordi questi artisti dimostrano di padroneggiare le tecniche, come confermano per esempio la «bellezza e la potenza evocativa» delle opere naturalistiche scoperte nel 1994 nella grotta Chauvet, nelle gole dell’Ardèche.
Si tratta di un’arte composta da segni e da figure di animali – dai tori della grotta di Lascaux ai bisonti di Altamira; i nostri diretti antenati dimostrano una vera passione per la megafauna, essenzialmente i grandi erbivori, come cavalli, bisonti, uri, cervi, stambecchi e mammut. Poco rappresentate invece
le renne, gli animali sistematicamente cacciati dagli uomini del Paleolitico superiore; un bestiario raffigurato per lo più «a riposo» e di profilo, in composizioni e sovrapposizioni che raramente raccontano scene (sono assenti gli elementi di paesaggio) o azioni, tranne qualche eccezione, come la famosa scena del pozzo a Lascaux.
All’inizio si sviluppano teorie legate alla magia della caccia, che vede in queste figure di animali una sorta di «vudu grafico» basato sull’incantamento dell’immagine; teoria provata dalle grotte in cui gli animali sono trafitti dai segni-trattini. Ma presto si fanno strada altre ipotesi, legate all’animismo, allo sciamanesimo e al totemismo, di cui Rigal riassume meticolosamente
le ragioni dei sostenitori e le obiezioni degli scettici. Resta il fatto che questi uomini per dipingere sono scesi in luoghi particolari come le grotte, buie, silenziose, fredde e umide, hanno esplorato la rete dei cunicoli sotterranei e compiuto equilibrismi per dipingere animali «su in alto come a Bernifal e Chauvet» oppure «strisciato per centinaia di metri per dipingere un bisonte che nessuno avrebbe mai visto in uno stretto cunicolo di Bédeilhac». Aspetti che fanno pensare a una motivazione potente, come quella religiosa. Rigal accompagna così il lettore lungo la rete di cunicoli generati dalle ipotesi che nel tempo si sono accumulate, avendo cura di citare esempi e fornire i riscontri visivi grazie a illustrazioni e immagini che corredano quasi ogni pagina. Due sono stati gli eventi fondamentali nella storia dell’umanità, ci ricorda lo scrittore francese George Bataille in un testo dedicato a Lascaux nel 1955: la comparsa degli utensili (e del lavoro) con l’homo faber e la nascita dell’arte. Ecco perché secondo lo scrittore francese l’arte parietale a Lascaux coincide con il «risveglio da un lungo sonno» che segna il passaggio a un homo ludens capace di rispondere al desiderio di meraviglioso e prodigio, creando il mondo che stava raffigurando.
Bibliografia
Gwenn Rigal, Il tempo sacro delle caverne, Adelphi, Milano, 2022.
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Pubblicazione ◆ Il saggio di Gwenn Rigal fa luce su anni di ricerche sull’arte parietale
Emanuela Burgazzoli
Il bisonte di Altamira. (Wikipedia)
Quei bravi batteristi jazz sul palco di Chiasso
Rassegne musicali ◆ Alcune curiosità e letture ex-post della 24esima edizione del Festival jazz
Alessandro Zanoli
Una delle caratteristiche delle passate edizioni del festival jazz di Chiasso era quella di proporre ai suoi spettatori un filo conduttore, un titolo tematico che riuniva i vari concerti sotto un concetto unitario. Ancora oggi gli appassionati si raccontano meraviglie dell’«edizione sulla ferrovia» o di quella dedicata a Parigi, o ancora di quella «del jazz al femminile» o «dei canguri di Monk».
La 24esima edizione appena conclusa non aveva in realtà un vero e proprio tema, composta com’era da un ampio panorama sul jazz contemporaneo svizzero e internazionale. La nostra modesta proposta è di assegnare ex-post un filo conduttore accessorio, anche solo a scopo di aiuto mnemonico, e di battezzare l’edizione 2023 come «quella dei bravi batteristi». Sono stati loro, in effetti i personaggi che più hanno impressionato per capacità e per presenza scenica: a cominciare dal più emblematico di tutti, Julian Sartorius, che è stato protagonista di due passeggiate sonore per le vie della cittadina di confine e di una solo-performance live, tenuta allo Spazio Lampo di Chiasso.
Questo laboratorio creativo, che da anni collabora con il festival, ospiterà tra l’altro fino al 10 aprile un video speciale, realizzato lo scorso anno dal batterista, in cui Julian si è filmato durante una sessione musicale di ben dieci ore, realizzata sul tetto della sua casa a Berna. Sartorius, formatosi alla scuola di jazz di Lucerna, ci è sembrato un po’ l’emblema di un nuovo modo di considerare l’esperienza jazzistica, centrandola fortemente sull’elemento ritmico,
che viene esplorato e sviscerato nelle sue geometrie più complesse, combinatorie. La sua attività, che mostra una profonda preparazione tecnica, si è sviluppata su più fronti e esprime un’indubbia padronanza dello strumento ma anche una concezione musicale dove il ritmo diventa elemento ipnotico-trascendente, così come succede oggi in molta musica moderna di intrattenimento (il jazz moderno, forse, memore di quello classico, ambisce a diventare musica da ballo…).
Una raffinata ricerca ritmica si è
riscontrata del resto nelle esperienze musicali di gruppi come Ikarus, esibitosi in apertura della prima serata, band svizzera dalla tecnica straordinaria guidata dal batterista Ramon Olivares, e poi anche nel gruppo della cantautrice Lucia Cadotsch (in apertura della seconda serata), in cui il lirismo delle composizioni era sostenuto con grande perizia dal batterista Fabian Rösch.
Anche la terza serata ha visto un batterista al centro della scena, seppure con minore «spigolosità» program-
matica. Il gruppo di Francesco d’Auria, Lunatics 4tet, ha proposto infatti alcune sue composizioni di impianto ritmico molto più «tradizionale», ma non per questo meno raffinate.
Degne di nota anche le performance di Martin France, membro del gruppo «quasi-progressive» della trombettista inglese Yazz Ahmed, e quella del monumentale Marvin Smitty Smith, che nel trio del contrabbassista Dave Holland ha funto da utile collante tra la perfezione formale del leader e l’esuberante, frago-
Quando il teatro suscita emozioni vere
Spettacoli ◆ Gli affetti e le problematiche famigliari raccontati con grande sensibilità da Florian Zeller
Giorgio Thoeni
Padre, madre e figlio: tre figure cardine della famiglia. Sono i ruoli fondamentali del nucleo primario della società in cui il teatro – ma non solo quello – ha spesso visto incentrarsi la sua trasformazione, dal mondo classico a quello contemporaneo. Di loro ci sembra di conoscere tutto. O quasi, grazie a personaggi memorabili, dalle tragedie alle commedie più celebrate siamo certi di conoscere gli aspetti più significativi della loro struttura affettiva.
Non sembriamo meravigliarci quando ci raccontano di famiglie lacerate da abbandoni, litigi, separazioni, malattie, vittime insomma da traumi affettivi. Siamo talmente abituati al peggio che quasi non vi prestiamo più attenzione. Eppure ci sono casi della vita che, se descritti nel giusto ambito e con la giusta misura, possono portarci a un’emozione vera, quella che oggi fatica a ritagliarsi uno spazio decente, così avvolta da un cinismo involontario e massificato.
Un ruolo importante nella battaglia contro la superficialità se l’è sempre conquistato il teatro, come nel condurre una battaglia civile per mostrare realtà che sono sotto gli occhi di tutti ma che troppo spesso non vogliamo vedere perché «non siamo così» o perché «è tutta una finzione».
Accostandoci alla drammaturgia dell’affermato Florian Zeller (Parigi, 1979) abbiamo un esempio molto significativo di come un autore può
riuscire a dare ampio accesso a temi sensibili utilizzando un linguaggio semplice e immediato, una dimensione letteraria in cui tutti possono rispecchiarsi e in un certo senso identificarsi. Sui palchi della nostra regione abbiamo visto sfilare il suo fortunato trittico (Il padre, Il figlio, La madre): nel 2019 il Teatro di Locarno ha iniziato ospitando Il padre per la regia di Piero Maccarinelli con uno strepitoso Alessandro Haber nella toccante storia di un ottantenne travolto dalla malattia dell’Alzheimer. Nel 2021 ne è seguita la versione cinematografica con cui l’autore e regista francese, esordiente nel mondo della celluloide,
ha conquistato l’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale mentre Anthony Hopkins quello per il migliore attore protagonista.
Rimanendo a teatro, sul palco di Chiasso poche settimane or sono è andato in scena Il figlio con Cesare Bocci ancora con la regia di Maccarinelli. Anche da quel testo è stato tratto un film, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2022 con Hugh Jackman. Vi si racconta la drammatica crisi adolescenziale del figlio di una coppia divorziata.
Per la nostra platea il trittico familiare si è infine concluso al Teatro di Locarno dove recentemente è an-
roso funambolismo del chitarrista Kevin Eubanks.
Questa chiave di lettura «batteristica» potrà sembrare un po’ riduttiva, ed è vero. Il contributo dato dai vari gruppi che abbiamo elencato è stato vario e stimolante. La scelta artistica degli organizzatori ha sicuramente centrato l’obiettivo di proporre un programma vario, molto «giovane», e soprattutto rappresentativo di più indirizzi stilistici. Alcuni sono sembrati più centrati di altri, ma le valutazioni sono questioni di gusto, su cui «non est disputandum». L’importante è che il quadro collettivo sia stato soddisfacente per il pubblico: e lo è stato, anche per una band priva di batterista, come il duo Omar Sosa-Paolo Fresu. Molto bella la decorazione del palco e la trasformazione del «parterre» del teatro in una lounge dall’eleganza semplice. È stato un piacere vedere la sala ben frequentata fino alle ultime note dell’ultima band, ben oltre la mezzanotte di sabato; il jazz, insomma, ha ancora un pubblico tenace e fedele, che la pandemia non ha saputo intimidire. Un pubblico affezionato e attento come ai bei tempi: quella volta del «fiammifero nella notte» o delle «balene di Mingus».
Dove e quando L’installazione «Locked Grooves» dedicata alla performance di Julian Sartorius prosegue allo Spazio Lampo fino al 10 aprile 2023. Orari: ma-gio-ve 9.00-12.00 / 13.30-17.00 oppure su appuntamento chiamando lo 076 67980 04.
L’OSI al LAC
data in scena La madre interpretata da un’intensa Lunetta Savino con la regia di Marcello Cotugno. Ancora un tema legato alla famiglia con una madre confrontata con l’abbandono del figlio ormai diventato adulto e con un marito fedifrago. Una situazione vissuta nell’ossessivo ricordo di un passato abitudinario nel disperato tentativo di ricostruirlo: una deriva psicologica popolata da fantasmi e un vortice psicologico che finirà per risucchiarla.
Sia in patria sia all’estero, Zeller è un autore molto gettonato. Le sue opere teatrali sono state rappresentate in ben 35 Paesi, a dimostrazione di un segno drammaturgico importante per originalità, versatilità e stile, con studiate sovrapposizioni temporali, dialoghi fulminanti per un testo che richiede notevoli capacità attoriali. La cosa ancora più sorprendente è quanto egli riesce a trasmettere le inquietudini causate da certe situazioni, quelle che tendiamo a nascondere e confinare in una sfera intima, come se il dramma familiare fosse un peccato inconfessabile e dove Nulla è come sembra, come recita il sottotitolo della versione in italiano del film
The Father. Una casualità emblematica creata con scopi pubblicitari che esprime appieno il senso complessivo dell’opera di Zeller che abbraccia problematiche familiari descrivendo profondi disagi e inesorabili discese verso il buio dell’inconscio.
Musica ◆
Gergely Madaras omaggia Ligeti
Gergely Madaras il prossimo 30 marzo guiderà l’OSI al LAC con un programma che accosta il Concert romanesc di Ligeti al Concerto per viola di Bél a Bartók, solista Maxim Rysanov, alla Sinfonia n. 26 in re minore di Haydn e alla nuova commissione al compositore Oscar Bianchi dal titolo Exordium . Classe 1984, nato a Budapest, Gergely Madaras è tra i giovani direttori più promettenti a livello europeo. Il suo debutto risale al 2013 come direttore della English National Opera Edward Gardner dove ha diretto Il flauto magico con la regia di Simon McBurney. Il concerto al LAC rientra nel calendario di eventi dedicati quest’anno al centenario della nascita di György Ligeti, compositore ungherese che ha segnato il Novecento.
Con «Azione» al LAC
«Azione» mette in palio alcuni biglietti per il concerto dell’OSI diretto da Gergely Madaras giovedì 30 marzo alle 20.30 al LAC. Per partecipare al concorso inviate una mail a giochi@azione.ch, oggetto «Ligeti» con i vostri dati (nome, cognome, indirizzo, no. di telefono) entro domenica 26 marzo alle 24.00.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 marzo 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino CULTURA 27
Lucia Cadotsch
Dettaglio della locandina de La Madre con Lunetta Savino.
NUOVI VESTITI PER I CONIGLIETTI
Rieccoli in fila sull’attenti negli scaffali Migros, i dolci coniglietti di cioccolato ‒ come ogni anno sotto Pasqua. Questa volta, però, c’è qualcosa di diverso: i coniglietti sfoggiano una nuova veste ecologica. Invece che in PET metallizzato, il nuovo guscio è realizzato con materie prime naturali, ma è altrettanto efficace nel proteggere il fine cioccolato al latte dalla luce e da altri influssi esterni. In questo modo la qualità del prodotto rimane costante e il piacere del palato è garantito. E una volta divorato il coniglietto, il guscio viene smaltito insieme alla confezione di cartone.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 marzo 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 28
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Enola Holmes e Lidia Poët, paladine della giustizia
Film ◆ Dal Regno Unito all’Italia, il femminismo vissuto sin dai suoi esordi da protagoniste letterarie e reali, messe a confronto
Il femminismo che piace alle «nonfemministe». È quello ribelle, non patetico, non vittimistico, ma incazzato. Coraggioso, finanche oltraggioso. Come si intuisce essere l’idea di controllo che percorre per intero sia i due lungometraggi dedicati a Enola Holmes sia le puntate televisive che compongono la recentissima serie intitolata La legge secondo Lidia Poët (su Netflix dal 15 di febbraio). Entrambe le pellicole hanno per protagoniste giovani donne dal carattere forte. Entrambe sono d’ambientazione storica. Entrambe sono basate sulla tensione del giallo avventuroso. Entrambe, concentrate sulla fatica di farsi valere del «sesso gentile». Entrambe le donne sono individualiste.
Entrambe possono avvalersi di un fratello che alla fine le sostiene. Entrambe sono stimate almeno da un esponente dell’altro sesso più emancipato dei propri congeneri (ci piace molto la figura di Jacopo, il giornalista della «Gazzetta di Torino» che appoggia Lidia Poët), quasi a dire che senza il maschio, comunque, forse non ce l’avremmo potuta fare (ma non è ovviamente questo l’aspetto che piace alle «non-femministe», le quali prediligono la conquista alla lamentela, la concretezza alle chiacchiere da social).
Il primo, ambientato nel mese di luglio del 1900, vede Millie Bobby Brown nei panni di Enola, sorella del mitico Sherlock, partire dalla campagna inglese per finire a Londra (in Enola Holmes II, il sequel), nel periodo dello sciopero delle fiammiferaie (che in realtà ebbe luogo nel 1888). Enola, spesso in brache invece che in sottane, indaga non meno del fratello che pure compare qua e là, entrambi aiutati dalla loro madre, femminista tra le più agguerrite, a capo di un movimento sotterraneo sempre più dirompente.
Nel secondo, La legge secondo Lidia Poët, ci troviamo più o meno nello stesso periodo, ma siamo a Torino e veniamo confrontati con la storia biografica di Lidia Poët (interpretata da Matilda De Angelis): fu la prima avvocatessa italiana, o avvocata come si definisce per mano dello sceneggiatore. In rete, basta una breve ricerca per trovare ad esempio l’intervista che la
Dietro agli Oscar
Cinema ◆ The Whale con Brendan Fraser, premiato come miglior attore, è ora
nelle sale ticinesi
Poët rilasciò dopo la sentenza della Corte di appello di Torino del 14 novembre 1883 (140 anni, son trascorsi da allora), la quale aveva stabilito che «l’avvocheria fosse un ufficio esercitabile soltanto da maschi, e nel quale non dovevano punto immischiarsi le femmine», per rendersi conto della fedeltà con cui il film riporta le ambientazioni e in buona sostanza anche i fatti principali.
Enola Holmes e La legge secondo Lidia Poët hanno per protagoniste giovani donne dal carattere forte e troppo progressiste per il tempo in cui vivevano
Entrambe le narrazioni possono essere godute anche solo per il plot investigativo, per la tensione narrativa, per le trame parallele e i rimandi letterari. Ma quel che è certo è che sarebbe impossibile guardare questi film senza rendersi conto, quasi si venisse investiti da un’aggressione, del politicamente scorretto che vigeva poco più di un secolo fa. Il messaggio è chiaro e forte, diremmo violento. Non c’è modo di non subire la distorsione della realtà di quel tempo rispetto al nostro, e non per le disuguaglianze dei costumi, per i modi, per le cortesie, per il fango, per le differenze di classe che persistono ancora oggi, in un qualche modo, ma proprio per la mancanza di «concessioni» dei privilegi degli uomini, sempre negati alle donne. E qui va levato il cappello. Il fatto di riuscire a farlo con film di consumo, e persino a tratti con ironia – da immortalare lo scambio di sguardo tra Jacopo e Lidia e la risata di entrambi che segue subito dopo la battuta di lui: «Di questo passo un giorno potrete anche votare» – si diceva, il fatto di riuscire a sensibilizzare lo spettatore sul tema della disuguaglianza di genere con film che hanno il potenziale di conquistare le masse è qualcosa che fa onore a chi li ha progettati. E fin qui tutto bene.
Entrambe le storie hanno dunque gli stessi pregi, ma qualcosa abbiamo da contestare a La legge secondo Lidia Poët – sebbene a noi sia comunque molto piaciuta la prima stagione com-
posta da sei episodi, tanto che aspettiamo con impazienza la seconda. Veniamo alle pecche. Son presto dette: laddove nel Regno Unito non hanno sentito la necessità di spargere un po’ di sesso e sangue, nella pellicola di ambientazione italiana hanno optato per farne ampio uso. Da una parte, l’indugio sui cadaveri (quasi a voler mostrare la bravura – e in questo senso l’operazione è riuscita – del truccatore cinematografico) ci appare non aggiungere niente né alle storie né all’avvocata-investigatrice (se non per pochi elementi, e non in tutti gli episodi), ma soprattutto, dall’altra, ci ha parecchio disgustato l’uso del nudo, ci vien da dire, tipicamente all’italiana (e vorremmo tanto sbagliarci).
La domanda è semplicissima: perché in un film del genere, di stampo femminista, si rende necessaria la profusione di tette e natiche? Non lo domandiamo per senso del pudore, non fraintendeteci: non ci infastidisce il nudo in sé ma la strumentalizzazione dello stesso, il continuare a renderlo oggetto di attenzione morbosa (eccessiva in quanto non funzionale alla storia narrata). Annoia questo voler trasformare, ancora e di nuovo, le parti intime della donna in un mezzo per attirare gli sguardi: non serve qui, non è Lolita e non siamo più negli anni Sessanta-Settanta.
Nudo di donna, s’intende. Mica di uomo. E no, non mi si dica che in verità c’è il nudo integrale di Jacopo (interpretato da Eduardo Scarpetta): primo perché in verità è l’unico nudo offuscato; secondo perché sarebbe in effetti stato l’unico narrativamente adeguato (anche se per noi Matilda De Angelis non avrebbe dovuto coprirsi gli occhi, per restare nel personaggio); terzo perché lui stesso ha ammesso in un’intervista (non siamo abituati ai nudi maschili, abbiate pazienza, pare abbia inorridito certa critica) che oltre a non aver avuto problemi nel girare quella scena, sarebbe stato addirittura lui a proporla, quindi non era prevista.
La domanda resta: perché mandare alla malora il buon proposito che vorrebbe le donne affrancate da certo sguardo maschilista, con scene narrativamente inutili?
Everything Everywhere All at Once (del collettivo The Daniels), che la scorsa settimana si è portato a casa ben sette Oscar, è il film emblema di questo momento storico, sostanzialmente per due motivi. Il primo è legato al cambiamento che sta vivendo il cinema. Le sale si riempiono solo con i supereroi della Marvel, con la saga di Avatar e con qualche raro revival che riporta al cinema le generazioni dei quarantenni come Top Gun. Ma i classici film, quelli con una storia che ti prende e che ti resta in testa per giorni, fanno più fatica oppure hanno trovato sulle piattaforme lo spazio giusto. Ecco, Everything Everywhere All at Once, è un tentativo di arrivare al grande pubblico combinando il videogame, o più in generale il multiverso, con problematiche sociali tipiche di un film d’autore. Gli incassi (oltre 100 milioni per un film costato 20) e i numerosi premi gli stanno dando ragione. Il secondo motivo è legato al politicamente corretto che contraddistingue gli Oscar. Si sa che da sempre questi premi seguono le tendenze del momento più che la qualità delle opere. Se infatti lo scorso anno a vincere il premio per il miglior film fu Coda (su una famiglia sorda), nel 2019 era stato Green Book (sulle discriminazioni razziali) e nel 2017 fu Moonlight (sempre sulle discriminazioni razziali alle quali si aggiunge anche il tema omosessuale). Ecco quindi, che mancava la «quota» asiatica, colmata, quest’anno, dall’opera dei The Daniels. Certo, nel 2020 avevamo visto vincere la statuetta a un altro film asiatico (Parasite, già trionfatore a Cannes), tuttavia in quell’occasione non fu premiata la quota, ma la qualità del film: l’eccezione che conferma la regola.
Ad assodare questa tendenza, altri premi. In particolare, la sorpresa tedesca targata Netflix: Niente di nuovo sul fronte occidentale. L’adattamento del romanzo pacifista di Erich Maria Remarque ha vinto quattro statuette tra cui quella per il film straniero. Un chiaro messaggio dell’Academy alla Russia per uno stop al conflitto in Ucraina. Messaggio che diventa un grido ancora più forte con il premio dato al miglior documentario vinto da Navalny e dedicato al principale oppositore interno, e ora in prigione, di Vladimir Putin.
La 95esima edizione degli Oscar è stata anche quella della consacrazione di una giovane casa di produzione e distribuzione: la A24. Un nome che
i tre fondatori americani inventarono quando erano in viaggio in Italia proprio sull’autostrada A24 che collega Roma a Teramo. Fondata nel 2012, in poco più di 10 anni è arrivata a sovrastare le major sostenendo film d’autore che avessero anche un richiamo popolare molto forte (soprattutto rivolto al pubblico più giovane) come Spring Breakers, Bling Ring, The Witch fino ad arrivare al citato e premiato Moonlight. Quest’anno ha fatto incetta di statuette: oltre alle sette di Everything Everywhere All at Once, la A24 si è portata a casa anche i due premi a The Whale. Davvero niente male per una casa di produzione che si sta muovendo al meglio a Hollywood e ha capito come attirare dalla sua parte i giurati.
Proprio a The Whale dedichiamo qualche considerazione supplementare, anche perché è in programmazione nelle sale della Svizzera italiana e merita una visione. L’ultimo film di Darren Aronofsky è centrato tutto sull’obesità di Charlie (Oscar a un ottimo e credibile Brendan Fraser – nella foto) imprigionato in una casa dalla quale non esce praticamente mai. La pellicola è una trasposizione teatrale e lo si nota molto bene con entrate e uscite di alcuni personaggi (l’infermiera, il giovane missionario, la figlia e l’ex moglie) dalla casa, proprio come in un teatro. L’unica presenza fissa e mastodontica, come una balena spiaggiata, è appunto il protagonista. Il tutto si svolge seguendo le regole aristoteliche dell’unità di luogo, tempo (si svolge in una settimana) e azione (le trame secondarie restano sullo sfondo). The Whale è un passo avanti nelle tematiche della filmografia del regista perché non vuole dirci, come nelle sue opere precedenti (vedi The Wrestler, Il cigno nero o Requiem for a Dream) che l’essere umano tende ad amare ciò che lo distrugge, ma che siamo noi stessi la causa della nostra disfatta e che, allo stesso tempo, possiamo diventare pure la nostra salvezza. In questo senso tutti, a loro modo e senza successo, cercano di salvarlo dalla sua espansione fisica che lo porterà, inevitabilmente, all’autodistruzione, ma solo lui ha il potere di uscirne vincitore.
E proprio come il capitano Achab (Moby Dick è citato più volte nel film) che resta chiuso nella sua cabina per quasi tutto il romanzo e instaura una lotta impari con la balena bianca simbolo del male, anche Charlie deve combattere la balena che c’è in lui per poter trovare la propria salvezza.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 marzo 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino CULTURA 29
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In fin della fiera
Il segreto della torta Centauro
Io sottoscritto Occhipinti Ferdinando detto Nando mi trovavo domenica 5 giugno alle 14.30 circa alla guida del furgoncino della premiata pasticceria Trevalli di Omegna e stavo salendo lungo la strada provinciale che da Santo Stefano Belbo conduce a San Giorgio Scarampi quando, affrontando a velocità moderata un’ennesima curva, ho incrociato un corteo di motociclette che procedevano in senso contrario, piegate quasi a terra nelle curve. Mi sono accostato al ciglio della strada e ne ho contate cinque prima di ripartire. È stato a questo punto che mi sono visto venire incontro il sesto motociclista che accelerava per raggiungere i compagni. Per non investirlo ho frenato bruscamente finendo nella scarpata mentre la torta nuziale che trasportavo con tanta cura sul pianale mi è franata addosso. Il sesto motociclista e i suoi compagni, fermatisi per constatare l’accaduto, con la scusa di soc-
Voti d’aria
corrermi e di ripulirmi hanno iniziato a mangiare la panna che mi decorava la schiena e, trovatala di loro gusto, avrebbero ben presto divorato tutto il rimanente della torta se non mi fossi fermamente opposto, minacciando di estrarre dal cassetto del furgone la pistola regolarmente denunciata. Io sottoscritto Favretto Giacomo, titolare della premiata pasticceria Trevalli di Omegna, famosa per la specialità dei Trevallini, conosciuti anche come «Baci di suocera» perché sono a base di assenzio, mi trovavo nella necessità di recapitare una torta nuziale quando mi sono ricordato che mi è stata sospesa la patente. Per fortuna transitava in quel momento nel negozio per acquistare i Trevallini un conoscente occasionale, tale Occhipinti Nando, il quale si è offerto di condurre il furgoncino a San Giorgio Scarampi. Con mille raccomandazioni gli ho affidato la torta che mi è costata due
giorni di lavoro. Dichiaro altresì che il suddetto Occhipinti mai è stato un dipendente della ditta e che la torta in oggetto è stata assicurata sul pianale del furgone neanche fosse stata una statua del Raffaello.
Io sottoscritta Faussone Angela dichiaro di aver ricevuto alle ore 12 circa di domenica 5 giugno la telefonata del signor Elmo Oreste che sollecitava la consegna della torta commissionata due mesi prima per festeggiare le nozze di detto Elmo con la signorina Depanis Carola. Dichiaro altresì di aver riferito il contenuto di detta telefonata al titolare signor Favretto il quale continuava a darsi pugni sul cranio e a strapparsi quei pochi capelli che gli rimangono, per praticare subito dopo quello che da quando mi trovo alle sue dipendenze è il suo sport preferito, dare la colpa agli altri delle sue manchevolezze. Avendo smarrito il foglio volante sul quale aveva annotato l’or-
Leonardo ibrido e Dante postdefinito
Le cattive sorprese non finiscono mai: pensate per un italiano sovranista la delusione nello scoprire che la madre di Leonardo da Vinci era una straniera, addirittura una schiava circassa venuta dal Caucaso. Il simbolo del Rinascimento italiano non è italiano a tutti gli effetti, ma di sangue misto. È stato lo studioso Carlo Vecce (6+ al fiuto di segugio) a trovare, nell’archivio di Stato di Firenze, l’atto di liberazione di Caterina, figlia di un certo Jacopo. Il documento fu firmato dal notaio del contado fiorentino Piero da Vinci e rogato il 2 novembre 1452, circa sei mesi dopo la nascita di Leonardo, su richiesta della proprietaria della schiava, una tale Ginevra d’Antonio Redditi, moglie di Donato di Filippo di Salvestro Nati, che con quel lungo nome a scatole cinesi era un avventuriero fiorentino. Caterina era stata rapita probabilmente dai tartari e rivenduta ai ve-
neziani, ma questa è solo un’ipotesi, com’è mera ipotesi che la donna fosse in origine una principessa. Insomma, un guaio. Vecce deve essere un pericoloso filologo di sinistra, che utilizza (e legge) i documenti in chiave politica. Per prudenza, dopo aver saputo che Leonardo non era proprio italiano italiano, il ministero degli Interni sta discutendo sulla possibilità di buttare in mare l’Ultima cena, il Salvator Mundi, la Vergine delle Rocce, l’Uomo Vitruviano, La Dama con l’ermellino e l’ermellino. Per fortuna, rimane assodato che Dante è il fondatore della destra italiana: non sappiamo ancora se della destra sociale o liberale o stragista, ma lo sapremo presto. Quest’anno il Dantedì sarà finalmente la giornata dell’orgoglio nazionale, se possibile nazionalista. E qui i 6 si sprecano: a Dante che ha scelto la parte giusta; alla Divina Commedia, manifesto della
A video spento
Il Maurizio Costanzo Show
Quando muore un personaggio della tv, uno di quelli che ti hanno tenuto compagnia per molti anni, è come se morisse un parente, tale è il cordoglio universale, tali sono le commemorazioni e i ricordi, anche di chi lo ricorda per ricordare sé stesso.
Il grande merito di Maurizio Costanzo è di aver introdotto in Italia un genere, il talk show, e di aver creato una grande alchimia di successo, mettendo assieme l’alto e il basso, il trash e la tv impegnata. Quando nel 1976 iniziò a condurre Bontà loro, probabilmente pensava di riprodurre in video quello che da anni faceva in radio con Dina Luce a Buon pomeriggio: intervistare le persone per trarre loro confessioni non scontate. E invece la tv era una ribalta diversa. Se ne accorse subito: «Fare televisione è un fatto liturgico, è come dire messa». Ecco, l’immagine del prete laico è quella che meglio si attaglia a un uomo che ha confessato
mezz’Italia e considerava il «privato» altrettanto importante della politica, dei temi sociali. Quando a Bontà loro chiudeva simbolicamente una finestra, sembrava voler dire «lasciamo il mondo fuori» e scaviamo dentro l’anima degli ospiti per conoscerne i loro piccoli segreti. Ma è con il Maurizio Costanzo Show che la sua tv diventa subito la rappresentazione di un immaginario collettivo, di una nuova forma della commedia all’italiana di cui il conduttore non era solo il burattinaio. No, era parte della recita, era personaggio lui stesso: lo zio buono («boni, state boni!») ma anche perfido alla bisogna, l’amico del cuore ma anche antipatico, sornione e cinico, mai piacione e però corteggiatissimo perché un’apparizione in quello show poteva valere una carriera.
Più che interviste, le sue erano sedute di autocoscienza collettiva, una rappresentazione che non disdegnava al-
di Bruno Gambarotta
dine, si era dimenticato di confezionare la torta in oggetto. Senza perderci d’animo, mentre ancora volavano nel laboratorio gli improperi che lanciava il signor Giacomo, ne abbiamo confezionata una smontando le varie torte in esposizione e rimontando i vari pezzi su una base di pan di Spagna. Ricoprendo infine il tutto con un abbondante strato di panna. Risultato: una delle più belle torte nuziali che siano mai uscite dal laboratorio.
Io sottoscritto Marchis Luigi di Olmo Gentile, mentre scendevo a velocità moderata, notavo il furgone rovesciato lungo la scarpata. Prontamente mi affrettavo a chiamare i miei compagni per portare aiuto all’autista e al suo carico. Dopo aver ripulito sommariamente il conducente abbiamo provveduto a riportare il furgone sulla strada ma quanto a farlo ripartire non c’è stato verso. Io sottoscritto Elmo Oreste di Or-
mea, novello sposo, quando già disperavo di vedere arrivare per tempo la torta nuziale e già ero oggetto di dileggio da parte di parenti e amici che quando succedono questi inconvenienti non gli par vero di inzupparci il pane, mi sono visto recapitare la torta divisa in sei parti da altrettanti giovani centauri. «Sei sempre stato un originale», è stato il commento di alcuni fra i presenti. Quelli fra loro che avevano all’orizzonte o meglio sul calendario prossime nozze, si sono voluti assicurare il servizio del sestetto di motociclisti. Uno di loro è risultato essere un apprezzato commercialista e già durante il pranzo, al quale i sei erano stati invitati, ha provveduto a redigere lo statuto della nuova cooperativa, nata per garantire la sollecita consegna delle sei sezioni della torta Centauro, ideale per ogni occasione e non solo per pranzi nuziali.
cultura di destra; al ministro dell’Istruzione e del Merito che contro l’egemonia della sinistra ha capito che Dante ha scelto la parte giusta; a tutti quelli che hanno capito che il ministro ha capito che Dante ha scelto la parte giusta. In questa nuova prospettiva, dopo approfonditi studi critici, il Ministero ci ha fatto sapere che Paolo Malatesta e Francesca da Rimini furono condannati all’Inferno in quanto comunisti. Comunisti furono anche Ulisse e il conte Ugolino, che infatti mangiava i bambini. Probabilmente anche Celestino V mangiava i bambini, ma nessun Vecce ha ancora trovato il documento che lo attesti. Beatrice è ovviamente di destra, come Sant’Anna, Apollo e la pelle di pollo, Cacciaguida, Carlo Magno e Carlo Martello, Marte, San Pietro, San Tommaso d’Aquino, Tarquinio Prisco, la Vergine Maria, mentre Virgilio è socialdemocratico come
Cimabue, il celebre pittore che faceva una cosa e ne sbagliava due (voto 2). Per avere conferma delle nuove direttive critiche ministeriali, ho fatto ricorso all’Intelligenza Artificiale di ChatGPT e ho inserito le parole «Cimabue socialdemocratico». La risposta (5+) è comparsa dopo un paio di secondi: «Non sono in grado di fornire una risposta precisa alla tua domanda, in quanto Cimabue è stato un pittore italiano del XIII secolo e quindi non ha avuto un’ideologia politica specifica, essendo vissuto in un’epoca in cui il concetto di socialdemocrazia non esisteva ancora». Allora mi è venuto un dubbio e ho digitato «Dante fondatore della destra», ottenendo in tre secondi una lunga risposta (5-) che cominciava così: «Questa affermazione non è corretta. Dante Alighieri, nato a Firenze nel 1265, è stato un poeta, scrittore e politico italiano. Tuttavia, Dante visse in
un’epoca in cui non esistevano ancora i concetti di destra e sinistra politica, che emersero solo in seguito…». E dunque mi sono chiesto se per caso ChatGPT non sia un’intelligenza artificiale socialdemocratica che, come Cimabue, fa una cosa e ne sbaglia due. E appena ho digitato «ChatGPT socialdemocratica» è comparsa la risposta: «Come intelligenza artificiale, non ho una posizione politica o ideologica». Allora ho incalzato: «ChatGPT bugiarda» e neanche ho smesso di scrivere che è comparsa una dichiarazione netta: «Come intelligenza artificiale, non ho capacità di mentire in quanto sono un programma informatico che elabora e restituisce informazioni sulla base di dati e algoritmi predefiniti». Allora mi è venuto un altro dubbio: che l’intelligenza ministeriale a volte funzioni con algoritmi postdefiniti (voto 1 postdefinito).
cun argomento, alcuna esibizione, alcuna mattana. Sotto l’abile regia di Costanzo sono andati in scena l’impegno civile (come nella staffetta, realizzata nel 1991 assieme a Samarcanda, in onore di Libero Grassi, l’imprenditore siciliano ribellatosi ai ricatti mafiosi e per questo assassinato), ma anche un cicaleccio futile ed evasivo, scandito dai contrappunti pianistici di Franco Bracardi, in frac variopinti. Il palcoscenico del Costanzo Show ha raccolto testimonianze importanti (come quella del giudice Di Maggio) e le confessioni eclatanti dei protagonisti dello spettacolo (memorabili gli interventi di Carmelo Bene), della politica, della vita quotidiana, regalando visibilità a giovani attori, a protagonisti dimenticati, a sgargianti starlet e confermandosi un’inesauribile fucina di debuttanti, a cominciare da Vittorio Sgarbi. Perché, con il tempo, un genere così centrale per la storia della tv è dege-
nerato? Il talk show – parola che si fa spettacolo, semplificazione delle idee – si sta mangiando la realtà. Secondo le sue logiche, come dicono gli psicoterapeuti televisivi, oggi tutto è «narrazione», «storytelling», significa che una parola vale l’altra e l’unica strategia è quella di spararne tante (di parole), in una escalation sempre più ridondante, in modo tale che l’ultima faccia dimenticare quelle precedenti.
Nei talk, la narrazione ha il solo scopo di «fare opinione», di conquistare l’assenso del pubblico: è il genere che diventa attore principale. Se è vero che i talk show sono stati la fucina di nuove forme di rappresentanza, se il mito della trasparenza è ormai carta inservibile, resta il fatto che la lingua dei talk (e della politica) avrebbe bisogno di regole condivise per il bene della democrazia, come ha spiegato Mark Thompson (ex direttore della Bbc e Ceo del «New York
Times») nel libro La fine del dibattito pubblico (Feltrinelli): le istituzioni e i media non dovrebbero mai prestare la loro autorevolezza alla partigianeria politica. E quando il linguaggio delle istituzioni degrada, il danno si sente ovunque.
Temo però che il sogno di talk civili e non rissaioli non si avveri mai. Per sua natura, il talk show è una contrapposizione e semplificazione delle idee, è un esplicito incitamento alla rissa. Come ha scritto Walter Siti, «il talk è uno spettacolo ibrido, che non consente ai singoli personaggi di controllare fino in fondo la propria parte. È un po’ reality, un po’ soap, un po’ luna-park (anzi, tirassegno), un po’ improvvisazione e un po’ commedia… Insomma, i contenuti specifici valgono meno dell’effetto generale». E, dopo Costanzo, l’effetto generale resterà sempre quello di un gruppo di persone che si scannano per aver ragione.
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Migros Ticino
31%
7.90 invece di 11.45
25%
Prosciutto crudo dei Grigioni surchoix affettato Svizzera, in conf. speciale, 153 g
IDEALE CON
3.15 invece di 4.30
Salametti a pasta fine prodotti in Ticino, per 100 g, in self-service
33%
Pasta Garofalo penne, farfalle o spaghetti, in conf. speciale, 750 g, per es. penne, 2.95 invece di 4.45
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Polpettone M-Classic prodotto da cuocere al forno, Svizzera, per 100 g, in self-service
e salumi
Carne
Offerte valide solo dal 21.3 al 27.3.2023, fino a esaurimento dello stock. Migros Ticino Filetto di maiale svizzero in crosta con impasto di carne Croccantezza in qualità bio 3.60 invece di 4.50 Wienerli bio Svizzera, 4 pezzi, 200 g, in self-service 20% 2.90 invece di 3.65 Medaglioni di petto di pollo Optigal al naturale, Svizzera, per 100 g, in self-service 20% 7.95 invece di 11.–Wienerli M-Classic Svizzera, 5 x 4 pezzi, 1 kg conf. da 5 27% Cosce di pollo Optigal speziate e al naturale, Svizzera, per es. speziate, 4 pezzi, al kg, 9.90 invece di 14.50 31% 36.50 Filetto di maiale in crosta Rapelli Svizzera, 800 g, in self-service 20x CUMULUS Novità 1.20 invece di 1.45 Galletto Svizzera, per 100 g, in self-service 15% 5.20 invece di 6.55 Costolette di vitello, IP-SUISSE per 100 g, in self-service 20% 7.50 invece di 11.–Luganighetta Svizzera, 2 x 250 g, in self-service in conf. da 2 31% 22.90 invece di 32.75 Fettine di tacchino «La belle escalope» Francia, 2 x 360 g conf. da 2 30%
Un pieno di proteine da latte e piante selezionate
LO SAPEVI?
Il Philadelphia vegetale ha una consistenza cremosa proprio come l'originale. Prodotto a base di mandorle e avena, è perfetto da spalmare, come salsa dip oppure per cucinare.
e latticini Migros Ticino Freschezza alla frutta Tutti gli yogurt e i drink Bifidus per es. drink alla fragola, 500 ml, 1.45 invece di 1.85 20% 5.95 invece di 7.–Panna intera UHT Valflora, IP-SUISSE 2 x 500 ml conf. da 2 15% 2.95 Bevanda proteica al cocco e lampone Emmi Energy 330 ml 20x CUMULUS Novità
Formaggi
3.85 Philadelphia vegetale vegano, 145 g 20x CUMULUS Novità 1.–invece di 1.10 Tutti gli iogurt Nostrani per es. alla castagna, 180 g –.10 di riduzione
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Asiago pressato, DOP per 100 g, confezionato
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Vacherin Fribourgeois piccante bio, AOP per 100 g, prodotto confezionato
Sapore e bontà dalla Valle della Loira
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1.80 invece di 2.15
Formaggini freschi Nostrani aha! per 100 g
30%
Fol Epi a fette
Classic o Légère, in conf. speciale, per es. Classic, 462 g, 7.80 invece di 11.20
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8.80 invece di 11.–
Sanissa au beurre 2 x 500 g
20%
Formaggio fuso a fette
Gruyère, Emmentaler e M-Classic Sandwich, in confezioni speciali, per es. Gruyère, 30 fette, 600 g, 7.– invece di 8.85
Offerte valide solo dal 21.3 al 27.3.2023, fino a esaurimento dello stock. Migros Ticino
Serviti
Scorta Al 100% da semi di girasole bio 9.–invece di 11.40 Tonno M-Classic, MSC in olio o in salamoia, 6 x 155 g conf. da 6 21% Tutte le bibite per aperitivo della marca Apéritiv per es. acqua tonica, 6 x 500 ml, 5.25 invece di 7.50 conf. da 6 30% 8.40 Olio d'oliva per cucinare Alnatura bio, 750 ml 20x CUMULUS Novità Pasta o gnocchi freschi Anna's Best fiori asparagi e ricotta, gnocchi caprese o spätzli all'uovo, in confezioni multiple, per es. fiori, 3 x 250 g, 11.75 invece di 14.85 conf. da 3 20% Salse liquide Thomy disponibili in diverse varietà, per es. Hollandaise, 2 x 250 ml, 5.90 invece di 7.90 conf. da 2 25% 7.95 invece di 15.50 Succo multivitaminico M-Classic, Fairtrade 10 x 1 l conf. da 10 43% Pizze M-Classic prodotto surgelato, Toscana o Margherita, per es. Toscana, 3 pezzi, 1080 g, 8.10 invece di 10.80 conf. da 3 25% Tutto l'assortimento Evian per es. 6 x 1,5 l, 4.40 invece di 6.60 conf. da 6 33% 7.90 Olio per cuocere Alnatura bio, 750 ml 20x CUMULUS Novità
a 360 gradi
Produzione bio svizzera
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Tutti i cereali
Tutte le farine (prodotti Alnatura e Demeter esclusi), per es. farina bianca M-Classic, IP-SUISSE, 1 kg, 1.70 invece di 2.10
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e i semi per la colazione bio (prodotti Alnatura e sfusi esclusi), per es. fiocchi d'avena svizzeri, fini, 400 g, 1.40 invece di 1.75 a partire da 2 pezzi 20% 99.–invece di 169.–Macchina per caffè CoffeeB Globe sistema a capsule senza capsule, efficienza energetica, breve riscaldamento, pressione della pompa: 19 bar, disponibili in nero e bianco, il pezzo 70.–di riduzione 7.95 invece di 9.90 Pain Sarment Bake me!, IP-SUISSE chiaro o rustico, per es. chiaro, 3 x 2 pezzi, 900 g conf. da 3 19%
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Torta Foresta Nera e torta al kirsch, 2 pezzi per es. Torta Foresta Nera e torta al kirsch, 2 pezzi, 244 g, 4.70 invece di 5.90
Un delizioso preannuncio della Pasqua
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Tutte le mezze uova con praliné Frey per es. du Confiseur, 227 g, 10.– invece di 12.50 20% Tavolette di cioccolato Frey Tourist al latte o Noir Special 72%, 10 x 100 g, per es. Tourist al latte, 12.– invece di 20.–conf. da 10 40% Tutte le palline e i praliné Lindt Lindor disponibili in diverse varietà, per es. palline al latte Lindor, 200 g, 8.– invece di 9.95 a partire da 2 pezzi 20% Tutto l’assortimento Blévita per es. al sesamo, 295 g, 2.95 invece di 3.55 a partire da 2 pezzi –.60 di riduzione Tutti gli ovetti di cioccolato Freylini Frey per es. classics, in busta, 200 g, 3.90 invece di 4.90 20% PIÙ RISPARMIO
Orsetti gommosi M-Budget 500 g
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CONSIGLIO SUI PRODOTTI
L'incontinenza è purtroppo ancora un tema tabù, sebbene ne soffrano più di 500'000 persone solo in Svizzera. Gli assorbenti igienici Secure offrono una protezione efficace in ogni fase della vita. Sono comodi, discreti, assorbenti e antiodore.
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Assorbenti o salvaslip Molfina per es. salvaslip Bodyform Air, FSC®, 2 x 46 pezzi, 3.10 invece di 3.70
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Tutto l'assortimento Secure (confezioni multiple e sacchetti igienici esclusi), per es. Secure Ultra Normal, FSC, 20 pezzi, 4.80 invece di 6.–
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Varie
Per rassettare e pattinare
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Carta per uso domestico Plenty, FSC® in confezioni speciali, per es. Original, 16 rotoli
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Tutto l'assortimento Handymatic Supreme (sale rigeneratore escluso), per es. All in 1 in polvere, 1 kg, 5.– invece di 9.95
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Tutti i detersivi per capi delicati Yvette (confezioni multiple e speciali escluse), per es. Care in conf. di ricarica, 2 l, 9.60 invece di 11.95
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L'ideale per colorare le uova
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Padelle a bordo basso Titan Ø 20 cm e 28 cm, il set
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Tutti i guanti per uso domestico Miobrill (esclusi gli articoli M-Budget), per es. Extra Long, tg. M, FSC®, il paio, 1.60 invece di 1.95
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Manella per es. Ultra Sensitive aha!, 3 x 500 ml
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Tutti i pannolini Rascal + Friends (confezioni multiple escluse), per es. Newborn 1, 23 pezzi, 5.35 invece di 7.95
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Pattini in linea per bambini Microblade Free o Free Girl Rollerblade disponibili in diverse misure, misura regolabile, il paio
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Alimenti per gatti Exelcat in confezioni multiple, per es. mini pollame, 30 x 50 g, 10.95 invece di 13.80
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Primule disponibili in diversi colori, in vaso, Ø 9 cm, il set
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Piante verdi disponibili in diverse varietà, vaso, Ø 17 cm
Fiori e giardino Offerte valide solo dal 21.3 al 27.3.2023, fino a esaurimento dello stock.
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