Azione 17 del 25 aprile 2022

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Anno LXXXV 25 aprile 2022

Cooperativa Migros Ticino

G.A.A.  Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura

edizione

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MONDO MIGROS

Pagine 2 – 3 / 6 – 7 ●

SOCIETÀ

TEMPO LIBERO

ATTUALITÀ

CULTURA

La medicina si deve fare carico del dolore nella sua soggettività, anche nel paziente oncologico

Scopriamo chi è l’umarell e perché coltiva un passatempo davvero speciale

Il punto sulla guerra in Ucraina e le prospettive decisamente poco rassicuranti per l’economia russa

Intervista a Francesco Piemontesi che giovedì con l’OSI suonerà il Concerto n. 1 in re minore di Brahms

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Pagina 35 Elio Schenini Pagina 33

Courtesy of Louisiana Museum of Modern Art (©Yoko Ono)

L’albero dei desideri

Sri Lanka, la perla perduta Peter Schiesser

«Una cosa mai vista: tamil e singalesi che protestano insieme contro il governo», mi dice l’amico Navarajah, tamil fuggito dallo Sri Lanka quasi quarant’anni fa allo scoppio della guerra etnico-civile, alla vigilia della sua partenza per l’isola natia. Per un paese che non ha mai superato la divisione e la discriminazione etnica, è davvero un fatto eccezionale. Significa che il governo retto dalla famiglia Rajahpaksa è talmente inviso da riuscire ad unire (contro di sé) un paese ancora ferito da un lungo conflitto, risoltosi con massacri della popolazione civile, l’uccisione del leader delle Tigri tamil per la liberazione dell’Eelam, Velupillai Prabhakaran, nel maggio del  e la sconfitta del suo esercito. Ovvio: quando mancano pane, frutta, verdura, benzina, gas, elettricità, medicinali e tutto il resto costa più di quanto la popolazione riesce a permettersi, la rivolta diventa generale. E allora i casi sono due: o il governo cade, oppure – se è di natura autoritaria come nel caso dello Sri Lanka – tenta di mantenere il potere anche con la forza, impiegando polizia e esercito. Inizialmente,

il primo aprile, il governo dei Rajahpaksa (oltre a quattro fratelli che occupavano presidenza dello Stato, presidenza del governo, due ministeri, c’era un nipote pure lui ministro) aveva scelto la linea dura. Ma di fronte ad una popolazione che non si è lasciata intimorire e ha continuato a protestare, ha mostrato un volto all’apparenza più conciliante. Il governo si è sfilacciato, molti ministri si sono dimessi, la maggioranza filo-governativa in parlamento si è dissolta, ma il presidente Gotabaya ha comunque formato un nuovo governo di minoranza, con suo fratello Mahinda ancora come capo (ma ormai in rotta di collisione con Gotabaya, tanto da appoggiare una riforma che restituisca al parlamento i poteri del presidente), nel disperato tentativo di mantenere il potere. Si rischia dunque una nuova guerra civile? La storia del paese, con il sanguinoso conflitto decennale fra tamil e singalesi, ma anche con due sollevazioni popolari ad opera dei nazionalisti singalesi di sinistra dello JVP nel  e nel  (con decine di migliaia di morti) lo faceva temere. Soprattutto dopo che la settimana scor-

sa la polizia ha aperto il fuoco sui manifestanti a Rambukkana facendo la prima vittima delle proteste. Ma il fatto che i responsabili locali della polizia siano stati trasferiti e indagati, ha fatto capire che il presidente non vuole rischiare una nuova sollevazione popolare. Anche perché persino il potente clero buddista si è schierato dalla parte dei manifestanti. Lo Sri Lanka non sarà un nuovo Myanmar. E questa è una buona notizia. La cattiva notizia è che, comunque vadano le vicende politiche, la crisi economica attuale, la peggiore dall’indipendenza nel , non può essere risolta in modo indolore, né rapido. Perché se il governo Rajahpaksa l’ha peggiorata, dopo che la pandemia e ora la guerra in Ucraina l’hanno aggravata, le cause della crisi risalgono a decenni fa. Lo Sri Lanka si era aperto al sistema capitalistico nel , con l’intenzione di riformare un’economia che non teneva più il passo coi tempi (da paese più prospero dei vicini fino agli anni Settanta, si stava impoverendo). Vennero istituite delle zone industriali esentasse per creare un nuovo sistema produttivo che liberasse

il paese dalla dipendenza dalla produzione agricola (il tè in testa). Complici corruzione, inettitudine, clientelismo, il paese fallì nell’intento, e sempre più le importazioni superarono le esportazioni. Durante il primo periodo al potere dei Rajahpaksa (-) il paese si avvicinò alla Cina, che offrì crediti per opere infrastrutturali miliardarie, poco utili al paese ma molto ai cinesi, ciò che peggiorò le finanze dello Stato. Tornati al potere nel -, i Rajahpaksa hanno come prima cosa ridotto le tasse, rendendo ancora più difficile la situazione finanziaria. Nel mentre, tre anni fa c’erano stati gli attentati di Pasqua e il turismo era crollato (terza sorgente di valuta estera), quindi è arrivata la pandemia che oltre a bloccare le attività produttive del paese ha provocato un crollo delle rimesse dei lavoratori espatriati (due milioni di persone, negli ultimi  anni, la seconda fonte di valuta estera). Ora il paese è in default. E se anche i Rajahpaksa cedessero il potere, nessuno sa come uscire dalla crisi. Ma se non lo cedono presto, la possono ancora aggravare.


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azione – Cooperativa Migros Ticino

MONDO MIGROS

Il divieto di alcoolici alla Migros: un puro caso?

Storia di un principio ◆ Il fatto che la Migros non venda bevande alcoliche nelle sue filiali ha molto a che vedere con la prima fabbrica del fondatore Gottlieb Duttweiler. E con il suo talento per il marketing, molto all’avanguardia per l’epoca

Karl Lüönd*

Non c’è un altro svizzero che nel XX secolo abbia innovato più di Gottlieb Duttweiler. Non solo ha rivoluzionato il commercio al dettaglio, ma ha anche introdotto un legame diretto tra attività commerciale e impegno socio-politico. E ha inserito stabilmente gli interessi dei consumatori nell’agenda della politica. Nel  saranno trascorsi cent’anni dalla fondazione di Migros. Nell’ambito della movimentata e piuttosto ben studiata storia del gruppo di cooperative, continuano ad essere attribuiti al fondatore principi dogmatici che meritano di essere verificati attentamente. Uno di questi riguarda la questione della «Migros sobria». Nell’ambito della sua audace analisi di mercato su bevande analcoliche come il mosto di mele e il succo d’uva, Duttweiler utilizzò vari principi del marketing moderno, ben prima che nel dopoguerra venissero importati in Europa dagli Stati Uniti. Ma per capire di cosa si tratta bisogna prima saperne un po’ di più sulla Migros: Gottlieb Duttweiler aveva  anni quando il  agosto , giorno di paga, fece partire da Zurigo i suoi cinque leggendari camion-negozi Ford. Con prezzi del -% inferiori a quelli della concorrenza, i margini di profitto erano piccoli, ma la cifra d’affari era grande. Lui, imperterrito, continuava a ripetere: «Devo guadagnare franchi, non percentuali!».

L’ultima chance di «Dutti» Il radicalismo con cui Duttweiler metteva in pratica le proprie idee è tanto più ammirevole se si pensa che

per lui la Migros rappresentava l’ultima possibilità. Come grossista era andato in fallimento, e aveva fatto fiasco anche come piantatore di caffè in Brasile. Dove poi abbia trovato i soldi per finanziare la «start-up» Migros, tutt’oggi non è ancora chiaro. Secondo la versione ufficiale, il capitale proveniva dalla «dote» della moglie Adele e da prestiti di amici. Comunque sia, Duttweiler si era messo in affari con soldi non suoi, era piuttosto sotto pressione e non poteva permettersi di regalare niente. E in quel momento non c’era neppure spazio per slanci idealistici. La sua unica possibilità era di accreditarsi con determinati servizi presso i suoi alleati più importanti: le parsimoniose massaie svizzere. Aveva bisogno di qualcosa che gli altri non avevano. Ossia, di quello che nell’odierno linguaggio del marketing si chiama «proposta di vendita esclusiva». La combinazione di assortimento ristretto e controllo rigoroso dei costi funzionò. Al termine dell’anno di fondazione, c’erano già nove camion-negozi itineranti e  fermate Migros. Nel frattempo, l’avveduto commerciante aveva ampliato l’offerta con olio d’oliva, cacao, uova, sardine, formaggio e burro.

Un’estate senza dissetanti Nei primi tempi, la Migros era osteggiata con forza da autorità e fornitori. «Dutti» avrebbe dovuto vendere anche il vino? Gli fu offerto un prodotto a buon mercato per otto centesimi al litro. Ovviamente sapeva che così i suoi concorrenti più agguerriti, le cooperative di consumo, riusciva-

Gottlieb Duttweiler non disdegnava un bicchierino, ma non ha mai venduto alcolici.

no a ottenere cifre di vendita maggiori. Ma non vedeva il senso di farlo e, soprattutto, di innescare una guerra commerciale in un campo così deli-

cato dal punto di vista socio-politico. Dal momento che nemmeno il cartello dei produttori di birra lo riforniva, la Migros trascorse un’esta-

te senza bevande. Nonostante ciò, nel  il fatturato raddoppiò di nuovo. Quel che Duttweiler guadagnava lo reinvestiva in negozi dall’allestimento spartano, dato che le autorità vessavano senza tregua i suoi camion di vendita, potenti mezzi pubblicitari, applicando loro balzelli elevati. All’epoca, non esisteva da nessuna parte uno smercio sistematico di sidro di mele e succo d’uva. Dopo lunghe conversazioni con Duttweiler, il suo biografo Curt Riess scrive: «Aveva provato di persona il mosto di mele e l’aveva trovato eccellente. Ovviamente doveva convincere il pubblico che il sidro analcolico fosse un buon sostituto del vino. A quel tempo, infatti, era bevuto solo da anziane signore o da pallidi e zelanti giovanotti». Eccolo, quel che mancava sul mercato! All’idea si unì il caso, quando la banca Kreditanstalt gli propose di acquistare a ’ franchi un credito di ’ di una fabbrica di sidro di mele sull’orlo del fallimento. Fallimento perseguito da un gruppo di azionisti dell’azienda, pilotati dal cartello dei produttori di birra. Migros acquistò il credito e dopo un procedimento successorio ottenne la maggioranza della «Alkoholfreie Weine AG Meilen». Duttweiler aveva capito subito che chi lo aveva preceduto alla guida della ditta – morigerati insegnanti e pastori protestanti – voleva contrastare lo strisciante alcolismo di quei tempi duri. D’altronde, non era forse vero che in tutto il Paese il venerdì le donne, molte con i bambini aggrappati alle gonne, aspettavano i loro uomini all’uscita dalle fabbriche per farsi consegnare i salari prima che se li bevessero all’osteria?

«Auspichiamo un risultato univoco»

Votazione fra i soci ◆ La Fondazione Duttweiler si considera la coscienza morale della Migros. In questa intervista il presidente della fondazione, David Bosshart, spiega la posizione sulla vendita di alcolici Kian Ramezani

Costituendo una fondazione, Gottlieb e Adele Duttweiler volevano assicurarsi che anche in futuro la Migros continuasse a vivere nello spirito dei fondatori. Un mandato cui la Fondazione Gottlieb e Adele Duttweiler tiene fede ancora oggi. Attualmente è impegnata sulla questione se la vendita di alcolici si concilia con gli ideali Migros. Per l’imminente votazione generale, la fondazione ha deciso di lasciare libertà di voto. David Bosshart, dal  presidente del Consiglio di fondazione, spiega il motivo. Signor Bosshart, presto saranno  anni che il divieto di vendere alcool fa parte della Migros e per molti è un valore importante. Anche Lei la pensa così? Per via democratica, alla Migros si può cambiare tutto. E la fondazione se ne rallegra. Ma non si può introdurre birra e vino come se fosse un nuovo tipo di formaggio. Il divieto di vendere alcolici è un valore fondamentale dell’identità Migros, che si è consolidato nel corso dei decenni… …e che ora potrebbe essere abrogato con il voto.

Prima di eliminare questo valore fondamentale, la Migros dovrebbe spiegare con cosa lo sostituisce. Ad esempio, dire che con il percento culturale fa già tanto per la società è una cosa buona e giusta, ma è anche un po’ comoda. Sicuramente la Migros ha ancora altri valori importanti, oltre al divieto di alcolici. Appunto, qui non ne va tanto dell’alcol, ma di sapere come vogliamo procedere con l’insieme dei nostri valori e restare credibili. Se a giugno alcune cooperative diranno sì alla vendita di alcolici, mentre altre la bocceranno, avremo uno scenario a macchie di leopardo, che danneggerà sia l’aspetto commerciale e idealista della comunità Migros, sia la solidarietà e la semplicità dell’offerta. È tutto ciò fa parte dei valori fondanti della Migros… … esattamente come l’autonomia delle cooperative. I valori possono anche contraddirsi a vicenda. Per Duttweiler la democrazia non era fine a se stessa, ma doveva sempre servire a rafforzare l’insieme del-

David Bosshart (63 anni) è presidente della Fondazione Gottlieb e Adele Duttweiler. Dal 1999 al 2020 ha diretto l’Istituto Gottlieb Duttweiler (GDI) di studi economici e sociali con sede a Rüschlikon (ZH). Di formazione impiegato di commercio, ha un dottorato in Filosofia, è autore di numerose pubblicazioni, nonché un richiesto relatore. Ha una figlia adulta e vive con la moglie a Rüschlikon. (Nik Hunger)

la comunità Migros. La nostra fondazione avrebbe auspicato che fosse messa al voto una domanda supplementare, ad esempio: nel caso che una maggioranza di sei cooperative fosse favorevole agli alcolici, anche le altre quattro dovrebbero allinearsi? Ovviamente, la stessa cosa varrebbe nel caso di una maggioranza di no. Il Consiglio di fondazione ha lasciato libertà di voto. Perché? Perché nella situazione attuale è la soluzione migliore. Gli organi della cooperativa hanno propeso chiaramente per il principio della «democrazia prima di tutto». Lo rispettiamo, ma speriamo che il risultato sia univoco. Ma cosa direbbe Duttweiler? Le speculazioni sono gratuite. Sulla base dei suoi scritti si può presumere che avrebbe continuato a subordinare tutto alla questione di ciò che rafforza la comunità e gli ideali della Migros a lungo termine. Duttweiler era un imprenditore straordinario, ma anche un grande idealista con un’immagine dell’umanità chiara e ottimista. Ha creato strutture uni-


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MONDO MIGROS

Il valore delle associazioni

Strategia di vendita per il bene comune Duttweiler, cui piaceva bere vino e fumare sigari, rilanciò prontamente l’ideale dei suoi predecessori che, pur fallendo, si erano battuti per il benessere del popolo. Promise quindi di «portare un contributo alla soluzione della questione dell’alcolismo e alla valorizzazione del sidro di mele». Così, come gradito effetto collaterale, si guadagnò la benevolenza delle élite del mondo politico e sociale, delle associazioni femminili e delle chiese. Era un altro principio base del marketing: fare del bene e parlarne! In definitiva, come si può dedurre dalle fonti, all’epoca la preoccupazione principale di Duttweiler era di comunicare ai suoi clienti: «guardate cosa faccio per voi!». Sul suo registro dei conti il calcolo era riportato chiaramente: «I negozi pagano un litro di sidro di mele  centesimi e lo rivendono a  (…) Quest’anno il contadino non ha ricevuto più di  ct. per il mosto prodotto con tanta fatica». L’ampia differenza era dovuta alla fabbrica gestita in modo non razionalizzato e al relativo margine di guadagno.

Sidro sotto il prezzo di costo Puntualmente all’inizio della stagione calda del , la Migros entrava sul mercato delle bevande con un prezzo promozionale imbattibile: tre confezioni da sette decilitri di sidro di mele, «naturale o frizzante», a un franco. E un litro di vino non fermentato (succo d’uva) a  centesimi. Ritorna qui un altro principio del marketing: la cosiddetta strategia «loss-leader», ovvero la vendita sottocosto con l’obiettivo di attirare clienti. Anche in seguito, a regime normale, il sidro di Meilen fu sempre nettamente meno caro della birra. Il calcolo di Duttweiler funzionò. Grazie alla Migros il sidro analcolico divenne popolare in tutta la Svizzeche, in cui gli obiettivi commerciali e non commerciali hanno lo stesso valore. Riteneva l’egoismo il peggiore dei mali, perché le grandi sfide si possono vincere solo tutti assieme. Nei momenti decisivi c’è sempre un’unica Migros. Nei mesi scorsi, è stato avvicinato da qualcuno per parlare di questa votazione generale? Sì. Le opinioni divergono molto. Di recente, alla Scuola alberghiera di Losanna perfino uno studente asiatico mi ha chiesto perché la Migros ora vuole vendere alcolici. Nel complesso, mi sembra che quanto più qualcuno conosce meglio e da più tempo la Migros e la sua storia, tanto più è scettico nei confronti dell’introduzione degli alcolici, sebbene non sia contrario di principio. Quasi tutti sembrano avere comprensione per la crescente richiesta di comodità nel fare la spesa. La comunità Migros è legata indissolubilmente alle sue strutture democratiche. Votazioni importanti come quella attuale, danno effettivamente una buona panoramica dello stato dell’azienda. L’impianto d’insieme è indiscutibilmente buono, l’energia e l’identificazione con la Migros c’è, anche e soprattutto tra la base. In futuro, potremmo osare di più in materia di democrazia, come auspicava Duttweiler. Ma per questo dovremmo fare un grande lavoro di persuasione. L’orientamento a lungo termine della cooperativa è bello, ma

Migros-Impegno ◆ Sono cinque le associazioni attive sul territorio ticinese che hanno ricevuto un sostegno grazie a Migros-Impegno

Pubblicità per il succo d’uva sul periodico «Migros – die Brücke» del maggio 1928.

ra. Nel giro di cinque anni, le vendite crebbero di quasi cinquanta volte e il numero di aziende produttrici di succo di mele raddoppiò. Meilen fu in assoluto la prima industria propria della giovane, e non ancora consolidata, «abbattitrice di prezzi» Migros: l’inizio di una strategia che nel tempo ha reso autonoma la cooperativa. Nel  a Meilen iniziò la produzione di yogurt e accadde esattamente la stessa cosa del sidro: alla fine ne approfittarono anche i dettaglianti avversari di Migros. Con più asprezza la concorrenza la contrastava con i boicottaggi, tanto più la Migros rispondeva aggressivamente con i propri marchi. Oggi Migros-Industria raggruppa venti aziende in Svizzera e all’estero, che assicurano l’arrivo sugli scaffali di migliaia di prodotti Migros, dai cornetti ai detersivi. E chissà che presto non si vedranno anche le bevande alcoliche. Nota Karl Lüönd è uno dei più noti pubblicisti svizzeri. Il navigato giornalista (76 anni) ha pubblicato innumerevoli biografie e storie aziendali, anche sul fondatore di Migros Gottlieb Duttweiler. Nel 2007 gli è stato conferito il premio dei giornalisti zurighesi per l’insieme della sua opera.

dovremmo porci sempre anche degli obiettivi ambiziosi e vincolanti. La Fondazione Duttweiler vigila sull’osservanza dei valori del fondatore. Lei è presidente del Consiglio di fondazione dal , si considera una specie di guardiano del Santo Graal? È nella nostra natura essere più severi e non arrendersi a ogni cambiamento dello spirito dei tempi. Ma non siamo dei fondamentalisti e ci battiamo con gli argomenti. La fondazione non è moralista, ma ha un compito morale. Prende posizione su questioni importanti ed è costantemente presente nei vari organi della Migros. È un compito bello e pieno di responsabilità, che richiede molta passione, nervi saldi e anche coraggio. E La ascoltano? Veniamo ascoltati, non c’è bisogno di messaggi urlati ma chiari (sorride).

Votate! Volete partecipare alla votazione sul divieto di alcolici, ma non siete ancora soci della cooperativa Migros? Annunciatevi su www.migros.ch/it/ cooperative/diventare-soci-migros/ svizzera entro il 10 maggio. Tutte le informazioni sullo svolgimento e gli argomenti pro e contro su www.migros.ch/votazione Retroscena, interviste e notizie su www.migmag.ch/alcool

Un occhio di riguardo per la socialità la Migros ce l’ha sempre avuto, com’era nelle corde e nelle intenzioni del suo fondatore Gottlieb Duttweiler. È per questo che Migros-Impegno ha sviluppato il programma di promozione «Ici. insieme qui». con l’intento di rafforzare la coesione sociale in Svizzera per raggiungere una convivenza solidale e paritaria nel segno della diversità. Questo programma promuove iniziative della società civile che si fondano sul rispetto e sull’eguaglianza. Le candidature e i progetti sono stati valutati da una giuria di cui fa parte anche Laura Bertini, responsabile del Centro documentazione e ricerca sulle migrazioni della SUPSI. Fra i  progetti inoltrati ne sono stati scelti , e di questi,  sono ticinesi. È stata sostenuta l’Associazione Dare-Diritto a restare (’ CHF) di Bellinzona, che si occupa di raccogliere e smistare vestiti, scarpe, coperte, sacchi a pelo e articoli per l’igiene personale agli ospiti dei centri di accoglienza per profughi a Milano, Como e varie località del Ticino facendo capo a decine di volontari. Sempre a Bellinzona, riceverà un sostegno ( CHF) l’As-

sociazione Eccoci, presente dal  nell’offerta di attività e corsi di italiano per stranieri al fine di facilitarne l’integrazione. Le famiglie sono al centro delle attività proposte dall’Associazione La Chiocciola delle Terre di Pedemonte ( CHF): attraverso corsi pre-parto, il preasilo, fino alle letture di fiabe nel bosco, l’attenzione è rivolta all’implementazione e al consolidamento dei rapporti inter e intrafamigliari. Anche il Progetto Amahoro della Cooperativa Baobab di Bellinzona ha ricevuto un sostegno (’ CHF) per l’impegno mostrato nell’organizzazione di momenti aggregativi in una biblioteca... plurilingue. Un’offerta rivolta a giovani utenti dai  ai  anni, con in comu-

ne il desiderio di aprirsi al prossimo e, soprattutto, di entrare in contatto con lingue nuove, favorendo così di fatto l’integrazione. Da ultima, ma non per importanza, è stata sostenuta l’Associazione luganese Amélie (’ CHF), che in soli due anni di attività, e nascendo dalla realtà del quartiere di Pregassona, è già riuscita a diventare un modello di creatività, integrazione e fantasia, sia a livello locale sia all’estero (v. «Azione»  marzo ). Amélie, fra le sue numerose attività, propone uno sportello di aiuto, un caffè, degli orti, e numerosi progetti estemporanei.

Giovani donne Generando

Un incontro a 360° rivolto alle ragazze

Quali sono i temi cari alle giovani donne di oggi? Cosa le muove e sta loro a cuore? Sempre di più le vediamo attive negli ambiti più disparati, dal clima alla cura, dai diritti al femminismo, passando per inclusione, sessualità e razzismo. Nell’ambito della rassegna Generando, mercoledì  aprile, la Commissione federale per le questioni femminili (QFQF) racconterà l’universo delle giovani donne svizzere, offrendo un’analisi sociologica accompagnata da una serie di testimonianze. Alle ., nell’aula magna del Liceo Lugano  (Via S. Gottardo, Savosa) avrà luogo l’incontro «Giovani donne* in Svizzera oggi – chi sono e cosa vogliono». Per l’occasione la CF-

QF presenterà l’ultimo numero della rivista «Questioni femminili», questa volta dedicato alle giovani donne. Saranno presenti alla serata la giornalista Martina Minoletti, Zita Albergati del collettivo «Io l’ ogni giorno», la consigliera comunale di Bellinzona Lisa Boscolo, per il CFQF interverranno Véronique Arlettaz Roncoroni e Yvonne Schärli, che è anche la presidente. Seguirà un piccolo rinfresco. Informazioni www.generando.ch; www.comfem.ch

Di confini e donne AvaEva

Un incontro alla Filanda con Erika Zippilli Ceppi

Nell’ambito del ciclo di incontri alla scoperta di scrittrici legate al Ticino, il Movimento AvaEva – associazione sostenuta dal Percento culturale Migros, nata in Svizzera nel  su iniziativa di Norma Bargetzi, che promuove reti di contatto per le donne della generazione delle nonne, dando una voce ai temi che le concernono per un consolidamento e rafforzamento della «generazione delle nonne» nella società – invita a un appuntamento con l’autrice Erika Zippilli Ceppi martedì  maggio alla Filanda di Mendrisio (dalle . alle .). Erika Zippilli-Ceppi è nata ad Arzo nel  in una famiglia di scal-

pellini migranti e tra la varietà dei dialetti parlati dalle donne di casa. L’incontro con l’autrice del Mendrisiotto, che nel  con la piccola raccolta di racconti impegnati Regine di confine si aggiudicò il Premio Schiller per la regione italofona, sarà l’occasione per parlare del ruolo delle donne nella nostra società e nel mondo e dell’importanza della regionalità, spesso considerata, a torto, un fenomeno marginale. Poiché i posti sono limitati, è auspicata la prenotazione (mail a info@ avaeva.ch o tel.    ).


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Lungo la «ramina» Il Museo etnografico della Valle di Muggio ospita la mostra Pezzi di frontiera

Una chiesa da riscoprire La storia della chiesa di San Carlo Borromeo a Barbengo, oggetto di importanti lavori di restauro

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La natura certificata Oltre a rilasciare un attestato, Natura & Economia sostiene la pianificazione di vari areali

Viso e personalità Il naturopata Roberto Benvenuti spiega i principi della morfopsicologia

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Nuovi bisogni e qualità di vita Medicina

Nelle cure dei pazienti oncologici, la presa a carico del dolore merita particolare attenzione

Maria Grazia Buletti

Ancora oggi la diagnosi di tumore viene vissuta come una condanna a morte. «Spesso ha un impatto catastrofico sulla qualità di vita, a prescindere dalle buone prospettive terapeutiche, e gran parte di questa reazione deriva da un vissuto interiore emotivo caratterizzato per lo più da luoghi comuni oramai ancestrali, in cui la parola cancro equivale a morte». A parlare è il dottor Andrea Saporito, primario di anestesiologia all’Ospedale Regionale di Bellinzona e Valli, che alla percezione del dolore vede pure correlato gran parte di questo atteggiamento comune a molti. Tutto potenziato «da un’eventuale esperienza di intervento chirurgico che è sempre spersonalizzante in quanto, nel frangente, l’individuo smette le vesti di persona e diventa una malattia, un organismo da curare».

Il dolore è un’esperienza fisica, morale, sociale, culturale intrinseca alla natura umana, mai eliminabile totalmente, ma ciò non significa che ci si debba rassegnare Eppure, lo scenario dell’oncologia è in rapida evoluzione. «I tumori sono una malattia soprattutto dell’età avanzata e il numero di nuovi casi cresce in relazione al progressivo invecchiamento della popolazione», afferma il dottor Stefano Cafarotti, primario di chirurgia toracica e responsabile dei Centri Oncologici Specialistici (COS) EOC, ponendo l’accento su evoluzione oncologica e presa a carico del paziente: «Negli ultimi anni, tecniche diagnostiche, chirurgiche e radioterapiche hanno registrato importanti progressi». Così come le terapie mediche hanno contribuito ad aumentare la speranza di guarire e ridurre le recidive, «aumentando i tempi di sopravvivenza dei pazienti con malattia avanzata e favorendo in molti casi una stabilizzazione e una cronicizzazione del tumore anche della durata di anni». Gestione individualizzata dei pazienti e complessità delle cure sono realtà: «Lo stato dell’arte nei trattamenti dei tumori solidi più diffusi fa sì che queste malattie oggi si curino sempre meglio, perciò si guarisce sempre più spesso. Possiamo dunque bilanciare l’aumento di incidenza dei tumori con l’evoluzione delle cure oncologiche, oggi integrate e interdisciplinari». Siamo nel contesto dei Centri Oncologici Specialistici EOC (i cui medici incontreranno la popolazione in un Oncoforum, giovedì  maggio dalle , Aula Polivalente USI, Campus Lugano EST, previa iscrizione su sito eoc): «Sono centri di competenza organo-specifici che si

occupano in modo coordinato, integrato e interdisciplinare di prevenzione, diagnosi, cura e follow-up dei pazienti». Ciò comporta il beneficio di una diagnosi precoce e l’avvio immediato del percorso diagnostico e cura che, così strutturato, fa sì che il tempo massimo standard entro il quale comunicare la diagnosi è all’incirca di una settimana; mentre tra diagnosi e inizio della cura non si oltrepassano le quattro settimane». Il dottor Saporito ricorda pure che questa uniformità fra la sensazione dei pazienti e quanto percepito dalle diverse figure professionali coinvolte è determinante per riuscire a garantire loro la migliore qualità di vita possibile: «Non si cura l’organo, bensì il paziente nella sua completezza mente-corpo». I nuovi bisogni del paziente oncologico tornano al centro, così come l’assoluta attenzione alla sua qualità di vita: «È necessario coinvolgere attivamente il paziente, indagando la sua nuova vita costituita da piccoli o grandi disturbi che possono comprometterne la quotidianità, ma che sono ancora troppo spesso sottovalutati dai clinici». Se ne deduce un ritorno all’approccio olistico del paziente, attraverso un ventaglio di figure curanti, secondo l’esigenza di ciascuno, spiega Cafarotti: «L’infermiere di riferimento accompagna il paziente in tutti i suoi passaggi e può segnalare le sue necessità perché impara a conoscerlo bene; lo psico-oncologo e altre figure completano la presa a carico individuale». In questo quadro accorto e accudente del paziente oncologico, un aspetto saliente è dato dalla presa a carico del dolore, spiega Saporito: «Il mio compito come responsabile anestesista in un centro che fa chirurgia oncologica è cercare di rendere quanto più possibile umana un’esperienza altrimenti alienante, che è quella di passare attraverso un percorso diagnostico in cui l’intervento è la cosa di impatto emotivo più pesante». Ciò restituisce umanità alla persona stessa e si fa in diversi modi, tra cui la seria considerazione del dolore e il relativo trattamento, partendo dal presupposto che chi sta provando dolore forse non si chiede cosa esso sia perché lo sa fin troppo bene. Si chiede invece come esso possa essere lenito o eliminato. L’anestesista sottolinea la natura del dolore come «un’esperienza molto individuale, per l’entità non strettamente correlata alla sede e alla causa, per l’espressione molto diversa da persona a persona, per la complessità della sua percezione ed espressione e per innumerevoli cause di natura non medica bensì sociale, individuale, di vita, che ne influenzano a loro volta la percezione». Anche in questo

Il dottor Andrea Saporito, primario di anestesiologia all’Ospedale Regionale di Bellinzona e Valli (a sin.) e il dottor Stefano Cafarotti, primario di chirurgia toracica e responsabile dei Centri Oncologici Specialistici (COS) EOC. (Stefano Spinelli)

campo (anestesiologico e terapia acuta del dolore) si sono fatti grandi passi avanti, di pari passo alla conoscenza sempre più approfondita del funzionamento del nostro sistema nervoso: «Si è capito che il cervello è plastico e si modifica in base agli stimoli, come qualsiasi cosa in natura: lo stimolo doloroso modifica il sistema nervoso sensibilizzato dal meccanismo di percezione del dolore: il corpo si rende più sensibile, ed è sempre più nota la correlazione con il sistema immunitario, a dimostrazione del fatto che il corpo umano funziona in un tutt’uno. Si è compreso che i meccanismi alla

base della percezione del dolore, che è importante non cronicizzi, sono spesso gli stessi alla base dei circuiti neurali responsabili di emozione, ansia, umore e stress». Saporito definisce come «peccato originale della medicina occidentale» il non aver considerato tutto ciò per lungo tempo nel passato. Nell’imperativo categorico di «togliere il dolore il più possibile, rispettando la dignità della persona» sta il trattamento individualizzato e si colloca la presa a carico olistica. Il dolore è un’esperienza fisica, morale, sociale, culturale intrinseca alla natura umana, mai

eliminabile totalmente. Ma, conclude Saporito: «Ciò non significa che ci si debba rassegnare e la medicina si deve fare carico del dolore nella sua soggettività, complessità e incertezza anche nel paziente oncologico». Così come si fa carico di malattie gravi, usando tutti i mezzi a disposizione, e facendo il proprio dovere di curanti. Informazione Mercoledì 27 aprile, alle 18.30, avrà luogo una conferenza pubblica virtuale, con i medici Stefano Cafarotti e Andrea Saporito. Vedi link: https://bit.ly/3uI4yRp


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MONDO MIGROS

Incredibilmente deliziosa Attualità

Succosa e tenera, la Picanha di manzo è perfetta per aprire la stagione delle grigliate all’aperto

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Il taglio

La Picanha, conosciuta anche come «Cappello del prete» o «Codone di manzo», è un taglio di carne ottenuto dalla zona posteriore del manzo, sopra la coscia, corrispondente alla parte finale della sottofesa. Visivamente si presenta con una caratteristica forma triangolare e un discreto strato di grasso su uno dei due lati. È un taglio particolarmente diffuso nella cucina del Sudamerica, soprattutto in Brasile, dove non manca mai come ingre-

diente del churrasco, la grigliata di carni miste tipica della gastronomia carioca. Sciogliendosi durante la cottura, il grasso presente sulla superficie penetra nella carne e la rende eccezionalmente tenera, succosa e saporita. Una Picanha intera ha un peso di poco più di un kg ed è sufficiente per ca. - persone. Preparazione

La Picanha si presta bene per essere cucinata intera, oppure, come avviene

nelle tipiche churrascherie brasiliane, viene prima tagliata a fette spesse e grigliata infilzata su uno spiedo con la parte grassa rivolta verso l’esterno. Togliere la Picanha dal frigorifero almeno mezz’ora prima di prepararla affinché le fibre si rilassino e la carne rimanga più tenera. Per esaltare al meglio il sapore naturale della carne, non servono molti condimenti. Spennellare la carne con dell’olio d’oliva e condirla con una miscela a base di sale, pepe nero macinato fresco e qual-

che ago di rosmarino. Cuocere sulla griglia a fuoco vivo per qualche minuto prima, e moderato in seguito, fino al raggiungimento della temperatura al cuore desiderata. Girare regolarmente il pezzo facendo attenzione che la parte ricoperta di grasso non bruci. Per raggiungere il grado di cottura interno ideale di - °C (al sangue) ci vogliono ca. - minuti. Prima di affettarla, lasciare riposare la carne avvolta in un foglio di alu per una decina di minuti.

IP-Suisse

La Picanha disponibile alla Migros è contrassegnata con il marchio della produzione svizzera integrata IP-Suisse. I manzi sono allevati in Svizzera nel rispetto della specie, in gruppo, con la possibilità di uscire all’aperto regolarmente. L’alimentazione è costituita principalmente da erba e fieno. I contadini inoltre devono fare il possibile per promuovere la biodiversità all’interno della loro azienda agricola.

Il mio «Daily» quotidiano

Attualità

L’assortimento Migros Daily offre un’ampia scelta di bontà ideali per il consumo fuori casa

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roborante müesli per la colazione alle croccanti insalate, dai golosi panini imbottiti ai rinfrescanti smoothies fino agli irresistibili dessert e agli snack rompi-fame, senza dimenticare alcune proposte calde o solo da riscaldare nel microonde. I prodotti vengono preparati freschissimi più volte al giorno e variano a seconda della stagione e della regione. L’offerta inclu-

de inoltre numerose proposte rivolte a coloro che seguono una dieta vegetariana e vegana. Tra le ultimissime bontà entrate a far parte dell’assortimento Migros Daily, segnaliamo per esempio i panini salame ticinese al pepe, carne secca & grana padano, hummus & verdure; nonché diverse insalate in bowl composte da ingredienti sani e fantasiosi.

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MONDO MIGROS

Mobili da giardino «Swiss Made»

Attualità ◆ Il marchio svizzero Schaffner è sinonimo di qualità, design e innovazione

Con le temperature sempre più miti cresce anche il desiderio di stare frequentemente all’aria aperta e godersi momenti di relax a tutto tondo a casa propria. Arredare gli spazi esterni all’insegna del buongusto, dello stile e della qualità è un gioco da ragazzi grazie ai mobili outdoor dello storico e prestigioso marchio svizzero Schaffner. Conosciuta soprattutto per le intramontabili sedie dal design retrò «Spaghetti Chair» con l’inconfondibile seduta e schienale in filo sintetico, questa azienda turgoviese da oltre  anni produce esclusivamente in Svizzera anche panche, tavoli, sedie a sdraio e poltrone lounge. I prodotti Schaffner si caratterizzano per l’alta qualità dei materiali utilizzati, l’estetica senza tempo, la robustezza

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Storie di confine

Territorio ◆ Ha da poco riaperto la mostra Pezzi di frontiera al Museo etnografico della Valle di Muggio a Cabbio. Un’occasione stimolante per scoprire il confine come condizione umana

Festival ◆ Dal 3 all’8 maggio la rassegna del Teatro Pan

Fabio Dozio

L’idea è nata guardando la «ramina», la rete metallica che segnava il confine tra Italia e Svizzera nel Mendrisiotto. Il termine è un ticinesismo, una parola che appartiene all’italiano regionale. Ma la gente di confine ha ben chiaro il significato di «ramina», (c)ostruzione che indicava la geografia e stimolava l’immaginario del confine. «Siamo partiti dal territorio. – ci racconta Graziella Corti, co-curatrice della mostra Pezzi di frontiera al Museo etnografico della Valle di Muggio (MEVM) – Nel corso di un’escursione in valle lungo le ramine arrugginite, reliquie che risalgono all’ultima guerra, ci è venuta l’idea di una mostra sul confine e sulla frontiera».

L’attività agropastorale e quella sugli alpeggi non conoscevano confini come testimonia l’esempio di Erbonne Il Museo, nato nel , occupa una vecchia e bella abitazione nel nucleo di Cabbio, casa Cantoni, sopra la strada cantonale e a pochi passi dalla chiesa dell’Ascensione. È piccolo e accogliente, uno scrigno che offre occasioni per conoscere il territorio, la storia della gente, la civiltà della valle e il suo patrimonio culturale. La mostra permette di fare un viaggio attorno al tema del confine e della frontiera, partendo dal locale, la rete metallica e i vecchi cancelli che ancora sopravvivono, per allargare lo sguardo al globale. «La storia di questo confine, – ci dice Mark Bertogliati, curatore del MEVM – risale al , con la prima testimonianza, la materializzazione del confine tra Liga Helvetica e Ducato di Milano. Poi nel  c’è stato il trattato di Varese, che definì le competenze territoriali tra Lombardia e le prefetture di Lugano, Locarno e Mendrisio. La costruzione della rete metallica avvenne alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento e si creò così per la prima volta una barriera fisica. Si trattava di una misura fiscale, voluta dal governo italiano, per contrastare il contrabbando. Poi ci sono state le due guerre mondiali. Ognuna di queste fasi ha rappresentato uno spartiacque anche nell’immaginario degli abitanti. Prima della ramina il territorio non era definito, era caratterizzato da osmosi. La cultura era la stessa, gli scambi erano floridi e anche a livello di proprietà c’era chi aveva terre di qua o di là dall’attuale confine. L’attività agropastorale e gli alpeggi non avevano confini. Rimane un esempio, la comunità di Erbonne, in cima alla valle, dove si erano insediate le famiglie svizzere. In origine era un alpeggio e poi è diventato un villaggio. Lì si vede molto bene il legame con Scudellate, anche se ormai sono rimasti in tre gatti». «È anche interessante sottolineare – precisa Corti – che la frontiera sancisce e definisce una separazione, ma è anche un momento di unione. In fondo il confine garantiva degli scambi. C’erano i contrabbandieri. Anche oggi la frontiera può diventare un momento di salvezza o di chiusura. Alcune caratteristiche che noi abbiamo individuato in valle, le possiamo ritrovare in altre situazioni su scala più grande nel mondo globalizzato».

Un maggiolino per i piccoli

L’allestimento della mostra a Casa Cantoni e, in basso, un faggio corazzato lungo la «ramina» in Valle di Muggio. (mevm.ch)

Il contrabbando è uno dei protagonisti della mostra di Cabbio. Radicato da secoli nel territorio, si sviluppò soprattutto nei primi decenni del Novecento. Uno dei punti più frequentati dagli spalloni era la val della Crotta, sopra Bruzella. Lì i commercianti svizzeri di sigarette portavano le bricolle che passavano ai contrabbandieri italiani. «Convenivano ogni sera tra i cinquanta e i cento spalloni. – spiega lo storico Adriano Bazzocco – La circolazione di merci di frodo era molto intensa: nel , ad esempio, furono dichiarati per l’esportazione per via indiretta al Posto doganale di Bruzella circa  mila tonnellate di sigarette al mese. A questo quantitativo va aggiunto quello, a noi ignoto, delle merci dichiarate ai Posti doganali di Sagno, Muggio e Scudellate». Interessante anche notare che durante la seconda guerra mondiale il contrabbando invertì direzione. Non più dalla Svizzera all’Italia, ma in senso inverso. Non più sigarette, caffè o tabacco, ma, soprattutto, riso. «Tra gennaio e ottobre del  – precisa Bazzocco – sono confiscate in Ticino e Mesolcina  tonnellate di ri-

so e redatti circa cinquemila verbali di interrogatorio, nel  i sequestri aumentano a  tonnellate e i verbali a ». Per tanti anni, tonnellate di merci sulle spalle dei contrabbandieri hanno caratterizzato l’economia della valle. Il fenomeno è andato riducendosi dopo la guerra e a metà degli anni Settanta è scomparso, complice la svalutazione della lira e l’apprezzamento del franco. Un fenomeno sociale ed economico, nato attorno al confine e ormai relegato nei libri di storia e nei musei. «Il ruolo dei musei – sostiene Mark Bertogliati – è molto cambiato in questi ultimi anni. Si è passati dal compito di conservazione tipico fino agli anni Ottanta, che consisteva nel raccogliere testimonianze e oggetti significativi della civiltà rurale, a un museo che documenta anche il presente e le dinamiche sociali e culturali attuali. È importante che il museo sia in relazione con la popolazione e svolga un ruolo da incubatore, soprattutto in una valle. I musei etnografici ticinesi, che hanno sede nelle valli, svolgono un ruolo sociale, per creare

comunità, attraverso il recupero delle tradizioni, ma anche grazie alla lettura dell’attualità». In valle di Muggio non c’è più spopolamento. Da anni il numero dei residenti si è stabilizzato. Ci sono giovani che sono tornati sistemando le case dei nonni oppure nuove famiglie che hanno scelto di trasferirsi, soprattutto nei comuni della bassa valle, perché la qualità di vita è migliore e i prezzi degli alloggi più abbordabili. Graziella Corti ci tiene a sottolineare che il museo deve rispondere a nuove esigenze. Per esempio, per andare incontro ai bisogni della popolazione è stata organizzata una colonia estiva diurna. «Il museo è un luogo dove non si propongono solo mostre, ma si cerca di creare legami con la popolazione, e non solo della valle. Per questo organizziamo attività che hanno lo scopo di invitare la gente a riflettere e a scoprire allargando lo sguardo. Cerchiamo di discutere anche sul senso del vivere oggi, e quello delle frontiere ci è sembrato un bellissimo tema. Abbiamo aperto la mostra due anni fa, proprio quando è scoppiato il Covid. Ci siamo detti che dovevamo esporre anche le mascherine, a modo loro simbolo di una frontiera. La pandemia ci ha messo di fronte al tema del confine come chiusura: cosa si chiude, come e per chi». All’ultimo piano di Casa Cantoni, sede del MEVM, ci sono due gigantografie che rappresentano due sguardi. Occhi che interrogano il visitatore e che appartengono a due giovani stranieri, afgani giunti in Ticino qualche anno fa come minorenni non accompagnati. Bastano questi sguardi per far capire che il confine locale, come quelli degli Stati del mondo intero, contribuisce a definire un’alterità piuttosto che un’identità. Questa è una delle suggestioni della mostra, che non si ferma alla regione della valle di Muggio. Le fotografie di questi occhi sono di Stefano Spinelli, che ama definirsi fotografo di frontiera. «Stefano – dice Corti – sostiene che nell’occhio rimane una traccia dell’esperienza che la persona ha vissuto, un indizio di vita che può essere percepito». Informazioni www.mevm.ch

Lo sentite volare sopra le vostre teste? È in arrivo il maggiolino migliore del mondo, perché per una volta non si tratta di un insetto, ma di un appuntamento con l’arte e con il teatro rivolto ai più piccoli. Il Festival Maggiolino è nato nel  per dare ai bambini della prima infanzia la possibilità di accedere all’arte pensata e creata per loro. Ma non è tutto: alle famiglie si offrono un prezioso spazio di incontro e imperdibili momenti di scambio e di crescita. Il Festival, che gli organizzatori definiscono «in continua trasformazione», anche in questa edizione (l’undicesima!) riuscirà a meravigliare e stupire bambine, bambini e adulti curiosi di incontrare artisti provenienti da diversi paesi (Francia, Italia e Svizzera). Nato dalle menti creative del Teatro Pan di Lugano, l’appuntamento con l’arte mette al centro teatro, corpo, voce, movimento, immagine, musica, danza, forme e colori che, grazie alla guida esperta degli organizzatori, si propongono come strumenti per accendere l’immaginazione, stimolare i sensi e favorire lo sviluppo dell’intelligenza emotiva. Il Festival, che durerà dal  all’ maggio e si svolgerà al Teatro Foce e negli spazi del Teatro Pan (Viale Cassarate, Lugano) debutterà con lo spettacolo Tac-Til-A-Son (Francia) di Be-

atriz Navarro, pensato per… bambini a partire dai  mesi. Si proseguirà il  maggio con lo spettacolo in rima Lunatica (a partire dai  anni) di Scarlattine Teatro/Campsirago residenza, mentre il  maggio sarà la volta dello spettacolo interattivo Il giardino di Gaia, di Marcella e Pietro Chiarenza. Il  maggio triplice appuntamento con Ecco il mondo!, Piccoli universi sentimentali e Kto tam? Domenica, per concludere, andrà in scena il Teatro dei fauni con Giardino di carta (teatro di narrazione) e Voglio la luna (spettacolo interattivo). A corredo degli spettacoli, è prevista una serie di appuntamenti con diversi target di pubblico: si passa dalla presentazione di libri ad attività per soli genitori, da performances a laboratori di filosofia, pedagogia, poesia e pittura. Un mondo creativo a ° gradi dunque, in cui non resta che tuffarsi… sulle ali del maggiolino migliore del mondo. Informazioni e prenotazioni www.teatro-pan.ch


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SOCIETÀ

Una chiesa solitaria ed enigmatica

Barbengo ◆ Sabato 30 aprile si inaugura la chiesa di San Carlo Borromeo dopo una serie di importanti lavori di restauro Simona Sala

Fosse andata secondo i desideri del suo architetto Costantino Maselli (Casoro, -), l’imponente chiesa di San Carlo Borromeo di Barbengo, che non sfugge a chiunque percorra il suggestivo tratto stradale tra Grancia e Melide, non avrebbe probabilmente mai visto la luce. Quando il ricco Carlo Martinetti, originario di Barbengo che aveva fatto la fortuna come impresario a Constantina, Algeria, si rivolge al cognato Costantino Maselli (fratello della moglie Francesca), ha le idee molto chiare. Attraverso la costruzione di una chiesa che si distingua da tutte le altre presenti sul territorio per grandezza e magnificenza vuole ringraziare e rendere omaggio a San Carlo Borromeo, al quale reputa di dovere la fortuna economica di cui si è visto investito dopo l’emigrazione nell’Africa del Nord. A poco vale dunque la raccomandazione, o consiglio che si voglia, del cognato, che sarebbe più incline a optare per «opere di beneficenza e pubblica utilità», tanto da arrivare ad affermare: «Il nostro comune già possedeva una chiesa parrocchiale e un piccolo oratorio sito a Figino. In-

sistendo nel suo progetto, egli (Carlo Martinetti, ndr) replicava che fin da quando, nell’età giovanile, si vide obbligato ad emigrare in Algeria per cercarvi lavori ed imprese, che gli avessero procurato uno stato finanziario buono, s’aveva prefisso nel cuore e nella mente di edificare un tempio ad onore di S. Carlo, ed ora in riconoscenza dei benefici ricevuti, era giunto il momento di mettere ad effettuazione il suo proponimento». Oltre al desiderio di ringraziare in modo plateale e pubblico la grazia ricevuta Carlo Martinetti aveva anche un altro motivo per erigere una chiesa: il nipote Giacomo, allievo prediletto di Ciseri, nel  aveva realizzato la tela San Carlo Borromeo durante la peste, in cui il santo, umile nonostante il proprio status, e forse per questo ancor più amato e venerato dal popolo, recupera amorevolmente una bambina tra i morti di epidemia. È infatti proprio nella frazione di Cernesio che la tela di Giacomo Martinetti fa normalmente bella mostra di sé, perfettamente allineata all’altra sua tela che simboleggia la grandiosità della carità cristiana, Santa Francesca Romana (), raffigurata mentre distribuisce

il pane ai poveri, ora di nuovo nella collocazione originaria, dopo la parentesi alla Pinacoteca Züst di Rancate, a corredo delle iniziative museali dedicate alla commemorazione del bicentenario del maestro Antonio Ciseri (vedi «Azione» .., .. e ..). Quella che molti oggi chiamano chiesa gotica, o cattedrale, e che è situata in una zona che all’epoca della sua costruzione era del tutto isolata e priva di costruzioni, per le sue geometrie per certi versi distanti dagli edifici sacri presenti sul territorio, fu il frutto di uno studio approfondito da parte dell’architetto Maselli, il cui intento era di creare un luogo capace di ospitare le «fervide preci a Dio». Come dichiara lo stesso architetto, «tentai attenermi nell’elaborazione del progetto allo stile cosiddetto romanico che per il grande sviluppo ottenuto in Lombardia fu anche denominato lombardo e del quale nel nostro Cantone si vedono tuttora alcune semplici e belle impronte in diversi sacri edifici costrutti in quell’epoca». Il risultato, ottenuto dopo importanti interventi sul terreno, «di sufficiente compattezza e resi-

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Facciata della chiesa di San Carlo Borromeo dopo il restauro (Mantovani). Una più ampia galleria fotografica è disponibile su www.azione.ch.

stenza, ma accidentato e declive (…) causa per cui furono necessarie profonde e costose fondamenta, (…) costrutte con circa mille metri cubi di buona muratura di pietrame e malta comune» fu una chiesa molto simile a quella costruita dallo stesso Maselli a Zéralda, in Algeria, dedicata a Santa Maria Maddalena e distrutta con il tramonto del colonialismo. Come sottolinea Luca Brunoni, presidente del consiglio parrocchiale di Barbengo, si ha testimonianza dello zelo edificatorio di Maselli-Martinetti in Algeria, «anche in seguito all’impulso dato all’epoca dal cardinale Lavigerie, allora primate d’Africa e arcivescovo d’Algeri che attraverso la costruzione di chiese desiderava da una parte andare incontro alle comunità di europei presenti sul territorio, e dall’altra, dare un seguito al suo spirito di evangelizzazione». La scelta dei materiali utilizzati dal Maselli, che accanto al locale porfido rosso, alla pietra di Saltrio, utilizzata per i capitelli e le basi delle colonne, e al granito, vede anche l’impiego ad esempio di malte cementizie (per loro natura poco o per nulla traspiranti), se da una parte denota una visione moderna e proiettata al futuro, dall’altra implica forzatamente un’ancora troppo scarsa conoscenza di quei materiali, soprattutto sul lungo termine. A ciò si aggiungono la posizione in cui è stata costruita la chiesa di San Carlo Borromeo, che presenta una forte umidità e un’insolazione piuttosto ridotta, e una certa eccentricità nella tipologia costruttiva. È stato dunque necessario un importante restauro, curato dall’architetto Armando Dorici, e coordinato per il Consiglio parrocchiale dalla vicepresidente Doris Wohlgemuth-Martelletti. Il restauro ha iniziato a riconsegnare la chiesa (negli anni ’ la chiesa di San Carlo Borromeo è diventata di fatto della parrocchia di Barbengo – e ora centro della vita pastorale – in aggiunta alla chiesa parrocchiale di Sant’Ambrogio) alla sua bellezza originaria, grazie a importanti interventi sui suoi elementi costitutivi, tra cui, in primis la cuspide del campanile e il risanamento di tutta la facciata. La carpenteria è stata rinnovata e le lastre di

Giacomo Martinetti, San Carlo Borromeo, 1871, Cernesio – Barbengo, Chiesa San Carlo.

rame che formavano la copertura sono state sostituite da lastre in piombo. Il restauro dell’apparato decorativo, affidato a Virginia Mantovani, ha toccato la facciata della chiesa e il suo campanile, con il rifacimento degli intonaci e la restituzione pittorica. Un drenaggio perimetrale, inoltre, garantirà in futuro un migliore convogliamento delle acque sotterranee. Le opere di intervento non hanno per ora potuto essere comprensive dell’organo, in parte distrutto per incuria e magari anche vandalismi. «Si tratta di un organo proveniente dalla Mascioni di Cuvio (VA) – spiega Luca Brunoni – ed è uno dei primi realizzati dall’azienda. Insieme ad esso andrebbe restaurato anche il mausoleo della famiglia Martinetti, un unicum situato sul lato posteriore della chiesa». Un lavoro in fieri, dunque, che certamente non si conclude con questo primo intervento ma che potrà comunque essere festeggiato sabato  aprile dal parroco di Barbengo don Gerald Chukwudi Ani, dal vescovo Monsignor Valerio Lazzeri e dalla popolazione.


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La nutrita gestione naturalistica degli spazi Fondazione Natura & Economia

Un marchio di qualità per le zone verdi governate mantenendone lo stato spontaneo

Elia Stampanoni

La Fondazione Natura & Economia promuove e certifica la gestione naturalistica degli spazi verdi, siano essi giardini pubblici o privati, ma anche superfici legate ad aziende, immobili, scuole o cave d’estrazione. Per ottenere l’attestazione è necessario rispettare alcuni criteri stabiliti dalla fondazione, la quale ha ormai superato il mezzo migliaio di istituzioni affiliate, suddivise in quattro categorie principali. Oltre a rilasciare un certificato riconosciuto a livello nazionale, Natura & Economia sostiene pure la pianificazione e la realizzazione degli areali secondo le sue direttive (si veda anche «Azione» del  agosto ). Il settore «natura e lavoro», il più nutrito e variato, contempla ditte, aziende di trasporti, industrie, banche, musei, ospedali, negozi, commerci, impianti sportivi, alberghi o ristoranti. In questi contesti è richiesta una sistemazione naturale di almeno il trenta per cento dell’area esterna. I criteri sono molteplici e spaziano tra stagni, zone umide o corsi d’acqua, i quali devono essere gestiti analogamente allo stato spontaneo. Possono poi essere valutati i frutteti ad alto fusto, i bordi erbacei, i prati fioriti, il bosco, le alberature, le siepi e altri ambienti presenti nelle aree esterne alla struttura. Superfici che devono poter ospitare specie indigene adatte alla situazione, mentre biocidi e concimi non sono ammessi nelle zone naturali, così come gli erbicidi sono completamenti esclusi. I prati sono falciati al massimo due volte l’anno, gli accessi e i luoghi di sosta hanno un fondo permeabile. Questi sono solo alcuni dei parametri per proporsi alla certificazione, che avviene dopo esame della domanda e dopo sopralluoghi effettuati da persone esperte, a cui si aggiungono ulteriori raccomandazioni. Criteri analoghi valgono anche

Il fiore del Monte Generoso abbracciato dalla natura. (© Gabriele Ronchi)

per il settore «natura e abitare», vale a dire principalmente per abitazioni o complessi residenziali, con complementi o precisazioni, per esempio per le aree di gioco. La Fondazione Natura & Economia, in collaborazione con l’Associazione Svizzera dell’Industria degli Inerti e del Calcestruzzo (ASIC), certifica anche il settore della cave d’estrazione, dove si garantisce che esse siano gestite nel rispetto dell’ambiente. Si offre pure un sostegno tecnico nella progettazione e realizzazione di misure a favore dell’ecosistema, dato che i siti di scavo possono diventare delle isole di biodiversità. Per fare un esempio, l’anno scorso la ditta Alfredo Polti SA

in Valle Calanca ha ottenuto il label di qualità in virtù della gestione naturalistica della cava di Arvigo dove, come si legge nel certificato, si trovano una ricca flora e fauna indigena, garantita dai preziosi ambienti inclusi nella cava, per complessivi mila metri quadrati. Compie tre anni invece il certificato «giardino del futuro», pensato per queste preziose strutture, che possono essere allestite con una ricchezza di cespugli, fiori indigeni e molteplici ambienti, per il benessere di piante e animali, ma non solo. Come precisa Roberto Buffi, responsabile dell’Ufficio regionale della Fondazione per la Svizzera italiana, «un aspetto im-

portante per questo e gli altri settori è il benessere che un giardino naturale procura, la sua bellezza e non da ultimo il suo ruolo benefico in relazione ai cambiamenti climatici». Per la certificazione, riesaminata ogni cinque anni, è innanzitutto necessario effettuare una richiesta che, per la Svizzera italiana, va indirizzata all’ufficio regionale di Tenero-Contra. Come detto, gli attestati sono rilasciati solamente dopo una visita del sito, ma anche dopo attenta valutazione e approvazione del Consiglio di fondazione, in cui siedono rappresentanti del settore economico, politico e ambientale. I costi per il richiedente variano a dipendenza della situazio-

ne (settore e numero di collaboratori) e la Fondazione offre una serie di tavole informative per segnalare i pregi del luogo, in particolare le piante e gli animali che vi vivono. Attualmente (dati di fine ), più di  istituzioni sono certificate nei quattro settori, coprendo un’area verde di circa  milioni di metri quadrati, ossia mila ettari. Si tratta di una trentina di giardini, di circa  aziende o abitazioni che gestiscono le aree verdi in chiave naturalistica e di oltre  cave di estrazione gestite nel rispetto dell’ambiente. L’areale più piccolo è quello presso il bacino idrico dell’azienda IWR di Bruderholz ( mq), mentre il maggiore è quello del Centro logistico dell’esercito, con i ’’ mq dell’arsenale di Hinwil. Nell’elenco delle aziende certificate, visibile online sul portale web della Fondazione, spicca anche la Migros, con una quarantina di spazi in vari settori, dall’alimentare, ai trasporti, dall’industria agli impianti per il tempo libero e sport, senza dimenticare il commercio, l’industria o i complessi residenziali. Nella Svizzera italiana sono due le strutture di Migros attualmente certificate: l’area in vetta della Ferrovia Monte Generoso di Capolago e le zone verdi del complesso DO-IT + Garden di Losone. La Fondazione Natura & Economia è stata ufficialmente creata nel  dall’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM), dall’Associazione svizzera dell’Industria degli inerti e del calcestruzzo (ASIC) e dall’Associazione svizzera dell’industria del gas (ASIG), a cui in seguito si sono aggiunti diversi sostenitori e patrocinatori, tra cui anche Migros. Link e contatti Fondazione Natura & Economia, Contra di Sotto 4, 6646 Contra; www.naturaeeconomia.ch

Quanto costa la mobilità?

Istantanee sui trasporti

I costi dei trasporti pubblici crescono più rapidamente di quelli del traffico motorizzato individuale

Riccardo De Gottardi

statistica calcola ogni mese e pubblica regolarmente. L’IPC misura il rincaro dei beni e dei servizi rappresentativi del consumo delle economie domestiche. Per misurare l’evoluzione dei prezzi viene definito un cosiddetto «paniere tipo», che contiene una selezione fedele dei beni e servizi consumati suddivisi in dodici gruppi principali di spesa. Uno di questi gruppi è quello dei trasporti.

Sulla base dei dati disponibili abbiamo potuto ricostruire l’evoluzione dell’indice relativo ai costi del traffico individuale motorizzato (che comprende automobili, motocicli e biciclette) e dell’indice dei costi delle prestazioni dei trasporti pubblici a partire dal  (indice uguale a ). Nel periodo considerato si constata che l’indice del costo dei trasporti pubblici si è quasi sempre mosso al

Evoluzione dell’indice dei prezzi al consumo (IPC) 250

200

150

100

50

0

1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020

indice 1983=100

La discussione sui costi della mobilità è sempre attuale. Ritorna regolarmente sotto la luce dei riflettori da diversi punti di vista. Spesso sono le tariffe dei trasporti pubblici a comparire sul banco degli imputati; altre volte è l’incremento dei costi del carburante e, in particolare, l’importo dell’imposta sugli oli minerali. Secondo taluni le tariffe dei servizi pubblici sarebbero troppo elevate e ne scoraggerebbero l’uso così come un maggior prezzo del carburante violenterebbe l’automobilista e penalizzerebbe le regioni periferiche. Secondo altri, invece, una corretta gestione della mobilità presupporrebbe che l’utente copra integralmente tutti i costi, anche i cosiddetti «costi esterni» a carico della collettività (generati dagli impatti sull’ambiente, sul paesaggio, sulla salute e dagli incidenti). Oggi circoscriviamo il tema a un aspetto puntuale: l’evoluzione nel tempo dei prezzi dei trasporti pubblici e di quelli individuali. Torneremo in una prossima puntata sugli altri aspetti della problematica. Per descrivere l’evoluzione dei costi facciamo riferimento all’indice nazionale dei prezzi al consumo (IPC), che l’Ufficio federale di

automobile, motocicli e biciclette

trasporto pubblico su ferro e su gomma

IPC

di sopra dell’IPC ed è costantemente aumentato fino al , quando ha raggiunto il valore massimo di .. è poi diminuito leggermente fino a . nel . Il costo del traffico individuale motorizzato è pure cresciuto, ma a un ritmo più lento e a lungo appaiato all’IPC. A partire dal , quando ha toccato il valore massimo di  punti, è diminuito fino a ., ben al di sotto della curva dell’IPC. L’incremento dei prezzi dei trasporti pubblici è stato dunque maggiore di quello dei trasporti individuali, che anzi è addirittura diminuito in termini relativi. L’evoluzione in corso peggiora in definitiva la concorrenzialità dei primi rispetto ai secondi. Analizzando più a fondo i diversi elementi che concorrono a definire il costo complessivo dei trasporti individuali si constata che sono la manutenzione e le riparazioni a determinarne l’evoluzione: il loro costo è infatti aumentato di un fattore .. Lo sviluppo dei costi per l’acquisto dei veicoli, per i pezzi di ricambio e per gli accessori nonché per il carburante si situa al livello del  o poco più. Ha dunque più che compensato l’incremento dei costi di manutenzione e di riparazione.

Cosa dedurre da questo sommario quadro? Bene hanno fatto imprese di trasporto e Autorità a rinunciare da tre anni a questa parte ad aumentare le tariffe, ciò che avrebbe compromesso lo sforzo in atto per rendere i servizi più attrattivi in termini di frequenze, rapidità ed estensione. Un secondo elemento di riflessione nasce dalla constatazione che il vero determinante dei costi complessivi dell’autovettura non è tanto il costo del carburante, i cui consumi in rapporto alle prestazioni sono peraltro continuamente in discesa, bensì quello della manutenzione e delle riparazioni. Da questo punto di vista la transizione alla mobilità elettrica promette sviluppi interessanti non solo per la riduzione delle emissioni di gas serra (ammesso il ricorso all’uso di fonti energetiche rinnovabili) e dei rumori ma anche dal profilo dei costi d’esercizio della propria autovettura. Motori più semplici e con meno componenti dovrebbero condurre anche a minori costi. Di ciò è bene che anche imprese di trasporto pubblico e Autorità prendano coscienza e formulino innovative risposte anche in termini tariffari.


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Settimanale di informazione e cultura

Anno LXXXV 25 aprile 2022

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SOCIETÀ

Valutare lo spazio

Intervista ◆ Il naturopata e omeopata Roberto Benvenuti spiega che cos’è la morfopsicologia e quali sono i campi di applicazione

A misura d’uomo ◆ Lo spazio è un concetto oggettivo o soggettivo? È paragonabile al tempo?

Alessandra Ostini Sutto

Massimo Negrotti

Shutterstock

ta in una di queste fasi; per esempio quando diciamo «è un eterno bambino» significa che il comportamento della persona in questione rimanda a quello stadio della vita a cui è rimasto fissato; di questa fissazione si trova traccia anche nei tratti del viso, che non corrispondono all’età della persona, ma a una precedente.

«Non v’è arte superiore a quella di colui che sa cogliere dalla forma del viso il colore dell’anima», scriveva Shakespeare nel suo Macbeth. «Arte» che, circa tre secoli più tardi, ha preso il nome di «morfopsicologia» per indicare una tecnica (mai riconosciuta dalla psicologia scientifica) che aiuta a conoscere e comprendere meglio sé stessi e chi ci sta attorno. Secondo il padre della disciplina, lo psichiatra francese Louis Corman (-), l’anima, muovendosi all’interno di ognuno di noi, ne modella il corpo, cosicché alle varie tipologie di tratti del viso corrisponde un significato da un punto di vista psicologico. L’armonia generale del volto parla invece del modello comportamentale, di quali sono i punti di forza e le debolezze. Di questa disciplina che studia la relazione tra forma del volto e personalità, abbiamo parlato con il naturopata e omeopata Roberto Benvenuti. Diplomatosi in naturopatia a Urbino, si è specializzato in morfopsicologia a Milano con il dottor Jean Spinetta, allievo di Louis Corman. Attualmente è docente nel corso di formazione in Counselling presso l’Istituto di medicina naturale e naturopatia Omeonatura a Breganzona. Signor Benvenuti, per cominciare potrebbe brevemente tracciare la storia della morfopiscologia? Tutto è iniziato ad opera dello psichiatra francese Louis Corman, il quale lavorava in un ospedale psichiatrico di Lione. Piuttosto noto in Francia, Corman era un uomo molto curioso. Tra i testi allora in circolazione, che arrivavano un po’ da tutto il mondo, sulla cultura orientale, mediorientale, la medicina cinese, quella indiana, ecc, lo interessavano in particolare i libri sulla fisiognomica, disciplina che si proponeva di dedurre le caratteristiche psicologiche degli individui da loro aspetto corporeo, in particolare dai lineamenti e dalle espressioni del viso. In cosa si differenzia la fisiognomica dalla morfopsicologia? La fisiognomica fa corrispondere a un tratto del viso un significato. Conducendo delle osservazioni nell’ospedale psichiatrico nel qua-

le lavorava, Corman cominciò però a pensare che il valore in positivo o negativo di quel significato dipendesse dal contesto, che bisognasse cioè vedere i singoli tratti all’interno della struttura generale del viso. Questa è l’idea di partenza della morfopsicologia. Come si è poi sviluppata la morfo-psicologia di Corman? Corman per «morfopsicologia» intende lo «studio dell’anima attraverso la forma», dove il termine «anima» va preso in senso letterale, di ciò che muove da dentro, facendoci andare verso le cose o via da esse; ci espandiamo se una cosa ci piace, ci ritiriamo se non ci piace, un po’ come fanno le lumache con il guscio. In base a queste «dilatazione» e «ritrazione» – per usare i termini propri alla disciplina – lo psichiatra identificò otto tipologie di volti sulle quali vanno poi applicate le informazioni che arrivano dalla forma del singolo viso. Che rapporti intrattiene la morfopsicologia con la psicologia? Citerei una relazione piuttosto interessante con la psicologia junghiana, in particolare tra le tipologie planetarie di Jung e le tipologie morfopsicologiche di Corman. Oltre a ciò, lo psichiatra francese fa dei collegamenti tra le tappe di evoluzione dell’io di Freud e i segni nel viso di queste ultime. Per cui si può vedere nel viso se ci sono delle fissazioni o delle regressioni a livello psicologico. Ci può spiegare meglio? Parlavamo prima di «dilatazione» e «retrazione» nella teoria di Corman. I bambini nascono dilatati e atonici: hanno visi grandi, come grandi sono i ricettori, e cioè occhi, naso e bocca. Ciò dà l’idea della loro apertura verso il mondo. All’opposto le persone anziane si ritirano in sé stesse: il naso diventa arcuato, gli occhi incavati, la bocca minuta. In base a queste osservazioni, il padre della morfopsicologia indica  tipologie caratteriali per rapporto alle tappe della vita che ogni persona dovrebbe superare: bambino, ragazzino, adolescente, adulto, anziano. In seguito alle relazioni con l’ambiente, capita che la persona possa rimanere fissa-

Attualmente sono sempre più le persone che cercano di rimanere giovani, ricorrendo a interventi di medicina o chirurgia estetica; come si può mettere in relazione questa propensione con la morfopsicologia? Queste modificazioni strutturali del viso – penso in particolare a quelle che aumentano il volume di labbra e zigomi – sono spesso segno di una fissazione a uno stadio infantile e quindi di dipendenza, da un certo punto di vista. In ogni caso è sempre la nostra anima che si esprime, trovando gli strumenti per realizzare quello che trova più opportuno, anche artificiosamente. Come commenta invece l’importanza assunta, nella comunicazione, dall’immagine della persona? Si sta andando verso un tipo di linguaggio più rapido. L’impatto visivo è sicuramente più veloce rispetto al sistema di codifiche necessarie alle parole e al linguaggio verbale. Oggi inoltre tendiamo a fidarci delle intuizioni che abbiamo quando vediamo una persona, per esempio quando stipuliamo un contratto. Un tempo non era così. Per ottenere un lavoro si chiedeva di presentare una lettera di raccomandazione. Quindi è un po’ come se applicassimo tutti, a livello inconscio o subconscio, i principi della morfopsicologia; lei che invece conosce in maniera approfondita la disciplina, come se ne serve? Quando ci si avvicina alla disciplina si acquisiscono delle prime informazioni su sé stessi. Ciò avviene anche con altre tecniche, rispetto alle quali la morfopsicologia è più pratica, per il semplice fatto che ci guardiamo allo specchio tutti i giorni. Facendolo abbiamo modo di capire alcune nostre funzioni comportamentali e, anche se non ce ne rendiamo conto, ciò ci consente di accettare una parte di noi, con ripercussioni su amor proprio e autostima. Procedendo con la pratica della disciplina, essa permette di cogliere come è fatta la persona che ci sta di fronte, di vederne potenzialità e debilità. Concretamente, quali sono i campi d’applicazione della morfopsicologia? La morfopsicologia ha preso due direzioni nette. In Francia si è andati nella direzione di applicarla in ambito scolastico, come strumento per gli insegnanti; negli Stati Uniti questa disciplina viene invece utilizzata nell’ambito delle risorse umane. Oltre a ciò, da noi, grazie a Jean Spinetta e ai suoi allievi, la disciplina è entrata nelle scuole di naturopatia, come strumento di diagnosi. Io stesso la ritengo molto utile per scegliere le domande più giuste da rivolgere ai miei pazienti e credo che sia un valido strumento per tutti i campi in cui bisogna avere informazioni da una persona.

Sebbene sul piano della fisica moderna i concetti di tempo e spazio siano strettamente legati, essi, nella storia del pensiero, sono stati a lungo considerati separatamente. Tuttavia, a metterli in relazione, da qualche tempo, non è solo la riflessione scientifica ma anche la realtà della vita quotidiana. Certo, per ognuno di noi, vale in fondo la distinzione avanzata da Kant per la quale lo spazio, a differenza del tempo, è una dimensione «esterna», qualcosa che non appartiene alla nostra vita interiore e si pone, invece, come una condizione oggettiva e per così dire autonoma. Ma anche il tempo può essere percepito spesso come qualcosa che non dipende da noi e, dunque, come un vincolo da accettare nella sua autonomia. A mettere in relazione lo spazio con il tempo è sicuramente il fatto che, per ambedue, gli esseri umani hanno predisposto precise unità di misura che ne indicano la quantità secondo convenzioni universalmente accettate. Come conseguenza, si è sviluppata un’interazione fra queste misure e sono quindi comparsi concetti aggiuntivi quali la velocità, che indica quanto spazio percorriamo in una data quantità di tempo e la cui più stupefacente esemplificazione è senza dubbio la nozione di anno-luce, ossia la quantità di spazio percorsa in un anno dalla luce. La mutua influenza fra tempo e spazio è del resto facilmente verificabile anche nella vita di ogni giorno, per esempio quando chiediamo, intendendo sostanzialmente la stessa cosa, quanti chilometri oppure quanto tempo siano necessari per raggiungere una certa località. In definitiva, possiamo pensare che sia lo spazio sia il tempo possiedono simultaneamente due fisionomie: da un lato quella, oggettiva, che si rileva in termini di secondi, minuti, ore e così via assieme a quella che indica centimetri, metri o chilometri e, dall’altro, quella soggettiva la quale fa rientrare nel nostro «io» dalla finestra psicologica ciò che abbiamo posto all’esterno attraverso la porta convenzionale della misura, come quando diciamo «per arrivare ci sono solo» oppure «ci sono ben» cinque chilometri. Ciò che caratterizza l’attuale relazione fra queste due fisionomie è la loro sempre più evidente sovrapposizione. Sia il tempo sia lo spazio si sono contemporaneamente dilatati e ristretti. Come già osservato in un recente articolo sul tema del tempo, le scienze e le tecnologie attuali hanno allargato lo spettro tradizionale entro il quale a farla da padrone erano semplicemente le ore, i giorni e gli anni introducendo nella nostra percezione ordinaria delle cose da un lato misure minuscole come i millesimi di secondo o i nanosecondi e dall’altro i milioni o i miliardi di anni. Ma lo stesso spettro dello spazio si è espanso, non

solo a causa dei lunghi viaggi detti appunto «spaziali» ma anche perché, sul lato opposto, biologia ed elettronica ci hanno abituato a misure prima inusitate che riguardano spazi infinitesimi eppure reali e quasi sempre persino dotati di una importanza vitale. In particolare lo spazio, nella nostra percezione quotidiana, sta vivendo una trasformazione che non ha paragoni nel passato. Nelle città, soprattutto nelle grandi metropoli, la densità demografica raggiunge picchi elevatissimi e ciò comporta relazioni inter-umane che fanno dello spazio una risorsa preziosa e spesso contesa. Così, non a caso, si ambisce spesso a «farsi spazio nella folla» o a uscire presto dalla città per riconquistare spazio grazie a una scampagnata. La disposizione spaziale delle abitazioni e dei quartieri che, sul piano antropologico, Claude Lévi-Strauss ha dimostrato essere la «fotografia» di una struttura sociale, è oggi decisamente trasfigurata poiché, dopo il lungo periodo di inurbamento nel quale il centro della città era il luogo del potere politico e delle residenze dei ceti superiori, ora è il luogo del lavoro e degli affari. Tuttavia, nelle abitazioni urbane, che continuano peraltro a ospitare grandi quantità di residenti più o meno temporanei, gli spazi, oltre che molto costosi, tendono ad essere assai ristretti. In certo qual modo, anche qui emerge un’analogia con il tempo: i così chiamati fast food, destinati a comprimere il tempo che dobbiamo inesorabilmente dedicare all’alimentazione, hanno la propria anima gemella nei mono-locali, destinati a soddisfare l’esigenza di una pur minima disponibilità di spazio per la privatezza e il riposo. Sullo sfondo, ma non poi tanto, fenomeni come l’agorafobia e la claustrofobia, che danno luogo a patologie più o meno gravi, come il panico, sono per definizione correlate allo spazio percepito e al disorientamento che ne può derivare, come quando una persona che risieda in un piccolo comune, si reca in una grande città e perde consapevolezza del luogo in cui si trova piombando in una peripezia ansiosa. Tutto questo rinvia alla stessa questione di fondo che riguarda il tempo: lo spazio esiste di per sé oppure è una sorta di elastico, mentale e culturale, che, al di là della sua misura convenzionale, si accorcia o si allunga a seconda delle circostanze e dei nostri stati d’animo? La risposta dipende da molti fattori naturali e culturali ma, alla fine, dobbiamo ammettere che, come per il tempo, la persuasione circa l’esistenza simultanea dello spazio come realtà a sé stante e come realtà soggettiva è ineliminabile e che il giusto equilibrio fra queste due modalità è, in termini individuali quanto in termini collettivi, una necessità inderogabile.

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Leggere il viso


Settimanale di informazione e cultura

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SOCIETÀ / RUBRICHE ●

Approdi e derive

di Lina Bertola

Donne mancanti e giovani in attesa ◆

Ci sono le donne e gli uomini, gli svizzeri e gli stranieri, poi ci sono gli anziani, i giovani anziani e, naturalmente, i giovani e i bambini. Potrei continuare a lungo, citando altre possibili categorizzazioni identitarie che parlano di noi. Categorizzare è un esercizio necessario del pensiero, un compito richiesto alla conoscenza per superare il relativismo insignificante del caso particolare, quello che appunto afferma che «dipende» dai casi, dalle situazioni. Certo, si può partire proprio dall’osservazione, dall’esperienza di situazioni particolari, con tutte le incertezze che ciò comporta, come ricorda la famosa storia dell’apparizione di un cigno nero che mette in crisi la definizione classica della bianchezza dei cigni. Sono i limiti del procedimento induttivo, perché c’è sempre la possibilità che un fatto nuovo faccia crollare le nostre pretese di aver finalmente compreso la realtà.

Per evitare questi inconvenienti ci si può affidare a definizioni che hanno il merito di offrire fondamenti più sicuri ai nostri ragionamenti ma che espongono tuttavia il pensiero al rischio di rinchiudersi dentro vere e proprie gabbie interpretative. Le definizioni generali mettono ordine nel pensiero e nel discorso ma rischiano di imprigionare l’esistente dentro visioni rigide e rischiano pure di aprirsi ad una prospettiva scivolosa, tendente al pregiudizio. È questo che capita quando pensiamo e raccontiamo l’umanità secondo categorie di età, di nazionalità, o secondo altre possibili forme di appartenenza in cui è necessario essere riconosciuti. Viene da chiedersi allora se questi meccanismi del pensiero non siano un ostacolo al bisogno di comprendere davvero la complessità dell’esistente, le molteplici forme del nostro abitare la vita, le molteplici forme di appartenenza che, nel nostro vivere e convivere, si intrecciano e si contaminano tra

di loro. Le categorie identitarie generano rappresentazioni culturali di ciò che siamo, e di conseguenza anche modelli predefiniti di comportamento, necessari per il riconoscimento sociale, ma in cui anche noi, in prima persona, siamo sollecitati a riconoscerci. Possiamo ben chiamarle gabbie culturali. L’effetto di queste gabbie identitarie, di cui sopravvivono ancora molte tracce, lo si è visto bene all’opera nella storia delle donne. Oggi è la volta dei giovani: si è parlato tanto dei problemi dei giovani durante la pandemia e si parla sempre più di violenza giovanile. Anche loro sono pensati dentro generalizzazioni identitarie in cui si moltiplicano i luoghi comuni, quando non addirittura i pregiudizi. Anche loro sono oggetti del solito meccanismo del pensiero: le donne sono state pensate dagli uomini, loro, i ragazzi, lo sono da chi giovane non lo è più. E ciò perché, da sempre, la diversità viene misurata rispetto a un modello ideale. Si vuole spiegare, capi-

re, ma intanto si giudica. È una vecchia storia, ben radicata nella nostra civiltà. Basterebbe ricordare Aristotele quando descrive la donna nel suo essere diversa dall’uomo e, misurandola rispetto a lui, ne stabilisce un’identità sempre mancante. Così, anche il tema fondamentale dell’educazione dei giovani quasi sempre viene affrontato pensando già all’adulto che diventerà. Da Platone a Rousseau, a Leopardi e oltre, possiamo imbatterci in tante diverse rappresentazioni dei giovani e della giovinezza. Nel mare magnum di tanti sguardi differenti corriamo davvero il rischio di naufragare e di non riuscire a dire qualcosa di sensato su che cosa significhi essere giovani, o meglio essere giovani oggi. Oggi, sì, perché la prima cosa da fare è cambiare la domanda identitaria che ci perseguita da sempre. Invece di chiederci chi siamo? Proviamo a chiederci dove siamo? Può diventare allora interessante par-

lare dei giovani chiedendosi dove sono, in quale mondo si aprono alla vita. Sono, oggi, in una società che li convoca ad esibire competenze senza lasciar loro il tempo di entrare in contatto con sé stessi. Sono dentro ad un mercato della vita che chiede loro di esibirsi sulla scena del mondo, prima ancora di poter esporre il proprio animo a sé stessi, nell’intimo incontro con la vita, nel luogo dell’apertura, sulla soglia di ogni inizio, nel momento inaugurale di un tempo che è tutto futuro. Ma il futuro oggi appare più una minaccia che una promessa. Spegne lo sguardo e accoglie il disincanto. Per resistere a questo contesto inospitale i giovani hanno bisogno di voce per dire (o anche urlare) quello che sanno e possono essere, qui e ora. Non sono e non si sentono in attesa. Sarebbe buona cosa ricordarsi anche di questo quando parliamo di loro, per esempio, quando dovremo riconoscere o negare il voto ai sedicenni.

Terre Rare

di Alessandro Zanoli

eTax alla prova ◆

Mancano pochi giorni alla scadenza del termine per spedire la dichiarazione dei redditi e sarà interessante sapere in futuro se la nuova modalità di compilazione, che ne permette l’invio telematico, ha trovato molti proseliti. Del resto la praticità del software ideato dai tecnici della Divisione delle contribuzioni è tale che proprio la ristrettezza dei tempi ne consiglierebbe l’uso. Chi si cimenta per la prima volta troverà forse un po’ ostico il confronto con lo strumento. Volendo prenderla con un po’ di ironia, la compilazione elettronica della dichiarazione dei redditi può paragonarsi a un videogame di avventura. Le prove da superare per l’utente sono molte e non tutti i passaggi della procedura sono scontati e intuitivi. Il momento di suspense più intenso è forse quello finale, l’invio online della dichiarazione stessa. Questo passaggio, la cui implementazione

si attendeva da tempo, rende il sistema di tassazione telematica finalmente completo. Tra il compilatore e l’autorità di controllo non si frappone più la necessità di stampare i vari moduli, cosa che rendeva l’«esercizio elettronico» tutto sommato un po’ superfluo. Senza dubbio la funzionalità più utile di questo sistema di compilazione è la possibilità di recuperare in automatico i dati delle precedenti dichiarazioni, risparmiando così una certa quantità di tempo. Chi volesse per la prima volta accingersi all’esperienza avrà bisogno, come detto, di un certo investimento di risorse intellettuali e di pazienza per impratichirsi e capire «la logica» del software. Nessuna novità invece per chi già negli scorsi anni aveva scelto di utilizzarlo: il sistema è quello di sempre, nella sua schematicità. Le varie pagine della dichiarazione sono riportate nel menù di navigazione

e, selezionando il loro numero, è possibile spostarsi all’interno delle varie voci da compilare. Qui dà il meglio di sé la funzionalità utilissima del calcolo automatico delle somme: un contributo essenziale che rende apprezzabile (per quanto possibile, viste le sue finalità non sempre molto simpatiche) l’uso di questo strumento digitale. Ripetiamo: è prevedibile che chi si metta la prima volta ad affrontare il programma possa sentirsi spaesato e preoccupato. Come sempre l’eccesso di opzioni spaventa e mette di fronte a un gran numero di dubbi. Il consiglio è di partire con pazienza leggendo il manuale d’istruzioni in pdf, scaricabile dal sito del Cantone all’indirizzo www.ti.ch/dfe/dc/dichiarazione/ etax-pf. La Guida completa eTax è ben fatta e aiuta a visualizzare i passaggi minimi necessari ad affrontare l’impegno. Sarebbe interessante sa-

pere se qualche associazione o ente di volontariato ha previsto tra le sue attività quella di fornire corsi introduttivi all’argomento. Ci sembra importante. Al di là degli aspetti sicuramente positivi (velocità di compilazione, praticità nella ripresa dei dati di base, chiarezza complessiva nella visione d’insieme della propria situazione fiscale) ci sono problemi collaterali da considerare. Quello minimo è legato alla «trasportabilità» dei dati raccolti: visto che i computer invecchiano e i sistemi operativi si aggiornano modificandosi, è fondamentale decidere come e dove conservare i file del programma, per poterli recuperare l’anno seguente. Altra cosa importante è poter contare su una connessione internet efficiente per la trasmissione dei dati: a noi è successo ad esempio che, dopo una mattina di lavoro, proprio una panne del sistema di comunicazione rendesse impos-

sibile l’invio. Infine va considerato che la procedura non è ancora completamente informatizzata: al termine del lavoro di compilazione veniamo infatti invitati a stampare e firmare un modulo che dovrà essere spedito, in lettera affrancata, all’autorità fiscale per convalidare il nostro invio telematico. Occorre quindi avere a disposizione una stampante, cosa non sempre ovvia nelle moderne economie domestiche. Detto tutto ciò, la valutazione dell’esercizio (una volta superate tutte le inevitabili preoccupazioni e gli inghippi) ci sembra positiva e «sostenibile»: chi l’utilizzerà difficilmente tornerà al vecchio sistema. Va considerata però, secondo noi, la necessità di spiegare meglio il funzionamento del sistema agli utenti che hanno meno dimestichezza con l’informatica. Un tema di cui si parla da tempo ma che in futuro sarà sempre più urgente.

La nutrizionista

di Laura Botticelli

Una pizza al carbone per digerire? ◆

Gentile Laura, non so se posso farle questa domanda o no, ma siccome riguarda il cibo provo a sottoporgliela. Ho  anni e soffro di difficoltà digestive e gonfiore. L’altra sera sono uscito a mangiare una pizza con amici e ho provato quella al carbone e non mi ha recato il fastidio abituale, che temevo. Ne ho parlato con una mia amica e mi ha detto che lei prende spesso il carbone attivo per aiutarla a digerire. Cosa mi sa dire in merito? Potrei prenderlo pure io? Ha effetti collaterali? / Sandro Gentile Sandro, il carbone vegetale o carbone attivo è una polvere ottenuta dal legno carbonizzato ed è quindi una sostanza organica naturale. Nel , l’Efsa (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) ha dichiarato che l’uso del carbone vegetale è privo di rischi e quindi viene utilizzato in qualità di integratore alimentare e come additivo di tipo colorante.

Gli integratori a base di carbone vegetale sono effettivamente consigliati per il trattamento dei disturbi intestinali quali flatulenza e gonfiore, grazie alle sue proprietà di assorbimento. Ha un effetto benefico quando viene consumato in dosi da  grammo almeno  minuti prima di un pasto e subito dopo. Per la preparazione dei prodotti da forno vengono utilizzati invece - g di carbone vegetale per ogni kg di farina, ciò significa che le quantità che vengono utilizzate e consumate sono intese più come additivo di tipo colorante e non è ancora possibile dire a livello scientifico se fornisce effettivamente benefici per la salute usato in questa maniera. La sua aggiunta come colorante nei prodotti da forno ha una funzione dubbia anche perché non è ancora noto se questi benefici siano ugualmente presenti nel momento in cui il carbone vegetale viene inserito come

ingrediente in una matrice alimentare complessa come può essere una pizza. Nell’Unione Europea, dal  ne è vietato l’utilizzo nel pane e nei prodotti simili come appunto la pizza e la focaccia, perché in essi la normativa prevede il divieto assoluto di utilizzo di coloranti e additivi in generale. Il suo utilizzo è permesso invece in quelli che vengono definiti «Prodotti da forno fini» che includono principalmente prodotti di pasticceria e alcuni prodotti salati, e ne è possibile l’utilizzo sulla base della formula del «quanto basta». In questo caso è comunque vietato vantarne gli effetti benefici per il corpo umano. In Svizzera invece lo si usa ancora come additivo colorante (E) e quindi lo si trova in alcune pizzerie come alternativa alla normale pizza. A livello di salute le uniche controindicazioni sono che il carbone vegetale ha la capacità di legare tutto ciò che

transita lungo il canale digestivo, anche sostanze nutritive come alcune vitamine e minerali, così come i farmaci, rendendoli inaccessibili. Per quel che concerne invece l’ambito alimentare non ci sono controindicazioni per il consumo di alimenti integrati con il carbone attivo. Tuttavia, proprio a causa della loro azione anti-nutrizionale, si raccomanda di evitare di consumarlo se si assumono contemporaneamente farmaci durante i pasti o se si ha una condizione critica relativa al proprio stato nutrizionale. Per concludere e rispondere a tutte le sue domande le posso dire che non conosco il suo stato di salute attuale e se assume farmaci, quindi le consiglio di parlarne col suo medico di famiglia per sapere se sia il caso di prendere o no il carbone attivo. Per quel che concerne la pizza non so dirle come mai non le abbia dato fastidio, poiché i fattori possono essere davvero mol-

ti, tra cui il suo semplice essere particolarmente in forma quella sera, o il non aver assunto alcolici (la famosa birra che molte persone preferiscono mangiando una pizza, può dare fastidio alla digestione) oppure la qualità delle materie prime aggiunte alla pizza… Direi infine che anche il tipo di pizza scelta può incidere: la semplice «Marinara» è sicuramente più leggera di una «Crudo e mascarpone». Ad ogni modo, se si è trovato bene e la sua salute glielo permette, può sempre ritornarci un’altra volta e mangiarla per togliersi la voglia di pizza senza, le auguro, i noiosi «effetti collaterali». Informazioni Avete domande su alimentazione e nutrizione? Laura Botticelli, dietista ASDD, vi risponderà. Scrivete a lanutrizionista@azione.ch


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Anno LXXXV 25 aprile 2022

TEMPO LIBERO

azione – Cooperativa Migros Ticino 15

Ristorazione: abbattiamo la crisi La delivery non sostituirà mai il servizio al tavolo, ma servirà per migliorare i conti

L’avamposto delle Alpi meridionali La Variante Gianola è il tratto più ripido e difficile del tracciato per raggiungere la vetta del Monte Generoso

Crea con noi Una collana fatta interamente a mano tessendo filati di vario tipo, un regalo perfetto per la festa della mamma

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Immagine di copertina del libro di Danilo «Maso» Masotti.

La saggezza dell’umarell Tra il ludico e il dilettevole

Da figura dell’immaginario popolare a caso mediatico esemplare

Sebastiano Caroni

La plasticità della mente in un’età nella quale fare progetti conta più delle esperienze consolidate è, da un certo punto di vista, una condizione invidiabile. Forse proprio in virtù della loro malleabilità congenita, i giovani, differentemente dagli adulti di una certa età, sono molto più esposti all’influenza delle mode, e ne sono sovente gli iniziatori. La pubblicità li coccola e li sommerge continuamente di attenzioni, la musica rock celebra la loro libertà, il loro spirito ribelle, e la tecnologia sollecita il loro estro imprenditoriale. Dal canto suo, il cinema strizza l’occhio alla loro irrequietezza, e l’industria dell’abbigliamento flirta con il loro gusto estetico e la loro volubilità. La civiltà dell’immagine esalta la gioventù di corpi tonici, mentre i prodotti di bellezza si incaricano di conservarli il più a lungo possibile. Dai giovani, e dalla loro impetuosità, ci si attende creatività, innovazione, e l’elaborazione di nuovi standard di pensiero e di comportamento. Dai giovani, in poche parole, ci si attente il futuro. Tuttavia, a volte la vita ci insegna che le esperienze consolidate hanno più peso dell’impulsività sregolata. In questi casi allora è meglio affidarsi all’abitudine, all’analisi ponderata, alla scelta accorta. L’esperienza vissuta diventa, così, un bagaglio di saperi affinati nel tempo, una bussola per

navigare con fiducia verso un futuro incerto. In molte culture non occidentali il sapere vissuto, l’esperienza acquisita sul campo, contano ancora molto: costituiscono la base di una saggezza diffusa a cui ispirarsi in caso di bisogno. Dalle nostre parti, invece, in questi tempi pazzi, la saggezza sembra decisamente in debito d’ossigeno. Sarà forse perché gli Stati, i politici, e altre istanze pubbliche sono in crisi di credibilità. Sarà che la rete, sempre pronta a suggerirci risposte a ogni genere di domande, non ci lascia neppure il tempo per pensare. Sarà perché i complottisti, e i dogmatici, sono sempre dietro l’angolo, ed è diventato difficile fidarsi, e affidarsi, a punti di vista assennati. L’impressione è che sia diventato arduo reperire delle figure che esemplifichino una saggezza aderente alle cose e ai ritmi del quotidiano. Ecco perché, nella bruma che contraddistingue il presente, la nostra attenzione è stata catalizzata da un personaggio pittoresco che distilla alla perfezione gli ingredienti di cui si pregiano le pagine che dedichiamo al tempo libero: spensieratezza, svago, passatempi, passioni personali e, perché no, anche saggezza quotidiana. La figura che abbiamo in mente è quella dell’umarell, termine che deriva

dal bolognese «umarel», il quale significa letteralmente ometto: forse di primo acchito la parola non vi dice nulla ma, una volta precisati i suoi contorni, la troverete familiare. Chi non ha mai notato, in prossimità di un cantiere in attività, degli anziani signori che, le braccia incrociate dietro la schiena e il corpo leggermente piegato in avanti, assistono e osservano? Osservano, perlopiù, l’attività del cantiere: movimenti e operazioni compiute da squadre di operai che consentono, nel migliore dei casi, di cogliere la magia di un paesaggio che cambia, che si trasforma, che si concretizza in una forma architettonica sempre più precisa. Chi, fra di voi, si è mai prestato – anche solo distrattamente –, all’esercizio dell’osservare un cantiere sa che, di fronte a certi crateri a cielo aperto, ai grandi vuoti scavati nella terra, e a certi movimenti degli operai che, da lontano, sembrano formiche tanto sono piccoli, non può non aver avvertito un’atmosfera di sospensione, una forza ipnotica e misteriosa. Anche al nostro umarell sarà successa più o meno la stessa cosa: fermo al bordo di un grande cantiere in una città che conosce come le sue tasche, un bel giorno persino il più smaliziato fra gli umarell è stato travolto dalla consapevolezza. Inaspettatamente,

ha sperimentato un’epifania da cui ne è uscito con la certezza assoluta – assai rara in questi tempi difficili –, di aver trovato il passatempo ideale. E da quel giorno, fedele a tale importante rivelazione, attratto e prigioniero di una misteriosa forza ipnotica, è tornato con quotidiana devozione in quei luoghi: affinando, sul filo delle stagioni, l’arte di osservare. Ma torniamo alla genesi della parola: il raddoppiamento della consonante alla fine del termine umarell – rispetto al termine bolognese di partenza che, come ci informa l’enciclopedia Treccani, ha una sola «l» –, nasconde una vicenda molto interessante. Con il micro-cambiamento nel nome – che al plurale prende la «s» e, anglicizzandosi, assume una dimensione internazionale – si manifesta in realtà la creazione di un personaggio prima, e poi di un brand. A regalare visibilità alla figura dell’umarell ci pensa soprattutto il musicista e conduttore di programmi radio e TV Danilo «Maso» Masotti con il libro Umarells, edito da Pendragon di Bologna nel , poi ristampato in edizione ampliata nel . Sempre Masotti, vero e proprio catalizzatore del fenomeno, pubblicherà poi a cadenza regolare altri volumi dedicati al tema. Nel  arriva il primo gadget: l’azienda Superstuff commer-

cializza statuette in miniatura a uso degli architetti che, lavorando ai loro progetti direttamente sul loro computer, possono beneficiare della supervisione simbolica di questi anziani in miniatura che osservano i cantieri digitali in formazione. Il fenomeno, intanto, non passa inosservato neanche al cospetto della stampa internazionale, tanto che il britannico «The Times» nel gennaio  gli dedica un ampio servizio. Nel frattempo, la crescente popolarità della figura dell’umarell – a cui Fabio Concato dedica anche una canzone nel maggio del  – fa sì che il termine, con le sue sfumature semantiche, entri nei più importanti dizionari di lingua italiana. Il caso dell’umarell – la sua ascesa e la risonanza mediatica di cui ha beneficiato – è una bella success story: ma è anche, forse e soprattutto, una fortunata anomalia, interessante nella misura in cui va controcorrente, smentendo la proverbiale tendenza del culto della gioventù a tutti i costi. L’umarell ci ricorda altresì che – in un mondo che corre sempre di più e che è sempre meno incline alla riflessione –, prendersi il tempo per osservare, e rimanere con i piedi per terra, sono due atti potenzialmente rivoluzionari. La prossima volta che passate accanto a un cantiere, pensateci: potreste essere voi, il prossimo umarell.


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TEMPO LIBERO

È iniziata l’era della delivery Gastronomia

Non è l’unica soluzione per la crisi della ristorazione, ma una delle più utili per compensare i periodi più duri

Quali ricette deve scegliere un ristorante? Una cosa è sicura, mai (o rarissimamente) quelle che serve abitualmente. Una cosa è finire un piatto, impiattarlo al meglio e portarlo a tavola; altro è un piatto che comunque si sbatacchia durante il trasporto. I clienti della delivery lo sanno bene, quindi, come dire, badano di più al sodo, alla sostanza (e all’abbondanza) che alla forma. Quindi un bravo ristoratore deve inventare ricette adatte alla delivery. Poi, che un corriere consegni a un cliente dei piatti durante le ore del servizio non crea problemi. Mentre preparare i piatti al momento del servizio, i problemi, li crea. Per fortuna esistono gli abbattitori e il sottovuoto, che tutti i cuochi oramai sanno usare. Quindi questi piatti meglio prepararli nelle ore di poco o nullo lavoro. Secondo me, tre saranno le caratteristiche dominanti per avere successo con la delivery: puntare sui clienti fedeli e sul quartiere, ovviamente facendo leva sul proprio nome; consegnare con personale proprio, e ben vestito, e garbato, cosa che vale moltissimo; packaging dignitoso ma senza esagerare: fondamentali sono il nome e l’immagine del ristorante, però il fatto di sigillare la vaschetta da asporto, che protegge il piatto, dà un valore aggiunto cospicuo. Aggiungiamo poi, che sarebbe necessario cavalcare al meglio i mini-banqueting, riassumibile con «la filiera» dalla cucina alla tavola. Molti clienti amano i piatti da montare, ma non vogliono (o non sanno) farlo, soprattutto per una cena da sei persone in su. In questo caso sarebbe ideale mandare un addetto del ristorante che porti il cibo, lo finisca, lo serva e poi se ne vada. Io credo moltissimo in questo tipo servizio. Attenzione: perché il tutto funzioni, e bene, si devono investire in termini di tempo tanto, di idee tantissimo e di soldi… meno.

Come si fa?

Bob Walker

Questi due anni di pandemia sono stati duri per la ristorazione, e la ripartenza è più lenta del previsto, causa crisi. Tutti i ristoranti, chi più chi meno, sono stati danneggiati. Anche se alcuni di questi hanno saputo gestire al meglio un aspetto da sempre trascurato: la delivery, con il suo fratello take-away. Tutti utilizzano oramai questi termini inglesi, comunque, la delivery è la consegna a un cliente di un pasto che ha ordinato; se il cliente viene a prenderlo, invece, si dice take-away. Il dubbio di molti è: la delivery è davvero la soluzione della crisi che colpisce la ristorazione oggi? La risposta è no, non è «la soluzione». Ma è «una soluzione», una delle tante cose che un ristorante deve saper gestire per affrontare al meglio i problemi. Da sola, senza tutti gli altri interventi legati a un ottimale controllo di gestione, non basta. Serve soprattutto flessibilità e capacità di adattarsi agli eventi, senza le quali non si va da nessuna parte. Tuttavia, aiuta, e molto, il fatto che il «margine di contribuzione lordo» della delivery sia più che positivo. Sintetizzando, giustamente un patron può, anzi, deve fare tutto e di tutto, se porta soldi. Quindi la delivery non sostituirà mai il servizio al tavolo, ma sarà un qualcosa in più che serve per migliorare i conti. La suddivisione ormai consolidata della delivery è in tre parti: delivery di piatti freddi, pronti da mangiare a temperatura ambiente; delivery di piatti che richiedono solo di essere scaldati in forno, sia classico sia a microonde; delivery di piatti che il cliente deve «montare» a casa: ovviamente in pochi minuti, tipo mandare del riso da (finire di) cuocere con un sugo da aggiungere. Fa eccezione, almeno qui in Italia, la delivery della pizza, che deve essere consegnata calda quindi in pochi minuti: solo una pizzeria molto vicino alla casa del cliente riesce a farlo.

wtop.com

Allan Bay

La volta scorsa vi ho raccontato come si fanno tre contorni. Eccone altri tre. Verdure miste gratinate alla panna (ingredienti per  persone). Cuocete  g di verdure miste tagliate a piacere a vapore per  minuti: un po’ di meno quelle tenere, un po’ di più

quelle dure, comunque meglio utilizzare verdure con tempi di cottura non troppo dissimili una dall’altra. Se avete tempo, prima sbianchitele, ovvero gettatele in acqua bollente salata, scolatele dopo  minuti in acqua e ghiaccio, così bastano  minuti di cottura.Sistematele in una pirofila unta di burro e regolate di sale e pepe. Irrorate con  dl di panna e cospargete con abbondante grana e pangrattato. Cuocete in forno a °C per  minuti o fino a doratura. Verdure miste al curry e zenzero (per ). Cuocete le verdure al vapore come indicato nella ricetta precedente. Mettetele in una casseruola con un filo di olio. Saltatele, unite un bic-

chierino di vino bianco secco e  cucchiai di soffritto di cipolle e cuocete per pochi minuti, unendo poca acqua bollente se necessaria. Cospargete con un cucchiaino di zenzero in polvere e  cucchiaini di curry in polvere, quindi cuocete ancora per  minuto, regolate di sale. Alla fine, fuori dal fuoco, legate con  vasetto di yogurt intero meglio se tipo greco. Verdure miste al pomodoro (per ). Procedete come dalla ricetta precedente, senza aggiungere zenzero e curry. Alla fine, profumate solo con origano, pepe e altre spezie a piacere e legate con una densa salsa di pomodoro, preparata con abbondante basilico.

Ballando coi gusti

Oggi vi propongo due ghiottissimi e ricchi dolci. Relativamente facili da preparare

Amor polenta

Pavlova al cioccolato

Ingredienti per 4/6 persone: 120 g di farina di mais, 100 g di farina bianca, 60 g di farina di mandorle, 50 g di mandorle bianche intere, 4 uova, 4 tuorli, 160 g di zucchero semolato, zucchero a velo, 200 g di burro, 1 cucchiaino di lievito, 1 pizzico di sale.

Ingredienti per 4/6 persone: 8 albumi, 350 g di zucchero, 3 cucchiai di cacao amaro, 2 cucchiai di maizena, 1 cucchiaio di aceto. Per servire: 400 g di panna, 100 g di mascarpone, 3 cucchiai di marmellata di arancia, 2 cucchiai di zucchero, cioccolato in scaglie, spicchi di arancia.

Montate il burro ammorbidito fino a renderlo spumoso. Aggiungete lo zucchero, il sale e lavoratelo fino a rendere il composto gonfio. Sbattete i tuorli e le uova intere ben fredde e incorporatele al composto continuando a montare. Setacciate la farina bianca con il lievito e la farina di mais. Amalgamate al composto la farina di mandorle e infine le farine setacciate. Lavorate l’impasto fino a renderlo omogeneo. Tritate le mandorle grossolanamente con un coltello. Imburrate lo stampo scannellato per amor polenta o uno stampo da plum cake e infarinatelo. Cospargete il fondo con la granella di mandorle. Versate l’impasto nello stampo. Cuocete a ° per  minuti. Lasciatelo raffreddare e servitelo spolverato con zucchero a velo.

Montate gli albumi con metà dello zucchero e unite il resto, poco per volta, sempre montando. Incorporate l’aceto, il cacao e la maizena setacciati. Sistemate la meringa sulla placca rivestita di carta da forno e cuocete a °C per  ora. Lasciate raffreddare. Montate la panna ben fredda con il mascarpone prima a bassa velocità e poi ad alta velocità. Unite lo zucchero e la marmellata e terminate di montare. Sistemate la meringa cotta su un piatto da portata e guarnite con la panna montata, gli spicchi di arancia e le scaglie di cioccolato.


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La fiabesca variante Gianola

Alpinismo ◆ Lungo la via delle guardie, sulle orme dei contrabbandieri, una camminata immersa in un fitto strato di nuvole per scorgere infine la vetta del Monte Generoso Jacek Pulawski, testo e foto

Motivato dalla volontà di ripercorrere la storia della nostra regione ho voluto mettermi in cammino come facevano all’epoca i contrabbandieri. Le condizioni meteorologiche non sono delle migliori, le nuvole sono piuttosto basse e la visibilità è scarsa. Il tratto da Rovio fino alla baita di Perostabbio situata a  metri ha le sembianze di una classica passeggiata nel bosco. Nonostante la ripidezza del percorso non sia tra le più impegnative, l’ostacolo maggiore è dato dal fogliame depositatosi nel corso dell’ultimo autunno. Il rischio di slogare le caviglie finendo in uno dei buchi ricoperti di foglie umide è alto, un fattore che mi rallenta notevolmente la salita. Il Monte Generoso, avamposto delle Alpi meridionali, è un massiccio calcareo che raggiunge i  metri slm e domina l’intero Mendrisiotto. La sua imponenza lo rende visibile da ogni angolo del Luganese. Nasce dalla Pianura Padana, e sancisce l’inizio della catena alpina. Di notevole importanza geologica e naturalistica nazionale, nel  è stato dichiarato dalle autorità del canton Ticino «zona protetta». I suoi affioramenti, come quelli del San Giorgio, sono costituiti da depositi sedimentari triassici e giurassici datati intorno ai  milioni di anni or sono. Nel corso di questo lasso di tempo si sono sviluppati intensi fenomeni erosivi formando il più grande sistema carsico della Svizzera meridionale. Le grotte che ne derivano sono elemento di numerosi studi che portano alla luce particolari conformazioni di rocce, fossili e scisti. Dopo circa un’ora di cammino giungo alla baita, un luogo adatto per riprendere il fiato e orientarsi sul proseguire. Si tratta delle più classiche delle cascine di montagna attrezzata per fornire un riparo agli escursionisti sorpresi dal maltempo. In un angolo trovo dei materassini e delle coperte. Anche la stufa sembra essere funzionante e le pentole pulite, a testimonianza del fatto che qualcuno se ne prende costantemente cura. Dal lato botanico, il Monte Generoso vanta  specie vegetali di essenze rarissime e fiori di quasi tutti i climi europei, assumendo così il ruolo di capsula del tempo: qui, molti scienziati arricchiscono le loro conoscenze ed approfondiscono i loro studi. Dall’unione delle valli d’Intelvi e quella di Muggio sorge la vetta che si trova sul confine italo-svizzero, rendendola particolare anche dal lato geografico. Questo scenario fiabesco ha disegnato le storie di vita di molta gente: dai boscaioli ai fienaioli, dai contrabbandieri alle guardie di confine. Fino a settant’anni or sono, il Mon-

te Generoso è stato il palcoscenico di un grosso traffico di contrabbando. I boscaioli, che conoscevano la montagna nei minimi dettagli, erano i diretti protagonisti delle operazioni di traffico tra i contrabbandieri italiani e svizzeri. In un epoca in cui non si conoscevano né GPS, né visori notturni a infrarossi, essi servivano come guide per eludere i controlli e organizzare gli incontri dove venivano finalizzati gli scambi di merce. Secondo gli archivi storici, tra le merci più gettonate vi furono il riso e i copertoni delle biciclette. Si riporta che nei primi dieci mesi del  furono sequestrati circa mila kg di riso, mentre la stima del traffico mensile era di circa mila kg. Giornalmente lungo il percorso della frontiera sud transitavano  uomini da soma carichi di riso. Tra le ripidissime pareti di Rovio e Arogno i contrabbandieri hanno aperto vie difficilissime, caratterizzate da strettissimi orli e strapiombi che costavano la vita a parecchi malcapitati. Molti passaggi erano intuibili e i boscaioli della zona erano gli unici a conoscerli. Per contrastare queste operazioni illegali il corpo delle guardie di confine si è dovuto reinventare. Una delle misure intraprese fu la definizione di un nuovo passaggio che permettesse alle guardie di raggiungere tempestivamente la vetta senza dover sconfinare in territorio italiano. Nel  il capitano delle guardie Angelo Gianola tracciò il sentiero successivamente denominato con il suo nome. Si trattava di un’ardua via orizzontale che attraversava tutta la montagna dalla Val Mara, passando sotto la Camoscia, la Piancaccia, Perostabbio giungendo fino al bosco della Coratella e l’Alpe di Melano. Una via con alcuni pas-

saggi pericolosi che parte circa a una quota di  metri fino alla vetta del Monte Generoso. Grazie al sentiero Gianola, le guardie potevano sorvegliare al meglio il traffico turistico e quello delle merci, osteggiando talvolta il contrabbando del bestiame. Verso la fine degli anni Settanta la postazione delle guardie fu abbandonata

e, con essa, anche le attività di controllo. Così il sentiero Gianola, o la Variante venne ufficialmente chiusa. Da quel momento a frequentarla erano soltanto alpinisti pratici e preparati. Oggi, grazie alla Società alpinistica di Mendrisio il sentiero Gianola è stato di nuovo ripristinato per gli escursionisti. Intanto la nebbia sta scendendo

di quota togliendo ulteriore visibilità al sentiero che da questo momento viene segnalato con la striscia blu. E qui che comincia la Variante, il tratto più ripido e difficile del tracciato. Su uno stretto sentiero, esposto talvolta ai precipizi, giungo dinanzi a numerosi torrioni stratificati che risuonano di fischi sotto le forti raffiche di vento. Immerso completamente della nebbia, in un’atmosfera delle più suggestive, riesco a scorgere il bivio del sentiero. Il Canale del Falco punta verticalmente alla parete di colonne di cui non mi fido. Decido di proseguire sulla variante che è la via più diretta verso la vetta. Si tratta dell’ultimo pezzo di tragitto che presenta le parti più insidiose, per la maggior parte stretto ed esposto a dirupi rocciosi. Nel frattempo emergo dal fitto strato di nuvole riuscendo a scorgere finalmente la vetta del Monte Generoso. Sulla terrazza incontro degli escursionisti arrivati dal versante italiano e, godendomi l’infinità di nuvole che ricoprono il panorama, ripenso alle numerose storie di boscaioli, contrabbandieri e alle guardie di confine… Informazioni Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica Annuncio pubblicitario

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La collana tessuta Crea con noi

Per la festa della mamma stupitela con un «gioiello» fatto completamente a mano

Giovanna Grimaldi Leoni

nasconderli facendoli passare nella trama creata. Applicate al centro del tessuto un piccolo cuore in panno con qualche punto cucito a mano, quindi decoratelo a piacere con perline, strass, o piccole paillettes. Rifinite anche il retro applicando un rettangolo di panno dello stesso colore poi rifinite il bordo superiore con una piccola striscia piegata in due sempre cucendo a mano. Potete ora decidere di montare quanto creato come collana oppure farne una spilla aggiungendo l’apposito fermaglio sul retro. Questa settimana vi proponiamo di creare una piccola collana tessile o una spilla dall’aria romantica, tessendone le trame con filati di diverse consistenze e decorate con piccoli cuori impreziositi da perline e strass. Un’idea originale per regalarsi un momento di creatività oppure per stupire la mamma in occasione della sua festa, donando così non solo un oggetto ma qualcosa di unico e prezioso creato con affetto con le proprie mani. Procedimento Ritagliate dal cartone un rettangolo di xcm. Con penna e righello tracciate su entrambi i lati corti delle linee lunghe cm ogni  mm. Tagliate con una forbice in modo da ottenere

gli incavi in cui far passare i fili per formare il vostro mini telaio. Tagliate ora un filo di cotone lungo ca. ,m non troppo spesso e avvolgetelo verticalmente attorno al cartone facendolo passare dai solchi creati. Iniziate ora a tessere la vostra collana. Potete utilizzare filati di diverso colore e spessore. Lasciate sempre sufficientemente filo all’inizio e alla fine per essere in seguito nascosto con un ago nella trama. Completate tutta la superficie del telaio avendo cura di pressare bene le varie fila tra loro in modo da ottenere un tessuto ben compatto. Tagliate sul retro i fili del telaio e annodateli tra loro, quindi con un ago riprendete tutti i fili e andate a

Cordino per collana: Avviate una fila con  catenelle (o della misura che preferite). ° giro contate  catenelle (che non lavorerete in modo che si formi un asola iniziale) quindi andate a puntare l’uncinetto nella ° catenella. Lavorare quindi tutte le catenelle a punto basso. Chiudete e tagliate il filo. Applicate sul lato opposto all’asola un bottone che infilato nella stessa farà da fermaglio. Fissate il «ciondolo» creato in precedenza al cordino facendolo passare attraverso il rettangolo in panno cucito alla parte superiore o semplicemente fissandolo con qualche punto cucito a mano. La vostra collana è pronta per essere indossata o regalata.

Giochi e passatempi Cruciverba

L’Australia, isole escluse, ad oggi è l’unico continente… Scopri il resto della frase a cruciverba ultimato, leggendo le lettere nelle caselle evidenziate. (Frase: … 2, 5, 5, 7, 6)

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Materiale

• Filati di vario tipo nei colori scelti • Perline di piccole dimensioni in tinta • Cartone da imballaggio • Forbici, righello • Ago da maglia per i filati e ago fine per le perline Per il cordino della collana se desiderate realizzarlo come presentato: • Filato di cotone e uncinetto n. 3,5 • Bottone per la chiusura (I materiali li potete trovare presso la vostra filiale Migros con reparto Bricolage o Migros do-it)

Tutorial completo azione.ch/tempo-libero/passatempi

Vinci una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una carta regalo da 50 franchi con il sudoku

ORIZZONTALI 1. Un lato del castello 3. Pulito, nettato 9. Di questo ne è pieno il borioso 10. Tutt’altro che... oscuro 11. Lo era Pietro il Grande 12. Ossia, per meglio dire 14. Sporco in inglese 15. Un sentimento 16. Strato superficiale del terreno 17. Figlio di Anchise ed Afrodite 18. Bianche quelle di pollo e tacchino 19. Animali da laboratorio 21. Tre isole dell’Irlanda 22. Nel volto e nel mento 23. Ingrediente del cocktail 24. Una fase del sonno 25. I ricchi più poveri VERTICALI 1. Buchi... sulle giacche 2. Moneta bulgara 3. Frutto del gelso 4. Prefisso che vuol dire orecchio 5. Disillude 6. Il nostro giornale 7. Sono insetti 8. Vicino al casale 10. La magia delle streghe 13. Si dividono al bivio 14. Per i nani di Tolkien è il dì più importante 16. Grande prateria delle zone tropicali 18. Vicini al cuore 19. L’attore Nicolas 20. Molti in libreria 22. Dopo il bis 24. Le iniziali del noto Arbore

Sudoku

Scoprite i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.

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Soluzione della settimana precedente Un cliente entra in un bar: «Un succo al fico per favore» – «Mi dispiace non abbiamo succhi al fico». Risposta risultante: «MA IL FICO SONO IO! IL SUCCO ME LO DIA AL MANGO». M A N C U S O

A C C E S O

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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.


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TEMPO LIBERO / RUBRICHE ●

Viaggiatori d’Occidente

di Claudio Visentin

A strisce come le sedie a sdraio ◆

Vorrei raccontarvi due storie di aerei: una recente, l’altra di mezzo secolo fa. Ecco la prima. La compagnia tedesca Condor, specializzata in voli charter per turisti, ha deciso di dipingere la maggior parte dei suoi aerei a strisce, le stesse di ombrelloni, teli da mare e sdraio. «Condor è vacanza. E la vacanza è a strisce» ha dichiarato con leggerezza la compagnia aerea. Il primo volo ufficiale, un Airbus A giallo e bianco, ha trasportato i turisti da Francoforte a Lanzarote il  aprile. Le prossime mete saranno Baleari, Grecia ed Egitto. I cinque colori scelti hanno un significato preciso: verde come un’isola, giallo come il sole, blu come il mare, rosso come la passione e ocra come la sabbia della spiaggia. A strisce saranno anche le uniformi dell’equipaggio, le coperte, gli altri accessori, le carte d’imbarco e la segnaletica in aeroporto. Chissà se an-

che i sedili in business class saranno a sdraio e a righe… Gli inglesi si sono subito inquietati, come se la nuova livrea degli aerei tedeschi fosse una pericolosa dichiarazione d’intenti. Del resto è ancora fresco il ricordo della «guerra dei teli da mare», scoppiata nell’estate del . Nei villaggi vacanza i mattinieri e organizzati tedeschi avevano imparato a occupare le sedie a sdraio più ambite a bordo piscina già nel percorso verso la colazione, con un lancio preciso del loro asciugamano. Non pensate a uno scherzo, le due nazioni turistiche presero la questione terribilmente sul serio tanto che un autista di pullman britannico fu arrestato per aver dato fuoco a dei teli da mare incustoditi, che tenevano il posto a turisti tedeschi. Alla fine il famoso tour operator inglese Thomas Cook fu quasi costretto a offrire ai turisti inglesi la possibilità di pre-

notare le loro sedie a sdraio già prima della partenza, attraverso una mappa digitale interattiva. Il portavoce del tour operator, Peter Frankhauser, dichiarò di averlo fatto perché anche sua moglie lo buttava fuori dal letto all’alba per prenotare i posti migliori. Episodi simili si sono verificati pure in Italia e diversi turisti sono stati pesantemente multati: si trattava quasi sempre di anziani, probabilmente insonni, spediti in avanguardia dal resto della famiglia. E da allora la cittadina balneare di Cecina, in Toscana, considera formalmente un reato occupare spazi in spiaggia prima delle otto e mezza del mattino. La seconda storia ci riporta indietro esattamente di cinquant’anni, al . Fu allora che scoppiò quella che è ricordata come la grande rivolta delle hostess. In quegli anni le assistenti di volo dovevano essere di bell’aspetto; per esempio potevano essere licenzia-

te se superavano, anche solo di poco, il peso forma. Inoltre dovevano indossare abiti succinti e ammiccanti: hot pant, stivali, minigonne, persino abiti di carta nel caso di TWA. Anche nella pubblicità le hostess erano considerate solo per la loro bellezza. National Airlines ebbe un enorme successo con una campagna dove vere assistenti di volo dicevano, per esempio, «I’m Linda. Fly Me». E a metà degli anni Settanta le hostess di Continental dovevano baciare sulla guancia ogni passeggero maschio in partenza. Questa visione sessista, però, oltre a essere sgradevole in sé, creava parecchi problemi, anche di sicurezza. Infatti i passeggeri consideravano le assistenti di volo delle pin-up e non delle professioniste ben addestrate per gestire situazioni di emergenza. L’alcol a bordo non aiutava: i Boeing  avevano un bar nel ponte superiore

dove si poteva anche fumare, con rischio di incendi. Nel , furiose per questo trattamento, un gruppo di hostess inscenò una protesta davanti alle agenzie pubblicitarie di New York che avevano creato le campagne, con cartelli dove si leggeva «Fly Yourself!». Solo negli ultimi anni, anche grazie all’aumento del numero di maschi nell’equipaggio, queste questioni di genere sono state in larga parte superate. E nel , dopo gli attacchi terroristici dell’undici settembre, gli assistenti di volo hanno finalmente ottenuto una licenza come professionisti della sicurezza. Queste due storie, pur così diverse tra loro, mi sembrano proporre una lezione comune: volare è una faccenda terribilmente seria, impegnativa, in alcuni momenti pericolosa; meglio dunque non lasciarsi distrarre da brillanti idee promozionali e d’immagine.

Passeggiate svizzere

di Oliver Scharpf

I tre nastri in beton colorato di Zurigo ◆

Tram numero diciassette, tredici fermate, e una cinquantina di passi per pascolare tra le margheritine sull’erba di un prato in mezzo a due enormi palazzoni a zig zag, soprannominati «la muraglia cinese». Grünau: in questo angolo di mondo in stile cités malfamate, la cui prima impressione però è di una tranquillità estrema, cerco tre sculture percorribili nate nel  (come me). Opera di Ralph Baenziger, classe , architetto e curatore di un museo-galleria in una ex stazione ferroviaria dove raccoglie lasciti di artisti zurighesi misconosciuti come Marianne Wydler, specializzata in nature morte a tema cavolfiori. E alle dieci e mezza di un bel mattino verso fine aprile, trovo – con molta più facilità rispetto alle uova di Pasqua nascoste un tempo in giardino o le morchelle che ricerco, in questo periodo, quasi tutti i gior-

ni – i tre nastri in beton colorato di Zurigo ( m). Oltre il muro, dentro il cortile della scuola elementare di Grünau, parte del quartiere di Altstetten, si delineano nel cielo i loro percorsi inverosimili. Un paio di minuti e li raggiungo; campo libero, pensavo magari a qualche cancello chiuso per via delle vacanze pasquali. Di acqua, sotto i ponti, ne è passata: il beton colorato, senza vernice ma ottenuto attraverso i pigmenti di colore in polvere mescolati al calcestruzzo, è un po’ sbiadito. Eppure rivela dignitoso ancora la sua tonalità rosso terra di siena, giallo senape, e – più difficile, forse, da individuare se non si conosce la loro storia – il blu. Giro irrequieto per catturare con lo sguardo più prospettive possibili e da ogni angolo la si guardi, la prima inufficiale rampa di skate zurighese, è di una bellezza da capogiro. I sal-

Sport in Azione

ti mortali, devono aver fatto, per costruirla. E infatti, le foto del cantiere rintracciate sul «Cementbulletin» del dicembre , svelano delle strutture in legno acrobatiche per la messa in piega di questo «gioiello artistico di grande significato». Gettato in opera, il calcestruzzo che accarezzo ora, vissuto e sciupato ma proprio per questo ancora più grazioso, compie magnifiche giravolte. Se Baenziger si è forse ispirato dalla scultura intitolata Unendliche Schleife () di Max Bill, sorge anche la corrispondenza con il nastro di Möbius: scoperto nel  dal matematico e astronomo tedesco August Ferdinand Möbius, in realtà appare già in un mosaico marchigiano del terzo secolo dopo Cristo. Il loop però qui s’interrompe: la striscia blu, la più breve, a un certo punto termina la sua torsione in aria. E poi è opera aperta, la striscia gialla

nasce dal suolo e continua innestandosi nel muro visto prima che forma diverse anse. Potete entrarci correndo sulla striscia che sale contorcendosi oppure nascondervi sotto il seguente arco, in ombra. Il nascondino è di certo una delle funzioni pensate per questa contorsionistica scultura da gioco. I tre nastri di Baenziger, all’epoca giovane assistente di Walter Moser, artefice di questa scuola mezzo brutalista abbastanza bruttina con quel beton bocciardato deprimente e autore di chiese una più atroce dell’altra, s’incontrano tutti in un perimetro cavo. In origine era uno specchio d’acqua e lì vicino c’è ancora una triste fontanella senz’acqua. Troppo dispendiosa la presenza dell’acqua, pare, ma è una scusa ridicola se si pensa ai costi di tanti obbrobri pubblici. Ad ogni modo per via di quest’assenza

«si omette l’estetico momento del riflesso, ma anche il gioco dell’acqua» osserva Gabriela Burkhalter, urbanista specialista di parchi giochi. Eppure anche senz’acqua e nonostante dei listelli antiskater, questo fantastico ghiribizzo architettonico giocoso sopravvive benissimo. Un ragazzino spuntato da non so dove si lancia a razzo sul pendio in beton blu scolorito, io percorro la scultura nella parte terra di siena: mi sdraio sulla convessità. E così, svaccato al riparo di un giro della morte come quelli delle montagne russe nei luna park, abbraccio con lo sguardo l’insieme di questo brutalismo ginnico. «Tre grosse tagliatelle» le aveva intitolate, in un suo disegno, un bambino di questa scuola dove tra l’altro la lingua madre di alcuni allievi è, per esempio, il tigrino, il telugu o il tagalog.

di Giancarlo Dionisio

Dawn, Vera, Wilma e le altre ◆

Chi sono Dawn, Vera, Wilma e le altre, vi chiederete? Sono quattro sportive, quattro donne, che unitamente ad altre  hanno ispirato una ricerca di Melania Sebastiani, pubblicata poche settimane fa da Bolis Edizioni. Quando ci sistemiamo sul divano per assistere a un grande evento sportivo non ci rendiamo conto di come sia evoluto il ruolo della donna nello sport. Passare da Belinda Bencic a Nino Schurter, da Federica Pellegrini a Marco Odermatt è un fatto normale. O quasi. Solo quando dall’Afghanistan rimbalzano notizie che parlano di donne confinate, marginalizzate, incatenate, costrette a rinunciare allo sport e persino alla formazione scolastica, capiamo quanto queste  pioniere abbiano scritto pagine fondamentali nella lotta per la parità di genere. Sono esempi che travalicano e nobilitano il puro gesto sportivo. Melania Sebastiani dà voce a cam-

pionesse celebrate come la ginnasta Věra Čáslavská , la «sincronette» Esther Williams, o le mammine volanti Fanny Blankers-Koen e Wilma Rudolph. Concede però anche ampio spazio ad altre atlete di cui i media contemporanei hanno perso le tracce, ma che hanno segnato profondamente la loro epoca. Non a caso la sua ricerca si apre con la storia di Hélène Dutrieu. Belga, nata a Tournai il  luglio del , «pronta a scardinare – scrive l’autrice – per terra, per aria e per mare la concezione della sportiva ottocentesca». Ignoro se lei fosse a conoscenza delle opinioni del Barone Pierre de Coubertin sul ruolo delle donne nello sport. Spero per lei che fosse all’oscuro. Il padre dei Giochi Olimpici moderni riteneva che «un’Olimpiade femminile sarebbe impraticabile, ininteressante, inestetica e incoerente». Hélène Dutrieu, soprannominata la Divina, parte dalla bicicletta, con il

preciso obiettivo di correre il più rapidamente possibile. Vince per due anni consecutivi (-) il Campionato mondiale di velocità in pista. Si profila come antesignana di un’altra pioniera, quell’Alfonsina Strada che fu la prima donna a correre il Giro d’Italia… con gli uomini. La voglia di brivido la spinge a mollare la bicicletta per passare ai motori. A inizio Novecento, l’Europa vibra sulle sollecitazioni delle Avanguardie, fra cui il futurismo di Marinetti, in cui il motore è Dio. Mai sazia, mai doma, dopo l’osservazione di un volo di Wright, comincia a immaginarsi in alto. E vola, vola, sempre più su, sempre più a lungo. In Francia le mettono a disposizione un monomotore chiamato «Demoiselle». Il battesimo viene più volte ritardato per alcuni inconvenienti tecnici. Poi, finalmente, il velivolo riesce a innalzarsi. Gli inconvenienti erano tutt’altro che risolti. Il «Demoiselle»

si schianta, ma Hélène ne esce miracolosamente illesa. Un segnale del destino. Per smettere con le pazzie e dedicarsi al ricamo, penserà qualcuno. Manco per sogno. La paura deve essere esorcizzata. La Dutrieu continuerà a volare tra terra, cielo, e mare, quando abbraccerà anche comandi di un idrovolante. Paradossalmente non sarà lei la prima donna a ottenere il necessario brevetto da pilota voluto dallo Stato francese. Hélène è Belga. Non può. Ma non se ne farà un cruccio. Chi è grande scruta orizzonti più vasti e più alti. E così sarà fino alla sua morte, a Parigi, il  giugno del . Lascio a voi le altre ventidue storie proposte nell’interessantissimo volume. Sarà, ne sono convinto, un’avventura piacevole. Per il pathos che traspare dal vissuto di ognuna di queste donne eccezionali, ma anche per lo stile leggero, ricco e al tempo stesso essenziale dell’autrice.

Vorrei concludere con un accenno a una fra le campionesse più conosciute, celebrate nel libro: Cathy Freeman. È stata l’icona dei Giochi di Sydney del . Lei, rappresentante della minoranza aborigena, chiamata dal suo Governo, dal suo Comitato olimpico a fungere da ultima tedofora, colei che ufficialmente avrebbe acceso la fiamma olimpica. In quella circostanza un breve silenzio sepolcrale fu seguito da un boato colmo di emozioni. Quando poi l’atleta australiana scese in pista per i suoi  metri il fragore era allo zenith. Vittoria, oro, il mondo si inchinò al suo cospetto. E così i media. Cathy non poteva dare udienza personale a tutti. Decise di scegliere. Il destino, guidato dalla sua sensibilità , non baciò solo le grandi testate. Anche l’inviata della nostra Rete , guarda caso una donna, ebbe l’onore di trascorrere un quarto d’ora con lei.


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ATTUALITÀ

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La sicurezza alimentare vacilla La crisi ucraina fa lievitare il prezzo del grano con gravi conseguenze soprattutto nelle nazioni più fragili. Ecco cosa succede in Egitto e Tunisia

Quel soprassalto imperiale Quarant’anni fa la Marina militare britannica partiva alla riconquista delle Falkland-Malvinas rivendicate dall’Argentina

AVS, le fragilità rimangono Il disavanzo peserà ancora una volta sulle nuove generazioni, nonostante la riforma prossimamente in votazione

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Conto alla rovescia per il Cremlino

Il punto ◆ Come procede la «fase due» della guerra in Ucraina e le prospettive decisamente poco rassicuranti per l’economia russa Anna Zafesova

L’inizio della grande battaglia del Donbass è stato più volte rinviato, anche se si sa già quando dovrebbe concludersi, almeno nei piani di Mosca: diversi propagandisti e comandanti russi pensano al  maggio, anniversario della vittoria sul nazismo nel . Una data di sontuosi festeggiamenti, con la sfilata nella Piazza Rossa diventata ormai da anni il fulcro della religione laica del militarismo di Vladimir Putin, e l’appuntamento più importante dell’anno per il leader russo. Entro quella data il padrone del Cremlino vuole presentare una vittoria al suo popolo e segnare una svolta in quel conflitto che il suo ministro Sergey Lavrov fa risalire a radici storiche lontane, sostenendo che la Russia vuole ristabilire degli equilibri rispetto a un Occidente «diventato troppo arrogante dopo la Seconda guerra mondiale». E mentre gli attivisti del regime si stavano preparando a una parata della vittoria nella Mariupol martellata dalle bombe russe contro gli ultimi difensori del porto sul mare di Azov, nella regione di Kherson – unico capoluogo ucraino occupato dalle truppe russe – vengono accelerati i preparativi per il «referendum» che dovrebbe proclamare una «repubblica popolare» staccata da Kiev.

Il governo di Zelensky gode del sostegno del 90 per cento degli ucraini e di una solidarietà internazionale senza precedenti Sia Mosca che Kiev parlano della «fase due» della guerra, dopo che gli obiettivi iniziali dell’offensiva su tre fronti lanciata da Putin il  febbraio scorso sono stati fortemente ridimensionati. Il governo di Volodymyr Zelensky non solo non è stato rovesciato, ma è più forte che mai, godendo del sostegno del  per cento degli ucraini e di una solidarietà internazionale senza precedenti. Le truppe russe sono state costrette a ritirarsi dal Nord del Paese, e decine di migliaia di profughi stanno già rientrando a Kiev nonostante gli avvertimenti delle autorità che il pericolo di nuove offensive e soprattutto di attacchi con bombe e missili resta ancora molto elevato. La scoperta di decine di fosse comuni di civili torturati e uccisi – il numero delle vittime degli abi-

tanti della regione di Kiev ha ormai superato le mille persone – è uno dei fattori che stanno bloccando il negoziato in corso da settimane tra russi e ucraini.

Per la Russia è fondamentale ottenere, prima di aprire le trattative, un progresso sul campo che può presentare come una vittoria Il parlamento ucraino ha dichiarato le azioni degli invasori russi un «genocidio» e il presidente Zelensky ha ammesso che dopo la strage di civili, le torture e gli stupri degli abitanti di Bucha, Irpin e Borodianka, la prospettiva di una pace raggiunta per via diplomatica appare più complicata. Il destino della guerra si deciderà dunque sul campo di battaglia, anche perché l’Ucraina è passata alla controffensiva e non vede motivo di fermarsi proprio mentre sta liberando territori caduti in mano al nemico. Per la Russia è altrettanto fondamentale ottenere, prima di aprire la trattativa sulla tregua, un progresso sul campo che può presentare come una vittoria, seppure molto ridimensionata rispetto all’obiettivo iniziale di riportare tutta l’Ucraina sotto la sua mano. Ora il politologo molto vicino al Cremlino Sergei Markov azzarda due scenari. Quello «base» prevede l’annessione dei territori di fatto già conquistati, le regioni di Donetsk e Lugansk, che compongono il cosiddetto Donbass, Kherson (cruciale per la logistica crimeana) e il porto di Mariupol, creando un corridoio che unisca la Crimea e le parti del Donbass annesse già nel . In caso di successo dell’offensiva la Russia potrebbe spingersi oltre (secondo scenario), prendendo Mykolaiv e Odessa a sud e Zaporizzja, Kharkiv e forse Dnipro a est, quindi di fatto spaccando l’Ucraina in due, secondo quella visione nazionalista che vorrebbe dichiarare tutte le zone a prevalenza russofona come «mondo russo». Un progetto che per ora appare di difficile fattibilità e diversi esperti sottolineano come l’offensiva russa che dovrebbe accerchiare l’esercito ucraino nel Donbass sia un’operazione militare di una portata mai vista dai tempi della Seconda guerra mondiale.

Un bambino aspetta il suo turno per ricevere cibo a Bucha, città ucraina a una ventina di chilometri a nord-ovest di Kiev. (Keystone)

Il consigliere della presidenza Ucraina, Oleksiy Arestovich, valida il numero dei russi che oggi partecipano all’invasione in  mila uomini, con almeno un quarto degli effettivi messi fuori gioco, morti o feriti (dati di settimana scorsa). Secondo il sito di monitoraggio Oryx, in due mesi la Russia ha perso  mila mezzi e armamenti pesanti, di cui quasi la metà sono stati catturati dagli ucraini e sono andati a rimpinguare l’arsenale di Kiev. Che si è scoperto pieno di sorprese, come i missili Neptun che hanno affondato l’ammiraglia della flotta russa del Mar Nero, l’incrociatore Moskva. Un colpo talmente umiliante da spingere il comando russo a negarlo, sostenendo che la nave sia affondata a causa di un incendio a bordo, e che tutto l’equipaggio fosse stato messo in salvo. Una bugia smentita immediatamente dai genitori dei marinai di leva, ai quali è stato annunciato che i loro figli erano «dispersi». Secondo le indiscrezio-

ni raccolte dal giornale d’opposizione «Meduza», i morti sarebbero , i dispersi una quarantina e i feriti almeno un centinaio. L’affondamento del Moskva lascia senza copertura antiaerea praticamente tutto il resto della flotta russa nel Mar Nero, rendendo molto più difficile l’eventuale assalto con sbarco a Odessa. Secondo alcune voci, il comandante della flotta Igor Osipov è stato arrestato, e per l’ex oligarca e dissidente Leonid Nevzlin, è andato ad aggiungersi ad altri venti generali incarcerati per ordine del Cremlino. Stessa sorte era toccata prima ai dirigenti del servizio segreto Fsb responsabili dell’Ucraina, e all’ex consigliere strategico di Putin Vladislav Surkov, incaricato negli ultimi anni di tessere i legami con i potenziali politici collaborazionisti a Kiev. Il suo principale alleato, il leader del partito filo russo, Viktor Medvedchuk, il «compare di Putin» che probabilmente avrebbe dovuto venire insediato al governo al posto di

Zelensky, è stato arrestato dall’esercito ucraino mentre tentava di fuggire verso la Russia. Kiev ora propone di barattarlo in uno scambio prigionieri, un’altra umiliazione per il Cremlino. Che non ha più molto tempo a disposizione, non solo per rispettare la scadenza del  maggio imposta da Putin: la governatrice della Banca centrale Elvira Nabiullina ha dovuto ammettere per la prima volta, in un discorso davanti alla Duma, che le sanzioni internazionali cominciano a farsi sentire, e che l’economia russa non potrà reggere a lungo «sulle scorte accumulate». Nabiullina ritiene imminente una «trasformazione strutturale», un eufemismo per un’economia che secondo le proiezioni internazionali dovrebbe contrarsi dell’- per cento, ma soprattutto rischiare di dover tornare alle tecnologie, e ai consumi, degli anni Ottanta, di un’epoca di scarsità di stampo sovietico, che lo sforzo bellico non farebbe che aggravare ulteriormente.


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Egitto e Tunisia di nuovo sull’orlo del baratro Prospettive ◆ A causa della guerra in Ucraina il costo del grano e di altre materie prime ha raggiunto prezzi stellari con conseguenze nefaste per il futuro di molti paesi fragili. Il rischio di tensioni sociali si fa sempre più concreto

Francesca Mannocchi

Il destino della guerra in Ucraina è ancora poco chiaro. L’invio di armi da parte di alcuni paesi dell’Alleanza atlantica, le controffensive riuscite dell’esercito di Kiev e un maggiore impegno diplomatico occidentale fanno sperare in una negoziazione, ma i continui bombardamenti da parte delle forze russe e la crisi umanitaria sempre più allarmante fanno pensare a un conflitto che avrà effetti duraturi nel tempo. Solo a marzo i prezzi mondiali dei prodotti alimentari sono aumentati quasi del %, raggiungendo il livello più alto da quando le Nazioni Unite hanno iniziato a monitorarli nel  (vedi Indice Fao dei prezzi). Un paniere di materie prime composto da cereali, carne e latticini ora costa il % in più rispetto a un anno fa. Sulla scia dell’invasione russa il presidente americano Joe Biden e altri leader a livello internazionale avvertono della carenza di cibo, specialmente nelle nazioni politicamente fragili del Medio Oriente e del Nord Africa.

Solo a marzo i prezzi mondiali dei prodotti alimentari sono aumentati quasi del 13 per cento, un vero record Settimana scorsa la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale, l’Organizzazione mondiale del commercio e il Programma alimentare mondiale hanno lanciato un appello congiunto per «azioni urgenti» al fine di affrontare la crisi incombente. I leader mondiali – hanno sottolineato le agenzie in questione – devono aumentare la produzione agricola delle loro nazioni, astenersi dall’accaparrarsi rifornimenti, fornire aiuti finanziari e spedire cibo e prodotti di emergenza ai paesi più poveri altrimenti si rischia di infiammare gravi «tensioni sociali». L’eventualità di un conflitto prolungato in Ucraina è preoccupante soprattutto se pensiamo agli effetti economici e al pesante contraccolpo sulla produzione ucraina e russa di grano e mais, di cui parte del Nord Africa e Medio Oriente sono dipendenti (i paesi in guerra sono i loro principali fornitori). Russia e Ucraina fornisco-

no quasi il % del grano commercializzato nel mondo, per questo due mesi di invasione russa hanno fatto salire alle stelle i prezzi del grano.

Un forno nella città de Il Cairo. L’Egitto produce quasi 121 miliardi di pagnotte ogni anno a un costo sovvenzionato. (Shutterstock)

Russia e Ucraina forniscono quasi il 30 per cento del grano commercializzato nel mondo. La guerra ha stravolto gli scenari L’Egitto è forse il paese nordafricano che desta maggiore preoccupazione negli analisti. È il più grande importatore di grano al mondo, per questo sta già accusando il peso maggiore dell’aumento dei prezzi causato dalla guerra. L’Egitto importa la maggior parte del grano che consuma (consumo stimato in  milioni di tonnellate all’anno). L’anno scorso Russia e Ucraina hanno fornito rispettivamente quasi il % e il % del grano importato dal paese nordafricano ovvero un totale di , milioni di tonnellate, per un valore di , miliardi di dollari. Una settimana dopo l’inizio del conflitto in Ucraina i prezzi del grano in Egitto avevano raggiunto il valore più alto da  anni a questa parte, ovvero , dollari per staio (misura che corrisponde circa a  litri), che rappresenta un aumento del %, in meno di due mesi. L’Egitto produce , miliardi di pagnotte ogni anno a un costo sovvenzionato di quasi tre miliardi di dollari. Il Paese sovvenziona la produzione di pane da decenni per aiutare la popolazione. Fino al mese scorso circa  milioni di persone beneficiavano di pane e grano sovvenzionati, ma il presidente Abdel Fattah al-Sisi ha annunciato di voler ridurre i sussidi. Poche settimane fa il ministro dell’approvvigionamento del Cairo, Ali el-Moselhy, ha confermato la posizione del governo, affermando che i sussidi a grano, farina e pane saranno gradualmente revocati ma allo stesso tempo ha tranquillizzato i cittadini che vivono in povertà, che si stima siano quasi  milioni di persone, dicendo che non saranno interessati dalle revoche e che continueranno a ricevere i sussidi per il pane. Circa un terzo degli oltre  milioni di abitanti dell’Egitto vive sotto la soglia di povertà e la rimozione dei

sussidi per pane e grano sarà un altro elemento del piano di riforme economiche che il governo sta attuando dal  per ottenere un bonus da  miliardi di dollari con il Fondo monetario internazionale, con l’obiettivo di diventare un mercato libero. Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, l’Autorità generale egiziana per le materie prime ha dovuto annullare due gare per gli acquisti di grano che hanno visto prezzi elevati e poche offerte. Nel frattempo due carichi diretti in Egitto sarebbero rimasti bloccati in Ucraina. È facile prevedere che gli aumenti del prezzo del grano siano destinati ad amplificare il tasso di inflazione già molto aggravato da due anni di pandemia.

Fitch Ratings ha di recente declassato la Tunisia a «CCC», segno che il default del paese è una reale possibilità Anche la situazione in Tunisia, paese in cui  anni fa erano partite le primavere arabe, preoccupa molto gli analisti. Il presidente Kais Saied

sta inviando una delegazione al Fondo monetario internazionale per fare fronte ai buchi di bilancio creati dalla pandemia e ulteriormente esacerbati dall’aumento dei prezzi del cibo e del petrolio. La Tunisia sta affrontando sfide economiche e turbolenze politiche, il presidente Saied l’estate scorsa ha sciolto il parlamento e ha già proposto riforme economiche che il potente sindacato tunisino Ugtt ha definito preludio di futuri scioperi e proteste. I tunisini hanno fatto scorta di cibo in previsione della fine del periodo del Ramadan, a inizio maggio, quando il consumo di cibo aumenterà, ma a prezzi che molte famiglie non possono più sostenere. L’aumento del prezzo del grano (con la Tunisia che dipende da Russia e Ucraina per circa il % della sua fornitura), l’esaurimento delle scorte di semola (ingrediente principale del couscous), e la crescita del costo dell’energia stanno aumentando molto la frustrazione tra i tunisini che devono anche prepararsi a un calo del turismo durante l’estate da parte di paesi che garantivano un grande afflusso, come erano fino alla scorsa estate proprio Russia e Ucraina.

Mentre la guerra fa aumentare il costo del cibo, del carburante e dei fertilizzanti importati dalla Tunisia, il governo di Saied si trova in enorme difficoltà. I prezzi del grano si sono stabilizzati di circa il % al di sopra dei livelli che avevano a febbraio. I prezzi dei fertilizzanti russi hanno iniziato ad aumentare alla fine dell’anno scorso e ora sono più del triplo della media di un anno fa; i prezzi del petrolio superano i  dollari al barile, ben al di sopra della cifra di  dollari che il budget tunisino ipotizzava di dover spendere quest’anno. Questo significa che i costi più elevati potrebbero aggiungere più di , miliardi di dollari di sussidi necessari per la Tunisia e quindi che il paese avrà bisogno di un aiuto finanziario esterno, ma la Tunisia non è in grado di raccogliere fondi sui mercati finanziari globali. Fitch Ratings ha recentemente declassato la Tunisia a «CCC», segno che il default del paese è una reale possibilità. Questa situazione potrebbe diventare un pericoloso mix politico ed economico per il presidente Saied e riportare il paese e tutta l’area intorno indietro di  anni. Annuncio pubblicitario

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I soldi oppure la vita

Angeli dei migranti

Stefano Vastano

Angela Nocioni

Un salvadanaio a forma di porcellino, rotto in più punti. E dalla pancia dell’animaletto in porcellana spuntano delle banconote da  e  euro, e qualche spicciolo. È l’immagine sulla copertina del nuovo libro di Marcel Fratzscher: I soldi o la vita (Berlin Verlag). Fratzscher è uno dei più noti economisti tedeschi, direttore del prestigioso istituto DIW di Berlino. E nel suo libro spiega in modo preciso «come il nostro rapporto irrazionale con i soldi divide la società», per citarne il sottotitolo. Che i tedeschi siano un popolo di accaniti risparmiatori si sapeva. Ma che in economia molto dipenda dalla psicologia, dalle percezioni e dalle paure dei consumatori è un fattore sempre poco considerato quando si tratta di analizzare indici come l’inflazione o il livello dei debiti, privati o di una nazione. Proprio per questo le analisi di Fratzscher sono interessanti, perché puntano a sfatare quelle ossessioni o fobie irrazionali rispetto al denaro accumulate nella tragica storia tedesca. «Che i tedeschi siano un popolo di risparmiatori è vero sì, ma solo in parte», afferma Fratzscher. «Oggi vediamo come i tedeschi risparmino nel modo sbagliato, mentre lo Stato continua a investire toppo poco in infrastrutture e nelle riforme necessarie come quella ecologica e digitale». E tutti questi ritardi in una società in cui, anche a causa della pandemia, la «forbice» tra coloro che posseggono poco niente e la fetta della popolazione più abbiente si è divaricata ancora. I dati economici e sociali al riguardo sono chiari. «Ora – spiega l’economista – il  per cento della popolazione in Germania possiede l’ per cento della ricchezza nazionale. Mentre il  per cento della ricchezza è concentrato nelle mani del  per cento dei più abbienti». Difficile trovare nei Paesi della Ue una «forbice» che taglia il tessuto sociale in modo più drastico e ingiusto.

È una donna elegante. Ha occhi grigi senza una goccia di commiserazione. E mani leggere da infermiera. Si chiama Lorena Fornasir, ha  anni, ha lavorato a lungo come psicologa clinica in ospedale a Pordenone, è stata giudice onorario per le adozioni a Trieste. Ora tutti i pomeriggi va nel piazzale davanti alla stazione centrale di Trieste. Finiscono lì, tra le aiuole vicino alla ferrovia, gli immigrati che arrivano da est (non stiamo parlando di ucraini). «Oltre alla statua della principessa Sissi qui c’era anche una fontanella», racconta. «Gliel’hanno chiusa con la scusa del Covid. Qui arrivano a volte  persone, a volte nessuno, a volte . Sono affamati, assetati, spaventati. Hanno bevuto dalle pozzanghere. Vagato per i boschi, mangiato foglie. Spesso non dormono da giorni. Hanno scarpe rotte, piedi feriti e segni di torture».

Trieste ◆ Ogni giorno Lorena Fornasir accoglie chi scappa dall’orrore insieme ad altri volontari

lavoro pagati non più di  euro al mese esenti da tasse e contributi previdenziali da parte del dipendente, mentre il datore li versa in misura assai ridotta) a fronte di tasse molto lievi per coloro che in Germania ereditano immobili, quote di aziende o capitali. «A dividere ancora più a fondo la società tedesca – continua Fratzscher – c’è un sistema fiscale che tassa fortemente i lavoratori, ma chiede troppo poco ai fortunati eredi». Uno studio dell’istituto DIW calcola che nei prossimi  anni verranno ereditati in Germania in media  miliardi l’anno, e l’imposta sulle successioni ne esige (dai  milioni in su) tra il  e il  per cento ai più fortunati. Insieme ad altri economisti Fratzscher da tempo richiede «una flat tax sulle successioni del  per cento» che porterebbe nelle casse dello Stato, stima lui, sui  miliardi di euro annui. Per l’esperto sarebbe un segnale da parte del governo di Olaf Scholz, il cancelliere socialdemocratico, per dare «più impulsi ad una società tedesca con una mobilità sociale sempre più debole». Certo, rispetto al sud o all’est d’Europa il welfare in Germania è ancora una rete molto forte e capillare. Ma di fatto, precisa Fratzscher, «oggi vanno all’università il  per cento dei figli di accademici e solo il  per cento di famiglie di non accademici». Se poi passiamo alla voce «affitti» il quadro sociale, specie in metropoli come Monaco o Berlino, si offusca ulteriormente. Se negli anni Novanta l’affitto copriva il  o  per cento delle entrate del ceto medio, ora nelle grandi città tedesche l’affitto se ne «mangia» anche il  per cento. In questa situazione sociale, aggravata dalla crisi della pandemia, come agisce l’altra grande ossessione della politica economica tedesca, e cioè quella di evitare ad ogni costo i debiti statali? Il risparmio in sé non è qualcosa di buono, spiega Fratzscher, come i debiti non sono sempre qualcosa di negativo; tutto

dipende infatti dal motivo per cui si risparmia o per cui lo Stato accumula debiti. Per Wolfgang Schäuble, l’arcigno ministro delle Finanze dell’ex governo Merkel, fu un punto d’onore aver raggiunto il famoso «schwarze Null», il pareggio di bilancio. Ma dal punto di vista di Fratzscher, «l’ossessione dell’austerità e del pareggio di bilancio a tutti i costi si è rivelata una pura chimera, specie di fronte alle varie crisi in Europa, e ai compiti che lo Stato tedesco deve ora affrontare se vuole risolvere le grandi sfide del futuro». Sono tre i dossier decisivi per le future generazioni: la rivoluzione digitale, le innovazioni ecologiche e il rilancio di infrastrutture come scuole, strade e alloggi. Ed è evidente che per affrontarle il governo di Berlino dovrà mettere da parte la mania del risparmio e passare piuttosto a forti investimenti. «Nei prossimi  anni – stima il direttore dell’istituto DIW di Berlino – saranno necessari almeno  miliardi di investimenti pubblici nei settori del clima, del digitale e del rinnovamento sociale in Germania». Più che tagliare le spese sociali o sovvenzionare alla cieca, lo Stato tedesco dovrà investire di più e soprattutto meglio nelle sfide del Ventunesimo secolo. E superare le ancestrali paure dell’inflazione che hanno segnato – nel , nel  e nel  – la tragica storia tedesca. Il «governo semaforo» di Scholz è pronto a realizzare questi giganteschi piani di investimenti per trasformare la società? «Scholz e il suo governo – risponde Fratzscher – non possono far altro che investire di più nel futuro della Germania, per questo i tedeschi hanno votato un cambio del governo a Berlino». Ma la guerra scatenata dallo zar di Mosca contro l’Ucraina non riaccenderà la fiamma dell’inflazione in tutta Europa e i timori dei debiti in Germania? «La guerra di Putin – conclude l’esperto – mostrerà ai tedeschi soprattutto la necessità di investire di più in energie alternative, per renderci autonomi dal gas russo».

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Quello di pochissimi miliardari sempre più ricchi è un trend globale che la pandemia da Covid non ha fatto che inasprire Negli ultimi  anni, scrive Fratzscher, i miliardari non sono mai stati tanti in Germania come nel  e , durante le prime ondate della pandemia da Coronavirus. Solo nel  il numero dei miliardari è salito a  persone; e la loro ricchezza è aumentata di  miliardi. Quello di pochissimi miliardari sempre più ricchi è un trend globale che il Covid non ha fatto che inasprire. Tanto più in Germania, dove negli ultimi anni sul mercato del lavoro si è registrato un aumento vistoso del precariato (dai lavori sottopagati ai «mini-job», termine che identifica rapporti di

Chi sono? Sono afgani, siriani, iracheni, curdi, qualche yemenita. Io non posso che togliere il pus dai loro piedi e rendermi testimone delle loro vite.

gono i vestiti, le scarpe. Quindicenni ricacciati con le scosse elettriche. Li inseguono nei boschi con i droni, con gli strumenti che rilevano il calore. Li trovano e li bastonano. A qualcuno scorticano le gambe. Come si comporta con lei la polizia? Lascia fare, finge di non vedere, si lascia togliere le castagne dal fuoco. Mi hanno denunciato l’anno scorso per favoreggiamento all’immigrazione clandestina ma il giudice ha archiviato il caso perché non c’era il reato. Gli immigrati della rotta balcanica sono a Trieste di passaggio. Vogliono salire sul treno per Milano, Torino, Val di Susa. Vogliono andare in Francia, in Germania. C’era un centro di primo soccorso. Hanno chiuso anche quello. Chi non parte subito va a dormire in una struttura fatiscente del vecchio porto austriaco. Scavalcano la recinzione e si rifugiano lì dentro. Ogni tanto fanno degli sgomberi. Io che non avevo mai usato Facebook in vita

Cosa fa? Un gesto semplice. Gli domando «chi sei, come ti chiami». Spesso sono mesi e mesi che non glielo chiede nessuno. Non sempre rispondono, a volte non hanno voglia di parlare. Si vergognano. Lavo i loro piedi, medico le ferite, metto le garze, do calze pulite. Perché lo fa? Non ho mai fatto volontariato in vita mia. E non mi piace supplire allo Stato che dovrebbe assisterli. Arrivano qui stremati se sopravvivono al Game. Lo chiamano così il viaggio in cui puoi farcela e vincere, o essere un fallito e tornare indietro. Oppure morire. In Bulgaria gli aizzano contro i cani d’assalto. In Croazia li rinchiudono nei container per due o tre giorni, tra i loro escrementi. Spesso li torturano, poi li rimbalzano indietro. Gli tol-

Le rotte dei disperati Le rotte balcaniche principali sono due. Una va dalla Grecia in Macedonia e in Serbia settentrionale passando da nord. Ora è la meno usata. Le persone che vogliono arrivare in Europa, passando da Trieste, percorrono la Bosnia-Erzegovina, attraversano il fiume o camminano lungo i ponti della ferrovia. Oppure passano da sotto, verso il mare. Dalla Grecia verso l’Albania e poi in Montenegro e da lì in Bosnia. La rotta dall’inizio del 2022 è scesa più in basso, sotto costa e il flusso è rallentato. In Italia succedeva spesso fino alla fine del 2021 che i migranti entrati a Trieste venissero respinti senza foglio d’espulsione, verso la Croazia.

Massimo Schneider

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Il saggio ◆ L’economista Marcel Fratzscher spiega come il rapporto irrazionale con il denaro divide la società tedesca

mia, ho dovuto cercare aiuto con i social durante l’ondata della prima rotta balcanica, chiedevo: dove sono le organizzazioni umanitarie? Sono arrivate persone piano piano. Abbiamo dovuto formare un’organizzazione di volontariato (lineadombra.org). Saremo una quindicina in piazza a volte. Ricercatori universitari. Studenti. Persone che vengono da fuori. Lei è figlia di partigiani. Chi era sua madre? Una ragazza borghese, cattolica, antifascista. È stata agente di Tito. Aveva studiato in Convitto. Sapeva di medicina. Drogava i gerarchi fascisti, ha salvato molte persone. Credo che mia madre mi abbia lasciato una eredità sottile. Quando curo i piedi di questi ragazzi, dal basso posso guardare i loro occhi. Si vergognano a farsi curare i piedi, mi dicono «scusa mamma, scusa mamma». Mi prendono le garze per pulirsi da soli, sono piedi che puzzano come pannolini. Loro mi riconoscono come persona e io li riconosco. Con un gesto semplice si crea una grande intimità. La loro energia è una sorgente. È un dono reciproco che ci facciamo. Vedendo loro, vedendo i migranti, come possiamo sopportare le nostre vite?

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La guerra neo-coloniale della «signora di ferro» Storia

Quarant’anni fa la Marina militare britannica partiva alla riconquista delle Falkland-Malvinas rivendicate dall’Argentina

Alfredo Venturi

«L’impero colpisce ancora». Riprendendo il titolo di un celebre film, il settimanale americano «Newsweek» presentò così l’evento che nella primavera del  occupava le cronache internazionali. La Royal navy aveva preso il mare e stava percorrendo le novemila miglia che separano l’Inghilterra dal più sperduto dei suoi possedimenti, le isole Falkland, che le forze armate argentine avevano occupato agli inizi di aprile. A Downing Street una irriducibile Margaret Thatcher, che proprio con questa guerra si guadagnerà il titolo di iron lady, aveva dato un ordine perentorio: riprendere le isole, ricacciare in mare gli intrusi mandati dai generali di Buenos Aires. Quarant’anni dopo quella spedizione militare, che provocò la morte di oltre  soldati britannici e costò due miliardi e mezzo di sterline, appare ancor più anacronistica di allora.

La spedizione militare provocò la morte di oltre 250 soldati britannici e costò due miliardi e mezzo di sterline Il generale argentino Leopoldo Galtieri, che guidava la giunta alle prese con venti di rivolta e una grave crisi economica e sociale, pensava di aver fatto la scelta giusta. In certe situazioni quello che ci vuole è risvegliare l’orgoglio nazionale distraendo il popolo dalle difficoltà esistenziali. E quale migliore obiettivo della conquista delle Malvinas, quella manciata di isole a trecento miglia dalla costa, che gli inglesi pretendono di considerare cosa loro e l’Argentina rivendica da sempre? Qualche tempo prima il governo britannico, gravato da problemi di bilancio, aveva rimpatriato una parte della guarnigione. Dunque, argomenta Galtieri, non ci tengono poi così tanto: forse non reagiranno nemmeno alla nostra iniziativa. E allora via libera all’Operazione Rosario: mobilitati per la missione patriottica l’esercito, la marina, l’aeronautica.

Il generale non aveva fatto i conti con la determinazione di Thatcher, che entrando nella sala in cui erano riuniti i suoi ministri per affrontare l’improvvisa emergenza esordì con queste parole: «Immagino che le nostre navi stiano scaldando i motori…». Il soprassalto imperiale della vecchia Inghilterra sorprese l’Argentina e il mondo intero. La scommessa di Galtieri si tradurrà dopo poche settimane in un bilancio drammatico: le Falkland-Malvinas riconquistate dagli inglesi, più di  argentini caduti sul campo di battaglia o a bordo delle navi affondate, lui stesso, il capo della giunta militare che aveva lanciato la sfida, costretto alle più umilianti dimissioni, il duro governo dei generali ormai alle strette. Fu insieme una guerra di liberazione perduta e un conflitto coloniale stravinto. Certo non è facile adattarsi all’idea che quelle isole in capo al mondo siano britanniche, ma è pur sempre vero che le abitano più di tremila sudditi di sua maestà, quasi tutti di origine scozzese, allevatori di greggi e produttori di lana, ai quali le pretese dei temporanei invasori, che volevano lo spagnolo come lingua ufficiale e tanto per cominciare avevano imposto di guidare l’auto tenendo la destra, parevano semplicemente inconcepibili. Tanto che fu festa grande quando finalmente sbarcarono i royal marines per ridurre alla ragione gli invasori. Per quella che fu chiamata Operazione Corporate Londra aveva mobilitato trentamila uomini: marines, guardie scozzesi, incursori, paracadutisti, gurkha nepalesi. Un centinaio di navi contribuivano all’impresa trasportando truppe e contrastando la marina argentina, mentre i bombardieri stazionati nella lontana isola di Ascensione facevano la spola lungo la lunghissima rotta oceanica riforniti in volo dalle aerocisterne. Divisa fra le implicazioni colonialistiche della missione britannica e l’avversione alla dittatura militare che insanguinava l’Argentina, la comunità

MargaretThatcher alle Falkland nel gennaio del 1983. (Keystone)

internazionale reagì in ordine sparso. L’Unione europea varò le sanzioni contro l’aggressore ma due Paesi non le votarono: l’Italia per gli stretti legami etnici e culturali con l’Argentina, l’Irlanda per il diffuso risentimento anti-britannico dovuto alla questione dell’Ulster. Gli Stati Uniti di Ronald Reagan, che avevano vincoli militari con entrambe le parti, fornirono agli inglesi supporto di intelligence ma si astennero da condanne diplomatiche. Mosca offrì il suo appoggio a Buenos Aires che lo rifiutò. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu votò una risoluzione che chiedeva il ritiro delle truppe e la ricerca di una soluzione negoziata. Lo scontro anglo-argentino fu aspro e cruento. Cominciò il  aprile con la riconquista della Georgia australe, un piccolo arcipelago  miglia a sud delle Falkland. In questo modo gli inglesi si assicurarono una seconda base d’appoggio più vicina al

fronte della lontanissima Ascensione. Nel confronto navale fu decisivo l’affondamento dell’incrociatore General Belgrano da parte del Conqueror, un sottomarino a propulsione nucleare. La nave fu colpita con due dei tre siluri lanciati dal Conqueror, che provocarono lo scoppio di un deposito di munizioni e il rapido inabissamento. Quasi metà delle perdite argentine nell’intera guerra, più di trecento uomini, fu causata da quei siluri. Due giorni più tardi gli aerei decollati dalla portaerei Veinticinco de mayo affondarono a loro volta il cacciatorpediniere Sheffield. Il primo sbarco nell’isola maggiore porta la data del  maggio ma l’arrivo dei rinforzi fu ritardato dal fatto che gli argentini avevano affondato con i micidiali missili Exocet una nave britannica carica di elicotteri che dovevano portare in battaglia altri reparti. La marcia fu lenta e tenacemente

contrastata. Ma il  giugno la guarnigione di Puerto Argentino dovette alzare bandiera bianca e la piccola capitale poté riprendere l’inglesissimo nome originario di Port Stanley. L’occupazione era durata  giorni. Così si concluse la guerra neo-coloniale della signora di ferro, una poderosa proiezione militare che riscattò l’umiliazione subita dall’Inghilterra un quarto di secolo prima, quando dopo il conflitto di Suez le forze armate di sua maestà e i loro alleati francesi e israeliani dovettero abbandonare il campo. Lo aveva imposto un’inedita intesa fra Stati Uniti e Unione Sovietica, che raffreddò la crisi aperta dalla nazionalizzazione del Canale voluta dall’Egitto di Nasser. Le due superpotenze avevano soffocato ciò che restava dell’orgoglio imperiale di Londra, che alle Falkland-Malvinas si prenderà la sua rivincita fuori dal tempo. Annuncio pubblicitario

Fare la cosa giusta

Quando la povertà mostra il suo volto Leggete la storia di Youssef: caritas.ch/youssef-i

Youssef Ghanem, 43 anni, Libano, sprofonda sempre più nella povertà a causa del crollo dell’economia.


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AVS in rosso anche con la riforma in votazione

Assicurazioni sociali ◆ L’aumento dell’età di pensionamento delle donne e della percentuale IVA ridurranno da 900 miliardi a 650 miliardi il fabbisogno del primo pilastro, ma il disavanzo peserà ancora una volta sulle nuove generazioni Ignazio Bonoli

L’ennesimo referendum contro l’ennesima revisione della legge sull’AVS ha raccolto un numero sufficiente di voti per portare all’ennesima votazione popolare sul tema delle pensioni in Svizzera. È comunque vero che la problematica tocca tutta la popolazione e quindi necessita di un ampio sostegno popolare. Non a caso questa volta (ma non è la prima) il motivo principale della discussione è l’aumento dell’età di pensionamento delle donne e, conseguentemente, delle indennità da versare a chi avrebbe beneficiato, con il sistema attuale, di un anno in più di pensionamento.

Chi avrà meno di 50 anni dovrà accollarsi un aggravio di 12-13 mila franchi, chi avrà più di 55 anni al massimo 2500 Ne avevamo parlato in un articolo del  settembre  di «Azione». In seguito la discussione, in Parlamento e fuori, è stata ampia e vivace ma come spesso avviene ha trascurato due grossi problemi di fondo: da un lato i  miliardi di franchi che mancheranno nelle casse dell’AVS, dall’altro il crescente contributo che le generazioni che accedono al pensionamento chiedono alle giovani generazioni. La lacuna è data dalla differenza fra le entrate previste dopo la riforma e le rendite da pagare ai pensionati. Secondo stime approssimative, questo «finanziamento trasversale» concerne circa la metà delle rendite pagate dall’AVS, ma – a livello politico e anche popolare – nessuno sembra preoccuparsene. Sennonché un gruppo di economisti facendo capo al professor Bernd Raffelhüschen dell’Università di Friburgo in Brisgovia (Germania), nonché ad altri economisti, tra cui quelli dell’UBS, non manca di ricordare ad ogni occasione l’attualità della tematica. A metà marzo scorso questi economisti hanno pubblicato le loro analisi tenendo conto anche della riforma adottata dal Parlamento sul messaggio del Consiglio federale dell’agosto

 detta «AVS ». Il tema centrale della riforma, poi adottata anche dal Parlamento, come già detto, è l’aumento dell’età di pensionamento delle donne da  a  anni più un aumento dell’IVA. Già queste misure permetterebbero di ridurre le lacune di copertura dell’AVS attuale da  a  miliardi di franchi, cioè di circa il %. Un buon risultato, ma che non risolve il problema del debito a carico delle giovani generazioni. Infatti, secondo i calcoli dei citati economisti, le persone con meno di  anni dovrebbero assumersi un aggravio dai  ai  mila franchi ognuna, mentre per coloro che si trovano oltre i  l’aggravio andrebbe da  a  franchi. L’aggravio consisterebbe in futuri oneri, dedotto il tasso di interesse attuale, valutato al ,% (vedi grafico). In altri termini, un attuale ventenne pagherebbe l’aumento dell’IVA (a vantaggio dell’AVS) probabilmente durante  anni. Un settantenne, in media, pagherebbe ancora al massimo durante  anni. Si può pensare che sia giusto che chi ha una speranza di vita più lunga paghi anche di più. Ma quanto paga in più nei primi  anni va proprio a finanziare le rendite dei pensionati attuali. Il calcolo è teorico ma permette appunto di valutare la lacuna di copertura del capitale dell’AVS in  miliardi di franchi, prima della riforma proposta. Questo perché le rendite previste per i pensionati superano le entrate dell’AVS di questa cifra. Cifra che a sua volta è pari a  mesi di prodotto interno lordo svizzero. Per questo la soluzione dovrebbe passare attraverso un aumento dell’età di pensionamento a  anni (per tutti) oppure un aumento dell’Iva da  a  punti percentuali, oppure ancora un prelievo sui salari tra il  e il %, o un mix delle due misure. La cosa è fattibile ma molto difficile sul piano politico, come si è visto in ogni proposta di riforma dell’AVS, soprattutto se prevede un aggravio analogo per tutte le generazioni. Più facile potrebbe apparire l’aumento

18 settembre 2021, manifestazione contro l’innalzamento dell’età di pensionamento delle donne. (Keystone)

delle entrate attraverso le deduzioni sui salari, gli aumenti di imposte o anche attraverso gli utili della Banca nazionale, che però politicamente è pure delicato.

Sotto questo aspetto la proposta di aumento dell’età di pensionamento delle donne appare un passo nella buona direzione. La riforma accolta dal popolo nel  sotto forma di

Pagheranno i giovani Aggravio supplementare dovuto alla durata di vita rimanente dopo la riforma AVS 21 in base all’età, in franchi 15000

10000

5000

0 0

5

10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80 85 90 95 100

Anno di riferimento 2019. Ipotesi: interesse reale 2.1% crescita di produttività 1.1% annuo Fonte: UBS

Età

pacchetto «imposizione delle aziende e AVS» contemplava in pratica solo aumenti di entrate per l’AVS (sotto forma di deduzioni salariali e sussidi federali) e conseguente aggravio per le giovani generazioni. Anche le prossime riforme dell’AVS peseranno fortemente sulle giovani generazioni. In particolare quando i figli del cosiddetto «baby boom» saranno in pensione. È probabile che la politica non potrà rivedere le prestazioni per queste generazioni a scapito di quelle più giovani. Per questo c’è già chi vede, in un futuro non troppo lontano, la necessità di un aumento dell’età di pensionamento, come del resto già avvenuto in alcuni altri paesi. Non va neppure dimenticato che la speranza di vita tra il  e il  è aumentata da , anni per gli uomini a  anni e per le donne da , a , anni. A  anni quindi questa speranza è passata da  a , anni per gli uomini e da , a , anni per le donne.

Quale sarà l’ammontare della mia rendita?

La consulenza della Banca Migros ◆ La risposta dipende dalla situazione finanziaria personale ma prima di tutto è importante verificare se ci sono lacune contributive nell’AVS e nella Cassa pensione

La garanzia della rendita è un tema che mi preoccupa molto. Ho  anni, sono sposata, sono madre di due figli e lavoro a tempo parziale. Come sarà il mio reddito dopo il pensionamento? È difficile dire come sarà precisamente la sua situazione finanziaria senza conoscere quella attuale con esattezza. Fino al suo pensionamento potrebbero cambiare anche le condizioni quadro. Una cosa è certa: un grado di occupazione ridotto ed eventuali interruzioni nell’attività lavorativa comportano delle lacune nei versamenti, vale a dire una rendita di vecchiaia più bassa. Per evitare che ciò accada si raccomanda di farsi innanzitutto un’idea quanto più precisa possibile del-

la propria situazione nei tre pilastri previdenziali. • AVS: la rendita varia a seconda del reddito e degli anni di contribuzione. La differenza tra la rendita minima (fr. ) e la rendita massima (fr. ) attuale ammonta pur sempre a fr. . Una coppia di coniugi riceve oggi fr. . Il calcolo esatto è complesso. L’ideale sarebbe farsi calcolare dall’AVS la rendita prevista. Il relativo modulo di richiesta è disponibile qui: https://form.ahv-iv.ch/orbeon/fr/ AHV-IV/__v/new. Per tutti coloro che hanno più di  anni di età, il calcolo anticipato è gratuito ogni cinque anni. Controlli attentamente l’estratto e segnali eventuali errori. • Cassa pensioni: l’eventuale dirit-

Isabelle von der Weid, consulente alla Clientela Banca Migros Svizzera romanda ed esperta in materia di previdenza.

to alla rendita nel secondo pilastro è indicato sul suo attuale certificato assicurativo della cassa pensioni, dove è riportato il capitale o la rendita mensile su cui potrà contare durante il pensionamento. Se con questi importi non dovesse riuscire a coprire le sue spese, dovrebbe attivarsi e colmare le lacune esistenti nonché pensare allo stesso tempo alla previdenza privata. In concreto, ciò significa effettuare dei versamenti nel pilastro a, cosa che può fare se esercita un’attività professionale. Eventuali lacune nel secondo pilastro possono essere colmate con un riscatto nella cassa pensioni, un’operazione che può rivelarsi interessante persino dal punto di vista fiscale. Inoltre anche le lacune nell’AVS

possono essere compensate ogni anno oppure con un pagamento a posteriori entro cinque anni. Si raccomanda di essere finanziariamente indipendenti dal partner. Anche se in caso di divorzio l’avere previdenziale risparmiato durante il matrimonio viene diviso, difficilmente questo basterebbe durante il pensionamento per le donne impiegate a tempo parziale o che non esercitano alcuna attività professionale. Suggerimento: investa i suoi risparmi a seconda delle circostanze e si faccia consigliare da un’esperta in materia previdenziale della sua banca. Informazioni blog.migrosbank.ch/ la-previdenza-per-la-vecchiaia


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ATTUALITÀ / RUBRICHE ●

Il Mercato e la Piazza

di Angelo Rossi

Le difficoltà demografiche rimangono ◆

Da quando, in seguito alle previsioni di lungo termine degli Uffici di statistica federale e cantonale, è emerso che la popolazione del Canton Ticino è destinata a diminuire durante i prossimi trent’anni, l’andamento demografico è diventato un tema politico di rilievo. Non che, almeno per il momento, di discuta di misure che potrebbero combattere la tendenza in atto. I più, anche nel nostro parlamento, sono convinti che l’attrattiva del Ticino è tale che il saldo migratorio tornerà a crescere. Tuttavia è diventato evidente che, oggi, anche il mondo politico locale comincia a considerare il declino demografico con attenzione. Basta che un comune qualunque, di grande o di piccola taglia, segnali una ripresa del numero dei suoi abitanti perché la notizia venga pubblicata e celebrata in tutti i media. Intanto osserviamo che sono stati pubblicati i dati relativi all’andamento

del movimento naturale per il . La differenza tra nascite e decenni è stata, anche lo scorso anno, negativa. I decessi hanno infatti superato le nascite di  unità. Pur restando sempre negativo, il saldo negativo del movimento naturale si è significativamente ridotto. Questa riduzione deve essere attribuita alla diminuzione del numero dei morti per la pandemia di Covid. Se consideriamo quanto è successo nel , in termine di aumento della mortalità, come un fatto eccezionale, dobbiamo riconoscere che il saldo del movimento naturale del  ritrova i valori che si erano già manifestati tra il  e il . Si tratta di valori sensibilmente più alti di quelli registrati tra il  e il . Perché la popolazione del Canton Ticino aumenti occorre attualmente che il saldo migratorio sia positivo e superi le  unità. Perché aumenti a un tasso annuale dello ,% – che è quel-

lo che, qualche anno fa, gli avversari della crescita demografica volevano imporre alla Svizzera con un’iniziativa costituzionale – occorrerebbe che il saldo migratorio annuale fosse superiore alle  persone. Si tratta di un traguardo che, oggigiorno, è diventato irraggiungibile per la demografia ticinese. Tra un paio di mesi, quando saranno pubblicati i dati relativi all’evoluzione complessiva della popolazione sapremo se il saldo del movimento migratorio riuscirà, per il , a compensare le perdite dovute al movimento naturale. Se dovesse ritrovare il valore del , quando il saldo migratorio si rivelò positivo e superiore alle mille unità, è molto probabile che lo possa fare. Sarà l’occasione per molti di dichiarare che le difficoltà demografiche del Ticino stanno scomparendo come, di solito, passa il mal di testa quando cessa il favonio. Di fatto però l’evidenza sta-

tistica degli ultimi anni ci dice che la stagnazione demografica è arrivata da noi per restarci. Più che all’invecchiamento della popolazione la responsabilità di questo rallentamento demografico è da attribuire al crollo del saldo migratorio. Lo stesso, come si può rilevare dal grafico, ha cominciato a manifestarsi nel  probabilmente per il concorso di diversi fattori negativi che si sono accumulati, nel corso del secondo decennio del nuovo secolo. È abbastanza semplice farne l’inventario. Dapprima bisogna ricordare la rapida espansione dell’effettivo di manodopera frontaliera. Per un lavoratore straniero che lavora da noi il bilancio costi/benefici del risiedere in Ticino o in Italia si chiude largamente a favore di un domicilio nella zona di frontiera della vicina Repubblica. Contrariamente a quanto pensano ancora in molti – in particolare le persone di una certa età – il Tici-

no non è un Cantone particolarmente attrattivo per mettervi su casa. Affitti, imposte e assicurazioni pesano sul bilancio di una famiglia di lavoratori molto più di quanto non lo facciano se la stessa si domiciliasse in un comune di frontiera italiano. Se il Ticino vuole recuperare demograficamente terreno deve dunque cominciare a pensare seriamente come attirare famiglie di lavoratori stranieri battendo la concorrenza del frontalierato. Abbiamo più di una carta da giocare. La stabilità del nostro sistema politico, la qualità dell’infrastruttura, l’ottimo livello del nostro sistema educativo, dall’asilo all’università, l’efficienza e l’efficacia dei servizi pubblici sia a livello locale che a livello cantonale. Ma è anche vero che gli affitti, specie là dove si concentrano le occasioni di lavoro, sono elevati e che, in materia di salario, non figuriamo tra i primi Cantoni in Svizzera.

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di Aldo Cazzullo

Gli orrori della guerra e il timore di «perdere» la Russia ◆

Non vorrei che l’aggressione all’Ucraina abbia creato una sorta di assuefazione. La solidarietà nei confronti di Zelensky e del suo popolo vacilla man mano che la guerra si protrae e l’Occidente paga il proprio conto, in termini di aumento dei prezzi e danni ai produttori derivanti dalle sanzioni. Per quanto la condanna di Putin sia quasi unanime (non in Cina, in Africa, in Sud America), prevale il timore di «perdere» la Russia. Il che in effetti rappresenta un problema. La Russia è di gran lunga il Paese più vasto del mondo, con i suoi  milioni di chilometri quadrati (Canada, Cina e Usa non arrivano a ). Ha il secondo arsenale nucleare e immense fonti di materie prime. Ha una grande storia letteraria, artistica, musicale. È insomma un Paese importante sulla scena internazionale. Qualcuno rimprovera agli Usa di aver trattato la Russia come la potenza che ha per-

so la guerra fredda. In effetti la Russia è la potenza che ha perso la guerra fredda. La storia però insegna che il vincitore lungimirante tratta il vinto con generosità, per attrarlo nella propria sfera di influenza. È accaduto alla Germania, al Giappone e all’Italia dopo la Seconda guerra mondiale. La Russia ha avuto una grande occasione di entrare a far parte dell’Occidente, dell’alleanza delle democrazie. Il G era diventato il G proprio per farle posto. Si tenevano in Russia elezioni sulla cui correttezza era lecito dubitare, ma che più o meno rispecchiavano il volere della popolazione. Poi la gelata putiniana – guerre, eliminazione fisica o incarcerazione degli oppositori, soppressione della libera stampa, stravolgimento della Costituzione ecc. – ha portato la Russia prima fuori e poi contro l’Occidente. Non siamo stati noi occidentali, con tutti i nostri orribili difet-

Il presente come storia

ti. È stato Putin. Quello in Ucraina è un conflitto difficile da decifrare. Le guerre non sono tutte uguali. Nell’Antico regime non si combattevano i popoli e neppure gli Stati, ma le dinastie, spesso imparentate tra loro. Solo con la Rivoluzione francese la guerra diventa un fatto di popolo e di ideologia. I nemici della Rivoluzione francese difendevano la propria identità e i propri privilegi; i rivoluzionari non ebbero nessuna pietà nell’affermare la propria fede e i propri valori. In Vandea si comportarono con i controrivoluzionari in modo non dissimile da quello con cui i crociati avevano sterminato gli albigesi, poco meno di  secoli prima. La Prima guerra mondiale conobbe atrocità mai viste: fu una guerra industriale, da milioni di morti, in cui fu usato anche il gas. Ma la Seconda guerra mondiale ebbe una carica ideologica che la prima non aveva conosciuto, da

cui derivarono stragi indiscriminate tra la popolazione civile a opera delle SS tedesche e dei loro collaboratori. La storia non si ripete mai due volte, il passato non torna e la guerra è sempre orribile. Però di recente si sono viste in Ucraina scene di crudeltà che richiamano le guerre nell’ex Jugoslavia e che non hanno nulla di eroico, nulla di cavalleresco, hanno molto di criminale. Qualcuno ha paragonato la guerra di Putin alla guerra della Nato nei Balcani. Ma nel  la Nato non portò la guerra in Kosovo; la fece cessare. La guerra c’era già: i serbi stavano massacrando e deportando i kosovari. I bombardamenti su Belgrado fecero giustamente discutere, turbarono molto gli europei. Fatto sta che Slobodan Milosevic, il leader postcomunista e nazionalista serbo, cedette, e i kosovari poterono avere la loro vita e il loro Stato. Da notare che al governo nei grandi Paesi europei c’era la

sinistra: Tony Blair a Londra, Lionel Jospin a Parigi, Gerhard Schroeder a Berlino, Massimo D’Alema a Roma; mentre a Washington c’era il democratico Bill Clinton. Alcuni tra questi leader seguirono la loro cultura; altri fecero violenza alla propria cultura d’origine, anche per legittimarsi sulla scena internazionale. Il quadro in Ucraina è diverso. Putin ha scatenato una guerra senza quartiere dove da anni era in corso una guerriglia nella regione contesa del Donbass, trasformata dai russi in un conflitto su larga scala, che è arrivato nella capitale Kiev e sino ai confini occidentali del Paese, vicino all’Ue, al territorio della Nato. Per questo aiutare l’Ucraina non significa alimentare la guerra, ma costringere Putin al cessate il fuoco, a trattare, a trovare un compromesso, a porre termine all’aggressione. Perché l’unico linguaggio che il satrapo di Mosca capisce è quello della forza.

di Orazio Martinetti

Una vita da talpa ◆

La presenza capillare sul territorio elvetico di rifugi antiatomici desta sempre sorpresa e curiosità, soprattutto oltre confine. Concepiti negli anni «caldi» della guerra fredda (prima metà degli anni Sessanta), i bunker pubblici e privati dovevano proteggere la popolazione dalle conseguenze di un bombardamento a tappeto o di un attacco con armi nucleari. Quel guscio massiccio ricavato nel sottosuolo, accanto alla lavanderia e all’impianto di riscaldamento, appariva rassicurante: nel loculo in cemento armato ci saremmo salvati tutti quanti, e non solo i soliti privilegiati, come accadeva negli altri paesi. Certo, poi sorgevano dubbi e timori: per quanto tempo, in quali condizioni, con quali contatti con l’esterno? E gli animali domestici? E poi che mondo avremmo trovato uscendo dalla tana? Qui gli interrogativi rimanevano senza risposta, lasciando campo libero all’angoscia.

Nel  sorse così l’esigenza, da parte del governo federale, di illustrare agli occhi dell’opinione pubblica la strategia difensiva del paese. Il Dipartimento di giustizia e polizia ricevette l’incarico di redigere un prontuario da distribuire a tutte le economie domestiche. Difesa civile, questo il titolo del manualetto che si giovava della prefazione di Ludwig von Moos. Nel libro i compilatori – tra cui il saggista Guido Calgari – elencarono i provvedimenti da prendere in caso di un’aggressione militare alla Svizzera, una simulazione che si voleva aderente alle minacce dell’epoca e alla forza degli eserciti che si fronteggiavano a distanza nel cupo scenario dell’«equilibrio del terrore». In tale dispositivo il rifugio occupava una funzione centrale. Di qui l’esigenza di attrezzarlo in modo conveniente per accogliere le famiglie a lungo. Ma quanto a lungo? «Tenete conto dell’eventualità di

un soggiorno prolungato nel rifugio». Settimane? Mesi? Sulla durata le risposte rimanevano vaghe perché troppe erano le variabili da considerare. A molti quelle spiegazioni e istruzioni apparvero subito irrealistiche. Qualcuno s’indignò o semplicemente sorrise; qualcun altro, invece – i più critici – scorsero in quell’iniziativa editoriale il tentativo di militarizzare l’intera società, di estendere la logica militare del ridotto alpino all’intero territorio. D’altronde lo si diceva a chiare lettere nel testo: «Perché l’abbiamo fatto? Perché ci si abitui a pensare a ogni eventualità, anche alla peggiore, e a prevedere e provvedere». Le relazioni internazionali dell’epoca, come abbiamo detto, erano improntate alla guerra fredda; rovente era invece la situazione sociale dopo l’esplosione del maggio parigino nel  e l’ondata delle proteste giovanili nelle scuole superiori e nell’università. Che il nemico

qualificato con il nome di «Panterra» fosse l’Unione Sovietica, nessuno dubitava. La repressione della Primavera di Praga bruciava in tutte le coscienze. Le allusioni al blocco comunista erano evidenti. Più sottili erano invece i ragionamenti che ruotavano intorno al ruolo degli attori sociali, delle donne, dei giovani e degli intellettuali. Alla donna si riconosceva un ruolo fondamentale, ma soltanto nelle retrovie, nel quadro della protezione civile. Nessun accenno al diritto di voto, ancora assente. I giovani erano una risorsa preziosa, ma a patto che non si facessero contagiare dalla contestazione e dalla rivolta. Gli intellettuali, infine, proprio perché eternamente scontenti, rappresentavano un ottimo cavallo di Troia per la propaganda nemica. Le reazioni dell’intellighenzia non allineata su quelle posizioni furono veementi; la partecipazione di alcuni di loro alla redazione del testo (il citato

Calgari e il vallesano Maurice Zermatten) creò malumori al punto di provocare una scissione all’interno della Società svizzera degli scrittori. I dissidenti – tra cui Dürrenmatt, Frisch, Muschg e i ticinesi Orelli e Nessi – dettero vita nel  a un nuovo sodalizio, il «gruppo di Olten», che alla Società rivolgeva l’accusa di alimentare ovunque una «Bunkermentalität», una mentalità di Stato di allerta permanente. Dopo il crollo dell’Urss la guardia si è abbassata; molti impianti sotterranei militari sono stati abbandonati o riconvertiti in centri di stoccaggio di dati sensibili. Alcuni rifugi sono stati adibiti ad alloggio per profughi, le uniche persone che finora hanno potuto sperimentare, almeno parzialmente, quel tipo di vita ipogea. Narrano comunque le cronache che trasferire i richiedenti asilo nel sottosuolo non è stata una buona idea.


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Francesco Piemontesi al LAC Intervista al pianista locarnese che giovedì con l’OSI suonerà musiche di Brahms e Schumann

Una prima all’Opernhaus Successo di critica e di pubblico a Zurigo per La ragazza con l’orecchino di perla di Stefan Wirth

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Carteggio Montale-Solmi Quel che è nostro non ci sarà tolto mai è il titolo del volume che raccoglie il carteggio tra i due grandi poeti

Visions du Réel Uno sguardo alla recente edizione del festival del documentario di Nyon e ai suoi film in rassegna

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Yoko Ono, artista e icona del nostro tempo Mostra

Al Kunsthaus di Zurigo una retrospettiva si muove tra lirica, arte concettuale, perfomance e musica

Elio Schenini

C’è anche una mela nelle sale ancora parzialmente intonse al secondo piano del nuovo lussuoso edificio del Kunsthaus di Zurigo, dove da alcuni giorni è possibile visitare la retrospettiva dedicata a Yoko Ono. Se l’occhio di un esperto la riconosce immediatamente come una Granny Smith, chi non ha particolari nozioni di botanica o di agronomia come il sottoscritto, non vede altro che una comunissima mela verde con la buccia lucida e brillante che al massimo, visto il contesto, può evocare nella memoria le etichette di alcuni dischi dei Beatles. Essendo ormai trascorsi più di cinquant’anni, è del tutto evidente che non può trattarsi di quella originale, tuttavia, il plexiglas consunto e leggermente ingiallito dello zoccolo su cui poggia e le lievi tracce di ossidazione della targhetta in ottone con la scritta «apple», contribuiscono ad alimentare l’illusione di trovarsi di fronte a quello stesso frutto che nel novembre del , alla Indica Gallery di Londra, incuriosì così tanto John Lennon, da indurlo ad afferrarlo e a dargli un morso. Una provocazione scanzonata e istintiva, la sua, che rispondeva, con un gesto di sfida, a quella della giovane artista giapponese che aveva trasformato una banalissima mela in un’opera d’arte il cui prezzo superava le  sterline. Eppure quel gesto così immediato e spontaneo ebbe delle ripercussioni enormi e totalmente impreviste: non solo cambiò il suo modo di intendere la musica e il mondo, ma in qualche modo sancì anche la fine della band più famosa del pianeta. Perché è probabilmente nell’istante in cui, sotto lo sguardo furioso e incredulo di Yoko Ono, Lennon si affrettò a rimettere la mela sul suo piedistallo che fra di loro scoccò quella scintilla da cui, nei mesi successivi, nacque una storia d’amore che li avrebbe uniti indissolubilmente, se non per sempre, almeno fino alla sera dell’ dicembre . La tragica sera in cui Mark David Chapman, in un attimo di follia, decise che l’unico modo per riscattare la sua vita dal nulla in cui stava sprofondando fosse quello di sparare quattro colpi di pistola nella schiena dell’ormai ex Beatles. In maniera neanche troppo metaforica, si potrebbe dire che in quel lontano giorno del , Lennon violò l’interdetto su cui poggiava il successo planetario dei Beatles e addentò il suo «frutto del peccato». Da quel momento il mondo idilliaco e spensierato delle canzoni «leggere, anzi leggerissime», delle fan in deliquio, dei gridolini isterici e delle frangette dondolanti smise di attrarlo e si fece largo in lui una nuova consapevolezza del proprio ruolo artistico, una consapevolezza che non poteva prescindere dall’impegno politico a favo-

Sullo sfondo una delle leggendarie foto che ritraggono «bed-in», la famosa protesta a letto per la pace di John Lennon e Yoko Ono nel 1969. (Franca Candrian, Kunsthaus Zürich, ©Yoko Ono). In basso, Cut Piece, Yoko Ono durante una sua performance al Carnegie Recital Hall, NewYork, 21. marzo 1965. (Minoru Niizuma ©Yoko Ono)

re della pace, dei diritti civili e della lotta contro il razzismo. Ma chi era, e chi è oggi, questa novella Eva che l’accompagnò in questa sua uscita dal paradiso terrestre, in questo cammino verso la maturità artistica e a cui, probabilmente non del tutto a torto, per molti anni i fan hanno addebitato la responsabilità della fine dei Beatles? È questo l’interrogativo a cui prova a rispondere la mostra del Kunsthaus, presentandoci il lavoro in gran parte sconosciuto di un’artista che, per la sua relazione con una delle più celebri popstar del Novecento, è diventata lei stessa un’icona del nostro tempo. Nata a Tokyo nel  da una famiglia di ricchi banchieri, la Yoko Ono che conobbe Lennon, a dispetto della sua figura minuta, era una giovane donna forte, consapevole e determinata e questo, in un mondo ancora profondamente intriso di maschilismo, la rendeva sospetta a molti. Se a questo aggiungiamo il fatto che dopo la sua comparsa a fianco di John emersero i primi dissapori e i primi litigi tra i quattro amici di Liverpool i cui volti sorridenti e spensierati arredavano le pareti delle camerette delle ragazzine di mezzo mondo si può capire perché la sua persona abbia suscitato in quegli anni così tanta antipatia se non vero e proprio odio. Cresciuta negli Stati Uniti, dove la

famiglia si era trasferita dopo la guerra, Yoko Ono aveva iniziato fin da giovanissima a frequentare il mondo dell’arte d’avanguardia nel clima cosmopolita di New York, dove si era presto affermata sia come musicista sperimentale che come artista visiva e performer, partecipando alle prime manifestazioni di Fluxus promosse da George Maciunas, che in quegli anni di soffocante guerra fredda rispolverava lo spirito dissacrante del Dadaismo. Nei filmati e nelle foto dell’epoca, la vediamo così inginocchiata sul pavimento mentre gli spettatori ad uno ad uno tagliavano un pezzo del suo vestito con delle forbici, oppure sdraiata su un pianoforte suonato da John Cage

che come lei aveva un grande passione per la filosofia Zen. O ancora la ascoltiamo nei suoi vocalizzi estremi, lei che, ancora studentessa, aveva adorato la dodecafonia di Schönberg, e che in questa sua passione sperimentale riuscì a coinvolgere lo stesso Lennon, realizzando con lui nel  un disco come Two Virgins, rimasto ostico per i più, salvo forse la copertina dove i due comparivano nudi. Ma al di là dell’attivismo e delle provocazioni, quello che emerge con forza da questa mostra è la natura intimamente poetica dell’arte di Yoko Ono, come dimostra un libricino di formato quadrato pubblicato nel  con il titolo Grapefruit (un frutto che, come lei, orientale trapiantata in Occidente, era nato da un incrocio tra specie diverse) in cui sono raccolti i brevi testi da cui hanno avuto origine i suoi lavori video e performativi. Si tratta di lapidarie istruzioni per l’uso, che ci invitano ad affrontare il mondo sub specie poetica. Una poesia scarna e minimale tutta giocata sul filo dello straniamento e del paradosso, secondo la logica tipica del pensiero Zen. La poesia, per capirci, di chi è capace di ascoltare il rumore prodotto della terra che ruota su se stessa, o di registrare su un nastro il suono della neve che cade non per ascoltarlo ma per usarlo per impacchettare dei regali,

oppure di accendere un fiammifero e guardarlo finché si spegne, o ancora, di immaginare un cielo illuminato da migliaia di soli per poi prepararsi un panino al tonno e mangiarlo. La stessa poesia intensa e visionaria che ritroviamo nel brano più famoso della carriera solista di John Lennon, Imagine. Un brano che, non a caso, come aveva riconosciuto lo stesso Lennon, si ispira direttamente a quel libro di Yoko Ono in cui l’imperativo «immagina» compare con tanta frequenza. E allora, in questi giorni così strani e difficili per il mondo, immaginiamoci anche noi di sdraiarci tra John e Yoko in quel letto d’albergo al cui cospetto nel  invitarono i media di tutto il mondo mentre lontano infuriava la guerra del Vietnam, e di cantare in coro assieme a loro: «Give peace a chance!» Forse, a quel punto, ci accorgeremo che la stanza dove ci troveremo si starà muovendo alla stessa velocità delle nuvole. Dove e quando Yoko Ono. This room moves at the same speed as the clouds, Kunsthaus Zürich, fino all’8 maggio. Per poter visitare la mostra bisogna annunciarsi a info@kunsthaus. ch o telefonare a +41 44 253 84 84. www.kunsthaus.ch


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La Collina d’Oro di Gunter Böhmer

Gunter Böhmer, 1973. (Hans Kinkel © proprietà della Fondazione Ursula e Gunter Böhmer, Collina d'Oro)

Prospettive ◆ Avviata la digitalizzazione delle migliaia di opere del grande illustratore tedesco vissuto a Montagnola

Elena Roberts

Il Ticino e la Collina d’Oro, dove l’artista Gunter Böhmer sceglie di vivere fino alla morte, ricorrono sovente nelle sue opere, segno del profondo legame con il territorio e l’ambiente. Sensibile, riflessivo, conduce una vita riservata, dedita al disegno. Lo contraddistinguono un talento non comune e una inesauribile ricerca nel tradurre su carta impressioni che vanno oltre la figurazione per attraversare l’invisibile, fino a coglierne l’interiorità e l’essenza. La straordinaria qualità del suo lavoro lo porta alla notorietà e il suo lascito artistico finisce per trovar casa in diverse città tedesche. Se una parte cospicua e interessante della sua opera ha potuto rimanere da noi lo si deve alla compagna di vita Ursula Bächler (San Gallo  – Montagnola ), artista del tessile, conosciuta proprio a Montagnola, che alla morte del marito si attiva per un progetto di conservazione del suo lavoro. Con il consenso degli eredi, il sostegno dell’autorità comunale e l’impegno di operatori culturali, il  ottobre  viene costituita la Fondazione Ursula e Gunter Böhmer e si gettano le fondamenta della valorizzazione del lascito artistico. Le opere che ne fanno parte offrono uno

spaccato antologico dell’intera produzione, espressasi nel disegno, nell’illustrazione e progettazione di libri, nella grafica e nella pittura. Sono alcune migliaia, la maggior parte delle quali su carta, tra cui schizzi preparatori e disegni per i  volumi da lui illustrati,  olii su tela, scritti autobiografici, saggi, lettere, oltre ai libri della sua biblioteca. Impressiona l’ampiezza dell’archivio che si stima annoveri fino a diecimila documenti. Innamorato dell’opera di Hermann Hesse, Gunter Böhmer appena ventunenne arriva a Montagnola nel  per conoscerlo, invitato dallo scrittore. L’intenso sodalizio artistico e l’amicizia che si svilupperanno con il futuro Premio Nobel della letteratura e con l’artista tedesco Hans Purrmann, fino agli anni Sessanta, si rivelerà di fondamentale importanza per il più giovane Böhmer, che avrà un mentore prezioso anche nell’editore e stampatore tedesco Hans Mardersteig, fondatore a Montagnola dell’Officina Bodoni (-). Nell’atmosfera dell’allora rurale Collina d’Oro, di un intimo e stimolante ambiente intellettuale e della romantica Casa Camuzzi di Montagnola dove vive e ha il suo atelier, Böhmer

affina la sua ricerca artistica diventando un eccelso illustratore di libri dei maggiori autori della letteratura internazionale, tra cui Hesse. Non a caso a Calw, città natale dello scrittore tedesco, ha sede la Fondazione Gunter Böhmer Calw, costituita da Ursula nel , quando opere del marito erano già in mostra permanente nella Galleria della città dal . Dotata di oltre ventimila opere è considerata la più importante collezione di disegni dell’artista, nata da un nucleo di disegni donata da Böhmer alla Città nel . Le due fondazioni Böhmer di Collina d’Oro e di Calw sono unite da intenti e collaborazioni per valorizzare e far conoscere ad un pubblico sempre più ampio, oltre che ai ricercatori, l’intera produzione dell’artista, non solo quella dell’illustrazione libraria. La mostra più recente, dell’autunno del , ha portato per la prima volta in Italia e con successo a Parma, l’opera creativa degli ultimi anni. Negli anni precedenti erano state promosse due esposizioni, a Gentilino nel  e a Montagnola nel , pure corredate dai rispettivi cataloghi. Da qualche mese gli scambi tra l’istituzione ticinese e quella tedesca si sono in-

tensificati e si prospettano in futuro relazioni più strette. La catalogazione essenziale delle opere c’è da tempo in Ticino. Recentemente è stato avviato l’importante progetto di digitalizzazione dell’archivio: con la schedatura aggiornata e trasversale, completa di riferimenti bibliografici, letterali, artistici e personali si aprono prospettive nuove e stimolanti per il Fondo Böhmer. Dal  se ne occupa la curatrice Anna Rimoldi, storica dell’arte e mediatrice culturale: «È un passo indispensabile, anche se lungo e impegnativo da realizzare, per favorire la ricerca. Contribuirà a promuovere la conoscenza tematica ragionata delle opere in archivio, facendo dialogare tra loro i lavori dell’artista, le pubblicazioni, i documenti, i carteggi. La condivisione dell’ampio patrimonio sarà più facile man mano che sarà pubblicato online, diventando fruibile per tutti sul nuovo sito web www.fondazioneboehmer.ch, oggetto di profonda revisione. In un secondo tempo si procederà allo studio e alla traduzione dei documenti

che sono perlopiù in lingua tedesca». Letizia Schubiger-Serandrei, membro della Fondazione Böhmer e storica dell’arte, riconosce che «nei primi venticinque anni di attività la fondazione ha fatto molto per promuovere la figura di Gunter Böhmer. Ora si stanno affinando preziosi strumenti di lavoro per dar nuova vita al fondo, conquistare una maggiore visibilità e tramandare l’operato di questo grande artista illustratore, e non solo, alle generazioni future.». Per iniziativa del Municipio di Collina d’Oro si stanno inventariando i lasciti artistici ivi conservati, tra i quali quello di Fritz Huf, Maria Theresia Holzleitner, Agostino e Arnoldo Camuzzi, Pasquale Lucchini, in tutto alcune migliaia di opere. Un’altra novità riguarda la decisione del Consiglio comunale di dedicare una casa dell’arte a queste collezioni artistiche affinché possano essere accolte sotto uno stesso tetto, archiviate correttamente, rese fruibili e valorizzate: il relativo credito di progettazione è stato proprio di recente stanziato dal Legislativo. Annuncio pubblicitario

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CULTURA

L’enfant du pays che ha conquistato il mondo Musica

Incontro con Francesco Piemontesi, pianista applaudito nei templi del concertismo internazionale, che suonerà al LAC

Enrico Parola

«Suonare qui a Lugano ha sempre un sapore speciale. In sala trovo tanti amici e se sul palco c’è la Osi gli amici sono anche attorno a me: alcuni di loro erano miei compagni di Conservatorio, quelli più grandi mi hanno tenuto a battesimo quando avevo appena quattordici anni. Lo ricordo ancora, fu una delle mie prime volte con l’orchestra: suonai il Concerto di Grieg, poi arrivò quello di Schumann e via via tanti altri, perché è raro che passi un’intera stagione senza esibirci assieme».

Se in orchestra hai amici e musicisti che ti conoscono da vent’anni, dialogare e intendersi è decisamente più facile Ovunque vada Francesco Piemontesi viene salutato come un grande pianista: è stato applaudito nei templi del concertismo mondiale, dalla Philharmonie di Berlino alla londinese Wigmore Hall, dalla Carnegie Hall di New York al Musikverein, sede del mitico Concerto di Capodanno viennese; ha suonato con le migliori orchestre e i più grandi direttori, dalla Gewandhaus alla Los Angeles Symphony, da Zubin Mehta a Ton Koopman. Però in Ticino, nonostante compirà quarant’anni la prossima stagione, è e rimane l’enfant du pays, il giovane e prodigioso pianista locarnese che aveva conquistato anche Martha Argerich quando organizzava il suo Progetto sulle sponde del Ceresio e che ad appena trent’anni aveva assunto la guida delle gloriose Settimane Musicali di Ascona, la cui edizione  presenterà il giorno dopo essersi esibito al LAC. Giovedì prossimo alle : l’Orchestra della Svizzera Italiana e Markus Poschner, che dirigerà anche la Seconda Sinfonia di Schumann, lo attendono con uno dei concerti più monumentali, amati, eseguiti dell’intera letteratura romantica, lo splendido e

difficilissimo Concerto n.  in re minore di Brahms. «È difficile suonarlo, ma non è certo facile raccontarlo» esordisce Piemontesi. «Di quest’opera mi affascina tutto. Partiamo dalle melodie: tante, diversissime tra loro nel piglio e nell’umore; poi le armonie: ugualmente ricche, profonde, dense; e la forma: ma quale altro concerto per pianoforte può vantare un primo movimento di oltre venti minuti?» Un’ampiezza motivava forse dall’origine di quest’opera: Brahms stava lavorando a una sinfonia, ma insoddisfatto abbandonò l’impresa rielaborando quanto composto fino a quel momento nel Concerto in re minore. «Le dimensioni dell’orchestra sono davvero sinfoniche: accanto al pianoforte si schierano ottanta-novanta strumenti. Si immagini quando ci si trova seduti davanti alla tastiera e si ascolta questa enorme falange strumentale suonare per quattro minuti l’inizio del Concerto: bisogna saper reggere il peso sonoro dell’orchestra, e non solo all’inizio, bensì fino alla fine. In molti reputano il Secondo Concerto più difficile; io non concordo perché quello in si bemolle maggiore è sì impervio nei primi due movimenti, ma nel terzo e quarto tempo la scrittura orchestrale diviene più snella e la tecnica pianistica si fa più fluida, direi quasi mendelssohniana, così il tutto risulta più rilassato. Per questo ho iniziato a studiare seriamente il Primo solo una decina d’anni fa, e ne ho poi aspettati tre per eseguirlo in pubblico. Qui non c’è mai un attimo di respiro, neppure nelle ultime battute: anche quando arriva la luminosa modulazione dal drammatico re minore al solare re maggiore la scrittura rimane densa, pesante, potente, e il pianoforte continua a macinare note e accordi». Eppure per Piemontesi la vera sfida esecutiva non sta nelle granitiche ottave che il solista deve scolpire lungo tutta la tastiera o nelle rapidissime scale, bensì «nell’essere, tutta questa grandiosità, fondamentalmente

Un primo piano di Francesco Piemontesi, classe 1983, locarnese che il 28 aprile insieme all’OSI suonerà alTeatro LAC. (© Marco Borggreve)

una scrittura dal respiro cameristico. Brahms fa dialogare il pianoforte con ottanta-novanta strumenti come se fossero tre-quattro archi, come se stesse suonando i suoi due Quartetti o il Quintetto. Potrei definire la concezione di quest’opera musica da camera allargata, dove il pianoforte fa quasi parte dell’orchestra. In altre parole la parte solistica è esigente, ma è sempre pensata in dialogo con diverse parti dell’orchestra – ora i fiati, ora gli archi, ora un singolo strumento – esattamente come accade nel Concerto di Schumann. Per questo è sempre bellissimo suonarlo: la responsabilità non è solo del solista, ma anche di direttore e orchestra, perché l’orchestra deve fare molto, c’è grande integrazione. E se in orchestra hai amici e musicisti che ti conoscono da vent’anni, dialogare e intendersi è decisamente più facile».

Il riferimento a Schumann non è casuale: questi, critico di riferimento per i contemporanei oltre che compositore e pianista, fu lo scopritore e il mentore di Brahms. «Oggi visita di un giovane, Brahms: un genio» scrisse dopo che l’amburghese si era presentato sottoponendogli alcuni suoi lavori pianistici. E quando Robert fu vittima dei suoi tragici problemi psichici, Johannes divenne l’amico e il confidente musicale della moglie di Schumann, Clara Wieck, a sua volta grande virtuosa del pianoforte. Riflettendo sulla biografia non solo artistica, ma anche umana di Brahms, Piemontesi confessa di essere profondamente colpito «dal contrasto tra il travolgente slancio giovanile che vibra soprattutto nel primo e nel terzo movimento, e un aspetto religioso, profondamente e sinceramente spirituale, che emerge non solo in

tutta la parte centrale, ma nei temi in maggiore e nelle oasi di pace e gioia che si aprono in tutto il concerto». Comunque il momento più toccante è l’Adagio centrale, con la poetica, sommessa introduzione orchestrale ripresa dal pianista con assorti e delicati accordi: «Sono rimasto molto colpito quando, qualche anno fa, uscì la nuova edizione del Concerto curata da Paul Badura-Skoda, altro grande pianista, prendendo in considerazione anche lo spartito personale di Brahms: in corrispondenza del tema che apre l’Adagio, il compositore aveva letteralmente contrappuntato ogni nota con una lettera della preghiera cristiana Benedictus qui venit in nomine Domini; al di là della nostra percezione, delle nostre impressioni, innanzitutto per lui questa musica doveva avere un significato realmente spirituale». Annuncio pubblicitario

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CULTURA

La ragazza con l’orecchino di Perla Musica

Conquista il primo lavoro operistico importante di Stefan Wirth

Marinella Polli

Non è certo un caso isolato che l’Opernhaus di Zurigo commissioni un’opera ad un compositore contemporaneo. Lo ha fatto regolarmente negli ultimi anni, con un buon successo, anche se più di critica che di pubblico. Per il  la scelta è caduta su Stefan Wirth, classe , alla sua prima esperienza con un lavoro operistico importante. Il compositore zurighese si è chinato su La ragazza con l’orecchino di perla, il romanzo di successo di Tracy Chevalier, dal quale è stato tratto anche un film con Scarlett Johansson e Colin Firth come protagonisti. Per l’atteso appuntamento, il teatro era strapieno e l’accoglienza da parte del pubblico è stata tutt’altro che riluttante, lo diciamo subito, sia alla prima che alla seconda rappresentazione. Questa di Wirth è una partitura complessa, eterogenea e atonale, ma con una armonia perfetta fra strumenti e voci. Armonia, in questa occasione peraltro perfettamente rispettata dal Maestro Peter Rundel, attento ad ogni minimo dettaglio e alla coinvolgente atmosfera sonora dei diversi momenti. Rundel viene assecondato con precisione, differenziazione ed entusiasmo da una Philarmonia Zürich in gran forma. Girl with a Pearl Earring, dunque, su libretto in inglese (sopratitoli in inglese e tedesco) di Philip Littell, il quale colloca Griet, una giovane servetta

olandese del Seicento, a raccontare in prima persona gli accadimenti che si svolgono in casa del già ricco e celebre pittore Jan Vermeer. Muovendo dalla fine, ossia dal momento in cui la ragazza ha già dovuto lasciare la casa di Vermeer e si è già sposata con il giovane macellaio Pieter, il funzionale libretto non segue pedissequamente il romanzo e ne elimina alcuni personaggi e situazioni. Grandiosa la prestazione di Lauren Snouffer – che è quasi incessantemente in scena – nel vocalmente e scenicamente arduo ruolo del titolo: qui sommesso, dolce, malinconico e più intimo, qui intenso e determinato. Il soprano americano si avvale con tecnica sicura di uno strumento vocale dal timbro adamantino anche nei molti piano. Le è accanto il celebre baritono Thomas Hampson che, con l’arcinoto carisma, con l’immutato calore della voce e con l’autorevole, ma sempre differenziata presenza scenica, si cala nei panni di Vermeer. Perfetto nel graduale avvicinamento a Griet, nel conquistare pian piano la fiducia della ragazza, nel risvegliare il suo interesse per il mondo dell’arte e nel consentirle l’accesso al suo atelier, sino a quel momento luogo vietato a chiunque. Laura Aikin interpreta il ruolo di Catharina, la moglie perennemente incinta del pittore: superba, arrogante, e gelosissima di Griet; gelosia e rabbia che il soprano america-

In scena gli attoriThomas Hampson nei panni di Jan Vermeer e Lauren Snouffer nel ruolo di Griet. (©Toni Suter)

no evidenzia sia vocalmente che attorialmente. Fenomenale come sempre Liliana Nikiteanu subentrata a Felicity Palmer nel ruolo di Maria Thins, la suocera e il vero e proprio capofa-

miglia. Brava anche Irène Friedli nei panni di Tanneke, la serva anziana scorbutica e altrettanto gelosa di Griet, il baritono Yannick Debus in quelli di Pieter e il tenore Iain Mil-

ne nell’odiosa parte del viscido mecenate Van Ruijven. Un applauso anche agli altri interpreti, nonché agli onnipresenti, chiassosi tre bambini (il canto è affidato alla brava Lisa Tatin nella parte di un cosiddetto «children engine»). L’allestimento porta la firma del regista Ted Huff che riflette sulle azioni interiori dei personaggi piuttosto che su quelle verbali. Raffinata, dunque, la guida dei personaggi all’insegna dell’introspezione psicologica, della mimica degli sguardi più che di una vera e propria gestualità, il che conferisce una forma minimalista a ritmo e colore della drammaturgia concepita da compositore e librettista. Anche l’essenziale scenografia di Andrew Liebermann è in sostanziale accordo con la regia: su una scena girevole viene spostata un’unica parete ora nera ora illuminata, a seconda della situazione. Gli adeguati costumi fatti risalire al periodo fra il  e il  – anche quello di Griet quando viene dipinta da Vermeer corrisponde a quelli del celeberrimo quadro – sono di Annemarie Woods e il suggestivo Light Design di Franck Evin. Una produzione, questa nuova zurighese, da porre certamente nel novero delle indimenticabili. Si replica sino all’ maggio. Informazioni www.opernhaus.ch Annuncio pubblicitario

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CULTURA

Due anime «fuori dall’ingranaggio» Pubblicazione

Finalmente edito il carteggio tra Eugenio Montale e Sergio Solmi

Federica Alziati

«Quando t’ho conosciuto mi sembrasti un vero fenomeno, perché sapevi sognare e passare intatto tra le brutture della vita pur conoscendo e avendo saggiato aspramente le noie dell’esistenza»: così confidava Eugenio Montale all’amico Sergio Solmi, da Genova, nell’aprile del . Entrambi giovani avidi di letture e letteratura, l’aspirante poeta ligure e il suo alter ego torinese si erano incontrati nel marasma degli anni di guerra, alla Scuola d’Applicazione di Fanteria di Parma alla quale erano stati destinati nel , scoprendo di condividere vocazione poetica e inquietudini morali. L’amicizia nata tra le armi resistette al conflitto e a duraturi periodi di lontananza, maturando in un sodalizio umano e intellettuale lungo una vita intera. Ne dà testimonianza il copioso scambio epistolare protrattosi per più di sessant’anni, di cui sopravvivono  lettere, ora edite e illustrate con cura intelligente e premurosa da Francesca D’Alessandro. Il nucleo vitale del carteggio si dispiega nella stagione tra le due guerre – prima che la comune residenza milanese riducesse al minimo il ricorso alla comunicazione scritta – ed offre una prospettiva privilegiata sul primitivo costituirsi della voce poetica di Montale, nella progressiva elaborazione degli Ossi di seppia, e sulla coeva attività letteraria, critica e pubblicistica di Solmi, faticosamente preservata a margine degli studi di diritto e della professione d’avvocatura. L’ispirazione profonda e originale della poesia montaliana si disvela fin da una lettera del febbraio , nella quale il po-

eta riflette sul panorama contemporaneo e, a fronte delle sperimentazioni d’avanguardia o dei ripiegamenti intimistico-crepuscolari, si mostra convinto che «versilibrisme, unità discorsiva, tono parlato, intimità ecc. ecc. […] possono ancora sposarsi a un pizzico di umanesimo e di castità formale» (Lettera ). L’equilibrio che Montale insegue si gioca al discrimine tra novità e tradizione umanistica, tra libertà e compostezza formale: «la soluzione del mio problema artistico è per me un bisogno di risolvere tutte le antitesi e i dualismi nell’opera di bellezza», dichiara a distanza di pochi mesi in uno scritto del gennaio , comprendendo nel proposito non soltanto le alternative letterarie ma anche le umane contraddizioni di un animo ch’egli rivela ad un tempo «ingenuo» e «complicato», «sentimentale» e «scettico», da «vecchissimo fanciullo» qual è (Lettera ). Per questo, di lì al mese di aprile sarebbe tornato a precisare come l’ideale della bellezza non possa in nessun modo coincidere con «l’idea sensistica, edonistica» favorita dal culto «della Dea Arte e de’ suoi sacerdoti», ma debba piuttosto contemplarsi «da un punto di vista etico», che riconosca «il piacere massimo […] nella virtù, nell’armonia, nell’equilibrio, nella dignità»: «una sintesi di sentimento, pensiero, intuizione e cultura, valori umani e valori puramente estrinseci» (Lettera ). Varcata la soglia degli anni Venti, la corrispondenza accompagna allora il prender corpo degli Ossi, in un andirivieni di testi che scandisce le fasi di composizione della raccolta. Mon-

Eugenio Montale (18961981), Premio Nobel per la letteratura nel 1975.

tale cerca di sottrarsi ai «panismi imbecilli» e alle «snervanti dissoluzioni nel Tutto» del modello dannunziano (Lettera ), provando a fronteggiare in modo personale e lucidissimo meraviglie e desolazioni del paesaggio naturale e dell’esistenza animata: nascono così Riviere, che Solmi accoglie sulla rivista «Primo Tempo» nel , o L’agave sullo scoglio, in cui l’intellettuale torinese ravvisa l’espressione di una personalità poetica ormai matura, che ha il dono di «poter vedere le forme della realtà nella loro indi-

vidualità netta ed incantata, ma pur commossa» (Lettera XIV, dell’ottobre ). E mentre introduce il poeta nel prestigioso circolo intellettuale animato da Piero Gobetti, futuro editore degli Ossi, Solmi suggerisce con lungimiranza prospettive di sviluppo alla sua scrittura: «Ora non ti resta che slargare e osare, […] e introdurre nuovi elementi umani» (Lettera XVI, datata  gennaio ). L’intuizione anticipa il motivo dominante del secondo tempo della poesia montaliana, la presenza femminile che punteggia

di apparizioni e accensioni di speranza la trama delle Occasioni (), e si rivela in perfetta sintonia con gli sconfinamenti critici dello stesso Solmi, che nel dibattito intellettuale europeo cerca alternative all’idealismo crociano, capaci di mettere in luce il rapporto dialettico del testo letterario con il tempo storico e l’orizzonte umano in cui si produce e propaga (ne è esempio lampante l’attenzione per il pensiero di Alain). Attorno alle momentanee illuminazioni poetiche, d’altronde, si compone e modifica senza sosta una fitta trama di voci, relazioni e contesti (puntualmente ricostruita nell’Introduzione al carteggio) che gli interlocutori commentano con toni ora benevoli ora vivacemente polemici, severi con le personalità dominanti e attenti ai valori negletti, come dimostra il fecondo legame con Italo Svevo. E nel rabbuiarsi dell’Italia fascista o nel turbine del rinnovato conflitto, quel controcanto confidenziale – pur a poco a poco rarefatto – continuerà a concedere sfogo e conforto a due individualità straordinarie, dignitosamente ai margini: ciascuna a suo modo, secondo l’immagine con cui Montale si confessa (con pari sconforto e fierezza) «un pezzo fuori dall’ingranaggio» (Lettera , del giugno ). Bibliografia Eugenio Montale-Sergio Solmi, Quel che è nostro non ci sarà tolto mai. Carteggio (1918-1980), a cura di Francesca D’Alessandro Macerata, Roma, Quodlibet, 2021.

La poetica del racconto di Francesco Pecoraro Pubblicazione

Camere e stanze raccoglie testi editi, a partire da Dove credi di andare del 2007, fino a molti inediti più recenti

Roberto Falconi

«Il rettangolo prevale sul mondo, sull’umanità e sui pittori, da sempre. Nessuno è libero dal rettangolo». Così riflette un pittore, ossessionato dal vincolo imposto dalla tela che ha di fronte. Una forma che ha tuttavia anche una funzione utile nel suo lavoro: «direi che a me tutto sommato il rettangolo serve per finire il quadro: si esaurisce la superficie disponibile e io smetto di dipingere. Se fosse per me ritornerei all’infinito sulla tela per correggere e modificare». Un giorno un amico gallerista gli fa una proposta: ha affittato un capannone e ha deciso di inaugurarlo con sei installazioni, affidate ad altrettanti artisti; una sarebbe per lui. Il pittore ci pensa un po’ su, in fondo lui non fa installazioni. Poi però vede lo spazio che gli verrebbe assegnato (un locale quadrato di sei metri di lato, alto quattro) e si convince. Decide subito che non dipingerà la parete della porta, ma solo le altre tre. Inizia quindi a lavorare in senso orario. Quando ha ultimato il giro, non riesce a fermarsi e prosegue sulla pittura già stesa («qui non sento le pareti come rettangoli e tendo a ignorarne i margini»). E poi via, compulsivamente, con il terzo strato, il quarto, senza trovare una delimitazione di campo, «in un sovrapporsi di ipotesi, tutte più o meno valide e dunque intercambiabili». Si barrica nel locale, resistendo ai colpi alla porta del gallerista. Alla fine, stremato, se ne torna a casa, almeno per una not-

te. Il giorno seguente trova il gallerista a osservare il lavoro svolto. Il pittore lo colpisce al volto con tutta la forza che ha, poi alza gli occhi sulla parete di destra: «c’è un azzurro che non mi piace: è troppo acceso e poco dubbioso, bisogna correggerlo». È questo, in sintesi, uno dei racconti del libro che riunisce tutti i pezzi brevi, editi e inediti, di Francesco Pecoraro, e che costituisce una riflessione metaletteraria sulla natura stessa dell’opera. A cominciare dalla figura del rettangolo per il pittore protagonista, emblema della tensione tra la necessità di definire e la consapevolezza dell’impossibilità di mettere ordine nel caos del mondo, e quindi dell’esigenza di varcare i margini in un tragico percorso di ricerca, il cui punto d’approdo non può che essere costantemente spostato verso un nuovo orizzonte di possibilità. Ciò non vale solo per il pittore, ma pure per lo scrittore: anche un libro è composto da una serie di rettangoli (sovrapposti), il cui numero deve prima o poi finire, ma senza precludere all’autore la possibilità di intervenire infinite volte entro quel perimetro. Anche la scrittura, come la pittura, può stratificarsi. A maggior ragione in un libro come questo: non una semplice operazione editoriale con lo scopo di recuperare testi provenienti da sillogi già pubblicate ai quali aggiungere qualche inedito, bensì la creazione di una raccolta attraversata da nuove dinamiche interne, determinate dai rapporti tra i singoli

pezzi e la loro organizzazione nel macrotesto definitivo. Significativamente, il titolo del libro è Camere e stanze: se stanza è «l’insieme di cose che stanno, concluse in sé», camera è «ciò che è ricoperto da una volta». Stanza è dunque ciò che occupa una camera e l’organizza. Basti pensare alla presenza di elementi che si illuminano reciprocamente di significati ulteriori proprio grazie alla loro ricorrenza tra i vari racconti. Come il motivo del mare, ora vagheggiato da una coppia di fratelli costretta a rimanere in compagnia di un padre imprevedibilmente violento prima di raggiungere la madre nella casa di villeggiatura estiva; ora, al contrario, luogo in cui una coppia in crisi si rifugia sperando di rimettere in piedi una relazione incrinata. O, ancora, il suicidio, analizzato nelle sue motivazioni da un cinquantenne trovato appeso ai tubi del riscaldamento con una serie di

fogli nel taschino della camicia. Dieci pagine anaforicamente martellanti con qualche reminiscenza leopardiana: «Mi suicido per la mia incapacità, ormai comprovata ma mai accettata, di stabilire un patto termico con l’ambiente che mi circonda. Mi suicido perché un assolo di John Coltrane è un unicum assoluto, irriproducibile, enigmatico, senza possibilità di redenzione, di vera comprensione, di appagamento, di stasi, di riposo, di perdono». Un gesto estremo che invece non riesce a un artista ossessionato proprio dal suicidio mancato: «si riprese a tarda notte, ritrovandosi nudo e gelato nel proprio sangue rappreso, ma vivo». Risponde alla tensione tra esigenza definitoria e impossibilità di una piena delimitazione del mondo anche la presenza di generi diversi, qui riflesso dell’incessante ricerca della forma più adatta per tentare di accedere al-

la complessità del reale. Ci si muove dunque entro l’arco teso tra i racconti distopici e quelli più propriamente realistici, attraverso le atmosfere fantastiche del pezzo in cui un ragazzo, rientrando da scuola, non trova più i propri genitori. Quello di Pecoraro è pertanto un libro fortemente conflittuale. Non a caso alcuni dei protagonisti sono artisti ingombrati dai propri modelli o alla ricerca di qualcosa di forse irraggiungibile, come il giovane pittore Bilal, che riuscirà a far coincidere Arte ed Esistenza solo attraverso la performance di un attentato terroristico di matrice islamica. Per tacere dei conflitti tra intimità e immagine esteriore, e di quelli tra presente e passato, variamente declinati: tra genitori e figli; nelle relazioni amorose (in Antonella ti amo la protagonista è costretta ogni mattina a passare sotto il cavalcavia su cui si trova, a caratteri cubitali, la dichiarazione di un vecchio amante); nelle stratificazioni urbane che hanno brutalizzato gli interstizi tra le borgate romane e il centro. Un aspetto, questo, da sempre oggetto dell’indagine di un autore che si spera possa varcare al più presto, con la propria scrittura, i confini di questo pur magnifico rettangolo-libro. Bibliografia Camere e stanze, Francesco Pecoraro, Firenze, Ponte alle Grazie, 2021.


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CULTURA

Visions du Réel, l’edizione della rinascita

Cinema

Grande successo per il festival del documentario svizzero di Nyon tornato ad essere in presenza

Giorgia Del Don

Durante gli ultimi due anni segnati dalla pandemia, il festival Visions du Réel si è trovato alle prese con emozioni spesso contrastanti: dalla delusione più cocente all’euforia pura. Un’esperienza che ha fatto fiorire progetti inattesi come le coinvolgenti Balades thématiques che permettono a quanti vogliono prolungare l’esperienza cinematografica facendo domande o semplicemente discutendo con i cineasti o i ricercatori dell’Università di Losanna, di farlo mentre passeggiano per le strade di Nyon. Un modo conviviale di approcciare il cinema che permette di riflettere sulla settima arte senza tabù, arricchendosi dell’esperienza di chi la vive e sperimenta il quotidiano. Inclusivi e simpaticamente informali anche gli Stammtisch, momenti di scambio con i registi e i membri del festival all’ora dell’aperitivo. La ricchezza delle (nuove) proposte che coinvolgono il pubblico trasforma la kermesse in luogo democratico nel quale pubblico e addetti ai lavori comunicano in tutta libertà. Come sempre avanguardistica, la programmazione di quest’anno sfida più che mai le convenzioni giocandoci non senza una certa dose di sfrontatezza. Indipendentemente dal linguaggio utilizzato: documentario (impregnato di finzione) o finzione (che nasce dall’osservazione minuziosa del reale), ciò che accomuna i film di questa cinquantatreesima edizione è la necessità di esprimere le preoccupazioni che abitano il nostro quotidiano, di rappresentare il reale in tutta la sua meravigliosa e destabilizzante complessità. Il padrino (premio Maître du réel) di quest’edizione della «rinascita», l’immenso regista italiano Marco Bellocchio, riassume con il suo cinema proprio questa dicotomia fra realtà e finzione, due facce della stessa medaglia che fa dialogare senza sosta per (ri)costruire la realtà che lo attornia e inquieta: quella italiana, ma anche quella più intima della sua famiglia. Dall’impetuoso e poetico I pugni in tasca del , film di debutto osannato da pubblico e critica, fino all’ultimo, toccante Marx può aspettare, che con coraggio e pudore racconta la storia del fratello gemello morto suicida a ventinove anni, Bellocchio non ha mai

Il regista svizzeroTizian Buechi dopo aver vinto il Gran Premio della Giuria con il suo film The Island durante la cerimonia di chiusura della 53a edizione del Festival sabato 16 aprile 2022 alTheatre de Marens di Nyon (Keystone). Sotto, una scena del film Garçonnières.

smesso di nutrirsi del suo vissuto per raccontare storie che lo sublimano e complessificano. Una miscela geniale fra personale e politico, pubblico e privato che è anche al centro dei film della regista americana Kirsten Johnson e del regista algerino Hassen Ferhani, i due importanti ospiti di quest’anno, infaticabili traduttori di un reale sempre più complesso e inafferrabile. Sebbene sia ovviamente impossibile rag-

gruppare i film selezionati in un solo tema, ciò che marca indubbiamente quest’edizione è la forte presenza di film inediti: nove su sedici nella Competizione Internazionale Lungometraggi e sette su quindici nella Competizione Burning Lights. Una presenza massiccia e benvenuta per un’edizione che profuma di primavera, d’audacia e di quella sfrontatezza tipica della gioventù. Nella Competizione Internaziona-

le spiccano proprio due primi film di registi svizzeri: My Old Man di Steven Vit e L’îlot del romando Tizian Büchi. Quest’ultimo parte dalla realtà di un quartiere «popolare» di Losanna, les Faverges, attorniato dal fiume Vuachère, per lasciare poi spazio ad una sorta di realismo magico che sembra sgorgare dalle acque stesse del fiume. Fedele a quella miscela fra realtà e finzione tanto cara al festival, Büchi ha affidato il ruolo di protagonisti ad un controllore dei trasporti pubblici losannesi ed al suo coinquilino, due personalità dirompenti che illuminano letteralmente lo schermo. Steven Vit da invece voce e corpo a suo padre, Rudi Vit, un «pezzo grosso» di un’azienda internazionale che deve improvvisamente vestire i panni ingombranti del pensionato dopo aver passato buona parte della sua vita a viaggiare per lavoro. Un ritratto preciso e delicato di un baby boomer alle prese con la ricostruzione della propria mascolinità, la storia di un uomo finalmente libero di esplorare, non senza una benvenuta dose di umo-

rismo, le proprie emozioni. Un film inedito anche il potente Chaylla del duo francese Paul Pirritano e Clara Tepel che racconta il difficile percorso di Chaylla nel tentativo di liberarsi dagli abusi, fisici e psicologici, del suo compagno. Fra coraggio e rassegnazione, la protagonista del film, filmata con poesia ed estrema empatia, si rivela pian piano davanti alla cinepresa trovando infine il coraggio di esistere. Un film toccante e giusto che ricorda la precisione dei fratelli Dardenne. Un ritratto a fior di pelle anche Éclaireuses della belga Lydie Wisshaupt che racconta l’avventura di due insegnanti combattive implicate nella difesa di una scuola «alternativa» per bambini migranti, molti dei quali non sono mai stati scolarizzati. Altrettanto esplosiva la Competizione Burning Lights dove brillano pepite d’inventività intrise d’umanità come lo spagnolo Los saldos del giovane Raúl Capdevila Murillo che mette in scena, in un’atmosfera da film western, il declino della modesta azienda agricola famigliare divorata dai giganti dell’agroalimentare. In un andirivieni costante fra realtà e finzione, i genitori, la nonna, i vicini e il regista stesso diventano i magnifici protagonisti della loro storia. Un’audacia decisamente presente anche nella Competizione Nazionale capitanata da film radicali quali Ardente.x.s, primo lungometraggio di Patrick Muroni sul collettivo OIL Productions che crea film pornografici «etici e dissidenti», Garçonnières della regista e antropologa Céline Pernet che si interroga sui modelli contemporanei di mascolinità, Hijos del viento di Felipe Monroy, ultimo capitolo di una trilogia senza compromessi sulla terra natale del regista: la Colombia o ancora Supertempo di Daniel Kemény, prodotto dalla ticinese Cinedokké, che ci scaraventa nel quotidiano del regista e della sua compagna durante il confinamento. Sin dal film d’apertura Fire of Love di Sara Dosa che racconta la storia di una coppia di vulcanologi assolutamente fuori dal comune, quest’edizione non ha smesso di fare tremare le nostre certezze fino all’eruzione finale marcata da una gioia condivisa: quella di essere di nuovo riuniti davanti al grande schermo.

Agnelli sacrificali Cinema

Lamb, il cinema nordico che diventa gotico

Simona Sala

È un paesaggio per certi versi quasi lunare, con crateri brulli, il cielo grigio e basso e una natura arida, quello che ci restituisce Valdimar Jóhannsson, al suo debutto alla regia. Un’Islanda i cui abitanti sembrano costretti a strappare ogni forma di sussistenza alle insidie della natura, a costo di sacrifici e rinunce. È così anche per i protagonisti di Lamb, Maria e Ingvar, una casa, una stalla, un cane e un gatto, dediti all’allevamento di ovini, innamorati e complici, nonostante il lutto che li ha colpiti. La loro vita – il lavoro nei campi sotto il cielo plumbeo, i silenzi che riempiono ogni cosa, i parti delle pecore – un tributo alla quotidianità.

Poi però, in modo strisciante, quasi subdolo, l’atmosfera rudemente naturalistica si fa gotica e, grazie alla magistrale fotografia di Ali Arenson, i non detti di una coppia diventano immensi come le montagne che la circondano, così come gli sguardi degli ovini, da apallici e vitrei, si fanno forieri di misteriosi messaggi. Ma se natura e animali sembrano percepire la presenza di un elemento soprannaturale, e lo temono, Ingvar e Maria continuano nella propria imperterrita quotidianità. E quando invece di un agnellino, nasce un’agnella-bambina, decidono di addomesticarla, accogliendola in casa e adottandola. L’innocente essere ibrido diventa Ada, e

all’idillio di una famiglia che in casa costruisce il proprio nido, si contrappone una sfuggente forza malefica esterna. A questo punto, qualsiasi scivolone da parte della regia avrebbe trasformato Lamb in uno dei numerosi horror di cui il mercato è saturo, ma Valdimar Jóhannsson, classe , tiene saldo l’equilibrio tra i due binari, quello di un certo cinema nordico, crudo ed essenziale, ma curato nei minimi dettagli (un po’ come in Rams, del , premiato a Cannes) e quello di un cinema che presta il fianco a qualche effetto speciale e al soprannaturale, condendolo con il folklore dell’isola nordica. Ne esce un film prezioso fat-

to di sguardi (quelli indecifrabili dell’ibrido-agnellina, quelli di una straordinaria Noomi Rapace) e di sentimenti intensi che esplodono riecheggiando nel paesaggio ostile. Lamb, presentato a Cannes nel , sezione Un certain regard (Premio all’originalità), mette in campo tutta una serie di archetipi del cinema nordico, costringendo lo spettatore a interrogarsi su temi attuali come quello del rapporto dell’uomo con la natura, o ancora, dell’uomo con il proprio egoismo, che dietro la facciata di un (presunto) amore, riesce all’apparenza a superare la natura stessa, con il rischio di conseguenze inimmaginabili.


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Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. Offerte valide solo dal 26.4 al 2.5.2022, fino a esaurimento dello stock.

20% 9.50 invece di 11.90

Tomme Happily Baer Original o Fromella Provençale, per es. Original, 2 x 200 g

40% Tutto l'assortimento di calzetteria da donna e da uomo (articoli SportXX esclusi), per es. Ellen Amber Vision, color porcellana, tg. M, il pezzo, 5.85 invece di 9.80

Migros Ticino


Frutta e verdura

Bei tempi per l’equilibrio vitaminico

34% 8.95 invece di 13.65

30% 2.50 invece di 3.60

Spagna/Italia, vaschetta da 400 g

28% 3.95 invece di 5.55

21% 4.95 invece di 6.30

25% Pallina di mozzarella Alfredo Più 3 x 150 g

Oli d'oliva Don Pablo 1 l o 500 ml, per es. 1 l, 5.95 invece di 7.95

22% 1.20 invece di 1.55

Migros Ticino

Spagna/Italia, mazzo, 750 g

Fragole bio

IDEALE CON

conf. da 3

Asparagi verdi bio

Mirtilli Spagna/Portugal/Marocco, vaschetta da 500 g

Avocado Cile/Spagna/Portogallo, al pezzo


Vitamine a un franco 21% 3.30

Pomodori a grappolo Spagna/Svizzera, al kg

invece di 4.20

0% 1.– Mele Gala Svizzera, vaschetta da 500 g

25% 2.–

Foglia di quercia bio Ticino, al pezzo

invece di 2.70

18% 2.20

0% 1.– Patate Novelle

Arance bionde

Egitto, imballate, 1,5 kg

Spagna, rete da 1 kg

invece di 2.70

Migros Ticino

In quantità usuali per una normale economia domestica e fino a esaurimento dello stock. Offerte valide solo dal 26.4 al 2.5.2022.


Carne e salumi

Prelibatezze per veri carnivori

CONSIGLIO DEGLI ESPERTI Lo sminuzzato di manzo viene tagliato a mano in modo ottimale al bancone della carne. Cucinare una porzione alla volta, affinché la carne resti succosa e non perda l'acqua. È versatile e adatto soprattutto per piatti asiatici e manzo alla Stroganoff. Trovi altri consigli e informazioni al bancone.

15% 3.45 invece di 4.10

31% 1.10 invece di 1.60

15% Ossobuco di vitello, IP-SUISSE per 100 g, in self-service

Puntine di maiale, IP-SUISSE per 100 g, in self-service

Fettine di pollo Optigal Svizzera, al naturale o speziate, per es. al naturale, per 100 g, 2.80 invece di 3.30, in self-service

20% 3.95 invece di 4.95

Cappello del prete (Picanha), IP-SUISSE per 100 g, in self-service

In v e ndit a o al banc on ra e

20% 3.25 invece di 4.10

Sminuzzato di manzo in vendita al banco, IP-SUISSE per 100 g


Pesce e frutti di mare

20% Tutti i prosciutti di coscia e di spalla affettati, IP-SUISSE per es. prosciutto di coscia maxi, per 100 g, 2.– invece di 2.55, in self-service

20% 5.50 invece di 6.90

Prosciutto affumicato di campagna bio affettato Svizzera, in conf. speciale, per 100 g

30% 13.75

invece di 19.80

25% 2.95 invece di 4.05

Branzino M-Classic, intero, ASC d'allevamento, Grecia, in conf. speciale, 720 g

conf. da 2

Salametti di cervo prodotti in Ticino, conf. da 2 pezzi, per 100 g

33% 9.90 invece di 14.80

Q uasi c ome in v ac anza

Prosciutto crudo di Parma Italia, 2 x 100 g

20% Tutti i prodotti Fruits de mer e Antipasti

24% 7.95 invece di 10.50

Cosce di pollo M-Classic speziate Svizzera, al kg, in self-service

20% 1.60 invece di 2.–

per es. insalata di frutti di mare Antipasti, 180 g, 5.50 invece di 6.90

Bistecche di collo di maiale marinate, IP-SUISSE in conf. speciale, per 100 g

Pe r tutt i g li inde c isi

conf. da 2

30% 5.50 invece di 7.90

Migros Ticino

Cipollata, IP-SUISSE 2 x 8 pezzi, 400 g

16% 4.95 invece di 5.95

39% 14.55 invece di 23.90

Mix di bratwurst e cervelat bio

Gamberetti tail-on Pelican cotti, ASC surgelati, in conf. speciale, 750 g

Svizzera, 5 pezzi, 300 g, in self-service

Offerte valide solo dal 26.4 al 2.5.2022, fino a esaurimento dello stock.


Formaggi e latticini

Ce n’è per tutti i gusti!

15%

20%

Tutti i tipi di crème fraîche

Mezza panna e panna intera bio

(beleaf escluso), per es. Valflora al naturale, 200 g, 2.20 invece di 2.60

per es. mezza panna, 250 ml, 2.20 invece di 2.75

20% 1.40 invece di 1.75

Le Gruyère dolce, AOP ca. 500 g, per 100 g, confezionato

20% 1.35

Asiago pressato, DOP per 100 g, confezionato

invece di 1.70

invece di 2.05

20x

3.50 Migros Ticino

20x

20x

Novità

Novità

Cottage Cubes plant-based V-Love 180 g

(Formaggini freschi), per 100 g

PUNTI

PUNTI

Novità

Furmagín frésch

D e s se r t s t r a t if insie me a un ic at o, de lizioso c a f f è o un t è

L'alte rnativa veg ana al cot tag e che ese

PUNTI

15% 1.70

3.95

Burrata bio 125 g

3.50

Sogno di cioccolato Sélection 2 pezzi, 160 g


Pane e prodotti da forno

Dal pane ai panini ana: m i t t e s a ne de l l adat t o al le a p o r t I l n o s , g u s t o s o e d o me s t i c h e s c u r o e c o n o mi e e nsioni m e i l d o c e c pi a l l e su g r azie

conf. da 4

22% 2.95 invece di 3.80

2.60 Yogurt Passion

Rombo scuro cotto su pietra, bio 250 g, prodotto confezionato

disponibili in diverse varietà, per es. Arancia Sanguigna, 4 x 180 g

–.10

di riduzione

Tutti gli iogurt Nostrani per es. castégna (alla castagna), 180 g, –.95 invece di 1.05

20% Tutte le varietà di Coupe Chantilly

a partire da 2 pezzi

20% Tutte le farine bio (prodotti Alnatura e Demeter esclusi), per es. farina per treccia, 1 kg, 2.75 invece di 3.40

conf. da 2

30% 3.90 invece di 5.60

Michettine croccanti precotte M-Classic, IP-SUISSE 2 x 300 g

20% Tutto l'assortimento You per es. pane proteico, 400 g, 2.55 invece di 3.20, confezionato

per es. Chocolat, 125 g, –.40 invece di –.50

Migros Ticino

Offerte valide solo dal 26.4 al 2.5.2022, fino a esaurimento dello stock.


Scorta

Quando si ha poco tempo

conf. da 2

40%

conf. da 2

Hit 6.95

Pasta Agnesi penne rigate, spaghetti o tortiglioni, in confezioni multiple, per es. penne rigate, 2 x 500 g, 2.50 invece di 4.20

Pasta ripiena Anna's Best tortelloni ricotta e spinaci o tortellini tricolore al basilico, per es. tortelloni ricotta e spinaci, 2 x 500 g

conf. da 2

15% 5.40 invece di 6.40

a partire da 2 pezzi

20% Tarte flambée originale dell'Alsazia

Tutto l'assortimento Knorr per es. brodo di manzo in granuli, 240 g, 7.60 invece di 9.50

2 x 350 g o 2 x 240 g, per es. 2 x 350 g

conf. da 3

21% Pizza Trattoria Finizza surgelata, al prosciutto, alla mozzarella o al tonno, per es. al prosciutto, 3 x 330 g, 4.95 invece di 6.30

conf. da 2

33% Pommes noisettes o crocchette di rösti M-Classic prodotti surgelati, per es. pommes noisettes, 2 x 600 g, 5.95 invece di 8.90

conf. da 3

20% Legumi M-Classic ceci, fagioli Kidney, bianchi di Soissons o borlotti, per es. fagioli borlotti, 3 x 250 g, 2.85 invece di 3.60


Bevande

Acqua naturale o concentrato di energia? Un c affè c on ac idit à , una spuna fine armoniosa e un e ziatura a sott ile conf. da 6

33% Tutto l'assortimento Perrier e Contrex

33%

per es. Perrier, 6 x 500 ml, 4.– invece di 6.–

50% 2.95

Vittel 6 x 1,5 l

invece di 5.95

Tutte le capsule Café Royal disponibili in diverse varietà, per es. Lungo, 10 capsule, 2.90 invece di 4.40

conf. da 6

conf. da 2

23% 3.–

Senape dolce Thomy 2 x 200 g

invece di 14.20

invece di 3.90

invece di 9.–

20% Rivella rossa, blu o refresh, 6 x 1,5 l, per es. rossa

conf. da 10

conf. da 6

33% 6.–

30% 9.90

Fleischkäse Malbuner disponibile in diverse varietà, per es. Delikatess, 6 x 115 g

23% 5.95 invece di 7.80

Tutti i succhi freschi e le composte Andros per es. succo d'arancia, 1 l, 3.95 invece di 4.95

e Una latt ina contienose di d all'inc irca la st essaa di caffè zz caffeina di una ta

conf. da 12

25% Sanbittèr San Pellegrino 10 x 100 ml

13.50 invece di 18.–

Red Bull Energy Drink o Sugarfree, 12 x 250 ml, per es. Energy Drink

Offerte valide solo dal 26.4 al 2.5.2022, fino a esaurimento dello stock.


Dolce e salato

Bontà da sgranocchiare

conf. da 50

50% 12.–

conf. da 2

a partire da 2 pezzi

25% Branches Milk Frey 50 x 27 g

23.90 invece di 31.90

invece di 24.–

20% Bastoncini al kirsch Bâtons Lindt

Tutte le tavolette di cioccolato Frey da 100 g

2 x 250 g

(Sélection, Suprême, M-Classic e confezioni multiple escluse), per es. al latte e alle nocciole, 1.50 invece di 1.85

conf. da 10

Hit

16.90

conf. da 2

Tavolette di cioccolato Lindt assortite 10 x 100 g

26%

conf. da 3

20%

Pralinés Lindt

Biscotti Ovomaltine

Mini o Connaisseurs, per es. mini, 2 x 180 g, 17.50 invece di 23.90

Crunchy, Petit Beurre o Petit Beurre Noir, per es. Crunchy, 3 x 250 g, 8.80 invece di 11.10

Prodott o te st ato da org ani indipe nde n ti

conf. da 2

1.90

Tavoletta di cioccolato al latte e alle nocciole, Fairtrade, bio 100 g

24% 5.95 invece di 7.90

Chips Zweifel disponibili in diverse varietà, per es. alla paprica, 2 x 175 g


Ordinato, consegnato! shop.migros.ch

Se nza conservant i e colorant i, con aromi naturali conf. da 4

20% 6.70

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invece di 8.40

Tutti i cake della nonna

Gelati in barattolini monoporzione surgelati, Ice Coffee, Vacherin o Bananasplit, per es. Ice Coffee, 4 x 165 ml

disponibili in diverse varietà, per es. torta alla tirolese, 340 g, 2.95 invece di 3.70, prodotto confezionato

20x PUNTI

conf. da 6

25% 5.40

Novità

Biberli d'Appenzello 6 x 75 g

invece di 7.20

8.95

Cornetto Cookies & Cream Crème d'Or prodotto surgelato, 6 x 76 ml

LO SAPEVI? Il grafico zurighese Hans Uster, a 93 anni, ha ripreso in mano la matita appositamente per la Migros. La sua ultima creazione è un «fratello» per i gelati di culto con gli animali (foca, scimmia e orso) che ha disegnato nel 1975. È stato creato un elefante, che decorerà la confezione del nuovo gelato su stecco al caramello.

Il frut tato snac k con past a liev itata da mang iare fuori casa

20x PUNTI

Novità

1.80

PUNTI

Novità

Novità

7.20

20x

20x PUNTI

Blueberry Roll 80 g, in vendita al pezzo

5.50

Rainbow Tropical

Gelati da passeggio alla panna, caramello prodotto surgelato, 12 x 57 ml

prodotto surgelato, 6 x 70 ml

Offerte valide solo dal 26.4 al 2.5.2022, fino a esaurimento dello stock.


Bellezza e cura del corpo

Essere curati è bello

a partire da 2 pezzi

a partire da 2 pezzi

25%

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Tutto l'assortimento Nivea Sun e Hawaiian Tropic

Tutto l'assortimento L'Oréal Paris

(confezioni multiple escluse), per es. Spray Kids Sensitive Nivea Sun IP 50+, 200 ml, 10.50 invece di 13.95

(confezioni da viaggio e confezioni multiple escluse), per es. siero Revitalift Filler, 30 ml, 20.– invece di 24.95

20% 5.90 invece di 7.40

Fazzoletti Tempo, FSC in confezioni multiple o speciali, per es. Classic, 30 x 10 pezzi

Hit 4.–

Fazzoletti di carta Linsoft, FSC in conf. speciale, 42 x 10 pezzi

a r e s i dui z n e s e o d f on c q ua R i m uo v e a c c o r e si s t e n t e a l l ' a ru pe r f i no i l t

20x PUNTI

conf. da 4

20% Fazzoletti e salviettine cosmetiche Kleenex, FSC in conf. multiple, per es. Original, 4 x 72 pezzi, 5.75 invece di 7.20

Novità

8.95

Struccante Nivea Magic Bar 75 g


Abbigliamento e accessori

Comodi basics

conf. da 2

25% 5.75 invece di 7.70

Tutti gli shampoo o i balsami Elseve per es. shampoo Color-Vive, 2 x 250 ml

conf. da 3

Hit 9.95

conf. da 3

Calze da donna bio disponibili in pink, numeri 35–38 e 39–42

Hit 9.95

Calze da uomo bio disponibili in bianco o grigio, numeri 39–42 e 43–46, per es. grigio

conf. da 3

20% 4.80 invece di 6.–

Salviettine cosmetiche Linsoft, FSC 3 x 150 pezzi

Rinfre sc ante g ust assoc iato a sam o di lime tta , buco e me nta conf. da 3

Hit

20x PUNTI

19.95

Novità

3.30

Dentifricio Candida Hugo

Pigiama corto da uomo bio disponibile in blu acciaio, tg. S–XL, il pezzo, in vendita nelle maggiori filiali

Hit 9.95

Slip midi da donna bio disponibili in diversi colori, taglie S–XL

Limited Edition, 75 ml

Offerte valide solo dal 26.4 al 2.5.2022, fino a esaurimento dello stock.


Varie

Questo, quello e altro

a partire da 2 pezzi

a partire da 2 pezzi

30%

30%

Tutto l’assortimento di tessili per la cucina Cucina & Tavola

Tutti i coltelli da cucina e le forbici Cucina & Tavola e Victorinox

per es. asciugapiatti in microfibra per la cucina, 50 x 70 cm, il pezzo, 4.90 invece di 6.95

per es. coltello da pane Victorinox, il pezzo, 17.50 invece di 24.95

grazie Profumo pe rsiste nt e ezza alle pe rle di fresch

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a partire da 2 pezzi

21% 21.95 invece di 27.90

50% Detersivi Elan

Tutto l'assortimento Handymatic Supreme

in conf. di ricarica, per es. Spring Time, 2x2l

(sale rigeneratore escluso), per es. cura lavastoviglie, 3 compresse, 2.90 invece di 5.80

mag g iore a n u r e p nt a Con ag g iu e nza al l' umidità r e si s t

a partire da 3 pezzi

33%

50% 23.95 invece di 48.15

Detersivo Elan, 7,8 kg Active Powder o Color Powder, in conf. speciale, per es. Active

Carta per uso domestico Twist Recycling o Style, in confezioni speciali, per es. Recycling, 16 rotoli, 9.60 invece di 14.40

30% Tutto l'assortimento di alimenti per gatti Gourmet per es. Perle, Piaceri del mare, 4 x 85 g, 3.35 invece di 4.75


Ordinato, consegnato! shop.migros.ch

a partire da 3 pezzi

33% Tutti i pannolini Pampers (confezioni multiple escluse), per es. Premium Protection, tg.1, 24 pezzi, 6.– invece di 8.95

1.–

di riduzione

8.95 invece di 9.95

Minirose M-Classic, Fairtrade disponibili in diversi colori, mazzo da 20, lunghezza dello stelo 40 cm, per es. pink, il mazzo

Hit 49.95

Hit 9.90

CONSIGLIO DEGLI ESPERTI Tulipani disponibili in diversi colori, mazzo da 24, per es. rosso, il mazzo

33% Trolley da viaggio 56 cm, disponibile in nero o rosa, per es. rosa, il pezzo

66.95 invece di 99.95

Ecco come far durare a lungo i tulipani: prima di sistemarli nel vaso, tagliare dritto lo stelo per due centimetri. Riempire il vaso con circa tre dita di acqua. Infatti, se gli steli sono eccessivamente immersi nell'acqua, questi messaggeri della primavera possono afflosciarsi.

Trapano avvitatore 18 Li/1,5 Ah il pezzo

Offerte valide solo dal 26.4 al 2.5.2022, fino a esaurimento dello stock.


20% Tutto l'assortimento You per es. Protein Cracker Sesamo & Semi di lino, 85 g, 1.90 invece di 2.40

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Filetto di salmone senza pelle M-Classic, ASC d'allevamento, Norvegia, in conf. speciale, 380 g, offerta valida dal 28.4 all'1.5.2022

Carne secca dei Grigioni affettata, IGP Svizzera, in conf. speciale, 115 g, offerta valida dal 28.4 all'1.5.2022

a partire da 3 pezzi

Club steak di manzo, IP-SUISSE per 100 g, in self-service

Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli già ridotti. Offerte valide dal 26.4 al 2.5.2022, fino a esaurimento dello stock

33% Tutto l'assortimento Blévita per es. al sesamo, 295 g, 2.25 invece di 3.30, offerta valida dal 28.4 all'1.5.2022


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