Azione 18 del 2 maggio 2022

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Anno LXXXV 2 maggio 2022

Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura

edizione

18

MONDO MIGROS

Pagine 4 – 5 ●

SOCIETÀ

TEMPO LIBERO

ATTUALITÀ

CULTURA

In Europa si fanno pochi figli e diventare genitori fa sempre più paura: l’analisi di Chiara Saraceno

Adrenalina, coraggio e fascino della vertigine sono gli ingredienti principali del base jumping

Una globalizzazione che coinvolga solo paesi amici è possibile? Quali problemi e opportunità implica?

Intervista a Farooq Chaudry, produttore dello spettacolo di danza Portraits in Otherness

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Damien Hirst © Keystone

Il cielo sopra il campo di grano

Gianluigi Bellei

La globalizzazione funziona solo col bel tempo Peter Schiesser

Ad osservare quel che succede nel mondo, vien da pensare che la globalizzazione dell’economia sia in fondo una Schönwettertheorie, una teoria che funziona solo col bel tempo, figlia del credo secondo cui il commercio e il benessere creano le condizioni per maggiore libertà e democrazia. In tempi di Covid e di guerra, infatti, le catene di produzione e di approvvigionamento si bloccano, e le onde sismiche arrivano fino a noi. Le rotelle dei meccanismi di produzione sono sparse in tutto il mondo, così è sufficiente che manchi un determinato microchip, materie prime come il legno, qualche metallo raro essenziale e a cascata lo si percepisce in tutto il mondo. È notizia di questi giorni (CdT del 27 aprile) che in Ticino quindici aziende stanno valutando se introdurre il lavoro parziale a causa del lockdown a Shanghai, principale porto cinese e mondiale. Ne avevamo già scritto (Marzio Minoli, «Azione» del 6 settembre 2021): i costi per il trasporto di un container dalla Cina all’Europa sono aumentati da 2000 a 10-14mila dollari, perché i porti cinesi lavorano a ritmo ridotto a

causa dei frequenti lockdown, e quando un bene è scarso e la domanda tanta i prezzi esplodono. A questo si aggiunge il rincaro di molte materie prime, a cominciare da energia, petrolio, gas. Per una serie di circostanze, anche legate al clima, l’energia scarseggia e oggi il gas costa sette volte di più rispetto a un anno fa. Se energia e trasporti rincarano, tutto rincara, l’inflazione sale, in questo momento anche i tassi d’interesse. Ce ne accorgiamo pure noi, se l’auto che vogliamo acquistare si fa attendere, se vogliamo stipulare un’ipoteca, se abbiamo un cantiere in corso e via elencando. Ma la globalizzazione fallisce anche come progetto inclusivo mondiale. Non si è rivelato vero che il capitalismo porta automaticamente a più libertà e democrazia. La Cina è l’esempio lampante. Ma la Russia è quello ancora peggiore: Mosca usa i proventi economici derivanti dalla vendita di gas e petrolio per distruggere e martoriare l’Ucraina, creare una crisi umanitaria continentale, provocare il rischio di una terza guerra mondiale; inoltre, la reciproca dipenden-

za economica viene utilizzata come arma economica: con lo stop alle forniture di gas russo a Polonia e Bulgaria, Putin mette in guardia la Germania, in particolare, e il resto dell’Europa, ben sapendo che una forte mancanza di energia spingerebbe l’intero continente verso una recessione dolorosa. La possibilità che la Russia compia questo passo con altri paesi europei è alta, considerato che l’Occidente continua ad inasprire le sanzioni e si fa coinvolgere sempre più nella guerra in Ucraina, fornendo ora anche armi pesanti, non solo difensive, con la Gran Bretagna disposta anche a consegnare aerei militari (l’ultimo tabù). Che la globalizzazione economica sia un modello in crisi lo testimonia anche il fatto che all’ultimo vertice del G20 la segretaria al Tesoro statunitense Janet Yellen ha sostenuto il progetto di una globalizzazione limitata a paesi che condividono gli stessi valori, «Friend-shoring» l’ha definita. Come annota Federico Rampini a pagina 23, significherebbe rivedere l’intera architettura della produzione mondiale, con investi-

menti stratosferici per creare le infrastrutture che oggi sono delocalizzate, ciò che necessita tempi lunghi. Ma dove trovare gli enormi capitali necessari? E come si chiede anche Rampini, è davvero possibile staccarsi dalla Cina e da tutti i paesi dittatoriali o autoritari che forniscono petrolio, materie prime? Certo, anche prima della globalizzazione il mondo commerciava, l’Occidente importava l’essenziale, non si immaginano delle economie autarchiche, ma significherebbe tornare agli anni Ottanta, quando le fabbriche erano ancora in Europa e negli Stati Uniti: il costo del lavoro rendeva più cara la produzione, si generava meno benessere, ma milioni di lavoratori avevano un lavoro sicuro. Il modello del capitalismo globalizzato era già in crisi di legittimità prima della pandemia e della guerra, si stavano facendo sentire sempre più forti le voci di chi chiede di riformarlo affinché siano protette maggiormente le fasce più deboli, quelle che poi votano per la Brexit, per Trump e Le Pen, per intenderci. Ma ora il dibattito si fa più urgente, e più complicato.


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