Azione 19 dell'8 maggio 2023

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FACCIO I SALTI DI GIOIA! ORA MIGROS BIO CON LA GEMMA.

INSIEME PER PRODOTTI BIO DI ALTISSIMA QUALITÀ: MIGROS BIO E BIO SUISSE.

Dal 1995 Migros Bio offre una vasta gamma di prodotti bio coltivati senza pesticidi chimico-sintetici preservando così l’ambiente. Perché non ci si può godere la natura senza proteggerla.

Per questo siamo davvero molto fieri che, da circa due anni, la Migros collabori ancora più intensamente con Bio Suisse e che molti dei nostri prodotti Migros Bio siano da ora provvisti anche della Gemma (uno dei marchi di qualità più severi al mondo). In poche parole: direttive più severe, maggiore sostenibilità e quindi prodotti bio di più alta qualità.

In questo modo lanciamo un segnale a favore dell’agricoltura sostenibile e garantiamo la protezione delle risorse naturali e il rispetto degli animali.

Prova i nostri prodotti con la Gemma Bio Suisse: non solo potrai gustare un sapore unico, ma fornirai anche un importante contributo a tutela dell’ambiente.

Cosa significa la Gemma Bio Suisse?

Gli animali bio hanno molto spazio a disposizione e vanno regolarmente fuori. Questo promuove la loro salute.

Nei prodotti Gemma si trovano solo ingredienti naturali. Così mantengono il sapore autentico.

L’agricoltura biologica rinuncia in modo coerente ai pesticidi chimici di sintesi. Questo promuove la biodiversità.

I prati fioriti, le siepi o i mucchi di rami offrono alle specie animali rare un habitat e spazio per nidificare.

I prodotti Gemma vengono realizzati con meno fasi di lavorazione possibili.

MONDO MIGROS

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SOCIETÀ

Salute: la ricerca dimostra che l’attività fisica aiuta a combattere il decadimento cognitivo

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TEMPO LIBERO

Le foto le avete fatte e sono belle Ma adesso come potete proporle all’attenzione del pubblico?

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La prima volta della Svizzera come presidente di turno del «Governo del mondo»

ATTUALITÀ Pagina 25

Quei bambini «senza» mamma

Come dentro una fiaba barocca

Nelle scorse settimane ho osservato con un certo disagio la straordinaria attenzione che i media hanno dedicato all’incoronazione di re Carlo III, avvenuta – salvo sorprese – il giorno dopo la messa in stampa di «Azione». Ma sì, capisco, non solo si trattava di un fatto storico (sua madre venne incoronata 70 anni fa), ma riguardava il grosso dell’universo monarchico contemporaneo, se si calcola che sulle 43 monarchie sopravvissute nel mondo, 15 regni hanno per sovrano proprio il re del Regno Unito, in quanto membri del Commonwealth: Antigua e Barbuda, Australia, Bahamas, Belize, Canada, Grenada, Giamaica, Nuova Zelanda, Papua Nuova Guinea, Saint Kitts e Nevis, Santa Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Isole Salomone e Tuvalu. Ma non suona strano anche a voi che Paesi democraticissimi come il Canada e l’Australia abbiano un re che vive come dentro una fiaba barocca dall’altra parte dell’oceano?

Certo, lo sappiamo: la maggior parte delle monarchie di oggi non ha niente a che vedere con quelle terribilmente assolutiste di ieri, in cui il re era un’emanazione di Dio, indiscutibile e intoccabile, degno ipso facto di inchini, protocolli, salamelecchi e – soprattutto – di incondizionata obbedienza da parte dei sudditi, il «popolo bue» che non aveva voce in capitolo su nulla.

Oggi, per fortuna, prevalgono le monarchie costituzionali, dove i poteri del sovrano sono ampiamente limitati dalla Costituzione, o le monarchie parlamentari (come nel Regno Unito) dove i poteri del monarca sono indicati non solo dalla Costituzione, ma anche dal Parlamento e dal Governo (che non viene scelto dal re, e ci mancherebbe). Vero che resistono ancora almeno due monarchie assolute, diversissime nelle persone e negli esiti democratici: la Città del Vaticano, guidata da quel galantuomo di Papa Francesco e l’Arabia Saudita, retta da quel dub-

bio figuro che risponde al nome di Salman. Ma in generale bisogna riconoscere che la monarchia, oggi, non rappresenta un pericolo per la democrazia.

Non mi tocca, inoltre, che le baruffe tra fratelli, gli sgarbi o presunti tali alla corona e le disavventure famigliar-sentimentali di principi, principini e starlette loro satelliti alimentino a getto continuo grasse pagine di rotocalchi, con foto assassine, narrazioni seriali, rivelazioni scandalizzate su uomini e donne dal sangue color cobalto o giù di lì. Meno ancora mi incanta la scalata alle classifiche dei libri più venduti delle rivelazioni di Harry, vittima rossocrinuta di educazione vagamente anafettiva. Fatti loro, per dirla con un minimo d’eleganza. Anche se per molti è come parlare di un parente o un vicino di casa scapestrato (ma lo sai cos’ha combinato, stavolta?).

A me, invece, i re e le schiatte nobiliari stan-

CULTURA Pagina 39

L’omaggio del Museo d’arte di Mendrisio a Cesare Lucchini con una grande mostra monografica

no stretti. Resto figlio dei lumi, delle rivoluzioni che hanno sancito, con gran sacrificio di vite umane, la fine dei privilegi di casta, di casato e di blasone perpetrati nei secoli e nei millenni sulla pelle dei servi. Non dimentico che qualsiasi monarchia, anche la più blanda e aperta alla modernità, prevede obbligatoriamente dei sudditi. Sorrido per le fanfare e gli sventolii entusiastici di bandiere al passaggio delle carrozze dorate, è un grande spettacolo che a quanto pare dovremmo perfino ritenere sobrio (solo 2000 gli invitati, questa volta: un quarto di quelli del 1953, all’incoronazione di Elisabetta). Ma non trovo una sola ragione per cui oggi un essere umano dotato di intelligenza e di libertà debba inchinarsi davanti a un re, a una regina o ai loro scintillanti cortigiani. Non sono un fan delle servitù volontarie. E vado fiero della piccola Svizzera, forse l’unico Paese, con San Marino, a non essere mai stato monarchico.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 8 maggio 2023 Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 San t’Antonino
edizione 19 ◆ ●
Stefania Prandi Pagina 27 Carlo Silini
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Stefania Prandi

MONDO MIGROS

Il Centro di Sant’Antonino, un punto strategico

Speciale 90esimo ◆ Vi raccontiamo la storia di uno dei primi centri commerciali del nostro cantone, ancora oggi fiore all’occhiello di Migros Ticino

Ha una posizione importante, da vero baricentro del nostro cantone. Il Centro commerciale di Migros Ticino a Sant’Antonino è perfettamente inserito negli assi di comunicazione «nord-sud» ed «est-ovest». Ciò lo rende, tra l’altro, un interessante riferimento persino per i turisti che transitano attraverso la nostra regione. Dalla Svizzera interna sono molti i confederati che lo usano come punto di sosta durante il lungo viaggio verso le ferie. Allo stesso modo, vacanzieri in movimento dalle regioni nord europee colgono spesso l’occasione per una pausa o un rifornimento di carburante a Sant’Antonino.

Sant’Antonino ha sempre rappresentato un luogo di interesse per Migros Ticino, anche in virtù della sua vicinanza alle vie di traffico, stradali e ferroviarie

Ma al di là di questo interesse occasionale, l’importanza del centro sul Piano di Magadino deriva dal suo inserirsi in un tessuto abitativo densamente popolato, in un’area economica tra le più dinamiche del Ticino. E grazie all’ampia gamma di servizi che propone, con il passare del tempo si è dimostrato uno dei poli commerciali più importanti del cantone. In questo contesto, Migros Ticino si è sicuramente adoperata, nel corso dei decenni, per favorire la popolazione locale. Ha offerto una gamma di prodotti particolarmente ricca, in grado di coprire le necessità e bisogni più disparati. Oltre all’offerta legata alle necessità domestiche quotidiane, uno spazio particolare vi hanno sempre avuto le attività del tempo libero, del fai da te e dell’arredamento.

Di nuovo, la centralità dell’insediamento è determinante ed è la sua caratteristica principale. Tanto che (per guardare le cose nella prospettiva storica che caratterizza questa serie di articoli) è interessante notare come gli occhi dei dirigenti di Migros Ticino si siano puntati sull’area di Sant’Antonino molto presto. In occasione dell’inaugurazione del «nuovo centro», il 13 marzo del 1986, tutti i quotidiani ticinesi avevano dato

Le tappe dell’evoluzione

1966: Migros Ticino acquisisce parcelle di terreno nell’area tra Cadenazzo e Sant’Antonino per costruire il suo centro di smistamento cantonale e lo stabilimento Jowa.

1971: apertura della nuova centrale di distribuzione, che sostituisce quella di Taverne.

1978: inaugurazione del primo Centro Migros, che comprende un distributore di benzina, un parco giochi e un ristorante.

1986: nasce il nuovo Centro Commerciale che ospita, oltre ai supermercati di Migros Ticino e al suo ristorante, negozi e servizi gestiti da altre aziende.

particolare risalto all’avvenimento.

Qualcuno aveva ripreso le dichiarazioni dell’allora direttore, Ulrico K. Hochstrasser. Egli affermava che l’attenzione della dirigenza si era appuntata sul terreno compreso tra i comuni di Cadenazzo e Sant’Antonino già dal 1966. Qui erano stati costruiti infatti nel 1971 la centrale di distribuzione cantonale della Cooperativa Migros Ticino e il panificio della Jowa. La scelta teneva già allora conto della configurazione favorevole rispetto alle vie di traffico, quella stradale e quella ferroviaria.

A quell’insediamento iniziale era seguita poi l’apertura del primo vero centro di vendita Migros, nel giugno del 1978. Una delle sue caratteristiche era quella di prevedere un’ampia zona all’aperto per i giochi dei bambini. Specificità che si è conservata fino ad oggi e che, secondo concezioni avanzate, voleva dare agli spazi di vendita una dimensione più completa, vivibile e socializzante. Lo stesso concetto era poi stato espresso in modo ancora più evidente con l’inaugurazione del 1986, di cui abbiamo detto.

Affidato ad un pool di architetti specializzati, l’intervento voleva dare al centro commerciale una dimensione a cavallo tra modernità e tradizione. Se da un lato proponeva spazi di vendita ampi, luminosi e moderni, dall’altro recuperava nella sua parte centrale, quella conviviale, elementi dell’architettura tradizionale ticinese. Insomma, il grottino e la piazzetta del paese convivevano con i grandi scaffali, i larghi corridoi e le novità tecnologiche, quali le casse con lettori ottici dei codici a barre. Nell’aprile del 2005 alla già ampia offerta si era poi aggiunto anche il centro OBI, cui nel marzo del 2010 sono seguiti i mercati specializzati Micasa e SportXX.

Il Centro di Sant’Antonino non presenta barriere architettoniche e offre uno spazio all’aperto per grandi e bambini

Il progetto era talmente riuscito da rimanere sostanzialmente invariato nel corso degli anni. Persino l’intervento di riammodernamento effettuato nel 2007 non ne aveva modificato la struttura complessiva, limitandosi a una riorganizzazione degli spazi. Da notare che una delle caratteristiche all’avanguardia di quel centro

del 1986 era sicuramente l’attenzione nell’evitare le barriere architettoniche. Una caratteristica che contraddistingue il centro ancora oggi. In questo modo la vocazione sociale e di condivisione degli spazi del Centro di Sant’Antonino gli conserva questo suo carattere di «Piazza Ticino», aperta a tutti e vitale. Una Piazza a cui di recente, oltre alla farmacia presente da molti anni, si sono aggiunti un ufficio postale e un parrucchiere. Unendosi agli spazi di vendita e di ristoro, tali servizi rendono il Centro un nucleo vivibile, utile, in cui è anche piacevole ritrovar-

Inserzione apparsa su «Azione» nel giugno del 1978 per pubblicizzare la nuova sede di Sant’Antonino.

si. Nel 2012, grazie al collegamento degli edifici Migros presenti sul sedime con il termovalorizzatore Teris, e grazie al grande impianto fotovoltaico collocato sul tetto dello stabile della sede centrale inaugurato nel corso dell’estate, a quei tempi il più grande del Ticino, frutto della collaborazione con l’Azienda Elettrica Ticinese (1580 pannelli, su una superficie si 2500 m 2 con una potenza installata di 380 kilowatt), il Centro di Sant’Antonino dimostra concretamente l’impegno di Migros Ticino a operare in modo responsabile per l’ambiente e fattivo per il proprio territorio.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 8 maggio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 4
Alessandro Zanoli La zona del supermercato Migros con i giochi per i bambini, oggi.

Festival del giornalismo

A Perugia per cinque giorni si è parlato del presente e del futuro dell’industria dell’informazione

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Pianificazione del territorio

Espace Suisse e le nuove sfide poste dalla Legge federale che privilegia lo sviluppo centripeto

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Anziani e tutor di comunità

Sono attivi nel Mendrisiotto i primi volontari con formazione specifica

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Movimento: elisir di lunga vita

Brasile sostenibile

Alla scoperta della regione di Santa Catarina che sovverte tanti cliché sul Paese carioca

Pagine 12-13

Salute ◆ La ricerca dimostra che l’attività fisica aiuta a combattere il declino cognitivo e facilita il percorso riabilitativo

«L’Alzheimer è entrato nella vita di Adriana nel 2004, quando aveva 65 anni. Per otto anni lei e Franco (ndr: il marito) hanno vissuto in casa da soli». È la storia vera di Franco e Adriana, malata di Alzheimer, raccontata dal delicato sguardo dello scrittore Mario Calabresi nel suo ultimo libro Una volta sola (ed. Mondadori), nel quale egli descrive il ricovero della donna in una struttura protetta, dove «ha ripreso a camminare ma ha perso la parola», e i dieci anni in cui il marito «ha imparato a capirla dai gesti, dalle espressioni, dal comportamento: sa che ama stare all’aperto, così ha trovato una struttura con un grande giardino». Ed è lì che Franco si presenta ogni mattina e va via la sera, solo dopo che lei si è addormentata: «La sua terapia era fatta di passeggiate e musica».

Muoversi quotidianamente da 10 minuti a mezz’ora con esercizi di forza e aerobici fornisce maggiore resilienza in un eventuale processo neuropatologico

Storie come queste sono sempre più comuni, complice l’invecchiamento globale della popolazione. «Sempre più spesso si parla di demenza e declino cognitivo e delle possibili strategie per combatterlo o almeno ritardarlo», la conferma viene dal direttore medico e scientifico del Neurocentro della Svizzera italiana professor Alain Kaelin che poi apre uno spiraglio sui nuovi orizzonti delle conoscenze scientifiche votate a contrastare o, almeno, rallentare questi processi di decadimento intellettuale. «Oggi sappiamo che il decadimento intellettuale può essere influenzato dall’attività fisica come molla per un insieme di fattori neuroprotettivi cerebrali e antiinfiammatori». Un meccanismo che unisce attività fisica aerobica e anaerobica alla protezione biologica del cervello e del sistema immunitario, suggellando così una consapevolezza prima solo empirica.

Imporanti passi in avanti

È comprensibile l’entusiasmo del professor Kaelin, giustificato dalla misura del problema: entro il 2050 si stima che nel mondo la popolazione aumenterà del 22 per cento (fino a 1,25 miliardi), con una prevalenza stimata di demenza pari a 135 milioni di persone: «Negli ultimi anni sono stati fatti molti passi avanti nella comprensione della complessità biologica alla base del concetto di demenza, e si è scoperto che, oltre a fattori neurobiologici, la propensione verso ma-

lattie come Parkinson o Alzheimer è influenzata anche da molteplici fattori di rischio ambientali, non genetici, in grado di condizionare l’esordio e lo sviluppo della patologia».

Fra questi, il neurologo parla di diabete mellito, ipertensione arteriosa, obesità, depressione, fumo, come pure dell’inattività fisica: «Negli ultimi anni sono sempre più significativi i dati scientifici a sostegno di un ruolo terapeutico-preventivo giocato da strategie di prevenzione-modulazione dell’invecchiamento cerebrale patologico correlato allo sviluppo di demenza: pensiamo ad alimentazione, stimolazione cognitiva e attività fisica».

Secondo Kaelin, fra questi tre fattori emerge proprio una moderata e costante attività fisica: «Insieme a tutte quelle attività leggere come fare i cruciverba, giochi di logica o suonare uno strumento, dobbiamo considerare seriamente il ballo e l’esercizio fisico che, oramai è scientificamente provato, influenza i meccanismi biologici neuroprotettivi e antiinfiammatori cerebrali, con evidenti benefici su aspetti difficilmente misurabili, come un giovamento sulle emozioni (tono dell’umore), che si uniscono a quelli più generali».

L’esercizio fisico può contribuire a evitare il manifestarsi delle malattie

cognitive, o per lo meno rallentarne il decorso: «Ad esempio, ora sappiamo che i malati di Parkinson possono trarre beneficio ballando il tango, così come aiuta un allenamento aerobico regolare di modesta intensità per mezzo di un’attività fisica sempre controllata e constante. Infatti, è dimostrato che muoversi quotidianamente da dieci minuti a mezz’ora (esercizi di forza e aerobici) produce questi benefici senza rischi, stimola il cervello e fornisce una maggiore resilienza nei confronti dell’eventuale processo neuropatologico».

Introdurre piccoli esercizi fatti di gesti dell’attività sportiva prediletta facilita il percorso fisioterapico di recupero, spesso con risultati molto positivi

Un concetto declinato anche nella riabilitazione neurologica, afferma Paolo Rossi, neurologo e co-primario alla Clinica di riabilitazione Hildebrand di Brissago: «Insieme alla stimolazione cognitiva, l’attività fisica agisce in modo trasversale nell’approccio trans-patologico, ed è potenzialmente valida e virtualmente efficace per tutte le cause di decadimento cognitivo, così come pure per il percorso di

riabilitazione neurologica e neuromotoria dopo eventi patologici neurocerebrali». Si parla di un percorso che, per definizione dell’OMS, «vuole riportare la persona nel suo ambiente di vita, restituendole il massimo delle sue competenze, sempre considerando i deficit motori e quelli limitanti delle attività quotidiane che, purtroppo, possono persistere dopo la patologia». In questo caso, parliamo di tutte le persone, a qualsiasi età, che sono colpite da un evento neurologico, «per le quali bisogna calibrare l’intervento riabilitativo in funzione delle loro caratteristiche individuali (età, scolarità, ambiente di vita, professione, sesso e via dicendo)».

Lo sport come mezzo e fine Nella valutazione rientra anche lo sport che può essere usato come un «mezzo» o un «fine», racconta Rossi: «L’aspetto motivazionale stimola il paziente scarsamente coinvolto, con una depressione reattiva all’evento patologico subito o con deficit cognitivi importanti legati alla malattia: introdurre piccoli esercizi fatti di gesti della sua attività sportiva prediletta facilita il percorso fisioterapico di recupero, spesso con risultati molto positivi. Inoltre, individuare un’atti-

vità sportiva cara al paziente fa sì che egli possa poi riprenderla con il tempo». Lo specialista porta ad esempio una pianista che ha subito una lesione cerebrale da ictus, con serie ripercussioni alla mano destra: «Un problema serio perché comportava limitazioni nel suo lavoro; perciò il nostro compito era quello di agire in modo mirato. La lesione aveva determinato pure un disturbo della capacità di pianificazione del movimento e non solo motorio. Allora, abbiamo optato per esercizi su una tastiera di pianoforte, facendole suonare brani musicali tratti dalle sonate di Chopin e da brani di Beethoven, per il fatto che ciascuno dei due compositori ha caratteristiche specifiche che stimolano aree cerebrali diverse».

Tutti esercizi inseriti nell’ambito del programma riabilitativo che, riferisce il dottor Rossi, hanno prodotto un ottimo risultato, in una presa a carico personalizzata: «Questa è un’imprescindibile peculiarità della medicina neuroriabilitativa, anche motoria, nella quale si affronta la gestione dell’individuo in quanto tale, che oggi permette un intervento molto più ampio». Il movimento non solo come Mens sana in corpore sano: «Un’arte, quella del movimento, diventata anche un po’ scienza, scienza della riabilitazione».

● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 8 maggio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 5
SOCIETÀ
Il professor Alain Kaelin, direttore medico e scientifico presso il Neurocentro della Svizzera italiana. (Vincenzo Cammarata) Maria Grazia Buletti

Vendita sfusa ora anche ad Agno e Serfontana

Novità ◆ I prodotti bio non confezionati a lunga conservazione in self-service sono disponibili in sempre più filiali Migros

Pasta, riso, cereali per la colazione, frutta secca, semi, noci, dolciumi, legumi secchi e molto altro… sono un’ottantina i prodotti sciolti biologici che si possono acquistare presso le cosiddette «stazioni di riempimento» situate nelle principali filiali Migros. Da qualche giorno questa modalità di fare la spesa a «zero waste» è stata introdotta anche nelle filiali di Agno e Serfontana, dopo che l’anno scorso era stata lanciata con grande successo nei punti vendita di Lugano, Locarno e S. Antonino. A livello svizzero sono ora oltre trenta i punti vendita che offrono questo servizio.

Ridurre i rifiuti e acquistare quello che serve I vantaggi dell’acquisto di prodotti sfusi a libero servizio sono molteplici. Si riducono in modo sostanziale i rifiuti casalinghi dovuti ai troppi imballaggi e si evitano gli sprechi alimentari grazie alla possibilità di acquistare la quantità desiderata di prodotto. Inoltre, non meno importante, è il fatto che gli alimenti proposti sono tutti di provenienza biologica certificata, vale a dire ottenuti senza l’impiego di sostanze chimiche dannose per l’ambiente, gli animali e l’uomo. Altro vantaggio molto apprezzato è la possibilità di usare dei contenitori o dei sacchetti riutilizzabili, come per esempio barattoli o vaschette portate direttamente da casa oppure sacchetti di cellulosa tipo «veggie bag» del reparto frutta e verdura, articoli quest’ultimi utilizzabili molte volte e facili da lavare in

Viva la Mamma!

lavatrice a 30 gradi. Naturalmente, presso lo scaffale degli sfusi sono a disposizione della clientela anche dei sacchetti di carta riciclata. I prodotti sfusi hanno lo stesso prezzo di quelli confezionati.

Riempire, pesare, fatto!

Effettuare i propri acquisti presso la postazione bio sfuso è facile e veloce. Prendere il sacchetto di carta riciclata o cellulosa messo a disposizione oppure portare il proprio contenitore da casa e «tararlo» sulla bilancia dispo-

nibile in loco. Utilizzare un sacchetto o un recipiente unico per ogni singolo prodotto. Riempire con la quantità desiderata premendo la leva e memorizzare il numero del prodotto. Posizionare sulla bilancia, inserire il numero e premere il tasto Ok. Incollare l’etichetta sul sacchetto o contenitore e recarsi alla cassa.

Attualità ◆ Domenica 14 maggio è la festa della mamma! Ecco alcune piccole idee regalo per sorprenderla e ringraziarla di tutto quello che fa per noi ogni giorno

I reparti fiori Migros propongono molteplici composizioni floreali confezionate ad hoc, ideali per celebrare questo giorno speciale dedicato alla cara mamma.

Arrangiamento floreale

Impossibile resistere alle creazioni artigianali del laboratorio di pasticceria Migros. Dall’11 al 13.5 i banchi pasticceria offrono diverse torte a forma di cuore.

Con la sua fragranza delicata e avvolgente a base di oli essenziali di lavanda, ylang-ylang e patchouli, questa eau de parfum regala relax e benessere per tutta la giornata.

Anima Aromatics Bright Soul EdP 40 ml Fr. 18.95

I cioccolatini assortiti Prestige Pour Toi della Chocolat Frey sono assolutamente irresistibili. Queste piccole creazioni sono preparate con amore e passione nel rispetto della più autentica tradizione svizzera.

Frey Prestige Pour Toi 162 g Fr. 10.95

Un dono semplice ma apprezzato da tutte le mamme? La tazza e la ciotola «Super Mum» e «Mum» sono proprio azzeccate e diventeranno sicuramente l’utensile quotidiano preferito.

Tazza «Super Mum» Fr. 4.50

Ciotola «Super Mum» Fr. 4.95

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 8 maggio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 6
P.es. Torta alle fragole per 4-6 persone Fr. 21.–
In vendita nelle maggiori filiali Migros
Scopri di più sullo Zero Waste

La nuova Migros Losone premia

Attualità ◆ Consegnati i premi ai tre vincitori del concorso organizzato in occasione dell’apertura del nuovo supermercato

Lo scorso 30 marzo in via dei Pioppi 2, Losone ha aperto un nuovissimo supermercato Migros Ticino di 750 metri quadrati, a fianco del negozio specializzato Do it + Garden Migros e della palestra Activ Fitness. L’inaugurazione si è tenuta con tutta una serie di attività, sconti ed eventi, programmati per le successive quattro settimane, come ad esempio risotto e luganighe per tutti, trucca bimbi, riduzioni su interi settori merceologici e omaggi vari. Oltre a queste attrattive iniziative volte a sottolineare l’importante apertura, era previsto anche un grande concorso con in palio ambiti premi. Fra i moltissimi tagliandi pervenuti a Migros Ticino, la dea bendata ha baciato i tre fortunati vincitori seguenti:

1° premio

ELENA ANGOTTI di Losone

una bicicletta elettrica Crosswave del valore di CHF 3600.–

2° premio

ANDREA SOLARI di Vezia

una carta regalo Migros da CHF 500.–

3° premio

ALESSANDRO PINI di Ascona

una carta regalo Migros da CHF 100.–

La consegna dei premi si è svolta la scorsa settimana presso il nuovo punto vendita Migros del Locarnese, alla presenza dei vincitori e del gerente del negozio. Congratulazioni!

23%

La consegna dei premi ai tre vincitori: da sinistra, Marco Ruberto, gerente di Migros Losone; Elena Angotti, Annamaria Solari per conto del marito Andrea e Alessandro Pini (Foto Giovanni Barberis)

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LO SAPEVI?

La Gemma sulla carne bio fa la differenza. La carne proviene da animali allevati in Svizzera che trascorrono tanto tempo all’aperto e dispongono di molto spazio. Dato che gli animali vivono e mangiano diversamente, anche la loro carne presenta una struttura diversa. Ecco perché la carne con la Gemma vanta un sapore particolarmente autentico.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 8 maggio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 7 Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli già ridotti. Offerte valide dal 9.5 al 15.5.2023, fino a esaurimento dello stock. Carne con la Gemma bio: 100% svizzera.
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Se una

La mia prima volta al Festival del giornalismo di Perugia risale al 2008. Per diversi anni, fino al 2015, è stato il mio appuntamento fisso, l’evento da non perdere per sentire il polso della situazione mediatica in Europa e negli Stati Uniti. Il mio ritorno dopo una lunga pausa era carico di aspettative, pensavo di trovare un mondo nuovo e magari, in qualche sua sfaccettatura, sconosciuto. In verità poco o nulla è cambiato. Se dieci anni fa a raccontarci l’innovazione era Eric Ulken, direttore di tecnologia interattiva del «Los Angeles Times», oggi la palla è passata a Dave Jorgenson del «Washington Post» che per il quotidiano di Bezos ha lanciato l’account di TikTok da 1.5 milioni di follower e a Sophia Smith Galer, classe 1994, giornalista pluripremiata, Senior News Reporter di «Vice World News» e TikToker di grido con oltre 130 milioni di visualizzazioni che dice «per i giovani se una storia non è su TikTok non esiste». Content is king but distribution is queen dicono gli inglesi. In altre parole è avanzata la tecnologia e si sono velocizzati i trend, ma la sostanza è la stessa: il settore è in crisi e nel bel mezzo della rivoluzione. La grande differenza è che dieci anni fa il sistema media tradizionale aveva ancora una tenuta, c’era uno zoccolo duro e la fiducia nel fu-

non è su TikTok non esiste

turo. Oggi lo zoccolo duro si è sgretolato e il futuro non lo vede nessuno. Si naviga a vista. Probabilmente da qui a pochi anni resteranno solo alcune grandi testate, quelle in mano ai grandi gruppi che contano su entrate diversificate e si rivolgono ad un ampio bacino di lettori internazionali come il «New York Times» o il «Guardian». Le testate regionali o locali se non spariranno subiranno grandi ridimensionamenti e dovranno prima o poi rinunciare alla carta sempre più costosa. Con molto spazio per le nuove realtà dalla forte identità che si rivolgono ad un pubblico di nicchia. Se e con quale successo si vedrà. «Republik» che aveva iniziato con il botto e andava con il vento in poppa durante la crisi covid, qualche settimana fa ha annunciato otto licenziamenti. A fine 2022 ha chiuso i battenti anche «Medienwoche», il magazine online che osservava e raccontava il panorama mediatico svizzero. Il motivo: incertezza economica e pubblico sempre più ristretto.

All’incontro Quale futuro per l’industria dell’informazione, Rasmus Nielsen, direttore del Reuters Institute for the Study of Journalism, ha esordito paragonando il panorama mediatico al cielo perugino che aveva osservato camminando pochi minuti prima lungo corso Vannucci: da

un lato il sole, dall’altro nuvoloni neri che minacciavano temporali, il tutto condito dalla grintosa atmosfera del Festival che quest’anno vantava soprattutto ospiti internazionali e un pubblico giovane. Loro, i giovani, ascoltano soprattutto i podcast. Se c’è un formato che funziona e sul quale puntare è quello audio. Nicole Jackson – responsabile settore audio del «Guardian» – ha parlato di un vero e proprio rinascimento dell’audio con una crescita importante dell’ascolto dei podcast tra i giovani: «Non c’è modo migliore dell’audio per mostrare e raccontare le cose alle persone». Pure l’«Economist» – racconta-

va John Shields, responsabile podcast del magazine – ha ampliato la sua offerta perché «i podcast raggiungono un’audience globale e giovane» e permettono di trattare qualsiasi tema andando in profondità. Tra i temi caldi discussi al Festival anche l’uso dell’IA nelle redazioni, più facile adottarla in quelle grandi che possono contare su maggiori risorse tenendo comunque presente che l’IA non è il futuro ma il presente. Alessandro Alviani – eleboratore di linguaggio naturale e creatore di prodotti basati sull’intelligenza artificiale per gli editori – ha spiegato come funziona Parrot, strumento nato dalla collaborazione tra «The

Times» e «Sunday Times», che aiuta i giornalisti a smascherare la propaganda e le narrazioni manipolate nei media controllati dallo Stato e a tenere traccia della loro diffusione sui social.

Tra le piccole storie di successo che premiano le iniziative editoriali con un’identità forte e rivolte ad un pubblico di nicchia c’è «The New European» il settimanale politico culturale di Matt Kelly lanciato nel 2016 in risposta al referendum sulla Brexit. Una testata cartacea e web senza pubblicità che vive degli abbonamenti ed è sostenuto da un gruppo di investitori come Mark Thompson, ex CEO del «New York Times», Lionel Barber, editore del «Financial Times» e Tanit Koch, editore della «Bild». Sei milioni di sterline raccolti in fase start-up, il settimanale l’anno scorso ha registrato una crescita degli abbonamenti del 40% ed è sulla buona strada quest’anno per raggiungere il pareggio. Piglio focoso e brillante, spirito imprenditoriale, Matt Kelly crede nella carta e nel giornalismo di qualità che parla alle persone, trasmette loro qualcosa di unico per cui vale la pena pagare «quando le persone prendono in mano il nostro settimanale sentono una forte connessione. C’è più valore nel giornale che nel sito web, la carta continua ad essere più redditizia».

8 Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 8 maggio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino SOCIETÀ
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notizia
Media ◆ Dal 19 al 21 aprile al Festival del giornalismo internazionale di Perugia si è parlato di rinascimento dell’audio e di intelligenza artificiale ma anche di piccole storie di successo
Qui
Fioretti
a lato in video Rasmus Nielsen del Reuters Institute durante l’incontro sul futuro dei media. (Bartolomeo Rossi #ijf23)

Mediare per preservare lo spazio vitale

Territorio ◆ Chi si occupa di pianificazione è confrontato con nuove sfide per rispettare la Legge federale che prescrive sviluppo centripeto e qualità delle costruzioni. Il punto di vista di Espace Suisse che promuove soluzioni sostenibili

Espace Suisse: non si tratta di un’impresa spaziale del nostro belpaese alpino. No, è un’associazione che da ottant’anni si occupa e preoccupa di sviluppo territoriale e pianificazione. Prima del 2018 si chiamava ASPAN e, fin dalla nascita, è stata riconosciuta come «la coscienza della pianificazione del territorio» in Svizzera. Non un’impresa spaziale, dunque, ma non meno ardua. La protezione, la cura, la sostenibilità del territorio sono obiettivi che richiedono grande impegno. Il territorio è la nostra terra, il nostro ambiente e come tale è bene comune che merita massima attenzione.

Ogni secondo, in Svizzera, viene edificato quasi un metro quadrato di verde, l’equivalente di otto campi di calcio sacrificati ogni giorno. La pianificazione ha quindi un’importanza notevole perché – sostiene Espace Suisse – «è chiamata a prevedere, anticipare, mediare e ponderare gli interessi in gioco per promuovere soluzioni sostenibili e per preservare lo spazio vitale per le prossime generazioni». Il direttore di Espace Suisse, Damian Jerjen, sottolinea che «le maggiori sfide attuali e future per lo sviluppo territoriale sono certamente il cambiamento climatico e la crisi della biodiversità».

Dalla Costituzione al popolo

L’importanza della pianificazione del territorio è stabilita dalla Costituzione che, all’articolo 75, recita: «La Confederazione stabilisce i principi della pianificazione territoriale. Questa spetta ai Cantoni ed è volta a un’appropriata e parsimoniosa utilizzazione del suolo e a un ordinato insediamento nel territorio».

Il popolo svizzero, a sua volta, ha dimostrato sensibilità su questo tema. In particolare nel 2013 quando i cittadini espressero, con netta maggioranza (62,9%), il loro sostegno alla nuova Legge federale sulla pianificazione del territorio (LFPT).

«Con la revisione della LFPT –ci dice il direttore Jerjen – il popolo svizzero ha conferito un chiaro mandato alla pianificazione del territorio per attuare l’articolo costituzionale ed evitare l’espansione urbana incontrollata. Ora, a dieci anni di distanza, le nuove normative e la richiesta di uno sviluppo centripeto di qualità stanno entrando in vigore nei Comuni, anche se ciò comporta sfide considerevoli».

La nuova legge è più severa soprattutto per quanto concerne le zone edificabili che devono essere dimensionate in base al fabbisogno prevedibile per almeno quindici anni e rispondere alla strategia dello sviluppo centripeto, che prevede di costruire all’interno delle zone già urbanizzate. Se le zone edificabili sono sovradimensionate, afferma la legge, vanno ridotte. In questi casi, i Comuni sono chiamati a dezonare, a trasfor-

mare terreni edificabili in zona verde. Compito non facile. In merito ha già sentenziato il Tribunale federale nel febbraio dell’anno scorso, accogliendo un ricorso contro la costruzione di 70 appartamenti nel comune vodese di Roche, perché l’edificazione superava i parametri indicati dalla legge.

Il Ticino e le preoccupazioni dei proprietari

In Ticino si elevano critiche di fronte a queste prospettive. Cosa ne dice il presidente della sezione ticinese di Espace Suisse, Riccardo De Gottardi?

«La preoccupazione dei proprietari di fondi nasce dal fatto che se si constata un eccesso di terreni edificabili, questi vanno ridotti e quindi dezonati. Si pone allora il quesito dell’indennità, che in determinati casi è dovuta ed è a carico del Comune, con il sostegno del Cantone (50%). Da qui anche la preoccupazione delle Autorità comunali a fronte di decisioni politicamente delicate. Il contesto in cui avviene l’applicazione della legge può essere reso ostico in particolare dal fatto che negli anni ’80, allorché fu varata la prima Legge federale sulla pianificazione del territorio, il perimetro della zona edificabile fu determinato, sotto la spinta di interessi locali, con molta generosità. Va comunque detto che la situazione va oggi valutata caso per caso in funzione dello sviluppo demografico registrato e pronosticato, così come dell’effettiva urbanizzazione avvenuta nel frattempo. Ciò non necessaria-

Carlo Silini (redattore responsabile)

il Ticino non è stato trattato in modo diverso rispetto agli altri Cantoni. Ora fa stato l’attuale previsione di crescita demografica, ma in futuro si potrà far riferimento all’evoluzione reale della popolazione.

Protezione, sostenibilità e qualità degli insediamenti

Altro aspetto interessante per quanto concerne la pianificazione è la valutazione dell’impatto di ISOS, l’Inventario federale degli insediamenti svizzeri da proteggere d’importanza nazionale. ISOS analizza globalmente gli spazi edificati considerando strade, piazze, giardini, altri spazi verdi, tenendo conto dell’ambiente circostante. L’iscrizione all’ISOS di un insediamento indica che esso merita di essere conservato e salvaguardato, ma non equivale a una misura di protezione. «ISOS si basa sulla legge sulla protezione della natura e della patria, – chiarisce il direttore Jerjen – ma non è un vincolo assoluto che impedisce il cambiamento. Tuttavia si può intervenire densificando con qualità, pur rispettando un insediamento iscritto a ISOS».

mente comporta un dezonamento e il versamento di un’indennità.

Vorrei ricordare che l’aggiornamento di piani regolatori – spesso d’impianto vetusto e superato – non è solo un dovere legale, ma anche l’occasione per nuove e più attuali scelte di sviluppo a livello comunale, che tengano debitamente conto delle sfide del nostro tempo: cambiamenti climatici, biodiversità, cultura della costruzione, qualità del paesaggio e degli spazi pubblici».

Se i Comuni frenano, come sembra di capire da recenti prese di posizione, cosa deve fare il Cantone? «Sebbene le resistenze possano essere comprese, – ci dice De Gottardi – l’adattamento degli strumenti pianificatori alle disposizioni della Legge federale è ineluttabile. Il Cantone, dopo aver fatto i propri compiti, modificando il piano direttore e le basi legali cantonali, potrebbe ora orientare parte delle proprie energie a sostenere i comuni nello sforzo che sono chiamati a fare. Non si tratta solo di aiuti finanziari – per altro già assicurati – ma anche e soprattutto di favorire lo scambio di esperienze e d’informazione, di offrire insomma una consulenza attiva e un adeguato accompagnamento a questo complesso processo».

«Lo sviluppo interno, centripeto, di qualità è una sfida per i Comuni. – sottolinea Damian Jerjen – Ci sono però anche buoni esempi. Espace Suisse gestisce il sito densipedia.ch che presenta quasi cento buoni esempi. Lì si trovano anche molte informazioni su sviluppi centripeti e insediamenti di qualità».

L’importante ruolo del Comune

Il sistema svizzero della pianificazione si articola su tre livelli: la Confederazione, che definisce i principi di fondo e le concezioni dei piani settoriali, il Cantone, che mette a punto un piano direttore e le strategie di sviluppo territoriale e i Comuni con i piani direttori, i piani regolatori, il regolamento edilizio, i piani particolareggiati, ecc. Insomma, il meccanismo è complicato e, in più di un’occasione, in Ticino si è visto che i dettati della Confederazione non sempre vengono seguiti alla lettera. I Comuni, per storia e tradizione, soprattutto in passato, hanno pasticciato e maltrattato il proprio territorio. Per il direttore di Espace Suisse il ruolo del Comune è importante: «Per la necessaria accettazione della pianificazione territoriale è fondamentale un’ampia partecipazione della popolazione, che può essere meglio assicurata a livello comunale».

In Ticino la situazione si è fatta più delicata dopo che Berna ha approvato il piano direttore cantonale nell’ottobre scorso. Siccome Bellinzona ha consegnato il PD in grande ritardo, la Confederazione ha ridotto le zone edificabili, basandosi sulle nuove stime, più contenute, della crescita demografica per i prossimi 15 anni. Il ridimensionamento delle zone edificabili è stato contestato in Parlamento con tre interpellanze da altrettanti deputati ticinesi: Regazzi (Centro), Quadri (Lega) e Marchesi (UDC).

Il Consiglio federale ha chiarito che

Espace Suisse si preoccupa anche delle mega tendenze che hanno effetto sul territorio. L’emergenza data dal riscaldamento climatico impone comportamenti che fin d’ora devono essere considerati nella pianificazione: salvaguardia del verde, protezione del suolo, interventi contro le isole di calore nelle città. Il paesaggio, che può offrire migliore qualità di vita, va protetto e va salvaguardata la biodiversità.

Pianificare significa anche curare la qualità degli insediamenti. Espace Suisse elenca le misure da rispettare per migliorare la qualità della costruzione. Nel 2018 è stata adottata dai Paesi europei la Dichiarazione di Davos per una cultura di qualità della costruzione. «Urge adottare un nuovo approccio adattativo per plasmare il nostro spazio edificato, – si legge nella Dichiarazione – che sia radicato nella cultura, che rafforzi attivamente la coesione sociale, garantisca la sostenibilità dell’ambiente e contribuisca alla salute e al benessere di tutta la popolazione. Ecco cos’è la cultura della costruzione di qualità».

Espace Suisse sottoscrive questi principi e precisa gli obiettivi per realizzare insediamenti di qualità. Garantire i servizi e le offerte socioculturali, pensare a rendere funzionale habitat, lavoro e tempo libero. Privilegiare la mobilità lenta in spazi tranquilli e non inquinati. Aree di traffico limitato e zone d’incontro con centri animati. Abitazioni per una popolazione mista, intergenerazionale e multinazionale.

Concludiamo ricordando che l’Ordinanza per la pianificazione del territorio (art.19) prevede fra i compiti dei pianificatori cantonali l’informazione e la partecipazione della popolazione. Un dettaglio non trascurabile.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 8 maggio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 9 SOCIETÀ azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Abbonamenti e cambio indirizzi tel +41 91 850 82 31 lu–ve 9.00 –11.00 / 14.00 –16.00 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera Fr. 48.– / Estero a partire da Fr. 70.–Redazione
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Damian Jerjen, direttore di Espace Suisse, mette al centro dell’attenzione anche il cambiamento climatico e la crisi della biodiversità. (Keystone)

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Per una cultura dell’anzianità

spiega chi sono i nuovi tutor di comunità

Stabilire una relazione con la persona anziana basata sull’ascolto, sul sostegno, sullo sviluppo di nuove progettualità, per vivere meglio il presente e guardare ancora al futuro. Questa avanzata visione del benessere degli anziani la mette in pratica il tutor di comunità, un volontario che si concentra sui rapporti umani e sugli spazi di vita del singolo e della collettività. Sperimentato da circa un decennio, questo ruolo beneficia ora di una formazione specifica promossa dall’Associazione Assistenza e Cura a Domicilio Mendrisiotto e Basso Ceresio (ACD) e dal Laboratorio di Ingegneria dello Sviluppo Schürch (LISS). È infatti quest’ultimo, fondato e diretto dallo psicologo e ricercatore Dieter Schürch, che ha sviluppato tale figura in diversi progetti legati al territorio ticinese e a quello transfrontaliero. A Dieter Schürch abbiamo chiesto di spiegare le caratteristiche del tutor di comunità e l’importanza della sua formazione nel contesto di un ripensamento della vecchiaia che per il ricercatore «è da costruire con chi la vive e con chi non l’ha ancora raggiunta, ha paura e tende ad allontanarla».

Lo scorso gennaio i primi 18 tutor di comunità hanno ricevuto i rispettivi attestati al termine della formazione svoltasi durante l’autunno 2022. Chi sono queste persone? Come operano? Partiamo dal secondo interrogativo che permette a Dieter Schürch di porre l’accento sul territorio e sulla rete di supporto della persona anziana che vive al proprio domicilio: «Il tutor di comunità svolge l’attività volontaria nella sua zona di vita, in modo da essere riconosciuto come parte della comunità locale. Altro punto essenziale è la collaborazione con gli altri attori di supporto, dalla famiglia ai professionisti del settore sanitario. La formazione promossa con ACD permette di approfondire questo aspetto a beneficio della condizione globale della persona anziana. Il tutor si occupa di almeno una persona (a dipendenza della disponibilità di tempo), adeguando la propria funzione alla situazione e al

tipo di relazione che si instaura con l’anziano/a. Si tratta di una funzione essenzialmente integrativa e trasversale che porta a svolgere vari compiti adottando un atteggiamento molto flessibile».

Ecco così emergere le caratteristiche dei tutor. Prosegue il nostro interlocutore: «Al termine della formazione il tutor è in grado di assumere compiti pratici di mediazione, come pure di identificare e attivare le applicazioni tecnologiche che possono, ad esempio, permettere alla persona anziana di rimanere in contatto con familiari lontani e abituati a comunicare con i mezzi digitali. La tecnologia non è un obiettivo in sé, ma può diventare uno stimolo e uno strumento per mantenere i contatti sociali. L’aiuto del tutor può però tradursi anche in attività più tradizionali, come l’orto, la cucina o il bricolage. È inoltre possibile che la nuova figura di sostegno sia chiamata a estendere la sua funzione alla comunità di riferimento della persona anziana; deve pertanto essere in grado di animare momenti di incontro e socializzazione in presenza». Quali sono a questo punto le competenze richieste agli interessati per accedere al corso?

«Durante la prima riunione informativa – risponde Dieter Schürch – abbiamo notato, oltre a una folta partecipazione, la presenza di profili molto diversificati per età, genere e formazione. Fra coloro che hanno ottenuto l’attestato figurano un imprenditore attivo nel settore del legno, un giovane esperto di teatro e una giovane che ha scelto la formazione per completare il suo percorso di studi. La formazione è impegnativa, ma costituisce un importante arricchimento personale». Il programma è composto da cinquanta ore suddivise in tre sezioni: parte concettuale, pratica assistita e incontri di riflessione. Questi ultimi sono importanti per facilitare, attraverso il confronto, la ricerca di soluzioni a problemi inconsueti. I tutor, anche a

Territorio che per il momento si concentra nei Comuni di Breggia, Castel San Pietro, Morbio Inferiore, Vacallo e Balerna. Luogo privilegiato di una sperimentazione più ampia è Monte, piccola frazione di Castel San Pietro, dove l’obiettivo di migliorare la qualità di vita, in particolar modo delle persone anziane, passa anche attraverso un innovativo progetto pilota a livello nazionale. Il Comune di Castel San Pietro lo ha promosso sulla base delle ricerche compiute da LISS in Valle di Muggio e in Valle Onsernone e presentate nel 2019. La realizzazione – piccoli interventi di carattere architettonico e urbanistico a favore della vita comunitaria e dell’intergenerazionalità – è stata affidata allo Studio SER di Rina Rolli e Tiziano Schürch con sedi a Zurigo e Lugano. Il loro progetto, terminato nel settembre 2022, ha ricevuto lo scorso marzo il prestigioso premio Bauweltpreis promosso dal Museo tedesco dell’architettura di Francoforte (DAM) in collaborazione con la rivista ARCH+. Se Castel San Pietro pensa ora di riproporre il progetto in altre frazioni discoste, altri Comuni hanno manifestato il loro interesse, così come la Città di Lugano e persino il Canton Uri. Discussioni sono in corso per valutare come procedere nell’applicazione dei medesimi principi in altre realtà periferiche e urbane. La forza del progetto sta nel riuscire a migliorare la qualità di vita di una comunità grazie a micro interventi facilmente realizzabili scaturiti da una riflessione che tiene conto delle abitudini e delle aspirazioni di chi risiede nella località. Le riflessioni teoriche di Dieter Schürch, legate alle ricerche che da molti anni conduce sul tema degli anziani, sono di recente confluite in una pubblicazione firmata dallo stesso Schürch e dal sociologo Guglielmo Giumelli. Vecchi e spazi di vita è il titolo del libro, edito da Il melangolo. I due studiosi ribadiscono la centralità della persona, così come viene considerata nella formazione del tutor di comunità e nel progetto di Monte. Precisa

Schürch al riguardo: «Per trovare soluzioni adeguate e sostenibili volte a migliorare la qualità di vita degli anziani, prolungando la loro permanenza al domicilio, bisogna sempre partire dal contatto con i diretti interessati. Dal punto di vista metodologico si tratta di una ricerca qualitativa che richiede tempo e disponibilità nell’incontrare e ascoltare la popolazione. Ciò permette però, oltre a ricavare informazioni utili per le possibili azioni da intraprendere, di trasformare gli intervistati in coprotagonisti del progetto, così da diventare loro stessi motore del cambiamento della società».

«La persona anziana – conclude il ricercatore – vive con tempi, modi e considerazioni personali che sono il risultato di una storia di vita e rappresentano una forma di cultura dell’anzianità. Ha sogni e aspirazioni da tenere in considerazione. Chi non può contare sul sostegno dei familiari, riesce a beneficiare di una relazione stimolante incentrata su questi bisogni

grazie a figure volontarie come i tutor di comunità». L’innovativa collaborazione di LISS con l’Associazione Assistenza e Cura a domicilio Mendrisiotto e Basso Ceresio permette di avvicinare due realtà con focus diversi sul benessere degli anziani. Personale di cura e tutor di comunità sono chiamati a confrontarsi sui rispettivi compiti a favore di un approccio condiviso per assicurare un benessere complessivo, evitando in particolare il rischio di isolamento. La nuova formazione è stata implementata con il sostegno di Promozione Salute Svizzera e della Fondazione Schiller, perché questo genere di progetti necessita del coinvolgimento di più attori anche sul piano finanziario. Terminato il primo corso, si pensa già all’organizzazione di una seconda formazione anche in considerazione del grande interesse dimostrato dalla popolazione. Un segnale positivo per affrontare con una nuova visione culturale le sfide legate all’invecchiamento della popolazione.

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Albo comunale a Muggio, fotografia tratta dalla pubblicazione Guarda! Raccomandazioni per il futuro delle regioni periferiche a cura di Dieter Schürch. (© foto Giovanni Luisoni).

Santa Catarina: dentro il Brasile che

Ambiente ◆ Grande oltre il doppio della Svizzera, Santa Catarina è il secondo Stato più a sud del Paese. Tra oceano, foresta tropicale, serra

Sono tornata da meno di dieci giorni ed è già saudade. Dopo due settimane di estate piena, calda ma non afosa, di colori, sapori, storie di un altro mondo, lontano nel tempo e nello spazio, il ritorno a una stagione più grigia e piatta assume quella tonalità fastidiosamente dolorosa che solo questo termine portoghese riesce propriamente a rendere. Una sfumatura di sentimento intraducibile, ma che riconosci al volo quando te la trovi dentro, appiccicata addosso.

Questo viaggio, per me, è stato il battesimo carioca, la prima esperienza del Brasile. E il ricordo che mi porto a casa è di puro incanto, a dispetto di una serie di pregiudizi e informazioni raccolte prima della partenza. Ad esempio, secondo il «Daily Express», nella classifica dei 10 Paesi meno sicuri in cui viaggiare nel 2023 il Brasile compare al nono posto (il calcolo è effettuato in base al tasso di criminalità espresso dalla «World Population Review», https://worldpopulationreview.com/country-rankings/crime-rate-by-country). Qualche amico prima di partire mi aveva suggerito di lasciare a casa orologi e gioielli, di fare attenzione alla macchina fotografica e al cellulare. Essendo lì per lavoro, la mia macchina e relativa attrezzatura fotografica sono state in bella vista tutto il tempo, anche durante le mie uscite in solitaria, mattina presto o sera tardi. Idem per lo smartphone. Santa Catarina, scopro su internet e verifico di persona, in realtà è uno degli Stati brasiliani più sicuri e tranquilli del Paese. Piuttosto, se dovessi basarmi sulla personale esperienza, dovrei sconsigliare il centro di Parigi, dove sono stata borseggiata due volte su due.

Paesaggi unici

In breve tempo la scheda della mia macchina fotografica e la memoria dello smartphone, oltre agli occhi, si riempiono di paesaggi unici, di una sorprendente varietà.

Partiamo dal sud dello Stato. Il primo incanto, inaspettato, si insinua discreto, nascosto dalle brume, a solo due ore di macchina dalle magnifiche spiagge costiere: è la Serra Catarinense. Siamo nella regione di Uribici, sui rilievi più alti di Santa Catarina (1800 e passa metri). Con le sue maestose araucarie (Araucaria angustifolia) dalle chiome a ombrello, che risalgono all’alba del mondo, la serra ha un aspetto primordiale, reso ancora più affascinante dal respiro delle nebbie che salgono dalle pieghe dei canyon. Prima anomalia nell’immaginario cliché che vuole il Brasile tutto Sole-Spiagge-Samba: siamo nella regione più fredda del Paese, d’inverno c’è anche la neve. E c’è chi coltiva la vite e produce vino: il vitigno locale si chiama Goethe e nel 2011 ha ottenuto la denominazione di Indicazione Geografica per salvare la varietà dall’estinzione (https://www.fondazioneslowfood. com/it/arca-del-gusto-slow-food/ uva-goethe/).

Un serpente d’asfalto

Altro punto spettacolare è la strada SC-390, un serpente di asfalto che si srotola dalla Serra do Rio do Rastro e

scivola verso valle, curva dopo curva nella foresta. A Praia Grande un giro in mongolfiera all’alba sopra il Geoparco UNESCO Caminhos Dos Cânions do Sul (che Santa Catarina condivide con il vicino Rio Grande do Sul, https://canionsdosul.org/) lascia senza parole per l’incanto – ho già scritto incanto? Bene, è la parola che mi sovviene più spesso in questo racconto.

Riguadagnato l’oceano, risalendo lungo la costa, ci fermiamo a Laguna, cittadina di pescatori, per due ottimi motivi: primo vi nacque Ana Maria de Jesus Ribeiro, meglio nota come Anita Garibaldi (sposa di Giuseppe, l’eroe dei due mondi, che qui la conobbe e se ne innamorò); secondo, sulla spiaggia è possibile assistere a uno spettacolo raro, ovvero la pesca con i delfini. I pescatori locali, da alme-

no un paio di secoli, hanno istaurato una collaborazione insolita e del tutto spontanea con un gruppo di tursiopi che vive nei pressi della laguna. Questi mammiferi marini, senza essere addestrati, avvisano gli uomini sulla spiaggia di gettare le reti e spingono i pesci nella loro direzione. Quelli che virando riescono a sfuggire alla cattura finiscono direttamente in bocca ai delfini. Con mutua soddisfazione.

Joinville, i coloni elvetici e l’Escola del Bolshoi

Sabbia color oro Proseguendo verso nord, dopo una serie di lagune, incontriamo Imbituba e le sue spiagge incantate, come Praia do Rosa, o la Barra de Ibiraquera, più o meno frequentate, ma sempre molto curate: chilometri di sabbia che va dal bianco all’oro, protetta dalle dune di restinga, tipica vegetazione che pre-

nel marzo del 1851 da 118 emigranti in fuga dalla povertà, arrivati dall’Europa

sulla Barca Colon. Ben 77 provenivano dal Canton Sciaffusa, con cui oggi Joinville è gemellata.

La storia dell’emigrazione svizzera in Brasile (https://suicosdobrasil.org. br/) parte nel XVI secolo, con i primi coloni, soprattutto religiosi. Fulcro della comunità era Villa Viçosa

de Madre de Deus, nello stato di Amapá. Nel maggio 1818 un accordo firmato dalla Corte reale portoghese e il governo del Canton Friburgo promosse ulteriori arrivi: nel 1819, circa duemila persone fondarono Nova Friburgo e dal quel momento al 1857 altri duemila svizzeri giunsero nelle piantagioni di caffè della regione di São Paulo. A Santa Catarina, oltre alla fondazione di Dona Francisca/Joinville, gli svizzeri parteciparono alla creazione di Nova Helvetia (1897), Presidente Getúlio (1904) e Bom Retiro (1922). Nel 1870 in tutto il Paese vivevano all’incirca 2500 coloni elvetici, numero che arrivò a 4250 nel 1930. Oggi la comunità Suiça in Brasile, con circa 15mila persone, è la seconda più numerosa dell’America Latina. Il ruolo degli svizzeri di Sciaffusa a Joinville è stato valorizzato a partire dal 2001, a 150 anni dalla fondazione. In seguito al gemellaggio, del 2007, sono stati regolarmente organizzati dei Programmi triennali di Attività di cooperazione, dedicati agli scambi in materia di cultura, arte, sport e

iniziative per l’ambiente e l’economia. La città è infatti particolarmente famosa nello Stato di Santa Catarina per le sue attività culturali. Dal 15 marzo 2000 è sede dell’Escola do Teatro Bolshoi no Brasil (www.escolabolshoi.com.br), unica estensione della più famosa istituzione di ballo russa. La scuola ha una spiccata missione sociale: quella di dare a bambini e bambine provenienti da famiglie a basso reddito di tutto il Brasile la possibilità di intraprendere una crescita professionale nel mondo dell’arte altrimenti preclusa. Le ragazze e i ragazzi che si formano alla Escola usufruiscono di borse di studio; oltre a garantire una formazione tecnico-pedagogica nelle arti della danza, della musica e del teatro, viene fornita loro assistenza medica, odontologica e nutrizionale.

Non è dunque un caso se Joinville, da 40 anni a questa parte è sede del Festival della Danza (quest’anno dal 17 al 29 luglio - https://www.festivaldedancadejoinville.com.br/), registrato nel Guinness dei Primati come il più grande evento dedicato alla danza nel mondo. ◆

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Spiagge incantate, sì, come in altre parti del Brasile, ma Santa Catarina si distingue per essere anche uno Stato che propone una grande varietà di paesaggi unici e dove può fare anche molto freddo. Amanda Ronzoni, testo e foto Situato nel nord di Santa Catarina, Joinville è oggi il centro più popoloso dello Stato, sede di importanti attività economiche, produttive e culturali. Il primo nucleo della città (allora detta Dona Francisca) fu fondato Esercizi alla sbarra nell’unica estensione della scuola di danza del teatro Bolshoi in Brasile e, nella pagina accanto, alcuni suggestivi scorci della zona.

che non ti aspetti

serra punteggiata di araucarie, lunghe spiagge dorate, città con skyline vertiginose e villaggi colorati in stile azzorriano

viene l’azione erosiva del mare. Ce n’è per tutti i gusti: per chi fa surf da anni, per chi sta imparando, per gli amanti dei racchettoni, per le famiglie con animali al seguito (qui sempre benvenuti), per chi prende solo il sole e per chi fa i chilometri sul bagnasciuga. E la sera si gira nei locali, per ascoltare un po’ di buona musica e bere caipirinha, o fare shopping nei negozi di artigianato e comprarsi un bikini nuovo, magari ecosostenibile. Da luglio a novembre questi lidi hanno un ospite d’eccezione: qui viene a riprodursi la balena franca.

La capitale Florianopolis fu contesa tra spagnoli e portoghesi e ha conosciuto continue ondate di emigrati, anche svizzeri

Raggiungiamo la capitale dello Stato, Florianopolis, che ci parla della storia di questa regione. L’isola su cui si trova l’odierna città, per la sua posizione strategica fu occupata dagli spagnoli a partire dal 1542, poi contesa e strappata ai portoghesi (il tutto a scapito delle popolazioni locali, i Guaranì e i Kaingang, nonché degli schiavi portati dall’Africa). Nota in origine come Nossa Senhora do Desterro (Nostra Signora dell’esilio, con riferimento alla Sacra Famiglia), ha conosciuto ondate successive di emigranti che ivi giunsero a metà ‘800 da Azzorre, Germania e Italia, ma anche da Svizzera, Polonia e Austria.

Tante lingue diverse

Oggi la regione è un puzzle di comunità che parlano tante lingue diverse e ognuno si fa vanto della propria ascen-

denza, portando avanti tradizioni gastronomiche e artigianali dei Paesi d’origine e mantenendo legami stretti coi luoghi da cui bisnonni e nonni sono partiti in cerca di un mondo migliore. Secondo i locali, i Manesinhos, Florianopolis è l’isola è delle streghe: protagoniste di molte le leggende, abitano nelle Figueira, antichi e maestosi alberi di Ficus, e sono le guardiane della Natura.

Natura che si esprime in una serie di spiagge incorniciate da vegetazione lussureggiante lungo la costa fino a nord, domata poi dalle grandi città litoranee di Itapema e Balneário Camboriú con skyline sorprendenti. Il braccio di ferro tra il verde della Mata Atlântica (la foresta pluviale costiera) e il bagliore dei grattacieli è incredibile e per fortuna da qualche decennio ormai il settore costruzioni è sottoposto a regole più rigide, con la salvaguardia di zone ritenute fondamentali per la biodiversità, come Porto Belo e la sua isola.

Lunghi pontili in legno collegano una spiaggia all’altra permettendo salutari passeggiate all’ombra di alberi tropicali, tra farfalle enormi e minuscoli colibrì, e se si ha un po’ di pazienza non è difficile riuscire a vedere qualche tartaruga marina che sale a respirare tra le onde. Dalla ruota panoramica di Balneário Camboriú è magico ammirare la città spogliarsi del tramonto e accendersi di luci, mentre sempre in spiaggia la gente del posto si attarda nelle ultime chiacchiere. Su tutti veglia l’imponente Cristo Luz: coi suoi 33 metri di altezza e l’effige del Sole sulla spalla sinistra, la sera si illumina regolarmente di sette diversi colori, ognuno con una particolare benedizione (https://www.cristoluz.com.br/en/cristo-luz/#) per tutti.

Le associazioni di pescatori locali praticano ancora oggi la tradizionale pesca alla tainha

Comunità rurali e ciclopiste per un turismo sostenibile

Una società aperta ◆ Natureza, produzioni organiche, coltivazioni di ostriche e possibilità di accesso per carrozzine e sedie a rotelle

Oltre all’alto livello di sicurezza percepito, la regione di Santa Catarina colpisce per l’impressione di inclusione, reale e non solo dichiarata, che si trova a vari livelli. Cartelli che invitano al rispetto dei ciclisti sono ovunque, così come quelli dedicati alla natura e alle specie sensibili, o quelli che indicano le possibilità di accesso per carrozzine e sedie a rotelle. Ci sono cliniche veterinarie e negozi per animali domestici dappertutto. Tantissimi i cani, anche nelle spiagge che ne vietano la presenza: pulizia totale (segno della civiltà dei proprietari) e rispetto degli spazi evidentemente facilitano convivenza e accettazione.

Protezione ambientale

A fronte di alcune aree decisamente antropizzate, lo Stato sta puntando molto su quelle dove la natureza resta padrona. Le parole chiave sono turismo rurale e produzioni organiche, eco e cicloturismo, Bandiere Blu per le spiagge e aree di protezione ambientale (APA).

Molte delle strutture ricettive sono gestite a livello familiare, con attenzione all’ambiente e alle produzioni locali. Ne sono esempio, sulla Serra Catarinense, le produzioni di vino, formaggio, mele Fuji e miele di Bracatinga con denominazione geografica; o l’Eco Resort Rio Rostro, dove il fondatore Ivan Cascaes mostra orgoglioso agli ospiti l’orto biologico a chilometro zero che sta nel cuore della tenuta; tutto intorno un panorama unico con sentieri per camminare e diversi mirador da cui godersi lo spettacolo. O ancora a Praia Grande, più a sud, il Refúgio Ecológico di Pedra Afiada, nel cuore della foresta tropicale, dove è possibile girare con una guida naturalista

e arrampicarsi su una vecchia Figuera centenaria.

A Florianópolis, ci sono organizzazioni come i Ratones Rural (https:// ratonesrural.com.br/) che offrono ai turisti un’esperienza del territorio differente: non solo spiagge e mare, ma un entroterra ricco di luoghi naturali e siti culturali che parlano di storia e tradizioni antiche, unendo attenzione all’ambiente, valorizzazione dei saperi femminili, il gusto moderno per le discipline orientali come yoga e meditazione. È possibile poi incontrare le comunità locali grazie alla preservazione di luoghi e pratiche antiche che a Santa Catarina hanno ottenuto il riconoscimento di patrimonio culturale.

La spartizione del pescato

È il caso delle cooperative di pescatori, come la Associação dos Pescadores Artesanais do Campeche, che ancora oggi praticano in modo tradizionale la pesca alla tainha (Mugil cephalus) da maggio a luglio, usando vecchie barche a remi, tramandate e mantenute da generazioni. Le giornate di pesca si trasformano in festa con la spartizione del pescato secondo criteri rigorosi e rispettosi di tutta la comunità. Ma anche dei mulini, qui detti engenhos, oggi musei intorno ai quali si organizzano le colorite Festa da Farinha e si celebrano i valori della vita contadina. Perfettamente funzionante l’ultracentenario Engenho dos Andrade, a Santo Antônio de Lisboa, Florianópolis; altrettanto suggestivo l’Engenho do Sertão, gestito dall’Instituto Boimamão, a Bombinhas, che tra le altre cose si occupa della salvaguardia e promozione della cultura tradizionale locale, tra cui spiccano le rappresentazioni dette

«boi de mamão», una sorta di teatro tragicomico di derivazione azzorriana, che ha come protagonista un bue e il suo padrone. I circuiti cicloturistici in tutto lo Stato sono ben segnalati (e alcuni nomi sono suggestivi: Circuito das Araucárias, Circuito Costa Verde, Caminho da Imperatriz), con corsie dedicate e anche mini postazioni sparse per parcheggiare e fare riparazioni. Dalla piatta e rilassante Avenida Atlântica di Balneário Camboriú (7 km lungo la costa), alle più impegnative salite della Serra Catarinense, ce n’è per tutte le gambe.

Gustosi molluschi

Altra attività che ha interessanti risvolti sociali, perché gestita da gruppi di famiglie locali, è la coltivazione delle ostriche e dei molluschi. Si tratta di una sfida accettata e vinta da alcuni pescatori di San Antônio de Lisboa che, per incrementare l’economia basata sulla pesca, ma in crisi, decisero a fine anni ’80, con il supporto dell’Università di Florianopolis, di impiantare e produrre le ostriche in modo sistematico e sostenibile, sfruttando le peculiarità del mare che circonda l’isola di Santa Catarina, caratterizzato da fondali bassi con un mix di acqua salata e acque dolci, blandito dalle correnti fresche in arrivo dalla Patagonia e dal sud del Brasile. Oggi lo Stato produce l’80% delle ostriche in vendita nel Paese, con ricadute benefiche sulle cooperative di pescatori e anche sull’economia della ristorazione e del turismo. Da provare la Caipiroyster, ovvero l’ostrica «condita» con lime, cachaca (distillato da canna da zucchero) e miele, brindando a questa iniziativa coraggiosa quanto illuminata.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 8 maggio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino SOCIETÀ 13

UN PIENO DI FRESCHEZZA TUTTA NATURALE

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I sentori agrumati sono l’ideale per risollevare l’umore quando il sole latita.

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Dopo la doccia conviene quindi tamponare solo leggermente il corpo prima di applicare la lozione.

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L’isola degli artisti

La Comacina è una minuscola enclave culturale belga nel lago di Como e vi si possono ammirare splendidi edifici

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La terra dei Nabatei

Per i lettori di «Azione» un imperdibile viaggio con Hotelplan tra oasi, deserti e città esotiche da sogno

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Creazioni primaverili

Collane e medaglioni variopinti da realizzare in famiglia a partire dai piccoli fiori di stagione

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Sottoporre le immagini allo sguardo degli altri

Fotografia ◆ Una volta realizzato un progetto come ci si può preparare efficacemente al confronto con il pubblico?

Partendo a volte da considerazioni storiche come pure sociologiche, in questa serie di articoli sulla fotografia abbiamo finora affrontato in particolar modo gli aspetti pratici, legati alla realizzazione di un’immagine, indicando alcune delle varie implicazioni tecniche che possiamo incontrare nei diversi ambiti in cui ci troveremo a operare.

Abbiamo valutato l’utilità dell’elaborazione di un progetto, avendo come fine la costruzione di una serie coerente d’immagini. Riflettere preliminarmente sugli aspetti formali e di contenuto del lavoro che andiamo ad affrontare, formulando in questo modo con un certo grado di precisione un obiettivo, non potrà che esserci d’aiuto nel seguito, quando c’immergeremo concretamente nella realtà stessa di quel lavoro.

La soluzione più semplice è creare un portfolio con una selezione di stampe di buona qualità libere e preferibilmente trasparenti destinate a questo fine

Scattare qua e là, un po’ a caso, sulla base di estemporanei invaghimenti, ci può anche stare. Anzi, a volte c’imbattiamo fortuitamente in situazioni dotate di grande forza espressiva che sarebbe un peccato, avendo la macchina a portata di mano, non fermare con uno scatto. Teniamo però presente quanto una serie ben costruita – dove ogni immagine ha una sua ragione d’essere, di per sé e nel dialogo con le altre – sia innanzitutto occasione per migliorarci, tanto nella riflessione quanto nella pratica della fotografia, e sarà in un secondo tempo, per lo spettatore, fonte di piacere seguirne lo sviluppo coerente e armonico, l’emergere di una chiara linea di fondo.

Elaborazione di un piano di lavoro, dunque. Per passare poi alla sua realizzazione, fase in cui, oltre a scattare, andremo anche, probabilmente, a intervenire sul progetto stesso: la realtà quasi mai – per fortuna, mi vien da dire – confermerà in tutto e per tutto quanto avevamo inizialmente previsto. La realizzazione di un progetto può implicare settimane, mesi, anche anni di lavoro, il più delle volte intercalandola con l’esecuzione di altri progetti, in un fertile movimento di va e vieni tra questi. Conclusa questa fase, come sbocco naturale e per molti versi necessario, si tratterà di andare a verificare la validità e la forza comunicativa del nostro lavoro attraverso lo sguardo altrui. Dovremo, in altre parole, sottoporre al giudizio di un pubblico le nostre immagini, che andranno dunque opportunamente approntate per far sì che il lavoro, nel suo insieme, risulti comprensibile, solido e stimolante.

Vediamo allora, con qualche parziale indicazione, come preparare questo momento cruciale di verifica.

Sotto quale forma presenteremo l’insieme delle immagini. Diverse sono le soluzioni, a dipendenza del pubblico che vogliamo toccare, di quanto tempo e denaro possiamo impiegare per questo compito e in forza delle opportunità che ci si presenteranno. La natura stessa del lavoro che vogliamo mostrare può anche per certi versi influenzarne le modalità di presentazione. Delineo qui alcune delle soluzioni utilizzate più di frequente.

La più semplice consiste nel costituire un portfolio con una selezione di stampe di buona qualità, libere e preferibilmente protette da buste trasparenti destinate a questo fine. Di solito si procede in questo modo quando, per il nostro lavoro, cerchiamo sbocchi ulteriori.

Un’altra modalità potrebbe essere quella di una pubblicazione attraverso un sito, possibilmente il proprio, per poter controllare nel dettaglio i vari aspetti legati alla presentazione della serie.

Il libro fotografico – o altra pubblicazione cartacea – è senza dubbi una forma interessante di presentazione. Prodotto in proprio – diversi labora-

tori hanno reso ormai accessibile questa opzione – o meglio ancora, grazie a un editore o altro sponsor che crede nelle potenzialità del nostro lavoro, presenta il vantaggio di resistere alla forza del tempo nella forma che gli avremo dato.

Infine, una soluzione di particolare interesse consiste nell’esporre le immagini in un luogo aperto al pubblico. Cosa che comporta un gran lavoro di preparazione per una presentazione di durata limitata. All’effimerità di un’esposizione è possibile ovviare, in parte, lasciandone traccia con l’eventuale pubblicazione di un catalogo.

Selezione delle immagini. Tra tutte quelle scattate vanno scelte le più forti, le più rappresentative e coerenti rispetto all’idea che dà vita alla serie. Se non vi sono specifiche ragioni, vanno evitate o comunque limitate il più possibile le ridondanze. È un lavoro per niente facile da fare, e più è cospicuo il corpus d’immagini disponibile, più saremo costretti a sacrificare immagini a cui siamo per qualche motivo legati. Cominciate pure con una selezione larga per poi restringerla a mano a mano che procedete. Può esservi utile per questo lavoro di selezione il contributo di qualcuno di cui avete fiducia. Ordinamento delle immagini. A di-

pendenza del tipo di presentazione –vedi sopra – andremo a costruire delle sequenze e/o dei gruppi d’immagini. I nessi tra le immagini saranno determinati dal contenuto come pure da aspetti formali. Tanto meglio se entrambi questi fattori si troveranno riuniti. L’ordinamento verrà inoltre condizionato dalla quantità e dal tipo di spazio disponibili: le pagine in sequenza di una pubblicazione, i muri di una galleria, le pagine interconnesse di un sito. E così via.

Finizione, dimensioni, supporti. Che sia a schermo o stampata, la serie dovrà presentarsi come un insieme coerente.

Tanto più coerente sarà, tanto più forte l’impatto sullo spettatore. Curate dunque la lavorazione delle immagini tenendo conto del fatto che sono parte di un insieme – o di vari sotto insiemi.

Nel caso vengano poi stampate, la scelta della carta, per certi versi soggettiva, non può esser comunque fatta a prescindere dal tipo d’immagini che presentate. Per i formati, il ragionamento è simile: certe immagini funzionano in modo egregio a piccole o medie dimensioni, altre verranno esaltate da un grande formato. Lo spazio disponibile sarà pure un criterio determinante nello stabilire le dimensioni. Infine dovrete decidere, fossero presentate

sotto forma di stampe, se vanno incorniciate o meno, montate su un supporto, dotate di bordo o presentate al vivo, ecc. Per tutte le scelte qui elencate, non vi è una soluzione ma una moltitudine di possibilità tra le quali dovrete sceglierne una che, sostenuta da una logica fondata, riesca a esprimere al meglio il potenziale insito nel vostro lavoro.

Testo d’accompagnamento. Assolutamente facoltativo, può però suggerire elementi utili alla lettura della serie quando questa lo dovesse richiedere – ad esempio, i motivi che vi hanno spinto a realizzare un tale lavoro, il contesto e il periodo in cui è stato scattato, quanto tempo c’è voluto per creare la serie. Un eventuale testo critico potrebbe già integrare tutte queste informazioni oltre a indicare altre strade di lettura.

Nel suo insieme, è giusto dirlo, il lavoro di costruzione di una presentazione richiede un notevole sforzo, verso cui non siamo sempre disponibili, un impegno di tempo e concentrazione che però, quando ben diretti, porteranno i loro frutti. Affrontare con spirito aperto il confronto col pubblico non potrà che arricchire la percezione che abbiamo del nostro lavoro e consolidare il nostro percorso di crescita.

● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 8 maggio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 17
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Comacina, l’isola degli artisti

Arcipelago prealpino 3 ◆ La singolare storia della piccola «enclave» culturale belga sul lago di Como

L’isoletta, unica del lago di Como, passa quasi inosservata, messa in ombra dalla vicina penisola tremezzina che culmina con la splendida villa del Balbianello, bene del Fondo ambiente italiano (FAI) più visitato, famosa location di lussuosi matrimoni e feste esclusive, set privilegiato dalla cinematografia internazionale.

Eppure, se il Balbianello si vanta di aver fatto da cornice a episodi di famose saghe cinematografiche come Star Wars e 007, l’Isola Comacina risponde nientemeno che con Il Labirinto della passione (1925), primo lungometraggio di Alfred Hitchcock.

Perché anche alla minuscola isola del ramo del lago che volge a ponente, le storie da raccontare non mancano: vicende che hanno curiosamente legato il microscopico lembo di terra lariana alla Grande Storia e alla Grande Architettura, da Federico Barbarossa a Le Corbusier, passando per la stravagante iniziativa dell’ultimo proprietario, l’albergatore e sindaco di Sala Comacina Augusto Caprani, che lasciò in eredità la sua isoletta al re del Belgio.

Storie e aneddoti della Comacina me le raccontano Marco Leoni, direttore del Museo del Paesaggio del Lago di Como e del Museo Antiquarium, e Sara Monga, anima del sito archeologico-storico-artistico dell’isola «al largo» (poco più di un centinaio di metri!) del Comune di Tremezzina.

Il salto temporale tra un sentiero e l’altro dell’Isola Comacina arriva a coprire quasi 800 anni

Approdando al moletto dell’isola, dopo pochi minuti di navigazione sulla «Lucia» che fa la spola tra l’isola e il pontile dell’Antiquarium, le tracce di antichi e moderni insediamenti si trovano immersi nel verde, seguendo il Sentiero dell’archeologia e quello dell’architettura.

L’itinerario archeologico conduce alla scoperta di un unicum per concentrazione di edifici religiosi che in età romanica (XI-XII secolo) sorgevano in uno spazio così piccolo, mentre quello dell’architettura porta alle tre case-atelier italo-belghe per artisti progettate da Pietro Lingeri negli anni Trenta del Novecento.

Tra un sentiero e l’altro un salto temporale di quasi ottocento anni! È l’era del letargo, che inizia con la distruzione dell’importante e fiorente insediamento medievale nel 1169 ad opera delle guarnigioni comasche al soldo di Federico Barbarossa e si conclude con i primi scavi archeologici promossi all’inizio del secolo scorso, quando prende avvio la singolare e travagliata storia dell’«enclave» belga in terra italica.

È il 1912 e la Società Archeologica Comense lancia la prima campagna di scavi, i cui clamorosi ritrovamenti altomedievali riaccendono i riflettori sull’isola abbandonata alla natura, alla pastorizia e alla coltivazione. L’eco della scoperta cattura l’attenzione di un poliedrico studioso belga nato in Italia, Ugo Monneret de Villard, che proprio nei medesimi anni era stato incaricato della prima docenza in Archeologia medievale alla facoltà di Architettura del Politecnico di Milano.

L’Isola Comacina diviene così meta privilegiata dell’appassionato Monneret, che riporta alla luce quella che definisce una delle più interessanti

basiliche lombarde romaniche. Una scoperta inattesa che inorgoglisce il proprietario, l’albergatore e sindaco di Sala Comacina, che intravede un ulteriore prestigioso potenziale turistico sul lago di Como, già meta prediletta del bel mondo internazionale.

Che siano stati una forma di riconoscenza per l’assiduo Monneret, o il prestigio che godeva la casa reale del Belgio sul Lario (re Leopoldo I aveva acquistato a metà Ottocento l’imponente Villa Giulia a Bellagio) o ancora la dichiarata ammirazione per l’eroica resistenza belga al nemico teutonico nella Grande Guerra che consumava l’Europa, fatto sta che il Caprani decise in pieno conflitto di

destinare la sua «proprietà insulare» a re Alberto I del Belgio, padre di quella Maria José, che di lì a poco sarebbe divenuta regina consorte d’Italia sposando Umberto II di Savoia.

Terminata la guerra e deceduto il proprietario nel 1919, il re del Belgio accettò la sorprendente eredità facendone a sua volta dono allo Stato Italiano, in particolare alla gestione da parte della Reale Accademia di Belle Arti di Milano, istituzione ideale cui affidare il compito di trasformare l’isoletta assurta agli onori dell’archeologia in una residenza artistica internazionale. Il programma dell’Accademia di Brera era quello di creare sull’isola qualcosa di vivo e attivo, con

la costruzione di abitazioni per artisti italiani e belgi, con l’aggiunta di locali adatti a mostre e fiere d’arte e un piccolo albergo per turisti.

Di progetto in progetto, tutti accantonati per mancanza di fondi, si giunge al 1933, alla V Triennale di Milano, quando fra le 21 proposte della Mostra per l’abitazione moderna (diretta da Gio Ponti), vince il progetto razionalista «Case sul lago per vacanze d’artista», firmato da un gruppo di architetti comaschi guidato dal più noto Giuseppe Terragni.

Ma neppure il prestigioso premio della Triennale riesce ad avviare il cantiere: occorre ridimensionare e soprattutto rinunciare al cemento armato, moderno vanto della corrente razionalista, ma troppo caro in tempo di imperativo autarchico. Il giusto compromesso lo trova allora un altro architetto lariano, Pietro Lingeri, ispirandosi a un recente progetto realizzato al risparmio da Le Corbusier per una casa di vacanza affacciata sul Golfo di Biscaglia, rigorosamente con materiali a km zero.

È la quadratura del cerchio economico: nel 1939 le tre case-atelier vengono costruite in pietra di Moltrasio, limitando al minimo gli spazi. Al piano terra la zona pranzo con la cucina aperta sul porticato e lo studio a doppia altezza; al piano superiore camera da letto, bagno e balconata. Le tre residenze per artisti vengono infine affidate nel 1940 alla Fondazione Isola Comacina, che si sarebbe occupata

di «offrire il gratuito godimento di un alloggio per un breve periodo a pittori italiani e belgi affinché essi possano dedicarsi a opere d’arte, confortarsi dal raccoglimento del luogo, dalla quiete del soggiorno, dall’incantevole bellezza della natura»

Oggi, dopo più di 80 anni, passeggiando lungo l’isolano sentiero dell’architettura, le tre case appaiono una dopo l’altra, con le alte finestre a illuminare gli atelier vuoti. Il piccolo insediamento razionalista (due case attribuite dall’Accademia belga, una dall’Accademia di Brera) è disabitato da tre anni a causa delle restrizioni imposte dal Covid.

L’ultimo anno di residenza, il 2019, è stato l’occasione per riunire in mostra una selezione di opere degli oltre centro ospiti di tutte le discipline artistiche, dalle arti visive alla danza, dalla letteratura al teatro e alla musica, che si sono succeduti sull’isola dal 2011, anno di riapertura dopo un decennio di restauri.

In attesa del ritorno degli artisti, le tre case di Lingeri si offrono nella loro assoluta tranquillità agli occhi degli appassionati di architettura: imperdibile tappa del corposo tour razionalista nel territorio comasco.

Informazioni

www.isola-comacina.it

Le precedenti puntate della serie dedicata all’«Arcipelago prealpino» sono apparse su Azione del 30.5.2022 e del 5.9.2022.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 8 maggio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 19
Qui sopra e sotto a destra, veduta dell’isola Comacina; in basso, i resti della Basilica di Sant’Eufemia e una delle tre residenze per artisti progettate da Pietro Lingeri realizzate negli Anni 30 del 900. (Fontana) Matilde Fontana

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L’APERITIVO SENZ’ALCOL

Che ne dici di un «Swiss Nogroni»? La ricetta con prodotti analcolici svizzeri è l’alternativa perfetta al classico, celeberrimo Negroni. A garantire le tipiche note di ginepro e agrumi del gin provvede G’nuine Zero. Jsotta Rosso Senza è invece la controparte analcolica del vermouth, forte dell’aroma di frutti rossi e dell’esclusiva miscela di erbe Jsotta. Il tocco finale al mocktail lo regalano gli armonici sentori amari di Jsotta Bitter Senza. Jsotta è un marchio zurighese di lunga tradizione. Negli anni Cinquanta il suo vermouth era tra i più venduti in Svizzera. Alla fine del 2016 il marchio è stato rilanciato e la gamma di prodotti è stata integrata con varianti analcoliche

RICETTA DEL «SWISS NOGRONI»

Versare in un tumbler con abbondanti cubetti di ghiaccio 3 cl ciascuno di Jsotta Bitter Senza, Jsotta Rosso Senza e G'nuine Zero, e miscelare il tutto.

Guarnire con una spirale di buccia d’arancia e gustare.

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La Terra dei Nabatei

Viaggio ◆ Per i lettori di «Azione», Hotelplan organizza dal 25 ottobre al 4 novembre 2023 un tour in Arabia Saudita

Hotelplan, in collaborazione con «Azione» vi porterà alla scoperta di questa magica destinazione che da poco si è aperta al turismo. Dal 25 ottobre al 4 novembre, siate gli esplo-

Il programma di viaggio

1. Ticino – Malpensa – Jeddah

In pullman privato fino a Malpensa e partenza per Jeddah via Doha. Trasferimento in hotel.

2. Jeddah

Visita di Jeddah: mercato del pesce, Museo di Abdoul Raouf Khalil, Corniche della città, centro storico, Nasif House e sosta alla moschea Alawi (esterno).

3. Jeddah – Mar Rosso – Jeddah

Partenza per il porto e crociera privata sul Mar Rosso. Tappa all’isola di Bayada: possibilità di nuotare e fare snorkeling.

4. Jeddah – Al Ula

In treno veloce verso Medina. Tour della città con visita alla Moschea del Profeta (esterno) e del complesso «le Sette Moschee». In bus verso Al Ula.

ratori di un itinerario che vi condurrà alle radici della civiltà nabatea, tra gli splendidi scenari dell’oasi di Al Ula, passando per panorami desertici e per le sorprendenti città di Riyadh e

5. Al Ula Escursione a Mada’in Saleh: area selvaggia e ricca di interesse archeologico. Poi nel deserto tra formazioni rocciose erose dal vento che fuoriescono dalla sabbia. Visita alle rovine di Dedan e Jabal Ikmah con le iscrizioni rupestri.

6. Al Ula

Escursione in 4x4 nel deserto di Garameel e sosta alle rovine di un antico caravanserraglio ottomano. Visita del villaggio di Al Ula. In serata si potranno ammirare le stelle da uno dei punti più bui del mondo.

7. Al Ula – Hail

Partenza per Jubbah e le sue incisioni rupestri del Medio Paleolitico. Proseguimento del viaggio e arrivo ad Hail, la città di poeti e scrittori.

8. Hail – Unaizah Visita di Hail: cittadina ai piedi delle

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Jeddah. Vi perderete nei suq e avrete modo di assaporare una cultura che sin dai tempi dell’antichità ha svolto un ruolo fondamentale nel mondo: il crocevia tra Asia, Africa ed Europa.

montagne Shammar famosa per la produzione di datteri. Visita del forte Arif, del museo e del suq. Partenza per Unaizah e visita al suq di Musawkaf.

9. Unaizah – Riyadh

Visita del mercato dei cammelli DI Buraidah. Tour panoramico e partenza verso Riyadh. Sosta alla spaccatura tettonica «Edge of the World» e al villaggio di Sodos.

10. Riyadh Giornata dedicata alla visita della Capitale con tour che include la Kingdom Tower, il Museo Nazionale, la Fortezza di Musmak e il suq.

11. Riyadh – Malpensa – Ticino Trasferimento in aeroporto, volo per Malpensa. Rientro in pullman privato inTicino.

Prezzo per persona

L’itinerario può subire variazioni, anche durante il viaggio, dovute a ragioni tecniche operative pur mantenendo le visite previste nel tour. Il viaggio viene effettuato con un minimo di 10 partecipanti. Il prezzo è soggetto ad adeguamenti per fluttuazioni dei cambi valutari o supplementi carburante e/o tasse aeroportuali.

Prezzo per persona in camera doppia standard 7730.– CHF.

Supplemento camera singola standard 1280.– CHF.

La quota comprende:

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Sarò accompagnato da ........... adulti.

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Supplemento camera singola standard; spese dossier Hotelplan e documentazione di viaggio 110.– CHF; bevande; pasti non menzionati; mance per autista e guida; spese di carattere personale; assicurazione contro le spese d’annullamento; tutto quanto non indicato alla voce «la quota comprende».

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Gioielli ricavati dalla natura

Crea con noi ◆ Collane e medaglioni con bordo a uncinetto dai fiori spontanei che la primavera ci offre generosamente

Un tutorial mamma-bambino per creare dei gioielli utilizzando i fiori spontanei che la primavera così generosamente ci offre.

La mamma potrà creare delle spille rifinendo i medaglioni fioriti con un bordo a uncinetto, mentre il bambino potrà creare la collana alternando i medaglioni alle perline che più gli piacciono.

Una bella occasione di lavoro condiviso per festeggiare la festa della mamma regalandosi tempo di qualità.

Procedimento

Aiutandovi con una pinzetta, posate sul nastro adesivo (parte adesiva ver-

so di voi) i fiori alla distanza di 6 cm l’uno dall’altro. In questa operazione fate attenzione che la parte bella del fiore sia rivolta verso l’adesivo. Dalla pagina del libro ricavate dei rettangoli di ca. 6x5cm e posateli sopra i fiori centrandoli bene. Ora sovrapponete un’altra striscia di adesivo (parte adesiva verso il basso), in modo da plastificare entrambi i lati dei vostri medaglioni. Per la collana: create allo stesso modo anche dei medaglioni senza inserire la carta. Con il tappo, oppure un compasso, segnate la misura del medaglione (utilizzate una penna che potrete cancellare con una semplice passata

Giochi e passatempi

Cruciverba

Scopri come si chiama questo mammifero africano e di cosa si nutre, risolvendo il cruciverba e leggendo nelle caselle evidenziate.

(Frase: 10 – 14, 2, 7)

ORIZZONTALI

1. Un anagramma di tiro

4. Ingiallisce la pelle

9. In seguito

10. Prua

11. Le iniziali dell’attore

Scamarcio

12. Porzione di città

13. Una consonante

14. Mostratosi all’improvviso

16. 54 romani

17. Nome maschile

18. Segno matematico

se dovessero restarne tracce) Ritagliate tutti i medaglioni e pulite gli eventuali resti di penna. Con un ago fate due fori a quelli che utilizzerete per la collana.

Per le spille: Con ago e filo ricamate tutto il perimetro del medaglione a punto festone.

1° giro: con lo stesso filato utilizzato per ricamare tutto il contorno eseguite per ogni spazio creato dal ricamo un punto basso.

2°giro: 1 punto bassissimo, 3 catenelle, 1 punto bassissimo saltando un punto sottostante. Ripetere per tutto il medaglione. In questo modo creeremo dei piccoli archetti.

3° giro: in ogni archetto lavorare 1 punto basso 3 punti alti 1 punto basso. Tagliare e fermare il filo.

Rifinire le spille sul retro incollando o cucendo un dischetto di pannolenci bianco a cui avrete applicato il fermaglio/spilla.

Per la collana: sul filo da crochet (o se preferite un filo elastico nel caso di bambini piccoli) componete la vostra collana. Alternando medaglioni con carta stampata, medaglioni trasparenti e le perline scelte. Per inserire i medaglioni dovrete fare due fori diametralmente opposti direttamente con l’ago e fare in modo che il filo resti sempre dietro. Buon divertimento!

Materiale

• fiori di piccole dimensioni già essiccati

• pagine di un libro

• nastro adesivo trasparente largo oppure pellicola adesiva trasparente

• forbici, pinzetta

• compasso oppure un tappo di bottiglia da 4 cm circa

• fermagli per spille, piccoli resti di panno bianco/beige

• filato di cotone e uncinetto n.2

• qualche perlina decorativa (I materiali li potete trovare presso la vostra filiale Migros con reparto Bricolage o Migros do-it)

Tutorial completo azione.ch/tempo-libero/passatempi Vuoi creare una pressa per i fiori? Qui ti spieghiamo come farlo www.azione.ch/tempo-libero/ dettaglio/articolo/crea-connoi-la-pressa-per-i-fiori.html

Vinci una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una carta regalo da 50 franchi con il sudoku

Soluzione della settimana precedente

CURIOSITÀ DAL MONDO – Il frutto si chiama: NOCE

Origine: AUSTRALIA

20. Ambito Territoriale Ottimale

22. Lo sono i mignoli

24. Il… trilussiano

25. Hanno lo stesso nome

27. Ai confini della Turchia

28. Liete, serene

VERTICALI

1. Il lavoro del Carducci

2. Piccolo anfibio

3. Mi seguono in comitiva

4. Si spazientisce facilmente

5. Può essere offensivo

6. Un numero

7. Due vocali

8. Un albero

10. Città e porto di Atene

12. Uno sport

13. Si ripete alzando i calici

15. C’è anche quello sintetico

16. Articolo

19. Atollo delle isole Caroline

21. Ferie senza inizio

23. Iman senza fine

24. Mezzo greco…

26. Come finisce… comincia

Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell ’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 8 maggio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 22
MACADAMIA
N O C I V E O L I M R A R I O C O N M O G A I O D A N T E S E N M A R I A A U R O R A D E L I S O L A L E N T R I N A L I S A L G A R I B O A 1926 834 75 5761 493 82 4832 756 19 8 5 7 4 6 2 9 3 1 6493 182 57 3219 578 64 2 6 4 7 3 1 5 9 8 9158 267 43 7385 941 26
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Viaggiatori d’Occidente

L’ultimo viaggio

Lo studente sta per finire l’esposizione del suo progetto di turismo urbano. Da qualche tempo se ne parla molto. Fino agli anni Settanta del secolo scorso le città erano grigi centri produttivi e industriali, da dove fuggire appena possibile verso il mare e la montagna. Poi le industrie sono state delocalizzate e proprio il turismo ha giocato un ruolo di primo piano nelle strategie di rigenerazione urbana con festival, eventi, progetti di arte contemporanea.

Da qualche tempo però la scena è affollata e dunque la competizione è particolarmente serrata. Grandi architetti internazionali sono chiamati a creare edifici sempre più sorprendenti, seguendo l’esempio ormai storico del museo Guggenheim di Bilbao (opera del canadese Frank Gehry, inaugurato nel 1997), così come della controversa piramide del

Louvre (architetto Ieoh Ming Pei, 1988): simboli della città e potenti richiami per il turista.

Un buon esempio è The Vessel, presentato appunto dal mio studente. La gigantesca costruzione creata dall’architetto inglese Thomas Heatherwick ha una forma ovale, evocativa della prua di una nave all’approdo; ad altri è sembrata invece ispirarsi a un favo, un alveare, una parete di arrampicata o un cesto. È un complesso di sedici piani in bronzo, acciaio e cemento, alto quarantasei metri, realizzato dall’intreccio di oltre centocinquanta scale e ottanta terrazze panoramiche, creato al solo scopo di offrire un punto di vista diverso sulla città (è stato definito dal «New York Times» «una scalinata verso il nulla»). Sorge in una vasta piazza alberata a Hudson Yards, quartiere di tendenza di Manhattan,

Passeggiate svizzere

alla fine della celebre High Line, una ferrovia abbandonata sopraelevata trasformata in un giardino pensile.

«Dunque tutto bene?», chiedo allo studente alla fine della presentazione. «Mi sembra un edificio riuscito».

«Senza dubbio è andato tutto benissimo» risponde; ma poi aggiunge: «quanto meno sino ai suicidi».

Suicidi? La mia attenzione si risveglia all’improvviso, insieme ai ricordi. Infatti dopo l’inaugurazione, nel marzo 2019, ben tre persone scelsero questa struttura per farla finita.

Il primo nel febbraio 2020 fu un ragazzo di diciannove anni; alla fine di quell’anno il suo esempio fu seguito da una giovane, poco più grande; meno di un mese dopo un turista californiano, anch’egli sui vent’anni.

A quel punto The Vessel fu chiuso al pubblico per alcuni mesi, per formare il personale e insegnar loro a ri-

La tomba di Coco Chanel a Losanna

Il viale alberato di tigli, a doppia fila, in leggera salita, supera ogni aspettativa a proposito del cimitero di Bois-de-Vaux. Opera della vita di Alphonse Laverrière (1872-1954), architetto sepolto qui con la moglie Adèle, nella cui prima parte, realizzata tra il 1922 e il 1934, passeggio adesso lungo il magnifico preludio prospettico di non so quanti tigli potati un po’ a piramide. Le due strisce d’erba dove sono state piantate, precise, le coppie di Tilia cordata con le foglioline verde chiaro spuntate da poco, mostrano la loro spontaneità: erba libera aggraziata da margheritine, muscari, soffioni.

A monte di questa naturalezza c’è Paolo Fornara, il capo giardiniere ticinese che da un decennio ha tolto i diserbanti da questo cimitero considerato, dai conoscitori, uno dei più bei parchi di Losanna. Alla fine del viale alberato di settantaquattro tigli (non ho resistito a contarli: dician-

nove file di quattro meno due che mancano) sorprende il gracidare forte e allegro delle rane. Altro segno confortante della selvaticità ritrovata di questo cimitero-parco ispirato al microbiologo del suolo Masanobu Fukuoka, ideatore dell’agricoltura del non fare. Il contrasto, con gli schemi geometrici – tipici del giardino alla francese – secondo i quali sono disposti gli alberi, accentua la bellezza sia del rigore sia dello spontaneo. Le rane nuotano nella grande vasca centrale con rocailles sommerse e pesci-fontanelle. Il settore nove, dove devo andare, è proprio qui a destra. Un’altra vasca, elegantissima e stretta, termina ai piedi di una stele-croce con simbologia varia tipo candelabri a sette braccia e pesci infilzati da ancore. Tutto è disegnato da Laverrière, autore anche del suo stesso monumento funebre e di quello in granito verzaschese per

Sport in Azione

conoscere comportamenti pericolosi; furono vietate anche le visite individuali. Nonostante tutti questi sforzi due mesi dopo la riapertura un adolescente di quattordici anni, in visita con la famiglia, si è gettato nel vuoto. Da allora The Vessel è chiuso a tempo indeterminato. Si può accedere solo al piano terra, un discreto controsenso per un edificio verticale. Nel frattempo si pensa a reti o barriere di vetro, ma servirebbero davvero a scoraggiare? Gli esperti lo credono, soprattutto nel caso di suicidi d’impulso, mentre quelli premeditati ovviamente sono inevitabili. Ma come mettere in sicurezza The Vessel conservando la sua natura di gigantesco balcone affacciato su Manhattan? E i tentativi non si sposterebbero semplicemente altrove?

A New York del resto i suicidi riu-

il rinnovatore dei giochi olimpici (de Coubertin). Lo specchio d’acqua-stele, con l’aspetto da stagno, brulica di girini.

Con il numero centoventinove in mente vago tra le tombe attraverso traiettorie labirintiche, movimenti ortogonali da Pac-Man riemersi dall’incoscio.

Poi d’un tratto, dietro l’angolo, un letto di fiori bianco: ecco così, una tarda mattina a fine aprile, la tomba di Coco Chanel (387 m). Famosissima stilista rivoluzionaria meno nota come Gabrielle, il suo vero nome, scolpito lì nel marmo bianco della lapide. Gabrielle Chanel (18831971), una sottile croce in mezzo, cinque teste di leone in cima. Nata a Saumur sotto il segno del leone, abbandonata a dodici anni dal padre nell’orfanotrofio dell’abbazia di Aubazine, gloria a Parigi, esilio a Losanna in fuga dalle accuse di collaborazionismo, ritorno a Parigi

Mi raccomando, mai perdere la bussola

Ovvero «splendori e gloria della corsa d’orientamento». Il numero dei suoi praticanti cresce di anno in anno. Così come il numero dei Paesi che la contemplano. Rimane per ora una disciplina sportiva di nicchia. Ed è la ragione principale per la quale non è inserita nel programma dei Giochi Olimpici. Qualora il fenomeno dovesse continuare a lievitare, temo comunque che nessuna cifra gli consentirebbe di fare il grande salto nell’universo a cinque cerchi. Questione di spettacolarità e di riprese televisive.

Per correre da A a B, ogni orientista è libero di passare da C,D, oppure da E. Sarebbe impossibile seguire tutti i concorrenti con una telecamera, nel dedalo di piante, arbusti, sentieri e pendii. E questo nonostante negli ultimi anni la tecnologia abbia compiuto miracoli.

In occasione dei Campionati Euro-

pei organizzati in Ticino nel 2018, molti telespettatori hanno potuto quanto meno seguire le scelte di ogni singola squadra attraverso la rappresentazione grafica contemporanea dei tracciati trasmessi dai sensori applicati alle caviglie dei partecipanti. È un importante passo avanti verso una migliore fruizione passiva dell’evento.

Ma vuoi mettere con i primi piani del ciclismo che ti mostrano persino la goccia di sudore che scivola sulle guance del corridore in crisi, o la smorfia di sofferenza del suo rivale che attacca in salita? O con il Superslow Motion che senza pietà ti porta in casa il momento in cui i tacchetti della scarpa di Sergio Ramos lasciano il segno sulla coscia di Leo Messi?

Si potrebbe ovviare organizzando, per le Olimpiadi, delle gare sprint che si disputano all’interno dei centri urbani, dove è possibile sistema-

re un numero adeguato di telecamere fisse. Ad opporsi sono però gli orientisti stessi. Quelli duri e puri. Quelli che si sono avvicinati a questa attività poiché li pone costantemente in stretta relazione con la natura. Credo che in questa simbiosi tra benessere fisico e limpidezza intellettuale si celi il fascino profondo della corsa d’orientamento.

È uno sport per tutti. Lo si può praticare correndo come gazzelle, ma anche camminando più lentamente di un bradipo. Si può andare alle corse con mamma, papà, e pure con i nonni. Le manifestazioni propongono gare per tutte le categorie e per tutte le classi di età. Si stanno producendo sforzi importanti per promuoverla nelle scuole. Lo si faceva anche molti decenni fa, ma era una questione per pochi. Un paio di settimane fa, la Federazione Svizzera di Orientamento ha ripro-

sciti sono centinaia ogni anno, molti più della media nazionale. Per restare a Manhattan, solo negli ultimi mesi un uomo d’affari e una famosa modella si sono gettati dal Bar 54 dell’Hyatt Centric di Times Square, ora soprannominato il «rooftop dei suicidi».

E prima che fossero installate delle protezioni, i tentativi erano frequenti anche dall’Empire State Building. All’altro estremo degli Stati Uniti l’iconico Golden Gate Bridge, a San Francisco, registra regolarmente suicidi. E lo stesso avviene in quasi tutti i più conosciuti luoghi turistici del mondo; anche la Tour Eiffel ha dovuto montare delle reti. Strano paradosso: proprio mentre abbandoniamo il mondo e cancelliamo la nostra vita, scegliamo luoghi famosi, dove si perpetua la memoria di grandi eventi.

dove muore in una camera al quinto piano del Ritz. Ma soprattutto, la donna audace e anticonformista che ha scelto di essere sepolta qui, sotto una marea di margherite pompon, è l’inventrice di uno stile liberatorio, mascolino e al contempo superfemminile. Utilizzo dell’umile jersey, tweed per i tailleurs, tubino nero storico, ballerine bicolori beige-nere con il nero della punta che accorcia il piede e il beige che allunga la gamba, borsetta matelassé ispirata dai giubbotti dei garzoni equestri, un profumo epocale chiamato soltanto con un numero. Lo stesso dei leoni scolpiti, la cui criniera ricorda quella ridicola dei giudici inglesi. Sembrano quasi dei barboncini e di profilo, di colpo, con i denti digrignanti, mi fanno venire in mente dei teschi. Seduto sulla panca di marmo posta a fianco delle margherite pompon che da vicino svelano altri fiori, in mi-

noranza, vicino alla lapide: viole del pensiero bianche, rimaste lì da una fioritura precedente, più precoce. Da qualche parte avevo letto di cotoneaster horizontalis sulla tomba, forse però non garantivano una fioritura bianca tutto l’anno come da disposizione funeraria. Quattro Celtis australis attorno a una vasca rotonda centrale, in questo angolo zen del bellissimo cimitero, vigilano con rami scultorei ancora spogli. Trovo il capogiardiniere Paolo a cui stringo la mano e mi conferma l’unicità e rarità di un viale di tigli così. Qui da trentaquattro anni, mi rivela che i girini sono quelli dei rospi, le rane sono rieuses, e ci sono anche i tritoni. «Nella vasca della sezione 4, ai bordi». E così ritorno sui miei passi, e vedo saltar dentro i tritoni. «La vera eleganza non può prescindere dal libero movimento»: chi ha detto questo non poteva scegliere cimitero migliore.

posto a Mendrisio la School Cup per 1800 ragazzini provenienti da tutto il Cantone. La maggior parte di loro erano debuttanti lanciati verso la scoperta di un mondo che può affascinare. Essere all’aria aperta, correre, nel contempo consultare una mappa, affidarsi a un compagno di squadra tecnicamente più abile, lasciarsi incantare da un uccello, da una farfalla o da un fiore, sentire l’afflato del gruppo proteso verso una conquista, quasi come se si trattasse di una caccia al tesoro, concludere la prova con il sorriso sulle labbra e con la luce negli occhi a prescindere dal risultato. Non è facile trovare altre situazioni competitive in grado di donare tutto ciò.

Se penso alle potenzialità didattiche della corsa d’orientamento, immagino percorsi meravigliosi sui quali avventurarsi nell’ottica della multidisciplinarietà. Vedo l’insegnante

di educazione fisica che si occupa della preparazione atletica, basata su riscaldamento, stretching, mobilità, resistenza allo sforzo aerobico, al cambio di ritmo e al recupero post sforzo.

I docenti di scienze naturali e di geografia potrebbero celebrare un matrimonio di intenti. Lettura della cartina, ricognizioni sul terreno, nozioni primordiali di geologia, alberi, fiori, arbusti, insetti, animali vari che popolano il bosco, etica della relazione uomo-natura. Ci sarebbe spazio anche per la storia e l’etnologia. Vuoi che prima o poi un orientista non riesca a imbattersi in una Torre di Redde, una Nevera, una Chiesa Rossa, un Fortino della fame o una Gra? Che meraviglia! Già, quasi una favola. Quindi occhio! Nel bosco potreste incontrare gnomi, elfi, Cappuccetto Rosso, e magari anche il lupo.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 8 maggio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 23 ◆ ●
di Giancarlo Dionisio
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ATTUALITÀ

Quei bambini «senza» madri

Il dramma delle braccianti romene e bulgare che lavorano all’estero e dei loro figli che restano a casa

La presidente Moldava Maia Sandu guida un Paese in balia di povertà e corruzione guardando all’Occidente

Alleanza più stretta

Stati Uniti e Corea del Sud sono sempre più vicini e puntano alla deterrenza nucleare

Una rosa contro il nazismo È morta l’ultima superstite della Weisse Rose, gruppo di resistenza tedesco basato sui valori cristiani

Svizzera ai vertici del «Governo del mondo»

Prospettive ◆ Berna ha assunto la presidenza di turno del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Ecco le sfide che l’attendono

A volte val la pena di dare un’occhiata alla storia minuta, quella che a prima vista può sembrare marginale. È un po’ come andare a rovistare nei bauli di famiglia, in solaio, tra la polvere. Non si sa mai cosa ci si ritrova tra le mani. Ed è quello che può capitare se si va a guardare la storia con la «s» minuscola delle relazioni tra il nostro Paese e le Nazioni Unite, ora che la Svizzera ha assunto la presidenza di turno del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Se torniamo al 3 marzo del 2002 (ri)scopriamo che c’è una relazione molto stretta tra quel ruolo di grande prestigio diplomatico e il Canton Vallese. Quel giorno si votò sull’adesione all’ONU e fu soltanto grazie a 2600 cittadini vallesani se a vincere fu il fronte del «sì», con la Svizzera che diventò il 190esimo Stato membro dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. In altri termini quelle cittadine e quei cittadini vallesani furono davvero decisivi.

La Svizzera aderì alle Nazioni Unite nel 2002 solamente grazie a 2600 cittadini vallesani che optarono per il «sì»

A livello popolare l’adesione all’ONU fu sostenuta dal 54% dei voti. Ma, visto che si trattava di un’iniziativa, ci voleva la doppia maggioranza. E per raggiungerla, quella domenica di marzo, si vissero ore da brividi, con alla fin dei conti 12 Cantoni a favore dell’adesione e 11 contrari. In Vallese ci fu il risultato più risicato, con quei 2600 voti di scarto che decisero la contesa anche a livello nazionale. Per completare il quadro val la pena ricordare il parere negativo del Canton Ticino, con quasi il 59% di voti contrari, e quello della maggior parte dei Cantoni della Svizzera centrale e orientale. Ma su questo tema si votò anche nel 1986, sul finire della guerra fredda. E il risultato fu netto: ben tre cittadini su quattro non vollero dare il loro via libera all’adesione nell’ONU del nostro Paese. Per le istituzioni fu un vero schiaffo e, per la politica svizzera, fu l’inizio dell’ascesa di un certo Christoph Blocher. Ci vollero poi, nel 1992, le adesioni a due organizzazioni sovranazionali – il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale – per preparare il terreno e per portare al risultato del 2002. E per vedere, a vent’anni di distanza, la Svizzera far parte dei membri non permanenti del Consiglio di sicurezza (gennaio 2023) delle Nazioni Unite e dirigerne, questo mese di maggio, i lavori.

Si tratta di un ruolo amministrativo e protocollare ma di grande rilievo perché nel concreto il nostro Paese ha

il compito di gestire nel miglior modo possibile le riunioni di quello che forse con troppa enfasi viene anche chiamato il «Governo del mondo». Non per nulla l’ambasciatrice elvetica presso la sede di New York dell’ONU, Pascale Baeriswyl, ha dichiarato che «per la Svizzera questo è un momento storico» mentre il capo della nostra diplomazia, Ignazio Cassis, ha già voluto fare un primo bilancio di quanto fatto da gennaio ad oggi affermando che il lavoro svolto dal nostro Paese «è molto apprezzato dai vertici delle Nazioni Unite». Insomma, una buona pagella, per il momento, quella che ci arriva dal Palazzo di vetro. Per una semplice questione di ordine alfabetico il nostro Paese eredita il ruolo di presidente del Consiglio di sicurezza dalla Russia, che lo ha svolto nel corso del mese di aprile. Oggi dire Russia significa dire anche e soprattutto invasione dell’Ucraina e, a livello di Nazioni Unite, constatare che Mosca da più di un anno calpesta nel sangue i principi alla base del diritto internazionale, che la stessa ONU è chiamata a difendere e a promuovere.

La Svizzera si trova quindi a gestire una situazione davvero tesa e com-

plessa, per di più in contesto di crisi multiple a livello planetario. E lo fa con una priorità: ridare credibilità a questa istituzione nata ormai quasi 80 anni fa, come ha affermato Ignazio Cassis la settimana scorsa a New York aprendo i lavori del Consiglio di sicurezza. Il nostro Paese dovrà però contemporaneamente fare i compiti anche in casa propria, visto che è chiamato a ridefinire il proprio ruolo nel mondo, in un contesto in cui la guerra in Ucraina ha rimescolato le carte della geo-politica internazionale.

Da sciogliere ci sono due nodi aggrovigliati: quello della neutralità e quello delle nostre relazioni con l’Unione europea

E qui da sciogliere ci sono due nodi decisamente aggrovigliati: quello della neutralità e quello delle nostre relazioni con l’Unione europea. Sul tema della neutralità, e in relazione alla guerra in Ucraina, il nostro Paese non riesce più a farsi capire dai suoi vicini, in particolare per quanto riguarda da una parte il suo rifiuto alla riesporta-

zione di materiale bellico e dall’altra la ricerca dei patrimoni di oligarchi russi vicini a Putin, considerata dagli altri Paesi occidentali troppo blanda. Nell’autunno scorso il ministro degli esteri Ignazio Cassis aveva presentato una riforma del concetto di neutralità, definita «cooperativa». Ma il Consiglio federale aveva rispedito tutto al mittente. Sta di fatto che ora ci sarebbe davvero bisogno di capire cosa la Svizzera voglia fare di questo caposaldo della sua presenza nel mondo. In ambito europeo, invece, dopo una decina di anni di trattative infruttuose, il dossier ha subito un’improvvisa accelerazione. Entro l’estate lo stesso Cassis deve presentare ai suoi colleghi di Governo un mandato negoziale, per riaprire il confronto con Bruxelles per quelli che potrebbero essere chiamati i «Bilaterali tre». Ma le incognite sono ancora parecchie, come pure gli ostacoli da superare, sia con la controparte europea, sia all’interno del nostro Paese. I successi parziali che la Svizzera sta ottenendo in ambito ONU – come per esempio il rinnovo della risoluzione sull’aiuto umanitario alla Siria, colpita dal terremoto – fanno

di certo del bene anche all’immagine del nostro Paese a livello internazionale, ma non devono portare ad un rallentamento nella ricerca di soluzioni nei due grandi ambiti citati: neutralità e UE.

Il passato ci insegna che il nostro Paese è piuttosto incline a tergiversare quando si tratta di affrontare queste due sfide, come ci dice lo storico Jakob Tanner nel suo volume Storia della Svizzera nel 20esimo secolo: «La Svizzera in questo secolo si è data da fare nell’arte del procrastinare (…) l’arrivare in ritardo viene visto come una virtù, in particolare per quanto riguarda le nostre relazioni con l’Unione europea». Si tergiversa anche perché il nostro Paese se lo può permettere, economicamente il quadro è tutto sommato positivo, nonostante le incognite legate al tracollo di Credit Suisse. Ma le sfide da affrontare rimangono tali. Con qualche mal di pancia la Svizzera è diventata membro dell’ONU, e ora ne è ai vertici. Però è stato tra gli ultimi Paesi a farlo a livello mondiale, in nome del Sonderfall elvetico. Ma giocare con il tempo a volte vuol dire anche correre il rischio di giocare con il fuoco.

● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 8 maggio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 25
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Keystone
Roberto Porta

SPORCO. PULITO. BASTA.

Fr. 1.50

«Sono partita quando Alina aveva solo sei mesi»

Reportage ◆ L’angoscia delle braccianti romene e bulgare che lavorano in Italia, Germania e Spagna lasciando i figli a casa

Una maestra nel Paese di origine: «Ne ho conosciuti tanti. La mattina mi chiedevano di abbracciarli perché si sentivano soli»

Sono trascorsi tre anni da quando Petra è partita per l’ultima volta. Lo strappo della lontananza le fa ancora tremare la voce. «Uno dei miei figli doveva essere operato a un’ernia inguinale grave. Ho chiesto un prestito di 600 euro per pagare le medicine e il trasporto dal paese dove viviamo a Iași, la città dell’ospedale. L’anestesista voleva altri 70 euro in nero, ma gli ho risposto che non sapevo dove trovarli». Per Petra non c’era altro modo di saldare il debito se non lasciare Zmeu, nella Moldavia rumena, dove abitava con i suoi nove figli, e diventare una bracciante in Italia. «Alina, la mia bambina più piccola, aveva soltanto 6 mesi. L’ho affidata ai fratelli più grandi. Ogni tanto una zia che vive qui vicino veniva a controllarli».

Petra socchiude gli occhi, smette di parlare e inizia a piangere. Ha 47 anni ed è stata anche una muratrice in Romania, ma i soldi che guadagnava erano troppo pochi, 40 euro per ogni vano costruito. Un lavoro che richiedeva fino a una settimana di fatica.

«Sono arrivata con mio marito in un’azienda dove raccoglievo frutta e verdura per 10 ore al giorno, con una paga di 6 euro all’ora, mentre avrei dovuto guadagnarne 9. I miei “padroni” sapevano che avevo lasciato i miei figli da soli in Romania, ma non gli importava. A loro interessava che io fossi efficiente, nient’altro». Ogni due sere Petra chiamava a casa per avere notizie della sua bambina e degli altri figli. «Non avevo uno smartphone, non potevo permettermelo, sentivo la loro voce senza vederli». Così per tre anni, ogni estate.

Disturbi psichici e ricoveri

La vicenda di Petra non è un’eccezione. Le donne di origine comunitaria che lavorano nei campi e nelle serre italiane, come in quelle spagnole e tedesche, dove si coltivano la frutta e la verdura vendute in tutta Europa, vengono perlopiù da Romania e Bulgaria. In diversi casi devono separarsi dai figli e dalle figlie, che restano per mesi nei Paesi di origine con i parenti. La distanza è vissuta con dolore dalle madri. Può succedere che la sofferenza diventi così forte da costringerle a ritornare a casa prima del previsto, abbandonando il progetto migratorio.

Come racconta Petronela Nechita, primaria dell’ospedale psichiatrico di Iași, una parte delle pazienti che ha seguito nel corso degli anni erano braccianti agricole emigrate. Percorrendo i corridoi giallo pallido dell’istituto romeno si scorgono le stan-

ze con due o tre letti dove dormono le degenti ricoverate. Qualche infermiera passa indaffarata con le medicine. Nel giardino, sulle panchine all’ombra degli abeti, siedono gruppetti di donne in vestaglia e pantofole. Il silenzio è interrotto da mormorii e lamenti. «Le operaie agricole con disturbi psicologici e psichiatrici vengono principalmente in ambulatorio. Soltanto nei casi più gravi devono essere assistite in ospedale». La cosiddetta «sindrome Italia», ossia la condizione di disagio dovuta all’aver delegato la maternità ad altri, è stata coniata per le badanti ma riguarda anche le braccianti. «In generale soffrono di insonnia e stress da isolamento. A causa dello scarso livello di istruzione partono prima ancora di apprendere la lingua e una volta sul posto faticano a creare dei legami. L’agricoltura è meno traumatica del badantaggio perché fanno avanti e indietro: vanno via per un po’ di mesi e poi riescono a rientrare a casa». Il compito di Petronela non è semplice: «Non esiste alcun tipo di protocollo: non possiamo ostacolare il loro viaggio, sono persone libere».

La scelta è obbligata dalla penuria

di impieghi e dagli stipendi romeni troppo bassi, spiega Iurciuc Ilie, preside del plesso scolastico di Zmeu, con 430 alunni fra i 3 e i 14 anni. Il 30 per cento delle madri degli alunni lavora all’estero. Le rimesse delle emigrate hanno cambiato il paesino, nel corso del tempo: sono sorte nuove case costruite secondo i canoni occidentali e altre sono state ristrutturate. «Il distacco prolungato ha un impatto negativo sull’andamento scolastico. In media gli studenti affidati alle nonne hanno voti più bassi e rischiano l’abbandono scolastico. Sono più ribelli, tendono a non rispettare le regole e si intristiscono davanti alle madri degli altri».

La consolazione: alcol e droga

La situazione è simile in Bulgaria. Rosita Alexandrova è una maestra di 64 anni. Insegna a Gabrovnitsa, una scuola nella provincia di Montana. Si commuove pensando ai bambini che conosce. «Nel corso degli anni ho avuto molti alunni con le mamme lontane. La mattina, appena arrivati, mi chiedevano di abbracciarli perché si

sentivano soli. Certe volte erano particolarmente tristi e mi domandavano di aiutarli a scrivere lettere e biglietti da spedire in Italia». In generale, la mancanza della mamma è difficile da sopportare. A volte, gli «orfani bianchi», quando arriva l’età dell’adolescenza, cercano consolazione nell’alcol o in altre sostanze psicotrope.

I salari sono una miseria

Teodora Dimotrova, un’altra insegnante nella scuola di Gabrovnitsa, riferisce che la maggior parte dei suoi studenti ha piena consapevolezza della situazione. «Sanno che le madri sono partite per guadagnare di più e per offrire loro un futuro migliore. Con i risparmi riescono a mandarli alle superiori e all’università, una possibilità che sarebbe preclusa se fossero rimaste qui». Secondo la sindacalista Maria Lazarova, abbandonare la Bulgaria è una scelta quasi obbligata: le fabbriche hanno chiuso dopo la fine del blocco sovietico, le opportunità di impiego rimaste sono poche e gli stipendi troppo bassi. Il sindacato ha un programma per informare chi vuole

Petra, 47 anni, è partita quando sua figlia Alina aveva solo 6 mesi. Sotto, da sinistra: Alina tiene in braccio il nipotino Ion; Iva è finita nei campi italiani, dove è stata sottopagata e maltrattata.

emigrare e consiglia di affidarsi alle agenzie locali evitando gli intermediari illegali e i caporali. «Siamo in un Paese a forte vocazione agricola ma i salari sono miseri e i bulgari preferiscono cercare fortuna all’estero. Perfino chi si laurea in agraria difficilmente decide di restare», spiega Bozhura Fidanska, ricercatrice dell’Istituto di Economia agricola di Sofia.

Iva ha 53 anni e parla italiano. Quando le sue due figlie erano quasi adolescenti ha deciso di partire col marito: «Avevamo bisogno di soldi per comprare i libri e per le altre spese. Ho affidato le ragazze a mia suocera». Iva all’inizio è finita nei campi italiani, dove è stata sottopagata e maltrattata. Considerando le stime sulla forza lavoro irregolare in agricoltura, sarebbero tra 51 e 57mila le lavoratrici sfruttate in Italia, quasi invisibili alle istituzioni, ai sindacati e alle organizzazioni della società civile. Appena ne ha avuto la possibilità, Iva ha abbandonato la campagna, diventando una badante.

Una diagnosi tardiva

«I primi anni – dice – è andata bene, poi mi sono ammalata. Ho avuto un cancro ma l’ho scoperto solamente una volta tornata in Bulgaria perché in Italia il medico non mi ha presa sul serio. Avevo male al braccio e un forte prurito alla mammella. Non passavano nonostante avessi cambiato reggiseno e facessi gli impacchi con la crema. Il dottore diceva che era colpa degli sforzi sul lavoro e non mi ha mai prescritto un’ecografia. Non mi ha trattata come un essere umano. Ero straniera, una donna dell’Est». La diagnosi tardiva ha condizionato per sempre Iva: le metastasi la costringono a terapie e ricoveri frequenti. Per riuscire a mantenersi, deve continuare ad occuparsi delle pulizie di un ufficio pubblico di Montana.

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Maia Sandu guarda all’Occidente

Potentissime ◆ Ritratto della presidente della Moldavia, Paese in balia della povertà, della corruzione e dell’inefficienza economica

Fino al febbraio scorso la Moldavia –Stato racchiuso tra Romania e Ucraina – di potentissime ne aveva due: la presidente Maia Sandu (nella foto), europeista decisa a liberare il suo piccolo, poverissimo Paese dalla cleptocrazia à la russe, e la premier Natalia Gavrilița, altra politica con curriculum impressionante la cui testa è caduta in un momento in cui le tensioni a Chisinau erano così forti che per qualche giorno il Paese è sembrato pronto a fare la fine dell’Ucraina. Lei forse si candiderà a sindaca della capitale, il suo rapporto con la presidente resta saldo, ma al suo posto è arrivato l’ex consigliere presidenziale per la sicurezza, Dorin Recean. Un rimpasto che ha permesso a Sandu di evitare l’azzardo delle elezioni e di continuare la sua difficile navigazione verso un futuro migliore per il suo Paese.

La donna forte di Chisinau è nata nel 1972 in una zona vicina alla Romania. Le foto del suo villaggio, Risipeni, raccontano di galline, anziane con il fazzoletto a fiori in testa e colline verdi in cui non si vedono quasi costruzioni. Studentessa brillante, si laurea in economia e poi fa un master in Pubblica amministrazione. A quel punto l’URSS è crollata e, dall’estero, l’attenzione alla creazione di una nuova classe dirigente è alta. Sandu lavora alla Banca Mondiale, al Ministero delle finanze e nel 2010 fa il grande salto: Kennedy School a Harvard. Poi

un paio d’anni di lavoro a Washington prima di fondare il suo movimento, «In cammino con Maia Sandu», poi diventato un partito politico, «Azione e solidarietà», nel 2016, tra mille difficoltà, accuse di essere una creatura di George Soros e prese in giro perché non ha una famiglia.

Ai tempi la Moldavia era sotto il controllo effettivo di un oligarca, Vladimir Plahotniuc, così tossico e corrotto, nonostante le professioni di fede europeista, che il Consiglio d’Europa aveva definito il Paese uno «Stato prigioniero». Fette importanti dell’esiguo PIL nazionale svanivano nel nulla, lasciando la povera Moldavia ancora più povera. Nel 2014 ben un miliardo di euro si era volatilizzato nelle casse di tre banche che avevano poi avuto bisogno di un salvataggio a carico dei contribuenti per evitare il collasso del Paese. I cittadini erano insorti. Alle elezioni del 2016 Sandu aveva perso e il suo oppositore, il socialista filorusso Igor Dodon, aveva commentato tronfio: «Come può una che non ha saputo essere madre diventare una buona guida per il Paese?». Ma proprio con Dodon le è toccato fare un’alleanza nel 2019 per cercare di mandare via l’oligarca Plahotniuc, anche se il periodo di Sandu da prima ministra nel 2019 si era concluso davanti all’evidente successo della campagna anti-corruzione di Dodon. Alle elezioni del 2020 la musica è cambiata e Maia Sandu

ha riportato una brillante vittoria, con un risultato addirittura straordinario tra i membri dell’imponente diaspora del Paese, che nel 1989 aveva 4,3 milioni di abitanti e ora ufficialmente 3,5 (ma quasi un milione di meno nella realtà). Una migrazione che pare un’emorragia, fatta di tante donne che sono andate a lavorare all’estero come badanti o braccianti (leggi reportage a pagina 27 sulle donne bulgare e romene). Per loro la povertà, la corruzione, l’inefficienza economica di un Paese che costringe ad andare via sono delle piaghe, tanto che il 93% ha votato per Sandu. Ma se, prima dell’inizio della guerra, alla gente della scelta tra Mosca e Bruxelles importava poco e in molti si irritavano davanti all’eter-

na lettura del Paese come pedina geopolitica, dopo l’invasione dell’Ucraina la situazione è cambiata, un po’ perché arrivata dopo una crisi del Covid contro cui il Governo non ha potuto nulla, ma soprattutto perché la vulnerabilità energetica del Paese ha portato i prezzi a salire del 400% in pochi mesi. Gazprom ha ridotto le forniture per fare pressione sul suo vicino, che ora riceve gas e elettricità dalla Romania, e mettere in difficoltà Sandu, cercando di rafforzare il suo rivale Ilan Șor, oligarca filorusso il cui partito è stato messo fuori legge e continua a portare avanti azioni di disturbo sulla politica nazionale da Israele, dove vive, tramite la sua vice Marina Tauber. Un perfetto strumento da guerra ibrida, tanto

più con due regioni instabili e filorusse come la Gagauzia, occhi a Mosca e cuore a Ankara, e la Transnistria, regione separatista in cui si parla solo il russo, si rifiuta l’utilizzo della valuta moldava (Lei), ci sono 1500 militari russi e il più grande deposito di armi e munizioni illegali d’Europa, con 20mila tonnellate di materiale d’epoca sovietica stipate a Cobasna. Da un punto di vista amministrativo la regione è parte della Moldavia e, seppur molto fragile, è una situazione antica che può contare sul fatto che il Governo di Chisinau riconosce la situazione di Tiraspol (capoluogo della Transnistria) e rispetta l’impegno preso a cercare una soluzione.

Vladimir Putin, il 21 febbraio scorso, ha invece deciso di venire meno ai patti, facendo temere il peggio, mentre circolavano voci di invasioni incrociate, di carrarmati ucraini in Transnistria o di carrarmati russi a Chisinau, magari per farne il nuovo Donbass e spostare lì l’attenzione militare di Kiev. Intanto, con la guerra, la Moldavia è diventata il posto più accogliente d’Europa, con oltre 760mila ucraini in transito e più di 100mila rifugiati, ma il suo esercito è inadeguato e la neutralità, iscritta nella Costituzione del 1994, impossibile da mantenere, tanto che Maia Sandu, da quel relitto sovietico che è il suo palazzo presidenziale, ha chiesto l’adesione all’UE subito dopo l’invasione dell’Ucraina.

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Sempre più vicini e armati

Diplomazia ◆ Stati Uniti e Corea del Sud ribadiscono un’alleanza che punta sulla deterrenza nucleare mentre la minaccia nordcoreana avanza

Del viaggio del presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol a Washington, sui giornali, si è parlato soprattutto per via di un episodio avvenuto durante la cena di Stato che il presidente USA Joe Biden ha offerto in onore dell’alleato asiatico. Durante i saluti, Yoon ha intonato la celebre canzone di Don McLean del 1971 American Pie, nell’ilarità generale. Ma quel brano, e quella situazione all’apparenza allegra e spensierata, nascondeva anche un messaggio politico: America e Corea del Sud non sono mai state così vicine, i loro rapporti bilaterali non sono mai stati così amichevoli.

Yoon Suk-yeol ha aperto alla possibilità di consegnare direttamente a Kiev armi offensive

Due settimane fa Yoon Suk-yeol ha fatto il suo primo viaggio ufficiale a Washington dalla sua elezione, avvenuta nel maggio del 2022. La guerra in Ucraina era già iniziata, ma in pochi mesi Yoon, conservatore populista, il primo a diventare presidente in Corea del Sud senza avere alle spalle una carriera politica – prima di candidarsi faceva il magistrato – ha cambiato gran parte della direzione della politica estera sudcoreana, che con lui è diventata un pezzo fondamenta-

le dell’alleanza occidentale contro le autocrazie, soprattutto contro Russia e Cina. Tutto il contrario del suo predecessore, il democratico Moon Jae-in, che per 5 anni aveva lavorato all’apertura con la Corea del Nord e alle alleanze occidentali.

«La guerra contro l’Ucraina è una violazione del diritto internazionale. È un tentativo di cambiare unilateralmente lo status quo con la forza», ha detto Yoon durante un discorso di un’ora al Congresso degli Stati Uniti. «L’esperienza della Corea ci mostra quanto sia importante per le democrazie sostenere la solidarietà. La Corea sarà solidale con il mondo libero». Fino a oggi Seul ha sostenuto la difesa dell’Ucraina dando finanziamenti, ma anche con uno stratagemma: vendendo armamenti alla Polonia che poi donava all’Ucraina le armi appena sostituite. Alla vigilia del viaggio di Stato in America, però, Yoon ha aperto alla possibilità di consegnare direttamente a Kiev armi offensive, e a quel punto il gioco delle alleanze e il ruolo della guerra in Ucraina che coinvolge direttamente anche la regione dell’Indo-Pacifico è stato chiaro. Il Cremlino, infatti, a questa ipotesi ha replicato minacciano di armare la Corea del Nord.

Per la Corea del Sud, la minaccia nordcoreana e l’incredibile avanza-

mento degli armamenti, anche nucleari, del regime della Corea del Nord sono diventati da tempo una minaccia concreta e visibile. A metà aprile Pyongyang aveva già effettuato almeno 11 lanci missilistici, compreso il test di un nuovo missile balistico intercontinentale a combustibile solido. Al di là dell’immagine di un’alleanza che sopravvive nel tempo e definisce il perimetro del multilateralismo globale, durante il viaggio di Yoon alla Casa Bianca la parola chiave è stata solo una: nucleare. La nuova alleanza strategica e di difesa svelata alla fine dei bilaterali tra i due presidenti riguarda infatti le armi atomiche: «Un attacco nucleare da parte della Corea del Nord contro gli USA o i suoi alleati e partner è inaccettabile e comporterà la fine del regime che dovesse intraprendere tale azione», ha detto Biden, con un chiaro riferimento anche alle minacce russe. Il piano di deterrenza nucleare prevede che per la prima volta da decenni i sottomarini americani dotati di armi atomiche attraccheranno in Corea del Sud, e saranno aumentate le esercitazioni militari e l’addestramento congiunti, per dare il via a una risposta «rapida, schiacciante e decisa» in caso di attacco nucleare da parte della Corea del Nord.

La cosiddetta «Dichiarazione di Washington» funziona per aumen-

tare la deterrenza contro il regime di Pyongyang, ma è servita strategicamente anche per placare un dibattito che va avanti da diversi mesi in Corea del Sud: se prima era un tabù, oggi sempre più politici sudcoreani auspicano che il Paese si doti di armi atomiche per potersi difendere da soli, e non dover essere più dipendenti dall’ombrello nucleare americano. Ma, secondo diversi esperti, una decisione di questo tipo rischia di innescare un meccanismo di corsa agli armamenti difficile da fermare.

Subito dopo la «Dichiarazione di Washington» tra Yoon e Biden, Kim Yo-jong, la potente e influente sorella del dittatore nordcoreano Kim Jong-un, ha fatto sapere che, con il loro nuovo accordo, Corea del Sud e America hanno «confermato l’ostilità dei governanti e dei guerrafondai militari di Washington e Seul nei confronti del nostro Paese». «Più i nemici mettono in scena esercitazioni di guerra, più mezzi nucleari dispiega-

no nelle vicinanze della penisola coreana», ha dichiarato Kim, «più forte diventerà l’esercizio del nostro diritto all’autodifesa in modo direttamente proporzionale». Da qualche mese, secondo gli osservatori coreani, si sarebbero conclusi i preparativi per il settimo test nucleare della Corea del Nord, un evento che aumenterà ancora di più le tensioni nell’area del Pacifico. Da quando è iniziata l’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, Mosca e Pechino proteggono politicamente la Corea del Nord in tutte le piattaforme internazionali, e soprattutto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, impedendo nuove condanne e nuove sanzioni economiche. L’alleanza delle autocrazie si basa su un patto molto chiaro di difesa reciproca e di opposizione alle azioni occidentali. Le azioni per contenere l’aggressività del regime di Pyongyang da parte della comunità internazionale sono sempre più limitate.

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Da destra: Yoon Suk-yeol e Joe Biden. (Keystone)

CHI SI FERMA È PERDUTO!

Ecco qualche utile suggerimento per gestire senza fatica le attività quotidiane e mantenersi mobili e flessibili

Contratture e tensioni muscolari

Una postura scorretta o anche solo la sedentarietà possono causare contratture e tensioni muscolari. Una causa tipica sono le lunghe ore trascorse più o meno immobili davanti al computer o alla guida dell’auto. Particolarmente soggetti al rischio contrattura sono il cingolo scapolare, il collo e la schiena.

Cosa fare?

In generale, per prevenire e alleviare contratture e tensioni muscolari, è utile fare spesso piccole pause di movimento, tipo alzarsi in piedi e camminare un po’, in modo da stimolare la circolazione. Altrettanto importante è assumere una postura ergonomica, in ufficio o nello studio di casa, per esempio adottando una scrivania e una seduta regolabili in altezza e inclinazione. In auto, invece, conviene modificare a intervalli regolari la posizione del sedile.

Mobilità

Al mattino l’apparato motorio impiega un po’ a «carburare» dopo l’immobilità notturna, specie se sottoposto a sforzi.

A cosa bisogna fare attenzione?

Le articolazioni vanno attivate delicatamente, caricate adeguatamente e non sforzate. Ridurre il peso corporeo eccessivo è sempre un vantaggio, perché così le articolazioni sono soggette a minor carico. In loro aiuto viene anche una buona struttura muscolare, che contribuisce a stabilizzare il corpo e proteggere lo scheletro.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 8 maggio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 32

Alimentazione

Anche una dieta sana e variata e un corretto stile di vita sono importanti per la buona funzionalità dell’apparato motorio.

Cosa assumere?

Garantisci al tuo corpo il giusto apporto di vitamine e sali minerali. La vitamina C contribuisce alla formazione del collagene. Utili sono anche i preparati a base di glucosamina e condroitina. Per rafforzare  i muscoli e l’apparato motorio è necessario anche assumere un’adeguata quantità di proteine.

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Una Rosa bianca contro la furia del nazismo

Germania ◆ In marzo è morta l’ultima superstite della Weisse Rose, gruppo di resistenza alla dittatura basato sui valori cristiani

Alfredo

«Impedite che continui a marciare questa atea macchina da guerra!». Così scrivevano i ragazzi della Weisse Rose – la Rosa bianca – nei volantini che affiggevano o distribuivano nelle cassette postali, sui mezzi di trasporto e nelle aule universitarie. La loro temeraria propaganda intessuta di valori cristiani non invitava alla violenza ma alla resistenza passiva. Furono sei i volantini diffusi a Monaco, nel resto della Baviera, in Austria e ad Amburgo, un settimo fu sequestrato dopo la cattura degli autori, prima che lo potessero distribuire. La Weisse Rose fiorì nel giugno del 1942 e appassì per sempre otto mesi più tardi, quando i giovanissimi animatori di quel movimento di opposizione pacifica al regime nazista finirono sulla ghigliottina.

Nel 1943 i giovanissimi animatori di quel movimento di opposizione pacifica finirono sulla ghigliottina, ma Traute Lafrenz riuscì a cavarsela

Alcuni di loro sopravvissero. L’ultima fra i superstiti, Traute Lafrenz (nella foto piccola, da Wikipedia), è morta il 6 marzo scorso negli Stati Uniti. Stava per compiere 104 anni, la sua lunghissima vita fu sottratta alla ferocia hitleriana dalla fine della guerra. Avrebbe certamente condiviso il destino dei suoi compagni se nell’aprile del 1945 le truppe americane che stavano avanzando in Germania non avessero liberato Bayreuth, la città sacra a Wagner. Proprio a Bayreuth l’allora ventiseienne Traute era stata incarcerata e il suo destino stava per compiersi nel più brutale dei modi: tre giorni dopo la liberazione della città doveva aprirsi un processo che si sarebbe certamente concluso con la sua condanna a morte.

Gli altri animatori della Weisse Rose, a cominciare da Sophie Scholl e suo fratello Hans, erano stati decapitati nel febbraio del 1943. Avevano ventidue e venticinque anni, stupirono i carnefici e le guardie del carcere di Stadelheim per la disinvolta fermezza con cui affrontarono il supplizio. I fratelli Scholl e i loro com-

pagni non avevano ucciso nessuno, quella che avevano concepito e messo in atto era stata un’azione non-violenta, non avevano fatto altro che distribuire i volantini con cui cercavano di convincere il popolo tedesco della disumanità del progetto nazista inducendoli a opporvisi non con le armi ma con il sabotaggio. Erano studenti dell’università Ludwig Maximilian di Monaco, quella stessa che oggi prospetta la sua sede centrale sulla Geschwister Schollplatz, la grande piazza intitolata proprio a Hans e Sophie Scholl.

I compagni di studi furono i principali destinatari dei loro messaggi: soprattutto agli universitari era diretta quella campagna di persuasione. Il sogno di risvegliare le coscienze s’interruppe proprio nel grande atrio dell’ateneo bavarese. Incurante del rischio, Sophie era salita sulla balconata sovrastante e da lassù aveva gettato le ultime copie del sesto volantino. Fu un’imprudenza fatale. Era il 18 feb-

braio del 1943, un bidello la vide e la bloccò assieme a Hans mentre cercavano di uscire dall’edificio. Dopo poco erano nelle mani della Geheime Staatspolizei (Gestapo), da mesi scatenata alla loro ricerca. Nei giorni successivi furono catturati altri componenti del gruppo, come gli studenti Christoph Probst, Alexander Schmorell e Willi Graf e un professore, il musicologo Kurt Huber che aveva redatto uno dei manifesti. Saranno tutti rapidamente processati e decapitati.

La Gestapo era furiosa. Sei volantini erano stati diffusi senza che l’oliatissimo meccanismo della polizia segreta potesse acciuffare i responsabili. Vi si enunciavano principi di condanna della violenza di Stato, che alcuni fra quei giovani avevano potuto personalmente verificare sui vari fronti di guerra. Sophie, che aveva lavorato come infermiera volontaria, era stata testimone di numerosi casi di eutanasia forzata al servizio

dell’eugenetica. Nonostante queste tremende esperienze, la Weisse Rose fu tutt’altro che un movimento di lotta armata. Nel gruppo erano rappresentati cristiani delle varie confessioni: cattolici, protestanti, ortodossi. I loro messaggi erano ricchi di citazioni che spaziavano dalla Bibbia ad Aristotele, da Rilke a Heine, da Goethe a Schiller.

La Gestapo era furiosa. Sei volantini erano stati diffusi senza che l’odiato meccanismo della polizia segreta potesse acciuffare i responsabili

Per quel regime stupido e feroce gli autori di simili richiami alla più alta tradizione culturale non erano altro che nemici e traditori. Per sistemare i conti con quelle «teste calde» fu spedito a Monaco Roland Freisler, il «giudice boia» di Hitler, che inscenò

un altro dei suoi tragici processi-farsa fondati sul presupposto che gli imputati erano pregiudizialmente colpevoli. Secondo la caratteristica ritualità poliziesca del regime, quei ragazzi furono interrogati e spietatamente torturati non tanto per acquisire elementi di giudizio in vista di una condanna a morte che in pratica era già stata pronunciata, quanto per far luce sulle possibili ramificazioni del gruppo. I guardiani del nazismo cercavano gli altri petali della Rosa.

Per esempio indagavano su un gruppo parallelo che si era costituito ad Amburgo. Fra Monaco e Amburgo furono quindici i militanti condannati a morte, trentotto quelli colpiti da lunghe pene detentive felicemente interrotte dal crollo militare del Terzo Reich. Alcuni pagarono con il carcere l’imperdonabile colpa di avere raccolto fondi per soccorrere la famiglia di Probst, che aveva lasciato la moglie e tre figli. Proprio ad Amburgo, dov’era nata, operava Traute Lafrenz, una studentessa di medicina seguace della dottrina antroposofica di Rudolf Steiner. Trasferitasi a Monaco vi aveva conosciuto Probst e i fratelli Scholl, aderendo entusiasticamente alla Weisse Rose. Fu lei a portare ad Amburgo il sesto volantino e a organizzarne la distribuzione.

Dopo l’esecuzione di Hans e Sophie, Traute fu di nuovo a Monaco e nonostante la vigilanza poliziesca fu presente al funerale consentito come esca per individuare quella cerchia di nemici della svastica. Ma dopo poche settimane fu arrestata e condannata a un anno di carcere per complicità. Più tardi la Gestapo poté ricostruire l’insieme del suo lavoro nel movimento e le nuove pesantissime imputazioni l’avrebbero sicuramente portata alla morte. Ma i liberatori arrivarono in tempo a Bayreuth. Due anni dopo Traute si trasferì negli Stati Uniti dove completò gli studi di medicina, acquisì la cittadinanza americana, divenne una paladina dell’antroposofia, si sposò e mise al mondo quattro bambini. È sempre stata restia a parlare del suo passato, ma nel 2019, al compimento del centesimo anno, fu decorata con l’Ordine al merito della Repubblica federale di Germania.

Desidero acquistare un’abitazione a uso proprio. In che modo posso finanziarla con l’avere della cassa pensioni?

Può farlo in due modi: costituendo in pegno o prelevando anticipatamente capitale dal 2° pilastro. L’ammontare massimo del capitale di previdenza a sua disposizione per tale scopo è riportato sul certificato della cassa pensioni. Se opta per la costituzione in pegno, il suo capitale di previdenza resta nella cassa pensioni e rappresenta una garanzia per la banca.

In questo caso, la banca aumenta al 90% l’anticipo ipotecario massimo, che di solito corrisponde all’80%.

Esempio: se il valore commerciale dell’abitazione è pari a 1 milione di franchi, è possibile ricevere un anticipo fino a 900 mila franchi. Almeno il 10% deve inoltre consistere in cosiddetti mezzi propri effettivi (denaro contante, titoli, valori di riscatto di assicurazioni sulla vita o averi del pilastro 3a), cioè non proveniente dalla cassa pensioni. Scegliendo il prelievo anticipato, invece, l’avere viene versato direttamente alla banca che eroga l’ipoteca. A differenza dei capitali costituiti in pegno, l’importo deve essere tassato come reddito, ma a un’aliquota d’imposta inferiore. Tali prelievi anticipati per il

finanziamento della proprietà abitativa sono possibili solo ogni cinque anni. L’ultimo prelievo può essere effettuato non oltre tre anni prima del pensionamento. L’importo minimo del prelievo anticipato, inoltre, ammonta a 20 mila franchi. Proprio come per la costituzione in pegno, nel mix di finanziamento almeno il 10% di mezzi propri utilizzati non deve provenire dalla cassa pensioni. Se ha superato i 50 anni non può più utilizzare l’intero avere della cassa pensioni. Per calcolare l’importo massimo del capitale a sua disposizione si fa riferimento a due indicatori: il capitale risparmiato fino

all’età di 50 anni e la metà del capitale di risparmio disponibile al momento del prelievo. L’importo più elevato corrisponde al prelievo massimo consentito.

SUGGERIMENTO

I prelievi anticipati dal 2° pilastro per il finanziamento di una proprietà abitativa vanno ben ponderati, poiché riducono il capitale pensionistico e la rendita di vecchiaia. Verifichi inoltre se il prelievo anticipato si ripercuote sulle prestazioni di rischio (decesso/invalidità). Utilizzi prima i fondi previdenziali del pilastro 3a. MM

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 8 maggio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino ATTUALITÀ 34
Come acquistare
La consulenza della Banca Migros ◆ Si può optare per la costituzione in pegno o per il prelievo anticipato di capitale dal 2° pilastro
Keystone
una casa di proprietà con il denaro della cassa pensioni?
Patric Brechbühl, consulente alla clientela della Banca Migros ed esperto in ipoteche.

Il Mercato e la Piazza

Lugano e Zugo: prospettive di crescita diverse

Nella storia economica degli ultimi decenni emergono, in Svizzera, due date: il 1975 e il 2008. Le stesse segnano la fine di un’epoca di sviluppo e l’inizio di una nuova, marcata da una trasformazione importante della struttura di produzione. Nel 1975, anche da noi, buona parte dell’industria manifatturiera ha chiuso i battenti o si è trasferita all’estero. Nel 2008 si è invece avviato il processo di ristrutturazione del settore finanziario che, fino ad allora, aveva conosciuto i livelli di produttività più alti. Questi profondi cambiamenti hanno lasciato tracce sul territorio. Negli anni Ottanta e Novanta il fenomeno della deindustrializzazione ha obbligato un buon numero di città di vecchia tradizione industriale a cercare una nuova base economica per arginare la perdita di aziende, posti di lavoro, abitanti e gettito fiscale. Pensiamo ai casi di Winterthur, Baden, Yverdon e La Chaux-de-Fonds, per proporre ai let-

In&Outlet

tori possibili esempi di come le nostre città industriali di media e piccola dimensione hanno affrontato e saputo superare – con ricette e risultati diversi – i problemi di sviluppo posti dalla deindustrializzazione.

A queste difficoltà allora sono sfuggite le città di maggior taglia e quelle di media dimensione la cui base economica era fondata sul settore dei servizi e, in particolare, sulle attività finanziarie. Come, per esempio, Zugo e Lugano. Tuttavia i vantaggi delle città del terziario sulle città con base economica differente sono durate solo fino al 2008. La crisi finanziaria internazionale e l’abbandono del segreto bancario verso i clienti stranieri hanno avviato un processo di ristrutturazione, non solo nelle banche, ma in tutte le attività del settore finanziario.

Da allora sia Zugo che Lugano si trovano a dover affrontare le sfide poste dal ridimensionamento di quello che era il settore trainante delle loro eco-

nomie urbane. Se teniamo ora conto dello sviluppo degli ultimi 15 anni, sembra che le due città siano riuscite a fronteggiare le stesse in modo molto diverso. Infatti, se per farci un’idea dell’evoluzione prendiamo come metro lo sviluppo della popolazione, ci accorgiamo che dopo il 2008 e fino al 2022 la Grande Lugano ha conosciuto un tasso di crescita annuale pari allo 0,25%, molto inferiore a quello medio nazionale (0,44%). Mentre la popolazione di Zugo è letteralmente esplosa, realizzando un tasso di crescita annuale pari all’1,60%.

Zugo potrebbe quindi proporsi come esempio da seguire a Lugano? Sarebbe possibile evitare il colpo di freno imposto all’economia cittadina dalla ristrutturazione del settore finanziario seguendo questo esempio? La risposta a questi interrogativi può essere trovata solo identificando i fattori che hanno favorito la crescita di Zugo dopo il 2008. Chi

Giorgia Meloni non dorme sonni tranquilli

Il Governo di Giorgia Meloni ora non ha alternative. L’opposizione è debole e divisa. Il consenso per la presidente del Consiglio è ancora alto. Eppure la situazione dell’Italia è molto difficile. Il Paese rischia di sprecare la grande occasione del PNRR, il piano di resilienza e ripresa, insomma la sigla con cui si indicano i soldi che l’Europa ha stanziato dopo la pandemia, che per quasi due terzi sono da restituire. L’Italia già prima non riusciva a spendere i fondi europei. Figurarsi adesso che si parla di oltre 200 miliardi di euro. L’Europa infatti non finanza gli stipendi dei forestali (la Calabria ne ha più della California), il reddito di cittadinanza, le pensioni ai falsi invalidi. L’Europa finanzia cantieri, progetti, infrastrutture, innovazione. Tutte cose che richiedono ingegneri, tecnici, burocrati d’avanguardia. E che comportano competenze, fatica, rumore, sacrifici, disagi che gli italiani sono decisi a non

sopportare. Non a caso Roma è l’unica capitale del pianeta senza un inceneritore, che deve portare i rifiuti ad Amsterdam. Figurarsi il Ponte sullo Stretto, di cui si parla da 70 anni ma non si farà neppure con il PNRR.

L’agenzia internazionale Moody’s ha consigliato di disinvestire dai buoni del tesoro italiani e subito si è parlato di complotto contro il Governo Meloni. Proprio come si fece nel 2011 al tempo delle dimissioni di Silvio Berlusconi e dell’avvento di Mario Monti.

Ovviamente non c’è nessun complotto della finanza e dei mercati oggi, come non c’era nel 2011. La finanza e i mercati non sono di destra o di sinistra. Non ordiscono complotti; semmai speculazioni. Il loro scopo non è danneggiare o favorire un leader politico. Il loro scopo è fare soldi. Investire sui titoli di un Paese debole, dove il debito pubblico cresce più del PIL, può essere remunerativo, perché quel Paese dovrà

Il presente come storia

La finanza alla prova dell’etica

Ha senso stabilire una relazione tra il fondatore del Credito Svizzero (CS) nonché «padre» della Svizzera moderna, Alfred Escher, e i dirigenti della banca inghiottita dall’UBS per salvare il sistema creditizio elvetico? Raffronto forse audace ma non peregrino, visto che molti commentatori non hanno esitato a scomodare la categoria «avidità» per qualificare i comportamenti dei vertici del CS negli ultimi anni.

Oggi l’avidità è perlopiù stigmatizzata come sentimento amorale (uno dei sette peccati capitali per la religione cattolica). Nel secolo di Escher, l’Ottocento, era invece esaltata come antidoto all’accidia e come tale elevata a virtù dagli appartenenti alle élites protestanti urbane.

Il caso di Escher, lo «zar di Zurigo», è esemplare. Rampollo di una famiglia cospicua, un padre (Heinrich) attivo nelle piantagioni di cotone negli Sta-

ti Uniti e in diverse attività commerciali, il giovane Escher crebbe in una sorta di gabbia dorata nella villa Belvoir per poi intraprendere una carriera negli studi accademici (giurisprudenza), nella politica (a Zurigo e a Berna) e nella finanza. Le sue iniziative in campo bancario, assicurativo, formativo (fu tra i promotori del Politecnico federale) furono innumerevoli, con una predilezione per il nuovo sistema dei trasporti che si stava rapidamente ramificando in tutta Europa: la ferrovia. Allora lo Stato federale non aveva i mezzi né per promuovere e gestire la rete, né per finanziarla. L’impulso provenne dalle banche private, soprattutto francesi (il Crédit mobilier dei fratelli Pereira) e tedesche. Ma Escher intuì che non era nell’interesse del Paese consegnarsi nelle mani di uomini d’affari esteri. Comprese pure che occorreva mettere insieme un

scrive reputa che la stessa, almeno in buona parte, sia stata una crescita di riflesso, determinata dall’insediamento di attività economiche che lasciavano i poli economici di Zurigo e Basilea o che non potevano insediarsi in queste due regioni, oramai afflitte da fenomeni di saturazione. Invece che a Zurigo e Basilea, queste attività hanno così scelto di localizzarsi nei piccoli centri del Canton Zugo, in particolare nella città capoluogo. Il Canton Zugo per la sua posizione geografica è facilmente accessibile dai due poli economici dell’altipiano elvetico. L’insediamento continuo di nuove attività, provenienti dagli stessi, ha provocato un forte aumento dell’offerta di posti di lavoro e questa crescita ha determinato la rapida espansione demografica di cui si è già detto. Lo sviluppo delle attività economiche è stato favorito non solo dalla posizione geografica vantaggiosa, ma anche dalle politiche fiscali di

Cantone e città generose, sia verso le persone giuridiche, sia verso le persone con redditi elevati. Nella sua strategia 2035 la città di Zugo desidera continuare a crescere pur conservando sempre l’attrattiva del piccolo centro. Zugo vuole diventare una smart city contenendo il consumo di risorse non riproducibili. Dall’altra parte vuole diventare il centro di una «Bitcoin/Fintech Valley». Questa strategia con diversi assi e progetti di sviluppo viene perseguita da una decina di anni circa. Stando all’evoluzione di popolazione e posti di lavoro potrebbe sembrare che finora le sia arriso il successo. Anche Lugano si propone, da qualche tempo, lo sviluppo delle attività Fintech. Ma non è detto che a strategia uguale corrisponda simile successo. Zugo cresce infatti soprattutto come appendice di Zurigo e Basilea. Purtroppo Lugano, al momento, non dispone di vicine motrici così potenti.

pagare di più per finanziarsi; ma se diventa troppo debole, l’investimento si fa rischioso e conviene puntare su un Paese un po’ meno debole. In questo caso: la Spagna. Le crisi comunque hanno sempre fatto avanzare l’Europa. Quella del 19921993 accelerò l’unificazione monetaria. Quella dei mutui subprime portò a creare meccanismi di solidarietà e garanzia. Con la pandemia si è anche fatto debito comune. Nello stesso tempo, però, il debito pubblico italiano è continuato a crescere e, se non si riuscisse a spendere in modo produttivo i soldi del PNRR, la situazione da critica diventerebbe catastrofica. Anche per questo Meloni ha bisogno di ribaltare il quadro europeo, incentrato da sempre sull’alleanza tra popolari e socialisti. Il laboratorio potrebbe essere proprio la Spagna, dove dalle elezioni di dicembre potrebbe uscire una maggioranza composta dai popola-

ri (PPE) e da Vox, alleati di Meloni. Oggi il PPE non guida nessuno dei sei Governi dei sei Paesi più importanti d’Europa: oltre a Italia e Spagna, Germania, Francia, Polonia, Paesi Bassi. Al tempo di Angela Merkel l’alleanza con i Conservatori non sarebbe mai passata. Con Manfred Weber potrebbe accadere ma finché ci sono Scholz alla Cancelleria e Macron all’Eliseo non sarà facile.

L’altro puntello politico di Meloni è il buon rapporto con gli USA. La scelta atlantista al fianco dell’Ucraina ha pagato. Ma a Washington, almeno fino a quando ci sarà un presidente democratico, non guarderanno mai con trasporto al Governo italiano di destra-centro. Un po’ di respiro all’economia e all’occupazione dovrebbe venire dal decreto, varato il primo maggio, che taglia il cuneo fiscale, la differenza tra quel che paga il datore di lavoro e quel che resta nella busta

paga del lavoratore dipendente. Ma è una misura che dura fino a novembre. E intanto l’inflazione che erode i salari finirà per erodere anche il consenso al Governo e alla sua leader. Certo, bisogna distinguere tra una maggioranza politica tutt’altro che unita e Giorgia Meloni che continua a piacere a molti italiani. Pure le polemiche sul 25 aprile, la data della Liberazione dal nazifascismo, non hanno inciso più di tanto: non è certo su questo che in un Paese dalla scarsa memoria storica come l’Italia si forma il consenso o il dissenso su un capo politico. Il livello di gradimento di Giorgia Meloni è al momento superiore a quello di Mario Draghi. Ma non c’è dubbio che lo standing internazionale di Draghi fosse per l’Italia un atout, un vantaggio che al momento il Paese ha perso. E con un debito pubblico che veleggia verso i tremila miliardi di euro nessun governante può stare tranquillo.

«sistema» in cui confluissero capitali, spirito imprenditoriale, discipline politecniche, senso dell’organizzazione.

Tutto questo è documentato nel ricco epistolario raccolto e annotato dal suo maggior studioso, Joseph Jung (sua la biografia di riferimento, disponibile anche in italiano – in una versione ridotta – nelle edizioni Dadò).

Si è detto che alla Svizzera odierna manchi una figura alla Escher: un capitano d’industria coraggioso, aperto alle innovazioni e alla ricerca, capace di captare i segnali provenienti dalle grandi scuole e dalle aziende più prestigiose. Forse sì, ma sarebbe comunque un’operazione nostalgica, nulla più di un auspicio. Infatti le facce di Escher furono numerose e non tutte commendevoli. All’innegabile dinamismo accoppiò un carattere irruente, fatto di spregiudicatezza, arroganza e sordità nei confronti delle rivendica-

zioni che salivano dal nascente movimento operaio. Prima che la città di Zurigo dedicasse al suo illustre concittadino il monumento che tuttora troneggia di fronte alla stazione principale, Vincenzo Vela aveva voluto rendere omaggio spontaneamente alle decine di operai periti come mosche nelle viscere del San Gottardo. Solo che la statua scolpita da Richard Kissling fu scoperta nel 1889, mentre le vittime del lavoro di Vela rimasero senza una collocazione precisa fino al 1932. Escher crebbe in una famiglia ricca e nel contesto di un capitalismo manchesteriano, uno spazio d’azione ideale per chi sapeva sfruttare le opportunità del libero mercato. Lo Stato federale, ancora debole e comunque dominato dal Freisinn liberale, concedeva ampi margini di manovra, anche perché l’opposizione cattolica era stata sospinta ai margini dopo la guerra civile del

Sonderbund. In quel clima generale di laissez faire, personaggi come Escher poterono spadroneggiare senza curarsi troppo delle conseguenze e dei rovesci di fortuna. Che comunque si abbatterono anche sulla sua persona e sulle sue imprese ferroviarie: a metà degli anni Settanta dell’Ottocento la Compagnia del Gottardo sarebbe fallita se gli Stati interessati (Svizzera, Italia e Germania) non l’avessero salvata con l’immissione di capitali freschi. Paralleli tra quell’epoca e la nostra sono senz’altri possibili, ma fin ad un certo punto. Quel contesto – impregnato di un atteggiamento che lo storico inglese Donald Sassoon ha qualificato come «ansioso» – non è certo equiparabile a quello attuale: salvo che in un settore, quello finanziario globale, cresciuto a dismisura e ormai svincolato dall’economia reale e da ogni remora di natura etica.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 8 maggio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 35 ATTUALITÀ / RUBRICHE ◆ ●
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di Orazio Martinetti

La mela è il frutto più amato in Svizzera. Gustate fresche o nei dolci, sotto forma di succo o di purea, le mele sono buone in ogni foggia e versione. Meli carichi di frutti? Dobbiamo ringraziare le api.

Il 75% circa di tutte le colture agrarie dipende dall’impollinazione degli insetti, in particolare delle api. Ecco un piccolo elenco di prodotti bio di cui dovremmo fare a meno, del tutto o in parte, se le alate creaturine non fossero così solerti

Testo: Edita Dizdar

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 8 maggio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 36
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(3)

I cetrioli sono un must dell’estate e si lasciano gustare in mille modi. Affinché continuino a far felice il nostro palato ci serve l’aiuto degli insetti.

Da

con il

Niente più pomodori? Una notizia sconvolgente non solo per gli estimatori della cucina italiana – cosa sarebbero le patatine fritte senza ketchup?! Pare che i fiori segnalino alle api, attraverso una sorta di vibrazione elettrica, la quantità di polline e nettare presente al loro interno.

Timo, rosmarino, salvia & Co. regalano una speciale nota d’aroma ai piatti più svariati, ma inebriano anche con il loro profumo. Se non ci fossero gli insetti impollinatori verrebbe meno un grande piacere per il nostro palato e le nostre narici.

Rosse, dolci, succose: così ci piacciono le fragole. Dal frullato allo yogurt fino alla crostata, non ne abbiamo mai abbastanza. L’alacre attività degli insetti impollinatori aumenta in modo significativo la resa dei raccolti di fragole.

Come snack, nel müsli, nel caffè in alternativa al latte: le mandorle sono estremamente versatili. Affinché le piantagioni di mandorli possano fruttificare, i fiori devono essere impollinati da schiere di api.

Ha il colore del sole e la dolcezza dell’estate, è perfetto nelle insalate e negli smoothie ma si accompagna anche al sushi. All’impollinazione della pianta provvedono, oltre al vento, gli insetti.

Il caffè del mattino è per molti di noi imprescindibile. Per questo è ancora più importante che le api possano contare su un ambiente sano, visto che contribuiscono ad aumentare la resa delle piante di caffè anche del 50%.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 8 maggio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 37
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Dipendenze e tormenti

Esce per Fazi il terzo volume della Trilogia di Copenaghen di Tove

Ditlevsen, pioniera dell’autofiction

Pagina 41

Di emozioni e di lettere Intervista al drammaturgo Stefano Massini su L’alfabeto delle emozioni da lui scritto e interpretato

Pagina 43

Festa Danzante

Un bell’inizio per la manifestazione inaugurata il 29 aprile che animerà il luganese dal 9 al 14 maggio

Pagina 45

L’incanto di MOMO al LAC Particolarità e filosofia dello spettacolo della Batsheva Dance Company diretto da Ohad Naharin

Pagina 46

Una pittura che si interroga sulle vicende umane

Mostra ◆ A Mendrisio una grande monografica omaggia l’arte di Cesare Lucchini

Alessia Brughera

Pochi sono gli artisti che come Cesare Lucchini hanno accettato il rischio di confrontarsi senza mezze misure con la realtà, interrogandosi sull’uomo e sul suo operato al fine di fare della propria pittura uno strumento di ricerca della verità. A muovere Lucchini non c’è alcuna volontà di dare giudizi, ma solo un’insopprimibile esigenza di sondare l’essere umano per riuscire a rintracciarne i valori più profondi.

«Non voglio descrivere, ma esprimere», rimarca Lucchini ed è per questo che ognuno dei suoi dipinti è abitato da quello che lui stesso definisce «uno spazio morale»

Per il pittore ticinese, classe 1941, tutto ha inizio dal raffronto, doloroso ma necessario, con le vicende più drammatiche della nostra epoca. Eventi che quotidianamente colpiscono la sua emotività che assimila e processa attraverso la sua arte. Lucchini si interessa a temi legati alle guerre, ai naufragi dei profughi e ai disastri ambientali: tragedie che talvolta vede con i propri occhi, come gli sbarchi di migranti a Lampedusa, e di cui non si fa semplice cronista bensì sensibile indagatore.

«Non voglio descrivere, ma esprimere», rimarca Lucchini ed è per questo che ognuno dei suoi dipinti è abitato da quello che lui stesso definisce «uno spazio morale», capace di riassumere la condizione dell’uomo.

È così che la sua visione dei drammi contemporanei ci arriva chiara e potente attraverso un gesto che si posa sulla superficie della tela in maniera tanto istintiva quanto eloquente. Ed è interessante notare come la pesantezza dei soggetti trattati entri spesso in antagonismo con i colori delicati utilizzati dall’artista. I suoi celesti, i suoi rosa salmone e i suoi gialli tenui sono tonalità elegiache, quasi trascendentali, che si pongono come inaspettate suggestioni cromatiche di armonia. D’altronde la pittura di Lucchini vive proprio di questa dicotomia narrativa: quello dell’artista è un difficile tentativo di rielaborare l’angosciante realtà racchiudendola in una dimensione di riscatto, bilanciando così smarrimento e speranza.

La forza dei racconti pittorici di Lucchini si dispiega sotto i nostri occhi nella grande antologica ospitata al Museo d’Arte di Mendrisio, una mostra che, con una cinquantina di tele e una ventina di opere su carta, documenta le tappe salienti del prolifico cammino dell’artista ticinese.

La valida scelta di accostare, in ogni sala, dipinti di recente realizzazione a lavori storici ci offre la possibilità di coglierne la stretta connessione. Una connessione rivelatrice di quanto, pur in una continua evoluzione del linguaggio, l’arte di Lucchini sia caratterizzata prima di tutto da una profonda coerenza espressiva tra passato e presente.

Osservando le opere esposte si può riconoscere quali siano stati i pittori da cui Lucchini si è lasciato ispirare

I dipinti esposti nella rassegna curata da Barbara Paltenghi Malacrida sono quasi tutti di grandi dimensioni. Questo ci rammenta subito come l’approccio alla pittura di Lucchini sia sempre stato fisico e immediato. Basta riflettere sul suo modus operandi per rendercene conto. Niente schizzi o studi preparatori: Lucchini è un pittore puro che lavora direttamente sulla tela e su più tele contemporaneamente. L’artista sottopone le sue opere a rielaborazioni costanti, come se chiedesse loro sempre di più. La materia pittorica modificata sen-

za tregua è sintomo del suo non sentirsi mai arrivato. Lo è anche il suo modo severo di fare autocritica che spesso lo porta a distruggere i suoi dipinti. Nulla è mai scontato e tutto rimanda a un’idea di precarietà.

Osservando le opere esposte si può riconoscere quali siano stati i pittori da cui Lucchini si è lasciato ispirare nel corso dei decenni, a partire da quando, nel 1961, approda a Milano per frequentare l’Accademia di Brera. Nel capoluogo lombardo sono gli anni della delegittimazione dell’arte (proprio nel 1961 Piero Manzoni crea la sua Merda d’artista) e qui Lucchini impara i segreti del mestiere. Si confronta con l’Informale e con figure quali Ennio Morlotti, Franco Francese e Alfredo Chighine, ma volge già lo sguardo verso pittori quali Nicolas De Staël, colpito dai forti slanci emozionali dei suoi lavori. Riesce a captare nondimeno le suggestioni della Pop Art, sbarcata nel 1964 alla Biennale di Venezia, e a interessarsi alla pittura degli americani Arshile Gorky, Willem de Kooning, Jean-Michel Basquiat e Keith Haring, soprattutto durante i suoi viaggi a New York.

E quando poi, alla fine degli anni Ottanta, la lunga stagione milanese

volge al termine, Lucchini viene attratto dalla scena artistica tedesca, approdando dapprima a Düsseldorf e poi a Colonia, per avvicinarsi alle ricerche legate alla nuova figurazione incarnate in quel contesto dal gruppo dei Neue Wilden. È adesso che la sua pittura si apre al dramma del contemporaneo: la realtà esterna invade le sue opere, costringendolo a misurarsi con l’attualità e a esplorare nuovi territori, più infausti e inquieti.

I lavori selezionati per l’antologica appartengono ai cicli pittorici più importanti di Lucchini e testimoniano bene tutto il suo iter artistico. Non è quindi un caso che a dare l’avvio al percorso espositivo sia una tela che fa parte della serie degli Interni, una delle più significative del pittore tra quelle risalenti agli anni Settanta. In questo dipinto Lucchini delinea lo spazio del suo atelier rappresentandolo con una prospettiva incombente e caricandolo così di una marcata connotazione esistenziale.

Ci sono poi le opere dei cicli Quasi una testa , dove il grande cranio-teschio si fa metafora dell’uomo nella sua provvisorietà, e Quasi crocifissione, in cui l’iconografia religiosa viene combinata con riferimenti a eventi dell’attualità: due serie dove quel

«quasi» nella titolazione simboleggia una forma di incompiutezza. Di particolare interesse sono poi i lavori appartenenti ai cicli realizzati negli ultimi quattro anni, a partire dal periodo pandemico, in cui i dettagli narrativi tendono a scomparire e si fa più evidente il processo di riduzione all’essenziale. Nelle opere delle serie Venti di guerra e La terra trema la gamma di colori carica di luce utilizzata da Lucchini entra in contrasto con le tematiche trattate: qui una profonda irrequietudine promana dalle ampie tele dove il vuoto pare dilatarsi. La figura umana è totalmente assente e compare spesso, invece, una montagna delineata sullo sfondo, imponente nelle proporzioni seppur dalla sagoma quasi accennata. L’artista sceglie questo soggetto come emblema di una natura depauperata e di un luogo che, dall’alto della sua maestosità, presenzia silente all’implacabile declino dell’uomo.

Dove e quando Cesare Lucchini, La terra trema, fino al 25 giugno al Museo d’Arte Mendrisio, ma-ve 10-12 / 14-17; sa- do 10-18. www.museo-mendrisio.ch

CULTURA ● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 8 maggio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 39
Cesare Lucchini, Quel che rimane - Lampedusa, 2016. Olio su tela. (© Cesare Lucchini)

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Le dipendenze di Tove Ditlevsen

Memoir ◆ Pioniera dell’autofiction, l’autrice e poetessa danese si racconta nella sua Trilogia di Copenaghen

È la storia di una vocazione, letteraria e molto esistenzialistica, dove vita e letteratura s’intrecciano, quella di Dipendenza (Fazi), il memoir romanzesco della tormentata poetessa danese Tove Ditlevsen che dopo Infanzia e Gioventù (sempre da Fazi) chiude la Trilogia di Copenaghen, una serie di narrazioni autobiografiche dal tono empatico e confessionale. La scrittrice danese (ritratta nella foto tra i suoi libri) pioniera dell’autofiction prima ancora di Joan Didion e Annie Ernaux, della stessa tempra letteraria, narra in un flusso e a microfono aperto il suo diario intimo, per lei «la scrittura», come rivela, «è un po’ come nell’infanzia: una cosa segreta e proibita, piena di vergogna, da fare di nascosto in un angolino, quando nessuno vede», oggettiva racconta i fatti nudi e crudi con un dettato scarno, diretto e realistico, dentro la quotidiana trama della vita.

Scrive e vive, «per me la vita è godibile solo quando scrivo», racconta, «e mi è sempre più chiaro che l’unica attività in cui sono davvero brava – l’unica che mi appassiona – è quella di formare proposizioni, comporre sintagmi o scrivere modeste quartine». Protetta prima da un vecchio intellettuale, Viggo F. (l’editore Viggo Frederik Møller), frequenta il Circolo dei Giovani Artisti, mentre sta scrivendo segretamente il suo primo romanzo, Torto a una bambina, è così

che inizia la sua storia di formazione intrecciata in un romanzo intimo, che poi deraglia spinta dalle passioni, dagli amori tormentati vissuti fino all’ultimo respiro tra impulsi romantici e malinconiche delusioni, come quella per l’ambiguo Piet, «praticone, materiale e anaffettivo», intorno a lei amici artisti, tutti che cercano una propria strada nelle difficoltà degli anni bellici. La vita e i movimenti dei personaggi sono quasi sempre vissuti in interni borghesi, perché «Fuori c’è il mondo, maligno e complesso» scrive l’autrice, «che noi non sopportiamo e al quale preferiremmo sottrarci».

L’incontro con il giovane medico Carl, conosciuto durante una alcolica festa notturna, fa lentamente precipitare Tove Ditlevsen in un baratro

E al centro della narrazione, cuore pulsante dell’azione c’è sempre lei, Tove Ditlevsen, una scrittrice fragile ma ostinata, sognatrice eppure determinata, la quale lotta per l’indipendenza e la felicità, che a un certo punto sembra pure a portata di mano, arriva il successo letterario, pubblica da editori importanti, incontra un giovane compagno, nasce una figlia, Helle. Siamo in una Copena-

Ode alla mitezza

Saggio ◆ Perché rivalutare questa esperienza umana

Se c’è un libro che da oggi terrò sul comodino è il saggio di Eugenio Borgna – psichiatra e docente – che elogia la mitezza in tempi in cui la nostra cultura condanna le fragilità e le incertezze e ci spinge, invece, ad essere rapidi e sicuri, sempre performanti, talvolta persino aggressivi. Avremmo invece bisogno di più gentilezza – sorella della mitezza – e di più sorrisi ci dice Eugenio Borgna richiamando alla nostra mente i famosi versi leopardiani «Silvia, rimembri ancora / quel tempo della tua vita mortale, / quando beltà splendea / negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, / e tu, lieta e pensosa, il limitare / di gioventù salivi?». Il sorriso non è solo quello delle labbra ma anche quello degli occhi (come suggerisce la ragazza della foto) anzi «il sorriso degli occhi è più luminoso» ed è un’espressione della mitezza.

Che poi, leggiamo nel saggio, la mitezza è una qualità umana più femmi-

nile che maschile e più pronunciata in giovinezza perché più libera da conflitti e ambizioni. Le persone miti ascoltano, accolgono, sono aperte al dialogo e sono sensibilissime alle parole, come già osservava Hugo von Hofmannsthal, sono gentili, riconoscono e rispettano le fragilità degli altri. Lo psichiatra cita

Hölderlin: «Finchè la gentilezza, pura, si conserva nel suo cuore, l’uomo non si misura infelicemente con la divinità», ricordandoci che gentilezza e mitezza sono «sorelle siamesi» ma la prima non ha «l’ampiezza degli orizzonti esistenziali» della seconda.

A coglierne la sostanza e l’essenza ci aiutano non solo la poesia ma anche i personaggi letterari, quelli di Dostoevskij ad esempio. Alëša, uno dei fratelli Karamazov, che «le offese non se le ricordava mai» o il principe Myskin che come scrive Vladimir Nabokov «ha una sensibilità arcana: sente tutto ciò che accade nell’animo degli altri, anche quando questi altri sono lontani mille miglia. Tale è la sua saggezza spirituale, la comunione di sentimenti e la comprensione per le sofferenze altrui». Andrebbe spiegata e insegnata nelle scuole la mitezza nella sua dimensione etica e creativa, ci dice Borgna.

Beati i miti dunque, «perchè la mitezza è una stella del mattino», beati anche perchè, come scrive la poetessa Vivian Lamarque, la mitezza è congenita, «è dentro la persona, dentro la sua anima...È come un’altezza, un colore di occhi».

ghen da coprifuoco, occupata militarmente dalle truppe naziste di cui sentiamo gli infidi echi sotterranei e malvagi, soldati tedeschi che l’autrice incrocia per le strade e ai quali dedica una poesia, e pensa di uno di loro che «forse a casa ha moglie e

figli e preferirebbe stare con loro anziché aggirarsi in una terra straniera che al suo Führer è saltato il ticchio di occupare». Ma nella seconda parte del libro l’incontro con il giovane medico Carl, conosciuto durante una alcolica fe-

sta notturna, l’ennesimo tradimento fatale dopo balli e bevute, fa lentamente precipitare Tove Ditlevsen in un baratro. I toni del racconto si fanno grigi, drammatici. Lui «ha mani piccole, affusolate, scattanti», quelle di uno psicotico, «una bella voce ed è gradevole nel parlare», come tutti gli uomini di cui si innamora ha qualcosa di perturbante, che può metterla in pericolo, e dopo l’innamoramento sono distaccati e anaffettivi, ma lei ne è attratta, si getta nelle loro braccia desiderosa con la sua natura autodistruttiva. Carl inizia a somministrarle un calmante, la petidina, lei ne trae benessere, diventa dipendente di entrambi: «Via via che il liquido della siringa mi entra nel braccio, in tutto il mio corpo si propaga una beatitudine che non ho mai provato in vita mia», scrive estatica, posseduta successivamente dai tremori da crisi di astinenza e da una cupa infelicità. Dipendenza è il cuore drammatico e la memoria della vita tormentata di Tove Ditlevsen, quattro matrimoni e altrettanti divorzi alle spalle, dipendente dalle droghe e dall’alcol e più volte ricoverata nei reparti psichiatrici, morta suicida a soli 58 anni il 7 marzo 1976 per un’overdose di sonniferi.

Bibliografia

Tove Ditlevsen, Dipendenza Fazi, Roma, 2023.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 8 maggio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino CULTURA 41
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Lettera M come... Massini

Intervista ◆ L’autore di Lehman Trilogy sarà a Chiasso sabato 13 marzo alle 20.30 con Alfabeto delle emozioni

Non è facile catturargli un po’ di tempo per un’intervista. Stefano Massini è impegnatissimo e richiestissimo, deve perciò ben distribuire e dosare le ore della sua giornata. Laureato in lettere classiche all’università di Firenze, sua città natale, drammaturgo di solida preparazione ed esperienza, realizzata anche attraverso un sodalizio con l’attrice Ottavia Piccolo, protagonista di tanti suoi drammi – da Processo a Dio a Donna non rieducabile, da Occident Express al recente

Eichmann – è divenuto una star internazionale con Lehman Trilogy, il testo teatrale (dapprima romanzo) sulla famiglia Lehman, responsabile del disastro finanziario del 2008, prima allestito da Luca Ronconi al Piccolo Teatro di Milano, poi approdato a Londra con la regia del premio Oscar Sam Mendes, e a Broadway dove ha vinto lo scorso anno il Tony Award come best play, ed è il primo italiano a cui viene assegnato il prestigioso premio. Dopodiché, il suo ruolo di raccontastorie a Piazza Pulita su La7, gli spettacoli, i romanzi, tutto questo e molto altro lo hanno reso popolare e noto al grande pubblico. Stefano Massini sarà ospite della 17esima edizione di ChiassoLetteraria (9-14 maggio) sabato 13 maggio alle 20.30 al cinema teatro di Chiasso con Alfabeto delle emozioni, da lui scritto e interpretato. Al telefono gli dico che mi interessa il processo creativo che porta alla stesura dei suoi testi teatrali.

Come sceglie un tema e come sceglie di svilupparlo in un certo modo? Scrive regolarmente ogni giorno o si lascia guidare dall’ispirazione del momento? Rielabora molto i suoi scritti o scrive di getto? Qualche indizio su questo processo creativo, per favore!

Ognuno di noi ha il proprio metodo creativo e sono tutti diversi e tutti legittimi. Per quello che mi riguarda detesto la scrittura da fermo dietro il computer, nel senso che sono uno che ha sempre dovuto creare una scrittura molto dinamica, molto mossa. E come tale preferisco nettamente andare

a camminare, fare un giro in bicicletta, percorrere chilometri, dire le cose ad alta voce, correggerle, poi quando arrivo a casa comincio a scriverle. È un’idea che ho sempre avuto, non mi nasce da una scelta, ma in modo empirico, è una cosa molto delicata, nasce da equilibri interiori, forse dal bisogno di rendere simmetrico quello che simmetrico non è. E anche l’atto stesso di scrivere nasce da una forma di urgenza, di necessità, e per me non può aver luogo stando a sedere con le gambette sotto il tavolo, perché questo mi riporta a una dimensione scolastica o universitaria che non appartiene al mio modo di scrivere.

Quanto è importante il talento e quanto la costanza, la disciplina, il rigore?

Credo che abbia ragione Nietzsche, ovvero che ogni tragedia e anche ogni opera nasca dall’incontro fra Apollo e Dioniso, cioè fra una componente fatta di rigore, di schemi, di disciplina, e una componente emotiva, anarchica, fatta di ebbrezza, che è l’opposto dell’altra. Più che in termini di costanza ragionerei dunque in termini di incontro. Ci sono il rigore, la disciplina e la tenacia, ma ci vuole anche il sacro fuoco. Tra l’altro io vengo a Chiasso con uno spettacolo, Alfabeto delle emozioni, che è un trionfo di questo incontro. Lo spettacolo ha una struttura ben precisa, sono ventuno le lettere dell’alfabeto e ognuna la collego a un’emozione che inizia con quella lettera: A di ansia, D come dolore, C come coraggio, P come paura, T come tristezza, ad esempio. Un materiale incandescente. Ogni sera davanti al pubblico proponiamo sette lettere su ventuno, dunque va in scena solo un terzo di tutto il materiale scritto per lo spettacolo. E questo è veramente un incontro fra Apollo e Dioniso, rigore ed emozioni.

I suoi drammi sorprendono per la varietà degli stili: in forma di ballata per Lehman Trilogy, drammaturgia di tipo cinematografico per

Freud. l’interpretazione dei sogni, testo di stampo tradizionale per 7 minuti, dramma processuale per Stato contro Nolan… questa varietà è stata una conquista o un approccio naturale ?

Sarò sincero con lei. Da giovane soffrivo di una forma molto evidente di claustrofobia. La claustrofobia non è solo quella che si prova stando chiusi dentro un ascensore. Questo è in fondo forse l’esempio più immediato e più banale. Ci sono molte altre forme di claustrofobia. Nel mio caso la claustrofobia si applicava anche agli stili di scrittura, al fatto che ho sempre avuto il terrore della maniera. Quando poi uno comincia a mettere insieme le proprie opere, a livello critico, è molto probabile che le persone tendano ad analizzarle. Son passati tredici anni da quando ho scritto Lehman Trilogy, che è diventata, come altri miei scritti, oggetto di tesi di laurea. Quando mi chiamavano per le tesi mi correva un brivido lungo la schiena perché mi rammentavo di quando non avevo ancora vent’anni e già mi sentivo sclerotizzato in uno stile, che ora qualcuno attraverso una tesi di laurea analizzava e archiviava, in uno schema che diven-

tava maniera, diventava gabbia, perciò ho sentito il bisogno di rompere quello schema proprio come un claustrofobico vuole rompere le pareti della sua stanza, e ho cominciato a scrivere con la massima libertà. Poi ho avuto la fortuna di avere un maestro eccezionale, Luca Ronconi. Aveva una curiosità meravigliosa, leggeva cose di argomento diversissimo e ha fatto spettacoli su argomenti diversissimi, sull’eugenetica, sull’economia, la storia, spettacoli epistolari e via dicendo. Era ritenuto il fondatore del metodo Ronconi. Quando gli facevano leggere nelle recensioni termini come «ronconiano» o «ronconismo», diceva «che palle!». Ecco, la mia grande libertà nasce da questo, dalla voglia di andare a pescare, a trovare, di sporcarmi le mani all’interno non soltanto di modi diversi ma anche di generi diversi, perché pur essendo innamorato perso del teatro, è evidente che mi dedico anche ad altri tipi di scrittura. Avendo frequentato l’ambiente teatrale a Londra e a Broadway, che idea si è fatto di quello che è oggi il teatro italiano all’estero? Non mi piace parlare di cose che non mi riguardano, cioè di cose che

riguardano gli altri. Quando si parla di estero, si parla di tradizioni teatrali diverse e di storie che affondano radici nei secoli, proprio come quella del nostro teatro. Quello che accade nel teatro tedesco è radicalmente diverso da quello che accade nel teatro francese o inglese o americano. Cambia tutto, cambia il rapporto dello spettatore con il teatro. La prima volta che mi sedetti a vedere un mio spettacolo nel più importante teatro di Londra, i cinque seduti davanti a me andarono a comprarsi un cartoccio di pollo fritto e una lattina durante l’intervallo e assistettero al secondo tempo sgranocchiando pollo fritto e bevendo coca-cola. Un simile comportamento sarebbe impensabile al Piccolo Teatro di Milano o al Teatro Argentina di Roma. Questo che al principio mi scandalizzava era in realtà meraviglioso perché mi sono reso conto che avevano con il teatro un rapporto molto meno sacrale di noi. D’altra parte all’epoca di Shakespeare ci si abbracciava, si baciava, si faceva sesso in teatro. In America è ancora diverso. A New York il teatro si fa in un quartiere, Broadway. Decine e decine di teatri l’uno accanto all’altro, nello stesso quartiere, una cosa per noi impensabile. E la gente si affanna per la ricerca di un biglietto introvabile e costosissimo. Ho avuto successo prima all’estero che in patria, forse anche perché i miei testi sono in italiano e non in dialetto, dunque più facili da tradurre. E poi per i temi trattati. La domanda che m i veniva fatta sempre con Lehman Trilogy era come mai un toscano si era interessato alle vicende della Banca Lehman invece che a quelle del Monte dei Paschi, che è a chilometro zero… ma per il quale non ho mai provato nessun interesse! Sono fatto così. A proposito di estero, è la prima volta che mi esibisco nel Canton Ticino. Alcuni miei testi sono approdati sui vostri palcoscenici, ma non io personalmente come interprete. C’è sempre una prima volta.

Sinfonie che raccontano gli stati d’animo ai bimbi

Musica ◆ Domenica 14 maggio al LAC un regalo per la Festa della mamma: un concerto pensato per i più piccoli

Iniziare i bambini alla musica sinfonica, dirigere il primo concerto che resterà nel cuore e nella memoria di un piccolo umano è una grande gioia e una grande responsabilità. Anche un lavoro che lascia molto spazio alla creazione che non sempre è possibile nell’ambito della musica classica. Con questo spirito inizia la mia chiacchierata con Philippe Béran direttore d’orchestra – in particolare per l’opera – da una vita impegnato con passione e dedizione nel trasmettere la musica ai giovani e alle famiglie, Per dieci anni è stato responsabile del programma didattico dell’Orchestre de la Suisse Romande e dell’Orchestre de Chambre de Lausanne e poi dirige i giovani dell’Orchestre du Collège de Genève e insegna direzione d’orchestra alla Haute Ecole de Musique de Lausanne. La persona giusta dunque per la settimana (dall’8 al 12 maggio) dei Concerti per le scuole organizzata dall’OSI in

collaborazione con LAC edu. Settimana che culminerà con i due concerti per la Festa della mamma sempre al LAC domenica 14 maggio (uno alle 15:00 e uno alle 17:00). Come ci spiega Barbara Widmer, direttrice artistica dell’OSI, «si tratta di un progetto di mediazione culturale molto importante che rientra nel mandato dell’OSI. Nell’arco di una settimana offriamo ai bambini provenienti da tutta la Svizzera italiana la possibilità di fare un’esperienza unica e nuova: entrare per la prima volta in una sala da concerto, vedere un’orchestra che suona e presenta la musica del grande repertorio sinfonico in una veste pensata appositamente per loro».

Philippe Béran intanto mi racconta che il titolo del concerto di questa edizione – Arcobaleno – è declinato in modo interessante e sicuramente bello per i bambini: ogni sinfonia è associata ad un colore e ad una emozione. Così ad esempio la Sinfonia n.

5 di Beethoven è associata al viola e alla paura, Eine kleine Nachtmusik di Mozart al blu e alla gioia, il Don Giovanni di Mozart al giallo e all’entusiasmo, la Sinfonia n. 7 di Beethoven

e Salut all’amor di Elgar al rosso e alle emozioni che vanno dall’amore alla rabbia. Non è ancora tutto. Alle emozioni e ai colori, alle musiche si possono abbinare anche gli strumenti!

Legni, ottoni e timpani, ad esempio, sono strumenti coraggiosi.

«È un grande piacere suonare per i bambini e per le famiglie, dimostrare loro che la musica classica è qualcosa di molto naturale» dice Philippe Béran.

L’appuntamento dunque è per domenica 14 maggio, sul palcoscenico del LAC. A fianco dell’OSI diretta da Philippe Béran, ci sarà la presentatrice Carla Norghauer per gli spettacoli per le scuole e Francesca Margiotta per la Festa della mamma. Con loro anche l’illustratore Fabian Menor, che durante le esecuzioni disegnerà «in diretta» con l’aiuto di un proiettore, le emozioni ispirate dai vari brani proposti dall’OSI.

L’entrata al concerto è gratuita con biglietto prenotabile online o alla biglietteria del LAC. / N.F.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 8 maggio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino CULTURA 43
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© LAC

L’acqua che carezza i sensi

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Un drink che coglie in pieno l’anelito dei tempi

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nelito dei tempi. Nel drink confluiscono 3 delle attuali tendenze di punta dell’industria alimentare e delle bevande: l’esperienza del gusto, la maggior consapevolezza nel consumo e l’attenzione verso il prodotto naturale. Senza dimenticare,

da buon’ultima, l’esigenza oggi più che mai diffusa della riscoperta delle radici e del ritorno alle origini, in una realtà più a misura d’uomo e dai ritmi meno stressanti dove lasciarsi finalmente andare.

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Lazarus di Bowie al LAC

Spettacolo ◆ Valter Malosti in coproduzione con il LAC e con la partecipazione di Manuel Agnelli mette in scena l’addio del Duca Bianco

Il 7 dicembre del 2015 a Broadway il Duca Bianco faceva la sua ultima apparizione in pubblico. Gravemente ammalato – ma a quel tempo nessuno lo sapeva – con il brano e il musical Lazarus portava in scena la sua morte. Considerata a posteriori «il suo regalo d’addio al mondo» Lazarus – grandiosa opera rock scritta insieme al drammaturgo irlandese

Enda Walsh – si potrà ora assaporare al LAC il 18 e il 19 maggio alle 20:30 nella versione italiana che ve-

Via alle danze!

Festival ◆ Save the last dance for me di Sciarroni ha inaugurato la nuova edizione di Festa Danzante

Il ritorno sulla scena della Festa Danzante non poteva iniziare meglio con un’anteprima che ha avuto il pregio di farci fare un salto indietro nella storia. In occasione della giornata internazionale della danza, data simbolo per la manifestazione che si articola in tutta la Svizzera, all’Ex Asilo Ciani di Lugano si sono ritrovati attorno a un tavolo alcuni dei protagonisti della nascita della danza moderna e contemporanea nella nostra regione: Claudio Schott, Nunzia Tirelli, Claudio Prati, Ariella Vidach e Margit Huber. Un amarcord inserito nel cartellone su proposta di Katja Vaghi, danzatrice e ricercatrice, che nel 2021 ha ricevuto un finanziamento dall’Ufficio federale della cultura per sviluppare un progetto di ricerca focalizzato sulla figura di Claudio Schott nell’ambito della danza contemporanea in Ticino.

Save the last dance for me del coreografo Alessandro Sciarroni, una performance creata per i danzatori Gianmaria Borzillo e Giovanfrancesco Giannini

Anche questo è un modo per valorizzare il patrimonio e la memoria delle arti sceniche come parte della nostra storia culturale. Un patrocinio che si rivela importante soprattutto alla luce di una fase particolarmente difficile e delicata che sta attraversando la nostra realtà teatrale dove le precarie condizioni delle casse cantonali ricadono sui sostegni finanziari con decisioni che mettono a repentaglio la sopravvivenza di compagnie storiche.

Ben venga dunque anche un momento dedicato al ricordo di avventure artistiche, anelli di congiunzione fra passato e presente che raccontano percorsi formativi conseguiti all’estero come reazione a un contesto locale dove non esistevano che scuole di danza classica.

Esemplare il caso di Schott che dopo una scuola tradizionale emigra a Londra per inseguire un nuovo lessico (tecniche Graham, Cunningham e altro). Tornato in Ticino vi rimane dal 1981 al 1997. Dapprima fonda un gruppo integrandovi allievi prove-

nienti dalla classica con altri già formati. Nell’88 nasce il Progetto Danza/Hortus Saltationis: è il passaggio al professionismo. Mette in scena storie vestite in modo diverso, dalla solitudine all’omosessualità ai rapporti di coppia. Ma il Ticino gli va stretto e si trasferisce dapprima a Ginevra poi a Berna dove oggi risiede.

Margit Huber, dopo la formazione alla Sigur Leeder di Herisau e la danza Butoh, approda in Ticino nell’82 dove approfondisce ricerche su tematiche legate a elementi cosmici, l’I Ching e i quattro elementi. Nell’87 è fra i fondatori del TASI, un’associazione nata per diffondere la collaborazione e la difesa del teatro indipendente nella Svizzera italiana.

Per Nunzia Tirelli, teatro e danza corrispondono a un’unità esperienziale e formativa che pone al centro il Teatro delle Radici di Cristina Castrillo accanto alla Danza Terapia e la Danza Movimento Laban che sono alla base della sua ricerca sull’intensità del gesto e la psicologia del profondo.

Con Claudio Prati e Ariella Vidach, duo superpremiato protagonista da oltre trent’anni dell’incontro fra coreografia e realtà virtuale, alla base c’è la contact improvisation e la scuola americana, l’arte figurativa e plastica, il mimo e il teatro sperimentale. Insomma, avventure appassionanti che meriterebbero di essere viste in una prospettiva di rilancio per le giovani generazioni.

In chiusura d’anteprima la giornata ha proposto un altro salto ideale fra passato e presente. In collaborazione con il LAC si è potuto assistere a Save the last dance for me del coreografo Alessandro Sciarroni, una performance creata per i danzatori Gianmaria Borzillo e Giovanfrancesco Giannini (nella foto) sulle figure della polka chinata, storica danza maschile di coppia riletta in chiave contemporanea e ancora carica del suo fascino vorticoso e acrobatico.

Dal 9 al 14 maggio inizia la vera e propria Festa danzante a Lugano, Mendrisio, Bellinzona e Locarno con performance, happening, installazioni, proiezioni, conferenze, incontri, dimostrazioni, flashmob e laboratori, appuntamenti scelti con la finalità di avvicinare tutti alla scoperta della danza vissuta come piacere collettivo e momento artistico (festadanzante. ch/ticino).

Con «Azione» al LAC

«Azione» mette in palio alcuni biglietti per Lazarus, lo spettacolo di Valter Malosti in coproduzione con il LAC in programma giovedì 18 e venerdì 19 maggio alle 20.30 al LAC.

Per partecipare al concorso inviate una mail a giochi@azione.ch, oggetto «Lazarus» con i vostri dati (nome, cognome, indirizzo, no. di telefono) entro domenica 14 maggio alle 24.00.

de protagonista Manuel Agnelli –cantautore e storico frontman degli Afterhours.

Oltre a lui, nella versione italiana curata da Valter Malosti e coprodotta dal LAC, ci sono anche Casadilego e Michela Lucenti insieme a un cast di undici interpreti e una band di sette musicisti. «Guarda qui, sono in paradiso / Ho cicatrici che non si vedono / Ho il mio dramma, nessuno me lo può togliere / Tutti mi conoscono, adesso» recita la prima strofa di Lazarus, brano che naturalmente fa parte della pièce incentrata sulle vicende del migrante interstellare Thomas Jerome Newton, che avevamo conosciuto nel romanzo L’uomo che cadde sulla terra (1963) e la cui trasposizione cinematografica di Nicolas Roeg (1976), vide il Duca Bianco nei panni del protagonista in una delle sue migliori prove d’attore. Come recita la locandina, nella versione di Bowie e Walsh l’alieno è ancora sulla Terra, sempre più isolato dal mondo: rinchiuso nel suo appartamento, in preda ai fantasmi della sua psiche che mescola realtà e sogno. Prigioniero di sé stesso, vive sospeso al confine tra la vita e la morte: un moribondo che non riesce a morire; con la televisione accesa in un flusso continuo, i suoi pensieri so-

no intrisi del ricordo dell’amore per Mary-Lou, la cameriera conosciuta in un motel del New Mexico. I dialoghi visionari, surreali, neri e poeticamente grotteschi, con personaggi che forse sono proiezioni della mente delirante di Newton, si alternano alle canzoni. Bowie e Walsh hanno costruito una drammaturgia musicale frammentata e affascinante, che lega tra loro brani scritti appositamente per questa opera rock come Lazarus, oltre ai più grandi successi di Bowie, da Heroes a Life on Mars? fino a Changes. / Red.

una meraviglia dei mari

Perché il polpo ha tre cuori?

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La filosofia di Ohad Naharin

Danza ◆ MOMO e la Batsheva Dance Company hanno incantato il LAC

Assistere a uno spettacolo della Batsheva Dance Company è un’esperienza rara, un momento di danza prezioso, che confonde. La capacità che Ohad Naharin ha di valorizzare la personalità di ogni suo interprete spingendolo a cercare il movimento dentro di sé al di là di ogni imperativo estetico, impregna ogni coreografia. Al contempo rigorose e spontanee, le creazioni di Naharin, direttore artistico della compagnia per quasi trent’anni e oggi coreografo residente, sprigionano qualcosa di molto singolare, riconducibile anche alle varie esperienze che ha vissuto, alla sua cultura e al suo originale e personale approccio alla danza.

La filosofia Gaga è stata concettualizzata per ampliare la coscienza dell’interprete rispetto alle proprie sensazioni corporee

Nato in un kibbutz a Mizra, Israele, da genitori che hanno saputo sviluppare la sua creatività, pupillo della straordinaria e complessa Martha Graham e formatosi in scuole prestigiose quali la Juilliard e l’American Ballet, ma anche membro della compagnia di Maurice Béjart che ha abbandonato dopo un anno, Ohad Naharin ha assorbito tutte queste esperienze facendole sue. Guidato dalle prime sensazioni provate ballando, dalla gioia spontanea risentita nel corpo che si muove al ritmo della musica, il coreografo israeliano ha maturato una filosofia della danza che ha chiamato Gaga, un nome che evoca i primi suoni pronunciati dai bambini. La spontaneità, la ricerca delle sensazioni che danno vita a un gesto al di là del suo significato, delle sue connotazioni culturali e delle sue qualità estetiche, stanno alla base del suo potente linguaggio coreografico che esplora ogni piccola, piccolissima parte del nostro corpo.

Il Gaga è stato concettualizzato con l’intento di ampliare la coscienza dell’interprete rispetto alle proprie sensazioni corporee e di permettergli, allo stesso tempo, di liberarsi da automatismi propri alla danza (classica ma anche contemporanea), di andare oltre la rassicurante familiarità della tecnica. Si tratta di un linguaggio

«interno» che nasce dalla soggettività di ognuno, che quando prende vita sul palco ha qualcosa di piacevolmente spaventoso, di spontaneo e vero. Togliendo gli specchi dalla sala prove, Naharin la trasforma in spazio rituale, ridirige lo sguardo degli interpreti all’interno del proprio corpo e ridà alle sensazioni, piacevoli ma anche dolorose, tutto lo spazio che meritano. Invece di spingere i corpi dei ballerini ai limiti delle loro capacità, utilizzandoli come semplici strumenti al servizio di un’idea coreografica suprema, il padre del Gaga li incita ad ascoltarsi, a essere umanamente imperfetti. Dando la possibilità anche ai non professionisti di tutte le età di sperimentare la sua filosofia della danza, Ohad Naharin rivendica un movimento non per forza estetico o performativo ma autentico, una danza per tutti che non può non ricordarci quella promossa dall’immensa Anna Halprin.

MOMO, il suo ultimo spettacolo presentato in prima svizzera al LAC in aprile, è il frutto di questa ricerca minuziosa, il riflesso del rapporto di fiducia che unisce il coreografo ai suoi ballerini, molti dei quali si sono formati presso l’ensemble junior della compagnia e che hanno partecipato, con Ariel Cohen, lui stesso ex ballerino della Batsheva, alla scrittura della coreografia. Si tratta di una vera e propria co-creazione che, rompendo qualsiasi gerarchia, si nutre delle sensibilità di ogni interprete. È proprio della rottura degli schemi tradiziona-

li di pensiero e della rimessa in questione delle soffocanti categorie sociali che MOMO parla.

Sul palco convivono due coreografie apparentemente distinte: una interpretata da quattro ballerini «uomini» che indossano solo un paio di pantaloni militari e si muovono all’unisono, come un solo corpo, e una seconda che nasce dall’incontro di sette interpreti identificabili come «donne» e persone queer. Questo secondo gruppo si oppone alla sincronia del quartetto attraverso una serie di assoli dal sapore improvvisato durante i quali i ballerini danno catarticamente sfogo alle loro emozioni, esplorano movimenti atipici godendo del piacere di danzare. I due gruppi non evolvono, come sembrerebbe, in modo indipendente: la sincronia militaresca per il primo e la gioiosa fluidità per il secondo, si invertono, gli uni sperimentano le emozioni degli altri trasformando il palco in uno spazio di ricerca. Gli spettatori sono allora spinti a riconsiderare l’insieme allontanandosi dalla solita logica manichea fra bene e male, libertà e prigionia, maschile e femminile.

Ohad Naharin scava nel profondo dei suoi interpreti e cerca ciò che li accomuna nelle loro luminose e umane imperfezioni. La musica, affascinante e potente di Laurie Anderson e Philip Glass, arricchita dalle misteriose melodie create dall’artista trans queer venezuelana Arca, partecipa alla costruzione di un rituale condiviso che tocca nel profondo.

I Pilastri della società di Ibsen

Teatro ◆ Il dramma in cartellone a Lucerna

Marinella Polli

I Pilastri della società è un dramma di Henrik Ibsen, oggi raramente messo in scena. Oltre a colpire profondamente il pubblico nel 1877, si rivela sempre di grande attualità, in quanto fotografa attitudini e situazioni tipiche di ogni tempo. Un duro, feroce dramma che, se confrontato con opere antecedenti, costituisce un cambiamento determinante nel teatro ibseniano. Unitamente a immensi capolavori come per esempio Casa di Bambola (1879), Spettri (1881), L’Anitra selvatica (1884) e Hedda Gabler (1890), questo è il primo di una proficua stagione creativa cosiddetta più sociale del grande autore norvegese e di quel suo tipico realismo borghese. Evidenziando come disonestà e falsità, ipocrisia e Lebenslüge non risiedano tanto nelle istituzioni, bensì nell’individuo, anche questo complesso lavoro indaga segreti, pregiudizi e ipocrisie dei personaggi, al punto da farli diventare i veri protagonisti in scena: i pilastri, appunto, su cui poggia la società. Perfetto rappresentante di tale società dalla superficie levigata ma meschina e corrotta, è il console Karsten Bernick, ricco armatore a cui la città intera deve ogni possibilità di lavoro e di benessere. Katja Langenbach, regista dell’attuale produzione in cartellone al Luzerner Theater (in un’elaborazione curata da Eva Böhmer) sposta l’azione ai giorni nostri, muovendo da una concezione che, pur ossequiando il messaggio di Ibsen, sfocia però spesso nella caricatura. La scenografia multicolor di Hella Prokoph, i costumi luccicanti di Julia Ströder, i molti accenni ai social (video di Re-

becca Stofer), insomma effetti esagerati, rivelano poco del contrasto fra l’ostentato perbenismo e moralismo e il vero messaggio ibseniano su verità e libertà individuale.

Riguardo alla recitazione, impeccabile Christian Baumbach nei panni di Karstens Bernick, solo di facciata uomo integerrimo, e con tutto un impero costruito sulla menzogna. Gli si contrappone Tini Prüfert nei panni dell’aggressiva, emancipata, spregiudicata Lona, che la regista vuole enfaticamente americana. Obbedienti ai dettami della Langenbach anche Hanna Binder nel ruolo di Betty la moglie di Bernick, da lui sposata solo perché ricca, Amélie Louise Hug in quelli di Oda (in questa messinscena al posto di Olaf del testo originale). Caricaturale anche il monologo finale, con Bernick che si rivolge alla città rivelando la verità a lungo inconfessata, ma così garantendosi per giunta comprensione, perdono e ammirazione.

Ricordiamo ancora che, prima dell’inizio della rappresentazione, il pubblico viene invitato dall’onnipresente life coach di Bernick (ruolo aggiunto interpretato con entusiasmo da Christian Baus) a farsi fotografare sul sofà di casa Bernick. Al termine delle due ore di spettacolo, applausi assai calorosi all’indirizzo di tutti gli attori e del team registico.

Dove e quando Stützen der Gesellschaft in cartellone al Luzerner Theater fino al 2 giugno. www.luzernertheater.ch

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vitamine Frutta e verdura 2 Migros Ticino 1.10 invece di 1.50 Manghi Perù/Costa d'Avorio, il pezzo a partire da 2 pezzi –.40 di riduzione 5.95 invece di 8.75 Rabarbaro Svizzera, al kg 32%
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invece di 5.95 Pesche noci gialle Spagna, al kg
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Vitamin Bag: riempila a piacimento

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Le insalate bio vengono coltivate senza pesticidi né fertilizzanti chimici di sintesi. A tal ne, già prima della semina il terreno viene accuratamente preparato con compost. In Svizzera diverse varietà di insalate bio vengono raccolte quasi tutto l'anno. E sui nostri campi la cicoria belga cresce addirittura tutto l'anno.

3 Offerte valide dal 9.5 al 15.5.2023, fino a esaurimento dello stock.
Tutti i cespi di
bio e Demeter
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Migros Ticino
insalata
Svizzera,
es. lattuga cappuccio verde Migros Bio, il pezzo, 2.20 invece di 2.80
UMBRÜCHE SOBALD IM 60 Verdura per ratatouille, Vitamin Bag, da riempire peperoni rossi e gialli, zucchine, melanzane, pomodori a grappolo, cipolle gialle (prodotti bio e Demeter esclusi), Svizzera, almeno 2,4 kg

Una bontà per ogni eventualità, e per di più in qualità bio

Produzione conforme alle severe direttive dell'ordinanza svizzera sull'agricoltura biologica

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2.95 Le Gruyère piccante Migros Bio, AOP per 100 g, prodotto confezionato

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Carne e
Migros Ticino
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Vassoio
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misto ticinese Rapelli Svizzera, in conf. speciale, 125 g
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5.55 invece di 6.95 Prosciutto affumicato di campagna affettato Migros Bio Svizzera, in conf. speciale, per 100 g 20%
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Dadini di
Bio Svizzera, in conf. speciale,
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4
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5 Offerte valide dal 9.5 al 15.5.2023, fino a esaurimento dello stock. Migros Ticino 2.90 invece di 3.65 Medaglioni di pollo Optigal Svizzera, per 100 g, in self-service 20% 4.70 invece di 5.90 Bistecche di scamone di manzo Black Angus M-Classic Uruguay, in conf. speciale, 2 pezzi, per 100 g 20% 1.80 invece di 3.15 Bistecche di lonza di maiale marinate Grill mi, IP-SUISSE in conf. speciale, 4 pezzi, per 100 g 42% Da rispettosaproduzione animalidegli e dell'ambiente 3.05 invece di 4.20 Salametti a pasta grossa prodotti in Ticino, in conf. da 2 pezzi, per 100 g 27% 3.75 invece di 4.45 Spezzatino di vitello, IP-SUISSE per 100 g, in self-service 15% 7.50 invece di 11.–Luganighetta Svizzera, 2 x 250 g conf. da 2 31% 5.25 invece di 6.60 Hamburger di manzo classici Svizzera, 2 x 120 g conf. da 2 20% rispettosa dell'ambientedegli 2.–invece di 2.60 Carne macinata di manzo Migros Bio Svizzera, per 100 g, in self-service 23% 6.95 invece di 9.95 Polli interi Optigal Svizzera, 2 pezzi, al kg, in self-service 30% 1.95 invece di 2.60 Arrosto alla ticinese, IP-SUISSE maiale, per 100 g, in self-service 25%

Croccanti o dolci che siano, bio son quasi tutti

Disponibile

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Salmone affumicato dell'Atlantico, ASC d'allevamento, Norvegia, in conf. speciale, 300 g

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Pangasio in leggera panatura al limone Pelican, ASC o nasello del Capo Pelican, MSC prodotto surgelato, per es. pangasio in leggera panatura al limone, ASC, 2 x 300 g, 7.95 invece di 11.90

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Filetti di sogliola limanda per es. M-Classic, selvatico, Oceano Atlantico nord-orientale, per 100 g, 4.95 invece di 6.20, in self-service

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surgelati, sgusciati e cotti, 800 g

Per far restare i gamberetti belli succosi, rosolali per circa 2 minuti in olio di oliva e poi condiscili con sale e pepe. Sono perfetti come stuzzichino per l'aperitivo, per impreziosire le insalate o preparare un delizioso pasto principale. Più consigli di preparazione e informazioni sull'assortimento di frutti di mare in qualità bio sono disponibili al banco del pesce.

Tutti i gamberi bio al banco per es. code di gambero Migros Bio, d'allevamento, Vietnam, per 100 g, 5.– invece di 6.60

Pesce e frutti di mare 7 Offerte valide dal 9.5 al 15.5.2023, fino a esaurimento dello stock. Migros Ticino

Spesso sono bio, sempre son bontà

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Da svizzerolattebio

Formaggella Blenio «Ra Crénga dra Vâll da Brégn» per 100 g

3.95 Mini Babybel Plant-Based prodotto vegano, 100 g, in vendita nelle maggiori filiali

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Yogurt Migros Bio disponibili in diverse varietà, per es. cioccolato, Fairtrade, 4 x 180 g, 3.– invece di 3.80

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Tutti i formaggi da grigliare o rosolare in self-service per es. halloumi Taverna, 250 g, 4.15 invece di 4.85

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San Gottardo Prealpi per 100 g, confezionato

1.80 invece di 2.15

Le Gruyère piccante, AOP per 100 g, confezionato

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Italiano, orientale o svizzero?

Tutto servito in un lampo!

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Ravioli Anna's Best mozzarella e pomodoro o ricotta e spinaci, per es. mozzarella e pomodoro, 3 x 250 g

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3.95 Hummus alle olive Anna's Best 200 g

Quando la sostenibilità si unisce alla praticità

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Tutte le insalate da taglio e le insalate di verdure Migros bio lavate, pronte al consumo, per es. insalata iceberg, 150 g, 1.80 invece di 2.30

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5.95 Heura Burger Chorizo Style 2 pezzi, 220 g

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Pizze dal forno a legna Anna's Best mini prosciutto o prosciutto & mascarpone, in confezioni multiple, per es. mini prosciutto, 3 x 210 g, 8.50 invece di 11.85

Prodotti freschi e pronti 10
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3
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LO SAPEVI?

Per i nuovi prodotti Migros

DAILY ci siamo messi in cucina con il team di NENI e abbiamo sviluppato prelibatezze che vengono preparate fresche ogni giorno. Le bowl con baba ganoush, hummus e simili sono perfette fuori casa o come «sharing bowl» per una tavolata orientale.

11 Offerte valide dal 9.5 al 15.5.2023, fino a esaurimento dello stock. 4.50 Sausage Spicy Grill mi, V-Love 200 g 20x CUMULUS Novità 5.95 Peppery Steak Grill mi, V-Love 2 pezzi, 200 g 20x CUMULUS Novità 4.50 Sausage Pizza Style Grill mi, V-Love 200 g 20x CUMULUS Novità
Tutto l'assortimento Neni e Daily by Neni per es. Jerusalem Chicken Daily by Neni, 285 g, 8.50 20x CUMULUS Novità

Coccole e delizie

LO SAPEVI?

In Svizzera, dal 1930 si festeggiano ogni seconda domenica di maggio le nostre mamme. Ma un evviva lo meritano anche i papà. La prossima domenica viziamo sia la mamma che il papà. Senza dimenticarci di farlo ripetutamente anche durante l'anno.

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Donuts con

Dreamy

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12
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2
Dots ripieno o White Cream & Strawberry, per es. Dreamy, 4 pezzi, 285 g, 6.80 invece di 8.50, prodotto confezionato Palline Lindt Lindor disponibili in diverse varietà, 200 g e 500 g, per es. al latte, 200 g, 8.– invece di 9.95
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pezzi 20%
Tutte i truffes Frey (confezioni multiple escluse), per es. Truffes assortiti, 230 g, 6.80 invece di 8.50 Festa della mamma

Un regalo che è garanzia di gioia e sorrisi

13.95 Rose M-Classic, Fairtrade disponibili in diversi colori, mazzo da 10, lunghezza dello stelo 50 cm, per es. rosse e rosa, il mazzo

24.95 Phalaenopsis Cascade, 2 steli

disponibile in diversi colori, in vaso di ceramica, Ø 12 cm, per es. pink, il vaso

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Prodotti per la doccia o lozioni per il corpo Kneipp in confezioni multiple, per es. lozione per il corpo ai fiori di mandorlo, 2 x 200 ml, 17.90 invece di 23.90

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Composizione floreale con Cymbidium la composizione

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Qui ce n’è da far venire l’acquolina in bocca ...

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Sea Salt, Sea Salt & Malt vinegar o Mature Cheddar & Spring Onion, per es. Sea Salt, 150 g

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Snacketti Zweifel Paprika Shells, Dancer Cream o Bacon Strips flavour, per es. Paprika Shells, 2 x 225 g

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Cornetti Fun alla vaniglia e alla fragola

prodotto surgelato, in conf. speciale, 16 pezzi, 16 x 145 ml

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Dolce e salato
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Con i migliori ingredienti bio e senza aromi artificiali

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Tutto l'assortimento di dolciumi Migros Bio (prodotti Alnatura esclusi), per es. Cremant, Fairtrade, 100 g, 1.60 invece di 2.–

a partire da 2 pezzi –.60 di riduzione

Tutti i biscotti Tradition per es. Petits Cœurs al limone, 200 g, 3.– invece di 3.60

20x CUMULUS Novità

3.95 Pecan Coco Choco bio Farm Brothers 150 g, in vendita nelle maggiori filiali

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Tavolette di cioccolato Frey al latte e nocciole, al latte finissimo o Giandor, 6 x 100 g, per es. al latte e nocciole, 8.– invece di 11.70

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10.–invece di 12.60

Biscotti Ovomaltine Crunchy o Petit Beurre, per es. Crunchy, 3 x 250 g

4.50 Kinder Joy in conf. speciale, 3 x 20 g

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Grande scelta di prodotti bio, piccoli prezzi

Tutte le noci e tutta la frutta secca Migros Bio

(prodotti Alnatura e Demeter esclusi), per es. gherigli di noce, 100 g, 2.80 invece di 3.30

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I contadini bio coltivano il caffè in sintonia con la natura. Hanno inoltre a cuore non solo il bene delle persone, degli animali e delle piante, ma anche la fertilità dei terreni, la biodiversità naturale e l’uso rispettoso dell’acqua. Fanno quindi il possibile perché anche le generazioni future possano gustarsi prodotti bio di alta qualità.

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Tutto l'assortimento di caffè Migros Bio

Tutti i cereali e i semi per la colazione Migros Bio per es. fiocchi d'avena fini, 400 g, 1.40 invece di 1.75

(prodotti CoffeeB esclusi), per es. macinato, Fairtrade, 500 g, 6.95 invece di 8.70

Scorta 16
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Tutte le spezie bio

(prodotti Alnatura esclusi), per es. erbe per insalata, 58 g, 1.85 invece di 2.35

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Tutti i tè e le tisane Bio (prodotti Alnatura esclusi), per es. alla menta, 20 bustine, –.80 invece di 1.10

Di alta qualità e dal gusto raffinato

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Tutta la quinoa, le lenticchie, i ceci e il couscous Migros Bio (prodotti Alnatura esclusi), per es. lenticchie rosse, 500 g, 2.30 invece di 2.90

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Tutti i tipi di olio e aceto Migros Bio per es. olio d'oliva greco, 500 ml, 5.90 invece di 7.40

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Eritritolo o sostituto dello zucchero M-Classic per es. eritritolo, 500 g, 6.50

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Rio Mare disponibile in diverse varietà e in confezioni multiple, per es. Tonno al Naturale, 3 x 112 g, 11.– invece di 14.10

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Bollicine per godersi un aperitivo analcolico

Bevande 18 Con aromi naturali Coca-Cola e Fanta in confezioni multiple, 6 x 500 ml, 6 x 330 ml, 6 x 1,5 l o 4 x 900 ml, per es. Coca-Cola, 6 x 1,5 l, 9.65 invece di 13.80 conf. da 6 30% Tutto l'assortimento di bevande Orangina, Oasis e Gatorade per es. Orangina Original, 6 x 1,5 l, 7.95 invece di 13.50 conf. da 6 40% Tutti gli sciroppi Migros Bio per es. lampone, 500 ml, 3.95 invece di 4.95 20% 8.40 invece di 16.80 Aproz Classic o Cristal, 12 + 12 gratis, 24 x 500 ml conf. da 24 50% Tutti i succhi freschi e le composte Andros per es. succo d'arancia, 1 l, 4.– invece di 5.10 20%

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Sciroppo ciliegia-ibisco 750

2.20 Lohilo Sun Kissed, Day Dream o Unicorn Dreams, 330 ml, in vendita nelle maggiori

2.10 Vyte Berry Mix o Cactus Fruit

Mate 330 ml, in vendita nelle maggiori filiali 20x

Con acqua arricchitafrizzante di estratto di frutta, senza zucchero

2.30 Remedy Kombucha Wild Berry o Ginger Lemon 250 ml

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2.40 Reloadz Berry o Tropic 500 ml

1.80 Dash Peaches, Raspberries o Blackcurrants, 330 ml

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2.30 LevlUp Galaxy o Shiny Dragon 500 ml CUMULUS Novità
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