Azione 23 del 3 giugno 2024

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MONDO MIGROS

Pagine 2 / 4 – 5

SOCIETÀ Pagina 3

Contro l’esclusione, detta «dolore sociale», servono regole condivise e sviluppo del senso di appartenenza

Stefania Beretta ricama le proprie foto con fili colorati che legano e collegano tutte le cose del mondo

TEMPO LIBERO Pagina 15

Più energia sicura e pulita? In Svizzera, il 9 giugno, al voto la legge sull’elettricità

ATTUALITÀ Pagina 23

L’accessibilità con un sorriso

Emily Brontë, l’autrice inglese e romantica di Cime tempestose, era anche una finissima penna lirica

CULTURA Pagina 35

Lotta climatica, largo ai vecchi

Poco meno di un mese fa, la notizia del fermo di Greta unberg all’esterno dello stadio di Malmö durante la finale di Eurovision è passata quasi inosservata. Per noi svizzeri era un curioso corollario al trionfo di Nemo alla kermesse canora. Ma oggi mi chiedo se l’immagine di lei con la kefiah al collo non segni un passaggio simbolico di consegne nell’agenda delle proteste giovanili dalla causa del clima a quella della Palestina. È solo una suggestione, ma non riesco a liberarmene. Greta ha il sacrosanto diritto di lottare per due cause diverse. Ma mi chiedo: se pure lei, leader della rivolta della generazione Z contro i misfatti degli adulti in materia climatica, glissa dalla battaglia sul surriscaldamento globale allo scempio del Medio Oriente, se anche lei «si distrae» dalla sua causa, come possiamo pensare che i giovani e a maggior ragione i meno giovani continuino a considerare l’emergenza climatica la sfida numero uno dell’umanità?

La domanda assume un particolare rilievo a pochi giorni dal voto europeo. Ricordate l’afflato ecologico della Commissione von der Leyen nel ? Le promesse erano gigantesche: ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il % entro il  rispetto ai livelli del , conseguire la neutralità climatica entro il , dissociare la crescita economica dall’uso delle risorse del pianeta, piantare  miliardi di nuovi alberi nell’Ue entro il . L’avevano definito il Green Deal. E chissà, forse, se nel  non fossero partiti due anni di pandemia, usciti dai quali è arrivata l’invasione russa dell’Ucraina e poi, nell’autunno scorso, la guerra su Gaza, oggi l’esigenza di un mondo ecologicamente sostenibile sarebbe ancora in cima alle classifiche delle più vive preoccupazioni. Non è così. L’Eurobarometro – l’insieme di sondaggi d’opinione pubblica della Commissione europea – del  maggio avverte che più di tre

quarti degli europei (%) vorrebbero una politica di sicurezza e di difesa comune tra i Paesi Ue, e sette cittadini su dieci (%) concordano sulla necessità di rafforzare la sua capacità di produrre armi. Gli europei sognano poi un continente in grado di difendere gli interessi economici dell’Europa nell’economia globale (%). Clima e ambiente? Sì, se ne parla: per il % degli intervistati restano un ambito prioritario d’azione. Ma a medio termine. Fine dell’emergenza. Non è una derubricazione d’importanza, è una delegittimazione morale. Molte forze politiche di destra date per vincenti alle europee oggi denunciano l’«ecologia punitiva» del Green Deal, ovvero la presunta natura liberticida delle misure pensate per diminuire l’impatto sull’ambiente delle energie non rinnovabili (le autostrade a  km/h, i limiti ai viaggi aerei, la riduzione del consumo di carne, il divieto dei SUV, l’agricoltura intensiva…).

L’emergenza climatica, nel frattempo è tutt’altro che sparita: il  è stato l’anno più torrido mai registrato su scala globale, con una differenza di ,°C rispetto alla media -. Eppure, l’ecologia rischia di essere il capro espiatorio di tutte le crisi in corso. E così, tornando alle suggestioni, trovo simbolico un altro invisibile passaggio di consegne. Quello tra Fridays for Future, il movimento creato cinque anni fa da un’allora quindicenne Greta unberg e Anziane per il clima, il gruppo di pensionate svizzere che ha strappato alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo una stupefacente sentenza di condanna al nostro Paese per violazione dei diritti umani nella sua politica climatica. Dai più giovani ai più vecchi, insomma, saltando una generazione fondamentale: quella degli adulti con potere decisionale che ci governeranno negli anni a venire.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 3 giugno 2024
Migros Ticino
23 ◆ ● G.A.A.  San t’Antonino
Cooperativa
edizione
Simona Sala Pagine 8-9 Carlo Silini

A 1704 metri d’altitudine con Michelle Hunziker

Monte Generoso ◆ L’ambasciatrice italiana di Svizzera Turismo racconta il suo rapporto con la natura, il Ticino e la famiglia

Enza Di Santo

In questa primavera caratterizzata da pioggia e temperature decisamente al di sotto della media stagionale, domenica  maggio il cielo ha temporaneamente dato una tregua anche al Mendrisiotto, dove si svolgeva un appuntamento importante. La ferrovia del Monte Generoso ha infatti ottenuto il label Swisstainable Level III (sui cui contenuti torneremo in uno dei prossimi numeri) potendo contare su una madrina d’eccezione come lo è Michelle Hunziker, brand ambassador di Svizzera Turismo Italia. Abbiamo incontrato Michelle Hunziker in Vetta.

Michelle Hunziker, lei è Ambasciatrice di Svizzera Turismo in Italia, cosa significa per lei «vivere da vicino» la natura del territorio svizzero?

Significa in qualche modo tornare alle mie origini – anche se non sono mai veramente mancata, poiché oggi sono milanese – e apprezzare tantissimo ciò che ci avevano insegnato da ragazzini, ormai diventato un punto forte della Svizzera. Il fatto di essere così ad alti livelli per quanto riguarda la sostenibilità, la natura, la pulizia e la bellezza è bellissimo, e questa cosa la sento.

Rispetto al resto della Svizzera, quali sono le particolarità del Canton Ticino che sente più sue e che suscitano ricordi?

Io collego tanti ricordi, anche d’infanzia, a mio padre. Il lago, il motoscafo, mangiare al grotto e poi tante risate, il bicchierino di vino con il tomino… Lugano era veramente la città del mio papà. Quando venivo a trovarlo passavamo dei momenti molto emozionanti insieme.

Per questo in Ticino la sentiamo come una di noi…

Mi sento una di voi (ride). Sono nata a Lugano, ho fatto nascere qua Aurora, e ci ho tenuto molto che anche mio nipote nascesse qui. Le mie piccole, Sole e Celeste, non sono nate in Svizzera solo perché stavo lavorando mentre ero incinta, altrimenti avrei fatto nascere tutti qui.

Poco più di un anno fa, al «Corriere del Ticino», nell’ambito di Svizzera Turismo ha detto: «Sto scoprendo angoli incredibili», il Monte Generoso è fra questi?

Assolutamente! Mi piace l’idea di scoprire la Svizzera per poterla far scoprire anche agli altri, perfino agli stessi svizzeri. Da ragazzina non capitava di viaggiare così tanto e nella quotidianità non sempre è possibile. È strano, dopo anni, proprio adesso scopro le esperienze che si possono fare con la famiglia in questo bellissimo Paese. Essendo mamma e nonna, è bello far capire che proprio fuori porta si possano fare un sacco di cose con la famiglia.

A colazione al LAC con il Triangolo

Il Monte Generoso è un’oasi di pace, come ha potuto constatare anche Michelle Hunziker. (Svizzera Turismo)

È già venuta con la famiglia sul Monte Generoso?

Questa è la prima volta. Mi è dispiaciuto molto non avere le bambine con me oggi, ma ritornerò insieme a loro per fare una bella esperienza.

Qual è la sua impressione di questo luogo?

Pace. Salendo con il trenino, a metà percorso ho cominciato a vedere questo polmone verde, questo bosco, e da subito mi ha trasmesso pace.

Quanto si rispecchia nei valori promossi dal label Swisstainable? Nel mio quotidiano sono molto attenta all’ambiente. Ritengo che sia

Appuntamenti ◆ Colazione benefica con l’Associazione Triangolo; oltre a un ricco buffet, anche animazioni musicali e per i più piccoli

Manca poco all’ giugno, giorno in cui ritornerà l’apprezzata iniziativa Colazione in Piazza dell’Associazione Triangolo. Volontariato e assistenza per il paziente oncologico.

Dopo la prima edizione del  in Piazzetta San Carlo a Lugano, quest’anno organizzatrici e organizzatori vi aspettano numerose/i nel suggestivo scenario di Piazza Luini, di fronte al LAC. Per l’occasione (e con l’aiuto di Migros Ticino), all’esterno sarà allestito un ricco buffet con trecce, varietà di pane, marmellate, formaggi, gipfel, tè, caffè e succhi, e si potrà consumare la colazio-

ne ai tavoli disposti in Piazza. Nel corso della colazione si alterneranno diversi momenti musicali dal vivo, compresa un’esibizione dei suonatori di corno delle alpi, e vi sarà spazio anche per l’intrattenimento dei più piccoli.

l’ABC dell’educazione e dovrebbe essere normale. Gi svizzeri sono di grande esempio per tutti sotto questo aspetto. La Svizzera può davvero insegnare la cultura dell’educazione, del rispetto dell’ambiente, di quanto il futuro si possa basare solo su questo. Non può occuparsene solo il singolo, ma deve essere il Paese intero a farlo, e la Svizzera lo fa, per questo io mi ci rispecchio sperando che anche gli altri possano «copiare».

Qual è il suo rapporto con la natura?

Quali sono le attività all’aperto che le permettono di entrare a contatto con la natura?

A me piace tutto ciò che implica sforzo, sono molto sportiva, per cui se mi metti su una bicicletta sono felicissima. Quando sono in montagna, mi piacciono le ferrate e le arrampicate, ma amo anche fare una semplice camminata per andare alla scoperta di tutte le valli per poi raggiungere un rifugio e, immancabilmente, mangiare: perché uno deve sempre avere anche la gratificazione! Tutto quello che si può fare all’aperto lo faccio, eccetto attività come il parapendio e cose del genere, poiché ho paura di volare.

Oltre allo sport, ci sono altre attività che ama svolgere nella natura, come ad esempio il giardinaggio?

Non mi sono ancora data al giardinaggio, non ne ho avuto il tempo! Trovo che sia qualcosa di meraviglioso, un contatto con la terra stupendo. Vedo che chi si dà al giardinaggio e sta tanto all’aria aperta prende il sole facendo dei movimenti quasi meditativi.

La natura ti riporta proprio in equilibrio con te stessa. Io, come tutti, lavoro tanto. Siamo sempre stressati e la natura è il momento in cui rallenti, ti ritrovi e rimetti a posto le priorità. La mia priorità è sempre rappresentata dalla famiglia e dalle mie bambine. Oggi è tutto velocizzato, è come se non vivessimo la nostra vita e non fossimo protagonisti del nostro film; la natura, invece, fa sì che si possa rallentare e tornare in sé.

Arbedo-Castione, locale e sostenibile

Info Migros ◆ Un supermercato in tutto e per tutto locale, sostenibile e certificato

Obiettivo della colazione è fare conoscere le attività dell’Associazione Triangolo, i suoi molteplici obiettivi e il messaggio che vuole dare. Portare in piazza amiche e amici, parenti e famigliari, colleghe e colleghi permetterà a persone nuove di scoprire i vari campi di intervento del Triangolo, oltre che di trascorrere una mattinata primaverile in compagnia.

Dove e quando

Colazione in piazza, 8 giugno 2024, Lugano, Piazza Luini.

Orario: 9.00-13.00

Ingresso: 20 CHF; gratuito per bambini sotto i 12 anni Info: www.triangolo.ch

Indirizzo postale

Redazione Azione CP 1055 CH-6901 Lugano

La Cooperativa regionale Migros Ticino è felice di annunciare che la fruttuosa collaborazione con la rinomata azienda locale Veragouth e Xilema, protagonista in Ticino da quasi un secolo nel settore della falegnameria e carpenteria edile, ha portato alla significativa attestazione dell’edificio che ospita il supermercato di Arbedo-Castione da parte del Label Legno Svizzero (nella foto, il momento della certificazione consegnata da Giacomo Veragouth, secondo da destra, a Willy Zanini, Resp. dipartimento logistica, tecnica e immobili di Migros Ticino; a sin. l’arch. Sacha Denicolà e a destra l’ing. di Veragouth sa Marius Pabst).

La struttura dello stabile che ospita la nostra rinnovata filiale è la prima certificata nella Svizzera italiana con questo importante marchio distintivo. Il Label garantisce che il lamellare in legno utilizzato per il portico in abete del supermercato provenga interamente da alberi tagliati in Svizzera, da forestali indigeni certificati Legno Svizzero e che quest’ultimo sia stato poi lavorato su suolo nazionale in una

Posta elettronica info@azione.ch societa@azione.ch tempolibero@azione.ch attualita@azione.ch cultura@azione.ch

Pubblicità

Ticino

pubblicita@migrosticino.ch

segheria certificata Legno Svizzero e posato da una carpenteria elvetica, anch’essa certificata Legno Svizzero. Il progetto dell’ampliamento è stato ideato e curato dallo studio di architettura Denicolà Architetti Associati di Bellinzona.

Sulla copertura, come ciliegina sulla torta, è stato posato un nuovo performante impianto fotovoltaico di  kW/p, che rende la costruzione energeticamente ancor più sostenibile.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 3 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 2
L’appuntamento dell’8 giugno sarà in Piazza Luini. (© LAC 2015 – Foto Studio Pagi) azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Abbonamenti e cambio indirizzi tel +41 91 850 82 31 lu–ve 9.00 –11.00 / 14.00 –16.00 registro.soci@migrosticino.ch Redazione Carlo Silini
Simona Sala Barbara Manzoni Manuela Mazzi Romina Borla Natascha Fioretti Ivan Leoni
(redattore responsabile)
Telefono tel + 41 91
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SOCIETÀ

La città di domani

Emanuele Saurwein nel suo saggio

Per un domani riflette sul nostro modo di abitare il pianeta

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Il valore delle parole

Intervista alla professoressa Sara Greco sull’importanza del dialogo anche nelle relazioni familiari

Pagina 7

La spesa accessibile

La filiale di Molino Nuovo e la collaborazione tra Migros Ticino e Team Ticino Accessibile

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Il dolore «fisico» dell’esclusione sociale

#join4respect ◆ Le nuove sfide dei giovani fra uso dei social, bullismo e cyberbullismo

Una ragazzina di prima media racconta, davanti a tutta la classe, di aver vissuto l’esclusione a scuola elementare e di essere stata ripetutamente presa in giro per la sua situazione famigliare. Lo racconta di fronte a tutti i compagni che restano in silenzio per alcuni minuti. Parla della sua fatica, ma soprattutto la fatica nel sentirsi additata come diversa, come sbagliata da tutti i suoi pari: «Nessuno ha mai detto niente per sostenermi, io non ho nessuna colpa se la mia situazione è questa».

Un ragazzino su tre ha già vissuto esperienze di bullismo, e nei Paesi industrializzati dal 5 al 20% dei giovani è vittima di cyberbullismo

Un ragazzino di seconda media racconta che, per una sua caratteristica fisica, alle elementari veniva preso in giro. All’inizio erano delle battute di alcuni compagni e la sua strategia era quella di passarci sopra, di non pensarci, di ridere, «anche se dentro mi sentivo molto male». Le battute diventano violenza, diventano bullismo: «Tutti mi prendevano in giro e mi dicevano quella cosa». A quel punto inizia la sofferenza e svanisce la voglia di andare a scuola, di imparare di stare con gli altri: «Poi, hanno iniziato con gli sticker e lì è diventato ancora peggio». Durante la narrazione l’emozione si manifesta e il ragazzino piange. Sono due testimonianze raccolte da Lara Zgraggen, pedagogista e responsabile del programma «e-www@i» della Fondazione della Svizzera italiana per l’Aiuto, il Sostegno e la Protezione dell’Infanzia (ASPI): sodalizio che opera direttamente a contatto con i ragazzi, nelle scuole, attraverso la sensibilizzazione, la prevenzione e la formazione. Secondo Unicef, nel mondo un bambino su tre (tra  e  anni) ha già vissuto esperienze di bullismo, e nei Paesi industrializzati dal  al % dei giovani è vittima di cyberbullismo. Secondo lo studio JAMES del , il % dei giovani svizzeri tra  e  anni ha subito un attacco alla propria immagine online. Nel  l’Organizzazione Mondiale della Sanità certifica che, in Europa, un adolescente su sei (tra  e  anni) dichiara di essere vittima di cyberbullismo. Un fenomeno sociale che non va quindi sottovalutato, pure alla luce dei nuovi studi neuroscientifici sul cervello sociale e sui meccanismi di inclusione ed esclusione sociale che possono infliggere profonde ferite negli adolescenti. «Oggi più che mai è importante chiedersi quale sia l’impatto sui processi di comunicazione degli adolescenti dal punto di vista delle neuro-

L’oro del Malcantone

Inserita nelle proposte Famigros, la Miniera di Sessa porta i visitatori a esplorarne gli oscuri cunicoli

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scienze sociali, e cosa succede a livello di questa parte del cervello quando si subiscono atti di bullismo o cyberbullismo». Così esordisce la neuroscienziata specializzata in neuroscienze sociali Rosalba Morese che focalizza la sua area di ricerca all’Università della Svizzera italiana proprio in questi campi: «Oggi le neuroscienze sociali assumono un’importanza ancora più saliente nello studiare come il cervello riesce a modulare processi cognitivi, emotivi e sociali, in cui entrano in gioco la comunicazione, l’empatia, le interazioni sociali, l’identità, il pregiudizio, l’appartenenza di gruppo, l’inclusione o esclusione sociale». Quest’ultima, secondo la neuroscienziata, è un’esperienza così pregnante da riuscire a tramutarsi in vero e proprio dolore simile a quello fisico per chi si trova a sentirsi escluso socialmente dal gruppo, dunque, anche per chi si ritrova a subire atti di bullismo o cyberbullismo: «Non è un caso che l’esclusione sociale è chiamata “dolore sociale”, e molte lingue riflettono quest’esperienza nell’utilizzo di parole riferibili al dolore fisico come “il sentirsi feriti” per descrivere esperienze di esclusione».

Un’esclusione e una solitudine che può essere potenziata pure dall’uso dei social, spesso improprio o che sfocia nel cyberbullismo. «I dati di queste esperienze negative in rete parlano chiaro: secondo gli studi nazionali MIKE e JAMES il % dei bambini fra  e  anni è stato escluso, ad esempio, da una chat online. Fra le esperienze negative in rete,  su  bambini sono testimoni di offese online verso un altro bambino, mentre il % ne è stato vittima. Uno su  ha visto propri video e foto inviati senza il proprio consenso (e non da genitori), mentre il % ha già vissuto una qualche forma di violenza online».

Questi i numeri sui quali porta l’attenzione Eleonora Benecchi, docente e ricercatrice all’Università della Svizzera italiana, la quale mette in allerta dagli incontri in rete («sempre più in aumento»), spiegando che se il cyberbullismo è rimasto stabile, il cybergrooming (che indica l’attività di un adulto che si mette in contatto online con bambini per avviare abusi sessuali) ha continuato ad aumentare. «Attenzione all’educazione alla privacy», conclude mettendo in guardia genitori e ragazzi.

I giovani possono infatti trovarsi in seria difficoltà, e non solo come vittime, spiega sempre Lara Zgraggen, nel portare altre due testimonianze, di chi il bullismo lo sta a guardare («non interviene o per paura o perché paralizzato, oppure perché teme di sentirsi a sua volta bullizzato ed escluso»), e chi ne è attore: «In qualche modo, anche il bullo è comunque vittima di sé stesso e della sua condizione». «A volte non ho voglia di andare a scuola perché quello che sento e che vedo mi fa stare molto male… anzi sto malissimo. Vorrei dire qualcosa perché mi dispiace, ma non ci riesco perché ho paura che poi capiti a me», è la voce di un ragazzo che sta a guardare, malgrado tutto. Ed ecco la testimonianza, anch’essa toccante, di un’allieva di scuola media che, durante l’attività con Lara (quando si parla di bullismo), con molta fatica alza la mano e dice: «Io sono una bulla, so di dire e di scrivere nelle chat delle cose pesantissime ad alcune compagne e non riesco a non farlo». Aggiunge: «Nella testa e nella pancia ho tante cose che mi preoccupano e a volte

mi esce la rabbia verso gli altri. Non faccio apposta, o forse sì… comunque non riesco a controllarmi».

La prevenzione è la strada più idonea e Zgraggen spiega come agisce il Programma «#joinrespect» con cui, nelle scuole, incontra i ragazzi e le ragazze con gli obiettivi di proteggere i giovani da bullismo e cyberbullismo, promuovendo il benessere in classe: «Alla base sta la necessità di regole condivise e sviluppo del senso di appartenenza. Per prima cosa, si promuove il rispetto come forma mentis per apprezzare la diversità e scindere il comportamento dalla persona». Così come affermato dalla neuroscienziata Morese, anche per questo programma il ruolo dell’empatia è centrale: «Si invita a scoprire il mondo, allenando il punto di vista dell’altro». Dall’empatia al senso di compassione: «Sento, riconosco, agisco per me e per gli altri». La via per dare ai nostri giovani strumenti adeguati a uscire vincenti nella sfida dell’uso dei social, e soprattutto far sì che bullismo e cyberbullismo non traccino quei solchi di esclusione sociale tanto dolorosi per mente e corpo.

● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 3 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 3
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Maria Grazia Buletti

Piaceri culinari dal cuore della Puglia

Attualità ◆ Le specialità del marchio Murgella sono prodotte secondo tradizione da tre generazioni

Azione 15%

dal 4.6 al 10.6.2024

I formaggi italiani sono apprezzati da grandi e piccoli buongustai e godono di grande fama in tutto il mondo. Tra le oltre 400 varietà di formaggio presenti nella vicina Penisola, la burrata e la mozzarella occupano un importante posto d’onore grazie alla loro freschezza e sapidità. Nella ricchissima scelta di formaggi italiani presenti alla Migros, che ne direste allora di assaggiare due specialità provenienti direttamente dalla bellissima Puglia?

La burrata e la treccia di mozzarella del marchio Murgella sono prodotte nella Murgia con latte proveniente dai pascoli locali. In questa regione variegata, con rocce carsiche, dolci colline e umi sotterranei che scendono no al mare, grazie ad antichi metodi di trasformazione, tra cui la formazione della cagliata mediante siero innesto – una tecnica paragonabile all’uso di lievito madre nei prodotti da forno – si ottengono delle

Una farina per tutti i gusti

Novità ◆ La semola rimacinata di grano duro permette di preparare molte genuine specialità

Ideale per la preparazione di paste fresche, pani caserecci, pizze, focacce e tanti altri tipici prodotti della cucina mediterranea, la farina di semola di grano duro rimacinata è un prodotto di elevata qualità che ogni amante della buona tavola dovrebbe avere in cucina. È il risultato della macinazione di una miscela equilibrata di grani duri attentamente selezionati. Può essere impiegata da sola oppure miscelata con altre tipologie di farine. Grazie alle sue caratteristiche, conferisce agli impasti e ai prodotti niti un tipico colore giallo paglierino e un sapore

e odore inconfondibili. Questa semola è un prodotto del Molino Chiavazza, azienda piemontese specializzata da oltre cinquant’anni nella produzione e nel confezionamento di farine di grano tenero e oggi tra i più importanti molitori italiani. Oltre a questa nuova farina, del Molino Chiavazza l’assortimento di Migros Ticino annovera anche la farina Manitoba, un prodotto a base di grano tenero tipo «0» dall’alto tenore di proteine e alto assorbimento, in grado di supportare tempi di lievitazione particolarmente lunghi.

genuine bontà ricche di principi nutritivi e dalle inconfondibili caratteristiche gustative. I mastri casari pugliesi lavorano e intrecciano a mano la pasta lata per trasformarla in prodotti caseari genuini e autentici. Sono pochi gli ingredienti utilizzati per la produzione dei formaggi Murgella: latte pastorizzato 100% italiano, siero innesto naturale, caglio e sale. Tutti i prodotti non contengono né additivi né conservanti. Il latte viene

lavorato poche ore dopo l’arrivo in casei cio. La burrata, uno dei formaggi pugliesi oggi più amati al mondo nato in provincia di Bari agli inizi del Novecento, si distingue per il suo aspetto lucido e la colorazione bianco latte. Il profumo ricorda il buon latte fresco. Il suo segreto è costituito dalla stracciatella, ovvero il cremoso ripieno a base di pasta di mozzarella e panna racchiuso nel tipico sacchetto tondeggiante di pasta lata con chiusu-

ra apicale, altro segno distintivo della specialità. La treccia di mozzarella Murgella, dal canto suo, è un formato particolarmente apprezzato dai consumatori. L’intrecciatura viene fatta a mano partendo dalla pasta lata di mozzarella pugliese. Il suo sapore fresco e delicato si sposa a meraviglia con insalate di stagione e pomodori freschi. Consumata da sola o con un lo di olio di oliva e un pizzico di sale e pepe, saprà soddisfare tutti i palati.

La ricetta Grissini di semola

Ingredienti per 8 persone

• 300 g di semola rimacinata di grano duro Molino Chiavazza

• 10 g di lievito di birra fresco

• 150 g di acqua

• 8 g di malto di orzo (o miele)

• 40 g di olio di oliva

• 5 g di sale

Preparazione

Impastare la farina con il lievito disciolto nell’acqua e il malto. Aggiungere l’ olio e per ultimo il sale. Impastare fino ad ottenere una bella palla liscia ed omogenea. Far riposare in una ciotola unta d’olio e coperta con pellicola alimentare o uno strofinaccio, fino al raddoppio del volume (circa 2 ore). Trascorso il tempo stendere l’impasto a uno spessore di circa 1 centimetro. Far lievitare nuovamente per circa 60 minuti. Con un coltello o una rotella per pizza tagliare l’impasto in strisce larghe un centimetro e arrotolarle leggermente su loro stesse. Adagiarle su una teglia rivestita di carta forno e cuocere in forno preriscaldato a 200°C per circa 20 minuti o comunque fino a che i grissini appaiono ben dorati.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 3 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 4
Treccia di mozzarella Murgella
invece
200 g Fr. 3.65
di 4.30
Burrata Pugliese Murgella
invece
200 g Fr. 4.55 di 5.40 Semola rimacinata di grano duro Molino Chiavazza 1 kg Fr. 3.–In vendita nelle maggiori filiali Migros

Fumetti manga a Lugano e S. Antonino

Novità ◆ I reparti libri delle liali Migros di S. Antonino e Lugano propongono ora una vasta scelta dei famosi

Negli ultimi anni i manga sono diventati molto popolari anche da noi, soprattutto fra i più giovani, a ascinati e appassionati dalla cultura giapponese e desiderosi di evadere per qualche ora dalla realtà quotidiana. La forma moderna di questi caratteristici fumetti nasce negli anni Cinquanta in Giappone, per di ondersi nei Settanta negli Stati Uniti e in Europa dagli anni Novanta. I manga si caratterizzano non solo per il fatto che si leggono al contrario, ossia da destra a sinistra, ma anche per lo stile artistico dai tratti inconfondibili, l’uso frequente di onomatopee e dalle trame epiche delle storie. I generi sono molto variegati, e possono toccare tematiche legate per esempio a storia, fantascienza, fantasy, sport, romanticismo, guerra, commedia, cucina, horror e molto altro. Tra le serie più conosciute e apprezzate dagli adolescenti, ma non solo, possiamo citare «one piece», «dragon ball», «demon slayer» o «my hero academia», mentre tra gli autori più famosi vi sono ad esempio Akira Toriyama, Eiichiro Oda e Kohei Horikoshi.

Per tutti gli appassionati o curiosi di manga, i negozi Migros di Lugano e S. Antonino hanno allestito un’ampia esposizione di manga della Star Comics, una delle case editrici italiane più conosciute e a ermate nel settore dei fumetti giapponesi. Vieni a completare la tua collezione!

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 3 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 5 54.50 invece di 109.–Zaino da donna e da uomo AC Lite 14 SL / 16 *Per es. 30 % sulla bicicletta elettrica Crosswave Comfort-Wave, invece di fr. 2599.–ora solo 1799.–. Per es. 50 % sulla scarpa multifunzionale da donna e da uomo XT Reckon GTX, invece di fr. 169.–ora solo 84.50. O erta valida dal 3.6 al 16.6.2024, fino a esaurimento dello stock. Articoli già ridotti esclusi. Ora in tutte le nostre filiali o su sportx.ch/sale 30–50% su diversi articoli sportivi * 1799.– invece di 2599.–Bicicletta elettrica Comfort-Wave 1999.– invece di 3399.–Bicicletta elettrica Square Trekking SX Disponibile anche con telaio trapezoidale (misura S) 84.50 invece di 169.–Scarpa multifunzionale da donna e da uomo XT Reckon GTX 69.90 invece di 99.90 Scarpa multifunzionale per bambini Zirrox II GTX Low
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fumetti giapponesi

La città del futuro sarà ibrida

Pubblicazioni ◆ Il saggio di Emanuele Saurwein analizza il nostro modo di abitare il pianeta e di usare l’energia e prospetta un uomo più consapevole anche grazie all’Intelligenza artificiale

Siamo in grado di valutare quanta energia usiamo ogni giorno o in un anno? Ci preoccupiamo della qualità di questa energia? Siamo consapevoli dei nostri consumi? E come valutiamo le nostre abitudini abitative? Quale tipo di città avremo nel futuro? Abbiamo idea di come l’Intelligenza artificiale stia modificando e modificherà il nostro modo di abitare e di costruire le città? Sono queste alcune delle domande sulle quali si interroga l’architetto Emanuele Saurwein nel suo saggio intitolato Per un domani. Uomo Energia Città, pubblicato da Mimesis nella collana Architettura. L’autore, diplomato all’Accademia di Architettura di Mendrisio, titolare dello studio LANDS con sede a Lugano, lavora da anni anche a un progetto di ricerca innovativa (HAB) che integra edificio, mobilità, alimentazione, consumi e Intelligenza artificiale con lo scopo di verificare le condizioni abitative future in rapporto al comportamento personale. Nella Premessa al suo saggio scrive: «Questo breve testo propone una riflessione sul modo di abitare il pianeta Terra, le città, l’architettura e sulla sostenibilità delle nostre scelte. Ho scelto l’energia (in ogni sua forma) quale chiave di lettura per prendere coscienza di come noi esseri umani ci siamo impadroniti del pianeta e delle altre specie viventi; … l’uso dell’ener-

gia è un modo per pensare le città di ieri, di oggi e per aprire una prospettiva – tramite l’esposizione di scenari possibili – su quelle di domani». Nella sua analisi basata appunto sul fabbisogno di energia primaria pro capite l’architetto delinea tre fasi che hanno generato tre modelli abitativi passati, presenti e futuri: Fat City (-), la città del benessere, Fragmented City (-), la città frammentata che mostra i limiti del modello precedente e dove esplodono le crisi e l’emergenza climatica, infine iniziamo a fare esperienza di Hybrid City (-), la città che guarda alla sostenibilità.

Il suo punto di vista, si premura di sottolineare Saurwein, è quello autobiografico, cioè di un uomo che rappresenta la generazione dei nati negli anni  in quella parte di mondo fortunata dove vive il % della popolazione mondiale che sfrutta l’% delle risorse del pianeta. La riflessione che ne scaturisce ha dunque sempre un soggetto ben preciso un «io», che in realtà è un «noi», che si interroga e ci interroga sulla via che vogliamo intraprendere perché, scrive l’autore, «non dovremo rinnovare solo le nostre città, ma anche noi stessi», insomma la transizione può avvenire solo parallelamente a una nostra rieducazione al modo che abbiamo di abitare il pianeta.

Come può avvenire questo cambiamento che si potrebbe definire antropologico? Secondo Saurwein attraverso una maggiore consapevolezza

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La copertina del saggio dell’architetto Saurwein.

raggiunta grazie alla tecnologia, cioè all’Intelligenza artificiale. Per mezzo dell’IA ognuno di noi potrà (in realtà già può) elaborare la propria personale

etichetta energetica o impronta ecologica ed è molto probabile che in futuro misurarsi e rapportarsi all’ambiente sarà un’azione considerata normale per chiunque. La sfida, suggerisce l’autore, è tutta qui, assolutamente personale, tocca la coscienza e la responsabilità del singolo nei confronti dell’ambiente visto non più come risorsa o spazio generico ma come entità che esiste in relazione a noi, con il quale abbiamo un legame vitale.

E come sarà la città di domani?

L’autore la chiama Hybrid City, la città delle scelte, sarà una città in cui il fabbisogno di energia primaria pro capite sarà minore, ma la qualità dell’abitare sarà superiore e vedrà una ricomposizione del paesaggio, una sorta di biodiversità urbana, «un paesaggio in forma di città o una città in forma di paesaggio». Non vi è nessuna certezza su come e con quali tempi questa transizione avverrà, certo è che «siamo a un punto di non ritorno» e dobbiamo per forza scegliere quale via intraprendere. Nel suo saggio Saurwein ipotizza quattro possibili scenari futuri, solo uno è quello auspicabile. È quello dell’evoluzione consapevole, nel quale saremo in grado di sostenerci da soli e di ripagare il deficit ecologico accumulato. La palla è nel nostro campo, conclude l’autore, la scelta è nelle nostre mani.

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Il dialogo? È uno spazio da costruire

Incontri ◆ Con la professoressa Sara Greco parliamo del valore delle parole con un’attenzione particolare alle relazioni familiari

Le relazioni sono costituite – tra le altre cose – da parole, anche quelle, ovviamente, che intercorrono tra i membri di una famiglia. Ciò non vuol però dire che enunciare parole equivalga ad avere un dialogo con l’altro; affinché ciò avvenga ci vuole iniziativa, che parta dall’adulto, ed impegno. «Lo stesso impegno che mette un architetto nell’elaborare un progetto; perché il dialogo è uno spazio da costruire, che va pensato e per farlo ci vogliono tempo ed energia», afferma Sara Greco, professoressa straordinaria di argomentazione presso la Facoltà di comunicazione, cultura e società dell’USI e, da febbraio, direttrice dell’Istituto di argomentazione, linguistica e semiotica.

A volte manca la consapevolezza del fatto che si possa imparare a usare le parole in modo positivo, per ricostruire quello che è stato perduto a livello di relazione

Interesse centrale della ricerca di Sara Greco – che è anche presidente della Società Svizzera di linguistica e chair della European Conference on Argumentation – è il dialogo argomentativo come alternativa al conflitto, in ambiti che vanno dai rapporti interpersonali alle controversie pubbliche, sul quale ha diretto progetti di ricerca e pubblicato libri ed articoli. Con lei abbiamo parlato, dal punto di vista di una linguista, del valore delle parole con un accento particolare sulle relazioni familiari.

Professoressa Greco, come definirebbe il «valore delle parole»?

In relazione a questo tema sono tre i termini, concatenati tra di loro, di cui parlare: strumento, valore e potere. Già Aristotele sosteneva che la retorica – la comunicazione, attualizzando i termini – è uno strumento, il quale può essere usato bene o male. Il valore delle parole sta quindi nel loro uso positivo.

Ci illustri un esempio di questo uso positivo.

Le parole vengono usate in tale modo quando servono a costruire qualcosa che prima non c’era. Se ci si pensa, tutta la nostra società è costruita su relazioni che a loro volta si basano sulle parole. Queste ultime costituiscono anche un potere dal momento che hanno consentito di cambiare la realtà. Un potere che, di nuovo, può pure essere usato in modo negativo.

Del potere delle parole c’è un’adeguata consapevolezza?

Sicuramente c’è una paura diffusa di quello che di male si può fare con la comunicazione, complici anche (ma non solo) i social media, spesso citati come esempio negativo. Manca invece la consapevolezza del fatto che si possa imparare a usare le parole in modo positivo, per esempio per ricostruire quello che è stato perduto a livello di relazione oppure come difesa dalle strategie negative. A riguardo, la mia materia, argomentazione, include un capitolo sul linguaggio manipolatorio, nel quale si insegna a difendersene.

Un altro aspetto sul quale manca consapevolezza è che le parole costituiscono solo metà della comunicazione; l’altra parte è l’ascolto.

E sull’ascolto ritiene non ci sia la giusta consapevolezza, è così?

In primo luogo andrebbe ricordato che i figli, anche piccoli, sono interlocutori e pertanto nel dialogo andrebbero ascoltati, in qualche modo, al pari degli adulti. In uno studio sull’argomentazione nei bambini finanziato dal Fondo nazionale svizzero emergeva invece la tendenza ad attribuire loro degli errori di ragionamento. Se le loro parole vengono però ascoltate con la dovuta attenzione, riconoscendo impliciti culturali e preconcetti che anche noi adulti abbiamo, ci si accorge che esse contengono piuttosto spunti di interpretazione della realtà semplicemente a volte diversi dalle nostre attese. Il tema dell’ascolto rimane importante con gli adolescenti, i quali, dirigendosi verso l’età adulta, necessitano di genitori che si mettano adeguatamente in gioco a livello di comunicazione.

Restando sul tema, durante l’adolescenza, c’è qualcosa in particolare cui i genitori dovrebbero prestare attenzione?

Di fronte a richieste che possono suonare bizzarre – banalmente quella di uscire senza giacca in inverno – bisogna che l’adulto impari a ca-

pire qual è la vera domanda. Spesso si tratta infatti di quelle che chiamo «domande mascherate», con le quali il ragazzo testa se l’adulto gli riconosce un ruolo di interlocutore, uno spazio nel dialogo, nel quale vi sia la possibilità di non accettare le premesse sulla base delle quali i genitori creano i loro ragionamenti, un po’ per routine, un po’ per convinzione, per potersi pian piano appropriare dei propri punti di riferimento. Si tratta quindi spesso di richieste di fiducia, di riconoscimento di un cambiamento che è fisiologico ma di cui i ragazzi sono i primi ad aver timore.

In questo discorso come si inseriscono le provocazioni?

Effettivamente le provocazioni sono una sorta di domanda mascherata, con la quale il ragazzo chiede se la rabbia che ha dentro ha spazio nella relazione. Detto ciò, se l’adulto risponde in modo altrettanto forte è come se gli dicesse di restare come prima, quando era un bambino. E questo, ovviamente, non è giusto, perché il ragazzo questo passaggio lo deve fare, anche se comporta delle emozioni negative.

Come dovrebbe quindi reagire un genitore?

Quando ci si accorge di essere stati punti sul vivo, quando si sente che non è il momento giusto o ancora quando il figlio adolescente si rivolge a noi con un tono che non apprezziamo, bisognerebbe evitare una reazione emotiva immediata, con la quale si rischierebbe di mandare il conflitto in escalation e far passare il messaggio che il comportamento adottato mette in crisi la relazione. Il tema può essere poi ripeso in un «momento opportuno» – concetto peraltro importante in questo ambito – per cercare di capire cosa c’era dietro quel comportamento o quella affermazione. Con questa reazione si fa inoltre capire al figlio che la relazione rimane, non si interrompe.

Con la sua attività e suoi lavori di ricerca, lei propone un modello di dialogo argomentativo, inteso come strada alternativa al conflitto. Di cosa si tratta?

L’argomentazione è sostanzialmente un dialogo ragionevole, dove si cerca di trovare una soluzione, la migliore, la più vera e la più giusta possibile, confrontandosi sulle ragioni e non sulla base della violenza, del potere o dell’inganno. Questa ragionevolezza dell’argomentazione non è però una razionalità fredda, ma tiene conto anche degli aspetti emotivi. Un esempio che mi piace fare è quello di quando durante il COVID eravamo soliti mettere la mascherina per andare a trovare i nonni. Questo è infatti un argomento che ha un aspetto di ragione ma anche uno di affetto, che sono legati tra di loro.

Un altro elemento importante nel dialogo argomentativo è il «decentramento»; un termine dello psicologo svizzero Jean Piaget, reinterpretato da Anne-Nelly Perret-Clermont e altri colleghi dell’Università di Neuchâtel, per esprimere l’idea che su una questione aperta ci possano essere posizioni diverse. Lasciare che l’altro possa proporre un’opinione, i suoi argomenti come pure aprire una discussione, secondo la Scuola di Amsterdam di argomentazione, è definita «regola della libertà» dell’argomentazione.

Concentrandoci sulla comunicazione familiare, come si insegna ai figli a dialogare in modo costruttivo?

Anzitutto è importante che loro ne facciano esperienza. Impareranno ad ascoltare quando noi li avremo ascoltati, per esempio. Importante è pure la questione della domanda: chiedere «perché?» – un interrogativo che apre un orizzonte – piuttosto che attribuire all’altro un pensiero. Un ulteriore aspetto linguistico che sta emergendo nella ricerca sui conflitti è la rilevanza del dare un no-

me alle emozioni, che possono così diventare un oggetto di dialogo. E questo è uno degli strumenti che l’argomentazione mette a disposizione – nel caso specifico degli adulti – per costruire spazi di dialogo. Tornando al «fare esperienza», se i figli hanno modo di essere testimoni del fatto che su un disaccordo si può discutere, interiorizzeranno che c’è spazio anche per una loro eventuale espressione di non accordo. Di fronte invece a una situazione che non si riesce a risolvere, trovo sia corretto e –di nuovo – di insegnamento, chiedere aiuto. La famiglia non è infatti un meccanismo e non è quindi scontato che tutto funzioni sempre, nemmeno il dialogo. In questi casi, avere la possibilità di confrontarsi con altri, oppure rivolgersi ad altri per un aiuto può sicuramente rivelarsi utile.

Per quel che riguarda la comunicazione, cosa caratterizza quella dei ragazzi di oggi?

Che il ragazzo metta in discussione quello che i genitori danno per scontato c’è sempre stato ed è parte della crescita. Se il conflitto va prevenuto, questo disaccordo va invece custodito. Rispetto al passato, c’è chi mette in luce come quest’opposizione prenda toni a volte violenti. Da linguista, trovo che su quest’aspetto si possa lavorare, cercando di non reagire emotivamente ma di costruire uno spazio del dialogo. Più preoccupante mi pare invece quando l’opposizione è silenziosa e arriva ad aspetti di inerzia patologica o comportamenti lesivi su sé stessi, che purtroppo sappiamo essere in aumento. Non voglio sconfinare in un ambito che non è il mio, ma ritengo siano aspetti sui quali dovremmo interrogarci in ambito preventivo, per esempio su quanto spazio abbiamo costruito per l’espressione delle emozioni, per l’espressione dello stesso disaccordo, anche nelle sue forme non proprio velate ma pur sempre tipiche degli adolescenti.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 3 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 7 SOCIETÀ
Sara Greco è direttrice dell’Istituto di argomentazione, linguistica e semiotica dell’USI. (usi.ch) Le parole costituiscono solo metà della comunicazione, l’altra parte è l’ascolto (Freepik.com)

L’accessibilità rappresenta una forma

Vivere oggi ◆ Il Team Ticino Accessibile ha collaborato con Migros Ticino nella ristrutturazione del supermercato

Vestirsi, montare in carrozzella, prendere l’ascensore, «scivolare» nella propria vettura, azionare il braccio meccanico della sedia a rotelle, attendere che la carichi, partire alla volta del supermercato, cercare un parcheggio per disabili, azionare nuovamente il braccio meccanico, posizionare la carrozzella di anco alla portiera, «scivolarvi», chiudere la portiera, entrare nel supermercato. A rigore di logica, dopo una serie di azioni tanto complesse unicamente per giungere alla destinazione supermercato, il resto dovrebbe essere una passeggiata. Eppure, spesso, proprio in un luogo della quotidianità come può esserlo un negozio, inizia tutta una serie di problemi e si presentano ostacoli invisibili per i normodotati, insormontabili per chi è diversamente abile.

Grazie a una serie di accorgimenti nati da una riflessione condivisa, la Migros di Molino Nuovo è ora accessibile a tutte e a tutti

Marvin Aldi, gerente della liale Migros di Molino Nuovo e Brando Rickenbach, responsabile Total Store per Migros Ticino, insieme a collaboratrici e collaboratori, in un progetto che rappresenta una sorta di «prima» nel Cantone, hanno deciso di coinvolgere il Team Ticino Accessibile (dopo essere stati da questo contattati) nel lavoro di ristrutturazione del supermercato, al ne di renderlo meglio fruibile per chiunque debba convivere con una forma di disabilità, trasformandolo così in un servizio interessante per l’intero quartiere e inclusivo. «Il nostro focus è da sempre il benessere del cliente», spiega Rickenbach, «e ciò che può fare stare bene una persona con disabilità, non può che fare bene a tutti. Marvin si è subito messo a disposizione investendo anche tempo extra». «Mi sembra doveroso, perché tra le e i nostri clienti vi sono numerose persone con di coltà di diverso livello che fanno la spesa nel quartiere», completa il gerente, «ed è doveroso avere un occhio di riguardo anche per le loro necessità; per me dunque è stato un processo naturale». Conclude Rickenbach: «Devo molto alle donne del Team Ticino Accessibile, perché mi hanno permesso di rendermi conto di determinate realtà, come quella delle casse. Grazie a loro, nella liale che si aprirà a Bellinzona Nord a ne giugno, avremo solamente “casse per tutti”, o inclusive».

Sei donne che lottano con il sorriso

Abbiamo incontrato alcune esponenti del Team Ticino Accessibile che ci hanno raccontato il percorso che ha portato a questa preziosa collaborazione, destinata a fare scuola. Fanno parte del Team Ticino Aurora Savoldo, Simona De Simone, Denise Carniel, Dana Paris, Christiane Ndassi-Fongang e Ilaria Perren.

Come nasce il Team Ticino Accessibile?

Siamo sei donne provenienti da tutto il Cantone che si sono conosciute tramite associazioni come il Gruppo InSuperAbili, Inclusione Andicap e in quanto socie del Gruppo Paraple-

gici Ticino, GPT. L’idea che sta alla base del nostro gruppo è quella di costruire qualcosa per il futuro degli altri portatori di andicap, e dunque anche per le generazioni future. L’adesione al nostro gruppo è aperta a tutte le persone con disabilità: uomini e donne, giovani e anziani. Ci ritroviamo regolarmente per condividere le nostre situazioni di vita quotidiana e scoprire dove risiedono le di coltà maggiori.

Con quale regolarità vi riunite? Ci siamo conosciute durante l’ultimo periodo Covid, ma poiché abitiamo lontane e abbiamo le nostre

di coltà oggettive, abbiamo deciso di optare per lo più per degli incontri online, via WhatsApp o Teams. Abbiamo rinunciato anche ad avere una sede ssa, poiché comporterebbe ulteriori sforzi di spostamento. Ci riuniamo circa ogni tre settimane per portare avanti le tematiche in discussione.

Come vi siete avvicinate al progetto del supermercato Migros di Molino Nuovo?

Nel corso degli incontri si ripresentavano sempre le stesse problematiche: tu come fai a fare la spesa? come fai ad arrivare agli sca ali? e con il

carrello? Quando poi sono stati cambiati i frigoriferi e i congelatori, con le loro pedane, ci siamo ritrovate con un’ulteriore barriera, e ci siamo dette che era arrivato il momento di fare qualcosa. Quando alcune di noi si sono rivolte ai gerenti dei negozi per chiedere il motivo di quei congelatori con pedana, apparsi nonostante la sensibilizzazione fatta nel 2021 attraverso un corso speci co per Migros Ticino (proposto da Inclusione Andicap Ticino), si sono sentite rispondere che erano scelte della sede centrale, al che abbiamo cominciato a mandare delle lettere proprio alle sedi centrali per esporre il problema, spiegando che si trattava di una forma di discriminazione. Ci vedevamo private della nostra autonomia: ogni volta che volevamo fare una piccola spesa eravamo costrette a disturbare la cassiera. Nelle prime lettere di risposta ricevute, ci si invitava a rivolgerci al personale, che sarebbe stato ben contento di aiutarci. Di rimando noi abbiamo però fatto notare come le di coltà non fossero solo nostre, ma anche di chi aveva una stampella, un deambulatore, o per no un passeggino. A quel punto siamo state contattate da alcuni responsabili di Migros Ticino. Questi ci hanno detto che era in corso una ristrutturazione interna di alcune liali e che grazie alle nostre osservazioni avevano fatto delle ri essioni. Ci hanno quindi invitato a condividere con loro alcuni suggerimenti per eventuali migliorie, laddove possibile. Per noi è stata una grande sorpresa, e molto gradevole.

Cosa è stato particolarmente importante per voi?

La cosa importante è che sia passata la nostra richiesta di autodeterminazione: quando facciamo la spesa grande una volta al mese sappiamo bene che non possiamo arrangiarci da sole, ma se vogliamo fare una spe-

sa veloce, prendere il pane, due stuzzichini e un succo di frutta, perché dobbiamo interrompere il lavoro della cassiera, magari già oberata, attirando l’attenzione degli altri? Perché sentirci discriminate o persone di serie B, dovendo dipendere da altri, quando con alcune accortezze si può ovviare e renderci più libere? In fondo lo dice anche l’Art. 9 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (CDPD): «Al ne di consentire alle persone con disabilità di vivere in maniera indipendente e di partecipare pienamente a tutti gli aspetti della vita, gli Stati parte adottano misure adeguate a garantire alle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri, l’accesso all’ambiente sico, ai trasporti, all’informazione e alla comunicazione, compresi i sistemi e le tecnologie di informazione e comunicazione…»

E come è andata concretamente a Molino Nuovo?

Ci siamo recate al supermercato in quattro, Christiane, Dana, Simona e Aurora, che era appena diventata mamma, lei è venuta in carrozzina con il passeggino. In questo modo abbiamo potuto testare tutte le situazioni: Simona, infatti, ha una carrozzina elettrica, Christiane quella manuale, ma con una serie di difcoltà in più, e Dana è la più veloce di tutte. Quattro persone con diversi livelli di esigenze e di di coltà, ma con dei punti comuni, come la questione degli spazi all’interno dei corridoi, dell’altezza dei banconi, della distribuzione del cibo, della disposizione sui ripiani, della posizione della cassa. Non da ultimo ci siamo occupate dell’altezza del terminale per il pagamento con la tessera: spesso è troppo in alto e noi dobbiamo digitare il codice alla cieca, senza possibilità di privacy: se io sono più bassa del terminale, il cliente dietro di me può leggere il mio codice.

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di Molino Nuovo; il
Aurora con il carrello speciale in dotazione a Molino Nuovo (Oleg Magni); in basso, il gerente Marvin Aldi con Brando Rickenbach, Migros Ticino Total Store (S.Sala); nella pag. a des., cassette per la frutta più piccole per una maggiore varietà di prodotti a portata di mano (S.Sala); grazie alle ampie corsie la spesa si fa più semplice, come mostrano Aurora e Simona (Oleg Magni); in basso, il cartello all’ingresso di Molino Nuovo (S.Sala).

forma di libertà

il risultato è un punto vendita capace di andare incontro ai bisogni di tutto il quartiere

Ora Molino Nuovo è soddisfacente come liale dal punto di vista dell’accessibilità?

Tante cose sono state cambiate in modo interessante, soprattutto in un’ottica di spazio di manovra; la disposizione di alcuni articoli è stata modi cata, rendendola di facile accesso; sono state tolte le barriere che ci impedivano di avvicinarci ai congelatori o ai frigoriferi; in futuro verranno fatte delle modiche strutturali di mobilio, e a questo proposito ci hanno chiesto consiglio. Da ultimo, ma non per importanza, abbiamo discusso la comunicazione: è infatti giusto creare un cartello all’esterno del negozio per segnalarne l’accessibilità, ma è importante che lo possa vedere anche la persona ipovedente, o chi ha un’altezza diversa da quella standard. Altrimenti il servizio diventa nullo. Tutti questi accorgimenti permetteranno a più persone di fare la spesa in autonomia.

Il vostro esempio sembra avere fatto scuola all’interno dell’azienda…

Sì, Migros Ticino ha deciso di fare tesoro di questo lavoro, e cercherà di generalizzarlo su tutte le nuove strutture. Prossimamente, ad esempio, alcuni accorgimenti saranno

presi anche nella liale di Grancia.

Ci hanno inoltre invitate a vedere la liale di Arbedo-Castione, ed è top!

Su cos’altro state lavorando al momento?

Sui problemi legati ai parcheggi per disabili e sulla loro scarsa disponibilità sul territorio. Non basta infatti che il parcheggio sia vicino all’ingresso, esso deve anche essere sicuro, al riparo da pericoli e dal traco, e purtroppo non è sempre così.

Inoltre, succede che non sia segnalato a dovere. Spesso siamo costret-

te a muoverci su strada perché alcuni marciapiedi per noi sono inaccessibili. Oppure siamo confrontate con le buche in strada, che per noi sono un grande pericolo. Ci siamo però

rese conto che, presentandoci in sei in carrozzella a chi potrebbe aiutarci, otteniamo molto, perché siamo in grado di mostrare concretamente la nostra situazione. Partiamo sempre da situazioni concrete di vita vissuta, quindi riusciamo ad attirare l’attenzione sui pericoli che incontriamo.

Team Ticino Accessibile è alla ricerca di nuovi membri?

Il gruppo è aperto a tutte e a tutti, ma chi è interessato non deve essere di passaggio. Per entrare nel gruppo non basta la semplice curiosità,

ma ci vogliono impegno e costanza. Occorre esporsi ed essere attivi e proattivi. Noi non cerchiamo la polemica, il nostro obiettivo è quello di a rontare le situazioni con il sorriso e con la benevolenza, poiché siamo portatrici di suggerimenti e di soluzioni, e al primo posto mettiamo la sincerità.

Informazioni

Su www.azione.ch troverete una più ampia galleria fotografica. Contatti Team Ticino Accessibile: team.ticino.accessibile@gmail.com

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ATTUALITÀ

Avventura in mongolfiera

la vita quotidiana»

Stefan Wälchli ha già trascorso oltre 3000 ore in volo L’appassionato pilota di mongolfiere guida il noto flacone di detersivo Handy e ora anche una fragola bio!

L’appassionato di volo

Stefan Wälchli ha svolto una formazione di pilota già 30 anni fa.

Ore 06.30: l’atmosfera in un prato di Mättenwil, vicino a Brittnau (AG), è mistica. Sui prati e sui campi vicini si stende la foschia, mentre il sole sorge dietro un sottile velo di goccioline. Il cinquantaduenne Stefan Wälchli ha scelto con cura questa mattina per il volo inaugurale della fragola bio Migros. Solo pochi giorni fa ha ricevuto l’autorizzazione dell’Ufficio federale dell’aviazione civile (UFAC). Oggi il vento e le condizioni meteorologiche, i fattori più importanti per un buon volo, sono ideali. Se il vento nell’area di decollo o di atterraggio è troppo forte, la mongolfiera resta a terra. Lo stesso vale quando si prevedono temporali o cambiamenti improvvisi del tempo. «Quando il sole splende e non c’è quasi una nuvola in vista, i passeggeri accettano la cancellazione con incredulità. Che il temporale previsto arrivi effettivamente tra due o tre ore è irrilevante. La sicurezza viene prima di tutto», dice Stefan. I preparativi sono in corso, la mongolfiera giace come un serpente colorato lungo 30 metri nel prato bagnato dalla rugiada. Non appena il cesto è collegato, con una ventola Stefan soffia aria nel pallone steso a terra e poi lo riscalda. La fragola cresce verso il cielo, gli ospiti salgono nel cesto, il bruciatore a gas spara altro calore nell’involucro finché non decolliamo dolcemente e senza fare rumore.

3000 ore di volo

La fragola bio è l’ultimo dei tre palloni aerostatici firmati Migros. Stefan è particolarmente orgoglioso dell’immatricolazione che è riuscito a organizzare per l’ultima aggiunta alla flotta: HB-BIO. La Migros è importante per Stefan anche al di fuori del mondo delle mongolfiere. Infatti, vi lavora dal 1987 e attualmente si occupa della commercializzazione presso la Cooperativa di Basilea. Trascorre la maggior parte del suo tempo libero in aria e finora ha trascorso più di 3000 ore nel cesto di vimini. Poiché anche sua moglie è un’appassionata di mongolfiere e i loro due figli sono già adulti, Stefan riesce comunque a conciliare il suo hobby con la vita familiare.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 3 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 10
mongolfiera fluttuo in alto sopra
Testo: Silvia Schütz Foto: Daniel Winkler

Siamo a ben 2500 metri di altitudine e ci muoviamo tra la catena del Giura e le Alpi. La vista spazia da Lucerna passando per Soletta fino alla città di Berna. «Da qui si vede quanto è piccola la Svizzera », ride Stefan. Durante il volo, Stefan risponde alle domande degli ospiti (vedi sotto) e di tanto in tanto altri piloti di mongolfiera si informano via radio sulle condizioni del vento. I piloti formano una comunità che si riunisce regolarmente in occasione di grandi eventi, tra cui quello in Cappadocia, in Turchia, dove ogni anno in luglio 160 mongolfiere decollano contemporaneamente. Tra le esperienze memorabili di Stefan ci sono anche le traversate delle Alpi. A un’altitudine di oltre 5000 metri, la mongolfiera viaggia – spinta unicamente dal vento – dalla Svizzera all’Italia settentrionale in quattro o sei ore e atterra da qualche parte. Tuttavia, gli piace volare in Svizzera. «Qui il paesaggio è più vario». Lo dimostra l’atterraggio: la mongolfiera vola sopra i tetti della città di

2005

«Dalla regione. Per la regione» è la prima mongolfiera Migros di Stefan.

ATTUALITÀ

Avventura in mongolfiera

Langenthal, attraversa un laghetto e poi atterra in un campo vicino a un ruscello, fa ancora uno o due balzi e infine si ferma.

L’orologio segna solo le 9.30, ma il momento clou della giornata è già passato.

Affascinato dalle mongolfiere fin dall’infanzia

«Nella mongolfiera fluttuo in alto sopra la vita quotidiana, tutto perde di importanza», dice Stefan. Fin da bambino era affascinato dai palloni colorati nel cielo. 30 anni fa ha completato la sua formazione di pilota e 15 anni fa ha fondato la Ballonpilot GmbH. Suo padre, per decenni appassionato pilota di mongolfiere, gli ha facilitato l’ingresso in questo hobby complesso. Compie 100 viaggi all’anno. Con la preparazione, la trasferta al luogo di partenza, il volo in mongolfiera e il ritorno al magazzino, per lui un viaggio comporta una giornata di lavoro. Per gli ospiti, il placido volo dura in totale quattro ore.

2015

La famosa mongolfiera a forma di detersivo Handy si alza in volo per la prima volta.

Non bisogna avere le vertigini?

No, anche Stefan le ha e fa fatica a salire le scale di una torre panoramica. In mongolfiera, come in aereo, questo non è un problema: non appena il veicolo non è più in contatto con il suolo, le vertigini cessano.

Come fa a volare la mongolfiera?

Ci sono due ragioni: tutto ciò che è più leggero dell’aria, come i palloni o i dirigibili, vola. Gli aeroplani, invece, volano perché hanno bisogno di una propulsione per stare in aria. I piloti di mongolfiere della prima ora dicevano di fluttuare nell’oceano. Questo è il paragone con la crociera. Le navi attraversano i mari d’acqua, i palloni attraversano i mari d’aria.

2022

Blüemli, la mongolfiera a forma di mucca, è stata cucita dallo stesso Stefan insieme a un collega.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 3 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 11 Foto: zVg
L’ultima nata: la mongolfiera con la fragola Migros Bio. La nebbia mattutina è ancora presente sui campi dove il pallone viene preparato per il decollo. Lo sapevi?
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L’avventurosa esplorazione dei cunicoli dell’oro

Territorio ◆ Attiva per circa un secolo, la Miniera Costa di Sessa ha permesso di estrarre preziosi minerali, prima di essere abbandonata per oltre sessant’anni, e tornare in vita dal 2018 con visite nel cuore della montagna

Elia Stampanoni, testo e foto

Siamo sottoterra, nei cunicoli scavati per estrarre oro e altri minerali. La temperatura è costante, sempre attorno ai 12°C, mentre l’umidità è del 100%. Condizioni particolarmente apprezzabili nelle afose giornate estive, quando rifugiarsi in un ambiente del genere può essere una salvezza. Ma una visita alle miniere di Sessa è comunque sempre consigliata ed è possibile da metà marzo a ne ottobre, periodo d’apertura al pubblico. L’attività, ormai abbandonata (vedi riquadro), rivive oggi in chiave culturale e turistica grazie alle visite accompagnate proposte dal 2018. Dopo i lavori di ripristino e di messa in sicurezza, è infatti possibile andare alla scoperta di circa 500 metri della vasta rete sotterranea. Si tratta di un tu o nel passato, poiché lungo il percorso troviamo ancora, spesso arrugginiti, gli attrezzi utilizzati dai minatori no all’abbandono della miniera, avvenuto circa settant’anni or sono.

La visita ha una durata di circa due ore (inclusa un’introduzione teorica svolta all’esterno) e segue le istruzioni impartite dalle guide, una ventina in totale, che conducono i visitatori adeguatamente equipaggiati, con casco e pila frontale forniti sul posto.

Visitare le miniere di Sessa è un’esperienza che è subito avventura e piace sia ai bambini sia agli adulti, i quali possono approfondire alcuni aspetti legati alla regione, alla geologia e in generale all’attività mineraria. La visita si trasforma sin dai primi passi in un’esperienza partecipativa, così voluta dall’Associazione Miniera d’oro Sessa, come racconta Mauro Poretti, membro di comitato e una delle guide: «Vogliamo far rivivere la miniera così com’era, trasmettendo emozioni e vicissitudini: per questo gli attrezzi sono stati lasciati e sistemati al loro posto, come venivano usati dai minatori». In e etti, lungo la galleria principale chiamata Leonilde, incrociamo martelli pneumatici, pale, punte di ferro, barattoli arrugginiti, pennelli, lampade, carrucole, argani, carriole e anche una ralla, ossia una piattaforma rotante che, collocata all’incrocio delle rotaie, permetteva di far virare i vagoni all’interno della miniera. Ad accompagnare le visite sono per ora i soci o amici dell’associazione che, con entusiasmo, coinvolgono gli ospiti tramite domande semplici ma stuzzicanti, tipo «Come ha fatto l’oro ad arrivare qua?», «A cosa serviva questo attrezzo?», «Quando si sono formate le Alpi?». Oppure mostrando l’accensione delle lampade a carburo, in uso durante il periodo d’estrazione e che funzionano con l’acqua. Il cammino procede inizialmente lungo i binari (quelli usati per trasportare il materiale), intrufolandosi nella montagna e dove si viene avvolti in un ambiente particolare, carico di silenzio e di odori inusuali. Debitamente curvi per non sbattere la testa sulla roccia o sui tubi pendenti (che portavano aria e acqua dall’interno all’esterno o viceversa), nella miniera s’incontrano diversi cunicoli, discenderie, pozzi e altri anfratti. Quest’anno sono inoltre terminati i lavori d’ampliamento, rendendo accessibile un nuovo passaggio e allungando così la visita su due livelli, no ai «meno sette metri». Per questo sono state necessarie, dopo i dovuti studi geologici, molte ore di lavoro, in

I preziosi minerali del Malcantone

La zona della Miniera di Sessa, che si estende anche in territorio di Astano, ha un sottosuolo ricco di minerali. Non solo oro, ma anche argento, ferro, zinco, piombo e altri. I primi documenti relativi a tentativi d’estrazione risalgono al 1785, ma nelle vicinanze, agli argini del fiume Lisora, sono stati ritrovati cumuli ordinati di ciottoli lavati (aurifodine), che rimandano a un’attività mineraria a «cielo aperto» risalente all’epoca romana. Inserito nell’inventario nazionale come il «Distretto Minerario fra i più grandi della Svizzera», il Malcantone ha vissuto due importanti fasi di sfruttamento minerale. Nell’800, sotto la direzione dell’ingegner Vinasco Baglioni, s’utilizzarono tecniche rudimentali e molto faticose per scavare i primi cunicoli della miniera (argentifera e aurifera), a cui era affiancato un impianto di lavorazione nella zona di Molinazzo di Monteggio. In seguito, nel 1933, la società Mines de Costano SA diede avvio a una lavorazione industriale, ampliando i vari cunicoli già esistenti tra Sessa e Astano e costruendo le strutture per il trattamento dei minerali in località Lolina (presso Beredino), dove il materiale arrivava tramite una teleferica.

In questo secondo periodo il procedimento finale d’estrazione dei minerali venne trasferito in Belgio, dove la roccia, precedentemente tritata e lavorata, veniva spedita in blocchi per il trattamento conclusivo, per il quale era necessario l’impiego di cianuro. Durante la seconda guerra mondiale i collegamenti con l’estero divennero impossibili e così anche il trasporto del materiale tramite ferrovia. I lavori furono pertanto sospesi fino al termine del conflitto, quando l’estrazione riprese, ma solo brevemente. L’attività cessò di fatto nel 1952 e dagli anni Sessanta la miniera della Costa di Sessa rimase in uno stato di abbandono fino al 2015, quando, grazie all’Associazione Acqua Fregia (già promotrice del sentiero tematico dell’Acqua ripensata), iniziarono i lavori di recupero. Nel 2017 nacque quindi l’Associazione Minera d’oro di Sessa, una nuova entità ufficiale che ha permesso di sviluppare il progetto in modo professionale fino alla riapertura, avvenuta nell’aprile dell’anno seguente con l’inaugurazione. Anche in questa fase iniziale è risultato essenziale il contributo di molti volontari e di diversi sostenitori, tra cui il Percento Culturale di Migros Ticino.

gran parte svolte da volontari: i cunicoli sono stati puliti dai detriti accumulati, messi in sicurezza e attrezzati per «l’avventura», che è anche suggerita da Famigros, il club per famiglie della Migros. Presto verrà aperto un ulteriore segmento, ma la miniera è molto più grande, comprendendo gallerie che si estendono per circa due chilometri e su cinque livelli. Rispetto alla quota dell’entrata, il punto più profondo è 54 metri più in basso, mentre quello più elevato è 30 metri più su, poco sopra una seconda entrata. Non mancano rumori e animazioni, ricreati per

meglio comprendere la dura vita dei minatori, che qui, in un vasto labirinto sotterraneo, hanno lavorato assiduamente e in un ambiente ostile n verso il 1952.

Link e informazioni www.minieradoro.ch https://famigros.migros.ch/it Famigros è il club per famiglie della Migros. Oltre ai vantaggi del club, Famigros propone ispirazioni per la vita familiare quotidiana. La sola condizione per iscriversi al club è di avere figli di età inferiore ai 26 anni o essere in dolce attesa.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 3 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 13 SOCIETÀ
Alcuni scorci della Miniera La Costa di Sessa; sotto, Mauro Poretti mostra una mappa dei cunicoli.

Una tavola dipinta di blu.

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TEMPO LIBERO

Le bellezze ticinesi di Piazza Plebiscito

Napoli: il Palazzo Reale e la chiesa di San Francesco di Paola, definita la «piccola San Pietro», sono opere dei ticinesi Domenico Fontana e Pietro Bianchi

Crea con noi

Con pochi materiali di riciclo vi invitiamo a realizzare due set di fiori sensoriali per i bambini, un gioco coloratissimo per scoprire la luce e stimolare il tatto

Un filo che unisce tutte le cose del mondo

Fotografia ◆ Stefania Beretta, specializzata in fotografia d’architettura, ha sviluppato la propria arte grazie a molti incontri preziosi

Ricamare le proprie foto con fili coloratissimi e invisibili che legano e collegano, dall’inizio, tutte le cose del mondo tra loro, portando avanti la nostra esistenza. È questo uno degli intenti manifesto del percorso artistico e professionale di Stefania Beretta, fotografa ticinese con approdi internazionali, nostra odierna interlocutrice che ci accoglie nella sua luminosa casa studio di Verscio, nelle Terre di Pedemonte. Circondati da innumerevoli immagini e libri, davanti a un buon caffè, iniziamo a svolgere il filo colorato del suo lungo cammino attraverso la fotografia. E la vita.

Un percorso costellato da tanti incontri importanti, cruciali, decisivi, iniziato tanti anni or sono quando, ancora quindicenne, scoprendo l’esistenza del mestiere di fotografo capisce che sarà la sua strada: «Sono quelle consapevolezze che stanno dentro di noi, di cui non siamo mai veramente coscienti, ma quando è il momento, escono con tutta la loro forza». La verità scaturita da tale presa di coscienza l’accompagnerà sostenendola lungo tutto il percorso professionale e artistico che da lì va a cominciare.

Ottiene un diploma federale, si specializza in fotografia d’architettura e inizia a lavorare come fotografa dipendente. Un’esperienza, questa, che si esaurisce in pochi mesi. Licenziatasi, decide di partire per un viaggio in Sud America. Col senno del poi, come ci racconta, si rende conto che la fotografia le ha anche permesso di realizzare il suo sogno di viaggiare, un sogno che vive a occhi aperti fin dall’adolescenza.

Innumerevoli saranno infatti i viaggi che andrà poi ad affrontare negli anni, per realizzare lavori su commissione o per ricerca personale. Nelle Americhe, in Europa e soprattutto in India, Paese dal quale è stata fortemente attratta e dove ritornerà regolarmente per trent’anni: «Questo Paese mi ha dato la conoscenza di una nuova cultura, che però sentivo molto, molto vicina. Era come se fosse qualcosa che conoscessi già. Ha influito molto nella mia persona e mi ha anche regalato una conoscenza intima, spirituale, di me stessa». Oltre a tante bellissime immagini.

Tornata dal Sud America, era il

, apre uno studio fotografico. Non senza difficoltà, all’epoca quell’ambito di lavoro era ancora prettamente maschile. Un primo incontro importante, dal punto di vista professionale e umano, Stefania lo ha con l’architetto Aurelio Galfetti, incontro che le permetterà di seguire e documentare gli ampi lavori di restauro del Castelgrande di Bellinzona. Le pubblicazioni che usciranno a seguito di questi lavori la metteranno in luce, consentendole così di ottenere ulteriori e rile-

vanti lavori e pubblicazioni, sia in Ticino sia Oltralpe. A questo campo d’attività accompagna quello della riproduzione d’arte. Nel momento in cui, dopo anni, comincia a scemare il lavoro e il suo interesse per la fotografia d’architettura, Stefania – in virtù di quella irrevocabile forza che srotola i nostri fili – conosce Reto a Marca, mercante d’arte internazionale, con cui stabilirà, oltre a un’importante relazione di lavoro, anche una profonda e duratura amicizia. Con Reto a Marca, compiendo innumerevoli viaggi, Stefania avrà modo d’incontrare e confrontarsi con importanti artisti della scena internazionale e i loro lavori, da Arman a Daniel Spoerri, a Mimmo Rotella, Not Vital, Zoran Musič, César e così via.

Questi incontri e l’energia che sprigionano, faranno da detonatore per quello che diventerà il suo percorso creativo con la fotografia. Oltre alla riproduzione dei loro lavori, Stefania realizzerà parecchi ritratti – campo per il quale in Ticino è poco conosciuta. Ma soprattutto queste esperienze la faranno crescere facendole scoprire una parte sua di creatività: «Grandi nomi, begli incontri, molto stimolan-

ti, molto arricchenti. Era anche una crescita mia. Attraverso questi incontri, attraverso questo vedere, attraverso tutto questo scambio, sentivo una grande crescita, interiormente, ma anche professionalmente».

Durante una residenza di sei mesi a Parigi, negli anni Novanta, trova in un mercatino una macchina fotografica Polaroid di medio formato, apparecchio che oltre all’immagine istantanea positiva rilascia anche il suo negativo. Con questo gioiellino –quasi un giocattolo con cui dare sfogo alla voglia di fotografare per poi poter entrare in un rapporto fisico, diretto, con le immagini fatte, sviluppando e manipolando il negativo – realizza un lavoro su Parigi in bianco e nero, in seguito pubblicato in Ticino da Matteo Bianchi col titolo Paris noir. Durante questo soggiorno, realizza un’altra intensa serie d’immagini nella stanza in cui risiede (serie entrata a far parte del libro Rooms), di natura intimistica, autobiografica, in cui la stanza con le tracce di chi vi era già passato fanno da soggetto ma anche da sfondo a ritratti di sé e della compagna Giangi. Sempre in bianco e nero, com’è poi stato il caso per la gran parte del suo lavoro d’autore. Eccezioni le troviamo

nelle serie Trop, After Monsoon e parte di In Memoriam che, per loro natura, non potevano esser fatte altrimenti che a colori – andate a vedere tutti questi e altri lavori nel suo sito (stefaniaberetta.ch), dove troverete anche dei video che descrivono il suo approccio pratico e poetico alla fotografia. Poetico, sì, perché lo sguardo fotografico di Stefania è intriso di poeticità e di una forte sensualità, con cui sublima attraverso l’apparecchio fotografico la realtà, il suo modo d’incontrare e vivere il mondo. Ma parte in causa nel determinare la sua poetica sta anche, come già accennato, nel rapporto fisico che da lungo tempo Stefania intrattiene con le immagini da lei realizzate. Nel senso del suo lavorarle, manipolarle, andare oltre lo stretto – seppur essenziale – lavoro eseguito con la macchina fotografica: «Sono sempre stata una fotografa un po’… poco ortodossa. Sì, c’è stato un periodo in cui sicuramente le mie fotografie erano fotografie. Però ho cominciato presto a graffiare i negativi, a bruciarli e lavorare con la matita grassa, col collage, sulle immagini. E quindi è stato naturale arrivare anche al cucito sull’immagine». Nel suo percorso, questo approccio

va di pari passo con l’emanciparsi da un procedere programmatico, orientato dal concetto. È un liberarsi abbracciando l’azione condotta vieppiù dall’istinto, dall’inconscio, dall’attrazione verso la Natura, lasciandosi scivolare lungo quei fili colorati che intessono l’universo.

Tanto altro vi sarebbe da dire sul lavoro, gli incontri e il pensiero di Stefania Beretta, ma lo spazio della pagina non ci concede di andare oltre. Terminiamo allora con quest’ultima citazione, in cui Stefania riassume, quasi a dichiarazione estetica, il rapporto che ha con la fotografia: «Dico sempre che la mia fotografia è filosofia visuale, vi rientrano le idee, l’intuizione, l’unione con l’universo, pesco nel mio immaginario e nella mia memoria inconscia».

Dove e quando Alcune opere di Stefania Beretta potranno essere ammirate grazie al progetto My Trees in mostra alla Galerie Monika Wertheimer, Hohestrasse 134, ingresso H, 4104 Oberwil (BL) dall’1.6.24 al 29.6.24. Orari: mercoledì, giovedì e sabato 14.00-18.00, e su appuntamento. www.galeriewertheimer.ch

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Paesaggi improbabili. (Stefania Beretta) Stefano Spinelli Pagina 19 Pagina 16-17

L’impronta elvetica attorno alla Piazza

Itinerario ◆ A Napoli, il Palazzo Reale da una parte e la Reale Basilica Ponti cia dedicata a San Francesco di Paola dall’altra

Alle nove del mattino via Toledo è già piena di persone. È la via dello shopping di Napoli. E la strada che delimita i Quartieri Spagnoli dal centro storico e dalla zona mare. Ma via Toledo è anche la via che dobbiamo percorrere per arrivare a quella che è la nostra destinazione: Piazza del Plebiscito.

Dalla stazione centrale di Napoli basta prendere la linea 1 della metropolitana, fermarsi alla stazione Toledo (che il quotidiano britannico « e Daily Telegraph» ha de nito la stazione più bella d’Europa) e percorrere ottocento metri in direzione sud per giungere nella più importante piazza della città.

L’attuale Palazzo Reale oggi risente di numerose risistemazioni avvenute durante i secoli; tuttavia è ancora possibile scorgere le intuizioni di Fontana

Una coppia di turisti è appena arrivata. I due giovani si spostano al centro del largo per ammirarne la maestosità: 25mila metri quadrati riempiti da sole due statue equestri. Fa quasi impressione tutto quello spazio. A rendere davvero speciale questo luogo sono però due delle quattro costruzioni che la circondano: il Palazzo Reale da una parte e la Reale Basilica Ponti cia dedicata a San Francesco di Paola dall’altra.

La coppia di turisti probabilmente non sa (d’altronde neanche tra i napoletani è un fatto molto noto) che entrambi quegli edi ci sono opera di

architetti ticinesi. E più precisamente, il Palazzo Reale è stato progettato dal melidese Domenico Fontana, mentre l’iconica chiesa che sorge di fronte al Palazzo e il suo straordinario colonnato – sono opera del luganese Pietro Bianchi. I due non si sono mai incontrati perché vissero e operarono a Napoli in epoche diverse: il primo all’inizio del Seicento, il secondo oltre due secoli dopo.

Superata l’emozione iniziale, i due turisti si dirigono verso la Chiesa e il suo colonnato. Noi andiamo nella direzione opposta. In un angolo della facciata di Palazzo Reale, lunga 160 metri e caratterizzata dalla presenza delle statue dei principali regnanti di Napoli, c’è una lapide che ricorda l’autore di quell’opera: Domenico Fontana.

Nato a Melide nel 1543, Fontana è stato il primo della scuola ticinese a salire alla ribalta dell’architettura europea. Nel 1563 si spostò a Roma dove divenne progettista di riferimento di Papa Sisto V. In quegli anni lavorò alla realizzazione di numerose opere. Tra le altre: la facciata su Piazza Montecavallo di Palazzo del Quirinale, la Cappella Sistina di Santa Maria Maggiore, l’Obelisco di Piazza San Pietro e i Palazzi Apostolici in Vaticano.

La qualità della sua opera e il favore di Sisto V attirarono verso di lui tante invidie. Così alla morte del suo protettore, per Fontana iniziò un periodo di cile che lo portò, nel 1593, ad accettare la chiamata in un’altra capitale della Penisola: Napoli. Il viceré spagnolo, Conte di Miranda, lo

volle in città per farlo lavorare al riassetto urbanistico di Napoli. Prima del Palazzo Reale, quindi, diede forma al quartiere che oggi sorge sul suo anco e che a accia sul mare. Opera di straordinario valore ingegneristico ma di poco conto rispetto all’enorme qualità artistica del ticinese. Così ane secolo il viceré decise di commissionare a Fontana anche la costruzione di un enorme palazzo che avrebbe dovuto ospitare il Re di Spagna. La prima pietra del Palazzo Reale partenopeo fu posata nel 1600. Oggi Palazzo Reale ospita la Biblioteca Nazionale e un Polo Museale. L’attuale struttura risente di numerose risistemazioni avvenute durante i secoli ma è ancora possibile scorgere le intuizioni di Fontana. A partire dai portici, oggi murati ed en-

trati nel corpo del Palazzo. Una scelta architettonica innovativa per l’epoca, i portici furono voluti da Fontana per permettere ai napoletani di passeggiare ai piedi del Palazzo anche in caso di tempo avverso. Ciò che invece non fu mai costruito fu il sistema di tre cortili che Fontana progettò in corrispondenza dei tre ingressi principali. Ne fu costruito uno solo, quello centrale. Tra i motivi per cui il Palazzo non fu eretto esattamente come disegnato dall’architetto ticinese fu la morte di quest’ultimo a soli sette anni dall’inizio dei lavori. Fu sepolto, come da sua richiesta, nella chiesa di Sant’Anna dei Lombardi nel centro storico di Napoli. Lasciato alle spalle il Palazzo Reale, dirigiamo lo sguardo verso la Basilica disegnata da Pietro Bianchi. A

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entrambe opere
sono
Piazza del Plebiscito dall’alto, dal Palazzo Reale. In basso: (a sinistra) Piazza del Plebiscito con vista sul Palazzo Reale; (a destra) Piazza del Plebiscito, con la facciata di Palazzo Reale, e sullo sfondo uno scorcio del Vesuvio. (Federico Quagliuolo) A lato, in alto: due scorci della Chiesa di San Francesco da Paola su Piazza del Plebiscito, uno con la scultura di marmo del leone, e l’altro con la statua equestre in bronzo (opera di Antonio Calì), rappresentante Ferdinando IV di Borbone. (Federico Quagliulo) A lato, sotto: interno della chiesa di San Francesco da Paola. (Roberta Montesano)

Piazza del Plebiscito

opere di architetti

ticinesi:

camminare verso il colonnato si viene pervasi dalla strana sensazione di aver già visto quell’opera anche se a Napoli non ci si è mai messo piede prima di allora. È una sensazione comune e, a ben vedere, giusti cata. Perché nel progettare la chiesa napoletana, il luganese si ispirò a due grandi opere architettoniche romane: l’interno della Basilica è una riproposizione del Pantheon della Città Eterna, mentre il colonnato è una rivisitazione di quello di Piazza San Pietro in Vaticano. Due opere di per sé straordinarie che messe insieme rendono quel luogo incredibilmente emozionante. Deve averla pensata allo stesso modo Ferdinando

I di Borbone perché quando vide il progetto disegnato da Bianchi decise di andare contro le sue stesse decisioni precedenti e a dare al ticinese la costruzione della chiesa.

È il 1816 quando Ferdinando IV di Borbone torna a Napoli ormai liberata dai francesi, unisce il Regno di Sicilia e quello di Napoli e si incorona Ferdinando I, Re delle Due Sicilie. Quando Ferdinando rimette piede nel Palazzo Reale disegnato da Fontana trova la piazza che vi sorgeva di fronte completamente diversa da come l’aveva lasciata. I francesi avevano dato inizio a un’opera di riquali cazione urbana dell’intero Lar-

Se vi trovate a passeggiare in Piazza del Plebiscito e vedete qualcuno che cammina bendato circondato da amici o parenti divertiti, state tranquilli: la persona in questione sta solo mettendo alla prova, per l’ennesima volta, il potere della Regina Margherita. Tutto ebbe inizio diversi secoli fa, quando la sadica sovrana, annoiata dalla vita di Corte, trovò un passatempo che vedeva protagonisti i tanti prigionieri accalcati nelle galere di Napoli. Fece arrivare loro un messaggio: trattandosi di una regina buona aveva deciso di concedere loro, una volta al mese, la possibilità di guadagnarsi la propria libertà ma solo a patto di riuscire a percorrere bendati in linea retta i circa 170 metri che intercorrono tra il portone principale del Palazzo Reale di Domenico Fontana e le due statue equestri di Carlo III di Borbone e di Ferdinando I che sorgono proprio lì di fronte e distanti tra loro 40 metri. Un’impresa

go. Ferdinando I però volle cancellare ogni segno del passaggio dei francesi e indisse un concorso per la progettazione di una nuova chiesa che doveva nascere proprio di fronte al Palazzo Reale e che doveva rappresentare un ex voto per la riconquista del regno. Furono in tanti a partecipare. Ma tra questi non c’era il nostro Pietro Bianchi che no ad allora aveva lavorato solo come archeologo. Nato a Lugano nel 1787, Bianchi si trasferì presto a Roma per lavorare agli scavi archeologici della città. Il ticinese non aveva mai lavorato alla progettazione di un edi cio, ma decise comunque di buttar giù un progetto. Quando lo scultore Antonio Canova, suo amico personale e artista particolarmente apprezzato a Corte, vide il progetto di Bianchi decise di presentarlo al Re Ferdinando che se ne innamorò e, fregandosene del concorso che aveva indetto, assegnò d’imperio la realizzazione della chiesa al ticinese.

Pietro Bianchi disegnò la Reale Basilica Pontificia ispirandosi il più possibile al Pantheon romano e al lavoro del Bernini

Superiamo le colonne ed entriamo all’interno della chiesa dove le similitudini con il Pantheon romano diventano del tutto evidenti. In e etti nel suo progetto Bianchi decise di limitarsi ad aggiustare i piccoli errori negli allineamenti che gli antichi commisero all’epoca della costruzione del Pantheon di Roma lasciando il resto inalterato. Lo stesso tentò di fare con il colonnato al suo ingresso. Ma riproporre fedelmente quello di Piazza San Pietro a Roma era un’impresa quasi impossibile date le dimensioni e la posizione. L’unica cosa che poteva fare Pietro Bianchi era disegnare qualcosa il più possibile simile al capolavoro di Bernini.

Usciamo dalla chiesa-Pantheon e torniamo nel centro della piazza, ormai piena di turisti, ai quali una guida chiede: «Cosa vi ricorda il colonnato alle mie spalle?». «San Pietro», risponde uno, a conferma del buon lavoro fatto da Pietro Bianchi.

Rossocrociati all’ombra del Vesuvio

C’è stato un momento, intorno all’inizio dell’Ottocento, in cui i cittadini svizzeri rappresentavano il gruppo straniero più numeroso a Napoli. Ma che ci facevano tutti quei cittadini elvetici all’ombra del Vesuvio? A partire dal Settecento Napoli attirò l’attenzione di centinaia di imprenditori e commercianti provenienti da tutta Europa. Tra questi guravano anche numerosi svizzeri che anzi sembravano più propensi degli altri a scegliere Napoli come sede dei loro affari. Il motivo? Elio Varriale nel libro Svizzeri nella storia di Napoli (Marotta Editore) scrive che nella città partenopea gli svizzeri trovarono «un mercato del lavoro notevolissimo agevolato e verosimilmente privilegiato dalla presenza di circa 10mila soldati svizzeri da diversi decenni già al servizio dei Borboni».

lia dell’Ottocento (Il Mulino), gli imprenditori svizzeri arrivati a Napoli non si integrarono a atto con la società locale. Il motivo? Troppo diversi – per cultura, censo e soprattutto religione – dalle classi medie e dalle élite napoletane.

A integrarsi nella società, invece, furono i soldati svizzeri che, spesso, una volta congedati dall’esercito, decidevano di rimanere in città dove ormai si erano fatti una vita. Una storia emblematica, in questo senso, è quella degli Item.

da niente, insomma. Eppure i prigionieri chiamati a compiere l’impresa finivano, come smarriti, a camminare in tondo senza mai raggiungere la meta. Tutta colpa di Margherita che, non volendo affatto concedere la liberà ai suoi prigionieri, lanciò una maledizione che impediva a chiunque di camminare in linea retta lungo la piazza. Si tratta di una delle tante leggende partenopee che da secoli vengono raccontate ai bambini e che i napoletani si divertono a raccontare ai turisti sfidandoli a mettere alla prova il potere di Margherita (non si è mai capito, a dire il vero, chi fosse questa fantomatica sovrana). E a guardare le performance decisamente scadenti di chi ci prova, pare che la maledizione della Regina sia ancora perfettamente in azione. Ma Margherita e il suo potere c’entrano poco. La verità è assai meno fantasiosa e legata a due variabili principali. La prima è la conformazione della

pavimentazione della piazza. Una pavimentazione molto irregolare fatta di diversi punti in salita seguiti da diversi punti in discesa e formata dal tipico sanpietrino partenopeo. La seconda variabile è legata all’estensione della piazza. Con i suoi 25mila metri quadrati di superficie, Piazza del Plebiscito rappresenta una delle più ampie piazze d’Italia. A occhi bendati si perdono del tutto i punti di riferimento visivi e dunque non resta che fare affidamento ai propri piedi. Ma l’ampiezza della piazza e la conformazione della sua pavimentazione rendono tutto difficilissimo. Il risultato? Sebbene ci si posizioni perfettamente al centro dello spazio tra le due statue equestri, anche concentrandosi al massimo per mantenere un tragitto rettilineo, se bendati si finisce inevitabilmente per girare in tondo. Come i poveri prigionieri di Margherita.

Nel 1734, infatti, furono creati i Reggimenti militari svizzeri al soldo dell’esercito napoletano. La presenza di cittadini elvetici negli eserciti di altre nazioni era piuttosto comune già dal Cinquecento, ma a partire dall’Ottocento Napoli divenne una delle capitali con il maggior numero di soldati rossocrociati d’Europa. Soldati e imprenditori. Furono queste due, dunque, le categorie principali di immigrati svizzeri a Napoli. Intorno alle quali si creò una comunità fatta di insegnanti, religiosi, studiosi e medici, alcuni dei quali contribuirono a fare la storia di Napoli. Un esempio? Il signor Luigi Ca isch. Pasticciere di Trins, Ca isch aveva già avuto diverse esperienze imprenditoriali in altre città della Penisola. Mentre si trovava a Roma fu convinto da un suo socio appena rientrato da Napoli che la città partenopea rappresentava un’ottima occasione di investimento. Così nel 1825 fondò la prima pasticceria Ca isch di Napoli che – seppur cambiando sede – rimase attiva in città no al secondo Dopoguerra. Prima di Ca isch a Napoli arrivarono i Meurico re (Frederic-Robert a ne Settecento fondò una banca che divenne presto la più importante della città); gli Egg (Johann Jakob nel 1812 fondò nella provincia uno dei più importanti cotoni ci del Sud Europa); i Vonwiller; i Wenner; gli Schlaepfer e i Meyer.

Come ha spiegato Daniela Luigia Caglioti, docente di Storia contemporanea all’Università Federico II di Napoli e autrice di Vite parallele: una minoranza protestante nell’Ita-

Il capostipite del ramo napoletano fu Jakob. Nato nel 1803 nei Grigioni, a 26 anni decise di lasciare la Svizzera e andare a proporre al Re di Napoli Ferdinando II i suoi servigi militari. A Napoli, nel 1838 sposò Rachele Visconti e dalla loro unione nacquero Vincenzo e Giacomo. Anche loro nirono a combattere per i Borbone tanto che li troviamo tra i soldati che a Gaeta cercarono di salvare il Regno dall’avanzata piemontese. Con la scon tta dell’esercito napoletano e l’assorbimento del Regno delle Due Sicilie in quello sabaudo, i due si trovarono a vivere in una città ormai allo sbando. Decisero, dunque, di trasferirsi a Pompei dove avevano utato una possibilità di business: il Grand Tour (che per secoli aveva portato centinaia di aristocratici europei in ogni angolo della Penisola) si stava trasformando in qualcosa di diverso, di più popolare. I due fratelli capirono le potenzialità del nascente settore turistico e a Pompei fondarono l’Hotel Suisse. Proprio nei pressi dell’Hotel, nel 1909, Aurelio Item (uno dei gli di Vincenzo) durante una battuta di caccia trovò alcune pietre che ricordavano molto quelle degli scavi di Pompei. Fu così che scoprì Villa dei Misteri, la villa romana che sorge fuori le mura dell’antica Pompei e che oggi rappresenta uno dei ori all’occhiello degli scavi archeologici.

La storia degli Item è emblematica di una fetta della popolazione svizzera a Napoli. Ma come abbiamo visto, per ogni Item «napoletanizzato» c’era un Wenner che non intendeva a atto integrarsi.

La fase discendente della parabola svizzera a Napoli cominciò con l’unicazione della Penisola con cui la città perse di attrattività. Ma il colpo di grazia lo diede il fascismo che guardava con sospetto tutto ciò che non era «italiano» e spinse anche i pochi imprenditori elvetici rimasti a lasciare la città.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 3 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 17
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Procedimento

Stampate il cartamodello (lo trovate su www.azione.ch) e ritagliate le figure. Appoggiate i fiori su di un cartone spesso e tracciatene i contorni

con una matita. Ritagliate vari pezzi a seconda di quanti fiori volete creare e quanti materiali diversi volete utilizzare. Con l’acquarello dipingete i fiori. Potete utilizzare i colori che preferite, ma vi consiglio di farne almeno tre con i colori primari: giallo, rosso e blu. Se avete utilizzato un cartone marrone, per avere una copertura migliore potrete utilizzare i colori a tempera.

Fiori con «lente» trasparente colorata per giocare con la luce Ritagliate dalle mappette, utilizzando il cartamodello come misura di riferimento, i cerchi che incollerete sul retro dei rispettivi fiori, utilizzando la colla a caldo. Con la colla incollate anche il baston-

Giochi e passatempi

Cruciverba

Sapresti dirmi da quanti versi è formata la Divina Commedia?

Lo scoprirai a soluzione ultimata leggendo le lettere evidenziate. (Frase: 32)

cino in legno che fungerà da stelo per il fiore e al contempo da manico per il suo utilizzo.

Fiori tattili

Procedete come per i fiori precedenti, ma come centro, invece che le plastiche trasparenti, utilizzate materiali che diano sensazioni tattili diverse. Potete utilizzare ciò che preferite, evitando però, per questioni di sicurezza, di incollare piccoli elementi che potrebbero staccarsi facilmente. In questo tutorial potete vedere qualche esempio: panni multiuso da cucina, pannolenci, lana cardata, cartone glitterato, gomma crepla, cartone ondulato.

Potete presentare i fiori con un piccolo dispenser. Vi basterà tagliare delle strisce di cartone ondulato alte  cm e unirle tra loro con della colla a caldo lasciando libero il lato superiore dove inserirete i fiori tra un cartone e l’al-

Materiale

•C artone di riciclo (meglio se bianco)

•Acquarelli e pennello

•Forbici e taglierino

•Mappette o fogli trasparenti nei vari colori

•Materiali di recupero con texture interessanti (ad es. feltro, spugna, tulle, plastiche varie)

•Bastoncini di legno

•Colla a caldo

•Stampante per il cartamodello

(I materiali li potete trovare presso la vostra filiale Migros con reparto Bricolage o Migros do-it)

tro. Il gioco, in questo modo diventa anche un’allegra decorazione. Buon divertimento!

Tutorial completo azione.ch/tempo-libero/passatempi

ORIZZONTALI

1. Arrivare in silenzio e di nascosto

6. Si caccia per paura

7. Il cuore dell’ardito

9. Sono anche chiamati denari

10. Voce del poker

11. Ai confini della Turchia

12. Prefisso che vuol dire muscolo

13. È una malvivente

17. Risiedevano nell’Olimpo

19. Altro nome di Cupido

20. Alla salute...

21. Penna a Liverpool

22. Duro, sodo

23. Simbolo chimico del radon

24. Panni vecchi e logori

25. Le iniziali della conduttrice Toffanin

26. Contrario al dittongo

27. Satellite di Giove

28. Va in cerca di alibi

VERTICALI

1. Parte di una somma

2. Grido di gioia

3. Un noto Babà

4. Nelle tegole e nei mattoni

5. Divide

8. Le iniziali di una nota Pivetti

10. Lo era Stevie Wonder

12. Eccelse quelle di alcuni eminenti scienziati

13. Mammiferi selvatici

14. Vi si svolgevano antiche gare

15. Fiume russo

16. Le iniziali dell’attore Scamarcio

17. Usato nell’hockey

18. Compatto

20. Esistono anche gelati...

22. Pronome personale

24. Due di cuori

25. In forse...

Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P.

Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 3 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 19
legali sono
Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata
in Svizzera. Sudoku Scoprite i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate. CE L EBRE P A I N A T O N I A FILL O L E O N Q U AL E O R O S PU NTO D TEC O LAIT GE TO MA IS OLIM A FE CCI A PRO MARCO M I I N CAST A S E RENI EN EA BIN ARIO 9 8 2 87 6 3 347 4 2 7 1 6 3 9 7 8 5 6 3 9 4 1839 475 26 2963 857 41 5472 168 39 6 2 1 8 9 4 3 7 5 9345 726 18 8756 314 92 7 1 9 4 6 8 2 5 3 3587 291 64 4621 539 87
1055, 6901
escluse.
esclusivamente a lettori che risiedono
Soluzione della settimana precedente UN PO’ DI UMORISMO – Il colmo per un calciatore è di mettere … Resto della frase: … LE PANTOFOLE QUANDO GIOCA IN CASA
1 2 3 4 5 6 78 9 10 11 12 13 141516 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28
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Energia da portare con sé

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Viaggiatori d’Occidente

Un ponte verso un turismo migliore?

Non c’è pace per il povero Ticino. Durante il ponte di Pentecoste l’ultimo frontaliere non era ancora scomparso all’orizzonte che già al Gottardo cominciavano ad affacciarsi i vacanzieri. Presto si è formata una gigantesca coda di auto lunga  chilometri (il record di  km risale invece al  e al ). Naturalmente non erano tutti turisti nostri; molti sono scivolati lungo il cantone verso la più conveniente Italia, ma d’altronde questo è il destino delle terre di passaggio.

I nordici bloccati a migliaia per interminabili ore nel traffico, nonostante ogni tentativo di «partenza intelligente», erano l’immagine stessa della disillusione. Nella sua essenza, scriveva il sociologo tedesco Hans Magnus Enzensberger, il turismo è una fuga dalla città, dal mondo della produzione e del consumo, verso un’immagine romantica della natura

incontaminata. Ma presto il viaggio diventa una merce e il nostro spirito di ribellione originario si spegne in una sorta di libertà vigilata, gestita dalla stessa società dalla quale vorremmo fuggire.

E così, muovendo dalle migliori premesse, i nostri ingenui tentativi di evasione creano una situazione perdente per tutti. Nei momenti di massimo affollamento, le destinazioni devono fornire servizi essenziali – energia, acqua, rifiuti – a un gran numero di utenti per un tempo molto limitato. Dal punto di vista organizzativo è un incubo, la negazione di ogni economia di scala. Anche gli operatori si trovano sotto pressione. Certo, i guadagni sono più elevati ma per un periodo troppo breve e, per fare solo un esempio, non è facile trovare del buon personale se si offrono contratti stagionali. Per questo non da oggi la paro-

Passeggiate svizzere

La torre Haldimand a

Ouchy

Sul quai di Ouchy, un pomeriggio di primavera, cammino tranquillo anche se non sono mai stato tanto un grande appassionato di lungolaghi. Dei quai, al contrario, sono un profondo detrattore. I lungolaghi intralciano la comunione con il lago, inducono a un passeggiare rettilineo, univoco, deprimente, mortale. Che esultanza dello spirito quando ho ritrovato questa mia inconfessata avversione per i quai lacustri elvetici, causa di una discordanza artificiale tra lago e città, in un racconto di Tolstoj dove critica a lungo, e a più riprese, il lungolago di Lucerna. Eppure, qui a Ouchy – parte di Losanna dal  ma rimasta sempre entità a sé, non per niente una confraternita lo rivendica ancora come «Commune libre d’Ouchy » – camminando sul quai provo una inusuale tranquillità. Insolita quiete quasi, forse già a partire dal toponimo che per me ha sempre

significato una via di uscita da Losanna. Il suo porto, l’apertura a tutte le destinazioni lemaniche possibili in battello. O chissà, magari è proprio questo quai che riesce a riconciliarmi con tutti i quai della Svizzera, grazie alle sue aiuole floride con peonie e un sacco di altri fiori e soprattutto a certi alberi. Come la commovente tamerice di primavera (Tamerix tatandra) con le sue infiorescenze rosa scuro (di certo non per merito della scultura di Nag Arnoldi all’altezza del Museo Olimpico). E comunque, anche un po’ perché il quai d’Ouchy, come mi è appena capitato, è l’unico al mondo dove un signore elegante-stralunato vi saluta con «bonjour monsieur ». Però, alla fine della fiera, questo camminare in santa pace sarà anche dovuto al fatto che in fondo al quai di Ouchy si trova la meta del viaggio. Una torre neogotica in rovina nata, si racconta, per scommessa, nel .

Sport in Azione

Da capro espiatorio a

Esistono capri espiatori professionisti, come Benjamin Malaussène, partorito dalla fantasia e dalla penna dello scrittore francese Daniel Pennac. Sono però convinto che la stragrande maggioranza delle persone eviterebbe volentieri di calarsi nei panni di colui che paga pegno sempre e indiscriminatamente.

Fra costoro ci metto anche Patrick Fischer. Al CT della Nazionale svizzera di hockey su ghiaccio, sono bastate due settimane di pura follia agonistica per sfuggire al linciaggio mediatico e popolare. Sui social media un esercito di nemici era pronto a richiedere a viva voce la sua testa. I rossocrociati si erano avvicinati al Campionato del Mondo di Praga con una serie mortificante di sconfitte consecutive. Il coach sembrava in balia degli eventi, assolutamente incapace di uscire da questo vortice negativo. Per i campi d’allenamento e per i tornei

la d’ordine è destagionalizzare, con diverse strategie. Si comincia ovviamente con gli sconti, oppure si punta su nuovi mercati, o ancora si differenzia l’offerta: chi d’estate propone la vita di spiaggia, in altre stagioni punterà sul turismo culturale o naturalistico o enogastronomico. Anche eventi sportivi e congressi possono aiutare. Sono tutte strategie ben note, così come è ben nota la difficoltà di passare dalla teoria alla pratica. Per i turisti non va meglio. Nei giorni di grande affollamento i prezzi salgono alle stelle mentre la qualità dell’esperienza precipita. La sostenibilità ambientale si traduce in una vaga aspirazione, i rapporti con i locali sono sporadici e puramente mercantili, l’autenticità dell’esperienza va perduta.

Cambiare l’offerta tuttavia non basta, se la domanda resta legata alle vecchie abitudini. E potrei comin-

ciare da me stesso. Da diversi anni lavoro per la maggior parte del tempo senza orari d’ufficio; inoltre per noi scrittori e giornalisti free lance anche l’interazione con gli altri si svolge in tempi e forme piuttosto libere. Eppure mi riposo nel week end, quando mi prendo un mercoledì libero mi sento vagamente in colpa e tendo comunque a viaggiare d’estate. È un modello di turismo tradizionale, legato al mondo del Novecento, costruito intorno alla città, alla fabbrica, all’ufficio. In quegli anni tutte le attività restavano aperte o chiudevano simultaneamente, tanto che le ferie prendevano la forma di un rito laico collettivo. Il lavoro e la vacanza erano la celebrazione di una prospettiva e di un destino comuni. Ma quel tempo è passato e oggi, ci insegnano i sociologi, viviamo nella società dell’individualismo, della differenza, del particolare.

Molti di noi lavorano per obiettivi, smart, spesso da remoto. Sulla carta, con un poco di programmazione, potremmo visitare i luoghi più famosi in bassa stagione e restare invece a casa quando tutti partono. Per fare cosa? Le possibilità non mancano, a cominciare da raffinate forme di turismo di prossimità o di staycation (visitare la propria città con gli occhi di un turista). Oppure potremmo dedicarci ai nostri interessi, alla casa, alle relazioni…

Invece alla fine ci lasciamo sempre tentare dalle sirene del viaggio. Forse è una forma di inerzia, di pigrizia mentale. O forse al fondo cerchiamo proprio la compagnia degli altri (anche se poi ce ne lamentiamo) per essere rassicurati, per sentire che siamo nel posto giusto, fosse pure nel cuore di un gigantesco ingorgo, sul ciglio di un’autostrada bloccata dal traffico.

Una gara a chi, tra tre gentiluomini – tali Charles-Sigismond de Cerjat, William Haldimand, Vincent Perdonnet –, riuscisse a realizzare la torre neogotica in rovina più bella. Vinse, a quanto pare, la torre di William Haldimand (-): direttore della banca d’Inghilterra, deputato liberale, filantropo filoellenico i cui beneficiari sono stati anche ciechi, credenti, bagnanti. E il cui ritratto in redingote sulla poltrona nella sua dimora del Parc du Denantou, lì, oltre la strada, per mano di Charles Gleyre – pittore vodese misconosciuto, maestro di tanti impressionisti francesi famosi –, mostra, incorniciata da favoriti, una faccia pallida-giallastra da malato e sguardo liquido triste da persona ricca e sola. Non di certo la bellezza, a un primo sguardo, della torre Haldimand () a Ouchy, ferma la mia attenzione. Ma la sua posizione da pesce fuor d’acqua, in

eroe il passo è breve

di preparazione, Fischer aveva messo alla prova un numero impressionante di giocatori, persino Dario Wüthrich che faticava a trovare un posto da titolare nell’Ambrì-Piotta. Un po’ come Roberto Mancini con la nazionale azzurra di calcio. Ma alla fine il Mancio, l’Europeo, lo aveva vinto. A «Fischi» è bastato respirare aria iridata. È stato sufficiente recuperare da oltre Oceano alcune star elvetiche estromesse dai play-off della National Hockey League per invertire violentemente la tendenza. Sette sfide nel girone, sei portate a buon fine. Vittoria solida nei quarti di finale contro la bestia nera Germania. Successo ai rigori in semifinale contro i canadesi, campioni del mondo uscenti. In finale, contro la Cechia che giocava davanti al suo pubblico, la Svizzera se l’è giocata fino all’ultima goccia di energia. In due settimane Patrick Fischer si è

spogliato dei panni di coniglietto perdente per vestire quelli di fine stratega, capace di condurre i rossocrociati vicinissimi al sogno. Come spesso accade, sempre sui social media, negli scorsi giorni c’era un viavai di vagoni di cenere con la quale i suoi detrattori si sono cosparsi il capo. Alcuni, i più spregiudicati e bugiardi avevano persino smentito loro stessi affermando: «Io l’avevo detto che sarebbe stato l’anno del riscatto». Il CT non era una nullità a inizio Mondiale e non è diventato un fenomeno domenica  maggio. Certamente c’è del suo nel cammino della Svizzera. Conosce bene l’hockey, sia quello nazionale, sia quello internazionale, per averlo vissuto dall’interno, ma il suo pregio principale è stato quello di aver saputo donare una coesione solida e immediata al gruppo a mano a mano che i vari Josi, Hischier, Niederreiter, Siegentha-

mezzo a una rotonda stradale, vicino a un parcheggio. In origine, quando è stata immortalata misteriosa da William Henry Bartlett in un disegno a matita, guazzo, lavis e acquarello nel , era posta sulla sponda destra della Vuachère: riale che scorreva senza gli argini odierni, sfociando più romantico nel lago. C’era anche un frammento di muro, accanto, che accoglieva l’ombra della torre e migliorava l’effetto di falsa rovina in voga in quegli anni. Sparito nel trasloco del  per via dei lavori di costruzione del quai. Come accerto ora, raggiunta e toccata con mano questa follia architettonica da giardino, la cui base è di tufo e il resto in blocchi di molassa colmati in cima da una parte di beton del restauro atroce del . Era meglio lasciarla avvolta dall’edera, a questo punto. Eppure, nonostante al di là della porta ad arco gotico chiusa da un cancello,

osservo non so quale impianto elettrico della luce o di telefonia mobile come se fosse un deposito qualsiasi e il prato fuori è trascurato rispetto alle aiuole del quai, emana ancora –almeno per me che ho la passione delle follie da giardino dimenticate – un certo fascino. Mi attira la sua aria sofferente, tra nostalgia e incomprensione, più che l’aspetto. Paragonata alla torre neogotica di Perdonnet, in cima al Parc du Mon-Repos perlustrato per un altro reportage anni fa una mattina d’inizio estate, non c’è gara. Incomprensibile come non abbia vinto lei la sfida neogotica. Mentre per la torre de Cerjat a Rovéréaz chissà, rimangono solo alcune pietre nel bosco. Ai piedi di questa nuova rovina-capriccio cresce l’Alliaria petiolata. Vista da Dickens, ospite a cena da Haldimand, in cima, due piccioni mi guardano.

ler, Kurashev, Schmid e Fiala rientravano dal Nordamerica per vestire la maglia. Ed è proprio l’amore per la maglia che ha scatenato lo spirito guerriero che ha sorretto la Svizzera nel suo cammino. Sarebbe tuttavia riduttivo liquidare la faccenda attribuendo il merito ai nostri «Americani». Il risultato è figlio anche del capillare lavoro della Federazione e della Lega. Un’opera avviata parecchi decenni fa, con l’aumento progressivo del numero di partite in quello che viene considerato come uno dei migliori tornei dopo la NHL. Secondo l’assioma «più giochi, più sei sotto tensione, più impari». Aggiungiamo anche l’incremento del numero di stranieri a disposizione dei club. Istintivamente siamo stati portati ad affermare che si trattava di una scelta che sottraeva posti ai giocatori nostrani. Ma in definitiva ha scatenato un tale spirito di emulazione

che ha contribuito a innalzare il livello globale del nostro hockey. Forse, il prossimo anno usciremo ai quarti di finale, come è accaduto sovente negli ultimi anni. Forse perderemo in finale come nel , nel

e come quest’anno. O magari ci ritroveremo tutti abbracciati per celebrare il primo titolo della nostra storia. Poco importa. La certezza è che noi, costantemente, facciamo parte dell’élite. Questo grazie anche ai prodotti di casa. Senza la classe di Türkhauf, Fora, Loeffel, Simion, Bertschy, senza il fuoco sacro del guerriero Scherwey e del veterano Ambühl, non saremmo qui a celebrare i fasti della Nazionale di Patrick Fischer. Poi, non dimentichiamolo, a negare agli avversari l’ebbrezza del gol, c’era un formidabile ragazzone di origini bleniesi che ha compiuto autentici miracoli. Lunga vita a Leonardo Genoni.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 3 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 21 TEMPO LIBERO / RUBRICHE ◆ ●
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ATTUALITÀ

La Svizzera non è un’isola Doppia intervista sull’identità del nostro Paese agli esperti André Holenstein e Paolo Ostinelli in vista del primo Festival di storia in Ticino

Pagina 25

Tra minacce e speranze

Le sfide che caratterizzano l’attualità e la crisi dell’idea di Europa viste dall’esperto di sicurezza italiano Franco Gabrielli, a Lugano l’8 giugno

Pagina 27

Nel carnevale delle elezioni indiane Gli appuntamenti elettorali nel Paese sono business e feste paragonabili soltanto alle Olimpiadi. Dal 4 giugno sono attesi i risultati

Pagina 29

Per un approvvigionamento sicuro e pulito

Votazioni federali – 2 ◆ La legge sull’elettricità, su cui dovremo esprimerci il prossimo 9 giugno, getta le basi per aumentare in tempi brevi la produzione di energia a partire da fonti rinnovabili

Assicurare l’approvvigionamento elettrico della Svizzera, proteggendo il paesaggio e la natura. La legge sull’elettricità, in votazione il prossimo  giugno, approvata a grandissima maggioranza dal Parlamento lo scorso autunno, si prefigge di coniugare al meglio questi due obiettivi. Vuole garantire un approvvigionamento sicuro, creando le condizioni per generare più elettricità da fonti rinnovabili, onde ridurre in modo significativo la nostra dipendenza energetica dall’estero. Una parte degli ambienti ecologisti e dell’UDC ha lanciato il referendum. Teme che l’aumento della produzione interna di elettricità permetta troppo facilmente di deturpare il paesaggio. Frutto di non pochi compromessi, questo vasto progetto getta le basi per aumentare in tempi brevi la produzione di elettricità in Svizzera a partire appunto da fonti rinnovabili come acqua, sole, vento o biomassa. Nel , accettando la revisione totale della legge sull’energia (strategia energetica ), il popolo ha approvato il potenziamento della produzione di elettricità a partire da energie rinnovabili. Orbene, il progetto in votazione completa gli strumenti di promozione di queste fonti. Nel giugno del  è stata accolta in votazione popolare la legge federale sul clima e sull’innovazione, secondo cui la Svizzera deve raggiungere la neutralità climatica entro il . Governo e Parlamento sottolineano che la legge sull’elettricità è un presupposto essenziale per il raggiungimento di questo obiettivo. Almeno  terawattora (TWh) di elettricità dovranno essere prodotti nel  grazie alle energie rinnovabili (forza idrica esclusa) e  TWh nel . Le esigenze per gli impianti idroelettrici sono invece fissate, rispettivamente, a , TWh e , TWh. Il progetto chiede il potenziamento di  centrali elettriche esistenti (come l’innalzamento della diga del Sambuco in Vallemaggia, con spostamento della strada lungo il lago, e l’ampliamento della centrale di Peccia), nonché la costruzione di nuovi impianti idroelettrici. La legge prevede la realizzazione di riserve di energia, in primis quella idroelettrica nei bacini di accumulazione, con l’obbligo per i grandi gestori di mantenere una quantità sufficiente di acqua per la produzione di elettricità durante i mesi freddi.

Ma il progetto agevola pure la costruzione di grandi impianti fotovoltaici, eolici e di pompaggio-turbinaggio. Comprende sia strumenti di promozione, sia nuove prescrizioni in materia di produzione, trasporto, stoccaggio e consumo di elettricità. Sarà obbligatoria l’installazione di pannelli solari su tutti i nuovi edifici con una superficie edificabile superio-

re ai  m . La legge vuole anche armonizzare a livello nazionale le tariffe minime relative all’immissione in rete di elettricità solare.

Privati e associazioni potranno continuare a ricorrere contro i progetti, sebbene con ridotte prospettive di successo a causa delle condizioni di pianificazione agevolate per impianti eolici e solari, ubicati in territori considerati idonei. Non vi saranno invece nuovi impianti nei biotopi d’importanza nazionale o nelle riserve di selvaggina e di uccelli migratori.

Il tema in votazione, approvato dal Parlamento, divide una parte degli ambienti ecologisti e anche l’UDC

Tutto questo vasto pacchetto proposto dalla legge – sottolinea la maggioranza parlamentare – è inteso a garantire l’equilibrio tra la produzione di elettricità e gli obiettivi di protezione della natura e della biodiversità. Circa  deputati federali di tutti i partiti hanno costituito un’alleanza in favore della riforma, sostenuta da numerose organizzazioni economiche

e anche ambientali, come il WWF e Pro Natura. L’alleanza garantisce che la natura non verrà degradata, già per il fatto che l’% dei progetti previsti sarà sistemato su infrastrutture già esistenti, in particolare tetti e facciate. Inoltre, il potenziamento della produzione di elettricità indigena non provocherà tasse supplementari, ma maggiore stabilità dei prezzi. Per i fautori del referendum – Fondazione Franz Weber, Unione per la natura e il paesaggio svizzero, Paesaggio libero svizzero e altri cittadini ancora, oltre a una parte dell’UDC – la svolta energetica proposta dalla legge non deve avvenire a scapito della natura e della democrazia. A loro modo di vedere, il progetto antepone la produzione di elettricità praticamente a tutti gli altri interessi. Favorisce così il disboscamento, il deturpamento di paesaggi e il saccheggio dei biotopi protetti. Limita pure la sovranità del popolo, dei Cantoni e dei Comuni. Ma queste affermazioni sono state prontamente smentite dal Consiglio federale. Secondo gli oppositori, esistono alternative per realizzare la transizione energetica e garantire la sicurezza nell’approvvigionamento di elettricità. Intanto occorre risparmiare

di più (un’esigenza ricorrente da anni) e utilizzare il potenziale fotovoltaico anche su edifici e infrastrutture esistenti. Essi chiedono dunque di rielaborare la legge per garantire la protezione della natura, compatibilmente con le necessità legate alla transizione energetica e alla sicurezza dell’approvvigionamento. Il tema in votazione non divide soltanto una parte degli ambienti ecologisti, ma anche l’UDC. Durante l’assemblea dei delegati di questo partito, il ministro dell’energia centrista Albert Rösti ha ribadito che la legge – diversamente da quanto pretendono gli avversari – non permetterà di ricoprire la Svizzera di centrali eoliche e solari, ma saranno definite zone ben precise. Per Rösti, che difendeva strenuamente questo progetto quando era ancora consigliere nazionale, ciò che conta è di evitare una penuria di elettricità, soprattutto in inverno.

Tuttavia la vicepresidente del partito, la consigliera nazionale grigionese Magdalena Martullo-Blocher, ha replicato che le energie eolica e solare non consentono un approvvigionamento elettrico sicuro. La maggioranza dei delegati ha così bocciato la riforma, contro il parere dei due con-

siglieri federali UDC presenti (Rösti e Parmelin) e di numerosi membri delle Camere federali. Per l’UDC sarebbe meglio rispolverare l’opzione dell’energia nucleare.

La parte dell’UDC e i difensori del paesaggio che sostengono il referendum formano un’alleanza contro natura. Nel giugno del  l’opposizione dei demo-centristi, unita a quella degli ecologisti, ha fatto naufragare la legge sul CO, bocciata dal ,% dei cittadini. Questa volta, tuttavia, non è certo che questa alleanza riesca ancora a spuntarla. Per evitare un nuovo fallimento, i fautori della riforma hanno stanziato non pochi fondi per il finanziamento della loro campagna. Gli ultimi sondaggi danno la legge federale chiaramente in vantaggio. Ma se fosse respinta? Un «no» – come ha sottolineato il ministro dell’energia –frenerebbe la transizione energetica. Inoltre si dovrebbero decidere misure a breve termine, come la realizzazione di centrali termoelettriche, con un elevato impatto ambientale (emissioni di CO). Non si tratta ovviamente della soluzione ideale, soprattutto per quegli ecologisti che ora esprimono seri dubbi sull’utilità della riforma in votazione.

● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 3 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 23
Se passa la legge sull’elettricità sarà obbligatoria l’installazione di pannelli solari su tutti i nuovi edifici con una superficie edificabile superiore ai 300 metri quadrati (Keystone). Alessandro Carli

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La Svizzera non è mai stata un’isola

Echi di storia ◆ Doppia intervista sull’identità del nostro Paese agli esperti André Holenstein e Paolo Ostinelli in vista dell’imminente primo Festival di storia nel nostro Cantone

Come si spiega la splendida eccezione della Svizzera nel cuore dell’Europa? Il suo essere al centro del Vecchio continente senza farne davvero parte? Tra gli appuntamenti da non perdere del primo Festival di storia in Ticino (Echi di storia, di cui avevamo parlato nelle precedenti edizioni di «Azione») ci sarà, sabato  giugno dalle . all’Asilo Ciani, il faccia a faccia tra i due storici svizzeri André Holenstein e Paolo Ostinelli, che affronteranno questi e altri temi a essi strettamente legati. Un incontro intrigante a ridosso della pubblicazione in italiano del volume di Holenstein Nel cuore d’Europa. Una storia della Svizzera fra apertura e ripiegamento (Collana Atis/Quaderni di storia svizzera, Giampiero Casagrande, ), forse il saggio di storia svizzera di maggior successo di pubblico e di critica degli ultimi anni. Per pregustare l’evento, abbiamo rivolto alcune domande a Paolo Ostinelli (PO), direttore del Centro di dialettologia e di etnografia di Bellinzona e professore titolare di Storia del Medioevo all’Università di Zurigo, e ad André Holenstein (AH), professore emerito di storia della Svizzera e storia regionale comparata e già direttore dell’Istituto di Storia dell’Università di Berna.

Dal  al  giugno l’Unione europea è al voto con un buco di elettori nel suo mezzo, quello della Svizzera. Quanto sono profonde le radici di questo buco? (AH) Sono profonde, ma la situazione odierna non è il frutto di una continuità nel corso dei secoli. Al centro geografico dell’Europa, la Svizzera non è mai stata un’isola, anzi ha potuto approfittare di una posizione privilegiata che nell’Ancien Régime le ha permesso di avere uno sviluppo particolare, all’interno del sistema imperniato sulle maggiori monarchie. Lo Stato federale moderno nato nel , poi, ha potuto appoggiarsi su una situazione influenzata dal riconoscimento dei confini elvetici da parte di Napoleone, e dall’accettazione del suo assetto politico e della sua neutralità da parte del Congresso di Vienna del . Su queste coordinate, e sullo sfondo delle vicende del XX secolo, delle guerre mondiali e del confronto fra i blocchi occidentale e orientale, si è infine delineato l’atteggiamento riluttante della Svizzera nei confronti delle proposte di integrazione del Continente: un atteggiamento che si è appoggiato sulla difesa della sovranità nazionale, intesa nel senso di un’autonomia più ampia possibile, oltre che sull’interpretazione della neutralità come astensione e sulla salvaguardia degli interessi economici.

Perché la Svizzera si sente «altra»? Quando nasce il caso svizzero, la sua autocomprensione un po’ da

villaggio di Asterix: ai tempi del leggendario Guglielmo Tell? (PO) Tra i fattori che tra il Quattrocento e il Cinquecento hanno portato al consolidamento delle alleanze fra i Cantoni e alla formazione della «vecchia Confederazione», oltre alla nascita dei miti di fondazione intorno alle narrazioni delle rivolte contro gli oppressori esterni e alle figure di eroi come Guglielmo Tell, ha avuto un peso specifico anche la costruzione di un’immagine dei Confederati alternativa rispetto agli avversari di allora. Alla feroce propaganda che dipingeva gli svizzeri come primitivi, sovversivi e ribelli contro nobili e signori, si contrappose una rappresentazione di sé fondata sul presupposto che i «nobili contadini» confederati fossero un popolo capace di difendersi perché protetto da Dio.

Sono le prime tracce di un’immagine «altra» rispetto all’esterno, riemersa regolarmente nella storiografia costruita sui miti fondativi, che ha attraversato tutta l’epoca moderna per poi rinfocolarsi nell’Ottocento e nel Novecento inoltrato, quando l’interpretazione in senso nazionalistico è stata funzionale al consolidamento del sentimento di appartenenza e alla cosiddetta «difesa spirituale».

I richiami mitizzati alle prime manifestazioni di autonomia sono ancora presenti nell’immaginario di molti. Dal punto di vista storico ha senso festeggiare la festa della patria il . di agosto?

(PO) Ha senso chiedersi perché sia proprio questa la festa nazionale svizzera. La prima volta in cui si è celebrata fu nel , quando si tenne una celebrazione del sesto centenario del patto fra Uri, Svitto e Unterwalden del , e solo qualche anno dopo la ricorrenza è divenuta annuale. Fino a poco tempo prima si considerava come data di fondazione della Confederazione il . Perciò anche il Primo agosto è figlio dell’Ottocento: attraverso una festa commemorativa che riguardasse tutto il Paese, e non più soltanto ogni comunità per sé, si è promossa la formazione di una coscienza nazionale. Quanto ai fatti, comunque, l’alleanza del  è stata uno fra i tanti accordi che all’epoca venivano stipulati per mantenere la pace o promuovere interessi comu-

ni fra città, nobili e comunità, spesso solo per periodi limitati. La sua portata è stata interpretata in seguito con l’attribuzione di significati che non aveva dall’inizio. Intorno al  nessuno avrebbe immaginato che le alleanze tra modeste cittadine e valli alpine poco popolate avrebbero sostituito l’ordine divino dell’aristocrazia e del Sacro Romano Impero.

Cosa prevale: l’apertura o la chiusura verso l’esterno?

(AH) Le relazioni e il confronto con l’esterno sia in ambito politico sia economico, sono la somma dell’accostamento fra le due forze dell’isolamento e dell’integrazione, che convivono. In ambito economico, la Svizzera ha poche materie prime, ma già in epoca moderna ha sviluppato un modello di impresa basato sull’innovazione e sulla manodopera qualificata per produrre beni di successo sul mercato internazionale, nonostante gli elevati costi di produzione e di trasporto. Il mercato interno era troppo piccolo e industrie come quelle della seta, degli orologi e dei gioielli hanno da sempre prodotto per un piccolo segmento di lusso. Fin dall’inizio, dunque, l’industria dipende non solo dall’importazione di materie prime, ma anche dall’esportazione di prodotti finiti e semilavorati: per questo è stato necessario sviluppare strutture che facilitassero il commercio. Era indispensabile stringere accordi con le potenze dell’epoca, per ottenere e mantenere una serie di privilegi sui dazi e sugli oneri doganali. Le alleanze con Milano, la Spagna e la Francia risalgono al XV-XVI secolo, e sono state stipulate a più riprese perché gli Stati vicini hanno sempre avuto interesse a legare il più possibile a sé l’area dell’attuale Svizzera: per l’attraversamento dei passi alpini, per la disponibilità di truppe mercenarie e, in una certa misura, per il ruolo di un attore neutrale nelle guerre continentali. Significativa anche la vicenda delle terre ticinesi, soggette fino alla fine del Settecento alla signoria dei Cantoni confederati: alla separazione politica dalla Lombardia, creata dalla frontiera tracciata con la nascita dei «baliaggi italiani» fra Quattrocento e inizio Cinquecento, fa riscontro la continuità del legame culturale, e soprattutto il successo imprenditoriale

nella seconda metà di quel secolo si è costruita la figura della «Willensnation», della Nazione fondata sulla forte volontà comune e sulla solidarietà che crea coesione e identità fra le diverse componenti. Così, si è data grande importanza alle ricostruzioni del passato, di una storia lunga, onorevole e costellata da crisi superate con successo, affinché tutte le componenti della nazione potessero guardare alla propria storia con orgoglio. Si è però trascurato di rendere esplicito l’influsso che le maggiori potenze europee dell’epoca hanno avuto nella creazione statale della Svizzera.

delle maestranze e degli imprenditori in campo architettonico e artistico, esteso sull’intera Europa.

In seguito al conflitto fra Ucraina e Russia, il nostro Paese si è confrontato con il significato del concetto di neutralità. Un concetto immutabile? (AH) La nostra neutralità non va considerata un principio politico atemporale e immutabile: si è delineata come principio guida per la politica estera in circostanze particolari, e perciò non deve essere considerata a priori immune da cambiamenti. Viene spesso associata alla sconfitta di Marignano del , che avrebbe indotto i Confederati a ritirarsi dalla scena delle grandi potenze europee, e al Congresso di Vienna del . Ma nel Cinquecento e nel Seicento i Cantoni svizzeri rafforzarono i loro legami con le monarchie europee attraverso il servizio mercenario, e nel  strinsero un’alleanza con la Francia, tanto che la prima dichiarazione formale di neutralità dei cantoni confederati venne elaborata solo nel . Nel , poi, l’accettazione e la fissazione nel diritto internazionale della neutralità armata (l’obbligo permanente di difendere le frontiere con le armi), ha rappresentato una forte limitazione della sovranità svizzera nella politica estera da parte delle grandi potenze europee.

Cosa significa l’espressione «la Svizzera è una Nazione di volontà»? (AH) Nell’Ottocento mancavano le premesse per la costruzione di un’unità da inserire nel panorama degli Stati nazionali. In Svizzera non c’era un’unica lingua o cultura, né una sola confessione religiosa, né un’omogeneità etnica o una dinastia di regnanti in cui riconoscersi. Per questo

Anche la democrazia diretta appartiene al DNA del nostro Paese. Ma da meno tempo di quanto si è soliti pensare. Sbaglio? (AH) Il diritto delle cittadine e dei cittadini di partecipare alle decisioni politiche e di avere l’ultima parola ha le sue radici nella Rivoluzione francese, e si è imposto con una certa fatica. Prima di essere introdotti a livello federale, dal  i diritti popolari furono adottati da quasi tutti i cantoni, nei quali esisteva una lunga tradizione di democrazia assembleare: le Landsgemeinde e le assemblee di coloro che godevano dei diritti di cittadinanza. A livello federale, lo strumento del referendum per il controllo delle leggi decise dal Parlamento fu accolto nel  nella Costituzione federale e il diritto alle iniziative costituzionali da parte del popolo fu integrato nel . Per molto tempo la Svizzera è stata un modello di democrazia solo in misura limitata. Nei primi  anni di vita della moderna Confederazione la maggioranza della popolazione, le donne, fu esclusa dal diritto di voto, e nei primi decenni lo erano stati anche gli ebrei e i poveri. Almeno dal , comunque, la democrazia diretta svizzera non è più un «Sonderfall» dal sapore ambivalente, quanto piuttosto un riferimento per lo sviluppo della democrazia moderna.

Il federalismo svizzero potrebbe essere applicato all’Unione europea?

(PO) Al di là delle possibili soluzioni legate agli assetti istituzionali, la considerazione delle vicende storiche di due realtà in contatto, ma differenti sotto molti aspetti, può evitare di immaginare che si possano semplicemente riprendere e copiare modelli in grado di funzionare sempre e ovunque. In Svizzera si è creato dapprima lo Stato federale ottocentesco, nel quale la cittadinanza era portata a considerarsi partecipe di un medesimo destino, mentre nell’Unione europea l’ordine è esattamente l'opposto: si cerca di stabilire una statualità attraverso l'omogeneizzazione economica, l’unione monetaria e il mercato unico, e di condurre così i singoli paesi ad avvicinarsi. È qualcosa di completamente diverso.

Dove e quando Una storia europea della Svizzera? Paolo Ostinelli a colloquio con André Holenstein, Sabato 8 giugno, ore 16.00 Asilo Ciani, Lugano. Info sul festival: www.echidistoria.ch

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Immagine allegorica della Costituzione federale della Confederazione Svizzera del 12 settembre 1848. L’accostamento degli attori e la composizione della scena sottolinea il significato del momento fondativo del nuovo Stato federale (Wikipedia). Sotto a sinistra, foto dall’Istituto storico dell'Università di Berna. A destra, foto dal Centro di dialettologia e di etnografia, Bellinzona. André Holenstein Storico e saggista Paolo Ostinelli Centro dialettologia TI – Uni Zurigo

PUBBLIREDAZIONALE

Fan della frutta: Mujinga e Ditaji Kambundji

Come nasce una campionessa?

È senza dubbio una questione di talento. Ma anche di passione, determinazione e, a volte, di sorellanza! I risultati eccezionali e i successi di Mujinga e Ditaji Kambundji sono ormai entrati nella storia dell’atletica svizzera. Sono però anche merito di una famiglia in cui le due giovani, fin dall’infanzia, hanno coltivato il gusto per un’alimentazione varia e uno stile di vita sano ed equilibrato.

UN ATTEGGIAMENTO

DA CA MPIONESSE

La dieta è cruciale per sostenere le prestazioni di chi pratica atletica e promuovere un rapido recupero dopo l’attività sportiva. La frutta, ricca di nutrienti essenziali come vitamine, minerali e antiossidanti, è una componente essenziale della dieta di un atleta. Il contenuto naturale di carboidrati assicura energia di lunga durata, mentre le fibre favoriscono la digestione. La frutta – ad esempio le banane –fornisce potassio, utile per prevenire i crampi, mentre i frutti di bosco sono ricchi di antiossidanti che combattono i radicali liberi prodotti durante l’esercizio. Gli agrumi, invece, contengono vitamina C, che fa bene al sistema immunitario. Grazie alla varietà della frutta, Mujinga e Ditaji possono soddisfare il loro fabbisogno nutrizionale gustando preparazioni genuine e naturali.

LA RICETTA VINCENTE:

SUCCO DI FRUTTA

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Il primo e unico ingrediente di un buon succo è la frutta! Ma non frutta qualsiasi. Frutta coltivata con cura, raccolta perfettamente matura, di stagione e spremuta in loco. È questo che ci piace di Andros: succhi di frutta

Mujinga e Ditaji Kambundji, ambasciatrici dello sport e della frutta.

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ideale? Un bicchiere di succo di arancia rossa Andros e un cappuccino Latte art preparato da

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al 100%, senza zuccheri aggiunti o concentrati, che conservano tutte le qualità e proprietà naturali della frutta. Ecco il motivo per cui sono disponibili tutto l’anno nel reparto prodotti freschi. I succhi Andros sono ideali per tutte le età e non serve essere atleti di alto livello per apprezzarne le proprietà!

Una giornata con le sorelle Kambundji

8.00 - Risveglio con calma: un ca è, un bicchiere di succo di frutta e poi via all’allenamento.

10.00 - Allenamento intensivo allo stadio.

13.00 - Primo pasto della giornata.

14.00 - Fisioterapia, osteopatia, trattamenti, medico. A seconda della giornata, appuntamenti con i media, servizi fotografici, interviste, ecc. Nella borsa sempre una composta di frutta per lo spuntino.

18.00 - Secondo pasto della giornata.

19.00 - Recupero sportivo: ice bath, recovery boots, ecc. 22.00 - Relax, possibilmente lontano dagli schermi, di solito lettura.

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Succo di frutta mista, 250 ml fr. 2.70 Succo di arancia rossa, 1 l Fr. 5.30 Succo di arancia, 1 l Fr. 5.50

talento

«Recuperiamo un senso di comunità»

S de globali ◆ Franco Gabrielli parla della «guerra ibrida» e della crisi dell’idea di Europa unita

con un’intervista al suo biografo tedesco Reiner Stach

«Nel mondo dei rischi, che ho frequentato per quasi 40 anni, ho imparato una cosa: se non si ha consapevolezza delle criticità è complicato a rontarle e gestirle. Quindi la sottolineatura dei rischi, delle minacce, non deve essere mai vissuta come una sorta di resa incondizionata: “Tutto va male quindi l’unica soluzione è quella di arrendersi o chiudersi nel privato». No. Bisogna essere consapevoli, apprendere dalle esperienze e poi reagire nel miglior modo possibile». A parlare è Franco Gabrielli – delegato per la sicurezza e la coesione sociale del Comune di Milano e Professor of Practice in Public Management at SDA Bocconi – già direttore dei Servizi segreti italiani, capo della polizia, capo dipartimento della Protezione civile italiana, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri e Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica italiana del Governo Draghi. L’8 giugno, a Lugano, parteciperà con l’avvocato Paolo Bernasconi a Gli estremismi che minacciano la democrazia, evento promosso dalla Fondazione Spitzer (www.fondazionespitzer.ch).

Le minacce a cui siamo confrontati sono molteplici, osserva Gabrielli: «In primo luogo la criminalità organizzata, fenomeno ben presente anche se tendiamo a rimuoverlo dalle nostre coscienze. Pensiamo poi alla possibile recrudescenza del terrorismo internazionale di matrice jihadista, allo spettro dell’utilizzo di armi nucleari, alle crisi in Ucraina e nel Mar Rosso, alla guerra in Medio Oriente, alla contrapposizione sempre più forte tra Iran e Israele, alla questione irrisolta tra Repubblica popolare cinese e Taiwan ecc. Da non dimenticare l’inasprimento delle violenze nel Continente africano, area caratterizzata dalla penetrazione non solo economica di Russia, Turchia e Cina. Si tratta di situazioni complesse delle quali ci sovveniamo a corrente alternata, soprattutto in occasione di speci che tragedie».

Basta vivere l’oggi con angoscia, come se nulla fosse avvenuto prima. Il mondo è in fibrillazione, e lo è da sempre

Una visione talvolta eccessivamente eurocentrica del mondo – continua il nostro interlocutore – ci ha fatto perdere di vista una certa prospettiva storica. «Noi europei, di una parte signicativa dell’Europa, abbiamo vissuto un lungo periodo di pace, tranne la parentesi peraltro particolarmente cruenta dei Balcani che abbiamo archiviato in fretta. Solo lo scoppio della guerra in Ucraina, nel febbraio 2022, ci ha fatto prendere consapevolezza della crudezza del tempo che stavamo vivendo». Siamo degli esseri con una memoria molto corta, incalza Gabrielli. «Ad

Una mappa con i contorni della Russia visualizzata su uno schermo del Centro australiano per la cooperazione cibernetica. (Keystone)

Trump 34 volte colpevole

USA ◆ Sentenza storica a Manhattan

esempio in Italia si guarda con angoscia al tema della sicurezza, dimenticando le esperienze traumatiche degli anni 70, 80 e 90. Scordando che le capacità di risposta del Paese a ondano le radici in un terrorismo endogeno particolarmente cruento, in organizzazioni criminali che continuano ad avere un’incidenza signi cativa nel quotidiano. Quindi basta vivere l’oggi con angoscia, come se nulla fosse avvenuto prima». Allargando lo sguardo, ci accorgiamo che il mondo è in continua brillazione, e lo è da sempre. Detto questo, non signi ca che la situazione non sia complicata. L’aspetto che più preoccupa l’intervistato non sono le singole minacce ma è piuttosto «il disgregarsi di quel tessuto valoriale che in un qualche modo i visionari di Ventotene avevano tratteggiato nel loro manifesto, l’idea che si potessero creare gli Stati Uniti d’Europa» (il Manifesto di Ventotene è un documento per la promozione dell’unità e solidarietà europea scritto da un gruppo di esuli nel 1941 sull’isola di Ventotene, nel mar Tirreno). Un importante spunto di ri essione in un momento in cui l’Europa è chiamata alle urne per rinnovare il suo Parlamento (dal 6 al 9 giugno).

In questo contesto qual è il ruolo della Svizzera? La Confederazione –dice Gabrielli – è un Paese che ha goduto della neutralità, restando fuori da certe logiche. In ogni caso, attraverso

Entrata

una serie di accordi economici e anche di natura valoriale, ha accompagnato la costruzione dell’Europa. «Ora vive minori criticità rispetto ad altri Paesi del Continente, per ragioni storiche, sociali, economiche e morfologiche. Ma credo che debba prestare attenzione, al pari degli altri, alle evoluzioni di determinati fenomeni: ad esempio le attività della criminalità organizzata o del terrorismo».

Intanto, in quest’Europa in cui è di cile mantenere una visione comune, si di ondono le cosiddette minacce ibride. Ma di cosa si tratta? Si parla di «guerra ibrida» quando, oltre al combattimento armato sul campo, la cosiddetta guerra di attrito, vi è il coinvolgimento di fattori che prima erano considerati esterni al campo di battaglia: come la disinformazione, di usa soprattutto attraverso la Rete, le armi psicologiche, le ingerenze nella vita economica e sociale di altri Paesi ecc. Spiega l’esperto di sicurezza: «Il teorico della guerra ibrida, il russo Valery Gerasimov, già tempo fa sosteneva che il nuovo campo di battaglia sarebbe diventato quel mondo che continuiamo in maniera impropria a chiamare virtuale: è molto più reale di quanto crediamo». Quando si parla di minacce ibride ci si riferisce quindi all’utilizzo di mezzi di ogni tipo, in particolar modo di mezzi di propaganda, di risorse digitali e di attacchi cyber, con l’obiettivo di destabilizzare le società e le istituzioni di altri Paesi (armi non convenzionali insomma sfruttate anche in contesti non bellici, pensiamo alla Brexit e alle elezioni americane). «Un certo utilizzo di media e social network condiziona le scelte dei popoli. Da questo punto di vista le società più esposte sono quelle libere, le democrazie liberali, dove principi fondamentali come il diritto di voto libero, la libera informazione, il libero convincimento dei cittadini possono essere messi a rischio».

In parallelo – aggiunge Gabrielli – nel mondo occidentale stiamo assistendo ad una perdita di credibilità delle istituzioni democratiche e dello stesso mondo dell’informazione, del giornalismo. «Ognuno pensa di poter essere fruitore e allo stesso tempo fautore dell’informazione: il cittadino assiste ad un evento e mette subito online le immagini. Vi è una continua rincorsa a di ondere notizie che spesso non sono certi cate e validate. Se a tutto questo aggiungiamo il sistema degli algoritmi dei motori di ricerca, la tendenza degli utenti ad uniformarsi alla massa e la perdita del valore del confronto e del dissenso, si arriva ad una miscela esplosiva che spiana il campo alle minacce ibride. Un recente studio dell’Università di Oxford afferma che oltre 80 Paesi utilizzano un sistema di ingerenza nella vita e negli interessi di altre Nazioni. Non parliamo quindi solo di Cina, Iran e Corea del Nord…».

Ma una speranza rimane, sottolinea l’intervistato: «E penso sia nel recupero di un senso di comunità. Nel mondo in cui imperano le community social, bisogna recuperare il senso di comunità reale. Come? Puntando sui valori, sulla coesione, sulla solidarietà, su dialogo, tolleranza e confronto. Non credo ad interventi drastici sul tema della disinformazione. Non credo che azioni censorie, ad esempio online, siano salvi che. Penso che la risposta sia quella di far crescere dal punto di vista culturale una consapevolezza diversa, con la quale ci si possa riappropriare delle cose per le quali vale la pena vivere. Non tutto insomma è perduto».

L’evento

Gli estremismi che minacciano la democrazia

Franco Gabrielli e Paolo Bernasconi Sabato 8 giugno, ore 11.00 Sala degli specchi, Villa Ciani.

Da venerdì scorso tutti i sospetti che la Giustizia americana avesse le mani legate di fronte allo strapotere di un ex presidente dato per probabile vincitore delle elezioni di novembre decadono. Sorprendendo il mondo, dopo due giorni di camera di consiglio, una giuria di Manhattan ha condannato Donald Trump per lo scandalo legato alla porno attrice Stormy Daniels. Ed è stato giudicato colpevole per tutti i 34 capi di imputazione che gli erano stati attribuiti.

Sentenza storica, e per una volta l’aggettivo è giusti cato, perché Trump diventa così il primo ex presidente americano condannato in un processo penale e anche il primo candidato presidenziale a correre per la Casa Bianca nei panni di pregiudicato. Tutto questo non gli impedisce di continuare a competere per il suo eventuale secondo mandato alla guida dell’America.

Resta da vedere quale sarà l’entità della pena, che verrà stabilita in un’udienza successiva ssata per l’11 luglio. Si parla di una sanzione che potrebbe andare da un massimo di 4 anni di carcere alla libertà vigilata, dagli arresti domiciliari no ad una semplice multa. Trump ricorrerà, su questo non ci sono dubbi, mantenendo la linea innocentista che promuove da sempre e questo prolungherà l’iter della faccenda probabilmente di qualche anno. Fino ad allora è probabile che il tribunale sospenda l’applicazione di ogni sentenza. Assisteremo quindi all’ultima fase della campagna elettorale di Trump con lui che si presenta nelle vesti di martire dell’ingiustizia, di perseguitato politico e questa non è una buona notizia. Il clima già spaccato in due dell’elettorato americano rischia di incattivirsi ulteriormente in tempi di ferocia globale già dilagante. / Red.

CULTURA
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Nel carnevale delle elezioni indiane

Fili di seta ◆ Gli appuntamenti elettorali, da questa parte del mondo, sono business e feste paragonabili soltanto alle Olimpiadi Dal 4 giugno si avranno finalmente i risultati e anche gli ultimi party per commentare l’esito del voto

Metti una sera a cena in una Delhi bollente, con la colonnina di mercurio a circa  gradi, le finestre sigillate e l’aria condizionata a temperature polari. Gli ospiti arrivano alla spicciolata, reduci da lunghe code al seggio elettorale sotto il sole rovente. Tutti si chiedono perché diavolo le elezioni in India non possano svolgersi in inverno, ma si tratta di una domanda oziosa. Sanno benissimo difatti che in inverno, o durante la stagione dei monsoni, alcune zone diventano di fatto irraggiungibili e in India tutti devono e vogliono votare. I commissari elettorali viaggiano anche giorni per raggiungere paesini e villaggi dove magari vivono una o due persone, viaggiano anche a dorso di cammello o di elefante. O vanno a piedi, ma vanno: la legge elettorale prevede difatti che nessuno debba viaggiare per più di due chilometri e mezzo per raggiungere il proprio seggio. E d’altra parte sono in molti a votare non nel luogo di residenza ma nel luogo di nascita. In sintesi questo significa che durante tutto il mese scorso più di metà dell’India si è spostata: in aereo, in treno, in macchina o con ogni mezzo disponibile. Molte agenzie di viaggio pubblicizzavano «pacchetti elettorali» con incluso soggiorno in un resort di vacanza, mentre le tariffe, nonostante i tentativi di calmierarle in qualche modo, raggiungevano vette mai raggiunte. Perché le elezioni, in India, non somigliano alle elezioni in nessun altro Paese. L’esercizio del diritto di voto, da queste parti, è ancora considerato un dovere e un privilegio. E scatena, come tutto a queste latitudini, passioni e fenomeni di natura estrema.

Molte agenzie di viaggio pubblicizzano «pacchetti elettorali» con incluso soggiorno in un resort di vacanza mentre le tariffe si alzano

Dal  aprile ormai ogni angolo di strada è costellato di sagome di cartone più o meno giganti di questo o quel candidato. La benedicente figura di Didi, al secolo Mamata Banerjee (la prima ministra del Bengala occidentale) a Calcutta, specie nel quartiere di Kalighat in cui è nata, campeggia a grandezza più che naturale all’entrata di vicoli e stradine. Oscurando le nere silhouette di ragazze disegnate sui muri dall’artista Leena Kejriwal per sensibilizzare l’opinione pubblica sul traffico di ragazze e bambine di cui Didi non si è mai occupata, ma questa è un’al-

tra storia. A Benares, città sacra per eccellenza e feudo elettorale del premier Narendra Modi, comizi e manifestazioni somigliano più a spettacoli circensi che a kermesse politiche. Dappertutto le folle sono incredibili e vengono amorevolmente coltivate non soltanto dai politici ma da chiunque. Le elezioni, alla fine, sono un business paragonabile, da questa parte del mondo, soltanto alle Olimpiadi. Guadagnano i venditori di acqua e cibo di strada, che offrono generi di conforto alle persone in fila sotto il sole. Guadagnano quelli che stampano gadget elettorali di vario genere, dai cappellini alle magliette agli adesivi alle famose sagome a grandezza più o meno naturale. Guadagnano le agenzie turistiche, le compagnie aeree, le ferrovie. Guadagnano coloro che organizzano eventi e affittano tendoni, palchi e via dicendo. Guadagnano i lavoratori coinvolti e coloro che fanno servizi di catering. Guadagnano le agenzie che offrono contenuti da mettere in Rete: una grossa parte della campagna si è difatti svolta online, su gruppi whatsapp ma anche con contenuti postati ad hoc e generati con l’intelligenza artificiale.

Ci sono volontari di questo o quel partito che da più di un mese ormai passano le giornate attaccati al cellulare raggiungendo, tra gruppi whatsapp e social media, tra le dieci e le quindicimila persone al giorno. Non solo. Tutti sono bombardati da sms che arrivano dalle fonti più dispara-

te offrendo sconti e bonus elettorali. In pratica funziona così: vai a votare e dopo, con il dito segnato dall’inchiostro semi-indelebile che in India si usa per certificare l’avvenuto voto, puoi andare a mangiare in questo o

quel ristorante, a bere un cocktail in un lounge bar, a comprare un capo di abbigliamento o un elettrodomestico ottenendo uno sconto più o meno sostanzioso. Purtroppo, come dicevano un paio di amiche all’ultimo

party elettorale, nessuno offre sconti post-elezioni per un bel resort in cui perdere in fretta i chili guadagnati per colpa delle cene, delle feste e dei pranzi elettorali organizzati dai candidati, dai partiti o semplicemente perché familiari e amici che vivono altrove sono arrivati in città per votare.

Tra stagione dei matrimoni e kermesse elettorali un sostanzioso numero di stipendi è finito dentro agli armadi, sotto forma di sari, abiti eleganti e scarpe

Ormai siamo agli sgoccioli però: dal  giugno avremo finalmente i risultati e anche gli ultimi party per commentare l’esito delle elezioni. Tra stagione dei matrimoni e kermesse elettorali, diceva un’altra amica, un sostanzioso numero di stipendi è finito dentro agli armadi, sotto forma di sari, abiti eleganti e scarpe coordinate: la passione civile ha il suo prezzo, e devi essere disposta a pagarlo. Intanto non ci rimane che una cosa: andare da Mala Akbari, ristorante-lounge bar alla moda che offre cocktail gratis a chiunque arrivi con l’indice marchiato dall’inchiostro violetto del voto. E aspettare le eventuali celebrazioni.

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Il Mercato e la Piazza

Il Canton Ticino come il Liechtenstein

Quando si parla di problemi del mercato del lavoro non è facile trovare in Svizzera esempi con i quali comparare la situazione del nostro Cantone. L’economia ticinese è, da più di due decenni, un’economia che cresce solo perché cresce l’effettivo degli occupati. Nel medesimo tempo il numero degli occupati residenti nel Cantone è stagnante o tende a diminuire. In altre parole, la crescita dell’occupazione in Ticino è garantita unicamente dal continuo aumento dei lavoratori frontalieri. Attualmente i frontalieri rappresentano circa un terzo della manodopera occupata nel Cantone. Situazioni di questo tipo si ritrovano in Svizzera solo nel Canton Ginevra che ha una percentuale di frontalieri pari al ,%. Ginevra è però un grande Cantone urbano, più facilmente accessibile dalla Francia che il Ticino dall’Italia. Inoltre, a differenza del Ticino, un quinto dei frontalieri ginevrini sono svizzeri che hanno scelto di

Affari Esteri

andare a vivere in Francia perché lì il costo della vita è più conveniente. Più vicino al Ticino, come problemi del mercato del frontalierato, è invece il principato del Liechtenstein. Anzi, con la sua proporzione di frontalieri, attualmente superiore al % del totale degli occupati, il Liechtenstein indica dove il mercato del lavoro ticinese potrebbe trovarsi in un futuro non così lontano. Come in Ticino anche in Liechtenstein il quotidiano afflusso di frontalieri crea grossi problemi. Nelle ore di punta le strade di accesso al Principato sono intasate. Ma non per questo l’offerta di posti di lavoro nelle aziende del Principato ha cessato di crescere. Lo scorso anno l’occupazione è aumentata di nuovo dell’,%. Confrontato con la difficoltà di reperire nuove forze di lavoro, il Governo del Principato aveva incaricato un gruppo di lavoro di studiare possibili soluzioni. Le conclusioni del lavoro di questo gruppo sono state

presentate di recente. Come il Ticino, il Liechtenstein prevede, per il prossimo futuro, grosse difficoltà di reclutamento perché le entrate sul mercato del lavoro non basteranno a compensare le uscite dovute ai pensionamenti. Il gruppo di lavoro crede poi che il gap che esiste tra offerta e domanda di lavoro continuerà ad aumentare nonostante i progressi nella digitalizzazione e i nuovi sviluppi della tecnologia. Poiché, per diverse ragioni, un aumento del numero dei lavoratori immigrati in Liechtenstein è praticamente impossibile, il gruppo di lavoro si è orientato piuttosto verso la mobilizzazione di riserve di lavoro interne al Principato e misure nel campo della formazione e della formazione permanente. Nel suo rapporto ha proposto misure in tre distinti campi: il campo della formazione, il campo della mobilizzazione di riserve di popolazione attiva potenziale e il campo delle misure di promozione più stret-

tamente legato alle politiche di reclutamento delle aziende e alle esigenze di mobilità dei lavoratori. Nel primo campo, quello della formazione professionale, si prevedono misure per migliorare la formazione e la formazione permanente. Nel secondo, quello della mobilizzazione di riserve lavorative interne, il gruppo di lavoro propone, con misure che facilitino lo svolgimento di un’attività lavorativa a persone che hanno figli a carico, anche misure che rendano più attrattivo continuare a lavorare anche dopo il pensionamento. Un terzo gruppo di misure in questo campo dovrebbe permettere di lavorare a una quota maggiore di rifugiati con statuto di protezione s (come per esempio i rifugiati ucraini). Il terzo campo di intervento raccoglie misure che concernono più direttamente il reclutamento di manodopera. Con le stesse si intende soprattutto incrementare l’attrattiva delle aziende del Principa-

Bardella e Le Pen all’assalto dell’Europarlamento

Nelle recenti rilevazioni in Francia il partito di estrema destra, il Rassemblement National di Marine Le Pen, è dato vincente alle elezioni europee con un consenso doppio rispetto alla lista guidata da Renaissance, il partito del presidente Emmanuel Macron (,% contro il %). In tutti questi mesi di sondaggi non ci sono state inversioni di tendenza, anzi il Rassemblement è andato consolidando il suo vantaggio. Buona parte del merito è del capolista del Rassemblement, Jordan Bardella, che è anche presidente del partito: l’eurodeputato che ha lasciato l’università per dedicarsi alla politica ha  anni, è considerato un assenteista nel Parlamento europeo ma è popolarissimo tra i giovani grazie al suo account su TikTok, in cui pubblica le sue performance tv, i suoi commenti (risatine per lo più) alle copertine in cui è descritto come l’uomo nero, molte immagini con musiche ben scelte e gli appunta-

Zig-Zag

menti per incontrarsi, soprattutto per votare il  giugno. Bardella ha interpretato in modo impeccabile la strategia di Marine Le Pen che già aveva iniziato alle scorse Presidenziali a costruire un’immagine più rassicurante, più accogliente, non si può dire moderata, perché di moderato non c’è nulla nel lepenismo, ma meno lugubre e antisistema di come era sempre stata. Le Pen ha una carriera lunga alle spalle e un padre-fondatore ingombrante che non si dimentica. Ma Bardella no, con la sua giovane età e la poca esperienza è un interprete perfetto di questa trasformazione, riempie i palazzetti e posa sorridente con i sostenitori di «Jordan », che lo vogliono candidato alla presidenza della Francia (Le Pen non sembra d’accordo).

Bardella è di origini italiane, ha un nome americano comune tra i bambini nati nelle banlieues, è stato cresciuto da sua madre ed è il rappresentante

Il ritorno delle mezze stagioni

Il problema è semplice, la soluzione un po’ meno: vorrei esporre un’idea balzana e non so da che parte iniziare. Provo a partire da lontano, dicendo che le mie conoscenze della meteorologìa sono riconducibili a nozioni poco scientifiche. Incominciano dal «Quant ul Generus al gh’a sü ul capell/o che l piöf o che l fa bel», un detto appreso da bambino che oscilla magnificamente fra la presa in giro (anche dei meteorologi) e l’ingenuità popolare. Altri elementi li ho ricavati da un opuscolo di oltre  anni fa del Folclore svizzero, il bollettino della Società svizzera per le tradizioni popolari, che ogni tanto mi piace consultare per passare in rassegna la sfilza di proverbi del Mendrisiotto riuniti da un giovane Franco Lurà che già allora padroneggiava un mirabile «tono discorsivo e famigliare». A quelli legati alla meteorologia e ai fenome-

to come datori di lavoro nonché l’accessibilità dello stesso per i lavoratori frontalieri. Che il gruppo di lavoro del Governo del Liechtenstein riservi un’attenzione speciale alle misure che possono migliorare l’attrattiva delle aziende del Principato come datori di lavoro è comprensibile.

A differenza del Ticino che, per i frontalieri italiani, è quasi sempre molto attrattivo in termini di salario, il Principato del Liechtenstein, che deve attrarre soprattutto frontalieri dalla Svizzera, si trova sul mercato del lavoro in una situazione di maggiore concorrenza perché non esistono praticamente differenze salariali tra i due Paesi. È difficile valutare se le misure promosse dal gruppo di lavoro consentiranno o meno al Liechtenstein in futuro di far fronte al crescente fabbisogno di lavoratori. Bisogna comunque riconoscere che chi lo governa si è reso conto di quanto acuto potrebbe diventare questo problema.

del sovranismo francese, anti-immigrazione, anti-élite, anti-Europa. Grazie a questa sua disinvolta giovinezza, al suo parlare in modo semplice, ha allargato la base degli elettori del Rassemblement National, portando il partito dove voleva andare, cioè a essere definito un partito delle classi popolari e dei ceti medi. Gli esperti dicono: ora il Rassemblement non fa più paura; se sei un elettore di destra in Francia ora il tuo partito di riferimento è questo. I Républicains, che sono il partito della destra tradizionale, sono rimasti schiacciati dall’operazione di make-up dei lepenisti, ma anche la sinistra radicale, quella di Jean-Luc Mélenchon, che aveva occupato lo spazio a sinistra di Macron e che si era ritrovata su alcune battaglie dalla stessa parte del Rassemblement, è ora meno popolare. Ci sono stati degli errori strategici. Il primo lo ha commesso il partito di Macron che ha mes-

so come capolista una candidata poco nota, Valérie Hayer, che non è riuscita a creare nessuna dinamica positiva in una campagna comunque partita già in seconda posizione. Hayer viene dalla Francia più agricola e questo è sembrato un dettaglio che potesse essere promettente ma non è stato così, e il poco carisma ha contribuito a rendere poco attrattiva la sua leadership. Anche Mélenchon ha fatto degli errori, concentrando la sua campagna non sulla destra estrema ma sulla sinistra moderata di Raphaël Glucksmann, che guida come capolista il Partito socialista assieme al suo partito, Place publique, che nei sondaggi è dato al terzo posto, appena dopo i macroniani – una bella campagna, visto che questa compagine è dall’avvento della proposta di Macron che è rimasta annichilita. L’ascesa del Rassemblement National ha avuto e avrà ripercussioni sugli equilibri dell’Europarlamen-

to. Ci sono già state delle scosse con l’espulsione dal gruppo europeo di cui fa parte il Rassemblement, Identità e democrazia, dell’estrema destra tedesca. I calcoli si faranno dopo il voto, ma se nel  macroniani e lepenisti pareggiarono, quest’anno i secondi doppiano i primi. L’offerta europeista di Macron non attecchisce più in Francia. Il presidente continua però a tracciare la distinzione tra i custodi dei valori liberali, democratici e quelli che invece li combattono. La scorsa settimana ha fatto una visita di Stato in Germania, dove ha rilanciato il cuore franco-tedesco europeo e la necessità di unità contro il vento nazionalista dentro l’Ue e la violenza autocratica della Russia. Le divergenze tra Parigi e Berlino sono tante, ma l’appello macroniano «risvegliamoci!» contro le minacce esistenziali al progetto europeo risuona forte e urgente in tutte le capitali liberali del Continente.

ni atmosferici, nel suo saggio linguistico Lurà ha aggiunto anche detti e proverbi legati al lavoro nei campi e alla religione. Poi naturalmente ho ampliato le mie cognizioni, tanto che ultimamente, parlando di una primavera sempre di là da venire, ho potuto spiegare l’immutata validità del detto «Finché gh’è mia föia sui casctàn/sa discvüstiss mia ul cristiàn».

Alla premessa faccio seguire un interrogativo: visto che le vere stagioni ormai sono scomparse, non è forse opportuno riabilitare le mezze stagioni, quelle che da tanto tempo «non ci sono più»? Il riscaldamento globale negli ultimi decenni ha sicuramente contribuito a peggiorare i fenomeni meteorologici estremi alle nostre latitudini recando scompiglio e incertezze nel periodico alternarsi delle stagioni. Sono arrivato a credere che il citatissimo aforisma di Ennio Flaiano

(«Non c’è che una stagione: l’estate. Tanto bella che le altre le girano attorno») fosse un profetico campanello di allarme del sottosopra climatico e dell’inevitabile avvento di una «destagionalità meteorologica» – contrassegnata quest’anno (rassegna veloce) da un febbraio con tramonti dalle cento sfumature rosse e temperature vicine ai  gradi, poi da settimane in aprile e maggio segnate da perdurante maltempo e da continui su e giù dei termometri che lasciano presagire future siccità prolungate e temperature torride. Ora siamo arrivati al punto da chiederci se le stagioni, come le abbiamo vissute sinora, non siano scomparse o siano state relegate in second’ordine dalle mezze stagioni. Ed è da questo interrogativo che ha origine la mia idea stravagante: creare una rosa delle stagioni, riconducibile a quella dei venti, con a nord l’inver-

no al posto del vento di tramontana, a est la primavera al posto del levante, a sud l’estate che soppianta il vento da mezzogiorno e infine l’autunno che a ovest sostituisce il vento da ponente. In questo diagramma al posto dei venti che spirano da nord-est (il grecale), sud-est (lo scirocco), sud-ovest (il libeccio) e da nord-ovest (il maestrale) verrebbero collocate le mezze stagioni. Facendo ricorso a nomi fittizi, la prima, abbinata al grecale di nord-est, la chiamerei «invera». È contrassegnata da una primavera anticipata tra gennaio e metà febbraio e disturba un sempre tentennante inverno influenzando anche il passaggio a una bella stagione (è stato così anche quest’anno, con fioriture delle viti e ciliegie già sui rami, ma i castagni ancora senza foglie). Alla seconda mezza stagione, posta nel diagramma a sud-est, darei il nome di «primate»:

si attiva cercando di ritardare l’avvio dell’estate fino a luglio inoltrato. La mezza stagione del libeccio, nome «estunno» è caratterizzata invece dal prolungarsi dell’estate sino a metà ottobre, lasciando così poche settimane all’autunno vero. L’ultima mezza stagione, quella del maestrale a nord-ovest, con il nome di «auterno», disturba invece un sempre più breve inverno che poco dopo gennaio ritroverà una nuova «invera». Concludo questo mio futile «excursus» meteorologico con una confessione: rimpiango i tempi in cui «sentivamo» l’arrivo delle stagioni dapprima con il «Che dice la pioggerellina di marzo?», poi con il «Mi hanno portato una conchiglia», a cui facevano seguito l’«Odor di stoppie bruciate» e il conclusivo «Nevica; l’aria brulica di bianco; la terra è bianca; neve sopra neve». Riusciranno i nuovi poeti a cantare le mezze stagioni?

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 3 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 31 ATTUALITÀ / RUBRICHE ◆ ●
di Ovidio Biffi
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di Angelo Rossi
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di Paola Peduzzi

PIACERI CULINARI

Hummus

Hummus con tanto brio

La salsa orientale a base di ceci ha un sapore eccezionale già da sola. Vi sveliamo in quali combinazioni viene ulteriormente valorizzata

Hummus di barbabietole

Contorno per 4 persone

250 g di ceci in scatola

150 g di barbabietole cotte a dadini

½ limone

1 spicchio d’aglio

1 cucchiaio di tahini (pasta di sesamo)

sale

pepe

2 cucchiai di nocciole

1 cucchiaio di panna acidula

2 cucchiai d’olio d’oliva un poco di crescione d’acqua o germogli per guarnire

1. Scolate i ceci, sciacquateli e fateli sgocciolare. Metteteli in un mixer insieme con i dadini di barbabietola, il succo di limone e l’aglio spremuti. Aggiungete la tahina, condite con sale e pepe e frullate il tutto fino a ottenere un hummus cremoso. Regolate di sale e pepe.

2. Tritate grossolanamente le nocciole e tostatele in una padella antiaderente senza aggiungere grassi. Trasferite l’hummus in una scodella. Livellate la superficie con un cucchiaio. Guarnite con la panna acidula e irrorate con l’olio d’oliva. Cospargete con le nocciole. Spezzettate il crescione d’acqua o i germogli e serviteli con l’hummus.

Pane arabo con agnello, hummus e yogurt

Le polpette d’agnello grigliate con salsa allo yogurt, uova sode, hummus, cetrioli e ravanelli arricchiscono golosamente un pane arabo tipo piadina.

Alla ricetta

Baked potatoes con barbabietola e hummus

Con un gustoso ripieno, ad esempio di barbabietole o di hummus, le baked potatoes alla griglia diventano un piatto vegetariano che conquista gli invitati.

Alla ricetta

Ricetta

PIACERI CULINARI

Hummus

Carote al forno su letto di hummus

Le carote cotte al forno, servite su un cremoso letto di purea di ceci e guarnite con chicchi di melagrana, sono un contorno delizioso da leccarsi i baffi.

Alla ricetta

Ricetta

Hummus con asparagi e ravanelli

Piccolo pasto per 4 persone

1 limone

1 vasetto di ceci da 330 g, peso sgocciolato 220 g

4 cucchiai di tahina (pasta di sesamo)

1 dl d’acqua sale

500 g d’asparagi verdi 2 cucchiai d’olio d’oliva pepe

1 mazzetto di ravanelli

1 cucchiaino di miscela di spezie, ad es. condimento per asparagi

4 pani pita piccoli

1. Spremete il limone. Sciacquate i ceci e fateli sgocciolare poi riduceteli in hummus cremoso con la tahina, l’acqua, il succo di limone e sale. Se necessario, diluite l’hummus aggiungendo un po’ d’acqua.

Hummus con za’atar al limone

La scorza di limone arricchisce la miscela di spezie orientale che affina la famosa purea di ceci. Un delizioso stuzzichino da accompagnare con una focaccia.

Alla ricetta

2. Spuntate gli asparagi e pelate il gambo nel terzo inferiore. Mescolateli con l’olio e conditeli con sale e pepe. Rosolateli in una padella bella calda per ca. 5 minuti. Affettate i ravanelli oppure grattugiateli grossolanamente. Servite l’hummus con gli asparagi e i ravanelli e condite con la miscela di spezie. Tostate i pani pita e serviteli con l’hummus, gli asparagi e i ravanelli.

Più di una semplice salsa

L’hummus si sposa bene sia con i bastoncini di verdure sia con gli hamburger. Cosa si può fare con questa delizia e come conservarla correttamente

Testo: Angela Obrist

L’hummus è sempre a base di ceci?

L’hummus può essere congelato?

Sì. I ceci sono i protagonisti dell’hummus classico, ma è possibile variare la salsa in base ai propri gusti. Altri ingredienti come barbabietole, carote o piselli aggiungono un sapore e un colore diverso al piatto.

Con cosa si accompagna l’hummus?

Da noi questa pasta di ceci è solitamente usata come salsa. Si accompagna bene a bastoncini di verdure o cracker per un aperitivo. L’hummus è ottimo anche come crema spalmabile, nei sandwich e persino negli hamburger. Si può anche mangiare l’hummus così com’è o con il pane arabo.

Posso riscaldarlo o cuocerlo in una pietanza?

No, non dovresti farlo, perché se si cuoce in una pietanza l’hummus perde il suo sapore. Tuttavia, la crema si sposa bene con i piatti caldi: mescola l’hummus con un po’ di yogurt naturale e servilo come salsa con le verdure al forno.

Oppure spalma la pasta sul pane piatto, aggiungi un po’ di insalata, pomodori datterini tagliati a metà e strisce di pollo rosolate o palline di falafel e arrotola il tutto: lo spuntino è pronto. Che si tratti di un saporito piatto di carne in stile orientale, di verdure stufate o di una pasta al sugo: mescolaci un po’ di hummus alla fine per ottenere una salsa cremosa.

Per quanto tempo si conserva l'hummus?

È possibile conservare l’hummus in un contenitore sigillato in frigorifero per circa - giorni.

Sì, gli avanzi dell’hummus classico si possono congelare senza problemi. In un contenitore ermetico e coperti con un po’ di olio d'oliva, nel congelatore si conservano per circa tre mesi. Lascia scongelare l’hummus per una notte in frigorifero e, prima dell'uso, mescolalo nuovamente fino a ottenere una consistenza omogenea.

Posso aggiungerlo alla salsa dell’insalata?

Sì, certo! Per una salsa dell’insalata dal gusto orientale, mescola un po’ di hummus con del succo di limone e dell’olio d’oliva oppure insaporisci semplicemente la tua ricetta personale con un po’ di hummus.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 3 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 33
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CULTURA

Il nuovo giallo di Joël Dicker

Un animale selvaggio è il titolo del nuovo lavoro dello scrittore ginevrino uscito per La Nave di Teseo

Pagina 37

Cento anni senza Franz Kafka

Per ricordarlo abbiamo intervistato

Reiner Stach, autore di una imponente biografia in tre volumi

Pagine 38-39

Figurazione MilanoZurigo

A Porta Garibaldi una mostra pubblica a cura di un collettivo di artisti attivi tra le due città

Pagina 41

Emily Brontë, musa tempestosa

Una tempesta perfetta Sturm di Michael Schröderè uno spettacolo che travolge con la sua voglia di gioire e andare oltre

Pagina 43

Poesia ◆ Non solo la più grande romanziera del Romanticismo inglese, la scrittrice era anche una finissima poetessa

L’editore Interno Poesia torna a dare alle stampe, di Emily Brontë, con scelta del tutto condivisibile, il materiale da sempre rimasto in ombra, quello poetico, con la raccolta dal titolo La musa tempestosa, per la curatela e traduzione di Silvio Raffo, che già nel , ebbe modo di misurarsi con la produzione dell’autrice, attraverso la cura del libro uscito per Mondadori, Anne, Charlotte, Emily Brontë, Poesie (nell’immagine qui a lato le tre sorelle sono ritratte insieme nella canonica di Haworth).

Alla scrittrice britannica, conosciuta per il romanzo simbolo dell’ottocento romantico inglese, Cime tempestose, sono difatti da sempre associate, come compagne di passioni intellettive, due delle quattro sorelle, Charlotte ed Anne, anch’esse pervase dalla vena lirica, anche se per tono e stile inferiori ma autrici di romanzi importanti; si ricordi Jane Eyre di Charlotte. E questa nuova raccolta ha naturalmente una sua rilevanza, poiché ci aiuta davvero a illuminare pienamente la nascita di una poetessa e di quel pensiero-fondale retrostante, che poi informerà tutta la sua produzione letteraria tout court. Pensiero che si sviluppa su un pilastro-evento quale la morte della madre, che se anche subita in età puberale, avrà riflessi grandi sulla sua identità, oltre che naturalmente su quella che sarà la vita quotidiana. Compare difatti, per il suo accudimento, la sorella del padre, Elizabeth Branwell, che avrà veste di madre, ma anche di istitutrice severa. E poi quel silenzio della casa-canonica, dove lei, le sorelle e il fratello Branwell vivevano, sita a Haworth nello Yorkshire, concessa al padre Patrick, reverendo protestante e grande cultore anch’egli di poesia, per la cura della chiesa attigua di Saint Michael and All Angels.

Emily appunto, ritrovava la sua vera dimensione, solo nella grande canonica, in quelle stanze stregate, sembrava respirasse un senso di finitezza e infinitezza al tempo

Silenzio che Emily imparò subito quindi ad ascoltare e comprendere: «…// Ora perché quest’aspra solitudine?/ Non un passo la scala a rallegrare / né risate né un suono il cuore a risvegliare, /…//…». Ecco, quel silenzio nella pagina ne diviene molti e differenti: c’è quello fondo delle stanze della canonica, quando non è rotto dai giochi di Emily e delle sorelle, il silenzio esterno, maestoso e vociante della brughiera ventosa, dei cieli luminosi e irraggiungibili e infine, quello definitivo ma non per questo senza rimando, dei morti. Eccoli, disposti

in sobrie file, nel cimitero attiguo alla canonica: «… // Che importa calpestare ombre di morti / – dormono così a fondo nella tomba – ? / Perché i mortali temono il sentiero / che alla dimora eterna li conduce? /». E si innesta proprio in questa dimensione complessa, tra relazioni essenziali e silenzi ultratombali, l’educazione alla parola, che le viene impartita attraverso canali didattici tradizionali ma anche informali e del tutto originali. Si pensi alla domestica irlandese, Tabytha Aykroyd, grande dispensatrice di storie e leggende, che la preparò sicuramente allo spazio visionario. E allora questa parola, possiamo davvero anche dirla annichilente, perché nel fondo di ogni suo quadro umano o naturale che sia, vi è sempre una visione, che porta ad altre visioni ma che infine portano a quelle del nulla: «Il maniero di Elbe, solitarie rovine, / dimore senza più voci di vita; / squallide stanze d’erba d’edera senza tetto; / finestre d’archi infranti fra cui sospira il vento: / qui dimorano i morti, da tanto tempo andati /».

Nella sua pur breve vita poi, trent’anni, Emily fu molto restia agli spostamenti. Ricordiamo la sua permanenza, per qualche mese, nella scuola di un paese chiamato Roe Head, come allieva; poi alcuni anni do-

po, per breve tempo insegnò a Law Hill; e ancora a Bruxelles con Charlotte ad apprendere la lingua francese. Ma Emily appunto, ritrovava la sua vera dimensione solo nella grande canonica, in quelle stanze stregate sembrava respirasse un senso di finitezza e infinitezza al tempo: «… // Ritorno ai giorni di una età lontana: / sono ancora una volta una fanciulla / che nel nido paterno si rintana / presso la porta dell’antica sala; //…». Di dolore acuminato perché consapevole della precarietà di ogni cosa e assieme di gioia estrema, dovuta a questa presa di coscienza chiara, che le bruciava dentro, disponendola a una continua ebbrezza. Lavorava in Emily, quindi, una diversa consapevolezza dello stare al mondo. La sua parola, allora, potremmo dire, costruì di volta in volta, per paradosso, il manufatto del silenzio che sembra, leggendo talune pagine, investirci ancora attraverso quel vento, quel brusio, tra l’erica. Avvertiamo, nei versi che dietro il paesaggio senza tempo della brughiera gioca come contraltare, quello minimo dell’uomo, con le sue emozioni repentine e subito finite. E nella poetessa, forse, oltre che lo spirito romantico, agisce già un prodromo di esistenzialismo, di qualcosa che gira su sé stesso, senza vie di fuga o speranze,

e al quale potremmo dare un nome: disperazione, che la sua poesia poi, restituisce ad uno stato incandescente e al tempo primitivo. Quello stato di sgomenta presenza alla vita, già appartenente al primo uomo, a ogni uomo: «/ Su ogni volto la tenebra era scesa, / cupi presagi nubi di tempesta; / nessun ristoro in palazzi o capanne / nessun riposo fuorché nella tomba. // …». Una disperazione organica, potremmo pensarla, ad Emily, toccante quel punto indefinito tra psiche e corpo; proprio quella psiche, che appunto cadde in un pozzo nero, alla morte del suo amato fratello, Branwell, artista e poeta di talento mediocre, distrutto dall’alcol e trasfigurato tra l’altro nel personaggio di Heathcliff in Cime Tempestose Ebbene, alla sua morte, avvenuta nel settembre del , Emily precipita in quel baratro, luogo misterioso e irreversibile, in cui la mente deliberatamente vuole trovarsi per abbattere il proprio corpo. Lì rimane a scontare il proprio dolore; decide difatti, che quel pozzo mentale, l’ultima sua dimora, non può avere dei ganci di risalita. È lì il suo corpo, immobile, prostrato, nel fondo. Guarda il cielo irraggiungibile, le nuvole adorate sfilare via a cirri nel cerchio in alto e intanto sente la morte sopraggiungerle da dentro.

difatti si ammala, nello stesso mese in cui muore il fratello e rimane nel suo letto, per circa tre mesi, rifiuta ogni cura e a dicembre, quando sembra accettare la presenza di un medico, è oramai troppo tardi. La botola l’ha definitivamente inghiottita. Questa quindi è la lezione: relazioni, amicizia, amori, tutto termina. Questa la consapevolezza che lambisce l’attimo di ogni suo oggi, quasi erodendolo. Proviamo allora a vivere con quei suoi occhi, ogni nostro giorno; quegli occhi che ci guardano da dietro queste pagine e trasmettono ciò che la grande poesia, sempre e solo dovrebbe: consapevolezza di costruire, sì, ma nella precarietà, ogni bellissimo sguardo d’amore, ogni paesaggio interiore, come Emily è stata maestra nel creare: «…// Se alla tua morte una lacrima scende / sul mio viso, ti dico in verità, / sappi che è la mia anima che attende / di raggiungerti nell’eternità /». Ecco, in Brontë, si respira questa escatologia delle cose ultime ma come intrise di ogni oggi e della grazia del suo attimo, senza il quale, sembra suggerirci, mai potremmo sentire, mai vivere davvero.

Bibliografia

Emily Brontë. La musa tempestosa Interno Poesia, Latiano, 2023

● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 3 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 35
Emily
Keystone
Guido Monti
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La noia, feroce e ineluttabile molla del destino

Romanzo ◆ Si intitola Un animale selvaggio ed è il nuovo thriller di Joël Dicker, il secondo uscito per la sua casa editrice

Ginevra, . È giugno quando s’incontrano casualmente un poliziotto ambizioso, una bella avvocata, un funzionario di banca innamorato e un ladro vendicativo, ognuno di essi nasconde più di un lato oscuro che pesa sul suo passato e ne ipoteca il futuro. Ma quando, venti giorni dopo, ai primi di luglio due ladri rapinano un’importante gioielleria di Ginevra, ecco che si mette in moto un meccanismo preparato con cura e comincia a dipanarsi una storia di segreti e di ricordi che in una sorta di spirale perversa collega tutti i protagonisti e li risucchia in un vortice di tradimenti.

Joël Dicker, con una sventagliata di accurati flash back e di rapide incursioni nel presente, racconta in modo abile e con un umorismo sottile i suoi protagonisti È l’ultimo libro diJoël Dicker Un animale selvaggio uscito in francese per la sua casa editrice Rosie & Wolfe fondata nel  e tradotto in italiano da Milena Zemira Ciccimarra per La Nave di Teseo. Costruito con la pazienza e la precisione di un miniaturista, ennesima vicenda gialla dello scrittore svizzero che, molto giovane nel , si guadagnò la ribalta internazionale con il thriller Il

caso Harry Quebert (divenuto una serie televisiva), seguito in breve da altri quattro romanzi. Ma stavolta il clou della vicenda è un intreccio psicologico più che «criminale» dove giocano un ruolo chiave: il narcisismo, la gelosia, l’invidia, l’ingordigia, una catena di debolezze bibliche che, come racconta la storia con celata ironia, fa decollare le tentazioni e i desideri di ognuno dei personaggi non verso l’omicidio stavolta, ma comunque verso obbiettivi non sempre desiderati. Si sa, è difficile prevedere con chiarezza dove fantasticherie e rigurgiti di insoddisfazione possono sospingerci in momenti in cui il destino sembra non curarsi di noi e non riservarci niente di nuovo oltre alla solita routine quotidiana. Ed è così che Greg, apprezzato poliziotto in carriera, sposato con la graziosa commessa Karine, ha un colpo di fulmine per Sophie Braun, avvocata, fascinosa e ricca moglie francese di Arpad, bancario di alto bordo, tutto affari, tennis e famiglia. Sono tutti pressappoco della stessa età, dei quarantenni che hanno lottato per il ruolo che ricoprono e ora passano al lavoro la maggior parte del proprio tempo: chi sfoggiando i muscoli, chi vestiti eleganti di fattura italiana. Le due coppie hanno entrambe due bambini, pochi amici, abitano nello stesso ricco comune di Coligny, elegante sobborgo di Ginevra: la prima in una villetta a

schiera con qualche pretesa, evidentemente sbagliata, visto che il complesso è stato soprannominato l’Obbrobrio; la seconda in una villa moderna, isolata, un piccolo paradiso con giardino e piscina conosciuto come «la Casa di Vetro» per le sue immense vetrate, che ricoprono persino il garage dove le due Porsche, di Sophie e Arpad, sono perennemente in mostra. Quello scintillante cubo trasparente, al limitare di un bosco, che di notte brilla come una stella e al mattino presto sembra un’astronave sospesa sulla natura, è il palcoscenico

ideale, lussuoso e goloso, delle proiezioni sentimentali dei vari protagonisti, dei loro pensieri velenosi, delle loro elucubrazioni erotiche, dei loro sogni, come degli incubi. La Casa di Vetro come metafora della nostra società dove tutto sembra facile e possibile, dove sincerità e infingimento si mescolano continuamente e verità e menzogna sono di fatto inestricabili. Ma cosa ha a che vedere tutto questo con la milionaria rapina alla più importante gioielleria di Ginevra?

Joël Dicker, con una sventagliata di accurati flash back e di rapide in-

cursioni nel presente, racconta in modo abile e con un umorismo sottile i suoi protagonisti, veri figli di questa epoca: banali, senza fantasia, dal vocabolario insufficiente persino a descrivere la donna delle loro brame, della quale celebrano poeticamente il «corpo sodo», oppure si spingono arditamente sino ad osservarne il «petto sodo» e le «magnifiche gambe», incapaci di affrontare dialetticamente sia i turbamenti dell’amore sia i torbidi richiami del sesso. Voyeuristi ossessivi, rapinatori seriali, vanitosi irresoluti, amanti narcisisti, tutti i protagonisti di questa storia, le donne quanto gli uomini, appaiono impregnati soprattutto di cultura modaiola, vero paracadute sociale, ma anche potente detonatore di complessi e di angosce. Puritani, ma non morali, timorosi del castigo sociale, ma non delle torture della coscienza, i protagonisti di Un animale selvaggio sono degli eterni adolescenti ingenui e superficiali, ma non per questo meno avidi e crudeli, convinti che seppure il denaro non compri la felicità, permetta di avere tutto ciò che serve per ottenerla. E l’animale selvaggio? È la noia, uno dei protagonisti della storia, che l’autore trasforma in una feroce e ineluttabile molla del destino.

Bibliografia

Joël Dicker, Un animale selvaggio La Nave di Teseo, Milano, 2024

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Nel romanzo, la Casa di Vetro con le sue immense vetrate al limitare del bosco appare come una metafora della nostra società dove sincerità e infingimento si mescolano continuamente. (Freepik)

Un uomo deve fare ciò per cui ha

Feuilleton ◆ Cade oggi, 3 giugno 2024, l’anniversario dei cento anni dalla morte di Franz Kafka. Noi lo festeggiamo e lo raccontiamo con

Natascha Fioretti

«3 luglio 1883, una giornata estiva mite e limpida, l’aria so a solo debolmente negli stretti vicoli del centro storico di Praga, che a mezzogiorno arrivano a scaldarsi no a 30 gradi. Per fortuna non è un caldo so ocante, le poche nuvole che si a acciano nel pomeriggio sono innocue, e cosi migliaia di praghesi attendono felici di trascorrere la calda serata in uno degli innumerevoli locali all’aperto godendosi la birra, il vino e la musica di ottoni».

Inizia cosi la biogra a in tre tomi su Franz Kafka, con una ridente e moderna immagine di Praga il giorno in cui lo scrittore venne al mondo e di cui oggi, 3 giugno, ricorrono i 100 anni dalla morte. L’opera è a cura del letterato e critico Reiner Stach, classe 1951, nato a Rochlitz, di casa a Berlino, che allo scrittore boemo e ai suoi testi ha dedicato tutta una vita. Lo testimonia la biogra a completa pubblicata in tedesco dal S. Fischer Verlag e ora in uscita in italiano per ilSaggiatore nei tre titoli: I primi anni, Gli anni delle decisioni, Gli anni della consapevolezza. Un lavoro enorme che si estende – se consideriamo le date di pubblicazione – dal 2002 al 2014. Proprio per questo Reiner Stach è considerato il massimo conoscitore dell’autore di indimenticati capolavori come La metamorfosi (1915), Il processo (1925), Il castello (1926) ma anche di racconti come Il fuochista (1927) o La lettera al padre (1952) che scrisse cinque anni prima della sua morte nel 1924, al culmine della produzione letteraria e che viene considerata come una preziosa chiave interpretativa della sua opera.

Indimenticati e quanto mai attuali – come ci ricorda Giorgio Fontana in Kafka un mondo di verità (Sellerio, 2024) per il talento e la profondità di Kafka nel descrivere «la condizione dell’uomo contemporaneo» ma anche per «aver anticipato i totalitarismi» e per aver svelato «il cuore di società sempre più burocratizzate e disumanizzate».

Se della biogra a di Kafka si è occupato e con grande successo, tanto da ispirare la miniserie austriaca Kafka presentata quest’anno alla Berlinale e trasmessa in televisione dal canale pubblico tedesco ARD (sceneggiatore della serie è Daniel Kehlmann –l’autore de La misura del Mondo, Feltrinelli, 2006), Reiner Stach ora si dedicherà all’opera dello scrittore boemo pubblicando delle nuove edizioni commentate. La prima è già uscita ed è Il Processo (Wallenstein, 2024).

«Anche la vita più documentata resta misteriosa se il biografo non risveglia nel lettore la volontà e la capacità di entrare in empatia con un personaggio, una situazione, un ambiente…»

La biogra a

I tre tomi si leggono con leggerezza, Stach ha una penna uida, le parole scorrono sulle pagine; si leggono con una curiosità crescente per via dei dettagli che vi vengono raccontati cosi come gli incontri, le amicizie, gli amori.

Ad esempio veniamo a sapere che Kafka era curioso ma poco sensibile

alla musica, frequentava gli eleganti ca è di Praga come il Montmartre e il Café Arco al Numero 6 di Plastergasse. Un suo testo sui ca è tramandatoci dal suo amico Oskar Baum ci rivela che Kafka considerava il ca è una delle soluzioni più ingegnose al problema della socialità e della solitudine insieme: avvicinava le persone ma non troppo. E, ancora, ci a ascina leggere dei suoi incontri con Rudolf Steiner e Albert Einstein. Era il marzo del 1911 quando la comunità teoso ca di Praga, proprio nella Niklasstrasse dove abitava Kafka, organizzò un convegno. Egli andò ad ascoltare il teosofo per poi concludere che «la teoso a era solo un surrogato della letteratura» o, ancora, che «la verità risiede in ciò di cui faccio esperienza e ciò che vivo, esperisco ha in sé la verità». Nello stesso periodo incontra anche Albert Einstein, lo scienziato che dal 1. aprile aveva ottenuto una cattedra di sica teoretica all’Università della città.

«Niente è inventato… Questa biografia si astiene dal dipingere contorni vuoti: tutti i dettagli, compresi gli eventi più vividi, sono documentati»

Il 1911 è anche l’anno in cui Franz Kafka e il suo grande amico Max Brod, giurista di giorno e scrittore di notte, persona socievolissima e abile nel tessere relazioni, vengono in Ticino. In proposito mi piace ricordare il volume dell’autrice basilese Barbara Piatti Da Casanova a Churchill. Viaggiatori famosi in viaggio attraverso la Svizzera (Hier und Jetzt, 2016) in cui ci racconta come i due tengono un diario di viaggio parallelo con l’intenzione un domani di pubblicare una vera e propria guida in stile Lonely Planet. Un progetto che se prende forma signi ca per loro la possibilità di lasciare nalmente il loro lavoro da funzionari. Ne parlarono in particolare a Lugano in una delle loro serate sulla terrazza del Belvedere au Lac. Tornando alla biogra a, si legge anche con emozione per la delicatezza e la profondità che Stach sfodera nel pennellare Kafka e i suoi abissi interiori, il suo vacillare; e con ammirazione perché il biografo riesce soprattutto a far brillare i suoi talenti, non solo letterari, e a far uscire la luminosità e lo spirito ironico della sua essenza.

Inoltre «Niente è inventato… Questa biogra a si astiene dal dipingere contorni vuoti: tutti i dettagli, compresi gli eventi più vividi, sono documentati».

Il lavoro del biografo

Che biografo è Reiner Stach? Prima di tutto empatico e non potrebbe essere altrimenti per un autore che ha dedicato tutta una vita a conoscere Franz Kafka. E dell’importanza dell’ empatia ci parla lui stesso ne Gli anni delle decisioni: «La parola magica del biografo è empatia. L’empatia aiuta laddove la psicologia e l’esperienza falliscono. Anche la vita più empiricamente documentata resta misteriosa se il biografo non risveglia nel lettore la volontà e la capacità di entrare in empatia con un personaggio, una situazione, un ambien-

te… L’empatia o re felici momenti di illuminazione». Come e perché ce lo racconta lui stesso – Reiner Stach – che abbiamo intervistato. Prima però vale ancora la pena citare un passaggio che ci spiega come ha concepito il suo lavoro: «Il biografo ha un sogno. Lo si potrebbe de nire un’utopia, anche se forse non è altro che un vizio segreto, un’avidità. Vuole andare oltre ciò che è stato. Vuole sapere, no, vuole sperimentare come è stato vissuto quello che è successo da chi era lì. Com’era essere Franz Kafka. Sa che questo è impossibile. Quindi – alla ne – cosa otteniamo? La vera vita di Franz Kafka – certamente no. Ma uno sguardo fugace, uno sguardo lungo, sì».

Ed è quello che il biografo berlinese ci consegna non senza sorprenderci anche per le sue doti riassuntive e, infatti, fa sorridere il ritratto che in poche righe traccia di Kafka dicendoci che la vita dell’impiegato assicurativo e scrittore Dr. Franz Kafka, ebreo di Praga, durò 40 anni e undici mesi. Di questi, quasi 17 anni trascorsi tra scuola e Università, quasi 15 lavorando. A 39 anni andò in pensione, mori a 40 di tubercolosi in un sanatorio vicino a Vienna. In tutta la sua vita trascorse 45 giorni all’estero, andò a Berlino, Monaco, Zurigo, Parigi, Milano, Venezia, Verona, Vienna e Budapest. Non si è mai sposato e si danzò tre volte: due volte con Felice Bauer (steno-dattilografa prussia-

na di origini ebraiche) e una volta con la segretaria praghese Julie Wohnryzek. Franz Kafka scrittore ci ha lasciato 40 testi, nove dei quali possono essere considerati racconti. Va ricordato che Franz Kafka aveva tre sorelle, Elli, Valli e Ottla (la sua prediletta) che – rispettivamente – nel 1941, 1942 e1943, morirono nei campi di sterminio nazisti.

L’intervista

Reiner Stach, lei ha dedicato tutta una vita a Franz Kafka, più o meno 44 anni. Ne è valsa la pena? Eccome! Non potevo saperlo all’inizio, quando negli anni Novanta dissi che era arrivato il momento di scrivere una biogra a completa su Kafka, di colmare questa lacuna. Circolavano su di lui tanti luoghi comuni, tante storie inventate, falsi miti e mi dicevo: qualcuno deve fare ordine! In un secondo tempo sono stato investito di questo compito e mai avrei pensato di riuscire a realizzare un’opera che oggi è tradotta in undici lingue e ha raggiunto una diffusione e un impatto mondiale. Cosa può desiderare di più un biografo?

Non c’è il rischio di annoiarsi? Studiando e leggendo Kafka non ho mai la sensazione di ripetermi, anzi, ogni volta i suoi testi sono una

fonte inesauribile di insegnamento e nuova linfa.

Cosa le ha trasmesso il contatto con Kafka dal punto di vista umano?

Non è facile da spiegare perché non mi sono cimentato soltanto con la persona, ma con la sua epoca. Per prima cosa, dunque, ho letto molti libri storici e questo mi ha permesso di conoscere il contesto storico-sociale di Praga attorno al XIX secolo, un contesto che via via si è fatto sempre più animato e colorato. Ho potuto cogliere le somiglianze con la nostra epoca, ad esempio l’accelerazione tecnica, per cui molte persone si sentono sopra atte dalla tecnologia. Sopra azione, alienazione, eccessiva complessità, l’hanno vissuto allora e Kafka lo esprime in modo potente. Dunque non sorprende che oggi molti si riconoscano nelle sue atmosfere. Sono rimasto profondamente toccato dall’entrare in contatto con una persona cosi lucida e illuminata. Grazie a lui ho potuto riconoscere ciò che di cruciale caratterizzava quei tempi. Vorrei avere anch’io quella lucidità e quella visione che oggi sono fondamentali per non rimanere schiacciati dal usso di informazioni che bombardano le nostre vite. Leggendo Kafka, questo modo di vedere e di osservare, magari anche di prevedere le tendenze, si può imparare. Io è tutta la vita che mi alleno…

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 3 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 38
Franz Kafka con il suo cane, 1910. All’interno del bestiario kafkiano il cane è l’immagine a cui l’autore ricorre maggiormente, nella scrittura letteraria ma anche in quella a carattere privato. (Keystone)

talento

un’intervista al suo biografo tedesco Reiner Stach

Com’era Kafka di carattere?

Era una persona molto sulla difensiva, in parte perché da bambino non aveva acquisito ducia in sé stesso, non veniva mai elogiato, mai premiato, semmai criticato. Sappiamo del di cile rapporto con il padre. Chi cresce cosi, anche dopo, nella vita adulta, si aspetta sempre che da un momento all’altro possa accadere qualcosa di negativo. Cosi Kafka questo atteggiamento difensivo lo ha fatto suo e adottato nei confronti della vita.

Non era facile, per lui, avere delle relazioni umane?

Ad esempio se in una relazione con una donna l’obiettivo diventava quello di intensi care il rapporto, lui si metteva sulla difensiva, iniziava ad elencare tutto quello che sarebbe potuto andare storto. Ecco perché nel penultimo episodio della miniserie Kafka, Milena Jesenska lo accusa esattamente di questo. Gli dice: “tu ti rendi le cose facili, sempli chi tutto, ti fai sempre piccolo”.

Per contro, però, di Kafka si dice che fosse un uomo a ascinante. Questo suo atteggiamento difensivo e chiuso valeva solo per coloro che erano molto vicini a lui. A notarlo erano i suoi amici più cari. Per gli altri Kafka era una gura molto a ascinante, divertente, soprattutto era apprezzato per essere un attento ascoltatore. Dai suoi testi si evince che aveva una profonda empatia per le persone. Più d’una volta è successo che persone quasi estranee si rivolgessero a lui in cerca di consiglio. È accaduto in sanatorio, nel suo u cio dove i colleghi si rivolgevano a lui per risolvere i loro problemi privati. Lo stimavano molto e, soprattutto, sapevano che li avrebbe ascoltati. Una caratteristica poco comune all’epoca, soprattutto tra gli uomini.

Dunque Kafka era molto popolare? Si, lo era, e molte persone lo trovavano a ascinante. In vita non ha avuto avversari, il che è davvero sorprendente. Nessuno che su di lui facesse apprezzamenti negativi. Persino i superiori cechi che ebbe dopo la ne della guerra, intolleranti verso i dipendenti tedeschi – e ne cacciarono molti – , non avrebbero invece voluto perdere Kafka. Non solo per la sua competenza e le sue conoscenze, ma perché era socievole e a ascinante. Kafka era molto popolare e molte persone ne erano attratte.

Un ritratto totalmente diverso da quello che emerge dai diari. Sono qualità di cui non sapremmo se avessimo letto soltanto i diari in cui Kafka si è sempre ritratto negativamente, ma i ricordi scritti di molte persone ci raccontano un altro uomo.

Non sembra possibile se pensiamo che dalla sua penna è uscito Gregor Samsa. Eppure lei racconta che anche le donne si rivolgevano a lui in cerca d’aiuto…

Donne molto giovani che non sapevano se dare ascolto ai genitori o seguire i propri interessi. Lo contattavano anche da oltre frontiera. Kafka inoltre era noto per apprezzare tanto il lavoro di tipo intellettuale quanto quello manuale. Se, ad esempio, una donna gli scriveva che il suo sogno era quello di diventare giardiniera e i

genitori si opponevano, lui la esortava a perseguire le sue ambizioni. “Un uomo deve fare ciò per cui ha talento”, diceva Kafka.

Oltre ai diari e alle lettere, quali fonti le sono state di particolare aiuto?

Sicuramente i giornali di allora, i quotidiani ai quali sono arrivato per necessità dopo aver letto e confrontato i diari e le lettere. È stato sorprendente constatare come era coerente Kafka nel suo pensiero e nel suo rivolgersi agli altri. Non indossava mai una maschera, era una persona molto autentica. In ogni caso c’è stato un momento in cui, soprattutto per quanto riguarda i suoi anni giovanili, avevo solo poche informazioni. Molto era contenuto nei documenti lasciati da Max Brod che però non erano accessibili. A quel punto mi hanno aiutato i giornali. Volevo assolutamente sapere se Kafka da bambino avesse visto di persona l’imperatore, perché ai tempi era considerato un evento eccezionale da raccontare e tramandare in famiglia per generazioni. Grazie ad un quotidiano viennese sono venuto a sapere di una visita a Praga dell’imperatore e del percorso che aveva fatto in città con la sua carrozza. Dalla cartina ho visto che la carrozza passava proprio sotto la nestra al terzo piano della casa dove abitava la famiglia Kafka. È vero che Kafka tentò il suicidio?

C’è stata una fase in cui Kafka non solo era malinconico ma anche depresso. Era la primavera del 1915, fece una sorta di Burnout per via della doppia vita che conduceva: di giorno impiegato assicurativo, di notte scrittore. In u cio doveva fare molti straordinari, spesso doveva sostituire i colleghi assenti, a volte doveva andare in u cio anche la domenica. Di notte lavorava per ore in nite nché non faceva giorno e in quella primavera ebbe come un collasso. Non riusciva a nire Il processo o ad avviare nuovi progetti. Rimase in questo stato per circa un anno. Cosi un giorno andò dal suo superiore e gli disse che la situazione non era più sostenibile. Vedeva solo due soluzioni: andare al fronte – e questo, Kafka lo sapeva bene, equivaleva ad un suicidio – oppure un congedo non pagato di diversi mesi in modo che potesse riprendersi. Chiaramente si è avverata la seconda opzione perché diversamente Kafka avrebbe fatto parte del reggimento che fu mandato in Italia e non fece più ritorno, salvo poche anime.

Far conoscere il Kafka inedito, quello più nascosto, diciamo simpatico è la sua missione. Quale opera consiglia per chi vuole avvicinarsi?

Non ho dubbi: Una relazione per un’Accademia (1917) in cui una scimmia racconta come è stata fatta prigioniera dall’uomo, ha ricevuto una formazione per diventare più umana e alla ne diventa la curiosità di uno spettacolo di varietà. L’animale impara a parlare, fuma, beve ma resta comunque solo. Ha imparato a essere come gli uomini ma loro lo escludono, lo vedono soltanto come un’attrazione. È una storia che qualsiasi studente o giovane può capire, non suscita i tipici incubi kafkiani ma mostra come le storie tristi possano avere un risvolto comico

«La

mammina con gli artigli»

Feuilleton – 2 ◆ Cosi Kafka chiamò Praga, la sua città, dalla quale fu profondamente in uenzato senza riuscire quasi mai a staccarsene

Luigi Forte

Il mostruoso come ovvio, aveva scritto a suo tempo il losofo . W. Adorno parlando del racconto La metamorfosi di Franz Kafka del 1912. L’inizio è fulminante e fatale: il commesso viaggiatore Gregor Samsa si sveglia una mattina da sogni inquieti e si trova trasformato in un insetto. Così come il primo procuratore di banca Joseph K. nel romanzo incompiuto Il processo, scritto fra il 1914 e i primi mesi del 1915 e pubblicato postumo nel 1921, viene arrestato senza aver fatto nulla di male. Figure accomunate da un senso di esclusione dalla realtà dominata dalle terribili immagini di un potere arbitrario e indi erente. Quello stesso che emerge dalla Lettera al padre del 1919, mai giunta a destinazione, nella quale il genitore è de nito tiranno e giudice in un contesto familiare che lo scrittore vive come un incessante processo. Paradossale è il fatto che quella testimonianza si converta poi in una sorta di grottesca autocondanna: Kafka cerca in qualche modo sollievo nel senso di colpa confessando all’amico Felix Weltsch che il suo carattere «è la più bella forma di pentimento». Anche se scon tto, l’orgoglio gli impedisce di ritirarsi.

È una resistenza che richiama l’atteggiamento di Joseph K. di fronte alla misteriosa e onnipotente burocrazia del tribunale, che non è più un nemico, come ha ricordato lo scrittore Milan Kundera, ma piuttosto una verità inaccessibile che egli insegue senza sosta, anche a costo della vita, nel tentativo di dare senso a un mondo del tutto insensato. Così come ne Il castello, l’ultimo dei tre romanzi scritto intorno al 1922, il protagonista, l’agrimensore K., cerca con ostinata perseveranza, ma inutilmente, un contatto con gli alti funzionari e il Conte Westwest, che vivono nella nobile dimora che domina il villaggio, per ottenere il lavoro promesso e in qualche modo una più umana e schietta giustizia. Del resto anche il sedicenne Karl Rossmann, protagonista del primo romanzo incompiuto di Kafka, che l’amico Max Brod pubblicherà nel 1924 con il titolo America, è un escluso: ripudiato dai genitori viene costretto a emigrare nel Nuovo Mondo perché sedotto da una domestica rimasta incinta.

Sullo sfondo di queste vicende si proietta il tema della giustizia attraverso le in nite sfumature di quel potere che, in forme diverse, rispecchia la sostanza e l’anonimo orizzonte delle pagine dello scrittore praghese, che il critico Reiner Stach ha ampiamente analizzato nella sua biogra a in tre volumi pubblicati fra il 2002 e il 2014 e ora proposti da ilSaggiatore nell’ottima versione di Mauro Nervi. Un’opera ammirevole che dischiude nuove e interessanti prospettive grazie a testimonianze e fonti inedite. L’autore descrive con scioltezza narrativa anche il mondo della Mitteleuropa e la realtà storica e culturale di Praga, dove Kafka era nato nel 1883, la «mammina con gli artigli» come egli la de nì, e dove per una decina d’anni lavorò come funzionario dell’Istituto di assicurazioni contro gli infortuni del regno di Boemia (nell’immagine che ritrae un angolo di Praga di inizio Novecento, vediamo il Ponte Ceco che porta in città vecchia dove viveva Kafka). Di Stach del resto avevamo già letto i 99 curiosi e gustosissimi reperti del volume Questo è Kafka? (Adelphi 2016), da cui a orava uno scrittore piuttosto inedito: frequentatore di bordelli, collezionista di foto audaci, falsi catore di rme o in giostra fra ragazzine strepitanti.

«Qualsiasi vincolo che non è creato da me stesso, foss’anche contro parti del mio io, è senza valore, m’ impedisce di avanzare, lo odio e sono molto vicino a detestarlo».

Flash che danno vivacità e colore a una vita povera di eventi, in cui anche i rapporti sentimentali sono spesso vissuti in modo patologico, come esperienze di fatale solitudine. Così il danzamento a più riprese con Felice Bauer, la latente seduzione di Grete Bloch o della giovane Julie Wohryzek, glia del custode di una sinagoga di Praga e la passione verso la vivace giornalista Milena Jesenská, de nita «un fuoco vivo», con cui Kafka avrà un’ intensa corrispondenza. Diverso fu il breve rapporto con la gura protettiva della giovane ebrea polacca Dora Diamant, che gli sarà accan-

to a Berlino negli ultimi mesi di vita e lo assisterà no alla morte nel giugno del 1924 in un sanatorio presso Vienna. Del resto, come scrisse a Felice nel 1916, «qualsiasi vincolo che non è creato da me stesso, foss’anche contro parti del mio io, è senza valore, m’impedisce di avanzare, lo odio e sono molto vicino a detestarlo». Lo scrittore sembra incapace di accettare il disordine e l’ebbrezza dei sensi: non è dunque un caso che lagura femminile, attraverso i per-sonaggi contrastanti di Frieda e di Amalia, diventi cardine del romanzo Il castello convogliando in sé l’ambiguità dell’eros legato al caos e alla vertigine. Per no la tubercolosi polmonare diagnosticatagli nel 1917, che lo costringe a soggiornare in vari sanatori, gli appare come una liberazione da tutti gli obblighi professionali e matrimoniali. Si ritirerà per alcuni mesi a Zürau, un paesino della Boemia presso Ottla, la più amata delle sue tre sorelle, per poi riprendere a scrivere a Praga. Infatti, come sostenne sempre, egli non è altro che letteratura, e proprio nelle ore notturne, quando sovente lavora, si sente investito da uno «strepito universale», che è armonia oppressa a cui occorre dare libero sfogo.

Tuttavia in questa forma di ascesi e di eremitaggio non si sente a atto stabile: «Vacillo – annota – (...) non riesco, si può dire, a sostenermi neanche un istante». Eppure sogna di conciliare quella vocazione divenuta più indispensabile della vita, di cui parla ampiamente nelle lettere a Felice Bauer, con il matrimonio e i grandi temi dell’ebraismo. Ma per Kafka la scrittura col tempo è sempre più associata alla pena e al castigo simbolizzato, fra il resto, dal congegno di tortura al centro del racconto Nella colonia penale. Un destino che coinvolge anche gli inconsapevoli personaggi del Processo e del Castello ingannati ed esclusi da ogni possibilità di difesa o di accesso alla vita. Restano, se mai, tracce, come nell’ultimo racconto Josene la cantante ossia il popolo dei topi, di una felicità perduta e irrecuperabile. E non viene meno la sua tenacia: «Io non ho speranza di vittoria – si legge in un frammento – e la lotta non mi dà gioia in sé, ma solo perché è l’unica cosa che si ha da fare».

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Quanta bellezza in un torso

Tesoro nascosto – 6 ◆ La storia del busto di Gaddi conservato agli Uffizi

Chiedersi oggi cosa sia la bellezza può risultare pleonastico. Soprattutto se ci si guarda attorno e si vede tutto quello che accade. In ogni caso cinquemila anni di storia ci hanno regalato aspetti variegati di bellezza. Nel III millennio avanti Cristo troviamo la Venere di Willendorf, tondetta, con fianchi pronunciati e seni sovrabbondanti: qui la bellezza va di pari passo con la riproduzione della specie. Nel  Peter Paul Rubens dipinge Hélène Fourment come Afrodite con il grasso sovrabbondante ed egualmente distribuito. Più recentemente chi non ricorda l’emaciata (quasi anoressica) Twiggy? C’è da rimanere disorientati.

Fortunatamente ci soccorrono gli antichi greci. Nel VI secolo a.C. Pitagora sostiene che il numero è il fondamento del reale e quindi ne deriva che il bello è ordine. Sono gli artisti che danno vestibilità al concetto con le loro statue nelle quali la bellezza è proporzione. Policleto nel V secolo a.C. scrive un trattato per esplicare la sua téchne. In esso si fa riferimento al cosiddetto Canone. Secondo gli scritti posteriori che riportano il concetto, per Policleto il bello (tò kállos) nasce dalla simmetria. Come termine di paragone per molto tempo si è ritenuto che a identificare il Canone fosse la statua del Doriforo

Forse metafora della forza di Eros, il busto non è mai stato restaurato perché dai più grandi artisti come Michelangelo considerato un’opera a sé stante, completa e potente

Ma non è tutto. Le Belle arti così come le intendiamo noi oggi al tempo dei Greci erano molto diverse. Per loro la bellezza è un valore etico. Si tratta del composto kalos kagathos e del sostantivo kalokagathia: bello-e-buono. Intendiamoci, il concetto matura nelle classi aristocratiche, quelle cioè che vivono del possesso delle terre e non lavorano.

Saffo (VII-VI secolo a.C.) scrive: «Chi è bello lo è finché è sotto gli occhi, chi è anche buono lo è ora e lo sarà poi». Platone nelle Leggi del  a.C. precisa: «Riguardo a ogni immagine (eikon) dunque, che sia in pittura, in mousike, o in ogni altra arte, non è forse necessario che chi vo-

glia esserne giudice intelligente debba possedere queste tre caratteristiche e cioè conoscere che cosa è l’oggetto che viene imitato; in secondo luogo conoscere quanto correttamente (orthos) viene imitato; e poi, quanto bene (eu), terzo elemento, opera un’immagine qualunque?». Non esiste, infine, bontà dell’esecuzione senza bontà del contenuto. Per fare un esempio citeremo il Torso Gaddi alla Galleria degli Uffizi di Firenze. Parlare degli Uffizi sembrerebbe inutile: è forse il museo più famoso del mondo ed è compito arduo scegliere fra i suoi tanti capolavori. Citiamo la Sala della Niobe al secondo piano restaurata nel  dopo l’attentato del . La Sala si deve a Pietro Leopoldo di Lorena e contiene una serie di statue classiche e due grandi dipinti di Pieter Paul Rubens: la Battaglia e il Trionfo (-) ispirati alla vita di Enrico IV. L’incarico viene dato dalla vedova Maria de’ Medici all’artista che sembra aver partecipato alle nozze per procura dei due sovrani a Firenze nel . I dipinti dovevano far parte di una serie dedicata alla vita della regina che per problemi politici (l’esilio di Maria) non è stata mai terminata. Dopo varie vicissitudini le tele da Anversa sono giunte in Italia e portate poi a Firenze. Si chiama Torso Gaddi perché nelle vite di Lorenzo Ghiberti il Vasari scrive: «…il quale (Lorenzo) oltre le cose di sua mano, lasciò agli eredi molte anticaglie di marmo e di bronzo, come il letto di Policleto che era cosa rarissima, una gamba di bronzo grande quanto è il vivo, et alcune teste di femine e di maschi, con essi certi vasi fatti da lui condurre di Grecia con

non piccola spesa. Lasciò parimenti alcuni torsi di figure et altre cose molte; le quali tutte furono insieme con le facultà di Lorenzo andate male; e parte vendute a messer Giovanni Gaddi, allora chierico di camera».

Giovanni Gaddi nasce a Firenze nel . La sua famiglia si dedica all’attività bancaria. Nel  sovvenziona il Papa con . scudi. Conseguiti gli ordini ecclesiastici ottiene l’abbazia di San Salvatore a Salvamondo. Sotto Clemente VII raggiunge, comprandola, la dignità di chierico della Camera apostolica. Nella sua casa romana è presente una ricca biblioteca e da lui si ritrovano poeti, letterati e artisti quali Aretino, Varchi, Tribolo, Sansovino e Cellini. Quest’ultimo nella sua Autobiografia scrive che Gaddi «si dilettava di ogni virtù non avendone nessuna». Muore a Roma nel .

Il torso deriva da un prototipo del II secolo a.C. Raffigura un giovane centauro che doveva essere assieme a uno anziano cavalcato da un amorino. Forse la metafora della forza di Eros. Il busto non è mai stato restaurato perché dai più grandi artisti come Michelangelo considerato un’opera a sé stante, completa e potente.

Decenni fa Guido Achille Mansuelli ha ipotizzato che fosse un satiro e, data la somiglianza con l’atletico e possente Torso del Belvedere del I secolo a.C. firmato da Apollonios di Nestore, ne ha attribuito la paternità allo stesso scultore.

Vincenzo Saladino scrive di apoteosi di Eracle contro centauri selvaggi raffigurati con le mani legate dietro il dorso che richiamano le guerre vittoriose di Alessandro. Per un’iconografia complessiva di come poteva essere in origine propone Il centauro Borghese al Louvre di Parigi e il Centauro anziano al Museo Capitolino di Roma. Così lo descrive mirabilmente nel suo scritto Cantauri restrictis ad terga manibus del : «Il suo modellato, segnato da depressioni e avvallamenti, risulta mosso e variato, mentre l’epidermide non si limita a fasciarne i volumi, ma svolge un ruolo autonomo, divenendo tesa e sottile sulle masse muscolari rigonfie, mentre nella parti non sottoposte a sforzo appare rilasciata e quasi ispessita».

Informazioni

Torso Gaddi, Gallerie degli Uffizi, Firenze. www.uffizi.it

Da Milano a Zurigo

Mostre ◆ La forza della figurazione

Alessia Brughera

Ben si sa quanto l’arte del Novecento sia stata rivoluzionaria e radicale, improntata com’era alla ricerca di un nuovo concetto di creatività fondato sulla forza delle idee che rompesse in maniera totale con la tradizione. Quando dunque si parla di «arte figurativa contemporanea» non è difficile assistere a una sorta di diffidenza nei suoi confronti, poiché, anche dai meno esperti in materia, viene percepita e stigmatizzata come qualcosa di obsoleto, di ormai sorpassato dalle tante tendenze che hanno accantonato la rappresentazione del mondo nelle sue forme reali. Eppure anche il XX secolo, nonostante tutto, è stato figurativo. Potremmo scomodare gli espressionisti, i cubisti, i metafisici e i surrealisti, o, ancora, i maestri della Transavanguardia, giusto per testimoniare come la scelta di molti artisti di rimanere legati alla figurazione sia stata capace, anche in quel periodo storico, di incarnare le istanze più progressiste.

Nel panorama odierno, dove le indagini di natura intellettualistica la fanno da padrone, non mancano autori orientati alla pittura figurativa, sorretti dalla convinzione che solo attraverso di essa sia possibile trasmettere quell’immenso repertorio di archetipi e di modelli forniti dalla natura e dalla realtà che gli uomini hanno fatto proprio nel corso dei millenni.

A raccogliere una ventina circa di artisti contemporanei accomunati dalla passione per il figurativismo pittorico è la mostra dal titolo FIGURAZIONE MilanoZurigo, allestita nelle vetrine del Passante Ferroviario di Milano Porta Garibaldi fino alla metà di giugno. La rassegna accosta nomi attivi nelle due città che, sebbene appartengano a generazioni differenti e abbiano formazioni diverse, condividono il medesimo approccio a una pittura capace ancora di esplorare e narrare

con intensità il mondo che ci circonda. Il progetto è stato organizzato da tre dei pittori presenti (Carmelo Violi e Paola Laterza, che si sono occupati degli autori milanesi, e Giampaolo Russo, che ha proposto quelli di Zurigo) e ha il merito di aver creato una feconda sinergia tra due luoghi vitali e molto inseriti nella scena artistica attuale, ma nei quali, come scrive lo storico dell’arte Tommaso Lonedo nel testo che accompagna la mostra, «la pittura figurativa è ancora troppo sottovalutata dalle istituzioni locali sebbene in entrambe le città, nonostante l’atteggiamento limitato e chiuso nei confronti dei media classici, esistano artisti che la vedono come una colonna portante dell’arte contemporanea».

In stretto dialogo tra loro, le opere radunate nella rassegna, che comprendono lavori site-specific e alcuni pezzi esposti per la prima volta in Italia, documentano quanto l’arte figurativa sappia cogliere e interpretare le esigenze espressive dell’uomo di oggi, raggiungendo risultati dall’estetica peculiare e coinvolgente che stimolano riflessioni sul futuro della pittura stessa. Nelle opere di questi artisti orgogliosamente figurativi c’è un confronto diretto con la vita in tutte le sue sfumature, un colloquio serrato tra il mondo interiore di ciascuno di loro e la realtà che li ammalia e li inquieta.

Dove e quando FIGURAZIONE MilanoZurigo. A cura di Renato Galbusera e Carmelo Violi. Mostra pubblica nelle vetrine del Passante Ferroviario di Milano Porta Garibaldi visibile fino al 15 giugno 2024 negli orari di apertura della stazione ferroviaria. Il 15 giugno alle 18.00 ci sarà il finissage. Info: www.figurazionemilanoz. wixsite.com/mostra

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 3 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino CULTURA 41
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Da

Ritrovare i tempi perduti

Fotografia ◆ L’artista Roberto Mucchiut in mostra alla ConsArc di Chiasso

Gian Franco Ragno

Artista votato da molti anni alla produzione di forme multimediali e digitali, assai attivo soprattutto nell’ambito delle arti performative (teatro, danza e musica) – come ricorda in esposizione un video del gruppo Nitron – Roberto Mucchiut (), dopo alcune collettive nello spazio chiassese, si presenta per la prima volta in una sua esposizione personale alla Galleria ConsArc di Chiasso.

Nelle diverse serie presentate, il tema centrale sembra essere il rapporto che l’uomo ha con la tecnologia e quindi con lo spazio e il tempo. Si parte dal grado zero della fotografia, ovvero immagini in bianco e nero prodotte con il foro stenopeico (nella serie intitolata Sans), macchina fotografica primitiva che si presenta come scatola senza obiettivo, mezzo che simboleggia ed evoca il celebre mito della caverna di Platone. Si passa poi a un altro tema centrale dell’identità, ovvero quello del ricordo, nella serie intitolata OI (di sui fa parte l’immagine nell’articolo).

Queste serie indagano il confronto tra ciò che siamo e la nostra percezione – completamente rivoluzionata delle nuove tecnologie

Sono immagini nate dalle diapositive dei viaggi giovanili, sovrapposte in modo casuale e creativo, generando così nuovi paesaggi possibili e altri viaggi non ancora compiuti. Piccole immagini che illustrano quelli che sono i frammenti della propria storia, dell’identità, dei ricordi. Una memoria che è, più di quanto vogliamo ammettere, materia rimodellabile, custode di nessuna verità certa ma comunque centrale per determinare delle traiettorie esistenzia-

li, parabole di senso di un percorso.

Altri paesaggi, in questo caso montani, nati come analogici ovvero su pellicola – nella serie Matière – vengono trasposti ed elaborati digitalmente dall’autore, cambiando radicalmente di senso – da soggetto romantico per eccellenza – pensiamo ad autori come Caspar David Friedrich o Caspar Wolf – a scenario ibrido, quasi di fantascienza come suggeriscono i colori irreali, come appartenenti a un altro pianeta.

Un’altra doppia serie ci porta ai confini, agli estremi del giorno: l’alba e il tramonto, con le loro rispettive luci calde e luci fredde. Immagini dello stesso luogo, a distanze cadenzate (nella serie Crépuscules#); dittici fotografici e dittici video di un luogo che attende l’alba (nella serie Crépuscules #), con passo e cadenza lentissima; una lenta trascrizione che ricorda le videoproiezioni del grande autore statunitense Bill Viola – seppur su temi completamente diversi.

Ciò che viene indagato simbolicamente in tutte queste serie è il confronto tra ciò che siamo e la nostra

percezione – completamente rivoluzionata delle nuove tecnologie, dalle nuove periferiche. Schemi onnipresenti che catturano la nostra attenzione richiamando scientificamente le nostre preferenze, modificando ritmi e cicli vitali, frantumando categorie (pubblico e privato, presenza e assenza, reale e immaginario).

Vivendo l’evoluzione storica del digitale in prima persona, Roberto Mucchiut ha saputo usare sapientemente gli stessi strumenti che stanno modificando la realtà per cercare di liberarci dagli stessi e dai loro pericoli. Egli avverte lo spettatore di una necessità, quella di ritrovare i tempi perduti, le «terre di mezzo», come evoca nel sottotitolo della esposizione, ovvero un luogo di una possibile e necessaria rigenerazione dello sguardo.

Dove e quando Roberto Mucchiut. Entre-Deux. Tempi e terre di mezzo

Galleria Cons-Arc, Chiasso, fino al 28 giugno 2024. Entrata libera. www.galleriaconsarc.ch

Una tempesta inclusiva

Teatro ◆ Con gli attori del Komiktheater La tempesta è uno spettacolo gioioso

Giorgio Thoeni

L’undicesima edizione delle Giornate del Teatro svizzero che si è svolta recentemente al LAC ha avuto il pregio di proporre sulle scene di Lugano e di Bellinzona quanto di più rappresentativo e originale possa offrire il panorama nazionale. D’altronde è fra le sue finalità, accanto a quella di favorire un contatto fra le diverse regioni linguistiche con produzioni accuratamente selezionate, che quest’anno hanno privilegiato tematiche legate alla diversità e l’inclusione, all’identità e al ricambio generazionale.

Fra i sei spettacoli che la rassegna ha proposto, si è fatto decisamente notare Sturm di Michael Schröder, una libera interpretazione de La tempesta di Shakespeare a opera della compagnia mista del eater St.Gallen con il Komiktheater, l’unico teatro professionale con persone disabili della Svizzera orientale. Proposto sul palco del Teatro Sociale, la burrasca è la prima cosa a occupare una scena ingombra di pedane e allungata su praticabili. È la memoria dell’ingegnosa macchineria strehleriana, fra il sibilo del vento, il rombo dei tuoni e vele issate sullo sfondo.

È solo l’inizio di un gioco delle parti, di un caos organizzato, un nau-

L’attrice Joy Käser durante lo spettacolo. (Komiktheater)

fragio su un’isola dove Calibano è un re che nessuno ascolta, Ariel è uno spiritello che non ha molta voglia di usare le sue ali, Miranda è destinata a sposarsi fra i mugugni mentre Calibano è una variabile impazzita. Lo spettacolo viene conquistato da una società anarchica, dove l’umorismo e l’autoironia governano le azioni trasformandole in un carosello di immagini, spunti che gli attori hanno tratto dall’opera del Bardo nelle sue componenti essenziali, travolte da un ensemble musicale libero dalle convenzioni dove la parola trova spazio in un crescendo di situazioni allusive, rivoluzionarie, dissacratorie. Gli

attori tradizionali sembrano dover sparire per lasciare il posto alla straordinaria versatilità dei loro compagni di viaggio, dove la disabilità esce dai parametri buonisti di un processo inclusivo per diventare il motore di un sogno. Quello di un’isola che non c’è. Un luogo dove vivere senza condizionamenti e divieti, al riparo della malattia e del male, senza oppressione, disuguaglianze, segregazione. Una dimensione utopica dove trionfano l’amore, la serenità, la scienza. Una società più giusta e dall’apparenza scoordinata da un allestimento che travolge la platea con la sua voglia di gioire e andare oltre.

« « Sono contento di aver sistemato tutto con mie disposizioni.

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Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 3 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino CULTURA 43
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Pesce e frutti di mare 6
In vendita ora al banco
conf.

Il nostro pane della settimana: un pane integrale ricco di aromi che si mantiene fresco per diversi giorni e, grazie alla sua forma, è ideale per sbizzarrirsi a creare sandwich e panini

Tanta freschezza dalla panetteria

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400 g, prodotto confezionato, (100 g = 0.88)

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Mini tortine disponibili in diverse varietà, per es. di Linz, 75 g, 1.15 invece di 1.50, prodotto confezionato, (100 g = 1.54) a partire da 4 pezzi 25%

Mini tortine disponibili in diverse varietà, per es. di Linz, 4 x 75 g, 4.50 invece di 6.–, prodotto confezionato, (100 g = 1.50)

20x

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Crosta leggermente croccante cosparsa di semi di sesamo

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Panino pita IP-SUISSE

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Formaggi e latticini

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Bibite deliziose per grandi e piccini

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in confezioni multiple, per es. 6 x 1.5 litro, 4.40 invece di 6.60, (100 ml = 0.05)

Cherry Zero o decaffeinata, in confezioni multiple, per es. Regular, 6 x 1,5 litro, 7.50 invece di 12.50, (100 ml = 0.08)

Bevande 11 Offerte valide dal 4.6 al 10.6.2024, fino a esaurimento dello stock. Acqua prodottavitaminica in Svizzera Dissetante naturale 1.95 Bibite bio
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=
Tutti
per es. Florentin, 100 g, 2.80 invece di 3.40
5.85

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Fazzoletti di carta o salviettine cosmetiche Linsoft, FSC® in conf. multiple o speciali, per es. fazzoletti, 56 x 10 pezzi, 4.70 invece di 7.10

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Dalle padelle ai detersivi

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Il modello più noto di caffettiera da espresso

è stato sviluppato nel 1945 dall'italiano Alfonso Bialetti. Una sua antesignana era presente sul mercato francese già dal 1819. Il caffè viene particolarmente buono se i chicchi vengono macinati subito prima della preparazione. Per un aroma pieno e intenso si consiglia una miscela di chicchi di Arabica e Robusta.

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Tutte le caraffe isolanti, le caffettiere e le teiere, Bialetti e Kitchen & Co. (prodotti Hit, bicchieri isotermici, thermos e portavivande termici esclusi), per es. caffettiera Bialetti color argento, per 6 tazze, il pezzo, 20.95 invece di 29.95

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