Azione 24 del 10 giugno 2024

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edizione 24

MONDO MIGROS

Pagine 2 / 4 – 5

SOCIETÀ Pagina 3

TEMPO LIBERO Pagina 15

Dà vita all’unica biografia a fumetti autorizzata di Bud Spencer, l’ideale sinergia tra Sonseri e Lauciello

Al Congresso europeo sull’Obesità si torna a parlare dei benefici e dei rischi dell’Ozempic ◆

Ritratto della neopresidente Claudia Sheinbaum, la prima donna a guidare il Messico

ATTUALITÀ Pagina 25

Friedrich, il genio del Romanticismo

Un ricordo di Alice Ann Munro, la scrittrice canadese «signora del racconto»

CULTURA Pagina 41

Mission impossible al Bürgenstock?

La conferenza di pace per l’Ucraina che si terrà il 15 e 16 giungo al Bürgenstock è già stata massacrata dai media nazionali e internazionali. Noi proveremo a ragionare controcorrente. Certo, sarebbe illusorio pensare che, dopo l’incontro nel sito nidwaldese sul lago dei Quattro cantoni, Zelensky e Putin si buttino le braccia al collo per rappacificarsi. Per cominciare, Putin non ci sarà. Del resto: primo, non ci sarebbe mai venuto – soprattutto ora che sul campo di battaglia sta vincendo e mancano pochi mesi all’elezione di un presidente americano che – se fosse Trump – potrebbe far girare l’inerzia statunitense a proprio favore; secondo, proprio perché non aveva intenzione di esserci non è stato invitato. E come si fa a riconciliarsi con un nemico assente? Non ci sarà neppure la Cina, che avrebbe potuto rappresentare Mosca, e altri Paesi importanti, come il Sudafrica, il Brasi-

le o la Turchia. Il rischio è che sull’idilliaca collina elvetica a parlare di pace resterà solo il «fronte occidentale», l’Ucraina e la NATO, che nel caso degli Stati Uniti non saranno neppure rappresentati dal loro numero uno, ma dalla sua vice. In secondo luogo, di solito i trattati di pace si firmano quando le armi tacciono. Così è successo con la conferenza di Parigi del 1919 organizzata dai vincitori dalla Prima guerra mondiale. E, nella Seconda, i trattati di pace del ’47 furono preceduti da tre vertici a partire dal 1943 (Casablanca, Yalta e Postdam) dove i nazisti non furono invitati. Alla fine, relisticamente, chi vince stabilisce le nuove condizioni di convivenza tra i popoli. Muoversi prima, secondo i critici, non avrebbe quindi senso. Mission impossible al Bürgenstock, quindi? Se si spera nella pace immediata, sì. Se si pensa, invece, che l’incontro può avviare un cammino che

porti a quel risultato, no. Perché a parlare, per una volta, non saranno missili, carrarmati e droni Sokol-300. Discutere, cercare una soluzione diplomatica, è l’unico mezzo per evitare che a decidere il destino del mondo siano solo le armi. «Un diplomatico cercherà sempre di trovare una via di uscita ai problemi – ha detto il presidente della CEI Matteo Zucchi celebrando il Centenario dell’Università degli Studi di Trieste – non si arrende, perché è il suo mestiere, ma anche perché c’è sempre una via di uscita». A parte il Papa e i suoi rappresentati, come mons. Zucchi, chi crede nel dialogo per «trovare una via d’uscita»? Il vertice del Bürgenstock ci sembra l’unico tentativo serio di uscire dalla logica della distruzione del nemico per risolvere i conflitti. Non fermerà la guerra ora, ma è una via tra il formale e l’informale, i proclami pubblici e le discussioni a porte chiuse per suggerire piste e in-

viare messaggi agli assenti tramite amici o amici degli amici. Nessuno di noi saprà quale parola, documento o proposta anche solo sussurrata potrebbe creare un varco verso la pace. Forse nessuna. Forse no. Perché non provarci? No, signor Putin, contrariamente a quanto vuol farci credere, la guerra non è l’unica soluzione. Dobbiamo dirlo, anzi gridarlo, non solo per gli oltre 60 mila morti, per i ventenni inviati al fronte o per proteggere il nostro Occidente minacciato. La pace va preparata oggi a dispetto di chi pensa solo a sabotarla. Ecco il messaggio che dal Bürgenstock idealmente è diretto ai bambini, alle donne, ai vecchi, a tutte le vittime di guerra e a chi è stato privato della propria voce in Russia e nei Paesi che stritolano il dissenso: non vogliamo lasciare l’ultima parola alla violenza. Tentiamo – una buona volta – di fermare la guerra un po’ prima che finiscano le armi.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 10 giugno 2024 Cooperativa Migros Ticino
◆ ● G.A.A. 6592 San t’Antonino
Staatliche Museen zu Berlin, Nationalgalerie / Jörg P. Anders
Stefano Vastano Pagina pag. 39

Come funziona il partenariato sociale

Info Migros ◆ La Migros si sta riorganizzando, e di conseguenza i licenziamenti sono inevitabili; è qui che entra in gioco il partenariato sociale di lunga data. Ma cosa comporta esattamente e cosa c’entra un piano sociale?

Cosa si intende per partenariato sociale?

Si tratta di una cooperazione tra il datore di lavoro e i rappresentanti dei lavoratori, vale a dire i comitati aziendali del personale e le associazioni professionali. Il partenariato sociale si basa sul principio della codeterminazione: entrambe le parti si rivolgono l’una all’altra per negoziare e regolare le condizioni di lavoro, i salari, gli orari di lavoro e altri aspetti della vita lavorativa. «Alla Migros abbiamo un forte partenariato sociale da oltre 30 anni, che si basa su una grande considerazione per i nostri lavoratori», afferma Andrea Krapf, responsabile delle risorse umane del Gruppo Migros e membro della Direzione generale.

Perché abbiamo bisogno dei partenariati sociali?

Migros ha partner sociali sia interni sia esterni. All’interno del Gruppo Migros, le commissioni del personale (COPE) delle rispettive aziende rappresentano gli interessi dei dipendenti. Gli interessi comuni di tutte le COPE sono rappresentati dalla cosiddetta Commissione nazionale (LAKO). Le parti sociali esterne comprendono la Società impiegati di commercio e l’Associazione svizzera personale macelleria. «Con queste due associazioni abbiamo mantenuto un rapporto di lavoro fiducioso e costruttivo per molti anni, anche se in singoli casi ci sono state dure controversie», afferma Krapf.

I sindacati possono essere partner sociali insieme alle organizzazioni professionali?

In linea di principio, sì. Come i comitati del personale e le organizzazioni professionali, anche i sindacati rappresentano gli interessi dei lavoratori. Affinché il partenariato sociale si concretizzi, i rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori devono concordare principi comuni che non possono essere messi in discussione. Per Migros, l’obbligo assoluto di mantenere la pace è uno di questi capisaldi: «Attribuiamo grande importanza al fatto che i processi operativi non vengano interrotti da scio-

peri o campagne», afferma Andrea Krapf. La pace industriale contribuisce in modo significativo alla sicurezza sociale e alla stabilità del mercato del lavoro.

Cosa fa una commissione del personale alla Migros?

La COPE funge da canale di comunicazione tra i lavoratori e la direzione della rispettiva azienda. Garantisce che le preoccupazioni dei dipendenti siano ascoltate. Tra le altre cose, negozia con la direzione la tornata salariale annuale nella rispettiva azienda Migros. La COPE è spesso coinvolta nelle decisioni quando le misure hanno un impatto diretto sui lavoratori. Inoltre, fornisce consulenza ai dipendenti su tutte le questioni relative al loro posto di lavoro e si impegna a offrire ulteriori opportunità di formazione e sviluppo. I membri delle COPE sono dipendenti Migros e vengono eletti dai loro colleghi.

E qual è il compito della Commissione nazionale (LAKO)?

La LAKO si occupa di tutte le questioni che non possono essere trattate dalle commissioni del personale delle singole società Migros. Si tratta, ad esempio, delle trattative annuali sulle fasce salariali per l’intero Gruppo Migros. Partecipa inoltre all’elaborazione del contratto collettivo di lavoro nazionale (CCLN). Questo accordo tra Migros, la LAKO e le parti sociali esterne regola le condizioni di lavoro di tutti i dipendenti delle aziende Migros soggette al CCLN.

Attualmente si tratta di 45 aziende Migros e quindi di circa 58’000 dei 99’000 dipendenti complessivi del Gruppo Migros. Le quattro parti hanno inoltre recentemente concordato un piano sociale migliorato che sarà applicato per la prima volta a livello nazionale.

Che cos’è un piano sociale?

È un accordo che attenua le conseguenze sociali ed economiche dei licenziamenti nel contesto di una ristrutturazione operativa. I datori di lavoro sono tenuti per legge a presentare tale piano. Contiene varie misure per mitigare le conseguenze dei licenziamenti all’interno dell’azienda e fornire il miglior supporto possibile alle persone colpite. In particolare, si tratta di regolamentare l’indennizzo che i dipendenti licenziati ricevono e il modo in cui vengono supportati nella ricerca di un nuovo lavoro.

Cosa caratterizza il nuovo piano sociale di Migros?

È il primo piano sociale che si applica a tutte le cooperative e ad alcune società del Gruppo Migros. È entrato in vigore il 1° maggio. «Alla luce della complessa struttura di Migros, questo piano sociale nazionale è una pietra miliare che abbiamo raggiunto insieme ai nostri partner sociali», afferma Krapf, che parla di un miglioramento significativo rispetto ai piani sociali precedenti. Le soluzioni per i dipendenti più anziani e di lunga data sono particolarmente importanti per lei. A loro viene concesso più tempo e un sostegno personalizzato per valutare come proseguire la carriera: «Abbiamo un maggiore dovere di assistenza nei loro confronti». Importante: la prima priorità è sostenere le persone colpite in modo che possano trovare un nuovo lavoro all’interno o all’esterno di Migros.

«Alla fine si tratta sempre di un compromesso»

Simone Sofia, alla guida della Commissione nazionale (LAKO) del Gruppo Migros da quasi due anni, racconta come sta affrontando i grandi cambiamenti

Simone Sofia, lei è il massimo rappresentante dei dipendenti di Migros. Un compito difficile in tempi di trasformazione? Innanzitutto, vorrei dire che è necessario un intero gruppo di persone a sostenermi nel mio ruolo, soprattutto i membri dei singoli comitati del personale. È certamente una grande sfida, ma non mi spaventa.

Quanta influenza avete lei e i comitati del personale sulle decisioni che riguardano la forza lavoro? Possiamo prendere decisioni in misura limitata. Tuttavia, svolgiamo un importante ruolo consultivo. A seconda dei casi, prendiamo posizione per evitare situazioni che potrebbero essere svantaggiose per i dipendenti. Nel corso di riunioni periodiche con la direzione dell’azienda, vengo infor-

mato in anticipo sui piani, nella misura in cui la riservatezza lo consente. Il sistema si basa sulla fiducia reciproca.

Riesce a comprendere le decisioni prese per la riorganizzazione di Migros?

Il mio compito non è quello di comprendere le decisioni aziendali. Il mio compito è quello di ottenere il meglio da una situazione per i dipendenti e di collaborare con tutte le persone coinvolte.

Vivete la vita!

Percento culturale Migros ◆ Un bando di concorso per giovani con un progetto

In Svizzera, circa 1’240’000 persone sono colpite o minacciate dalla povertà, ovvero quasi una persona su sette. Anche la generazione più giovane ne è vittima: 155’000 bambini, adolescenti e giovani adulti in Svizzera sono colpiti dalla povertà, circa 374’000 vivono appena al di sopra della soglia di povertà (Ufficio federale di statistica, 2022).

È stato informato in anticipo della trasformazione che Migros sta vivendo attualmente?

Sì, ne ero a conoscenza. Poco dopo l’annuncio pubblico, la direzione del dipartimento Risorse umane mi ha contattato e mi ha informato del progetto di elaborare un nuovo piano sociale nazionale per tutte le cooperative e tutte le aziende Migros. Ho detto: lo sosterrò solo se sarà davvero valido e migliorerà davvero la situazione dei dipendenti.

Ed è soddisfatto del risultato?

Sì, lo sono. Tra i principali miglioramenti vi sono, ad esempio, un ampio sostegno alla formazione continua e l’ammortamento dei costi di mobilità sostenuti in caso di cambio di lavoro per licenziamento. I dipendenti possono essere certi che faremo sempre del nostro meglio per proteggere i loro interessi. Tuttavia, dobbiamo rimanere realistici e non perdere di vista gli interessi economici dell’azienda. Alla fine, si tratta sempre di un compromesso.

Il Percento culturale Migros si impegna per la coesione in Svizzera e sostiene persone e organizzazioni che lavorano per le pari opportunità e per una società inclusiva. In particolare i giovani colpiti o minacciati dalla povertà hanno minori opportunità di partecipare alla vita sociale, di intessere contatti e di sviluppare i propri talenti e le proprie prospettive. Con il bando di concorso «Vivi la vita!» il Percento culturale Migros è quindi alla ricerca di progetti e offerte diversificati che diano forza agli adolescenti e ai giovani adulti. Dal 17 giugno al 6 settembre 2024 sarà possibile richiedere un sostegno da 3000 a 30’000 franchi per la realizzazione o l’ulteriore sviluppo di un progetto. Che si tratti di un centro giovanile, di un programma di mentoring, di un progetto di podcast, di consulenza da pari a pari o di una ricerca-azione: il bando di concorso è aperto a un’ampia gamma di progetti che puntano a creare spazi di libertà e opportunità. Possono dunque partecipare organizzazioni di pubblica utilità (ad es. associazioni, cooperative, fondazioni), autorità pubbliche insieme a organizzazioni di pubblica utilità a condizione che siano impegnate attivamente per il tema del presente bando di concorso, che stiano pianificando o già realizzando un progetto con giovani tra i 13 e i 25 anni in Svizzera, e che con il loro progetto raggiungano giovani economicamente meno privilegiati o puntino a raggiungerli e a coinvolgerli meglio.

Dove e quando Vivi la vita!, dal 17 giugno al 6 settembre 2024; maggiori informazioni su engagement.migros.ch/vivilavita

tempolibero@azione.ch attualita@azione.ch cultura@azione.ch

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Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 10 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 2
azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Abbonamenti e cambio indirizzi tel +41 91 850 82 31 lu–ve 9.00 –11.00 / 14.00 –16.00 registro.soci@migrosticino.ch Redazione Carlo Silini (redattore responsabile) Simona Sala Barbara Manzoni Manuela Mazzi Romina Borla Natascha Fioretti Ivan Leoni Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Telefono tel + 41 91 922 77 40 fax + 41 91 923 18 89 Indirizzo postale Redazione Azione CP 1055 CH-6901 Lugano Posta elettronica info@azione.ch societa@azione.ch
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Ticino CP, 6592 S. Antonino tel +41 91 850 81 11 Stampa Centro
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Andrea Krapf, resp. HR Gruppo Migros e membro della Direzione generale. Simone Sofia, responsabile della Commissione nazionale del Gruppo Migros.

SOCIETÀ

Torna la stagione delle zecche I casi di malattie trasmesse dalla specie autoctona sono in aumento; meno a Ginevra e in Ticino

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Ricicliamo assieme la plastica

Alle filiali Migros di Tesserete e Melano, si trovano gli appositi sacchi di raccolta da riconsegnare al supermercato

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Ozempic-mania, benefici e rischi

Prevenire l’eccessivo indebitamento Uno spettacolo di teatro-forum e un nuovo opuscolo del DSS invitano a riflettere sull’uso del denaro e sulla gestione del budget di casa

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Medicina ◆ Al di là delle polemiche sono molte le informazioni di cui tenere conto quando si ha a che fare con il rivoluzionario e gettonato farmaco dimagrante

Salvavita o pericoloso specchietto per le allodole? Dipende da chi lo assume e in quali modalità. Si tratta del farmaco dimagrante a base di semaglutide in voga fra le celebrità, Ozempic/ Wegovy: consente di perdere nell’arco di poche settimane fra il 15 ed il 20% del peso corporeo. Non solo. Secondo uno studio presentato questo mese al Congresso Europeo sull’Obesità a Venezia, il medicinale – concepito in origine per la cura del diabete di tipo 2 (v. articolo «Azione» a firma di Maria Grazia Buletti del 19.6.2023) – può anche ridurre di circa il 20% la mortalità per ictus, infarto e altre patologie cardio-vascolari. E a prescindere dai chilogrammi smaltiti.

Tuttavia, non è tutto oro quel che luccica. Lo ha spiegato a un briefing per la stampa a Londra, il chirurgo plastico Riccardo Frati, che svolge la propria attività fra la capitale britannica e Dubai, puntualizzando come il preparato debba essere assunto sotto stretto controllo medico e non acquistato con leggerezza sottobanco o sul web solo per acquisire rapidamente una silhouette più snella.

Il semaglutide rappresenta forse la svolta medica più rivoluzionaria dall’avvento delle statine negli anni Novanta. Ne è convinto il professore John Deanfield di University College London, autore della ricerca esposta alla conferenza veneziana. Secondo Deanfield, il principio attivo di Ozempic e Wegovy – prodotti entrambi dal colosso farmacologico danese Novo Nordisk per contrastare rispettivamente il diabete e il peso in eccesso – esercita un’azione antinfiammatoria generale che «colpisce la biologia sottostante di malattie croniche» e ha dunque una potenzialità enorme.

Anche Frati non lo nega, tanto più nell’attuale contesto globale, contraddistinto da livelli di obesità allarmanti: in base agli ultimi dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono 2,5 miliardi le persone sopra ai 18 anni risultate sovrappeso nel 2022, delle quali 890 milioni affette da obesità, ovvero il doppio rispetto al 1990.

Fronteggiare l’obesità – foriera di patologie come disturbi cardio-vascolari, diabete e insufficienza renale – consente di ridurre la mortalità e dunque i costi delle prestazioni sanitarie e del welfare. «Oltre alla chirurgia bariatrica, farmaci a base di semaglutide come Ozempic/Wegovy possono essere risolutivi o quantomeno molto utili», ha spiegato il chirurgo plastico italiano, sottolineando come i social media abbiano avuto un grande impatto nella pubblicizzazione di questi medicinali. Alcune celebrità e influencer hanno cominciato a usarli e a condividerne gli effetti, mostrando ai follower le foto del prima e del dopo,

con trasformazioni importanti e veloce perdita di peso.

La sostanza, somministrata attraverso un’iniezione settimanale, tuttavia, non può essere prescritta a chiunque, ma solo a determinate categorie di pazienti, valutandone la storia clinica ed effettuando gli opportuni esami del sangue. Bisogna dunque analizzare i pro e i contro e mettere a punto una terapia sotto controllo medico. Chi si procura il farmaco da sé senza rivolgersi a uno specialista può andare incontro a conseguenze devastanti: da violenti attacchi di vomito all’insufficienza renale, fino ad arrivare alla pancreatite o addirittura al cancro alla tiroide. Come funziona l’Ozempic/ Wegovy? Il principio attivo, semaglutide, fa parte della famiglia degli agonisti GLP-1, che mimano l’azione di un ormone naturale, il «glucagon-like peptide-1». Imitando il comportamento dell’ormone, consente di rallentare lo svuotamento gastrico dopo l’assunzione di cibo e ridurre l’appetito mediante l’invio di segnali di sazietà al cervello. Poiché lo stomaco non si svuota, permane la sensazione di pienezza e si mangia molto meno. Non stupisce, pertanto, che nausea e attacchi di vomito a volte incontrollabili possano essere effetti collaterali frequenti. «Tecnicamente, si verifica una gastro-paresi, con conseguente aumento dell’acidità e del reflusso gastrico», ha precisato Frati.

Se il paziente ha già ulcere allo stomaco o disturbi alimentari come la bulimia, la somministrazione del farmaco pertanto non è consigliabile. Occorre esaminare i valori del sangue e tenere conto dell’età e della storia clinica dell’individuo – oltre a peso e statura dello stesso – e tarare la dose di conseguenza. «Magari si comincia con un dosaggio basso, aumentandolo gradualmente ove necessario, mettendo a punto un piano di inizio, mantenimento e uscita», ha sottolineato il chirurgo, puntualizzando l’importanza di accompagnare alla terapia uno stile di vita sano, riducendo il consumo di alcolici, facendo esercizio fisico e adottando un’alimentazione salubre. «Non ha senso fare la terapia, se poi si ricomincia a mangiare male o ad avere uno stile di vita malsano», ha precisato. Un altro potenziale effetto dell’uso di semaglutide è la cosiddetta «faccia da Ozempic», ossia il volto scavato e visibilmente invecchiato per effetto del rapido dimagrimento dovuto al medicinale. «Ogni perdita di peso in tempi molto brevi causa un eccesso di pelle e perdita di elasticità e compattezza dell’epidermide, soprattutto per quanto riguarda il viso», ha raccontato Frati, raccontando di ricevere molti pazienti solo per questo problema, che interessa in particolare l’area delle

guance e del collo e richiede un trattamento su misura. «La radiofrequenza per ricompattare la pelle, stimolando la produzione di nuovo collagene, il botulino per correggere le rughe e i filler per rimpiazzare la perdita di grasso, sostituendone il volume, sono i rimedi migliori contro la cosiddetta faccia da Ozempic e svolgono insieme un’azione sinergica», ha spiegato lo specialista. Anche l’esposizione ai raggi solari è un fattore aggiuntivo di cedimento

della pelle e dunque chi ha preso molto sole e assume il farmaco, sarà soggetto a un deterioramento della cute ancora più grave. In questi casi può essere necessario ricorrere a misure più drastiche come lifting al viso e al collo. Idem, a seguito del crollo di peso post bypass gastrico. Persino gli interventi chirurgici in anestesia totale possono essere spinosi per chi fa uso di semaglutide, in quanto vanno effettuati a stomaco vuoto altrimenti al risveglio, il paziente rischia

di vomitare con il pericolo che l’acido vada a finire nei polmoni. «Quindi se di norma basta digiunare nelle sei ore antecedenti all’intervento, a chi prende l’Ozempic chiediamo pure di interrompere l’assunzione del farmaco almeno due settimane prima di sottoporsi all’operazione», ha concluso Frati, invitando alla cautela nell’uso spregiudicato di medicinali agonisti GLP-1 che comprendono anche Saxenda e Mounjaro, rispettivamente a base di liraglutide e tirzepatide.

● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 10 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 3
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Barbara Gallino

Salmone affumicato all-rounder

Attualità ◆ Lo squisito alimento non è apprezzato solo durante le festività: anche in estate permette di approntare gustosi piatti all’insegna della freschezza e della leggerezza

Se il salmone fresco in estate è particolarmente apprezzato cotto alla griglia, dal canto suo il salmone affumicato è molto gettonato allorquando si tratta di portare in tavola piatti freddi leggeri ma al contempo nutrienti. Oltre al suo contenuto di acidi grassi omega-3, sostanze che svolgono un effetto positivo sulle funzioni cardiovascolari, sul cervello e sugli occhi, il salmone contiene anche benefiche proteine che aiutano a mantenere la massa muscolare. Oggigiorno il salmone proviene principalmente da allevamenti (60%), mentre il 40% da pesca selvatica. I maggiori produttori di salmone sono Norvegia, Cile e Scozia, mentre per quanto riguarda il salmone selvatico Canada e Alaska.

Il salmone affumicato

Il salmone affumicato è diventato un piatto molto popolare anche da noi e viene ormai gustato durante tutto l’anno. L’affumicatura avviene principalmente in due modi, a caldo e a freddo, con vari tipi di legno. A seconda del metodo e del legno utilizzato, il pesce acquisisce un sapore più forte, rispettivamente più delicato, e una consistenza piuttosto morbida o più corposa. I legni impiegati sono per esempio la quercia, soprattutto in Scozia, l’acero, il faggio, il ciliegio e l’ontano, quest’ultimo particolarmente diffuso in Nordamerica. Il salmone affumicato è talmente versatile che può essere gustato in tantissimi modi diversi. Si abbina alla perfezione a ingredienti come aneto, avocado, limone, formaggio fresco, capperi, cipolle e zenzero. Con il suo gusto unico arricchisce delicatamente pietanze quali insalate, paste, pizza, sandwich, risotti e rappresenta un ingrediente principe nella preparazione del sushi. E che ne direste di un carpaccio di salmone o di una tartare come quella che vi proponiamo in questa pagina? Buon appetito!

La ricetta Tartare di salmone affumicato

Antipasto per 4 persone • 320 g di salmone affumicato

2 scalogni

1 mazzetto d’aneto

3 cucchiai di succo di limone

sale • pepe

¼ di limone

Preparazione

Tritate finemente il salmone. Sbucciate gli scalogni e tritateli. Sciacquate l’aneto, asciugatelo tamponandolo e tritatelo. Mescolate il salmone con gli scalogni e l’aneto. Condite con il succo di limone, sale e pepe. Tagliate il limone a fette e dimezzatele.

Servite la tartare e guarnitela con mezza fetta di limone.

La spesa Migros a casa tua in meno di un’ora

Attualità ◆ Con il servizio di consegna a domicilio Smood fare la spesa online da Migros non è mai stato così semplice

Semplice da utilizzare, ampia scelta di oltre 6000 prodotti Migros, consegna entro un’ora o quando vuoi tu, tracciamento dell’ordine in tempo reale: fare la spesa sul portale Smood per molti è diventata oggi un’apprezzata abitudine nella vita di tutti i giorni. Il supermercato online ti propone non solo apprezzati prodotti Migros ai medesimi prezzi proposti dai negozi, ma anche una selezione di articoli regionali firmati Nostrani del Ticino, una scelta completa di fiori e piante come anche, in collaborazione con Vinarte, numerosi vini, birre e distillati delle migliori etichette.

Il servizio Smood è facile da usare sia tramite l’app mobile sia attraverso il sito web. I metodi di pagamento flessibili permettono di pagare tramite le principali carte di credito oppure Twint. Il servizio è disponibile su gran

parte del territorio ticinese e la consegna a domicilio viene effettuata entro un’ora dall’acquisto oppure secondo le necessità dell’utente. Per coloro che preferiscono ritirare la spesa nella propria filiale Migros, Smood offre anche il servizio Click & Collect.

Per saperne di più smood.ch

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 10 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 4
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Una classica prelibatezza valtellinese

Attualità ◆ La bresaola è una specialità che non può mai mancare in un tagliere misto di aromatici salumi Questa settimana potete approfittare della promozione speciale sulla bresaola Beretta, un prodotto d’eccellenza realizzato con uno dei tagli bovini più ricercati: la punta d’anca

Si ritiene che la bresaola sia conosciuta già dal 1400. Nata con lo scopo di favorire la conservazione della carne per lunghi periodi, le sue origini sono da collocare nel Nord Italia, nella fattispecie in Valtellina e Valchiavenna. Fino alla fine dell’Ottocento veniva prevalentemente prodotta per soddisfare i bisogni familiari, ma nel corso del secolo successivo si diffuse prima nel resto della Lombardia e poi in tutta Italia. Oggi la bresaola è ormai diventata una prelibatezza italiana conosciuta e apprezzata in tutto il mondo.

Rispetto alla maggior parte dei salumi, che sono a base di carne suina, la bresaola è prodotta con carne bovina. Uno dei tagli più pregiati utilizzati è costituito dalla punta d’anca, che è ottenuta dalla coscia dell’animale. Questa particolarità permette di ottenere un prodotto finito inconfondibilmente fragrante, dalla caratteristica striatura di grasso e con un bel colore rosso brillante. Una volta accuratamente selezionata, la carne viene lasciata riposare per due settimane in una miscela segreta di spezie e sale, in modo che possa acquisire tutti i suoi aromi. Dopo essere stata insaccata in un budello naturale, la bresaola viene quindi posta a stagionare in appositi locali, per un minimo di quattro settimane.

La bresaola conquista i palati non solo per il suo aroma delicato, ma anche per il suo contenuto ridotto di grassi e la ricchezza di proteine. Uno dei più classici piatti è costituto dal carpaccio di bresaola, un gustoso antipasto condito con un filo d’olio, un goccio di limone e guarnito con scaglie di parmigiano e qualche foglia di rucola. Un’altra bontà sono gli involtini di bresaola farciti con formaggio fresco o verdure. Tagliata a striscioline, la bresaola di presta bene anche per dare quel tocco di gusto in più a paste e risotti.

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Fa capolino la zecca «gigante»?

Mondoanimale ◆ Con la stagione calda, si riaccende il tema della globalizzazione della fauna non autoctona

Si è subito diffusa, a inizio maggio, la notizia del ricovero in Spagna (nella provincia di Salamanca) di un anziano che ha contratto la febbre emorragica Crimea-Congo dopo essere stato morso da una zecca Hyalomma martinatum. È una specie di zecca che trasporta un virus mortale per l’uomo, e che in realtà si trova solo in Africa, in Europa sud-orientale e in Asia, benché si stia delineando la sua diffusione nel resto d’Europa. E in effetti, di norma i casi si verificano non oltre il Canale della Manica. A proposito della sua progressiva diffusione, la ragione addotta dal «National Geographic» risale al cambiamento dei modelli di migrazione degli uccelli e al trasporto degli animali.

La letalità della sua puntura può raggiungere il 40%, ma il fatto che essa punga solitamente dopo uno o due giorni, suggerisce che bisogna controllare sempre il proprio corpo dopo essere stati in zone pericolose, come d’altra parte si dovrebbe sempre comunque fare quando si passeggia nei nostri boschi per via delle zecche autoctone.

I sintomi della puntura di questa pericolosa zecca, indicati dall’Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp), si manifestano improvvisamente e sono «febbre alta, brividi, vomito, mal di testa, dolori alla nuca o alla schiena, dolori muscolari, vertigini, sensibilità alla luce, a cui fanno seguito

una fase di variazioni di umore e un periodo di sonnolenza». L’infezione potrebbe degenerare in forma grave e con conseguenze su fegato, milza e reni, insieme a sanguinamenti (da qui il suo nome), mentre non esiste ancora una terapia specifica.

È rassicurante, però, sapere che in Svizzera la presenza di questa zecca non è ancora stata rilevata in modo sistematico. Rasserenano pure le indicazioni dell’Ufsp: «Almeno fino alla fine del 2023, nessun caso di febbre Crimea-Congo è stato rilevato su territorio elvetico. Pertanto, le autorità valutano come “estremamente basso” il rischio di infezione in questo Paese».

Resta che a stagione delle zecche appena iniziata, i casi di malattie trasmesse dalla specie autoctona di questo animaletto delle dimensioni di pochi millimetri sono in aumento, mentre i cantoni Ginevra e Ticino restano gli unici esclusi dalle cosiddette zone a rischio.

Si tratta di patologie infettive che progrediscono spesso con sintomi lievi o addirittura senza alcun sintomo, e in casi rari il virus può causare gravi malattie del sistema nervoso centrale come meningite o encefalite. Premesso che il periodo in cui le zecche sono particolarmente attive inizia col mese di marzo e termina circa a ottobre, a seconda delle condizioni meteorologiche, in modo specifico negli

ultimi cinque anni l’Ufsp ha osservato un aumento dell’incidenza annuale di casi di meningoencefalite primaverile-estiva (Fsme), una delle tre patologie con cui l’essere umano punto da una zecca potrebbe dover fare i conti. In Svizzera, le altre malattie infettive significative trasmesse dalle zecche sono soprattutto la borreliosi, e più raramente l’anaplasmosi, la rickettsiosi, la babesiosi, la neo-ehrlichiosi o la tularemia. Per evitare di farsi morsicare da una zecca, bisogna innanzitutto conoscere di cosa stiamo parlando e l’Ufsp così riassume la na-

tura di questo artropode appartenente all’ordine degli Ixodidi compreso nella classe degli Aracnidi (per intenderci, la stessa di ragni, acari e scorpioni): «Il tipo di zecca più diffuso in Svizzera è la comune zecca dei boschi (Ixodes ricinus). Presente fino a un’altitudine di circa duemila metri, è attiva soprattutto fra marzo e novembre e può essere portatrice dell’agente patogeno della borreliosi (ndr: malattia di Lyme) o della meningoencefalite primaverile-estiva, così come di altri agenti patogeni meno noti. Oltre a quella dei boschi, vi sono altri tipi

di zecche che fungono pure da vettore delle malattie: quelle della specie Dermacentor trasmettono i batteri Rickettsia o Francisella». Dal canto suo, Peter Fluder (responsabile della comunicazione della Fondazione Agrisano istituita dall’Unione Svizzera dei Contadini) ne definisce l’habitat: «Contrariamente a quanto si crede, le zecche non cadono dagli alberi e vivono invece nella vegetazione bassa, a terra, nel sottobosco, nella sterpaglia e nei prati». Dunque, che si sia protetti dalla vaccinazione o no: «Per prevenire il pericolo di essere morsicati si raccomanda di indossare abiti e scarpe chiuse e di usare un repellente per zecche». Semplici consigli che, insieme all’invito di usare, durante le passeggiate nei boschi, indumenti adeguati come pantaloni lunghi e via dicendo, precedono l’interessante presentazione di un’applicazione da scaricare sul telefonino che permette di conoscere meglio questo animaletto e dà consigli utili: https://zecke-tique-tick.ch/ it/ (App «Zecca»); qui si trova anche una fotografia della zecca dei boschi e viene spiegato come rimuoverla con le pinzette appuntite alle estremità che permettono di afferrarla molto vicino alla pelle, a livello della testa (rostro) così da estrarla intera. Infine, l’immagine dei suoi tre stadi di sviluppo mostra la sua crescita, e ci permette di riconoscerla facilmente.

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P lastica? Assieme ricicliaMone

Sostenibilità ◆ Migros ha sviluppato un proprio sistema che migliora ulteriormente il bilancio ecologico, abbassa i costi e ottimizza i

È risaputo che dal 1° giugno dello scorso anno tutti i comuni ticinesi hanno l’obbligo di raccogliere separatamente le plastiche in polipropilene (PP) e polietilene (PE), due tipi di plastica che prima finivano nei rifiuti solidi urbani, oppure in alcuni centri di raccolta «facoltativi». L’obbligo in vigore dimostra che PP e PE, così come avviene da diversi anni per il PET, si prestano, da un profilo tecnico, ambientale ma anche economico, a essere riciclati.

Ogni giorno, a Riva San Vitale, vengono separati 60-70 quintali di materiali plastici, recuperandone il 70% che sarà usato per la creazione di nuovi prodotti

Le nuove direttive emanate dalla Sezione della protezione dell’aria, dell’acqua e del suolo del Dipartimento del territorio (maggio 2023) hanno obbligato i comuni a trovare delle valide alternative, laddove questa raccolta separata non era ancora stata attuata. La normativa stabilisce anche che tutte le operazioni e l’impianto nel suo insieme devono essere conformi allo stato della tecnica per la raccolta, la separazione, la triturazione e il seguente lavaggio, così come per la creazione di nuovi prodotti (da triturato o da granulo). Pure lo smaltimento degli scarti deve avvenire in modo da garantire la completa sostenibilità ambientale e la regola oggi vuole che sia effettuato presso

l’Azienda cantonale dei rifiuti (Acr). Di fronte a questa necessità, in Capriasca s’è optato per il sistema proposto da Migros Ticino al fine di ottemperare alle nuove disposizioni.

A partire da gennaio 2024, infatti, è stata introdotta la raccolta di plastiche miste e tetrapak, grazie alla collaborazione tra il Comune e la Cooperativa regionale Migros Ticino, promo-

trice del progetto, ideato da Migros a livello nazionale (già presente nelle Cooperative di Zurigo, Lucerna, Vaud, Neuchâtel-Friborgo e Aare).

Un sistema che ha convinto anche

Il gelato Crème d’Or è più sostenibile

Di recente la confezione dei gelati Crème d’Or di Migros è stata modificata: è monocromatica ed è composta da un solo tipo di plastica, il polipropilene (PP). Un cambiamento che garantisce degli indubbi vantaggi per l’ambiente, sia a livello di produzione, sia a livello di riciclo.

In precedenza, essendo realizzati in parte in polistirolo e l’etichetta in polipropilene, gli imballaggi non si potevano riciclare; ora invece possono essere raccolti e recuperati adeguatamente, per esempio con l’apposito sacco per la plastica della Migros.

Il processo di riciclaggio per le confezioni in polipropilene, come queste dei gelati Crème d’Or, avviene tramite processi chimici, grazie ai quali il materiale viene ritrasformato nei suoi componenti per produrre plastica e creare nuove confezioni.

Progettato e affinato da Delica, una delle industrie di Migros, il processo è, sì, dispendioso, ma genera comunque meno emissioni di CO2 rispetto all’incenerimento, contribuendo nel contempo a risparmiare energia e il petrolio necessari

per la produzione di nuova plastica. Il polipropilene attualmente usato può inoltre essere ridotto in fogli più sottili, permettendo la creazione di confezioni più piccole, con coperchi più esili e risparmiando pertanto materiale. Le nuove confezioni di gelato, che si trovano da aprile nei negozi Migros, sono già realizzate con una percentuale di plastica riciclata, proveniente principalmente dalle pellicole dei grandi magazzini utilizzate ad esempio per avvolgere i prodotti sulle «palette».

Cosa si raccoglie e cosa no

Le materie plastiche, come indicato anche nella scheda informativa correlata al sacco di Migros, sono costituite da polimeri miscelati con svariate sostanze ausiliarie. Il loro uso è ampio e le troviamo negli imballaggi (in media 33%), nell’edilizia e genio civile (25%), in apparecchi elettrici ed elettronici (25%) e in altri prodotti (17%). Per classificarle è in uso un sistema che distingue le varie tipologie con una sigla e un numero indicato den-

Val Mara (seguito poi da altri Comuni) che, pur avendo già un diverso sistema di raccolta, vi ha aderito. Da inizio anno, presso le due filiali Migros di Tesserete e Melano, è quindi

tro e sotto un triangolo. Il numero uno è per esempio per PET, il tre per il PVC, mentre il due e il quattro sono per due tipi di PE. Con queste plastiche sono costituti borse e sacchetti, pellicole, imballaggi, vasetti, vaschette o confezioni, nonché bottiglie o flaconi di plastica. Tutti prodotti che, se non eccessivamente sporchi con residui del loro contenuto, vanno quindi separati e messi nel sacco di raccolta delle plastiche di Migros, assieme al tetrapak (utilizzato, per esempio, per alcuni tipi di involucri per il latte), il quale verrà separato dalle plastiche in fase di riciclaggio.

Non vanno invece raccolte nel sacco Migros gli elettrodomestici, il polistirolo (il «sagex»), il PET, i giocattoli in plastica e tutte le confezioni con ancora un contenuto. Tutti questi materiali trovano un loro canale di raccolta e riciclaggio separato. Rimane sempre possibile, presso tutte le filiali di Migros Ticino (nelle pareti del riciclaggio), il sistema di raccolta già in atto da diversi anni che permette di consegnare gratuitamente presso i punti vendita i flaconi di plastica vuoti, oltre a batterie, lampadine, PET, capsule d’alluminio e molti altri rifiuti domestici.

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Luigi Maggiotto, gerente della filiale di Tesserete, Francesco Canonica, Sindaco di Capriasca, e Mathieu Moggi, Capo dicastero territorio e ambiente di Capriasca. (Vincenzo Cammarata) Elia Stampanoni

un sacco!

trasporti dell’intero processo di recupero

possibile acquistare gli appositi sacchi che, una volta riempiti, sono da riconsegnare direttamente presso il supermercato Migros coinvolto (vedi riquadro).

Le plastiche non finiscono pertanto nei rifiuti solidi urbani, ma ottengono una seconda opportunità di «vita», prendendo la via del riciclaggio. Questo avviene presso una ditta specializzata a Riva San Vitale, dove i sacchi vengono trasportati sfruttando anche i camion Migros di ultima generazione, che in precedenza tornavano dalle filiali in parte senza carico, come ci conferma Romeo Gianinazzi, responsabile del progetto per Migros Ticino assieme a Miranda

Etienne Busacchi: «I camion che forniscono le filiali con la merce ritornano alla centrale carichi di contenitori vuoti riutilizzabili e rifiuti, tra cui anche i sacchi con le plastiche, senza quindi generare trasporti supplementari. Dalla centrale, le plastiche prendono poi la via per l’impianto di riciclaggio».

Da inizio anno è possibile acquistare gli appositi sacchi di raccolta plastiche presso le due filiali Migros di Tesserete e Melano

La seconda vita delle plastiche

Ma quali sono, quindi, il destino e il percorso delle innumerevoli plastiche che ogni giorno vengono utilizzate e che ora possono essere gettate negli appositi sacchi? La F.lli Puricelli SA di Riva San Vitale, pur trattando anche altre tipologie di rifiuti (come carta, cartone, metalli o vetro), si è specializzata proprio nelle plastiche oggetto del cambiamento avvenuto a livello cantonale e, già oggi, lavora ogni anno oltre 1500 tonnellate di materiale plastico, proveniente da circa cento comuni ticinesi, «anche grazie ai contenitori appositi disponibili sul territorio, che sono una frequente e valida alternativa al citato sacco per le plastiche», specifica Aron Puricelli, membro di direzione dell’azienda.

Ogni giorno vengono così separati 60-70 quintali di materiali plastici (recuperandone il 70%) che verranno usati per la creazione di nuovi prodotti. Il restante 30% circa, costituito da rifiuti residui, arriva invece all’impianto di termovalorizzazione di Giubiasco. Il tutto, sempre in un contesto in cui si cerca di ottimizzare i trasporti e, di conseguenza, abbassare i costi e migliorare ulteriormente il bilancio ecologico dell’intero proces-

so di riciclaggio, che rimane il fattore determinante.

Separare per tipologia

Installato nel 2021, l’impianto di Riva San Vitale consente di selezionare per tipologia i diversi polimeri (le differenti plastiche), grazie a innovativi sistemi automatizzati e a operatori specializzati. Nel 2023 l’azienda ha poi completato la filiera del riciclaggio con la messa in funzione del macchinario di lavaggio e granulazione che, unico nel suo genere in Ticino, permette di ottenere un prodotto finale pronto per la successiva lavorazione.

Il completamento della struttura ha rilanciato anche il progetto di Migros Ticino, che ha così potuto portare a sud delle Alpi un concetto già attuale in diversi cantoni elvetici, come ci conferma Miranda Etienne Busacchi: «Esatto, nel corso del 2023 abbiamo rilanciato il progetto e abbiamo trovato in Capriasca e Val Mara i primi due Comuni interessati, che hanno aderito a partire dal 2024. In seguito, si sono aggiunti anche Savosa, Paradiso e Maggia, tre comuni che, pur avendo già dei sistemi di raccolta come Val Mara, hanno voluto implementare sul loro territorio anche il sacco di Migros».

Il macchinario di Riva San Vitale è dotato di una serie di differenti tipi di selettori come vagli, magneti, separatori di flusso o selettori ottici che, sfruttando le caratteristiche fisiche dei rifiuti e della plastica, permette di dividere fino a sette tipi di plastica (oltre che allontanare i rifiuti «estranei»). Un importante tassello è pure garantito dai due punti di controllo manuali dove i dipendenti verificano (e semmai correggono) che vengano smistati sulla linea corretta. Infatti, per essere riciclata e riutilizzata, la plastica deve innanzitutto essere separata per qualità, dopodiché viene triturata e lavata.

I generi di plastica o le sue miscele –come per esempio il «PE-PP Mix» (un miscuglio di polietilene e polipropilene), – sono così pronte per essere cedute ad altre aziende e generare dei nuovi prodotti in plastica riciclata. «I granulati vengono per ora venduti prevalentemente a ditte attive sul territorio cantonale per l’elaborazione di confezioni a scopo non alimentare, ma si sta pure valutando l’opzione di chiudere ulteriormente il ciclo, ritornando il granulato alle Industrie Migros e poi produrre nuovi imballaggi plastici per prodotti a marca propria», conclude Puricelli.

Maggiori informazioni su migros.ch/plastica

Un gesto per la sostenibilità

Dal 2021 la Migros sta ampliando progressivamente il riciclaggio della plastica nelle sue filiali e attualmente in tutta la Svizzera sono circa 140 i luoghi in cui è già possibile consegnarla con l’aiuto dei sacchi di raccolta. Dal 2024, come detto, anche le prime filiali ticinesi hanno potuto aderire e si pensa che altre possano seguire, come ci conferma Miranda Etienne Busacchi: «Abbiamo inviato una lettera a tutti i comuni ticinesi in cui abbiamo una filiale Migros per verificare il loro interesse e, in caso affermativo, saremo felici di instaurare questa collaborazione anche con loro».

Un progetto in cui Migros ha investito molte risorse, consapevole dei suoi benefici: «Questo riciclaggio permette di chiudere un ciclo tramite il concetto di economia circolare, di incrementare l’uso di plastiche riciclate (rPlastic), di sfruttare la logistica per i trasporti e anche di informare i clienti sulle opportunità», conclude Miranda Etienne Busacchi.

L’acquisto e l’utilizzo del sacco per la plastica di Migros va infatti visto come un gesto sostenibile, ulteriormente comprovato dall’associazione Riciclatori della plastica svizzeri, la quale certifica che la raccolta e il riciclo avvengano in modo accorto e nel rispetto delle relative esigenze qualitative.

A Tesserete e Melano il sacco piace

Ma come ha reagito la clientela al progetto di Migros Ticino? Molto bene se si considerano i riscontri e i primi dati sulle quantità raccolte che, solo per Tesserete, ammontano a 20 kg giornalieri di plastica: «Il cassonetto dobbiamo svuotarlo da una a due volte al giorno, a dimostrazione del successo di questa iniziativa, che ha trovato un ottimo riscontro nella popolazione, disposta a spendere un po’ di più per smaltire nel modo migliore questi rifiuti; un gesto a favore dell’ambiente insomma. La praticità del fatto che il cittadino possa fare la spesa e allo stesso tempo riportare i sacchi pieni, gioca anche a favore del progetto», racconta il gerente Luigi Maggiotto.

Nei primi quattro mesi, da gennaio ad aprile, sono stati venduti quasi 4200 sacchi delle varie misure (17, 35 o 60 litri), che possono essere depositati nei pressi della filiale durante gli orari di apertura. Un avvio che soddisfa quindi il gerente: «Sì, tutti i nostri dipendenti sono stati formati e

sono in grado di fornire le necessarie istruzioni ai clienti, che inizialmente avevano molte domande, mentre ora il sistema sembra essere stato assimilato e contribuisce al “benessere” ambientale», conclude Maggiotto.

Alla filiale di Melano

Presso la filiale di Melano il progetto è iniziato qualche settimana dopo rispetto a Tesserete, ma sono già stati raccolti diversi sacchi, consegnati da parte dei clienti che hanno approfittato di quest’iniziativa, come racconta il gerente Alessandro Galizia: «Notiamo una tendenza che indica un allargamento costante della percentuale di clientela interessata, con sacchi riempiti correttamente e senza problemi logistici o di altro tipo». Delle buone prospettive per Melano e la Val Mara, dove inoltre, a differenza di Tesserete, era in precedenza già possibile eliminare la plastica presso l’ecocentro: «Esatto, probabilmente anche per questo, all’avvio del progetto non abbiamo assistito a un boom di adesioni da parte della clientela, ma una parte trova molto comodo poter smaltire la plastica mentre fa la spesa, senza dovere raggiungere appositamente l’ecocentro. Inoltre, cerchiamo d’illustrare ai consumatori interessati che il costo dei sacchi viene principalmente investito nello sviluppo e messa in atto del progetto stesso, spiegando anche i vantaggi del riciclaggio dal punto di vista ecologico», conclude Galizia.

tanti, è stato il primo Comune ad aderire al progetto e la scelta s’è rilevata ideale, come spiegano Sandro Pagnamenta e Giuliano Frapolli dell’Ufficio Tecnico: «Inizialmente avevamo valutato anche altre possibilità, ma l’opzione di Migros s’è rilevata la migliore, sia dal punto di vista economico, dato che non abbiamo dovuto investire in infrastrutture, sia da quello ambientale, poiché l’intero processo avviene in Ticino (sfruttando tra l’altro i veicoli che già si spostano per rifornire i negozi), assecondando le direttive poste dal Cantone». Il sistema adottato consente alla popolazione d’optare per uno smaltimento facile ed ecologico: «La collaborazione con Migros e l’attuazione del sistema sono stati per noi semplici ed efficaci, permettendoci di aderire in tempi brevi e garantendo un servizio di qualità che ci soddisfa ed è certificato», conclude Pagnamenta.

In Val Mara il sacco è un’opzione in più

Il Comune di Val Mara, avendo invece già un sistema per la raccolta differenziata della plastica negli ecocentri comunali, è stato un ottimo precursore e ha fornito l’occasione per sperimentare il metodo anche in questo contesto, come racconta Georgia Ghidoni, a capo del dicastero Protezione ambiente e che ha seguito il progetto sin dall’inizio, da settembre del 2023: «Abbiamo accolto molto favorevolmente la proposta d’introdurre un altro punto di raccolta, nonché un metodo alternativo, anche perché il nostro comune è assai sensibile alle politiche ambientali, dimostrando una forte volontà e impegno nel promuovere e attuare misure volte alla protezione e alla gestione sostenibile dell’ambiente».

Val Mara, con i suoi circa 3mila abitanti, è infatti costantemente impegnato nell’implementazione di politiche per la gestione dei rifiuti che favoriscano il riciclo, il compostaggio e la riduzione della produzione dei rifiuti. Il progetto del sacco di Migros ha quindi trovato «terreno fertile» nel Comune, istituito nell’aprile del 2022 in seguito all’aggregazione di Maroggia, Melano e Rovio: «Riteniamo che il servizio di Migros sia un valore aggiunto per il cittadino che può ottimizzare il suo tempo: mentre si reca al negozio può smaltire in modo corretto e sostenibile la propria plastica», conclude Ghidoni.

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Capriasca
La scelta di
Capriasca, con i suoi circa 6800 abi-
Georgia Ghidoni, a capo del dicastero Protezione ambiente del Comune di Val Mara, e Filipa Dos Santos Ramos, venditrice presso la filiale Migros di Melano. (Vincenzo Cammarata)

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Giovanna ha troppi debiti, e tu?

Prevenzione ◆ Uno spettacolo di teatro-forum della compagnia UHT e un nuovo opuscolo del DSS sensibilizzano sul problema dell’indebitamento eccessivo e spingono a riflettere sull’uso del denaro

Cosa succede quando il nostro equilibrio finanziario vacilla? Come evitare di finire in una spirale di indebitamento eccessivo? Come aiutare chi si ritrova in queste situazioni? Riflettere sul rapporto con il denaro, soprattutto in tempi difficili come quelli attuali con un aumento generalizzato delle spese, è più che mai utile, ma non sempre facile. L’argomento è ancora considerato di natura privata per cui le occasioni di confronto sono limitate. Un nuovo approccio a livello di sensibilizzazione è offerto dallo spettacolo di teatro-forum Il resto… manca, promosso dalla Sezione del sostegno sociale del Dipartimento della sanità e della socialità. Destinato a un pubblico eterogeneo, permette di riflettere in modo coinvolgente su azioni e conseguenze legate all’uso del denaro. Gli spettatori partecipano infatti direttamente all’evoluzione della storia messa in scena da UHT, compagnia specializzata nel teatro-forum. I suoi membri hanno concepito lo spettacolo in collaborazione con gli enti e le istituzioni da anni impegnati nella prevenzione. Prevenzione che passa anche da un nuovo opuscolo con suggerimenti ed esempi concreti. In fase di ultimazione per conto del Dipartimento, è intitolato Passo, avanzo, raddoppio. Mosse vincenti per gestire il budget di casa. Giovanna conduce una vita normale come tante altre donne, lavorando e soddisfando i desideri alla sua portata. Un evento fortunato quale è un anticipo di eredità da parte di una zia la induce a decisioni che si riveleranno però problematiche quando improvvisamente perderà il lavoro. Nei brevi accenni alla storia della protagonista dello spettacolo è racchiusa la maggior parte degli elementi che sovente accomunano chi si ritrova sommerso dai debiti e sui quali si vuole richiamare l’attenzione del pubblico. Sara Duric, coordinatrice delle misure cantonali di prevenzione all’indebitamento eccessivo, evidenzia al riguardo l’iniziale

Chiara Lorenzoni Il fantasma della miniera, illustrazioni di Martina Brancato Il Castoro (Da 7 anni)

Freschezza, brio, amabilità. Se fossi Astrid, una dei ragazzini protagonisti, con il suo grande amore per le parole e i loro suoni, scriverei nel quadernetto queste tre, perché si attagliano alla grazia di questo mini romanzo. L’ho chiamato così solo perché «Mini Romanzi» si chiama la collana in cui esce, caratterizzata da testi per chi sta cominciando ad affrontare la lettura autonoma, quindi brevi, agili, con tante illustrazioni e un font ad alta leggibilità. Ma il prefissoide (altra bella parola!) mini non è in alcun modo da intendere con accezione riduttiva, anzi: è molto difficile scrivere un bel «mini romanzo», che non sacrifichi la scrittura alla brevità, l’interesse dell’intreccio alla comprensibilità, la vividezza delle emozioni alla semplicità. Chiara Lorenzoni (che avevamo già apprezzato per altre sue storie con misteri adatte ai primi lettori, come Zeffirina dove sei?, o, per ragazzini appena un po’ più grandi,

situazione stabile di Giovanna, personaggio nel quale non è pertanto difficile identificarsi. «La storia – aggiunge la collaboratrice scientifica della Sezione del sostegno sociale – mostra le criticità delle fasi di transizione, in questo caso la perdita del lavoro. Un altro aspetto importante è rappresentato dalla necessità di sempre prevedere alcune riserve per far fronte agli imprevisti».

Sfruttando il potenziale di uno strumento come il teatro e in particolare il teatro-forum, basato sulla partecipazione attiva del pubblico, il DSS prosegue, innovandola e aggiornandola, l’azione di sensibilizzazione sull’importanza di una sana gestione delle proprie finanze. I rischi sono affrontati tenendo conto dell’evoluzione legata agli acquisti digitali. Sara Duric: «Ciò che proponiamo oggi è il frutto di un’esperienza maturata in un decennio. Dal 2014 a fine 2018 abbiamo lavorato con i Comuni e le organizzazioni presenti sul territorio con l’obiettivo di coordinare, ottimizzandole, le attività di prevenzione e consulenza già in atto. Dopo questa prima fase si è deciso di puntare sulle misure più efficaci che sono state strutturate in tre categorie: sensibilizzazione, formazione e consulenza specializzata. Occorre infatti rendere consapevoli di rischi e conseguenze i diversi gruppi di popolazione, offrire agli operatori sociali e ad altri professionisti gli strumenti adeguati per agire a livello preventivo e assicurare un’assistenza mirata a chi già si trova in situazione di indebitamento eccessivo».

Prosegue la nostra interlocutrice: «In questi dieci anni sono apparse nuove forme di consumo legate ai mezzi digitali che offrono pure opportunità di investimento. È quindi necessario promuovere l’adeguamento delle competenze finanziarie attraverso forme di sensibilizzazione aggiornate. Per questo motivo si è deciso di pubblicare la guida Passo, avanti, raddoppio. Mosse vincenti per gestire il

budget di casa che offre suggerimenti pratici accessibili a tutti. Il percorso, suddiviso in dieci capitoli dedicati ad altrettanti temi, è arricchito da esempi legati alla vita quotidiana e da spunti di approfondimento». Concepito come vademecum per favorire anche una consultazione puntuale a dipendenza delle necessità, l’opuscolo è un adattamento del testo pubblicato dalla Città di Lugano nel 2016. Sarà distribuito ai partecipanti dello spettacolo Il resto… manca e reso disponibile nei contesti legati alla prevenzione.

Le rappresentazioni tenute finora hanno riscosso un buon successo. La prima pubblica è avvenuta lo scorso aprile a Bellinzona in occasione dei festeggiamenti per il 50esimo anniversario dell’Associazione delle consumatrici e dei consumatori della Svizzera italiana (ACSI) – fra i partner dei progetti cantonali di prevenzione e sensibilizzazione – seguita di recente da una destinata agli allievi del Centro professionale di Locarno. «Abbiamo constatato che il pubblico si esprime volentieri, immedesimandosi nei vari protagonisti», afferma Sara Duric. «I presenti portano le proprie esperienze e le proprie competenze, come ave-

va già dimostrato una prova effettuata in autunno utilizzando lo spettacolo quale strumento formativo per collaboratori del sostegno sociale e impiegati amministrativi. Pure questi ultimi si devono a volte confrontare con persone indebitate alle quali, grazie a questo tipo di formazione, possono fornire consigli pertinenti».

A fare da tramite fra il pubblico e gli attori della compagnia UHT coinvolti in questo spettacolo, della durata di circa un’ora e mezza, è Prisca Mornaghini, sul palco con Alessandra Ardia, Antonello Cecchinato, e Gaby Lüthi. La regia è di Sissy Lou Mordasini, formata al metodo teatro-forum a Parigi e con la quale nel 2009 alcuni animatori e attori dell’Associazione Giullari di Gulliver hanno iniziato a collaborare dando vita alla nuova compagnia, prima in Ticino a specializzarsi in questa forma teatrale. Gli attori sono tutti professionisti attivi anche in ambito socio-educativo e sanitario. «Uno dei principi del teatro-forum – spiega Prisca Mornaghini – è il non giudizio. Ognuno è libero di offrire il proprio suggerimento su come dovrebbero comportarsi i personaggi, a volte anche in contrasto con

il fine ultimo dello spettacolo. Sta a noi attori approfondirlo e trasformarlo in spunto di riflessione. Ogni volta va quindi in scena una rappresentazione diversa che permette ai presenti di mettersi nei panni dei protagonisti. Il pubblico con i suoi interventi si rende conto di quanto sia difficile da un lato offrire un aiuto e dall’altro riceverlo, evidenziato grazie a un confronto immediato con la reazione del personaggio che magari si comporta in modo differente da quanto ci si aspetta. L’obiettivo è di trarre dalla situazione specifica della rappresentazione una riflessione comune di carattere generale».

Essendo adatto a diversi gruppi di destinatari, lo spettacolo ha già suscitato interesse da più parti, come conferma Sara Duric. «Siamo all’inizio e procederemo accompagnando le rappresentazioni per almeno un anno in modo da assicurare risposte appropriate agli interrogativi del pubblico. In autunno sono in calendario diverse date. Le richieste sono giunte da un’associazione attiva con persone in età di pensionamento e da un Comune che desidera proporre Il resto… manca durante la festa dedicata ai diciottenni. Ciò significa che l’iniziativa è apprezzata proprio in relazione alle fasce di popolazione ritenute più a rischio. In generale va ribadito che può capitare a tutti di doversi confrontare con un problema di indebitamento eccessivo, tuttavia ci sono fasi della vita che presentano maggiori difficoltà nella gestione finanziaria personale. I giovani che diventano indipendenti uscendo dal nucleo familiare e i neopensionati che vedono cambiare la loro situazione sono fra i gruppi che riteniamo possano beneficiare di una sensibilizzazione sul tema del sovraindebitamento, così come chi perde il lavoro o è confrontato con altre situazioni di crisi».

Informazioni www.ti.ch/ilrestomanca

I misteri del Circo Trepidini, editi da Pelledoca) ci riesce con naturalezza, senza compiacimenti, grazie all’eleganza della scrittura. Sin dall’incipit, che immediatamente, senza perdersi in pesantezze descrittive, mette in scena i personaggi, l’ambientazione, il clima narrativo, con uno stile vivace e verosimile, che fa parlare i tre bambini – Ruggero, Giovanna e Astrid, due fratelli e una cugina – lì, nel cortile della casa dei nonni, d’estate, tra un gatto e una lucertola a lui scampata. E subito siamo lì anche noi, subito conosciamo caratteri e peculiarità dei tre bambini, subito siamo dentro l’avventura. Un’av-

ventura che porta i tre ad esplorare, di notte, la miniera di talco, dove il nonno, come un tempo tutti gli uomini della valle, aveva lavorato. Parlando di miniera, qualche nota più profonda si mescola alle note gaie del testo, quando lo sguardo del nonno si fa amaro, e i suoi pensieri si perdono nei ricordi, mentre stringe, sotto la maglia, la medaglietta di santa Barbara, patrona dei minatori. C’era stato un incidente, tanti anni prima, quattro minatori erano rimasti feriti e uno di loro, un amico del nonno, aveva perso una gamba. Ma tutti e quattro, al risveglio, avevano raccontato di essere stati salvati da un misterioso minatore mai visto prima, con «gli occhi azzurri come l’acqua di torrente». I tre bambini, eludendo con uno stratagemma la sorveglianza degli adulti, inforcheranno le biciclette per recarsi, di notte, alla miniera, alla ricerca del fantasma. Troveranno qualcos’altro, di altrettanto emozionante, ma non è detto che il fantasma non ci sia, perché nel finale – come in ogni romanzo con spiragli verso l’Altrove che si rispetti – un dettaglio da quel mondo farà comunque capolino.

Camille Romanetto

Il riposino

Logos Edizioni (Da 2 anni)

Sono tanti gli albi sulla nanna, ma più rara è una storia sul «riposino», la «sieste» del titolo originale, che segna il debutto anche come autrice della giovane illustratrice francese Camille Romanetto. Il riposino è un momento interessante narrativamente, perché segna, più della notte, una pausa nell’attività della giornata, quasi un’epochè, una sospensione dal tempo vigile e un abbandonarsi momentaneo al sogno. La piccola Vannina viene messa a letto da un adulto (forse la mam-

ma, di cui intravediamo solo le mani che le rimboccano le coperte), chiude gli occhi, e la magia ha inizio. Un muso appuntito fa capolino dalle coperte (come accadeva in un bel libro di Cecco Mariniello, ora purtroppo fuori catalogo, La tana in fondo al letto): qui è Fillo, un buffo animaletto che invita Vannina a infilarsi sotto e a seguirlo «dall’altra parte», dove sbucheranno a casa sua. E qui la scena è avvolgente di calore e di dolcezza: c’è profumo di caminetto e di cannella, e la tavola è imbandita con la torta di noci e la cioccolata calda preparate da Fillo. A poco a poco altri amici (tutti animali teneri e surreali) busseranno alla porta infreddoliti, e Fillo li accoglierà alla sua tavola per condividere la merenda con lui e Vannina. Questa dolce sospensione dal tempo durerà fino al «risveglio» di Vannina, che ritroveremo nel suo lettino con tutti i peluche dalle sembianze di Fillo e degli altri amici. Gli acquerelli delicati e teneri di Camille Romanetto fanno anche della lettura di questo libro una confortante sospensione dal tempo, onirica certo, ma non per questo meno reale, perché Vannina forse sogna ma al contempo fa davvero merenda con i suoi pupazzi.

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Viale dei ciliegi
di Letizia Bolzani Un momento dello spettacolo di teatro-forum Il resto… manca.
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Bridget, la strega di Salem

Difficile fare una valutazione certa: alcune fonti parlano addirittura di centomila casi di accuse di stregoneria portate all’attenzione dell’autorità giudiziaria. Un calcolo più realistico recente (2017) sostiene che almeno 16’000 persone siano morte giustiziate o in detenzione nella sola Europa. Donne e uomini sono distribuiti equamente fra le fonti di accusa, con una maggioranza di donne – proporzionalmente prevalenti quelle di classe medio-bassa – fra gli accusati. Come reiterato più di una volta dall’Altropologo in questa rubrica, la caccia alle streghe è un fenomeno dell’Età Moderna, e non un rigurgito del Medioevo, come comunemente s’intende. Nel 643 il Re Longobardo Rotari sanciva la messa a morte di coloro che avessero accusato «una donna di condizione servile» (aldia) poiché – scriveva nel suo codice di leggi – «è ripugnante ad una mente cristiana pensare che una donna possa rendere

impotente un uomo con mezzi magici»: e qui, se vogliamo, sta l’intero nocciolo della stregoneria. Costoro erano rei di causare panico e disordini sociali presso una popolazione prona a credere nelle attività diaboliche condotte per mezzo della stregoneria, ma per lunghi secoli la Chiesa aveva condannato tali credenze – e pratiche – come risibili superstizioni «da vecchiette» (vetulae): così, fra tanti, il grande Burcardo di Worms. Le cose cambiarono radicalmente nel contesto e come conseguenza di medio-lungo periodo delle crociate contro i Catari (1209-1229).

A partire dalla Riforma inizia un’escalation culminata nei primi decenni del 1600 (6000 casi) per poi velocemente ridimensionarsi (3000 casi nel 1640). Ci avrebbe pensato stavolta il Nuovo Mondo a rimpinguare le statistiche. Come sempre da quelle parti le cose si fecero in grande. Nel 1692, mentre in Europa pian piano ci si preparava allo scetticismo Illuminista, a Salem, nel-

La stanza del dialogo

la colonia del Massachusetts, duecento persone furono accusate e giudicate in tribunale con l’accusa di pratiche stregonesche. Esemplare, in quello che alcuni storici hanno visto tanto come la fine della Teocrazia dei Padri Pellegrini del Mayflower, quanto, al contrario la radicalizzazione di un certo estremismo settario/religioso che ancora caratterizza il Paese più Libero del Mondo, il caso di Bridget Bishop, la prima persona a essere giustiziata per impiccagione nei Processi di Salem. Bridget Bishop era stata sposata tre o forse anche quattro volte e aveva quattro figli. Era di condizione agiata, così come agiati e rispettabili erano (stati) i suoi mariti. Gestiva due taverne ed era nota per il vestire elegante e i modi disinvolti. Era già stata accusata di aver stregato a morte il suo secondo marito, Thomas Oliver, ma era stata assolta. La seconda volta andò peggio: nell’interrogatorio del 19 aprile l’accusa la voleva stavolta colpevole di aver strega-

Il filo rosso che collega generazioni di donne

Cara Silvia, sono una nonna che ha fatto, come te, il femminismo degli anni Ottanta. Ma ora sono sconcertata dagli esiti e mi chiedo: dove abbiamo fallito? È vero che i giovani padri sono molto meglio dei loro genitori, che collaborano, aiutano, sostituiscono quando è il caso le loro compagne. Ma c’è qualcosa che non va, come rivela il malessere della mia ultima nipote, Camilla, di 15 anni che non vuol crescere: si rifiuta di andare a scuola e, rinchiusa nella sua cameretta, vuole essere soltanto lasciata in pace. Veste di nero e ultimamente abbiamo scoperto che si tagliuzza le braccia. Inutile proporle delle psicoterapie, chiede solo di lasciarla in pace. I genitori non sanno più cosa fare e io, riflettendo sulla mia vita, ti chiedo: mi puoi aiutare a comprendere quando si è spezzato il filo rosso della trasmissione generazionale al

punto che le nostre nipoti sono diventate delle aliene? Grazie sin d’ora. Con sorellanza, Franca P.

Cara Franca, non ti disperare. La «Rivoluzione più lunga» prosegue nelle radici e prima o poi riemergerà. Facciamo un passo indietro e ricostruiamo il percorso delle rivendicazioni femminili partendo dagli inizi del Movimento. Quando le prime femministe si riuniscono, a metà degli anni 70, molti diritti civili, come il voto, sono già stati acquisiti, diritti sacrosanti eppure insufficienti per superare profondi squilibri di genere. Tutto il peso del lavoro domestico, dell’accudimento dei figli e della cura degli anziani gravavano ancora sulle spalle delle donne. I valori tramandati dalla società patriarcale, considerati naturali e necessari, venivano

La nutrizionista

Cari lettori, oggi non risponderò a una vostra domanda ma tratterò il tema della «dieta a yo-yo». Non manca molto al primo giorno d’estate, ragione per cui, magari, qualcuno inizierà a temere di non essere in forma per la «prova costume», consapevolezza che potrebbe portarlo a scandagliare la rete in cerca dell’ennesima dieta miracolosa per perdere quei 2, 5, massimo 10 kg che gli pesano sulla bilancia. Ed è proprio a tutte e tutti voi che mi rivolgo con apprensione: per favore, fate attenzione.

Innanzitutto: è vero che avete del peso di troppo? L’indice di massa corporea, IMC o BMI (body mass index) che corrisponde al peso diviso l’altezza al quadrato, può essere un buono strumento per capirlo, permettendo una reale autovalutazione sulla base dei valori che per un peso normale si situano tra 18,5 e 24,9. Ciononostante, va tenuto conto anche di una nuova considerazione: attualmente, infatti, ci si sta rendendo

to ben cinque giovani donne. Molte e bizzarre le testimonianze accusatorie: da chi, come il suo stesso marito, sosteneva che cantasse le lodi del Diavolo, a chi testimoniò che la sua «ombra» (shape) appariva di notte e lo scaraventava giù dal letto, a coloro che affermarono che possedesse bambole stregate usate per malefici, a chi ancora la accusò di avergli stregato il gatto alla fine di un alterco… Testimoni presenti al processo sostennero che, ogni volta che Bridget guardasse ai suoi accusatori, questi cadevano in una sorta di trance. Un’ispezione corporale – standard per rivelare «marchi del diavolo» – certificò che l’accusata avesse tre capezzoli, «segno» poi smentito da una seconda verifica. Cotton Mather, che scrisse un dettagliato resoconto molti anni dopo, nel 1862, sostenne che Bridget fu condannata non tanto per le attività stregonesche, che non furono provate, ma per il fatto che avesse «mentito» alla giuria. Cosa ciò abbia

significato nel clima di panico collettivo di una Salem avvelenata dal settarismo religioso, nel tumulto infettivo di un clima sociale di virulenti cambiamenti e conflitti sociali rafforzati dal terrore della minaccia indiana, è ancora materia di discussione fra storici e antropologi. Bridget, sempre dichiaratasi innocente, fu condannata a morte dopo otto giorni di processo. Il 10 giugno 1692 fu impiccata a Gallows Hill, Salem. La prima donna messa a morte della Colonia e la prima di altri diciannove giustiziati. Nel 1868, in quello che divenne noto come Il Secondo Processo per Stregoneria di Salem, un affiliato della setta Christian Science accusò un confratello, Daniel Spofford, di stregarlo coi suoi poteri ipnotici. Il giudice archiviò il caso ricorrendo a un cavillo tecnico rimasto famoso negli annali legali. Il diavolo, dunque, suona sempre due volte: alla terza chiamata pure l’Altropologo al numero verde 800…

sofferti ma non contestati. Si trattava di essere come gli uomini senza riconoscere le differenze tra i due sessi. Sarà la generazione successiva, quella che ha partecipato al ’68, a interrogarsi sul da farsi per cambiare radicalmente la condizione femminile. La prima mossa è stata partire da sé, dal nostro corpo, dai bisogni negati, dai desideri inespressi. Una riflessione che il Movimento delle donne tradurrà, nell’onda di trasformazioni epocali, in conquiste collettive quali il divorzio, l’interruzione volontaria della gravidanza, l’orgoglio gay. Non si trattava più di essere come gli uomini, ma di declinare la differenza nella eguaglianza. Una rivendicazione che è rimasta a metà anche perché le nostre figlie erano convinte, nonostante evidenti disparità, di aver ottenuto l’essenziale. E allora «ognuna

per sé e Dio per tutte», in conformità agli incentivi di una società individualistica e competitiva. Ma, a quanto pare, quel modello non convince le nostre nipoti che non trovano nella società e nella famiglia punti di riferimento, motivi di crescita, incentivi al futuro. Di qui tanti casi, come quello di tua nipote, di disagio, di malessere, di fuga dalla realtà e conseguente caduta nelle trappole della Rete. Per gli psicoterapeuti si tratta di problemi nuovi e molto più gravi rispetto alla contestazione precedente. Non per questo il femminismo deve dichiarare bancarotta. Riprendiamoci il filo rosso che collegava le generazioni precedenti. Forse il modo migliore potrebbe essere quello di riallacciare in termini nuovi il dialogo madre-figlia. Non nel chiuso della famiglia, ma nella comunità,

utilizzando istituzioni storiche come il Movimento AvaEva (si veda in proposito un documento ricco di riflessioni e di stimoli quale Percorsi di donne educazione e calori. Confronti e dialoghi intergenerazionali) e Nascere Bene, una iniziativa fondamentale in tempi di inverno demografico e di smarrimento del senso e del valore di mettere al mondo. Le adolescenti e le giovani donne hanno bisogno di motivazioni, di immagini, di confronti per uscire dal narcisismo.

Informazioni

Inviate le vostre domande o riflessioni

a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6901 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch

conto che il BMI ha un certo grado di affidabilità per lo studio di grandi popolazioni, mentre, sul singolo, l’errore può non essere così trascurabile. Più precisamente il BMI non fa distinzione tra massa magra e massa grassa. So per esperienza che ci sono persone che anche se hanno un BMI nella norma non si piacciono e per questo è importante capire la qualità del proprio peso. I muscoli pesano ma hanno un volume molto più ristretto e bruciano più calorie… per cui possono essere definiti «un peso sano». La domanda, dunque, potrebbe essere questa: avete preso chili perché fate palestra e più movimento? Pesate di più ma non avete cambiato taglia degli indumenti? Se la risposta è affermativa, allora probabilmente avete aumentato la massa muscolare e non ha dunque senso badare al numero sulla bilancia. Avete preso chili perché avete esagerato col cibo? C’è più grasso? Dove è distribuito? Misurare la circonferenza

della vita è un metodo per capire se la propria salute risente del peso aumentato: valori superiori a 102 cm negli uomini e a 88 cm nelle donne significano che c’è grasso addominale «pericoloso»; in alternativa si può comprare una bilancia con impedenziometro che vi darà un valore obiettivo. Al di là di quanto detto, il mio consiglio resta quello di evitare di affrontare diete drastiche e molto restrittive perché queste, spesso, portano lungo un percorso prevedibile: la dieta a yoyo. All’inizio si parte super motivati, si perderà un po’ di peso, poi alla fine ci si stancherà iniziando a mangiare cibi che erano off-limits, ci si sentirà in colpa e si cederà del tutto, recuperando il peso perso. Questa oscillazione di peso non è salutare. In uno studio è emerso che le persone con grandi fluttuazioni del peso corporeo avevano il 78% in più di probabilità di sviluppare il diabete di tipo 2 per un periodo di circa cinque anni rispetto

a quelli il cui peso rimaneva più costante. Inoltre, può portare ad abitudini alimentari disordinate e a lotte a lungo termine con il peso. Detta altrimenti: impegnarsi in comportamenti alimentari malsani può avere gravi conseguenze, tra cui una relazione malsana con il cibo.

La dieta yo-yo può anche causare una perdita di massa muscolare. Le diete a basso contenuto calorico troppo restrittive spesso portano alla perdita muscolare insieme alla perdita di grasso. Quando si aumenta di nuovo di peso, tuttavia la maggior parte di esso tende a essere massa grassa piuttosto che muscolare. Avere una percentuale più alta di grasso corporeo aumenta la resistenza all’insulina, rallenta il metabolismo e diminuisce la forza fisica. Poiché i muscoli bruciano più calorie del grasso, se diminuiscono il corpo ne brucerà di meno. Quindi non solo si è a rischio di glicemie alte, ma c’è anche una maggiore

probabilità di mantenere i chili ripresi. In una formazione che ho seguito avevano proprio mostrato una donna normopeso che voleva perdere 5 kg: aveva fatto una dieta drastica, ne aveva persi 7 e poi era aumentata di 10 e nel tempo, con questo effetto yo-yo, si era ritrovata veramente obesa, tanto da faticare a perdere peso. Ne vale la pena? Decisamente no! Se proprio odiate quei chiletti, cercate di concentrarvi sul cambiare quei comportamenti che vi hanno portato a prenderli e puntate sull’esercizio fisico. Abbiate pazienza, vogliatevi bene. So che è un percorso più «difficile» ma è quello che vi garantirà risultati più sicuri e a lungo termine.

Informazioni

Avete domande su alimentazione e nutrizione? Laura Botticelli, dietista ASDD, vi risponderà. Scrivete a lanutrizionista@azione.ch

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 10 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino SOCIETÀ / RUBRICHE 14 ◆ ●
di Laura Botticelli
La dieta a yo-yo «ingrassa» e può essere anche pericolosa
◆ ●
L’altropologo
di Cesare Poppi
◆ ●
di Silvia Vegetti Finzi

TEMPO LIBERO

Penang Island e Peranakan Per secoli, luogo di pirati, oggi è la Silicon Valley del Sud-est asiatico, leader nell’industria hi-tech

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Mille e una delicata aquilegia Allo stato naturale, cresce spontanea sui versanti di praterie, boschi e montagne anche da noi

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Un dessert super goloso Limoncello, scorza di limone e latte condensato, arricchiscono ogni soffice gelato al limone fatto in casa

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Troppo tecnico e maschilista? Il nuovo gioco d’azione per console PlayStation 5, che si intitola Stellar Blade, divide le opinioni

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Nel nome del mitico e insuperabile Bud

Graphic novel biografiche ◆ Un omaggio disegnato al più «fumettoso» degli eroi della cultura popolare italofona (e non solo)

Non esiste fraintendimento più tristemente comune di quello che, da sempre, vede contrapporsi la cultura cosiddetta «alta» (fatta di cinema d’autore, classici immortali della letteratura e musica classica) a quella pop culture a cui, peraltro, la maggior parte della popolazione si abbevera quotidianamente; una distinzione oggi quanto mai ingannevole e settaria, che sembra nascondere una pretenziosa preclusione nei confronti di quanto, in fondo, costituisce uno dei pilastri della moderna società occidentale.

Per almeno tre generazioni di italofoni (e non solo), appare tuttora pressoché impossibile riportare alla mente i tempi dell’infanzia senza ricordare con una certa emozione i numerosi (ben 18) e amatissimi film a basso costo interpretati, tra il 1967 e il 1994, dall’inossidabile coppia formata da Bud Spencer e Terence Hill (all’anagrafe Carlo Pedersoli e Mario Girotti); senza contare i numerosi exploit cinematografici di successo che, fino a pochi anni prima della sua morte (avvenuta nel 2016), hanno visto come protagonista il solo Bud.

Film spesso liquidati come prodotti di serie B, buoni soprattutto per intrattenere bimbi in età scolare, ma che in realtà sono stati molto più di questo, al punto da cementarsi a fondo nell’immaginario collettivo: ancora adesso, orde di nostalgici sospirano al pensiero dell’innocenza e dei buoni sentimenti espressi da quella cinematografia verace fatta di scazzottate, risate e scorpacciate a base di fagioli — ma anche di messaggi positivi, basati sull’amicizia e la lealtà, che avrebbero fatto breccia nell’immaginazione degli spettatori di tutto il mondo, dalla Germania agli Stati Uniti.

Proprio questa struggente rimembranza di una sorta di «innocenza perduta» costituisce il segreto del fascino del leggendario Bud, la cui figura resta, a tutt’oggi, ammantata da un’innegabile magia. Lo dimostra, una volta di più, il successo di pubblico che ha accolto una graphic novel tutta italiana, intitolata semplicemente Bud Spen-

cer e data alle stampe per i tipi della ReNoir Comics in un periodo difficile come quello degli strascichi pandemici, in cui gli spensierati ricordi infantili incarnati dall’attore napoletano hanno trovato terreno particolarmente fertile in cui attecchire.

Del resto, si tratta di un prodotto dal carattere popolare, proprio come i film del nostro eroe — non è un caso che sia lo sceneggiatore dell’opera, Marco Sonseri, sia il suo disegnatore, Roberto Lauciello, si siano fatti le ossa alla Edizioni San Paolo (editrice del celebre settimanale per ragazzi «Il Giornalino», sulle cui pagine hanno gravitato diversi nomi di rilievo del fumetto tricolore), firmando inoltre diverse biografie a fumetti, tra cui quelle di Paolo Borsellino e Gino Bartali.

Una sinergia ideale per dar vita all’unica biografia a fumetti autorizzata di Bud Spencer, e dimostrare come quello della graphic novel sia un mezzo a dir poco perfetto per omaggiare il personaggio, soprattutto considerando le molte analogie tra il linguaggio fumettistico e quello dei film che hanno fatto di Bud e del collega Terence una coppia mito. Basta infatti sfogliare quest’opera per rendersi conto di come il principale obiettivo di Sonseri e Lauciello fosse proprio quello di riuscire a trasmettere tutta l’umanità e la trattenuta, ma sempre palpabile, dolcezza tipiche del «gigante buono» del cinema italiano; obiettivo centrato in pieno, principalmente grazie al perfetto connubio tra il tratto leggero e pulito e la delicata monocromia caratteristiche dello stile di disegno di Lauciello – una sorta di «linea chiara» di stampo franco-belga, che però affonda le radici anche in un certo fumetto popolare italiano di vecchia data – e l’azzeccata sceneggiatura di Sonseri, la quale, da parte sua, riesce a catturare, pur all’interno di una storia dalla semplicità e linearità a tratti quasi risapute, un po’ di quella fascinazione infantile che noi tutti cerchiamo disperatamente di ricatturare ogniqualvolta ci troviamo confrontati con Bud e i suoi molteplici exploit. E l’alchimia funziona: la scelta di utilizzare un bimbetto di nome Luca come «intermediario» (ovvero, protagonista attraverso il quale il lettore vive l’incontro quasi onirico, per non dire metafisico, con il personaggio di Bud) si rivela azzeccata, dato che permette di recuperare, fin dalla prima pagina, la naiveté salvifica dell’infanzia, suggellando subito, tra lettore e narratore, il fondamentale patto definito dagli anglosassoni come «suspension of belief » – ovvero, il tacito accordo secondo il quale ciò che il racconto propone viene accettato senza esitazioni da chi legge. Così, ci scopriamo stupiti e ammaliati quanto il piccolo Luca nel ritrovarci in un aeroporto fattosi di colpo deserto, dove l’unica persona presente è proprio

il nostro idolo d’infanzia Bud, pronto a guidarci attraverso un’avventura che ci permetterà di ripercorrerne non solo la carriera artistica, ma anche la vita personale – il tutto dalla sua viva voce; del resto, quale interlocutore migliore di un bambino potrebbe mai esserci per il buon Bud? Proprio qui, in fondo, sta il segreto del successo artistico di questa graphic novel, il cui punto di forza non risiede, in realtà, in particolari meriti grafici o testuali, ma piuttosto nel saper catturare l’immaginazione del lettore,

trascinandolo, al pari di un bambino, nell’avventura senza tempo che certo avrebbe desiderato vivere all’epoca in cui si incantava davanti alle imprese di Bud e Terence: un’avventura in cui non manca nessuno dei capisaldi che abbiamo imparato ad associare con la figura del Nostro — nemmeno le celeberrime scazzottate, da sempre suo marchio di fabbrica. Non solo: a misura che la narrazione si sviluppa abbiamo la possibilità di scoprire dettagli succosi, che vanno dai trascorsi giovanili di Bud come nuotatore olimpioni-

co e avventuriero in Amazzonia, fino alle leggendarie abbuffate e alla vita familiare.

E se, come dice il poeta, «il naufragar m’è dolce in questo mare», allora non si può che essere grati a Sonseri e Lauciello per aver offerto a tutti noi l’irresistibile opportunità di tornare bambini – almeno per lo spazio di un libro a fumetti – tratteggiando alla perfezione una figura iconica come l’inimitabile Bud Spencer a fare da guida ideale in questo struggente «viaggio sentimentale».

● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 10 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 15
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Sostenibilità ◆ Migros ha sviluppato un proprio sistema che migliora ulteriormente il bilancio ecologico, abbassa i costi e ottimizza i

trice del progetto, ideato da Migros a livello nazionale (già presente nelle Cooperative di Zurigo, Lucerna, Vaud, Neuchâtel-Friborgo e Aare). Un sistema che ha convinto anche

tro e sotto un triangolo. Il numero uno è per esempio per PET, il tre per il PVC, mentre il due e il quattro sono

Con queste plastiche sono costitu ti borse e sacchetti, pellicole, imballaggi, vasetti, vaschette o confezioni, nonché bottiglie o flaconi di plastica. Tutti prodotti che, se non eccessivamente sporchi con residui del loro contenuto, vanno quindi separati e messi nel sacco di raccolta delle plastiche di Migros, assieme al tetrapak (utilizzato, per esempio, per alcuni tipi di involucri per il latte), il quale verrà separato dalle plastiche in fase di riciclaggio.

Non vanno invece raccolte nel sacco Migros gli elettrodomestici, il polistirolo (il «sagex»), il PET, i giocattoli in plastica e tutte le confezioni con ancora un contenuto. Tutti questi materiali trovano un loro canale di raccolta e riciclaggio separato. Rimane sempre possibile, presso tutte le filiali di Migros Ticino (nelle pareti del riciclaggio), il sistema di raccolta già in atto da diversi anni che permette di consegnare gratuitamente presso i punti vendita i flaconi di plastica vuoti, oltre a batterie, lampadine, PET, capsule d’alluminio e molti altri rifiuti domestici.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 10 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 8
Val Mara (seguito poi da altri Comuni) che, pur avendo già un diverso sistema di raccolta, vi ha aderito. Da inizio anno, presso le due filiali Migros di Tesserete e Melano, è quindi Luigi Maggiotto, gerente della filiale di Tesserete, Francesco Canonica, Sindaco di Capriasca, e Mathieu Moggi, Capo dicastero territorio e ambiente di Capriasca. (Vincenzo Cammarata) Elia Stampanoni ridotti.

La perla della Malesia, aggressiva tigre asiatica

Reportage ◆ Georgetown, il nucleo storico di Penang, vanta la più intatta Chinatown del Sud-est asiatico

Marco Moretti, testo e foto

Per secoli è stato il luogo dei pirati dello stretto di Malacca narrati da Emilio Salgari. Oggi è la Silicon Valley del Sud-est asiatico leader nella produzione di semiconduttori con decine di industrie hi-tech. Ma Penang Island è soprattutto il luogo dove la Cina è andata a letto con la Malesia generando la cultura Peranakan, figlia dei mercanti cinesi che nel Settecento e Ottocento sposarono donne malesi in un sincretismo affettivo e commerciale tra le due civiltà.

Più che a Malacca e a Singapore, i frutti di questo sodalizio sono evidenti a Georgetown, il nucleo storico di Penang, che vanta la più intatta Chinatown del Sud-est asiatico percorsa da colorati risciò e le dimore dei più ricchi mercanti d’Oriente, a testimonianza dell’apogeo Peranakan. Preziose ed eclettiche architetture che vanno a nozze con quelle neoclassiche dell’ex capitale della Malesia britannica.

Penang Island oggi è la Silicon Valley del Sud-est asiatico leader nella produzione di semiconduttori con decine di industrie hi-tech

Georgetown fu fondata nel 1786 dalla Compagnia delle Indie Orientali e di quell’epoca conserva le vestigia, in un puzzle urbanistico con le casette cinesi che si mescolano agli edifici neo-palladiani e ai grattacieli del boom economico. Perché Penang non dà spazio al languido folclorismo. Qui la povertà non dà spettacolo. L’esotismo si coniuga con standard di vita e servizi da primo mondo. È la perla della Malesia, aggressiva tigre asiatica. Destinazione di prim’ordine, è al quarto posto tra i luoghi da vedere al mondo in una classifica di Lonely Planet, nonché patrimonio Unesco. Chinatown presenta tre diverse realtà. Le vie bordate di antichi edifici, animate da golosi night market che invadono le strade di colori, odori e sapori, e percorse da risciò che trasportano i turisti cinesi in un’operazione nostalgia alla ricerca di radici introvabili in Cina. Come Lebuh Acheh con sedi e templi taoisti dei più importanti clan che formarono la città; e Lebuh Armenian che, punteggiata da boutique, caffè, ristoranti e musicisti di strada, si affolla la sera. Qui si trovano i più famosi murales dell’artista lituano Ernest Zacharevic, dipinti una decina di anni fa ispirandosi alla vita di strada di Georgetown. I suoi murales colorano anche i jetty, cioè i sei villaggi su palafitte abitate dalla popolazione me-

no abbiente: sono diventati un’attrazione, soprattutto il centrale Chew Jetty, annunciato da una pagoda, che prima del tramonto si trasforma in un mercato.

Le ricche dimore

Poi ci sono le dimore di due ricchissimi mercanti cantonesi aperte al pubblico. La Peranakan Mansion, edifi-

cio eclettico strabordante di arredi, era la magione di Chung Keng Kwee (1821-1901), magnate, politico e filantropo arricchitosi grazie alle innovazioni minerarie che introdusse per lo sfruttamento dei giacimenti di stagno nella regione del Perak. Chung Keng Kwee prevalse nelle dispute tra i vari clan e divenne molto popolare a Georgetown con opere e donazioni per l’istruzione e a sostegno degli indigenti.

La Blue Mansion fu invece costruita nel 1880 da Cheong Fatt Tze (1840-1916), il mercante cinese più ricco della Malesia. Nato in una famiglia povera del Guangdong (Cina), migrò in Sud-est asiatico in cerca di fortuna. Aprì un negozio a Batavia (l’attuale Giacarta) e da lì sviluppò un proficuo commercio di tè, caffè e gomma tra Indie Olandesi (Indonesia) e Impero Britannico che lo trasformò nel mercante di

maggiore successo. Soprannominato il Rockfeller asiatico, accumulò una fortuna che, in valuta attuale, ammonterebbe a molti miliardi di dollari. Oltre che mercante e imprenditore, Cheong Fatt Tze fu politico, diplomatico e Console cinese nella Singapore britannica. La Blue Mansion, in parte trasformata in albergo, fu il set del film Indochine del regista Régis Wargnier interpretato da Catherine Deneuve, premio Oscar 1993. La Blue Mansion è vicina al distretto coloniale. Sul Waterfront ci sono i resti di Fort Cornwallis, dove nel 1786 sbarcò il capitano Francis Light: sono la prima testimonianza britannica in Malesia. Nei pressi si erge la Victoria Clock Tower, fatta costruire in stile moresco nel 1897 da Cheah Chen Eok, un altro ricco mercante cinese, per il giubileo di diamante della regina inglese. Di fronte al Fort è lo State Assembly Building. Tra mare e verde pubblico troneggiano i monumentali Town Hall e City Hall. Lebuh Light è dominata dalla Corte Suprema. E più avanti Saint George è la più antica (1818) chiesa anglicana del Sudest Asiatico. Poco oltre ci sono la Cattedrale cattolica dell’Assunzione. E l’Eastern & Oriental Hotel, costruito nel 1884 dai fratelli armeni Sarkies che più tardi edificarono il Raffles a Singapore e lo Strand a Rangoon: i tre grand’hotel d’Oriente. In 140 anni l’E&O è stato frequentato da scrittori, attori e teste coronate: da re Carlo III a Rudyard Kipling, Hermann Hesse e Charlie Chaplin. Il piano terra della parte storica con arredi originali è aperto ai visitatori come se fosse un museo. Al dominio britannico si deve il caleidoscopio etnico di Penang. Un tollerante melting pot di cinesi, malesi e indiani. Di taoisti, musulmani, indù e cristiani: dalle pagode di Chinatown alla Masjid Kapitan Keling, dalle chiese coloniali allo Sri Mariamman Temple in stile Tamil con una variopinta torre votiva. La sera è il momento migliore per passeggiare a Little India – concentrata nelle vie attorno a Lebuh Pasar, dove si scopre la cultura indù tra santuari, profumo di curry, sari, sete, musica e film di Bollywood.

Penang Island è anche natura Con i bus urbani si possono raggiungere Penang Hill e il Penang National Park. La prima ospita i Botanical Gardens, 30 ettari con cascate, aiuole che spaziano dagli ambienti tropicali ai desertici e serre per orchidee, palmizi e bromelie. Vicino al Penang National Park, a mezz’ora da Georgetown, c’è Entopia, una grande voliera con 200 specie floreali tra cui volano 15mila farfalle di 50 varietà. Il parco è una macchia di foresta pluviale popolata da 150 specie di uccelli, percorsa da sentieri e costeggiata da spiagge. Come la bianca Kerachut Beach formata da frammenti di quarzo su cui si vedono tracce di tartarughe, varani e lontre. Alle sue spalle c’è un lago meromittico: con circolazione solo superficiale. La si raggiunge in barca dall’ingresso del parco passando davanti a Crocodile Rock, scoglio a forma di rettile utile nell’antichità ai pirati per individuare l’isola.

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Penang moderna; al centro, risciò in Lubuh Armenian; in basso, un murales di Ernest Zacharevic e (a destra) Penang National Park, Kerachut Beach.

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L’elegante sperone dell’aquilegia

Mondoverde ◆ Variopinti, delicati nell’aspetto e resistenti al clima più rigido, questi fiorellini arricchiscono i giardini di molti colori

Compaiono da fine marzo quasi all’improvviso, con una rosetta di foglie verde smeraldo a tre lobi incisi e pavoneggiandosi, subito dopo, con lunghi steli variopinti. Stiamo parlando dell’aquilegia, un’erbacea perenne che, allo stato naturale, cresce spontanea sui versanti di praterie, boschi e montagne anche alle nostre latitudini, dove possiamo trovare le due specie: A. vulgaris e A. alpina

Della famiglia delle Ranuncolacee, le aquilegie prediligono posizioni di luce filtrata nelle ore più calde della giornata, come può essere quella che accarezza la terra sotto le fronde di arbusti e alberi.

I loro fiori, che compaiono tra la fine di aprile e il mese di maggio, incantano non solo per via dei colori, ma anche per la complicata struttura che li caratterizza: ben dieci sono gli elementi che formano la corolla, mentre i sepali (ciò di cui è composto il calice del fiore) si fondono insieme estroflettendosi fino a formare uno sperone ricurvo che ricorda molto lo sperone sulle zampe delle aquile, da cui probabilmente l’assonanza tra i due nomi.

I fiori sono coloratissimi, come in

A. caerulea x «Red Hobbit», alta tra i 50 e i 60 cm, con speroni rosso carminio e petali bianco ghiaccio, bellissima sia da sola sia accompagnata a un’altra varietà, come potrebbe essere A. vulgaris «Ruby Port» dai fiori più

piccoli, a forma di pompon rosso rubino simili a preziose pietre.

Che dire poi della gialla A. chrysantha «Yellow Queen» alta ben un metro che assomiglia a un canarino cinguettante, oppure l’elegante «Spring Magic Blue-White» con un nome che la descrive perfettamente? Impossibile elencarle e descriverle tutte, ma è possibile coltivarne parecchie in giardino e scoprire ogni anno colori nuovi grazie alla loro capacità di ibridazione e di autodisseminazione.

Perenni e rustiche, sono in grado di sopportare senza problemi gelate invernali anche molto intense, e di fatto amano posizioni fresche, quindi, come detto, a mezz’ombra, con una costante umidità del terreno. Si possono seminare a marzo o a ottobre in contenitori riempiti di torba soffice e sabbia fine. La superficie deve essere vaporizzata quotidianamente e dopo una quindicina di giorni avrete le prime piantine da poter trapiantare in piena terra l’autunno successivo. Si possono anche acquistare piante

già in fiore, pronte per essere spostate in contenitori più grandi o in aiuole, con uno strato di stallatico maturo per una concimazione naturale o con un concime a lento rilascio. Alla base della buca che ospiterà la vostra aquilegia, vi consiglio di collocare del materiale drenante, come ghiaia o argilla espansa, per evitare dannosi ristagni. Le piante vanno bagnate abbondantemente subito dopo la messa a dimora, intervenendo successivamente una volta alla settimana per tutta l’estate.

Piantando varietà diverse, queste produrranno moltissimi semi che si diffonderanno spontaneamente. Il che produrrà un effetto multicolore: le nuove piante assumeranno infatti colorazioni sempre nuove, imprevedibili e originali. Se invece vi siete innamorati di una specifica varietà e non volete perderla, sarà necessario raccogliere tutte le capsule fruttifere e seminarle dopo la fioritura, oppure potrete moltiplicare la vostra pianta mediante la divisione dei cespi del vecchio esemplare.

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Ricetta della settimana - Soft ice al limone con salsa al limoncello

Ingredienti

Dessert

Ingredienti per 4 persone

1 limone

4 marshmallow

3,5 dl di panna intera

120 g di sciroppo d’agave

2 uova

1 presa di sale

80 g di latte condensato

zuccherato

0,5 dl di limoncello

Preparazione

1. Grattugiate finemente la scorza del limone e mettetela da parte; poi spremete il succo.

2. Tagliate a pezzetti i marshmallow, poi mescolateli con il succo di limone e fateli scaldare finché si sciolgono. Lasciate intiepidire un po’, poi aggiungete la panna, lo sciroppo di agave, le uova e il sale; quindi, mescolate bene con un frullatore a immersione.

3. Trasferite la massa in una gelatiera e lasciate congelare per circa 40 minuti. Se necessario, o fino al momento di servire mettete il soft ice in congelatore per circa 30 minuti.

4. Per la salsa, portate a ebollizione la scorza di limone messa da parte con il latte condensato e il limoncello. Lasciate raffreddare la salsa.

5. Trasferite il soft ice in una tasca da pasticciere con beccuccio a stella e spruzzate delle rosette, che servirete con la salsa.

Consiglio utile:

• Per un tocco di colore in più, aggiungete una goccia di colorante alimentare giallo alla salsa.

In un contenitore ermetico, il gelato si conserva 1 mese in congelatore. Prima di servirlo, lasciatelo scongelare un po’ in frigorifero. Non disponete di una gelatiera? Versate la massa in una scodella di acciaio inox, copritela e mettetela in congelatore per circa 4 ore. Dopo circa 1 ora, quando la massa inizia a consolidarsi sul bordo, mescolatela vigorosamente con uno sbattitore elettrico. Mettete di nuovo in congelatore e ripetete 2-3 volte l’operazione di mescolamento.

Preparazione: circa 20 minuti; congelamento: circa 40 minuti.

Per persona: 7 g di proteine, 35 g di grassi, 46 g di carboidrati, 550 kcal

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La missione di Eve in Stellar Blade

Videogiochi ◆ Salvare la Terra a suon di parate e calcioni, imboscate, inseguimenti e combattimenti frenetici in ambienti decadenti

Una terra distrutta dall’invasione di temibili creature. Una combattente addestrata in missione per salvare quella poca umanità sopravvissuta all’attacco alieno. Cospirazioni, tanta azione e un pizzico di polemica sono gli ingredienti del nuovo gioco d’azione uscito su console PlayStation 5 che si intitola Stellar Blade: un gioco che tenderà a dividere le opinioni; lo si adora o lo si disprezza, per il suo stile quasi arcade (più azione, meno ragionamento), per la sua elevata tecnicità e per il sistema di combattimento che necessita di un certo impegno per essere appreso.

Il gioco è stato accompagnato da diverse polemiche prima della sua uscita per via degli abiti davvero troppo striminziti della protagonista

In Stellar Blade, i giocatori impersonano Eve, una combattente umana dotata di poteri soprannaturali facente parte del reggimento Airborne Squad 7, che giunge su una Terra futuristica e distopica tanto è infestata da orribili creature chiamate Naytibas. La narrazione, decisamente di stampo fantascientifico, sorprende spesso, anche se talvolta risulta prevedibile.

La campagna di Stellar Blade dura circa trenta ore e, anche se scegliessimo di approfondire solo la trama

principale, si potranno trascorrere almeno venti ore in gioco. Le missioni principali e secondarie sono ben strutturate e offrono una buona varietà di contenuti, tra combattimenti, sezioni platform e qualche piccolo enigma. Durante le missioni, si trovano zone sicure dove è possibile salvare il gioco, riposare e acquistare potenziamenti. La componente da gioco di ruolo

Giochi e passatempi

Cruciverba

A quale altezza è posta la statua di Cristo Redentore di Rio de Janeiro? Su quale monte si trova? Scoprilo a soluzione ultimata, leggendo le lettere evidenziate.

(Frase: 15, 5 – 2, 9)

è ben sviluppata con alberi di abilità per Eve, che permettono di sbloccare vari poteri, adattando le maestrie del personaggio al nostro stile preferito. Il punto centrale del gioco è il sistema di combattimento, che richiede un approccio tattico basato su parate e schivate. Evitare gli attacchi dei nemici aumenta l’efficacia dei contrattacchi di Eve, rendendo il combattimento entusiasmante. Le sconfitte

diventano opportunità per migliorare, imparando i pattern d’attacco dei nemici e affinando le proprie abilità. I momenti di gioco sono intensi, con imboscate, inseguimenti e combattimenti frenetici in ambienti decadenti. Uno degli elementi più affascinanti di questa avventura è l’ambientazione: Xion, la base principale, rappresenta l’ultimo baluardo dell’umanità, con strade deserte, case fatiscenti ed

edifici improvvisati con container. La maggior parte delle missioni inizia e termina qui. Fuori da Xion, ci sono varie zone esplorabili, ognuna caratterizzata da elementi naturali come erba, pietra, acqua e terra. Queste aree offrono una vasta gamma di attività, tra cui caccia a oggetti e risorse, combattimenti, esplorazione, e missioni secondarie. Anche se la navigazione può risultare confusa, l’esplorazione è sempre premiata grazie all’incontro con mostri o la scoperta di oggetti interessanti, inclusi i boss opzionali.

Stellar Blade è visivamente affascinante, con ambientazioni dettagliate e varie. Il design dei personaggi è curato, e la colonna sonora è di buona qualità, anche se il doppiaggio è mediocre. Il gioco è stato accompagnato da diverse polemiche nelle settimane prima della sua uscita per via degli abiti davvero troppo striminziti della protagonista. Una critica decisamente valida che, pur avendo poco a che fare con la sostanza del gioco in sé, ha avuto il merito di rilanciare il discorso attorno a certe pratiche di design. Per questo motivo, e anche per il grado di violenza grafica mostrata a schermo, il gioco è consigliato solo per un pubblico adulto.

In sintesi, Stellar Blade è un buon gioco. Non è eccezionale, ma sicuramente piacerà agli appassionati del genere, che lo troveranno una valida aggiunta alla loro collezione.

ORIZZONTALI

1. Un anagramma di tesa

4. Ingenti quantità di preziosi

9. Pronome dimostrativo

10. Lo è l’Austro

11. Le iniziali del comico Siani

12. Disposto verticalmente

13. Due vocali

14. Cavità organica patologica di contenuto vario

15. Preposizione articolata

16. Manifestazione organizzata

18. Complessi polifonici

19. Un anagramma di gala

21. È grasso per natura

22. Simbolo del voltampere

23. È Morto in Palestina

24. Bandito, brigante

VERTICALI

1. Con loro vai su e giù

2. Ghiaccio in tedesco

3. Nel broccato e nel velluto

4. Limite massimo

5. Organi statali

6. Un mezzo di questo…

7. Una vocale ripetuta

8. Simulacri

10. Un senso

12. Lo Starr dei Beatles

13. Orecchio inglese

14. La cantante Dion

15. «Ut» per Guido d’Arezzo

17. Di Non nel Trentino

20. Vicine al cuore

21. Organizzazione per la Liberazione della Palestina

22. Il «de» olandese

23. L’ex first lady Obama (Iniz.)

Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 10 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 23
premi.
per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.
pagamento in contanti dei
I vincitori saranno avvertiti
Q U A T T O U R L O D I O R I C I P T A M I O L A D R A D E E U E R O S C I N C I N P E N T O S T O I R N C E N C I S T I A T O I O R E O 1 6 8 2 7 8 9 6 3 3 1 1 7 6 3 5 4 7 5 2 1 9 3 4 6 1 9 4 3 8 5 2 7 5 8 7 2 1 6 4 9 3 2 3 4 7 5 9 1 6 8 4 9 6 8 2 1 3 7 5 1 7 3 5 9 4 6 8 2 8 5 2 3 6 7 9 1 4 3 4 1 9 7 2 8 5 6 7 6 5 1 8 3 2 4 9 9 2 8 6 4 5 7 3 1
Sudoku Scoprite i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.
versi
Divina
Soluzione della settimana precedente CURIOSITÀ LETTERARIE
– Il numero dei
della
Commedia sono: QUATTORDICIMILADUECENTOTRENTATRE
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24
Vinci una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una carta regalo da 50 franchi con il sudoku

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ATTUALITÀ

Madri lesbiche senza diritti

In Italia le mamme non gestanti sono discriminate: non possono portare i figli a scuola o dal medico

La Chiesa e la sessualità Dalle uscite del Papa sulla «troppa frociaggine» nei seminari al problema della denatalità

Per imprese responsabili Il tema del rispetto di diritti umani e ambiente da parte delle grandi aziende fa discutere in Svizzera

Pagina 31

Tra matrimonio e concubinato Vantaggi e svantaggi delle due situazioni, a partire dall’aumento delle imposte per i coniugi

Pagina 33

Chi è la prima donna a guidare il Messico

Potentissime ◆ La neopresidente Claudia Sheinbaum dovrà confrontarsi con problemi enormi, come povertà e violenza delle gang Riuscirà ad emanciparsi dal suo mentore Andrés Manuel López Obrador, populista di sinistra?

Messico, nuvole e soffitto di cristallo in mille pezzi: dopo una vittoria elettorale fragorosa, da dicembre prossimo e fino al 2030 sarà una donna, Claudia Sheinbaum (nella foto), a guidare il Paese per la prima volta nella sua storia. E che storia. Fino al 1953 alle presidenziali votavano solo gli uomini e la prima governatrice di uno dei 31 stati federali è arrivata solo 9 anni fa. Ogni giorno, secondo statistiche caute, almeno 10 donne o bambine vengono uccise e la cultura machista, nonostante un sistema di quote che ha permesso una parità invidiabile a livello istituzionale, è ancora pervasiva. Eppure l’ex sindaca di Città del Messico, sessantunenne fisica e ingegnera ambientale, ha vinto con poco meno del 60% dei voti contro una sfidante donna e anche lei ingegnera, e l’unico maschio della partita ha racimolato un misero 10%. Il simbolo è potente, anche se non si può non sottolineare come Sheinbaum abbia ancora tutto da dimostrare in termini di autonomia dal suo mentore, Andrés Manuel López Obrador, detto AMLO per brevità, fondatore del partito Morena e populista di sinistra all’ombra del quale è cresciuta politicamente e rispetto al quale ha promesso di mantenere una linea di assoluta continuità. Anche se quella linea è molto problematica nell’affrontare problemi enormi, come la violenza che distrugge il Paese e che ha portato all’uccisione di una trentina di candidati durante una campagna elettorale infuocata. Ma partiamo da Sheinbaum: nata in una famiglia di scienziati, ebrea – anche questa è una prima volta, in un Paese fortemente cattolico – e legata ai movimenti studenteschi di cui è stata una partecipante molto attiva, la donna ha fatto parte di un panel di scienziati che ha vinto il Nobel per la pace per il lavoro svolto sul clima. Il suo primo incarico di Governo è stato da sottosegretaria all’Ambiente del governo di AMLO e, anche se sulla carta le sue credenziali non potrebbero essere migliori, ha poi avallato politiche discutibili da un punto di vista ambientale durante il suo quinquennio da sindaca, dal 2018 al 2023, come il secondo anello della sopraelevata della capitale e la pesante cementificazione di una città già soffocata, e non ha mai disatteso la linea a favore dei combustibili fossili del suo ex capo. Nel suo programma per la presidenza ha annunciato che investirà 14 miliardi di dollari in energie pulite, ma non è a favore degli investimenti privati nelle rinnovabili, in linea con il suo predecessore, e questo rende le sue politiche più rigide, al di là delle sue convinzioni personali, schiettamente ambientaliste a detta di tutti.

Il Messico è l’unico Paese del G20 a non avere un piano per l’azzeramento delle emissioni e bisognerà vedere quanto Sheinbaum si darà da fare per invertire la rotta su un tema politicamente delicato. Il Messico è la 14esima economia del mondo, con 127 milioni di cittadini, ed è da poco diventato il primo partner commerciale degli Stati Uniti grazie al più recente accordo di libero scambio che ha permesso a

Intanto in Islanda…

Anche l’Islanda ha una nuova presidente: Halla Tómasdóttir, imprenditrice e investitrice, che ha superato l’ex prima ministra Katrín Jakobsdóttir e un’affollata schiera di candidati. A differenza del Messico, il Paese ha una lunga tradizione di donne elette ad alte cariche. A partire da Vigdís Finnbogadóttir, eletta presidente della Repubblica nel 1980 (fu la prima al mondo). Riconfermata per ben quattro volte, nel 1996 non ripresentò la sua candidatura. / RED

Sheinbaum di superare la profondissima avversione per il vecchio Nafta (North American Free Trade Agreement, accordo di libero scambio fra Usa, Canada e Messico entrato in vigore nel 1994) all’origine di «trentasei anni di atroce impoverimento e disuguaglianze». Al momento il peso è fortissimo, ma il Paese ha un deficit del 6% e una compagnia petrolifera, Pemex, piena di debiti. Dovrà anche risolvere rapporto con la Cina, che ha spostato molte società in Messico per aggirare i dazi commerciali. Donald Trump ha annunciato che imporrà tariffe del 100% sulle macchine cinesi prodotte in Messico, se fosse rieletto. Le elezioni, con l’affluenza alle stelle, sono state viste come un referendum sull’operato di AMLO, un populista che ha conquistato i cuori della gente aumentando il salario minimo e i sussidi statali, ma con una visione personalistica del potere e più di qualche tentazione di indebolire le tutele democratiche. L’ex presidente ha battezzato la sua stagione politica «la quarta trasformazione», laddove le prime tre sono nientepopodimeno che l’indipendenza, il periodo delle riforme e la rivoluzione messicana. E Sheinbaum vuole portare avanti il

«secondo capitolo» di questa transizione. Tuttavia, non tutte le sue idee convincono una comunità internazionale che ha guardato con perplessità all’operato di AMLO. Nonostante il passato da militante di sinistra, Sheinbaum vorrebbe lasciare ai militari la gestione di aeroporti e altri luoghi pubblici – «con un comandante civile, che sarò io» – ed è a favore dell’elezione diretta dei membri della Corte suprema, una mossa che rischia di politicizzare ulteriormente le istituzioni e che, sottolinea «The Economist», rischia di alienare le simpatie della Casa Bianca, qualora vi rimanesse Joe Biden. Sui rapporti con gli Stati Uniti pesa anche la crisi del Fentanyl, l’oppioide sintetico 50 volte più potente dell’eroina, che viene preparato in Messico e che l’anno scorso ha fatto 75mila morti. Il buon vicinato è ancora in larga parte da (ri)costruire. In campagna elettorale, mentre visitava una delle tante zone del Paese in mano a gang violente e narcotrafficanti, è stata assaltata da uomini mascherati che si sono poi rivelati essere degli attivisti che volevano indirizzare la sua attenzione sul tema della violenza nel Paese. López Obrador aveva deciso di usare «abbracci e non

proiettili» contro le gang, cercando di affrontare le cause sociali e lasciando di fatto campo libero ai cartelli, che terrorizzano la gente e non lasciano loro altra scelta che emigrare. La neo presidente, che a Città del Messico ha ottenuto dei discreti risultati con un approccio molto tecnocratico, ha promesso che rafforzerà la guardia nazionale e metterà regole più stringenti contro l’impunità. La reputazione del Paese, da questo punto di vista, è un grande punto debole: per gli investitori internazionali non è certo un posto attraente. Le femministe non sono convinte che la sua affermazione sia una vittoria per tutte, al di là della potenza simbolica. Nel Paese dal 2002 esistono delle quote e dal 2019 è in vigore la parità obbligatoria da un punto di vista costituzionale. E anche da un punto di vista simbolico, il distacco rispetto al padre politico López Obrador, che non poteva ricandidarsi e che continua ad avere un grande sostegno popolare nonostante i risultati modesti raggiunti, è cruciale. Il rischio che Claudia Sheinbaum rimanga solo una sua ventriloqua esiste. Ora che ha il potere, si spera che lo usi nel migliore dei modi.

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Madri lesbiche che lottano per i propri diritti

Italia ◆ Nel mese dell’orgoglio LGBTQIA+ la storia di alcune mamme non gestanti a cui è vietato accompagnare i figli a scuola oppure dal medico a causa di una circolare emanata nel 2023 dal Ministero dell’interno

Quando sono cominciate ad arrivare le buste verdi, Giulia aveva pochi mesi. Sentiva le sue due madri, Viola e Michela, discutere, preoccupate. Questi plichi contenevano le lettere per revocare a Michela, la madre non gestante di Giulia – quella cioè che non l’aveva partorita, ma l’aveva prima immaginata e poi vista nascere e crescere – i suoi diritti. Ad esempio, non avrebbe più potuto portare la figlia dal medico se fosse stata male, e nemmeno all’asilo. Per lo Stato italiano Michela doveva essere rimossa dalla famiglia diventando, di fatto, un’estranea.

L’ansia cresceva di settimana in settimana per Viola e Michela. Nonostante stessero gestendo l’iter burocratico con l’assistenza di un avvocato, cercando di prendere tempo, le missive continuavano a essere recapitate. Un giorno, come in un brutto sogno, la busta verde acqua aveva come destinataria Giulia. Viola si lascia andare a una risata sarcastica mentre ricorda: «Il postino, al citofono, insisteva perché facessi scendere Giulia, secondo lui avrebbe dovuto firmare direttamente lei la raccomandata. Mi sono presentata al cancello con la bimbetta in braccio, avvolta nella copertina, e gli ho detto “ecco Giulia, se vuole la faccia firmare”. Lui era rosso per l’imbarazzo». Ogni volta che arrivava una nuova busta verde Giulia piangeva. Era ancora troppo piccola per capire del tutto la situazione, dato che aveva solo nove mesi, ma cercava di afferrarla, metterla in bocca e farla a pezzi. Ad aprile 2023 il tribunale di Bergamo ha ordinato all’anagrafe di cancellare il nome di Michela dall’atto di nascita di Giulia.

L’esperienza traumatica ha riguardato donne che hanno fatto ricorso alla fecondazione assistita in Paesi come Spagna, Danimarca e Austria

L’esperienza della famiglia di Viola e Michela ha riguardato anche altre mamme lesbiche che avevano fatto ricorso alla fecondazione assistita in Paesi come Spagna, Danimarca e Austria. La procedura della procreazione artificiale (che nulla ha a che vedere con la gestazione per altri, chiamata anche «utero in affitto») non è consentita in Italia per le coppie omosessuali, ma soltanto per quelle eterosessuali. La pratica di andare all’estero, tornare e fare riconoscere i figli veniva «tollerata», malgrado non fosse mai stata approvata una legge apposita, ma con il Governo di Giorgia Meloni le circostanze sono cambiate. All’inizio del 2023 il Ministero dell’Interno ha emanato una circolare ordinando ai prefetti di interrompere le trascrizioni dei certificati dei figli nati dai genitori dello stesso sesso. Di conseguenza i Comuni italiani sono stati obbligati a sospendere la registrazione dei bambini. La misura, in certi casi, ha avuto effetto retroattivo, e quindi ha colpito anche famiglie con figli di sette oppure otto anni che, improvvisamente, hanno creduto di perdere una delle due madri.

Diverse coppie lesbiche italiane sono state costrette ad andare in tribunale; è accaduto in città come Padova, dove sono state coinvolte almeno trentatré famiglie, Bergamo, Brescia e Milano. Secondo le stime

delle associazioni per i diritti delle persone LGBTIQA+, ci sono potenziali conseguenze per circa mille e cinquecento minori. Le donne costituiscono il novanta per cento delle coppie genitoriali queer in Italia. Dato che il matrimonio gay è ancora illegale, possono soltanto ricorrere alle unioni civili e hanno meno diritti di quelle della maggior parte dell’Europa occidentale.

Le madri non partorienti raggiunte dalla scure del Governo meloniano non possono andare legalmente a prendere i propri figli a scuola, accompagnarli al pronto soccorso, viag-

giare con loro né chiedere il congedo per quando sono ammalati. Se le compagne gestanti (che hanno portato avanti la gravidanza e hanno partorito) dovessero morire, loro perderebbero ogni diritto legale.

Nella semi-indifferenza di gran parte della società, in tutta Italia le mamme lesbiche si stanno ribellando. Alcune hanno deciso di ricorrere contro le Procure, passando per le vie legali che però, per il momento, si sono rivelate inefficaci. L’unica soluzione certa è la stepchild adoption: le madri non gestanti devono adottare i propri figli, sottoponendosi a percorsi

Dal Pride alle regole in Svizzera

Giugno è il mese dell’orgoglio LGBTQIA+ (in inglese Pride Month ), un periodo durante il quale si svolgono eventi e iniziative che celebrano le conquiste e la visibilità della comunità lesbica, gay, bisessuale, transgender, queer, intersex, asessuale e di chiunque non si rispecchi nella definizione di eterosessuale. Il culmine di questi eventi è la marcia del Pride, un tempo nota come Gay Pride, che si svolge in molte città del mondo (in alcune rimane un evento osteggiato).

Ora uno sguardo alla Svizzera. Nel 2021 il popolo elvetico ha approva -

to la modifica del Codice civile che ha legalizzato il matrimonio per tutti e tutte, eliminando le disparità giuridiche tra coppie etero e omosessuali nell’ambito della naturalizzazione agevolata, dell’adozione e della medicina della procreazione. Due coniugi dello stesso sesso possono ora adottare un figlio. Le coppie di donne unite in matrimonio hanno accesso alla donazione di sperma. Rimangono invece vietate le donazioni di sperma anonime, le donazioni di ovociti e la maternità surrogata. / RED.

«faticosi e dolorosi», come dicono loro stesse, che prevedono visite con psicologi e assistenti sociali deputati a sancire la loro idoneità di genitrici. Senza contare il costo economico, che può superare i cinquemila euro per figlio. Anche se in teoria non sarebbe necessario, per affrontare la burocrazia è auspicabile farsi seguire da un avvocato.

Dopo attente valutazioni, Michela e Viola hanno optato per l’adozione. Spiega Michela: «La trafila ci ha costrette a un incontro con i carabinieri, ai quali ho portato le buste paga e i documenti della casa, e a svariati appuntamenti con assistenti sociali e psicologi. Le spese legali sono arrivate a tremilatrecento euro. In più ci sono stati i costi degli esami medici obbligatori che avrebbero richiesto troppo tempo con il servizio sanitario nazionale, ad esempio i centotrenta euro per un test per la tubercolosi». Nella villetta in provincia di Padova, dove Elisa e Sara vivono con due bambini di sette e cinque anni e due gemelle di pochi mesi, la fase è particolarmente caotica non soltanto per i giochi sparsi, la musica e gli urletti delle bimbe che a turni ravvicinati chiedono la pappa e hanno bisogno del cambio del pannolino. Carlo, il primogenito, è nato quando a Padova il sindaco ancora non firmava gli atti di nascita. Elisa ci osserva rassegnata da dietro gli occhiali e allarga le braccia. Racconta: «Nel 2016, dopo averlo partorito, per registrare Carlo all’anagrafe ho dovuto compilare un modulo in ospedale mentendo e dichiarando di essermi unita carnalmente con un uomo che aveva deciso di non riconoscere il bambino appena nato». Col secondo, Cesare, nato nel 2019, la situazione sembrava migliorata perché il riconoscimento della seconda madre era stato approvato, salvo poi venire impugnato. Idem con le gemelle, partorite da Sara nel 2023. Secondo Ilaria Todde, advocacy director dell’associazione EL*C, Euro Central Asian Lesbian* Community con base a Vienna, in Austria, «i partiti di estrema destra stanno facendo dei corpi delle donne e delle persone trans il loro campo di battaglia pre-

ferito e l’Italia viene utilizzata come banco di prova». E avverte: «Dobbiamo mobilitarci per fare sentire le nostre voci, e non solo alle elezioni europee, perché le politiche di odio non devono passare».

Altre due mamme, che vivono in provincia di Bergamo, sono state raggiunte dalle buste verdi, ma sono riuscite a «salvarsi» per un cavillo burocratico. Racconta S., la madre non gestante: «Nonostante a noi sia andata bene, siamo sconcertate dal disinteresse generale della società. Sembra di essere ai tempi dei “rastrellamenti”, il modus operandi è lo stesso: vanno a vedere chi siamo e ci prendono». Silvia (nome di fantasia) abita in provincia di Milano e ha gli occhi lucidi mentre ripercorre la sua vicenda. Quando le chiediamo se vuole farsi ritrarre da sola, si rattrista ancora di più e scuote la testa. «Per la foto voglio avere mia figlia Ludovica in braccio, senza di lei mi sento persa. Perché devo essere considerata meno madre di chi l’ha partorita? Tutto questo è umiliante: l’idea di adottare mia figlia è deprimente. L’ho vista nascere, la sto crescendo. A nessuna coppia eterosessuale viene domandato lo stesso».

Il lato più assurdo, raccontano due madri della provincia di Brescia, «risparmiate» per puro caso dalla misura meloniana, ma comunque indignate, è la discrepanza tra la politica italiana e la società civile. «Viviamo in un paesino e non ci siamo mai sentite emarginate. Anche all’asilo gli altri genitori e le educatrici ci hanno sempre rispettate. Per esempio, quando c’è stata la festa del papà, le maestre ci hanno chiesto come ci saremmo immaginate quella giornata, perché non avrebbero voluto mettere in difficoltà la nostra bambina. Il risultato è stato che lei ha fatto un bigliettino per noi, che siamo le sue due mamme».

Il servizio è stato realizzato con il supporto di International Women’s Media Foundation (https://www.iwmf.org), in particolare The Howard G. Buffett Fund for Women Journalists.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 10 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino ATTUALITÀ 27
Viola e Michela con la loro bimba Giulia e, sotto, Elisa e Sara con i loro quattro figli.

ATTUALITÀ

L’intervista

«Il caso non esiste. Il nostro percorso è predeterminato, dobbiamo andare da A a B. Tuttavia, è responsabilità di ogni individuo decidere se prendere la strada più breve o quella più lunga».

Rivella o Prosecco, Michelle Hunziker?

Sul Monte Generoso abbiamo posto alla star televisiva 28 domande secche

1 Italiano o svizzero tedesco?

Italiano. So parlare lo svizzero tedesco, ma non ho un buon lessico (dice in autentico tedesco bernese. L’intervista è condotta in italiano).

2 20 o 50?

In ogni caso 50! A vent’anni cercavo la mia strada, cercavo di trovare il mio posto nella vita. Avevo già un’idea di dove volevo andare, ma ho fatto fatica. Oggi mi sento liberata dalle opinioni e dai giudizi degli altri. So esattamente cosa voglio e lo difendo. Con l’età si diventa più saggi.

3 Caso o destino?

Il caso non esiste. Il nostro percorso è predeterminato, dobbiamo andare da A a B. Tuttavia, è responsabilità di ogni individuo decidere se prendere la strada più breve o quella più lunga.

4 Sostenibile o effimero?

Sostenibile. Sono una persona che vive molto consapevolmente nel presente, ma sempre con un occhio al futuro e sempre con grande rispetto per l’ambiente.

5 Sole o luna?

Sole, che è anche il nome di una delle mie figlie. Preferisco il giorno alla notte, sono mattiniera. Mi alzo alle sei, faccio sport, poi porto i bambini a scuola e lavoro. Le mie giornate sono molto produttive. Ma

questo significa anche che verso le dieci di sera sono stanca e devo andare a letto. A volte trasformo la notte in giorno, ma a lungo andare mi stancherei troppo.

6 Ballare o cantare?

È una decisione difficile. Entrambi sono espressione di gioia. Ma se devo scegliere, allora scelgo il canto, perché canto sempre: sotto la doccia, in macchina, con le mie ragazze, persino per strada.

7 Monte Generoso o Cervino?

Oggi sono per la prima volta sul Monte Generoso e sono assolutamente entusiasta di potermi trovare in mezzo a questo paradiso naturale a un’ora da Milano. Ma da appassionata sciatrice, devo dire: il Cervino!

8 Preferisce sciare sul versante italiano o su quello svizzero del comprensorio di Zermatt? Sul versante svizzero.

9 Montagna o mare?

Le montagne sono il posto migliore per recuperare le energie. Ad esempio in Engadina.

10 Guardare indietro o guardare avanti?

Concentrarsi sul presente. Il passato è già passato, il futuro non è ancora arrivato. Ecco perché voglio vivere consapevolmente nel presente.

11 Cioccolato o pizza?

Pizza. La mia preferita è la classica margherita, al massimo con mozzarella di bufala.

12 Vespa o bicicletta?

Mi piace andare in bicicletta.

13 Bicicletta con o senza motore?

Anche una bicicletta elettrica può essere sportiva, perché permette di andare più lontano e di raggiungere vette più alte. Ma a me piace molto andare in mountain bike durante le vacanze in montagna.

14 Cucinare o ordinare da mangiare?

Ordinare da mangiare. Spesso non ho voglia di cucinare. Purtroppo le mie giornate così piene di impegni non mi permettono di mangiare più spesso al ristorante.

15 A casa o in viaggio?

Mi piace viaggiare. Ma a casa posso stare con le mie figlie. E posso condurre uno stile di vita più sano, perché so esattamente cosa voglio mangiare.

16 Milano o Lugano? Milano. È la mia casa da 27 anni.

17 Netflix o cinema?

Le serie, per distrarmi non pensare a niente. Non è necessario che sia qualcosa di intelligente. Al mo-

La ferrovia del Monte Generoso premiata per la sostenibilità

La storica ferrovia a cremagliera che va da Capolago al Monte Generoso ha ottenuto il massimo certificato di sostenibilità «Swisstainable Level III» da Svizzera Turismo. Questo onora il suo impegno a proteggere la biodiversità, a evitare gli sprechi e a vivere nella natura. La ferrovia è alimentata al cento per cento da fonti di energia rinnovabili. Per l’occasione, Michelle Hunziker ha visitato il Monte Generoso alla fine di maggio come ambasciatrice di Svizzera Turismo, dove l’abbiamo incontrata per una chiacchierata. La Ferrovia del Monte Generoso è sostenuta dal Percento culturale Migros.

mento sto guardando The Gentleman, ma le ho viste tutte: The Queen’s Gambit, Stranger Things

18 Cane o gatto?

Cane. Ne ho ben tre. Un levriero di nome Odine, un barboncino di nome Leone e Lilly Junior, il mio piccolo Chihuahua.

19 Pianificare o decidere spontaneamente?

Sono una persona spontanea. Ma in famiglia non funziona niente senza una pianificazione.

20 Parapendio o sedia a sdraio?

Nessuno dei due, ma sicuramente non il parapendio. Sono anche riluttante a salire su un aereo e sono sempre felice quando sento di nuovo la terra sotto i piedi. Preferisco vivere il mio amore per l’avventura nell’elemento acqua.

21 Un weekend romantico o una serata tra donne? Una serata tra donne. Non importa dove, l’importante è stare con le mie amiche.

22 Il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto? Sono un’ottimista. Sempre.

23 Città o campagna? La natura. Il mio lavoro mi costringe

Michelle Hunziker (47) La conduttrice televisiva, attrice e cantante è una delle più note star svizzere da esportazione. Da 27 anni presenta con grande successo vari programmi televisivi in Italia tra cui il Festival di Sanremo ed è stata celebrata come simpatica co-presentatrice di «Wetten, dass...». Nata a Berna, da tre anni è ambasciatrice di Svizzera Turismo in Italia. Michelle Hunziker vive a Milano con le due figlie minori e tre cani.

a vivere in città. Ma ora sto cercando una bella casa di campagna come compensazione. La mia regione preferita è la Franciacorta, in Lombardia. Ho molti amici lì ed è vicino a Milano.

24 Sport o divano? Sport. Attualmente lavoro sette giorni su sette e mi alleno tre volte alla settimana. Se ho più tempo, quattro volte. Ma non di più, perché la rigenerazione è importante anche nello sport.

25 Allenamento della forza o sport di resistenza? Pratico il Kyokushin, un tipo di karate con pieno contatto, e sollevo pesi.

26 Aperitivo o dessert? Aperitivo. Non mi piacciono molto i dolci.

27 Rivella o Prosecco? Se devo scegliere tra questi due, allora Rivella. Se mi offre però un Franciacorta o uno champagne è diverso; rinuncio alla Rivella.

28 Sprecona o risparmiatrice? Spendo molto per gli altri. Mi piace viziare la mia famiglia, ad esempio con del buon cibo o con dei bei viaggi. Ma non lo chiamerei spreco, piuttosto generosità. Tuttavia, non sono una risparmiatrice. Si vive una volta sola. E io voglio godermi ogni giorno.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 10 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 28
Testo Nina Huber
Foto: Svizzera Turismo Italia
Monte Generoso

Combinando vari studi relativi alle dinamiche demografiche in 204 Paesi emerge che il tasso di fertilità nel mondo negli ultimi 70 anni si è dimezzato. (Keystone)

La Chiesa e la sessualità

Cattolicesimo ◆ Dalle uscite avventate del Papa al problema della denatalità

Gli allarmi profetici convivono con la fatica a stare al passo coi tempi

Ha fatto il giro di mondo l’avventata uscita di papa Francesco sulla «troppa frociaggine» nei seminari. Parole sbagliate pronunciate in un incontro a porte chiuse, ma davanti a 230 vescovi italiani: non il posto migliore perché rimanessero dentro a una stanza. Lo stesso pontefice del «chi sono io per giudicare?» è inciampato sulla questione dell’omosessualità. Con un’espressione per la quale si è scusato, con la classica nota da ufficio stampa chiamato a rimediare a un pasticcio. E ha anche risposto a un aspirante seminarista gay, invitandolo ad andare avanti con la sua vocazione. Distinzione tra «la categoria in sé» e le storie personali, che è un tratto interessante dell’uomo Jorge Mario Bergoglio, ma si espone a tante contraddizioni per la guida di una Chiesa cattolica che – piaccia o no – come tutte le organizzazioni ha bisogno di regole. La verità è che tutta questa vicenda non ha fatto altro che confermare la perdurante difficoltà della Chiesa cattolica a fare i conti con tutto ciò che ha a che fare con la dimensione della sessualità. La distanza tra la rigidità della dottrina cattolica in materia e le nuove generazioni di oggi ormai è siderale; e compromette anche quell’orizzonte di senso nella sfera affettiva che il cristianesimo aspirerebbe a comunicare e che in realtà, in un mondo dove tutto è ridotto a mercato, oggi molti giovani cercherebbero anche. Lo si vede in maniera ancora più clamorosa anche in un altro ambito: quello del cosiddetto «inverno demografico». Sempre di recente papa Francesco ha voluto celebrare per la prima volta a Roma una Giornata mondiale dei bambini, con tanto di maxi-evento allo Stadio Olimpico contornato dalle solite star dello sport e dello spettacolo. La settimana prima, poi, Bergoglio era anche intervenuto di persona agli Stati generali della natalità, kermesse promossa dall’associazionismo familiare cattolico italiano per riflettere sulle politiche in favore della natalità.

Negli ultimi anni papa Francesco torna sempre più spesso sul tema del calo demografico e non glielo si può certo rimproverare: è uno dei leader mondiali che ha capito che sta succedendo qualcosa di epocale nel mondo di oggi. Lo scenario «tanti vecchi e

pochi bambini» infatti non è più solo appannaggio dei Paesi dove il benessere è diffuso. È un fenomeno globale, che attraversa ogni Continente. Già da tempo è una sfida per l’Estremo Oriente, dove la Corea del Sud e il Giappone sono i Paesi con i più bassi tassi di fecondità al mondo e l’età media più avanzata. È un problema oggi per la Cina, che archiviati gli anni della rigidissima politica del figlio unico è passata in fretta (con scarsi risultati) all’approccio opposto degli incentivi per la natalità. Ora, però, i segnali del calo delle nascite cominciano ad avvertirsi chiari in Asia meridionale: in India ma anche in un Paese come il Bangladesh. E persino nell’Africa sub-sahariana la tendenza starebbe invertendosi.

Lo stesso pontefice del «chi sono io per giudicare?» è inciampato sulla questione dell’omosessualità

A sostenerlo è un’analisi demografica su una gigantesca mole di dati realizzata dall’Institute for Health Metrics and Evaluation dell’Università di Washington e pubblicata qualche mese fa sulla prestigiosa rivista scientifica britannica «The Lancet». Questo studio sostiene che, se i trend attuali dovessero andare avanti immutati, nel 2100 appena 6 Paesi al mondo raggiungeranno ancora un tasso di fertilità di 2,1 figli per donna, ovvero la cosiddetta «soglia di sostituzione» che permette di mantenere stabile la popolazione nel lungo termine. Gli stessi ambienti scientifici che a lungo hanno gridato alla «bomba demografica» dunque, oggi stanno lanciando un messaggio esattamente contrario: combinando con sistemi sofisticati migliaia di studi relativi alle dinamiche demografiche in 204 Paesi emerge che il tasso di fertilità nel mondo negli ultimi settant’anni si è dimezzato scendendo dal 4,84 del 1950 al 2,23 del 2021. Ma, secondo le proiezioni, proseguendo con le dinamiche attuali scenderebbe all’1,83 nel 2050 e addirittura al 1,59 nel 2100. Tradotto in numeri assoluti: le nascite nel mondo avrebbero raggiunto il loro picco nel 2016 toccando quota 142 milioni. Nel 2021 sarebbero già scese

Tre volte premier

Elezioni indiane ◆ L’ennesima vittoria di Narendra Modi suona come una sconfitta, ecco perché

Francesca Marino

a 129 milioni. Ma se il modello statistico fosse confermato, nei prossimi decenni calerebbero ulteriormente arrivando a 112 milioni nel 2050 e (addirittura) a 72 milioni nel 2100. È evidente che, più si allunga l’arco di tempo considerato, più questi dati vanno presi con le molle. Ma offrono comunque la fotografia di una tendenza oggi in atto. Papa Francesco l’ha colta e additata come una delle grandi sfide del nostro tempo. Sfida che, però, è anche culturale. Proprio agli Stati generali della natalità ha fatto discutere la contestazione di alcuni giovani che hanno impedito di parlare alla ministra della famiglia Eugenia Roccella. Questi ragazzi non esprimevano un malcontento per l’assenza di buone prospettive di lavoro non precario o politiche giovanili; rigettavano proprio l’idea in sé che la natalità, per un Paese, sia un valore da promuovere; l’idea che diventare genitori (e magari avere anche più di un figlio) sia un obiettivo nella vita.

Qualcosa di molto simile sta succedendo in Cina dove – a Xi Jinping che, per questioni di sicurezza sociale, torna a premere perché le coppie giovani generino più figli – i giovani cinesi rispondono con il movimento dei Tangping («gli sdraiati»): uno dei cinque no attraverso cui esprimono il loro disagio rispetto alla società cinese di oggi (no alle pressioni per farsi una carriera, no acquistare una casa, no a spingere i consumi ecc.) è proprio «non avere figli».

L’«inverno demografico» non è tanto un problema da risolvere a suon di bonus e sussidi, ma una sfida di senso. Per invertire la tendenza, e non rassegnarsi a un mondo di vecchi, occorrerebbe prenderla sul serio e offrire le ragioni che stanno dietro alla scelta di mettere al mondo un figlio. La Chiesa questo lo sa, ma appare impotente: non può pensare di riuscire a farlo senza ripensare con i giovani di oggi il suo sguardo sulla sessualità. Agli Stati generali della natalità papa Francesco ha accostato le aziende farmaceutiche che producono contraccettivi alle fabbriche di armi che producono bombe. Sono parole passate più inosservate di quelle sulla «frociaggine». Ma per quelli che oggi dovrebbero essere i destinatari dell’appello a fare figli, quelle parole probabilmente sono suonate ancora più sbagliate.

Ancora una volta ha vinto l’India. Quell’India dove la democrazia non è affatto morta, come cantavano da tanto tempo analisti occidentali, ma è viva e vegeta e decide ogni volta per conto suo, che il verdetto piaccia oppure no al resto del mondo. Narendra Modi (nella foto) diventa per la terza volta consecutiva premier della più grande democrazia del mondo. Prima di lui c’era riuscito soltanto Jawaharlal Nehru, uno dei padri fondatori dell’India moderna. Nehru, il bisnonno dell’attuale leader dell’opposizione Rahul Gandhi, aveva governato ininterrottamente il Paese per sedici anni: alla sua morte il potere era passato nelle mani della figlia Indira Gandhi (la nonna di Rahul) che ha governato anch’essa per undici anni sia pure non ininterrottamente. Indira, oltre a essere stata l’unica donna premier dell’India, è anche l’unica ad aver mai sospeso nel Paese le libertà civili, dichiarando lo stato di emergenza per due anni. Alla sua morte il Governo del Paese era passato poi a suo figlio Rajiv, padre di Rahul. Curiosamente, però, all’epoca nessuno aveva mai messo in dubbio lo stato e la salute delle istituzioni democratiche indiane paventando il dominio ininterrotto di un solo partito politico: ma questa è un’altra storia. La storia di questi giorni registra l’ennesima vittoria di Modi percepita però come una sconfitta perché, per la prima volta, il partito del premier, il Bharatiya janata party (Bjp), non conquista la maggioranza assoluta dei 272 seggi necessaria a governare. Pur confermandosi difatti il primo partito del Paese, visto che ottiene da solo 240 seggi contro i 234 ottenuti dalla coalizione di più di venti partiti all’opposizione, avrà bisogno per governare dei partiti che formano la coalizione con cui il Bjp si presentava alle urne, la National democratic alliance (Nda). L’opposizione, guidata da Rahul Gandhi del partito del Congress, ottiene risultati superiori alle aspettative visto anche che la Indian national developmental inclusive alliance (dall’ostico nome le cui iniziali compongono però la parola India) comprendeva più di venti partiti senza altro in comune che la volontà di sconfiggere il partito al Governo. Sono andati alle urne 642 milioni di cittadini indiani su più di 950 milioni di aventi diritto, nonostante nelle ultime tornate elettorali le temperature in alcune zone sfiorassero i 50 gradi. Hanno votato 312 milioni di donne, il 43% dell’elettorato. Dimostrando ancora una volta che l’India è la più grande democrazia del mondo, nonostante tutto.

Nonostante l’opposizione avesse minacciato sommosse se i risultati delle urne avessero coinciso con i risultati degli exit-poll che davano ancora una volta Modi vincitore assoluto, nonostante i vari funerali alla democrazia celebrati all’estero e in patria dagli oppositori del Governo. In realtà, a pesare sul risultato, non sono state questioni ideologiche ma faccende squisitamente pratiche. Anzitutto, statisticamente e a qualunque latitudine, è difficile vincere trionfalmente un terzo mandato di Governo a meno che la democrazia sia puramente formale. È difficile anche perché, come è successo in India, a quel punto è facile riposare sugli allori e perdere contatto con la famosa «base» costituita in questo caso da quella classe media che è storicamente lo zoccolo duro dell’elettorato di Modi. La mancanza di posti di lavoro per migliaia di giovani appartenenti alla piccola e media borghesia ha pesato sul voto, e molto. Così come ha pesato la campagna dell’opposizione in cui si ventilava la possibilità che il Governo cambiasse le quote riservate alle caste e alle classi disagiate: in soldoni, che il Governo abolisse i privilegi storicamente riservati alle minoranze etniche o religiose e alle caste basse o ai fuori-casta in termini di accesso ai lavori nella pubblica amministrazione, alle università e via dicendo. Vale la pena ricordare, per completezza di informazione, che etnia, religione o casta non hanno alcun rapporto né con la classe sociale di un individuo e nemmeno con i redditi percepiti. La campagna elettorale condotta dal Governo si è inoltre rivelata in più di un caso autolesionista: e i cittadini di religione islamica, che in passato avevano spesso votato per Modi, hanno votato compatti per l’opposizione a causa di alcune osservazioni quantomeno incaute fatte dal primo ministro. Tenere le redini di un Governo di coalizione, e dover mercanteggiare ogni provvedimento, sarà certamente più difficile. Resta da vedere se i leader della coalizione seguiranno le linee del Governo in materia, ad esempio, di politica estera o di economia. E se Modi riuscirà per esempio ad affrontare il nodo del cosiddetto Uniform Civil Code, promulgare cioè un codice unico che assoggetti a regole uniformi in materia di diritto di famiglia e questioni ereditarie tutti i cittadini senza distinzione di religione o etnia. Intanto il Governo si appresta per la terza volta a mettersi al lavoro e l’opposizione non si da per vinta corteggiando i membri dell’Nda perchè cambino casacca. Non resta che stare a vedere.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 10 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino ATTUALITÀ 29
Keystone
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Per multinazionali responsabili

Prospettive ◆ L’Ue ha approvato una legge che obbliga le grandi aziende a rispettare diritti umani e ambiente. Intanto in Svizzera si sviluppa un dibattito per allinearsi alle norme europee

La democrazia diretta svizzera è fatta anche così: a volte si riparte per un altro giro di giostra. Capita quando un argomento, su cui si è già votato, viene riproposto in vista di un’ulteriore chiamata alle urne, ed è quanto potrebbe succedere in merito alla responsabilità sociale e ambientale delle multinazionali. Un tema scottante, di mezzo c’è, per esempio, il grande scandalo del lavoro minorile nel mondo. La prima votazione popolare su questo tema era andata in scena nel 2020, in piena pandemia, dopo un lungo e tesissimo iter parlamentare e una campagna politica che aveva infiammato il Paese. Il risultato di quella consultazione aveva subito lasciato capire che la partita non era chiusa. L’iniziativa chiamata «Per imprese responsabili, a tutela dell’essere umano e dell’ambiente» era stata approvata dal 50,7% dei cittadini ma bocciata da 17 Cantoni. Un esito decisamente atipico, visto che tra le oltre 350 iniziative proposte nella storia del nostro Paese, soltanto dieci sono state finora bocciate perché non è stata raggiunta la doppia maggioranza. Sul tema della responsabilità delle multinazionali c’era però, seppur di misura, il sostegno popolare in un Paese uscito spaccato in due dalle urne e con una sorta di «Röstigraben» con cui fare i conti. Da una parte i Cantoni svizzero-tedeschi, quasi tutti contrari, e dall’altra quelli romandi, che con il Ticino si erano invece schierati sul fronte dei favorevoli.

L’iniziativa, votata nel 2020, chiamata «Per imprese responsabili» era stata approvata dal 50,7% dei cittadini ma bocciata da 17 Cantoni

Ora la sfida è di nuovo approdata a Berna e, a servirla sul tavolo della politica federale, ci ha pensato l’Unione europea. E quando c’è di mezzo Bruxelles nel nostro Paese non mancano mai i mal di pancia. Ma andiamo con ordine. Lo scorso mese di aprile i 27 Paesi membri dell’Ue hanno infatti approvato la cosiddetta «Direttiva relativa al dovere di diligenza» destinata alle grandi aziende che operano nel mondo intero a partire dal mercato unico comunitario. Una legge che obbliga le multinazionali con un fatturato annuo di almeno 450 milioni e con più di mille dipendenti a rispettare i diritti umani e a garantire la protezione dell’ambiente. La norma si applica lungo l’intera catena di produzione di queste società. Bruxelles è chiamata anche a istituire un’autorità di controllo, che potrà sanzionare chi non dovesse rispettare questa direttiva, con multe che possono raggiungere il 5% del fatturato annuale. Gli Stati membri dell’Ue hanno ora due anni di tempo per adattare la loro legislazione nazionale. Fin qui, in grandi linee, il capitolo europeo di questa faccenda, che riprende di fatto quanto prevedeva l’iniziativa votata nel 2020 e che al contempo fa adesso della Svizzera una vera isola in mezzo al Vecchio Continente.

Il nostro Paese rimane l’unico in Europa a non disporre di una legge in materia, anche se la bocciatura dell’iniziativa ha portato alla messa in vigore all’inizio del 2022 di un controprogetto indiretto che prevede che le multinazionali con sede in Svizzera

presentino annualmente un rapporto sul rispetto dei diritti umani e ambientali, in linea con quanto prevedono in questo ambito le Nazioni unite e l’OCSE, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo in Europa. Non sono però previste sanzioni per chi dovesse violare queste norme. Un controprogetto fortemente voluto dal mondo economico ma considerato troppo blando da chi quattro anni fa si era schierato a favore dell’iniziativa. Un fronte che ora è pronto a riportare la tematica al centro del dibattito politico e a lanciare una seconda iniziativa sulla responsabilità delle multinazionali.

Dal 2022 le multinazionali con sede in Svizzera devono presentare annualmente un rapporto sul rispetto dei diritti umani e ambientali

A inizio giugno questa alleanza è tornata a farsi sentire, e lo fa con la forza delle 80 organizzazioni che la compongono e che costantemente denunciano la violazione dei diritti fondamentali a opera anche di società svizzere. Un fronte che ha anche lanciato una petizione, sottoscritta da oltre 200mila persone, e che si sta già muovendo pure nei confronti del Consiglio federale, sollecitato ora a elaborare una legge in materia. L’i-

niziativa popolare va vista come una sorta di secondo obiettivo, da porre in campo se dal Governo non dovessero scaturire proposte all’altezza di questa sfida. Su questo punto va detto che, secondo quando riportato dalla stampa svizzero-tedesca, il Consiglio federale al momento non sarebbe intenzionato a riaprire celermente questo capitolo. A Berna si preferisce tergiversare per capire come si muoveranno ora i singoli Stati membri dell’Ue e quale tipo di leggi decideranno di forgiare. Sul tema si è già espressa anche Economiesuisse, tra i più feroci oppositori della prima iniziativa. Per la federazione delle imprese svizzere il nostro Paese è ora chiamato a riprendere la direttiva Ue sulle multinazionali, anche perché le catene di produzione europee coinvolgono spesso anche società elvetiche, e tra loro pure parecchie piccole e medie imprese. Una nuova legge è necessaria, proprio per garantire l’accesso al mercato unico comunitario. Ciò che importa, a detta di Economiesuisse, è che il nostro Paese agisca senza appesantire il carico burocratico con cui le imprese sono già oggi confrontate. Si intravvede dunque una sorta di via libera da parte di chi rappresenta la grande industria svizzera.

Un elemento di novità rispetto all’iniziativa di quattro anni fa, a cui si aggiunge anche la posizione di un nutrito gruppo di parlamentari bor-

Fra i Libri

Il Parlamento europeo. Simbolo o motore dell’Unione?, Claudio Martinelli, Il Mulino, marzo 2024. Le elezioni europee che si sono appena svolte nei 27 Stati membri dell’Unione riguardano anche la Svizzera che, anche se non fa parte del blocco, persegue una politica europea di accordi bilaterali settoriali. Così si legge nell’aggiornato studio di Claudio Martinelli, il cui saggio si trova all’incrocio tra saggistica storica e «invito alla lettura». L’autore rifiuta infatti, per il suo libro, l’etichetta di manuale, descrivendolo invece come concepito per «suscitare l’interesse dei cittadini» attorno al fenomeno noto come Parlamento europeo (Pe).

Il saggio parte da una domanda: quest’assemblea è solo un simbolo o è invece il motore dell’Unione? L’Ue è un ideale e un progetto di pace che si sviluppa in quel che resta dell’Europa ridotta in macerie dalle due guerre mondiali (le «guerre civili europee del XX secolo») ma che ha molti antenati (dagli imperatori del medioevo al Kant di Per la pace perpetua del 1795, passando per il Manifesto di Ventotene del 1941).

ghesi, che nella prima chiamata alle urne si erano invece schierati sul fronte dei contrari. Allora questo tipo di opposizione non voleva che il nostro Paese facesse da pioniere in materia, per non compromettere la capacità competitiva dell’economia elvetica. Insomma, il dovere di diligenza va bene, ma deve essere applicato perlomeno su scala europea. Un cambio di marcia che ora è a portata di mano, anche se si è solo all’inizio di questo nuovo di iter legislativo con l’obiettivo di allineare il nostro Paese alle norme europee. E con un appunto conclusivo che prendiamo in prestito dall’ex senatore ticinese Dick Marty, scomparso nel dicembre scorso e tra i maggiori fautori della prima iniziativa. Nel suo libro Verità irriverenti, Marty ricorda quella battaglia politica «una straordinaria esperienza umana» e sottolinea tra l’altro un punto relativo alla doppia maggioranza, citando Jean-François Aubert, uno dei massimi costituzionalisti del nostro Paese. Aubert «aveva formulato una critica che appare del tutto pertinente: quando l’iniziativa è approvata dal popolo, il voto dei Cantoni deve essere considerato solo se la norma in votazione ha delle implicazioni a livello cantonale. Nella fattispecie non era assolutamente il caso». In altri termini, da rivedere c’è forse anche questo meccanismo della nostra democrazia diretta. Ma questo è un altro discorso.

Istituzione sovranazionale, il Pe ha un carattere decisamente diverso dalle tradizionali assemblee degli Stati-Nazione continentali. Come mai? Sia la Ceca (Comunità europea del carbone e dell’acciaio, nata nel 1952 come antenato della Ue) sia la Cee (Comunità economica europea, il vecchio nome dell’attuale Unione europea, sorta nel 1957) nascono senza un Parlamento eletto dalle popolazioni. I membri dell’Assemblea della Ceca prima e del Pe Cee/Ue poi, sono infatti selezionati dai rispettivi Parlamenti nazionali. Quindi il Pe nasce non come protagonista, bensì come «istituzione in una posizione defilata e secondaria rispetto ad altre ben più dotate di poteri decisionali: il Consiglio, la Commissione, la Corte di giustizia». Questo è «generalmente accettato dalle classi politiche, ma non dai movimenti federalisti. Fino alla fine degli anni Settanta il carattere peculiare del Pe era di essere un’assemblea non direttamente elettiva, bensì designata dai Parlamenti nazionali. Questa era il punto cruciale che determinava alla radice la subalternità del Pe, sostanzialmente ridotto a esercitare funzioni simboliche». La svolta – dice Martinelli – si verifica nel 1979, quando «si tennero le prime elezioni per il Pe a suffragio universale diretto. I cittadini vennero finalmente chiamati a eleggere i loro rappresentanti nel Pe, in libere elezioni in cui potevano scegliere partiti e deputati». Tuttavia, per ora, l’assetto europeo resta invariato: non c’è nessun cambiamento dei trattati e le prerogative del Pe rimangono inalterate. Eppure un’assemblea eletta ha un sapore diverso, cosa che innesca «un processo irreversibile», «uno storico salto di qualità» che, col tempo, porta il Parlamento europeo a «un ruolo sempre più rilevante nell’architettura europea». Altri momenti cruciali di questa evoluzione sono il Trattato di Maastricht (1992) e di Lisbona (2007), le cui trasformazioni inseriscono pienamente l’assemblea «nei processi decisionali dell’Ue, con pari dignità rispetto a quegli organi che in precedenza lo surclassavano quanto a poteri specifici e autorevolezza politica». Ora il Parlamento europeo non è più irrilevante: non è più un simbolo, bensì un motore che gioca un ruolo decisionale di primo piano. Nel saggio citato, funzionamento e ruolo di questa istituzione sono spiegati al lettore in termini agili, semplici e accessibili a tutti.

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Matrimonio o concubinato?

Svizzera ◆ Vantaggi e svantaggi economici delle due situazioni, a partire dall’aumento delle imposte per i coniugi. Ma nei casi estremi «vincono» loro

In attesa dell’arrivo in campo politico nazionale dell’iniziativa contro la «penalizzazione del matrimonio», e probabilmente anche di quella per una revisione delle rendite AVS per le coppie sposate, il problema del trattamento sfavorevole di questo tipo di vita in comune torna quasi regolarmente d’attualità. Ciononostante la gente continua a sposarsi. Ma, soprattutto tra i giovani che affrontano la nuova vita con gioia ed entusiasmo, comincia a serpeggiare un certo malcontento, in particolare al momento di compilare la prima dichiarazione d’imposta.

Magari chi ha vissuto una fase di cambiamento si accorge di aver perso i vantaggi della vita precedente il suo matrimonio. Prima ognuno viene considerato persona singola anche se vive in concubinato, reddito e sostanza restano appannaggio del singolo individuo, mentre con il matrimonio si crea una comunità di vita. Da qui in avanti le decisioni vengono prese in comune, ma possono già nascere controversie quando una delle parti decide per conto suo. Ma al di là di tutte le questioni giuridiche che possono sorgere, il fisco gioca un ruolo importante, dal momento che non considera più il singolo individuo, ma la «comunità» che è nata. La conseguenza è che i redditi e la sostanza dei due coniugi vengono sommati e provocano ge-

neralmente un aumento delle imposte. Solo quando uno solo dei coniugi produce un reddito, o il reddito dell’altro coniuge è molto basso, la coppia può avere qualche vantaggio. Gli specialisti hanno calcolato che due coniugi con un reddito tra i 75’000 e i 125’000 franchi ognuno pagano più imposte di quelle delle persone singole sommate. Come accennato all’inizio, c’è un ennesimo tentativo di eliminare questa disparità, ma la proposta di «tassazione individuale» del Consiglio federale non incontra molti favori (vedi «Azione» dell’8.1.2024 e del 4.3.2024). Tuttavia anche coloro che accettano questa disparità si trovano di nuovo svantaggiati al momento del pensionamento. Infatti, anche se entrambi i coniugi hanno pagato i contributi AVS, la loro rendita non sarà doppia, ma solo una volta e mezzo la rendita singola. I concubini ricevono ognuno la propria rendita tra il minimo e il massimo (cioè oggi tra 1225 franchi mensili e 2450 franchi) che sommati significano tra i 2450 e i 4900 franchi mensili. Le coppie sposate riceveranno invece una rendita mensile fra i 1633 e i 3675 franchi mensili.

Se poi si considerano le singole spese per la vita di coppie sposate, già lo stesso matrimonio costa tra i 20’000 e i 100’000 franchi, secondo i calcoli dell’Associazione svizzera pianificato-

ri di matrimoni indipendenti. Per non parlare poi di un’eventuale separazione o divorzio (e si tratta del 50% circa dei matrimoni conclusi ogni anno). I più costosi sono gli avvocati che – a seconda dei Cantoni – calcolano il loro onorario fra i 200 e i 600 franchi l’ora. Costa meno se, con il matrimonio, si è concluso anche un contratto matrimoniale con separazione dei beni. Se no la sostanza accumulata dopo il matrimonio viene divisa per due. Anche in caso di debiti fatti dopo il matrimonio, per i concubini, di regola, non ci sono problemi. Per gli sposati, invece, i coniugi rispondono ognuno con la propria sostanza. In regime di separazione dei beni, i debiti aziendali possono essere esclusi dalla procedura. Come si può scegliere il regime dei beni da adottare con il contratto di matrimonio, così si può fare anche in caso di concubinato. L’esperienza dimostra comunque che la maggior parte dei coniugi adotta il sistema tradizionale della comunione dei beni. Del resto la maggior parte delle famiglie in Ticino è ancora regolata da un accordo che vede il marito procurare più reddito e la moglie occuparsi di casa e figli (spesso oltre al lavoro part-time). Però il matrimonio si basa su un contratto. In caso di scioglimento dello stesso la moglie rischia di essere sfavorita, poiché le varie leggi non garantiscono il

livello del reddito precedente. Tuttavia la Costituzione federale, con la revisione del 1981, entrata però in vigore soltanto nel 2000, pone marito e moglie sullo stesso piano anche per la decisione di sciogliere il matrimonio. Se però il matrimonio funziona, la scelta di sposarsi ha ancora qualche vantaggio. Nel concubinato le persone restano singole e, a parte il vantaggio fiscale, non godono di protezioni sociali o giuridiche particolari per i superstiti. Il caso peggiore è dato dal decesso di uno dei due. Il sopravvissuto non ha diritto a prestazioni dell’AVS o dell’assicurazione e, nella maggior parte dei casi, nemmeno della cassa pensione. È possibile porre rimedio, ma la cassa pensione può rifiutarlo. È anche possibile indicare nel testamento il beneficiario del lascito, fatte salve le «legittime» dovute ai figli o a parenti, mentre nel matrimonio si applicano le leggi. Non solo: un’eredità da concubinato viene tassata mentre di regola il superstite di un matrimonio è esente da imposte. In sintesi: un matrimonio in casi estremi protegge meglio

di un concubinato. Anche uno studio dell’Università di Lucerna giunge a conclusioni analoghe, dopo aver analizzato svantaggi ma anche vantaggi del matrimonio. Per esempio un’aliquota d’imposta di favore applicata da alcuni Cantoni (Ticino compreso). Per l’imposta federale diretta (IFD) ciò avveniva prima del 2018. Ma – secondo lo studio – dopo il 2018 la situazione è cambiata e il matrimonio viene penalizzato, come conferma anche un’indagine dell’Amministrazione federale delle finanze (AFC). Lo studio di Lucerna ha però cercato di essere più preciso di quello dell’AFC basandosi sui dati concreti di 10’000 famiglie con doppi redditi. La conclusione è che il 29% delle coppie concubine verrebbero penalizzate, mentre il 46% delle coppie sposate verrebbero fiscalmente favorite, senza però sapere di quanto, con qualche riserva nei casi singoli. Resta assodato che una tassazione individuale favorisce l’accesso a un lavoro rimunerato da parte di entrambi i coniugi, anche quando uno dei due si vede aumentare le imposte.

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Investimenti: otto errori da evitare

La consulenza della Banca Migros ◆ Scegliere il momento sbagliato per acquistare o vendere, innervosirsi oppure affidarsi troppo all’istinto sono tutti errori in cui si può incorrere quando si investe. Ecco come gestire le insidie

aspettative: «Comprare subito azioni per assicurarsi la propria fetta di torta». Ma attenzione: chi cede all’impulso corre il rischio di restare indietro rispetto al mercato. Spesso infatti quando si crea l’entusiasmo, i titoli sono già costosi. In questo modo si riducono le possibilità di ottenere un buon rendimento, quantomeno a breve termine. Quando tutti gli altri investitori si entusiasmano per un’azione, prima di acquistare è consigliabile informarsi bene sull’azienda e sul mercato.

Sopravvalutare sé stessi

Temere le azioni

Secondo uno studio dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), solo il 13% delle economie domestiche svizzere investe i propri soldi in borsa. Molti considerano le azioni troppo rischiose e preferiscono «parcheggiare» il loro denaro sul conto di risparmio. L’esperienza insegna tuttavia che, a lungo termine, le azioni fruttano rendimenti più elevati, a prescindere da perdite di corso a breve termine. Quindi, per proteggere i risparmi dall’inflazione e costituire un patrimonio, è consigliabile investirne una parte in azioni. Più è lungo l’orizzonte temporale, maggiore è il potenziale di rendimento.

Attendere il momento migliore

Il mercato azionario è ciclico, proprio come l’economia: alle flessioni del mercato seguono solitamente fasi di ripresa. Il momento migliore per acquistare azioni è quando queste hanno raggiunto il minimo e sono più convenienti, ma è difficile prevederlo. La durata dell’investimento è più importante del momento in cui si comincia: ecco perché conviene iniziare a investire il prima possibile e continuare il più a lungo possibile. Più lunga è la durata degli investimenti, tanto più il patrimonio potrà crescere.

Cedere all’effetto emulazione

In borsa regna un clima di euforia, le quotazioni salgono costantemente e i media gonfiano ulteriormente le

Suggerimenti pratici

I consigli degli esperti

Gli ultimi decenni hanno dimostrato l’importanza di un orizzonte d’investimento a lungo termine. Solo pochi riescono ad arricchirsi in poco tempo in borsa. La maggior parte degli investitori costituisce il proprio patrimonio su un lungo periodo di tempo. Nel lungo periodo gli sviluppi positivi e negativi si compensano e si avvicinano a un interessante rendimento medio reale del 7,5% l’anno (secondo lo studio Pictet del 2022). Un mandato di gestione patrimoniale o un piano di risparmio in fondi sono il modo migliore per inve

stire regolarmente.

La ricerca di rendimenti rapidi induce a sopravvalutare le proprie capacità. Confidando sul proprio fiuto e su informazioni apparentemente affidabili, soprattutto i non addetti ai lavori si lasciano trascinare in rischiosi acquisti di azioni e puntano spesso su singoli titoli, da cui si aspettano una solida performance. Se quest’aspettativa viene disattesa, si rischiano perdite ingenti. È meglio distribuire il capitale su diverse classi di asset, regioni, settori e imprese, ad esempio con un fondo ampiamente diversificato, riducendo così al minimo il rischio di perdita.

Vendere in preda al panico

Se in borsa si verifica un crollo, il mercato può scendere del 20% o più, come è successo l’ultima volta durante la pandemia di Coronavirus. Tuttavia, anche in caso di correzione nella norma, i titoli possono subire flessioni dal 5 al 10%. In queste fasi molti investitori tendono a reagire impulsivamente e, per paura di ulteriori perdite, vendono i loro investimenti perdendo così somme ingenti. In realtà, dopo un crollo, i mercati si riprendono più rapidamente di quanto si pensi. Quindi è meglio mantenere il sangue freddo e continuare a puntare su azioni solide anche nei periodi difficili. Consiglio: con i fondi strategici o i mandati di gestione patrimoniale gestiti professionalmente si evitano decisioni sbagliate.

La tattica dello struzzo

La perdita viene percepita con maggior forza rispetto a un guadagno, di conseguenza si sviluppa l’abitudine di aggrapparsi a cose ormai andate perse da tempo, soprattutto se queste hanno richiesto molto tempo, energia o denaro. Per questo motivo gli investitori tengono troppo a lungo nel loro deposito un’azione in perdita, nell’illusoria speranza di un’inversione di tendenza. Se un titolo perde costantemente, ad esempio perché il modello operativo della società in questione non tiene il passo con il mercato, conviene venderlo, anche se ciò comporta una perdita.

Usare due pesi e due misure

Gli esperti in psicologia finanziaria hanno constatato che gli utili e le perdite di corso vengono elaborati in due conti mentali diversi: se un’azione sale, molti investitori convertono mentalmente gli utili nominali in profitti reali. Questo li spinge spesso a vendere anticipatamente per poter realizzare l’utile effettivo.

Al contrario, se il valore di un’azione scende, la perdita nominale non viene automaticamente considerata una perdita reale, pertanto si tende a rimandare la vendita. Per evitare di trovarsi alla fine con un deposito composto solo da «titoli in perdita» è raccomandabile non vendere le azioni vincenti alla prima oscillazione al rialzo.

Temere l’alta quota

«Se i corsi di borsa salgono per un periodo di tempo prolungato, aumenta notevolmente la probabilità di una caduta». Questo errore di pensiero è molto diffuso e fa sì che, nel timore di un crollo, si tenda a vendere troppo rapidamente dei titoli di borsa anziché la-

Investire è una scelta

sciarli fruttare. Se un’azienda raggiunge regolarmente nuovi massimi storici, questo indica spesso una forte posizione di mercato e stabilità economica.

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ATTUALITÀ

Europei di calcio

Calcio d’inizio con spuntino

Gli Europei di calcio sono alle porte e con essi l’opportunità di servire una pietanza europea su misura per ogni partita. I goal? Garantiti!

Testo Dinah Leuenberger

La nostra nazionale inizierà gli Europei di calcio a tutto gas, affrontando per prima la squadra dei «Magici Magiari», conosciuta anche come la Squadra d’Oro: così vengono infatti chiamati i giocatori ungheresi fin dagli anni Cinquanta. All’epoca, la squadra vinse tre medaglie d’oro olimpiche.

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ATTUALITÀ

Europei di calcio

CURIOSITÀ

La maglia della nazionale svizzera è ispirata a un costume svizzero tradizionale e ha un motivo che ricorda la stella alpina.

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CURIOSITÀ

Ci sarà poco da ridere per i calciatori della nazionale italiana agli Europei di calcio. Il loro allenatore Luciano Spalletti ha infatti vietato loro di giocare alla Playstation durante il torneo. «In nazionale bisogna essere concentrati, non si scherza», ha affermato nel corso di un’intervista.

Data: Sabato, 15 giugno ore 15.00

Luogo: Colonia

Il 17 giugno ci sarà un gran debutto: le nazionali di Belgio e Slovacchia non si sono mai affrontate prima durante gli Europei! Vinceranno «i diavoli rossi» del Belgio o «i falchi» della Slovacchia?

Data: Lunedì, 17 giugno ore 18.00

Luogo: Francoforte

Data: Sabato, 15 giugno ore 21.00

Luogo: Dortmund

L’Italia non ha brillato agli ultimi Mondiali di calcio: la «Squadra Azzurra» è stata infatti eliminata già nelle fasi di qualificazione. Per questo si impegnerà ancor di più durante gli Europei. Per prima affronterà la squadra dei «Rossoneri», come viene chiamata la nazionale albanese per i colori della sua maglia.

CURIOSITÀ

La federazione del calcio belga Royal Belgian Football Association è stata fondata nel 1895, ma si chiama così solo dal 2019. In precedenza aveva due nomi: in olandese si chiamava Koninklijke Belgische Voetbalbond (KBVB), in francese Royale Belge des Sociétés de Football-Association (URBSFA), poiché in Belgio si parlano entrambe le lingue. Per inciso, l’inno nazionale belga esiste in tre lingue: francese, olandese e tedesco.

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ATTUALITÀ

Europei di calcio

L’Inghilterra ha un record leggermente migliore nei testa a testa. Anche l’Inghilterra è una delle squadre favorite di quest’anno. Riusciranno i danesi, conosciuti anche come «Rød-Hvide», cioè i biancorossi, ad aggiudicarsi questa volta la vittoria?

Data: Giovedì, 20 giugno ore 18.00

Luogo: Francoforte

CURIOSITÀ

Il brano «Three Lions», oggi noto anche come «Football’s coming home», del gruppo Lightning Seeds è stato la canzone calcistica inglese agli Europei del 1996 ed è tuttora considerato l’inno calcistico dell’Inghilterra. Per inciso, la nazionale inglese è nota anche come «Three Lions».

CURIOSITÀ

Ci attende un duello tra colori, dato che la squadra francese è conosciuta anche come «les Bleus» (i blu) e quella olandese come «de Oranjes» (gli arancioni).

Ricetta Focaccia alsaziana

Saranno gli ultimi Europei per il portoghese Cristiano Ronaldo?

Chi lo sa! In ogni caso, con i suoi 14 goal, è in cima alla lista dei marcatori di maggior successo degli Europei. Ma il record del goal più veloce in un Mondiale spetta alla Turchia: Hakan Şükür lo ha segnato nella partita contro la Corea del Sud ai Mondiali del 2002 dopo soli 11 secondi dal calcio d’inizio

Data: Sabato, 22 giugno ore 18.00

Luogo: Dortmund

Data: Venerdì, 21 giugno ore 21.00

Luogo: Lipsia

CURIOSITÀ

Quando la loro squadra segna un goal, i tifosi portoghesi urlano «Golo» o «Sim», quelli turchi «Gol» o «Evet».

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Sebbene l’Olanda abbia avuto la meglio nelle ultime due sfide di un Europeo, la Francia è una delle squadre favorite per il 2024. Chi segnerà più goal questa volta? M-Classic Gouda 250 g Fr. 2.30 M-Classic Edamer 250 g Fr. 2.75 Ricette da Pub coppa Danimarca Ricetta Kofte in pane pita Ricetta Pastéis de nata
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CULTURA

La signora del racconto

Ritratto di Alice Ann Munro, la premio Nobel canadese recentemente scomparsa, che nella brevità ha trovato la misura della propria arte

Pagina 41

Storia di un’autobiografia femminista

La scrittrice Deborah Levy, africana di origine e inglese d’adozione, ci consegna un memoir femminista in cui riflette sulla sua identità

Pagina 41

Baby Reindeer

Recensione della miniserie Netflix che racconta di un comico e della sua stalker mostrandoci come la violenza al contrario sia ancora un tabù

Pagina 45

I paesaggi interiori di Caspar David Friedrich

Feuilleton ◆ Per i 250 anni dalla nascita, la Alte Nationalgalerie di Berlino, uno dei gioielli dell’isola dei musei, gli rende omaggio con una grande mostra che abbiamo visitato con lo scrittore e storico dell’arte tedesco, Florian Illies

Siamo davanti a Mondaufgang am Meer, (Luna nascente sul mare, si può ammirare sulla copertina di questo numero), del 1822. E subito ci cattura un cielo dalle tinte quasi assurde, banchi di nuvole verdi e violacee, su un mare che si è già acceso di oro. Al centro del quadro, inclinate lì sugli scogli, tre piccole figure umane – due ragazze dai capelli rossi e un ragazzo accanto a loro – sembrano ipnotizzate da tanta luce rarefatta, dallo spettacolo lunare che questa notte offre ai loro occhi. È precisamente questa esplosione metafisica di luce e colori ciò che ancora oggi ci colpisce in ogni quadro di Caspar David Friedrich. In quasi tutti i suoi paesaggi o marine, verdi boschi o dirupi di montagna, «Friedrich ci trasporta sempre in una contemplazione trascendente della natura», inizia a dirci Florian Illies, «donando ancora oggi a noi che riguardiamo questi suoi paesaggi sospesi tanta quiete ed energia». Lo scrittore e storico dell’arte tedesco, autore di L’amore al tempo dell’odio. Una storia sentimentale degli anni Trenta (Marsilio, 2022, di cui abbiamo parlato nel numero di «Azione» del 7 marzo del 2022) ha appena pubblicato un saggio sulla vita e opera di Friedrich dal titolo Zauber der Stille (Magia del silenzio), nelle edizioni Marsilio, e con lui visitiamo la mostra che la Alte Nationalgalerie di Berlino – una delle bellezze storiche dell’isola dei musei situata nel quartiere Mitte, cuore pulsante della città – ha dedicato all’arte di Friedrich. Unendliche Landschaften, (Paesaggi infiniti), è il suggestivo titolo della mostra che rende omaggio al pittore per i 250 anni della sua nascita e che si potrà visitare fino al 4 agosto; poi dal 24.8 si sposterà a Dresda fino a gennaio del 2025. Nei due piani del museo berlinese possiamo goderci tutto lo stupore davanti all’infinito, ammirarlo in 60 quadri e 50 disegni di questo grande pittore che – caso raro nella storia dell’arte – non solo non firmava i suoi quadri, ma ha passato una vita di stenti.

Caspar David Friedrich era un introverso che per lo più dipingeva e lavorava rinchiuso nel suo atelier di Dresda, senza troppi onori e fama fra i contemporanei. «Oggi per noi – spiega Illies – Friedrich incarna la lingua della Romantik, quell’inquieto senso della malinconia per gli orizzonti infiniti, uniti alla solitudine del singolo davanti a Dio e al creato». «Sehnsucht », la struggente Nostalgia è dunque il primo dei valori che accende questa poetica romantica di Friedrich. « Abgrund» invece l’altro e più duro sentimento del ritrovarsi gettati davanti ad Abissi di solitudine. «Quello di Friedrich è un animo inquieto e solitario», commenta Illies. L’animo di un artista turbato a sei anni dalla morte della madre, poi

della sorella e soprattutto da quella del fratello che – nel dicembre 1787 – morì annegato per salvare il piccolo Friedrich dalle acque gelate. D’altra parte, solo chi ha vissuto ferite così profonde poteva spingersi a dipingere paesaggi tanto densi, e carichi di metafisica. «Che l’artista di tanti sublimi paesaggi poi non sapesse disegnare il corpo umano, la fisionomia, è solo una leggenda», puntualizza Illies. In effetti, tutto un reparto della mostra berlinese è dedicato alle sue più delicate matite, agli autoritratti di Friedrich o ai suoi ritratti dei familiari. Certo, alcune delle sue opere che oggi consideriamo più iconiche – come Abtei im Eichwald (Abbazia nel querceto) 1809, o Mönch am Meer (Monaco in riva al mare) del 1810 – furono i re prussiani ad acquistarli: Friedrich Wilhelm III sborsò 450 talleri per quelle due grandiose tele intorno a cui, nella mostra berlinese, vediamo formarsi gruppi di spettatori, allibiti da una pittura quasi «astratta». Quei temi e colori che oggi ci attraggono, così radicali, cupi e nebbiosi non potevano però che spaventare i contemporanei. «Il suo romanticismo, dice Illies, risultava troppo oscuro

ai suoi tempi. La Romantik della scuola di Düsseldorf, con le sue rovine di castelli e cavalieri erranti era allora più popolare rispetto a quella elaborata a Dresda da Friedrich». La pittura così metafisica e sprezzante di Friedrich faceva invece impazzire i grandi poeti del romanticismo tedesco, Brentano e Kleist. È Kleist a cogliere il taglio «esistenziale» del Monaco in riva al mare: quella marina nera e disperata, annotò Kleist, ci ferisce «come a un occhio a cui siano state strappate le palpebre». E in effetti ancora oggi, guardando a quel monaco così assorto percepiamo, con Kleist, «che nulla al mondo può essere più triste». E che in fondo quel quadro «è un’immagine dell’Apocalisse». Ovvio che motivi così «dark» nelle tele di Friedrich dovevano infastidire il genio della Klassik tedesca, il sommo Goethe che non tollerava l’estremismo di Friedrich.

Sfortunato in vita, morto nel 1840, il mondo dell’arte lo dimenticò sino alla fine del XIX secolo. «La sua arte fu oscurata dal naturalismo e dal realismo», commenta lo scrittore, e tornò a brillare solo ai primi del Novecento, con la grande mostra del 1906 a Ber-

SIK-ISEA, Zürich (Philipp Hitz)

lino». Esposte alla Alte Nationalgalerie rivediamo foto di quella mostra d’inizio secolo, e sorprende come allora le opere di Friedrich venivano esposte: una sull’altra, le grandi tele a pochi centimetri dalle più piccole. Altri tempi, altri musei e altri curatori. Solo oggi, riguardando quei mari così intensi, quei tramonti incendiari e nebbie totali, comprendiamo davvero che «i suoi paesaggi siano in realtà, spiega Illies, dei “collage” che lui ricostruiva in atelier, delle composizioni che lui inventava». Quelle di Friedrich non sono mai realistiche rappresentazioni naturali, «ma “visioni” che lui dipingeva con il suo occhio interiore», sintetizza Illies. E lavorando per giunta alle sue marine, albe o tramonti sempre nella penombra del suo castissimo atelier. Per Friedrich dunque «Romantik» vuol dire «un’arte del paesaggio interiore, attraversata dal senso del sublime per la natura». E dopo un attimo di riflessione Illies aggiunge: «È lui che inventa non solo la Deutsche Romantik, ma l’arte moderna. È con Friedrich che, per la prima volta nella storia dell’arte, la pittura scopre l’angoscia, la solitudine radicale dell’individuo». In

questo senso Il Monaco in riva al mare è il manifesto del Dubbio, la fonte dell’angoscia che ha ispirato tanta arte moderna e contemporanea. Non per niente un’opera standard come quella di Robert Rosenblum Modern Painting and the Northern Romantic Tradition, del 1975, porta come sottotitolo Friedrich to Rothko. Ma non è solo la pittura più meditativa di un Rothko che si richiama ai paesaggi «interiori» di Friedrich. Anche il giovane Samuel Beckett, visitando (è il 31 gennaio 1937) la pinacoteca di Dresda rimane stregato da due uomini, di notte, ammaliati a loro volta dalla luna: «È l’unica forma possibile di Romantik», appuntò Beckett. Ed è bello pensare che Aspettando Godot sia in fondo una prosecuzione del radicale romanticismo di Friedrich. D’altra parte, non c’è dubbio, come precisa Illies, «che Friedrich fu un pittore decisamente tedesco, così come Delacroix fu pittore francese». E sappiamo come e quanto l’ideologia razzista dei nazisti cavalcò e pervertì quel suo nazionalismo dei primi dell’Ottocento.

Ma a parte le oscene perversioni del nazionalsocialismo, al di là anche delle critiche che gli storici dell’arte del ’68 rivolsero contro «i motivi piccolo-borghesi e non rivoluzionari» di Friedrich, come spiegarselo oggi tutto quel fascino che promana dai suoi tramonti, dai suoi notturni e dalle sue fosche nebbie? «Oggi siamo tutti catturati 24 ore su 24 dai social, dalle reti della lingua digitale, risponde Illies, e davanti a queste opere di Friedrich riscopriamo spazi trascendenti, desideri di orizzonti infiniti». E risentiamo persino vibrazioni di un’ispirazione religiosa per il creato, anche se non certo in senso confessionale. Alla fine della nostra visita, Illies ci sorprende rivelandoci quale sia uno dei suoi Friedrich preferiti. Ziehende Wolken è una tela molto piccola, misura infatti appena 18x24 centimetri. Ma queste candide nuvole che attraversano la tela sono la quintessenza dell’arte così celeste, ultraterrena di Friedrich. «Quando dipingeva i suoi cieli, conclude Illies, era vietato accogliere gente in atelier. Per lui, diceva la moglie, dipingere il cielo era come celebrare un messa!». È questa magia celeste la profonda spiritualità che avvertiamo ancora oggi nei suoi quadri. Una «magia del silenzio» che, almeno negli spazi di una mostra, ci distoglie dai grovigli del web, e ci ricarica di Infinito nei paesaggi dell’arte.

Dove e quando

Caspar David Friedrich. Infinite Landscapes, Alte Nationalgalerie, Berlino. Fino al 4.8.2024. Orari: ma-me-do 9.00-18.00; gio-ve-sa 9.00-20.00. www.smb.museum

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Una lettrice al microscopio

In memoriam ◆ La cifra letteraria della scrittrice canadese Alice Ann Munro

Chi è Deborah Levy

Memoir ◆ Storia di un’autobiografia femminista

Laura Marzi

Cose che non voglio sapere. Autobiografia in movimento, di Deborah Levy (nella foto) edito da NN con la traduzione di Gioia Guerzoni e la prefazione di Olga Campofreda è il primo dei tre volumi dell’autobiografia della grande scrittrice britannica. Il racconto di sé, della propria interiorità, anche sotto forma di autofiction, è tradizionalmente associato alle donne: con quest’opera, allora, seppur riluttante, Levy, classe 1959, nata a Johannesburg, si inscrive in una lunga tradizione che la precede. Il fatto è che ci sono modi e modi di raccontare di sé e che l’evidenza che le scrittrici, come gli scrittori del resto, pratichino l’autobiografia non significa automaticamente che lo facciano tutte adottando lo stesso stile, come in qualche modo, invece, viene dato per scontato. Il primo dei romanzi di questa trilogia si apre con la consapevolezza della scrittrice di essere perduta: Levy racconta che nella primavera in cui ha cominciato il suo testo le capitava, ogni volta che si trovava su una scala mobile, di cominciare a piangere. È da questa presa di coscienza che deriva la decisione di allontanarsi davvero, prendere un aereo e andare a Palma di Maiorca, nella piccola pensione in cui è già stata altre volte.

una figlia adolescente, Melissa, a cui la bambina si affeziona subito per via dei capelli cotonati, degli occhi truccati, del fatto che, come la Barbie, è «una persona di plastica», vale a dire l’unico genere di umanità di cui secondo lei ci si possa fidare. In Sudafrica non solo suo padre è stato incarcerato e torturato, tutti vengono puniti per qualcosa, anche i bambini e le bambine, mentre chi non è bianco viene bandito: dalla spiaggia, dalla scuola, dalla vita. L’eccezionalità di questa parte del testo è la capacità che Levy ha di raccontare a partire dal punto di vista di una ragazzina: leggendo le pagine dedicate agli anni in Sudafrica non ci si trova di fronte al racconto di ricordi di una adulta, ma in compagnia di una piccolina che all’improvviso ha perso suo papà, non riesce più a parlare ad alta voce e vorrebbe tanto che Little Boy fosse libero dalla sua gabbia.

Levy dà voce a quella che la critica letteraria definisce intertestualità. Riporta la convinzione di Marguerite Duras che le scrittrici debbano essere egoiste

«Avevo la sensazione che solo le donne riuscissero a scrivere di cose marginali, strane, anomale. Sono arrivata alla conclusione che quello era il nostro territorio, mentre il grande romanzo sulla vita reale era territorio degli autori di sesso maschile. Sapevo che c’era qualcosa nel modo di vedere il mondo proprio dei grandi autori, da cui ero tagliata fuori, ma non capivo bene cosa fosse».

L’autrice, recentemente scomparsa e per definizione «la signora del racconto», ha trovato nella brevità la misura della sua arte

Sono parole di Alice Munro (nella foto) e declinano un modo di guardare alla letteratura da un angolo visuale in apparenza limitato a confronto con il respiro romanzesco. In realtà la signora poteva e può vantare una nobile compagnia di uomini nell’arte del racconto nella letteratura moderna, da Cechov a Hemingway a Carver, a Maupassant. E le donne romanziere non sono mancate di certo: George Eliot, la Austen, le sorelle Brontë, e così via, fino ad arrivare a oggi, stagione in cui sembra che il romanzo, in una fase in cui sono più le donne che gli uomini a scrivere, dia una sensazione di maggiore solidità. Le affermazioni categoriche sono sempre esposte alla smentita! Ma una cosa è certa: quel particolare angolo visuale, che non so se appartenga alle donne tout court, di sicuro è il tratto caratterizzante di Alice Munro, della sua arte del raccontare costruita sul nulla o poco più che nulla quanto ad avvenimenti, concreta e insieme intrisa di un magnetismo difficile da spiegare, perché pare fatto di così poco, quel così poco che ti fa dire «l’avrei saputo fare anch’io!» ed è, proprio per questo, il segno di una inarrivabile maestria.

L’autrice, recentemente scomparsa e per definizione «la signora del racconto», (mi pare ci sia un solo romanzo nella sua carriera) ha trovato nella brevità la misura della sua arte. E sono entrata così nel terreno minato

che tocca la fisionomia dello scrittore: gli spetta, appunto, il titolo di artista? In genere la risposta è no, non al prosatore, ed è un pregiudizio. L’ho pensato con convinzione, addentrandomi nella lettura dei suoi racconti, nel metodo fatto della lucida leggerezza con cui declina il microcosmo quotidiano nel quale si spende la più parte delle nostre vite. Se Proust usava il telescopio per osservare l’umanità, e la teneva così a grande distanza, la Munro è una lettrice al microscopio e un’interprete partecipe del gesto minimo, della reazione impercettibile e però rivelatrice. Nella sua scrittura mondo interiore e mondo esteriore si misurano alla pari, a conferma di quanto un grande scrittore sia segnato anche dal suo paesaggio. Non è una questione misurabile in acri di terra, è piuttosto un fenomeno osmotico che filtra nell’anima e solo la capacità percettiva di un artista arriva a comprenderlo e tradurlo in parole. Alice Munro è canadese, il suo Paese è più vasto degli Stati Uniti e più dilatato, ha una varietà di luci e di colori aperti al grande respiro che nella narrazione della scrittrice diventa il respiro di uomini e donne colti nella banalità del quotidiano. Una contraddizione? In realtà no, perché l’intensità delle emozioni si gioca sui toni maggiori come sui minori; sono silenzi e mezze parole, disagi e dissonanze, vissuti in interni di case, nelle strade di città senza fascino, come in spazi larghi, nell’ambito rurale che è stato il luogo originario della stessa Munro, elementi che percorrono il mondo narrativo della scrittrice che ha lavorato sulla tonalità impressionista del colpo d’occhio, per poi affrontare l’affondo. La sua è una scrittura poco artificiosa, eppure mette in campo una bella audacia stilistica quando, per esempio, colloca in principio di racconto un elemento che rimane, icastico, più nell’inconscio che nella memoria del lettore. Ci vorranno pagine e pagine perché quel colpo d’occhio abbia una ragion d’essere e spieghi in tutta chiarezza uno stato d’animo, magari il tuffo al cuore di un passato remoto che torna ad aggredire il presente. È una tecnica efficace che declina

un modo di essere della mente, e lo traduce poi in parole, dosandole con grande sapienza, perché appaiano al lettore del tutto naturali.

Niente nel mondo della Munro ci porta verso dimensioni troppo remote, niente è per così dire esotico. La vastità del suo Paese è tutta dentro i piccoli passi del quotidiano, così anche la prepotenza della natura: penso al racconto Le ortiche, dove il passato di una storia di ragazzini torna a galleggiare nel mondo adulto e ormai definito: c’è, raccontato in prima persona dalla protagonista, un temporale spaventoso che sospende il tempo e in questa parentesi violenta di vento furioso e pioggia lascia spazio all’emergere di una difficile verità.

La sua è una scrittura poco artificiosa, eppure mette in campo una bella audacia stilistica

Sono i dettagli, gli impercettibili ritorni di memoria su una parola, un tono di voce, uno sguardo, a fornire la chiave di volta di una vita intera; a sorprenderci non è l’éclat clamoroso, quanto piuttosto il piccolo particolare, il buco nell’asfalto sotto cui si apre la voragine. E non è di necessità una voragine che cambia in negativo l’assetto delle cose, penso a Nemico amico amante… dove l’imprevedibile esito di un gioco crudele di adolescenti risolve due vite. C’è qui una vena di stupore, di ironia, e una domanda senza risposta, aperta sull’ignoto: Tu ne quesieris, scire nefas, quem mihi quem tibi… ed è in certo senso il tema sottotraccia che accompagna le storie della Munro: inutile chiedere, a noi non è dato sapere cosa riserva il destino. Torniamo sul rapporto tra romanzo e racconto, fermiamoci sulla misura piccola che in poche pagine deve costruire e esaurire la sua energia: è un campo minato che anche i grandi autori hanno percorso in punta di piedi, sapendo di correre a ogni passo il rischio di scivolare nella banalità. La Munro, nonché non cadere mai nella banalità, lo ha attraversato in perfetto equilibrio e quasi senza sforzo. Se non è arte questa!

La prima cosa che si impara, dopo neanche venti pagine di lettura, è che nel momento in cui ci si sente smarrite, non ha nessun senso provare a ribellarsi a tutti i costi e costringersi a trovare una collocazione nel mondo, ma che è meglio tentare di adeguarsi alla confusione. Non si tratta di un facile consiglio come se ne possono trovare negli articoli di psicologia online, perché Levy non solo non sottovaluta la difficoltà di accettare la propria condizione, si sofferma anche su quanto siano indicibilmente difficili le conseguenze che ne derivano, una volta che si è smesso di ribellarsi al caos.

A Palma di Maiorca Levy si mette a scrivere, ma è durante una cena con il proprietario cinese dell’alimentari dove è andata a comprare della cioccolata, nella speranza che le faccia lo stesso effetto che ha sulla personaggia di Bernarda nel romanzo di Gabriel Garcia Marquez Dell’amore e di altri demoni, che prende avvio il racconto della sua vita: «Se credevo di non pensare al passato, il passato pensava a me». Levy scrive della sua infanzia a Johannesburg a partire dal giorno in cui, dopo aver fatto con lei un pupazzo di neve, anche per celebrare l’eccezionalità del freddo in Sudafrica, suo padre viene arrestato per opposizione all’apartheid. Il racconto prosegue con il suo temporaneo trasferimento a Durban dalla madrina che possiede un pappagallo azzurro, Little Boy, e ha

Se è vero, come è vero, che il genere dell’autofiction e dell’autobiografia è particolarmente praticato dalle donne, anche se sarebbe più corretto dire che è un genere molto frequentato da chiunque scriva, «mi si è chiarito poco per volta che cosa è stata fino a oggi la grande filosofia: l’autoconfessione, cioè, del suo autore» precisa Nietzsche. Non solo di questo romanzo vanno notati lo stile e il talento. In questo testo il discorso narrativo, specialmente nella prima parte, è intessuto di riferimenti ad altre scrittrici, Levy dà quindi voce a quella che la critica letteraria definisce intertestualità. Riporta la convinzione di Marguerite Duras che le scrittrici debbano essere egoiste e di come la grande autrice francese fosse solita portare «occhiali enormi e aveva un ego enorme, ma proprio il suo ego smisurato l’aveva aiutata a schiacciare le illusioni sulla femminilità sotto i tacchi delle scarpe». Riflette poi sulla necessità di non scrivere con rabbia a partire da una citazione di Virginia Woolf e ricorda a sé stessa e alle lettrici come «il più delle volte ci sentiamo in colpa per tutto». Di certo, però, lei non ha nulla di cui rammaricarsi per aver ceduto al fascino dell’autobiografia.

Bibliografia

Deborah Levy, Cose che non voglio sapere. Autobiografia in movimento, NN Editore, Milano, 2024

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 10 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino CULTURA 41
Marta Morazzoni Keystone
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Aldo Sandmeier, uno storico con molto swing

In memoriam ◆ Classe 1936, è scomparso nelle scorse settimane il più assiduo e preparato studioso del jazz ticinese Alessandro Zanoli, testo e foto

Mi sembra già di sentirlo. Sapendo di questo articolo mi direbbe: «Ma non stare lì a perdere tempo. Non merito che si parli di me. Lascia perdere. Dimmi di Jazz in Bess, cosa state facendo?». Durante un’intervista con lui, a proposito della nascita della sua passione per la musica jazz («Come la chiami tu? Afroamericana? Interessante… c’è sempre bisogno di un sinonimo e non si sa mai quale usare», mi diceva) Aldo Sandmeier aveva minimizzato, glissato, cambiato discorso, con quel suo fare anche un po’ burbero che poteva intimidire chi non lo conosceva bene. In realtà era il segno di un desiderio di non perdere tempo, una voglia di andare al sodo nei discorsi. Un tratto un po’ teutonico del suo carattere che lui conosceva bene e che non gli dava nessun fastidio, anzi. Si accordava perfettamente con le sue origini d’oltregottardo, di cui gli capitava di ricordare spesso i dettagli, con modesta fierezza, al suo interlocutore. Aldo Sandmeier, occorre dirlo, aveva una memoria invidiabile, sistematica, organizzatissima. Aveva una passione diremmo innata per le genealogie («Da dove viene la tua famiglia? Non siete originari di Brissago?») e questa attitudine gli veniva poi naturale applicarla anche alla complicata rete di correlazioni connessa con la storia del jazz, con i suoi mille gruppi, di cui ricordava nel dettaglio formazioni, strumentisti, incisioni. In un’epoca in cui non esistevano edizioni digitalizzate dei quotidiani ticinesi, Aldo aveva passato settimane in biblioteca a sfogliare le raccolte dei nostri periodici e ne aveva distillato ogni informazione utile a redigere il suo oggi imprescindibile Album del jazz di famiglia. Un testo che sorprende a ogni lettura per la mole di dati che raccoglie, con accuratezza e precisione e che serve a restituire l’immagine di un percorso culturale stupefacente, imboccato dal nostro cantone negli anni 30 del Novecento, e proseguito fino a oggi con risultati egregi.

Raramente capiterà di incontrare una persona così sensibile, attenta alla storia personale dei propri interlocutori, alle loro inclinazioni e interessi

Oggi una ricerca di quel tipo sarebbe più semplice, forse, da un punto di vista tecnologico, ma non da quello memorialistico. A quella minuziosa disamina si erano aggiunte ore e ore di interviste a musicisti, appassionati, organizzatori, giornalisti, tecnici, archivisti: chiunque si occupasse o si fosse occupato di jazz nel corso degli anni veniva da lui consultato e «catalogato», inserito cioè nel disegno complessivo di quella rete di relazioni e di attività che Aldo era venuto costituendo nel corso degli anni. Da quel lavoro colossale erano scaturite poi ben 60 puntate di una storia radiofonica del jazz ticinese, un patrimonio di informazioni che qualsiasi regione del mondo considererebbe come preziosissima e fondamentale.

È stato il nostro Alan Lomax, senza alcun dubbio, e questo suo lavoro di scavo e di recupero della memoria è stato poi perfezionato, con una coerenza logica e metodologica stupefacente, nel suo più recente impegno dedicato alle bandelle ticinesi, il libro Note di bandella, di cui era stato ispiratore e ideatore. «La musica della bandella, se ci pensi» mi aveva raccontato

con fierezza quando ne avevamo parlato la prima volta, a ridosso dell’uscita del volume «è la nostra musica improvvisata. I tratti che la accomunano con il jazz sono moltissimi e io me ne ero accorto da subito».

Parlava sempre un po’ come un libro stampato, il caro Aldo, come se la sua forma mentis professorale avesse lasciato un’impronta indelebile nel suo modo di raccontare e di interloquire. Ma questo suo formalismo era solo un gioco retorico: raramente capiterà di incontrare una persona così sensibile, attenta alla storia personale dei propri interlocutori, alle loro inclinazioni e interessi, in una famigliarità allargata che, a conti fatti, ha coinvolto nella sua vita qualche migliaio di persone, contando naturalmente anche i numerosi contatti che aveva mantenuto con i propri ex-allievi.

Come sempre succede, ora che non c’è più avremo tutto il tempo per scoprire quanto ci mancheranno la sua competenza, la sua simpatia, il suo senso dello humor. E per gli appassionati di jazz, in particolare, la sua memoria storica, in grado di correlare a distanza di decenni dati e informazioni, in grado di fornire spiegazioni e chiarimenti utili e illuminanti. In grado anche di spiazzare e di far percepire quanto lavoro resterebbe da fare per aspirare a raggiungere almeno una parte delle conoscenze e competenze che lui aveva accumulato negli anni.

A chi scrive, resterà perlomeno il ricordo di una serata davvero storica, vissuta con lui a Lucerna, il 28 novembre del 2005, in occasione della presentazione del libro Jazz in der Schweiz. Geschichte und Geschichten, di Bruno Spoerri. In quel volume straordinario, unico, che ha cercato di disegnare la mappa di un movimento musicale incredibilmente ricco e variegato che onora il nostro Paese, un capitolo intero dedicato al Ticino è stato scritto proprio da Aldo Sandmeier. La fierezza di aver contribuito a un simile risultato era palpabile e ben brillante negli occhi di Aldo. L’avere avuto un riconoscimento nazionale così prestigioso contava moltissimo per lui. Anche per questo successo oltremodo meritato dobbiamo ricordarlo, a coronamento di un lavoro assiduo e certosino, ma anche come segnale dell’affetto che

portava per il Ticino e per la sua sensibilità musicale. Innamorato del jazz, come molti giovani della sua generazione, Aldo aveva trovato in Flavio Ambrosetti

e nel Jazz Club Lugano una sorta di «chiamata» inconsapevole, che lui nel corso degli anni avrebbe approfondito più di chiunque altro: la vocazione a diventare il depositario della sto-

ria del jazz ticinese. Sembrerà poco, ma la consapevolezza di quanto il suo contributo sia stato unico e irripetibile fa rimpiangere la possibilità di ringraziarlo, una volta di più.

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A sinistra Aldo Sandmeier, scomparso di recente all’età di 88 anni, che dialoga con Elmar Frei, batterista svizzero.
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Il comico e «Miss Dreamy», la sua stalker

Netflix ◆ Baby Reindeer è una miniserie inquietante e disturbante che racconta una storia di molestie al contrario

Se la serie You ci aveva abituato a un bel tenebroso che seguiva le sue vittime con il cappellino calcato sulla testa, la nuova miniserie di punta di Netflix, Baby Reindeer, propone una ricetta che capovolge la classica dinamica dell’uomo cacciatore e della donna vittima. O almeno all’apparenza, perché lo show è ben lontano dall’incollare etichette ai suoi protagonisti. Abbiamo Donny, aspirante comico e barista part-time (nella foto), perseguitato da Martha, una donna di mezza età con una personalità tanto esplosiva quanto ingombrante. Lontana dallo stereotipo della femme fatale impazzita all’Alex Forrest di Attrazione Fatale, è più una britannica Annie Wilkes che fa oscillare lo spettatore tra la simpatia e la comprensione per lei e il desiderio di chiudersi (o chiuderla) a chiave nel bagno.

Lo show non è un parto della fantasia, bensì la trasposizione romanzata degli anni di stalking vissuti da Richard Gadd

Baby Reindeer, traducibile in «piccola renna», così la stalker chiama la preda, si dipana in sette episodi di una mezz’oretta, ma bastano 90 secondi del primo episodio per capire perché una serie senza uno straccio di volto famoso e un budget da reality show sia diventata un successo. «Questa è una storia vera» ci dice la scritta sullo schermo e tanto basta per far abboccare all’amo una generazione intera ormai dipendente dal true-crime e – stando ai dati Netflix – registrare oltre 22 milioni di visualizzazioni.

Lo show non è un parto della fantasia, bensì la trasposizione romanzata degli anni di stalking vissuti da

Richard Gadd, il tuttofare della serie che ne è autore e protagonista. Come i migliori podcast, la versione televisiva offre quello che la gente vuole dal proprio divano di casa: una catarsi che incontra l’empatia, alimentandosi a vicenda in un cortocircuito di illusoria sicurezza e terrore.

È da brividi pensare che a Donny sia bastato offrire una tazza di tè a una donna in lacrime per ritrovarsi in un incubo per lui senza fine e che noi invece possiamo mettere in pausa e interrompere in ogni momento. Sentiamo un nodo in gola al pensiero delle oltre 40’000 e-mail, 350 ore di messaggi vocali, 744 tweet, 46 messaggi su Facebook e 106 pagine di lettere che Martha ha inviato a Donny, quando ci bastano le notifiche di Microsoft Teams per andare in crisi. Ad alimentare il buzz online, con Stephen King in prima fila, che ha definito la serie «una delle cose migliori che abbia mai visto in televisione» sul «London Times», è proprio il pensiero di questo terrore scampato. C’è chi la elogia come il nuovo volto del commento socioculturale, e chi invece la vede come la rivisitazione di qualcosa di visto e rivisto. Eppure Baby Reindeer accentra l’attenzione, fa discutere. Apre il vaso di Pandora sulla scarsa sensibilizzazione verso le vittime maschili di molestie.

Un ribaltamento dei ruoli tradizionali

In Baby Reindeer, lo stalking non è solo un «lavoro da uomini», così come nella realtà, fuori da Netflix. Ad esempio, l’ultimo report della Direzione Centrale della Polizia Criminale italiana ci dice che il 74% delle vittime di molestie sono donne, ma

il restante 26% sono uomini. Persone spesso ignorate da una società che vende ancora la favola dell’uomo capace di sbrigarsela da solo quando uno studio della ZHAW (Zürcher Hochschule für Angewandte Wissenschaften) ci dice che l’8% dei maschi svizzeri interpellati è stato aggredito dalla compagna e in Svizzera si conta una sola casa per uomini vittime di violenza domestica nel Canton Argovia.

La stessa situazione di Donny viene presa sotto gamba dalla polizia e dalla mentalità un po’ «trumpiana» degli pseudo amici, che lo ridicolizzano per non aver approfittato delle attenzioni dell’ammiratrice. Come Gadd ha riferito al «Guardian», durante un’intervista del 2019 per lo spettacolo teatrale della serie: «Mi hanno rimproverato per aver distur-

bato la polizia per essere stato molestato. Onestamente il mio consiglio a qualcuno che abbia mai pensato di sporgere denuncia sarebbe: lasciate stare, è un processo da incubo e ci vogliono anni». Lo stalking, spesso argomento relegato ai titoli di coda, emerge in una luce cruda in un campo di battaglia dove le vittime e i carnefici possono scambiarsi i ruoli a ogni nuovo episodio.

La complessità di Donny

Anche il comico riconosce di non poter dire che Martha fosse terribile e lui solo una vittima. Sarebbe un mondo più semplice se ci fosse sempre un cattivo con denti appuntiti e un mantello nero da identificare, ma in Baby Reindeer la vera oscurità risie-

de nel legame di co-dipendenza tra i protagonisti.

Martha, nel suo essere una stalker incallita, è quello che dice la sua tazza, «Miss Dreamy», una sorta di mitomane che plasma il mondo in una realtà alternativa in cui puoi provare ad essere felice, almeno fino alla prima denuncia. Donny, invece, deve fare i conti con la sua compassione per lei, il senso di colpa e la vergogna derivanti dagli abusi subiti, e la difficoltà di rivendicare il suo dolore in una cultura che fa fatica a credere che gli uomini possano essere vittime di storie da prima serata. «È un piccolo trattato sull’appagamento del narcisismo, sull’insicurezza e la ricerca dell’identità sessuale di un’intera generazione. Un ritratto imperfetto, ma disturbante nella sua onestà senza filtri», suggerisce la recensione dell’«HuffPost».

Sono bastati pochi giorni dall’uscita per lanciare gli spettatori e il «Daily Mail» in una caccia ai veri protagonisti dietro i personaggi e far sollevare domande sul voyerismo digitale e sulla nostra sete di «verità». Quanto ci avviciniamo a quegli atteggiamenti mostrati (senza finire nel penale) con il nostro bisogno di sapere della vita di totali sconosciuti? E, soprattutto, quanto è etico esporre la vita reale in un modo che diventi inevitabilmente intrattenimento?

Alcuni puntano il dito contro Gadd, accusandolo di esser stato avventato e di aver sfruttato i chiari disturbi mentali della sua stalker nella corsa per la fama, incurante delle conseguenze. Dopotutto non c’è autofiction che possa essere raccontata senza passare per la gogna mediatica, ma bisogna ricordarsi che una storia, una volta esposta, non la si può più nascondere all’occhio spietato di internet.

Il futuro RAI visto nello specchietto retrovisore

SmartTV ◆ Donne sull’orlo di una crisi di nervi, il nuovo show di Chiambretti, è poco convincente sin dalla scelta del titolo Marco Züblin

Per un Massimo Bernardini che se ne va, un Piero Chiambretti che ritorna. Da una parte il volto storico di TVTalk che lascia, dopo aver condotto, con sorridente rigore e rara sobrietà, una delle migliori trasmissioni europee sul mondo della televisione; lo sostituirà, dalla stagione prossima, Mia Ceran, e questa scelta è una buona notizia. Dall’altra il ritorno sulla stessa rete, dopo 21 anni di assenza e 41 di carriera, di «Pierino» con le cinque serate (Rai3, martedì, prime time) di Donne sull’orlo di una crisi di nervi Il titolo della trasmissione è di affliggente banalità, autorizza qualche piccola inquietudine

Chiambretti temeva di tornare in RAI e di non trovarci nessuno: una preoccupazione legittima, per noi più che per lui, dopo una serie di partenze più o meno volontarie, permanenze mal sopportate (Report, Blob) e altre sempre meno sopportabili (su tutte, Vespa). Chiariamo: la RAI è stata da sempre lottizzata dal potere e dalla politica e lamentarsene proprio adesso, quando il nuovo potere non garba, è un po’ come fare le vergini in sala parto.

Il titolo, Donne sull’orlo di una crisi di nervi (nella foto la locandina del programma), di affliggente banalità, autorizza qualche piccola inquietudine, che la visione delle prime quattro puntate purtroppo non riesce a scacciare. Il programma è una sorta di comedy show che vorrebbe esplorare l’universo femminile attraverso gli accadimenti del mondo, con il contrappunto di interventi di riflessione, musica e comicità. Diciamo subito che «Donne…» è sfilacciato (con buona dose di orgogliosa autocritica, Chiambretti lo definisce uno «sformat»), senza un vero tema se non quello dell’agitarsi fisico, l’incontinenza acustico-verbale e l’egoriferita messa-in-scena del conduttore. Ogni tanto sembra alludere a un secondo livello, magari colto, senza mai svelarlo; è una torta alla crema a tre strati, di quelle stucchevoli, che mira ad essere camp, o forse pop, ma fatica a uscire dal kitsch. Un programma dislessico, un patchwork linguistico e narrativo che, nei momenti migliori, dà un un po’ le vertigini. La compagnia di giro è composta da sei presenze in studio, personaggi un po’ felliniani che patiscono le consuete intemerate di Chiambretti, che urla con finto scan-

dalo di fronte a qualche innocua loro affermazione, o a qualche riflessione lievemente più seria. Poi intervistati di livello (Sorvino, Minoli, Goggia, i «coniugi» Mentana, Mannoni, Mieli, tra gli altri), che subiscono qualche domanda di apparente irriverenza ma di sostanziale irrilevanza. E immagini di archivio, qualche autocelebrazione, spezzoni amarcord. La sensazione è comunque che, a differenza di quanto sostiene Chiambretti, non venga celebrata la rete di Guglielmi (cioè quella che lo lanciò), ma che vengano riproposti

stilemi e modalità che il conduttore aveva adottato negli anni di Mediaset (non so, Matrix Chiambretti, La repubblica delle donne, Supermarket Chiambretti Night, Grand Hotel Chiambretti). Quindi, la conduzione isterica, spesso urlata, la costante autoreferenzialità, sono parte di quella cifra che tanto si ama – e si odia – in Chiambretti; ed è anche comprensibile che in una RAI alla disperata ricerca di ascolti, di figure iconiche cui ancorare palinsesti in crisi, si recupera quello che si ritiene un valore noto, sicuro, rifuggendo dalle speri-

mentazioni; un tentativo con un filo di disperazione, in una tivù di Stato ancorata all’auditel e alla pubblicità, ormai assediata da una pluralità di agguerriti network privati (oltre a Mediaset, La7 e la galassia Warner/ Discovery).

Inutile dire che questo programma – «da donne, per donne e sulle donne», dice lui – mette in scena un universo femminile un po’ stantìo, tanto più stereotipato quanto più esso vuole accamparsi come nuovo. C’è addirittura una vaga aspirazione giornalistica (gli interventi aziendalisti dei corrispondenti RAI da Parigi, Londra e New York), anche se nei registri dell’ironia; ma scomodare la categoria dell’infotainment sarebbe decisamente troppo. La tentazione di fare di Chiambretti il «nuovo» volto RAI è palpabile: è previsto a breve un programma, Fin che la barca va (il titolista di Chiambretti è purtroppo sempre in vacanza…), nel quale il Nostro navigherà sul biondo Tevere intervistando vip e gente comune, una specie di ritorno alle origini.

Insomma, in attesa dell’epifania di Giletti (anche lui, prevedibilmente, ospite), la RAI guarda al proprio futuro nello specchietto retrovisore, con tutti i rischi del caso.

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In fin della fiera

Un film sul grande Mike Bongiorno

Mike Bongiorno nasce a New York il 26 maggio 1924 e muore a Monte Carlo l’8 settembre 2009, all’età di 85 anni. Il centenario della nascita è l’occasione per raccontare con un film in due puntate la vita e le imprese di un personaggio che ha lasciato un’impronta indelebile nella storia della televisione italiana. Mike è il titolo del film in corso di realizzazione. Due sono gli attori chiamati a ricoprire il ruolo del protagonista, rispettivamente il Mike giovane (Elia Nuzzolo) e il Mike adulto (Claudio Gioè). Un compito quanto mai arduo poiché milioni di spettatori in là con gli anni non potranno fare a meno di richiamare dalla memoria il Mike vero e confrontarlo con i suoi epigoni. Non ho avuto mai l’occasione (e la fortuna) di conoscere Mike e di vederlo da vicino all’opera. Nonostante que-

Voti d’aria

sta lacuna, sono stato scritturato dalla produzione del film nell’impegnativo ruolo di «consulente storico». Nei primi anni del mio impiego presso il centro di produzione Rai di Torino, lavoravo come cameraman, il mio habitat erano gli studi televisivi. Per mettere in scena gli esordi di Mike nei vari programmi che l’hanno reso celebre è stato necessario allestire gli studi e riprodurli nei dettagli tecnici com’erano in quegli anni. Ed esclusivamente su questo aspetto sono stato chiamato a dare ogni volta il mio «placet». Mike Bongiorno ha lavorato per lo più a Milano sia negli studi della Fiera sia in quelli di via Sempione, con qualche episodio a Roma, mai a Torino. Nonostante ciò gli studi sono studi ricostruiti in questa città poiché qui, nella sede Rai di via Verdi, si trova il ricchissimo museo della Radio e

Perseguitati e persecutori

A proposito della polemica su Roberto Saviano, assente dalla prossima edizione della Buchmesse dedicata all’Italia: si è parlato dell’impegno civile e si è parlato del successo internazionale che avrebbero comunque consigliato al commissario Mauro Mazza di invitarlo. Si è parlato dell’opportunità o meno di escludere questo o quest’altro scrittore variamente perseguitato dal governo di destra. È stata espressa la solidarietà di altri scrittori che senza Saviano rifiuteranno l’invito italiano (salvo accettare quello straniero). Si è parlato di tutto tranne che di uno dei criteri-base che dovrebbero guidare le scelte in questi casi: il valore. Già, ma chi decide il valore? C’è sempre (ci sarebbe sempre) la critica, ma diversamente dal passato la critica non ha voce né autorità. In compenso c’è Mazza, che non ha mai dato segno di interesse per la letteratura e neanche

Aper l’editoria libraria: nella sua lunga carriera è stato direttore di un telegiornale, direttore di RaiUno, direttore di RaiSport, collaboratore di Rai Vaticano. Merito indiscutibile: avere voluto Celentano in un’edizione di Sanremo e non aver mai nascosto la propria fedeltà alla destra. Tanto gli basta (e avanza) per giudicare gli scrittori (2). Pensate a un commissario che venga nominato a selezionare i migliori vini al mondo, pur essendo astemio. Per fortuna non è l’unico caso: ci sono anche presidenti di Biennale d’arte incompetenti d’arte, direttori di musei interessati alla politica e a poco altro, neodirettori di famose biblioteche nazionali mai avvistati in una biblioteca. Per occupare i posti-chiave della cultura, nulla di meglio che simpatizzare per i partiti giusti. La competenza? Pregasi tornare domani (per oggi 1, domani si vedrà). Dimmi con chi vai e ti dirò chi sarai.

video spento

Senza desiderio del futuro

«Ci avete rubato il futuro» è il grido di dolore che, dopo Greta Thunberg, molti giovani continuano a ripetere. Mai come in questo periodo la politica e l’economia si sono occupati, almeno a parole, dei giovani. Eppure, mai come in questo periodo i giovani si sono trovati a fare i conti con una situazione difficilissima, al punto da farli dubitare di quello che proprio loro dovrebbero possedere più degli altri: la fiducia nel futuro.

Il domani ci interroga ogni giorno, con sempre maggiore angoscia, come se la nozione stessa di futuro recasse i segni di un disagio diffuso. Va da sé che quando il disagio non è del singolo individuo, ma l’individuo stesso è vittima di una diffusa mancanza di prospettive e di progetti, come accade nelle nostre società, non dobbiamo più interrogarci sull’origine psicologica di questo malessere, ma sulla sua origine culturale e sociale. L’uomo ha sempre immaginato il futuro. Lo ha fatto con un misto di spe-

della Televisione. A Torino Mike ha vissuto gli anni della giovinezza e ha frequentato il liceo. Era con la madre nata a Torino e qui ritornata mentre il padre era rimasto a New York impegnato a rimediare all’azzeramento dei suoi beni causato dal crollo del ’29. Nel film rivivremo l’esordio di Lascia o raddoppia?. E prima ancora: sapevate che Mike era già in onda il primo giorno dell’avvio dei programmi? Era il 3 gennaio 1954, esattamente 70 anni fa. Vittorio Veltroni è stato il primo direttore del telegiornale. Morto ancora in giovane età, era il padre del futuro leader politico Walter. Aveva ideato il programma Arrivi e partenze. In un salotto vecchio stile dotato di due ampie poltrone, Mike, grazie al suo perfetto bilinguismo italiano e inglese, riceveva e intervistava personaggi appena sbarcati all’aeroporto

di Roma. In quella puntata d’esordio, erano riusciti a trovare all’ultimo momento un solo ospite e prima di farlo entrare in studio avevano appena fatto in tempo a scrivere su un cartello il suo nome: Giuseppe Ungaretti. L’americano Mike ignorava chi fosse ed è spettacolare la sua abilità nel rimontare l’handicap con le domande. Ho accettato senza esitazione la proposta di fare il consulente storico perché provo una perenne nostalgia per l’aria che si respira vivendo dentro il set di un film, che sia un colossal o una mini produzione. Quel fervore, quell’eccitazione che nasce dalla sensazione di lavorare in un cantiere nel quale ogni qualvolta l’opera è compiuta, ovvero la sequenza è stata girata, si smonta tutto e si inizia a lavorare al prossimo allestimento. Però in quest’occasione vivo un’esperienza

per me inedita. Non appena mi affaccio sul set, il primo componente della troupe che mi avvista corre a prendere una sedia e mi fa accomodare davanti ai monitor della regia, un altro mi domanda se gradisco un caffè, un dolce o altro a scelta. Il più anziano di loro è nato mezzo secolo dopo di me. Sui quotidiani della mia infanzia compariva ogni tanto la fototessera di un garibaldino con la notizia in poche righe: «È morto l’ultimo dei Mille». Ma non era mai veramente l’ultimo: dopo un po’ ne spuntava un altro. Qui non sono l’ultimo ma esperimento quello che prova un oracolo quando si degna di scendere in mezzo ai mortali. Di tanto in tanto qualcuno chiede il mio parere su qualche dettaglio. I miei dubbi, le mie incertezze non devono trapelare. I ragazzi hanno bisogno di certezze.

Ieri oggi domani. Ieri. Dimmi con chi andavi e ti dirò chi eri. Per esempio, indovinate chi è, era e sarà la straordinaria figura internazionale di cui parlò il Cavalier Berlusconi qualche anno fa: «È una persona rispettosa degli altri, è un riflessivo, è un uomo profondamente liberale, è uno che mantiene la parola data, è veramente un democratico. Oggi è indubitabilmente il numero uno tra i leader del mondo». Risposta A: Napolitano. B: Obama. C: il Papa. D: La Russa. E: Al Bano. Sorpresa: né A, né B, né C, né D, né E. Era indubitabilmente nientemeno che il liberal-democratico Vladimir Putin. Il quale mesi fa dedicò parole simili e molto affettuose a un caro amico: «Era senza dubbio un politico di livello europeo, anzi si può dire mondiale… Un uomo originale, molto sincero e aperto, diceva sempre quel che pensava». Per chi tanto zucchero? A: Trump. B: Toto

Cutugno. C: Bart Simpson. D: Salvini. E: La Russa. Nessuno dei cinque. Era indubitabilmente nientemeno che il Cavaliere appena defunto. Commovente risarcimento postumo (-1, l’amico Silvio…). Altro che persecutore. Putin ama i perseguitati. Come Silvio Berlusconi, anche Trump è indubitabilmente un perseguitato dalla magistratura. Matteo Salvini dixit: «Tifo per Trump il perseguitato» (voto indubitabilmente persecutorio: 1). L’aveva già detto Putin qualche mese fa e l’ha ripetuto la scorsa settimana: «La persecuzione di Trump dimostra il marciume del sistema politico americano». Le persecuzioni fisiche (con omicidio) di Anna Politkovskaja e Aleksej Navalny non dimostrano niente? Sarebbe utile sapere se Salvini ha mai tifato per loro anche al tempo del gemellaggio (con fitto scambio di magliette) tra Lega e Cremlino. Quando non avrebbe mai

detto, come ha detto qualche giorno fa (nell’approssimarsi delle votazioni), che indubitabilmente l’ex amico Putin «è un criminale di guerra». Se come sosteneva Oscar Wilde (6) la coerenza è l’ultimo rifugio delle persone prive d’immaginazione, certi politici sono formidabili campioni di fantasia. È il meglio che si possa pensare della loro furbizia cialtronesca. Tutto questo per dire lo sconforto del dibattito pubblico nell’approssimarsi delle elezioni europee. Ci si salva ogni tanto cambiando canale. È capitato un paio di settimane fa quando la Rai ha regalato una boccata d’ossigeno al povero teleutente (lui sì indubitabilmente perseguitato) con un documentario sul concerto di Paolo Conte alla Scala. Frase d’apertura: «Tutte le arti tendono verso la musica» (6). Il seguito tanta eleganza di zebra, scarpe lucidate e niente cravatte sbagliate (6+ indubitabilmente).

ranza e paura, liberando la sua fantasia con racconti, utopie e progetti. Tracce di queste idee del futuro si trovano nelle più diverse opere dell’uomo: dalle tragedie antiche ai romanzi di fantascienza, dalle opere filosofiche ai manifesti politici, ma anche nel cinema e nel teatro, nelle architetture, nei dipinti e nella musica, fino ad arrivare alla serialità televisiva. Il futuro è sempre stato, da quando l’uomo ha iniziato a immaginarlo, un luogo del tempo a cui affidare speranze individuali e collettive. Qualcosa, però è cambiato, specie per i giovani. Su di loro pesa una sorta di punizione, descritta visionariamente da Dante nell’Inferno: i dannati possono vedere non il presente, ma proprio il futuro. Essi vedono, «come quei che ha mala luce», le cose lontane, ma quando queste si fanno vicine, allora «vano» diventa il loro «intelletto». Diventa così impossibile «afferrare» il futuro, anche solo per un attimo, come se fosse un miraggio insostenibile.

Il fatto è che la realtà stessa è diventata insostenibile. «Lo sviluppo sostenibile è quello che consente alle generazioni presenti di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri». Con queste parole, l’ex presidente della Commissione mondiale su Ambiente e Sviluppo delle Nazioni Unite, Gro Harlem Brundtland, aveva definito lo sviluppo sostenibile. Stiamo andando in questa direzione? A giudicare dai numeri, no. L’Italia, ad esempio, conta più del 21% di disoccupazione giovanile e i Neet, i giovani che non studiano e non lavorano, sono quasi il 30%, il dato più alto in Europa. I giovani che lavorano lo fanno accontentandosi di stipendi bassi che limitano fortemente la loro autonomia economica e di posizioni per le quali sono spesso sovra istruiti. Come scrive Umberto Galimberti, «che dire di una società che non impiega il massimo della sua forza bio-

logica, quella che i giovani esprimono dai quindici ai trent’anni, progettando, ideando, generando, se appena si profila loro una meta realistica, una prospettiva credibile, una speranza in grado di attivare quella forza che essi sentono dentro di loro e poi fanno implodere anticipando la delusione per non vedersela di fronte? Non è in questo prescindere dai giovani il vero segno del tramonto della nostra cultura?».

Nonostante siano venute meno le grandi narrazioni – quei quadri di valori e di senso che venivano rappresentati in forma narrativa dalla politica e dalla religione e che costituivano un repertorio fondamentale per costruire la propria e altrui identità, – la narrazione sul futuro non ha diminuito la sua importanza nel veicolare modelli e valori, né tantomeno si è ridotto il consumo di storie. E proprio attraverso la produzione di storie – la tessitura reciproca delle storie – l’inconoscibile futuro vie-

ne costruito, inventato, immaginato. Il futuro si nutre delle storie e ha bisogno di immaginazione, trova sostanza nella negoziazione tra queste storie.

I giovani hanno bisogno di aiuti concreti, di certezze sul lavoro, ma è anche necessario riaccendere in loro il desiderio di pensare al futuro immaginandolo, di contribuire a costruirlo anche quando il futuro concreto non assume le sembianze che hanno immaginato: l’importante è che continuino a parlarne, a trasformarlo in un racconto.

Non c’è futuro senza desiderio del futuro. Una vecchia etimologia vuole che il desiderio discenda direttamente dalle stelle: il verbo latino «desiderare» è composto dalla particella intensiva «de» e da «siderare» (fissare intensamente le stelle). Il poeta dice che il desiderio è metà della vita e l’ombra di un desiderio ci segue sempre (noi stessi, forse, siamo l’ombra di un desiderio).

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 10 giugno 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 47 CULTURA / RUBRICHE ◆ ●
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Grandi bontà a piccoli prezzi

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Tutte le salse per insalata Frifrench per es. Francese, 500 ml, 3.85 invece di 5.50, (100 ml = 0.77)

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Focus Water disponibile in diverse varietà, 6 x 500 ml, (100 ml = 0.32)

Monster Alarm 10 x 200 ml e 200 ml, per es. 10 x 200 ml, 5.90, (100 ml = 0.30)

Tutti gli sciroppi Migros Bio 500 ml, per es. ai fiori di sambuco, 3.– invece di 3.75, (100 ml = 0.60) 20%

Tutti i tipi di Orangina, Oasis e Gatorade per es. Orangina Original, 1.5 litro, 1.40 invece di 2.35, (100 ml = 0.09) 40%

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Multivitamin Zero 10 x 200 ml e 200 ml, per es. 10 x 200 ml, 5.90, (100 ml = 0.30)

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Tutte le noci e tutta la frutta secca, Migros Bio (prodotti Alnatura e Demeter esclusi), per es. gherigli di noci, 100 g, 2.60 invece di 3.10

Tutti i tipi di olio e aceto, Migros Bio (articoli Alnatura esclusi), per es. olio d'oliva greco, 500 ml, 9.55 invece di 11.95, (100 ml = 1.91) 20%

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Tutte le farine Migros Bio (prodotti Alnatura, Demeter e Regina esclusi), per es. farina bianca, 1 kg, 2.40 invece di 3.–

Fettine alle verdure e patate o Crispy Tofu, Migros Bio per es. fettine, 2 x 180 g, 6.30 invece di 7.90, (100 g = 1.75)

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Tutti i prodotti Thomy in tubetto, vasetto e flacone squeezer per es. senape dolce, 200 g, 1.85 invece di 2.30, (100 g = 0.92)

Dolci e cioccolato

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Tutti i tipi di pasta M-Classic per es. reginette, 500 g, 1.60 invece di 1.90, (100 g = 0.32)

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Rösti M-Classic Original o alla bernese, per es. Original, 3 x 500 g, 5.– invece di 7.50, (100 g = 0.33)

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Tutte le gallette di riso e di mais (articoli Alnatura esclusi), per es. gallette di riso integrale con cioccolato al latte, 100 g, –.85 invece di 1.20, (100 g = 0.84)

Tutte le tavolette e tutti i Friletti, Frey Suprême per es. Noir Noisettes, 180 g, 3.15 invece di 3.90, (100 g = 1.75)

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MegaStar prodotto surgelato, Almond, Vanilla o Cappuccino, in conf. speciale, 12 x 120 ml, (100 ml = 0.65)

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Prodotti per la doccia Nivea Men per es. gel doccia Sport, 3 x 250 ml, 5.90 invece di 8.85, (100 ml = 0.79)

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Tutto l'assortimento per la depilazione Veet e I am (esclusi Veet Men, confezioni multiple e rasoi), per es. crema depilatoria Sensitive, 150 ml, 6.80 invece di 8.50, (100 ml = 4.53)

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Tutto l'assortimento Garnier Ambre Solaire (confezioni multiple escluse), per es. Siero Invisibile Super UV SPF 50+, 30 ml, 12.75 invece di 16.95, (10 ml = 4.24) a partire da 2 pezzi 25%

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Tutto l'assortimento Pedic (confezioni da viaggio escluse), per es. crema Cura intensa, 75 ml, 3.40 invece di 4.50, (10 ml = 0.45)

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Prodotti per la cura dei capelli Monday shampoo o balsamo, per es. shampoo idratante, 350 ml, (100 ml = 2.43)

Assortimento di prodotti per il viso Nivea e Nivea Men (prodotti Sun, confezioni da viaggio e confezioni multiple esclusi), per es. siero antimacchie Luminous 630 Nivea, 30 ml, 24.75 invece di 32.95, (10 ml = 7.49)

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