Anno LXXXV 4 luglio 2022
Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura
edizione
27
MONDO MIGROS
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SOCIETÀ
TEMPO LIBERO
ATTUALITÀ
CULTURA
Cambiare il modo in cui si pensa all’età sarebbe in grado di allungare l’aspettativa di vita
Fino agli inizi del Duemila, prima che il telefonino si tramutasse in altro, le foto erano solo di carta
La sentenza che cancella il diritto costituzionale all’aborto evidenzia la «guerra civile» che lacera gli Usa
La casa di Monet a Giverny inaugura la serie sulle dimore che hanno ispirato artisti e scrittori
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Ti-Press
L’Ucraina riparte da Lugano?
Zafesova e Borla
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Cosa è restato degli Anni 80 Simona Sala
«Fortunato chi ha fatto gli Anni 80» è una constatazione che capita sempre più spesso di sentire. E se sulle prime veniva liquidata con una scrollata di spalle, anche perché sempre pronunciata da persone molto giovani, e addotta a quella nostalgia per ciò che le idiosincrasie del film della vita naturalmente ci impediscono di vivere (come meravigliosamente raccontato in Midnight in Paris di Woody Allen), con il tempo vi si riconosce un fondo di verità. In quegli anni a tutti gli effetti appartenenti a un’altra epoca, il morale era alto, e lo raccontavano la musica pop-elettronica, che riascoltata oggi suona quasi «classica», autori come Eco, Irving o Kundera, la moda con le sue spalline esagerate e i colori sgargianti, gli yuppies frenetici di Wall Street, dove tutto sembrava possibile, telefilm come La signora in giallo o L’ispettore Derrick. Alle nostre latitudini l’ottimismo era diffuso. Lo confermava anche la politica, e il ricordo che forse si fa largo con maggiore insistenza, è quella stretta di mano in terra ginevrina tra
Reagan e Gorbachov del 1985, che faceva tirare un sospiro di sollievo al mondo, poiché sembrava atta a siglare «per sempre» la tensione che palpabile lo aveva attraversato per decenni (anche allora, come oggi, la minaccia e la paura principali erano legate al nucleare, quel nucleare che solo un anno più tardi si fece cosa viva con l’incidente di Cernobyl). Quel summit tra i due capi di stato precedeva solo di pochi anni la caduta del muro di Berlino, primo fra i tanti, reali e politici, che frammentavano il nostro continente, e che sembravano essere destinati a non riapparire mai più, per lasciare gradualmente il posto a un’idea nuova di Europa, fondata su dialogo e sostegno reciproco, economico, politico e culturale. Sicuramente è quanto auspicavano le giovani generazioni trionfanti del 1989 che, piccone alla mano, cercavano di abbattere quanto più Muro, a Berlino, per eliminare ciò che aveva diviso gli uomini, frammentandoli nel loro insieme. Questo slancio sembrava in qualche modo confermare una teoria del fisico e filosofo sta-
tunitense David Bohm (1917-1992), secondo il quale proprio la frammentazione della società, con il conseguente isolamento degli individui, può essere contrastata e sostituita dall’armonia solo attraverso un dialogo consapevole. E poiché spesso la frammentazione si è tradotta in muri e steccati, il loro abbattimento non poteva che essere di buon auspicio. Ma non è bastato. L’errore di «noi degli anni 80» forse, è che quel dialogo costruttivo e votato alla creazione dell’armonia lo credevamo assodato per sempre, cominciando anche a darlo per scontato. Come spiegare altrimenti un paesaggio geopolitico e sociale come quello che ci ritroviamo davanti, a soli 40 anni di distanza da quell’epoca oggi dal sapore dorato? Come abbiamo potuto non accorgerci che gli assetti internazionali e sociali stavano cambiando, per portarci in un mondo più frammentato che mai, fattosi negli ultimi anni travolgente caleidoscopio di idee, informazioni, controinformazioni, rivendicazioni?
Attraverso un esercizio di sincerità, troveremmo forse motivi validi in chi ci invidia per avere vissuto un breve e irripetibile momento della storia, per essere stati tanto fortunati. E paragonando quelli che furono lo spirito e le speranze degli Anni Ottanta a quelli delle nuove generazioni, riconosceremmo una mutazione profonda. Ancora si ascolta musica e si guardano i telefilm (che oggi si chiamano serie), si studia, si fanno progetti e si osa sognare, ma una serie di spade di Damocle sembra essersi assembrata in un cielo fino a ieri sereno. Oltre a insicurezze esistenziali dettate dalla guerra, dall’incertezza climatica, dall’emergenza sanitaria, vi è anche quella paventata da Bohm, ossia quella mancanza di un dialogo reale che porta inevitabilmente all’isolamento. Questo, più che mai, è il momento di dialogare a tutti i livelli, su tutti i piani, per riuscire in qualche modo a «ricompattare un’umanità» smarrita, e farle riassaporare qualcosa che assomigli agli anni dell’ottimismo che abbiamo avuto la fortuna di vivere.