Cooperativa Migros Ticino
Società e Territorio Ricomporre ciò che il tempo ha distrutto per recuperare la memoria: il lavoro dell’architetto Martino Pedrozzi
Ambiente e Benessere L’urologo Paolo Broggini spiega le differenze di genere nell’incontinenza urinaria e dà consigli su come affrontarla
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXIV 2 agosto 2021
Azione 31 Politica e economia Che autunno sarà? Le previsioni sulla congiuntura economica internazionale
cultura e Spettacoli A Varese il Castello di Masnago offre un’occasione di scoperta della cultura lombarda
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Tunisia, riesplode la rabbia
Keystone
di Francesca Mannocchi pagina 21
così vicino, da sembrar lontano di Peter Schiesser La prima sosta lungo la Via degli Abati si rivela impegnativa. Alla trattoria da Gianfranco non è concesso un mordi e fuggi, nonostante le nostre migliori intenzioni. Ti porta le vivande in tavola (non c’è carta del menu) e ne recita teatralmente le origini nostrane. Con orgoglio ti mostra un antro oscuro che chiama cucina, forno a legna, caldo da sauna, una signora che prepara la pasta, e penso immediatamente all’India; ti racconta dei suoi clienti, mentre suo figlio cresciuto a carni di maiale, salumi, formaggi e pasta serve gli ospiti. Se vuoi venire la sera, inutile che ci provi senza prenotazione. Eppure non è stato facile trovare Groppallo. Ma Claudio, con cui trascorrerò qualche giorno, è ben attrezzato, ha una guida che descrive la Via degli Abati da Bobbio a Pontremoli, lungo le terre che appartenevano all’Abbazia piacentina, con il suo navigatore mi conduce per stradine che solo i nostri montanari possono invidiare. Arrivati, ci appare come un villaggio fantasma: molte case sono diroccate, quelle ancora in piedi sono decrepite, nessuna indicazione per il centro paese. Ci inerpichiamo per una via, la desolazione si
conferma, poi passiamo davanti ad una casa con alcuni tavoli sotto un porticato di fortuna. Sarà questa la trattoria di Gianfranco? Lo è. Il trionfo dell’anti-marketing: nessun nome, nulla che la riveli come trattoria, ma sabato e domenica sempre piena tutto l’anno (in settimana si lavora in fattoria, nei campi, sui pascoli). Dopo un paio d’ore ci strappiamo dal tavolo mentre gli altri sono in piena libagione, l’ultima tappa per oggi sarà Bardi. Così scenografico e imponente sulla rocca, il castello di Bardi chiede una visita immediata. Una volta usciti però ogni albergo e pensione risulta completo, è un coro di «se venivate mezz’ora fa...». Claudio non si scoraggia e trova nei dintorni un B&B attraente, tanto quanto il nome: Cà del Lupo. Chiama e a fatica, millantando una visita dieci anni prima e grazie all’insistenza di due ospiti liguri, otteniamo due stanze. Si riparte. Ma quando arriviamo, dopo buoni 30 chilometri, in quel B&B nascosto in fondo ad una valletta ai margini di Borgo Taro, ci rendiamo conto che Claudio ha inserito nel navigatore l’indirizzo di un altro B&B, e non ha camere. Poco male, troveremo qualcosa nelle vicinanze. Illusi: l’Italia è in marcia ovunque dopo più di un anno di pandemia. Ma ecco che richiama la padrona di Cà
del Lupo. Allora, venite? Dopo 170 chilometri di curve e il pranzo da Gianfranco sono al limite, ma si fa. Giunti al Passo di Santa Donna il navigatore intima di svoltare a destra. È una strada sterrata, Claudio commenta «per fortuna è pianeggiante e senza buche». 150 metri dopo buco la gomma. Montare una ruota di scorta è un gioco da ragazzi, ma nella mia auto non c’è. È sabato sera, il nostro cammino lungo la Via degli Abati ha tutta l’aria di terminare qui. Sarà aggiustata martedì, ed è la nostra fortuna. Giuliano, marito di Challie, viene a prenderci, Claudio lo interroga subito e scopriamo che ha lavorato come palombaro in alto mare in tutto il mondo, il viso da lupo di mare mi fa pensare che il nome del B&B sia dedicato a lui (mi sbaglio, è per il figlio, Lupo Francesco). All’arrivo in quel posto meraviglioso decidiamo: ci si ferma qui, io tutta la settimana. E dopo una settimana, conosciuti sempre meglio la deliziosa Challie e Giuliano, stretto amicizia con le due ragazze liguri, con gli amici dei padroni di Cà del Lupo (tutti giunti per caso qui al B&B e innamoratisi tanto da comprar casa), assaporato la pace di quegli Appennini, mi è parso di essere stato più lontano dal mondo e dalla pandemia di quanto potesse portarmi un aereo. Grazie a una gomma bucata.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 agosto 2021 • N. 31
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Società e Territorio Turismo alternativo in Val Rovana La Cà Vegia a Cerentino offre un’esperienza fuori dal tempo: senza wifi né elettricità, solo cibi locali, in una casa del 1600 restaurata con passione per la tradizione pagina 6
Monopattini elettrici: quali regole? Il portavoce della Polizia cantonale Renato Pizolli spiega le norme che regolano l’utilizzo dei nuovi mezzi di trasporto che stanno spopolando pagina 7
Chi vive certe dinamiche relazionali spesso si trova in uno stato di insicurezza e autosvalutazione. (Shutterstock)
Riconoscere la violenza psicologica Relazioni patologiche Per illustrare le declinazioni della violenza non fisica è stata appena pubblicata
una raccolta di saggi, Gabbie di parole Stefania Prandi
La violenza maschile sulle donne non è soltanto fisica, ma anche psicologica. Si possono subire maltrattamenti verbali, ipercontrollo, atteggiamenti aggressivi e manipolazione psicologica da parte del partner, abusi difficili da riconoscere mentre succedono perché non lasciano segni apparenti. Guardando le situazioni da fuori può sembrare facile individuare certe dinamiche, ma per chi le vive la realtà è molto diversa. La violenza psicologica non è lineare, è il risultato di azioni subdole costruite nel tempo, con l’intento di minare l’autostima e la capacità di reazione. Per illustrare le declinazioni della violenza non fisica, è stata appena pubblicata una raccolta di saggi, Gabbie di parole. Il linguaggio della violenza psicologica (Franco Angeli) a cura di Carmela Mento, ricercatrice di Psicologia, Giovanna Spatari, professoressa ordinaria di Medicina del lavoro e Maria Rosaria Anna Muscatello, docente di Psichiatria, tutte e tre in forza all’Università degli Studi di Messina. Quando si affronta il problema degli abusi nelle relazioni, è necessario ricordare che ogni caso è a sé, ma ci sono fattori ricorrenti che, una volta identificati, possono aiutare chi è in difficoltà
a reagire. Gran parte della violenza non fisica è causata da persone che si conoscono bene: fidanzati, partner, mariti. «L’ambiente domestico, la casa, fantasticati come il luogo d’amore e di protezione per eccellenza, possono trasformarsi in una prigione a causa della violenza psicologica», si legge nel testo. «Un fenomeno vivo e presente che prescinde dall’età della vittima e innesca dinamiche affettive e relazionali perverse da cui è difficile emanciparsi». L’impatto della violenza nelle relazioni intime sulla salute mentale è stato studiato di recente nelle donne anziane, una popolazione prima considerata – a torto – meno a rischio. «La propensione a sviluppare pensieri depressivi, pessimismo, mancanza di fiducia e calo dell’autostima risulta correlata sia alla violenza psicologica sia a quella fisica». I maltrattamenti verbali possono essere di vario tipo e intensità e includono «la svalutazione diretta e indiretta», con frasi cariche di disprezzo che sminuiscono e ridicolizzano, anche di fronte agli altri, come «non sai fare niente», «non capisci» e «sei una stupida». In italiano sono state adottate parole inglesi per riassumere la complessità di comportamenti specifici. Una di queste è gaslighting, termine con cui si intende
la tecnica della manipolazione psicologica con cui l’aggressore, per ottenere pieno potere, mette in dubbio la correttezza delle percezioni sulla realtà della partner fino a renderla completamente insicura. L’effetto è di un vero e proprio lavaggio del cervello. Le ricerche dimostrano che alcuni mariti violenti usano il gaslighting sulle proprie mogli, negando fermamente di avere detto o fatto certe cose. A lungo andare, chi subisce questo tipo di trattamento, si rassegna, diventa insicura, estremamente vulnerabile e dipendente. In Gabbie di parole viene spiegato chiaramente che chi è ripetutamente sottoposta ad abusi a cui non riesce a sottrarsi, tende a non cambiare attitudine anche nei casi in cui potrebbe farlo, rimanendo così «in una sorta di trappola psichica». Tra le tattiche c’è quella di portare la donna a distaccarsi dalla famiglia di origine, dalle amiche e dai conoscenti, in un vero e proprio «isolamento», attraverso il quale il «terrorismo psicologico» si realizza al massimo. Il problema principale è che gli uomini maltrattanti, nella fase del corteggiamento e dell’inizio della relazione, hanno atteggiamenti pieni di attenzioni, sono affascinanti, sensuali, affabili e non lasciano presagire il com-
portamento che adotteranno in seguito. Spesso simulano «buoni sentimenti ed empatia, laddove non esistono» e mentono. «Per il manipolatore, la menzogna è assimilabile a uno strumento di lavoro, la sua bugia distorce la verità con cognizione di causa e con l’intenzione di ottenere qualcosa: un utile. Le sue manifestazioni d’affetto possono essere eclatanti e hanno lo scopo di appagare il bisogno di affermazione». Un secondo termine inglese è hoovering: indica il tentativo, da parte del maltrattante, di risucchiare l’ex partner di nuovo dentro la relazione, anche dopo mesi o anni che è finita, attraverso messaggi, chiamate e gesti di attenzione. «È l’ombra dell’ex che torna, come una valanga, insieme ai suoi vecchi sentimenti». È tipico dei narcisisti. «Onnipotente, arrogante e carente di empatia, il narcisista ricorre usualmente alla svalutazione dell’altro e tende ad instaurare dinamiche di potere». Una terza parola da considerare è Love bombing: una serie di azioni, in apparenza positive e amorevoli nei conforti della partner, con l’obiettivo recondito di ottenere una forte influenza. Si può paragonare a una forma di plagio simile, nel complesso, a quello esercitato dalle sette religiose. Il predatore fa
leva sulle fragilità, ad esempio la paura della solitudine o il bisogno di sentirsi amate, e nel corso del corteggiamento connotato da un «bombardamento amoroso», tra lusinghe e complimenti, sembra l’amante ideale. Dopo settimane o mesi modifica il comportamento, disprezzando e isolando. Come si può capire se ci si trova in una situazione di violenza oppure di semplice conflitto? Nel primo caso, manca il consenso, la relazione è costruita su una disparità di potere, è asimmetrica perché la donna si sente sottomessa e spaventata. Nel secondo caso, invece, c’è reciprocità, non ci sono né senso di paura né di sottomissione e ci si sente liberi di esprimere le proprie emozioni. Stando agli ultimi studi, il numero delle donne vittime di violenza psicologica risulta particolarmente alto, anche a causa del fatto che esistono ancora forti discriminazioni di genere a livello economico: guadagnando meno e avendo a carico la cura dei figli, le donne faticano a uscire dalle situazioni di abuso. Inoltre, seppure in percentuale minore, la violenza psicologica può riguardare anche gli uomini, che vengono umiliati dalla propria partner per il proprio aspetto fisico o per la condizione economica.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 agosto 2021 • N. 31
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Ricostruire i ricordi
Architettura Il lavoro di Martino Pedrozzi vuole restituire al paesaggio l’immagine di un passato lontano
e di tradizioni costruttive che rischiano di essere dimenticate
Laura Di Corcia Ricomporre quello che il tempo ha distrutto per recuperare la memoria. È questo, riassunto all’osso, il senso del lavoro dell’architetto ticinese Martino Pedrozzi, che da vent’anni si è interessato e ha iniziato a lavorare sulle malghe presenti in Val Malvaglia. Quelle che noi, qui in Ticino, chiamiamo cascine o rustici, e che sono la memoria di un tempo che non c’è più, fatto di lavoro duro, transumanza e montagna. «Ho iniziato vent’anni fa da solo. La prima ricomposizione è stata pensata nel ’94 e realizzata nel 2000. Le malghe sono delle costruzioni estremamente solide e fragili – spiega l’architetto, che ha uno studio privato a Mendrisio e parallelamente svolge l’attività di insegnante presso l’Accademia di architettura – nel senso che fino a quando viene eseguita una certa manutenzione rimangono in piedi, ma senza una manutenzione costante ecco che crollano. Perché sono a secco. Sono pietra e legno assemblati senza nessun tipo di collante, che potrebbe reggere agli urti degli agenti atmosferici». Il problema risiede soprattutto nel tetto. Quella è la parte più fragile, esposta al vento e alle intemperie. «Una volta, durante la transumanza, i contadini si occupavano di tenere in piedi i rustici, che avevano una funzione economica e sociale – continua l’architetto. «A partire dagli anni Cinquanta, con l’insediamento delle prime industrie, l’economia agricola e di montagna è finita abbastanza velocemente, a parte dei casi singoli». È crollato un mondo e sono crollate anche le malghe. «Per la gente del posto, questi rustici rappresentavano una vita passata fatta di stenti, di fatiche. L’abbandono, quindi, è stato alquanto repentino. In alcune cascine che abbiamo visitato si
È insegnante all’Accademia di Mendrisio e dirige un suo studio privato. (Stefano Spinelli)
trovavano ancora la tazzina, il bicchiere sul tavolo, il crocifisso appeso: come se l’abbandono fosse stato fatto quasi su due piedi». Il lavoro di Pedrozzi non è quello di ricostruire la malga in modo da conferirle l’aspetto che aveva un tempo, ma quello di concentrare tutte le pietre crollate all’interno del perime-
Una preghiera lungo il percorso… I rustici non sono l’unico intervento operato da Martino Pedrozzi in Val Malvaglia. Di più recente costruzione è una cappella, ubicata sopra un masso adiacente la strada che costeggia il lago artificiale. Un’opera che ricorda la Cappella del Ponte Cabbiera sommersa dalle acque della diga della Valle Malvaglia nel 1959. Che relazione c’è fra i due progetti, apparentemente distanti? «In effetti questo lavoro presenta delle similitudini con le ricomposizioni. Anche la cappella assume il significato di un simbolo, non è frequentabile al suo interno, perché collocata su una roccia inclinata: non è fatta per entrarci. Presenta una croce che si rivolge al viandante di oggi, che sale in Val Malvaglia in macchina e non a piedi. È tutto concepito in modo che sia la cappella ad andare verso la persona, e
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938
Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Romina Borla, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
non tanto la persona che deve entrare in cappella». Anche in questo caso la componente pubblica è predominante rispetto alla componente privata. «Io parto dall’idea che l’architettura è sempre pubblica: anche una casetta privata, una villetta, in fondo lo è. Perché quando costruisci modifichi lo spazio di tutti, sposti l’aria, costruendo. Lavorare su questa componente pubblica dà maggior forza al progetto. Questa cappella, forse inconsciamente, riprende molte riflessioni fatte precedentemente con le ricomposizioni». Ovvero la valorizzazione della componente pubblica dell’architettura, che fa in modo che tutti si sentano appellati, chiamati dall’opera. In questo c’è una visione politica, anche filosofica, che però nel lavoro di Pedrozzi assume sempre dei caratteri essenziali, terreni. Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
tro della cascina, in modo da realizzare dei volumi compatti. «In questo modo si cancella lo spazio interno delle cascine e si crea un pieno. E si cancella ogni possibilità d’uso, ma si recupera il significato pubblico della cascina, la sua memoria storica. Non solo: si restaura lo spazio esterno, che diventa pascolo e può essere riutilizzato, a differenza delle cascine, che non possono recuperare la loro funzione originaria». Perché, però, non ricostruirle com’erano? «Quel tipo di costruzione aveva senso all’interno di un certo tipo di frequentazione di quella costruzione, che ne garantiva la manutenzione. La cascina non era mai finita, in qualche modo. Era concepita per essere sottoposta a continui lavori di manutenzione, che erano in fondo parte stessa del concetto costruttivo. A meno di pensare di ripristinare una funzione che implichi – ma non in modo imposto o artificiale – una manutenzione continua, non avrebbe senso ricostruire le malghe, che poi finirebbero di nuovo per essere distrutte. Nessuno si metterebbe oggi a fare una costruzione che non sai se fra vent’anni sarà ancora in piedi o no». Questi volumi, questi pieni che si trovano sui prati di alta montagna hanno qualcosa di affascinante e arcaico, che ricorda quasi i nuraghi sardi. A tal punto che qualcuno potrebbe accostare il lavoro di Pedrozzi alla Land art, cosa dalla quale l’architetto prende le editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
Un recente intervento: una Cappella su un masso. (Pino Brioschi)
distanze. «L’associazione di idee è immediata e legittima. Ma questo è un lavoro su delle pre-esistenze architettoniche. L’architettura è infatti composta da una componente pubblica e una privata. È un lavoro che interviene su queste componenti, andando a ridurre o azzerare la componente privata e a riportare alla situazione iniziale la componente pubblica. È architettura. La natura dell’intervento è completamente diversa rispetto agli scopi e ai propositi della Land art». Un lavoro, questo sulle malghe, che Pedrozzi ha iniziato in solitudine e che poi ha coinvolto tante
persone, fino ad arrivare a due anni fa, nel 2019, a realizzare una ricomposizione coinvolgendo più di cento studenti, provenienti dall’Accademia di Mendrisio, dal Politecnico di Zurigo e dal Politecnico di Losanna. Un’esperienza intensa, da cui è nato un documentario, Essere felici, di Vasco Dones e Franco Cattaneo, che sarà presentato il 18 agosto in occasione della seconda edizione del Cima Norma Art Festival.
Tiratura 101’262 copie
Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch
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costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
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Idee e acquisti per la settimana
Pesce svizzero sostenibile
Novità Il prelibato filetto di coregone indigeno
da acquacoltura è ora disponibile ai banchi del pesce fresco Migros
Il coregone, conosciuto anche come lavarello, fa parte della famiglia dei Salmonidi e allo stato selvatico vive in banchi nelle profondità dei nostri laghi, ma da tempo viene anche allevato. Possiede un sapore delicato e lo si può cucinare nei più svariati modi, al vapore, arrostito, grigliato, in carpione (vedi ricetta), al forno, in umido o fritto. Le sue eccellenti carni bianche sono poco grasse, di media consistenza, con poche lische, e possiedono un aroma leggermente nocciolato. Inoltre, sono facilmente digeribili. Pesce svizzero da acquacoltura
La domanda di pesce fresco svizzero proveniente da fonti sostenibili è in continua crescita, ma al contempo si è ridotta la popolazione ittica dei nostri laghi. Per questo motivo negli ultimi anni Migros si è impegnata in un progetto pionieristico d’acquacoltura per l’allevamento di coregoni e persici in un impianto a circuito chiuso, con l’obiettivo di produrre tutto l’anno del pesce senza lasciare praticamente
tracce nella natura. Lo stabilimento, inaugurato lo scorso mese di settembre a Birsfelden, nella regione di Basilea, permette di soddisfare la crescente domanda di pesce allevato in modo responsabile. L’impianto pone in primo piano la salute e la vitalità degli animali. I coregoni, venduti alla Migros sotto forma di filetto, provengono da questa struttura. Filetti di coregone in carpione
Filetto di coregone Svizzera per 100 g Fr. 4.90 In vendita presso i banchi del pesce fresco fino a fine agosto
Una ricetta base, di facile preparazione, perfetta per la stagione estiva: infarinare i filetti e friggerli in olio di oliva. Scolare in un’altra padella l’olio di cottura e soffriggervi della cipolla tritata, dell’alloro, delle carote a fettine e del sedano a pezzetti. Quando tutto è ben rosolato, aggiungere acqua e aceto (proporzione 1/4 acqua e 3/4 di aceto), salare e far prendere bollore per una decina di minuti. Disporre il pesce in una ciotola ampia, cospargerlo di grani di pepe e versarvi sopra la marinata bollente. Lasciar riposare almeno un giorno prima del consumo.
Una coccinella sul latte
Attualità Migros è il primo dettagliante svizzero a proporre
Gelati Orogel
unicamente latte sostenibile da pascolo certificato IP-Suisse
Maxi Sandwich Orogel 6 pezzi/450 g Fr. 6.50
club dei Mini Orogel 9 pezzi/300 g Fr. 6.90 Nelle maggiori filiali
IP-Suisse diventa lo standard minimo per il latte da bere venduto alla Migros a livello nazionale. Ciò significa che esso proviene da mucche allevate nel massimo rispetto della specie. Gli animali passano regolarmente del tempo al pascolo o hanno un accesso a uno spazio all’aperto. In estate essi trascorrono almeno 26 giorni al mese al pascolo, mentre in inverno rimangono all’ester-
no minimo 13 giorni. Inoltre, le mucche sono alimentate principalmente con erba fresca, fieno e mais verde, ciò che corrisponde al loro regime naturale. Foraggi concentrati sono impiegati in minima quantità. La soia è vietata. In aggiunta, questo latte offre dei vantaggi anche per il clima e la biodiversità: i contadini creano spazi vitali per altre specie, i foraggi sono perlopiù svizzeri
e vengono implementate misure per ridurre le emissioni di gas serra e di metano. I produttori ricevono un premio di 5 centesimi per ogni litro di latte, pur restando invariato il prezzo nei negozi. Entro la fine del 2021 tutto il latte da bere venduto alla Migros, compreso quello disponibile regionalmente, sarà certificato secondo gli standard minimi di IP-Suisse.
Ispirati alla migliore tradizione gelatiera italiana, i gelati Orogel sono preparati con i migliori ingredienti per regalarti un’estate piena di gusto e freschezza. Impossibile resistere alla bontà di Maxi Sandwich Orogel: due fette di tenero biscotto al malto che racchiudono una morbida farcitura di gelato ai gusti di vaniglia, cacao e zabaione. Un vero
piacere che ingolosisce grandi e piccoli fino all’ultimissimo boccone. Stecco, biscotto o cono? Il Club dei Mini Orogel mette proprio tutti d’accordo: 9 mini delizie miste alla panna, al cioccolato o alla vaniglia dedicate a tutti gli amanti del gelato per una pausa rinfrescante senza compromessi. Lasciati tentare!
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Idee e acquisti per la settimana
Igiene femminile «alternativa»
Attualità I pratici prodotti Selenacare riutilizzabili, per un’igiene mensile sicura ed ecologica
Per i giorni del ciclo, il marchio Selenacare offre delle valide alternative riutilizzabili rispetto ai classici tamponi e assorbenti monouso. Grazie a questi innovativi prodotti, si possono evitare notevoli quantità di rifiuti superflui e al contempo salvaguardare il nostro ambiente. Inoltre, non meno importante, è il fatto che durano a lungo e un loro utilizzo regolare permette di ottenere un bel risparmio economico. La biancheria intima lavabile possiede una protezione mestruale integrata ed è confortevole da indossare tanto quanto le mutandine convenzionali. Sia gli slip che gli assorbenti lavabili sono indicati per un flusso leggero o medio e possono essere utilizzati anche come protezione aggiuntiva alla coppetta mestruale o ai tamponi interni. Realizzati in morbido tessuto traspirante, con protezione antibatterica, sono composti da quattro strati: parte più interna per il trasferimento dell’umidità; strato ad alta assorbenza; membrana protettiva a prova di perdite e strato esterno in tessuto particolarmente delicato sulla pelle. Entrambi i prodotti possono essere lavati al massimo a 30 gradi, dopo averli sciacquati sotto l’acqua fredda. Dopo il lavaggio lasciarli asciugare all’aria. Non utilizzare candeggina o ammorbidente.
Selenacare Mutandine assorbenti lavabili Gr. S, M, L, 1 pezzo Fr. 24.90
Assorbenti lavabili Gr. 1, 3+, 1 pezzo Fr. 9.80
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Società e Territorio Nelle otto stanze matrimoniali niente elettricità, aria condizionata o Wi-Fi, per un soggiorno immerso nella natura e nella storia.
All’aria aperta si apprende di più Wwf Dal 13 al 17 settembre la quarta
edizione di «Scuola all’aperto – imparare nella natura», rivolta alle scuole elementari e dell’infanzia Guido Grilli
Una sosta nel passato rurale della cà Vegia
«Stare in un ambiente naturale stimola l’apprendimento dei bambini, promuove le loro competenze sociali e la loro capacità di muoversi e orientarsi nello spazio». Sono questi solo alcuni dei benefici del progetto «Scuola all’aperto – imparare nella natura» promosso dal Wwf, quest’anno al suo 60esimo anniversario, nella settimana dal 13 al 17 settembre rivolto alle classi di scuola dell’infanzia e delle elementari. Quale migliore prospettiva per tuffarsi nella natura e progettare lezioni «en plein air»! L’input deve arrivare
la; la Scuola nel Bosco di Arcegno e il Gruppo educazione ambientale della Svizzera italiana (Geasi)». Per le sedi scolastiche si tratta di un investimento in termini finanziari? «No, partecipare alla settimana di “Scuola all’aperto – imparare nella natura” è assolutamente gratuito. Per l’accompagnamento con l’esperto le condizioni dipendono invece dai vari partner. Il Wwf offre inoltre in regalo un «kit» per gli allievi utile per svolgere alcune attività ludiche e didattiche». Come si svolgono, in concreto, le lezioni «en plein air»? «L’idea è quella di sfruttare quanto offre l’ambiente na-
Turismo alternativo In Val Rovana ha aperto i battenti
una casa di vacanza risalente al 1600 e ricostruita minuziosamente dai proprietari che ne hanno mantenuto lo stile arcaico
Mauro Giacometti Se pensate di alloggiare alla Cà Vegia di Cerentino scordatevi i comfort della vita moderna. Niente aria condizionata, Wi-Fi e tantomeno elettricità. Nel «casone» giallo che spicca al centro della frazione Cà di Giuz, con le sue finestre a volta, i balconi in legno con una spettacolare vista sulle montagne della Val Rovana e sul campanile della chiesa parrocchiale, l’aria condizionata arriva naturalmente, dalla brezza che soffia nella valle dei Walser. E la «jacuzzi» la offre il torrente che scorre accanto e si getta a fondovalle nell’affluente della Maggia. Per leggere prima di dormire in uno dei lettoni in legno costruiti a mano delle quattro stanze riservate agli avventori, basta e avanza il lume di una candela. E niente colazione «all inclusive» servita al buffet: c’è il forno per il pane, le marmellate fatte in casa e il camino dove cucinare la polenta da accompagnare allo spezzatino o al formaggio per una calorica cena come necessita a chi s’inerpica per i sentieri di montagna. È un rifugio antico e fuori dal tempo questa Cà Vegia, ristrutturata e resa perfettamente abitabile da Adriano e Svetlana Beroggi, i coniugi che una dozzina d’anni fa acquistarono questo storico caseggiato, che risale al 1600 ma rimasto disabitato per oltre un secolo. Con le loro mani, il sudore, l’ingegno e la forza di volontà l’hanno fatto rinascere per renderlo una originale casa di vacanza d’altri tempi. «Era praticamente un rudere, con il tetto semidistrutto, le finestre sventrate e le mura che sembravano crollare da un momento all’altro. Mio marito che in passato aveva fatto l’elettricista e poi il falegname, è sempre rimasto affascinato da questa casa. Così, piano piano, pietra su pietra, legno su legno l’abbiamo sistemata, mantenendo però le peculiarità di una casa contadina qual è sempre stata», spiega Svetlana Beroggi. Che aggiunge: «Mura esterne e pareti interne sono state ricostruite con la tipica calcina di questa valle, di color giallastro, quella che si ricava dalle pietre e dalla sabbia di Cerentino. Quanti viaggi con i sacchi in spalla su queste montagne a recuperare la sabbia e renderla utilizzabile per ristrutturare e ricostruire la Cà Vegia. E quante ore di lavoro da parte di mio marito per sistemare gli interni, gli infissi, i pavimenti e i mobili, tutti rigorosamente originali», ci dice. Dopo dieci anni di restauri ese-
guiti in proprio, in economia, ma a regola d’arte e con tutta la passione e l’impegno di chi ama le proprie origini e tradizioni, dal 2020 la Cà Vegia di Cerentino è entrata ufficialmente nel circuito dei luoghi d’accoglienza del Canton Ticino. Da maggio a settembre propone le sue quattro camere, con otto letti matrimoniali adatti ad ospitare famiglie numerose e gruppi di amici. Al pian terreno si trova anche una stanza adibita a sala da pranzo, con un’antica pigna restaurata con pietra ollare di Bosco Gurin e una spaziosa cucina. «Una volta questo era il locale più importante della casa: ci si riuniva per stare in compagnia, al caldo e per mangiare. La cucina illuminata dalla fiamma del camino offre tutto il necessario per cucinare quello che si vuole. E se serve possiamo dare una mano, aiutare a preparare la colazione o la cena, rigorosamente con prodotti locali. Ma senza essere invadenti: questa è una casa di vacanza da vivere in tranquillità e il più possibile in autogestione, riscoprendo le tradizioni
La valle dei Walser Imboccata la Valle Rovana da Cevio, per tutti i 15 km della sua lunghezza si scopre un mondo sospeso nel tempo. Caratteristici villaggi in pietra, splendidi prati terrazzati ed importanti palazzi storici sorprendono chi risale attraverso la valle ticinese che nel corso dell’ultimo secolo ha conosciuto il maggior spopolamento. Subito dopo Cevio, lasciato il fondovalle, il traffico si fa meno intenso e una serie di tornanti permette di superare un importante dislivello. Giunti a Linescio si rimane impressionati dagli oltre 25 km di muri a secco che caratterizzano il primo villaggio della Valle Rovana. La strada prosegue attraverso boschi di castagno e prati sino a Cerentino dove ci si trova ad un bivio. Dal centro del villaggio verso ovest si sviluppa una piccola strada che passando da Campo Vallemaggia conduce sino a Cimalmotto. Proseguendo sulla via principale si affronta invece la salita che porta al villaggio walser di Bosco Gurin. Unico paese ticinese in cui si parla tedesco, Bosco Gurin, rinomata stazione invernale, sta cercando di proporsi anche come meta turistica primaverile ed estiva.
immersi in una natura per fortuna ancora incontaminata», sottolinea ancora Svetlana che si occupa di ricevere le prenotazioni, organizzare l’accoglienza e della promozione e del marketing, questo sì in chiave moderna e «social». Al secondo piano invece il bagno è un’oasi di puro relax e anche un’eccezione concessa alla modernità: la doccia la si può fare con l’acqua calda. Per chi preferisce una rinfrescata alla maniera contadina, appena fuori la Cà Vegia campeggia una fontana con acqua corrente che rigenera solo a guardarla. «Abbiamo aperto questa casa d’accoglienza proprio durante il lockdown ed eravamo chiaramente preoccupati. Dopo tanto lavoro arriva una pandemia a bloccarci sul più bello, quando finalmente potevamo aprire le porte della Cà Vegia ai turisti e veder concretizzato il nostro sogno. E invece, vuoi perché la gente cercava di isolarsi, vuoi perché tornava ad apprezzare la natura, l’estate scorsa abbiamo avuto una buona affluenza. Soprattutto clientela confederata, ma anche qualche ospite ticinese alla riscoperta del nostro territorio che decideva di soggiornare due o tre giorni da noi prima di tornare alla routine quotidiana. E anche da questa primavera, con l’aggiunta dei turisti germanici che chiedono informazioni e prenotano per l’estate, possiamo ritenerci soddisfatti di come sia accolta questa nostra proposta di un soggiorno d’altri tempi», sottolinea la proprietaria e gerente. La Cà Vegia di Cerentino non è adatta a tutti. È per turisti curiosi, nostalgici, «on the road», naturalisti, amanti del trekking o semplicemente alla ricerca di pace e tranquillità che scelgono un soggiorno fuori dal mondo e fuori dal tempo per tornare ad apprezzare una civiltà quasi perduta come quella montana. «Intendiamoci, questa è una casa antica, spartana, ma è proprio questo il suo fascino. È un’esperienza originale da vivere fino in fondo, consapevoli di fare un salto di secoli nel passato, dimenticando per qualche giorno la vita frenetica, la tecnologia, il traffico», dice ancora Svetlana mentre osserva con orgoglio il suo «casone giallo», vale a dire ciò che lei e suo marito sono riusciti a valorizzare con sacrificio e una buona dose di determinazione nella loro valle, nel loro villaggio. Un paese montano, quello di Cerentino, che soprattutto adesso che accudiscono e gestiscono la Cà Vegia non hanno nessuna intenzione di abbandonare.
Agli allievi il Wwf regala un kit per svolgere alcune attività ludiche e didattiche.
dal docente di classe (le iscrizioni sono possibili entro il 9 settembre a www. wwf.ch/scuola-all-aperto) che potrà così prenotare uno o più momenti didattici all’esterno, sia nelle vicinanze dell’istituto scolastico sia in una località immersa nella natura.
L’insegnamento all’aperto offre agli allievi possibilità di esplorazioni e osservazioni concrete, stimoli che in classe non si trovano «Quello che chiediamo ai docenti è che sull’arco della settimana di azione del Wwf almeno mezza giornata sia dedicata alla scuola all’aperto» – spiega Nadia Klemm, responsabile delle attività del settore scuola di Wwf Svizzera. «Diversi possono essere i luoghi scelti: un bosco, un biotopo, il fiume o anche solo il cortile della scuola. Ai docenti che aderiscono all’iniziativa forniamo gratuitamente un dossier didattico che contempla un’ampia serie di spunti per svolgere tutte le discipline d’insegnamento all’aperto: attività di movimento – passeggiate, esplorazioni – lezioni di italiano, matematica e altre discipline d’insegnamento. Ma offriamo anche la possibilità di appoggiarsi a consulenze esperte di educatori ambientali, scegliendo fra le nostre diverse associazioni partner: Pro Natura, il Centro natura Valle Maggia; Silviva; Alleanza territorio e biodiversità; L’Orto a scuo-
turale che si trova nel luogo prescelto: ci si siede su un tronco d’albero, piuttosto che in cerchio su un prato. Si può inoltre optare per una delle aule nel bosco presenti in Ticino, dove si trovano tavoli o «nidi d’aquila» come sono stati battezzati, piccole e comode aree a forma di cerchio create con i legni». Vario si preannuncia il repertorio didattico possibile all’aria aperta. «Già solo nel cortile della scuola è possibile con gli allievi approfondire nozioni legate all’ambiente circostante: si possono ad esempio determinare le specie delle piante, misurarne il tronco o cercare di ricostruirne brevemente la storia e l’età. L’interessante è che in una lezione all’aperto l’insegnamento diventa immediatamente pratico, sensoriale e dunque richiama elementi concreti, reali, che si possono proprio toccare con mano». Falso, dunque, immaginare che i bambini all’aperto possano distrarsi maggiormente che in classe? «Direi piuttosto che l’insegnamento all’aperto offre agli allievi possibilità di esplorazione e osservazione concrete. All’aperto ci sono stimoli che in classe non si trovano». «Scuola all’aperto – imparare nella natura» giunge alla sua quarta edizione. Qual è il bilancio? «Molto soddisfacente» – risponde Nadia Klemm, che evidenzia: «Il progetto non si svolge soltanto in Ticino ma in tutta la Svizzera, dove lo scorso anno sono state più di 1300 le classi che vi hanno aderito. Le iscrizioni sono ancora aperte, ma già sin d’ora presumiamo di poter raggiungere, se non superare, queste buone cifre, dal momento che ogni giorno entrano nuove iscrizioni. In Ticino calcoliamo l’adesione di un centinaio di classi».
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 agosto 2021 • N. 31
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Società e Territorio
Tutti pazzi per i monopattini
Tendenze I mezzi a propulsione elettrica sono sempre più diffusi anche alle nostre latitudini ma buona parte
della popolazione ignora le regole che li riguardano. Ce le spiega il portavoce della Polizia cantonale Renato Pizolli Romina Borla Una tranquilla mattina d’estate a Lugano. Camminiamo sovrappensiero per le vie del centro e all’improvviso… Colpo al cuore. Lo vediamo arrivare fulmineo. Non capiamo nemmeno bene di cosa si tratta. Riusciamo però a lanciarci sul lato, rasenti al muro, evitando per un secondo una rovinosa collisione frontale, proprio lì, sul marciapiede. Luogo che consideravamo sicuro. E invece no, mai abbassare la guardia. Perché anche in Ticino si moltiplicano monopattini elettrici, segway (pedane con due ruote parallele e un manubrio centrale) e hoverboard (pedane senza manubrio). Si incontrano soprattutto nei centri urbani, magari cavalcati da uomini in giacca e cravatta oppure donne in tailleur. «I mezzi a propulsione elettrica hanno successo anche tra i meno giovani», dice Renato Pizolli, portavoce della Polizia cantonale e capo progetto di Strade sicure, il programma di promozione della sicurezza stradale del Dipartimento delle istituzioni. «Come mai? Si trasportano facilmente, riducono la fatica e i minuti necessari per percorrere il tragitto tra il parcheggio o la fermata del mezzo pubblico e il posto di lavoro». Il problema – sottolinea il nostro interlocutore – è che buona parte della popolazione ignora le regole che li riguardano. Ad esempio monopattini elettrici e mezzi simili possono viaggiare solo dov’è permesso il passaggio di
biciclette ed e-bike, quindi strade e piste ciclabili, mentre se ne vedono molti sfrecciare sul marciapiede anche se non è consentito. Il motivo? Capita che chi li conduce si senta insicuro e preferisca quindi evitare la carreggiata. Il nostro interlocutore sottolinea come sia spesso difficile la convivenza tra i diversi utenti della strada: «Da un lato ci sono gli automobilisti che hanno difficoltà a percepire in maniera corretta i monopattini sulla carreggiata, dall’altro i pedoni che si vedono sfrecciare accanto dei mezzi elettrici che possono arrivare a toccare i 20 km/h…». Mezzi che a volte rimangono coinvolti in incidenti. L’Ufficio prevenzione infortuni (Upi) indica che in Svizzera, nel 2020, gli incidenti che li hanno visti protagonisti hanno causato 139 feriti lievi e 55 feriti gravi. In ogni modo, rassicura Pizolli, studi dimostrano che la maggior parte delle situazioni non coinvolge altri utenti della strada. Le ruote di un monopattino sono molto più piccole rispetto a quelle di una bicicletta, perciò basta una minima asperità del fondo stradale per provocare una caduta. Altre importanti regole: i minori di 14 anni non possono utilizzare il monopattino elettrico su suolo pubblico (ma solo in uno spazio privato, ad esempio un piazzale cintato) e fino ai 16 anni per farlo è necessaria la licenza di condurre per ciclomotori o mezzi agricoli. Ora affrontiamo il capitolo velocità. In Svizzera questi mezzi elettrici possono
Circolare sul marciapiede è vietato. (Keystone)
circolare a 20 km/h al massimo. Pizolli spiega: «È possibile che venga acquistato, soprattutto online, un articolo non omologato nel nostro Paese con una velocità superiore a quella consentita. In altre Nazioni vigono infatti regole diverse. Esistono monopattini elettrici venduti negli Stati uniti che riescono a sfiorare i 90 km/h. Noi consigliamo di controllare prima di comprare: il mezzo in questione deve essere a norma, altrimenti si rischia una contravvenzione e si creano seri pericoli sulla strada». La targhetta e il casco – per monopattini
elettrici e simili – non sono obbligatori ma il portavoce della Polizia cantonale consiglia caldamente di considerare quest’ultimo, come di indossare anche di giorno capi ad alta visibilità, per esempio un gilet fluorescente o abiti con catarifrangenti. Fondamentale inoltre stipulare un’assicurazione di responsabilità civile privata che potrà coprire gli eventuali danni causati a terzi in caso di incidente. Allarghiamo lo sguardo al mondo delle biciclette elettriche. «Le e-bike – che devono circolare su ciclopiste e
corsie ciclabili – si suddividono in due categorie», specifica Pizolli. «Quelle lente (pedalata assistita fino a 25 km/h) e quelle veloci (fino a 45 km/h). L’età minima per circolare con entrambe è di 14 anni. Le biciclette elettriche lente possono essere guidate senza licenza dai 16 anni, prima è necessario il patentino dei ciclomotori. Per quello che riguarda le e-bike veloci, sono obbligatori licenza di condurre, targa, vignetta e casco». Una buona regola, anche in questi casi, è il rispetto del contesto e degli altri. Pensiamo ad esempio ai sentieri di montagna un tempo riservati agli escursionisti. Chi oggi li percorre con un’e-bike deve regolare la velocità, prestare attenzione alla segnaletica e ai viandanti ecc. Cosa rischia chi guida un mezzo elettrico di qualsiasi tipo infrangendo le norme? «Si valuta caso per caso», afferma il nostro interlocutore. «I provvedimenti possono andare dalla multa al ritiro del mezzo di trasporto. Da parte delle forze dell’ordine non c’è la volontà di seguire una linea repressiva, cerchiamo piuttosto il dialogo educando la popolazione a un uso consapevole di monopattini e simili. Anche per questo a metà giugno è stata lanciata la campagna Meno fatica, più attenzione: anche per i monopattini elettrici il rispetto è la prima regola». Informazioni
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Società e Territorio Rubriche
Approdi e derive di Lina Bertola La pienezza del senso del sapere Potrebbe apparire una scelta inopportuna quella di parlare di scuola in piena estate. Perché mai evocare spazi vuoti, resi silenziosi dall’assenza di allievi e di maestri che la rendono una realtà viva? Perché non concederle un salutare momento di oblio dedicandosi a realtà più presenti in queste calde giornate? A questi comprensibili interrogativi rispondo così: scuola, maestro e allievo, anche lontano dalla loro concreta presenza fisica, restano presenze simboliche, realtà che continuano ad abitare il nostro vissuto. La scuola è un luogo simbolico, un’atmosfera che ci accompagna in molte stagioni della vita e in cui si esprimono tanti frammenti del racconto di noi stessi. Certo, la scuola a cui pensiamo è innanzitutto quella che racconta il nostro diventare grandi, ma non solo. Si impara anche a guidare o a fare buone torte, e soprattutto si impara ad affrontare difficoltà e sofferenze, e tanto si impara da emozioni che ci sor-
prendono. Scuola rimane dunque un simbolo che custodisce molti risvolti del nostro prenderci cura della vita, che nutre il desiderio di diventare ciò che siamo e quello di provare a rendere la nostra vita un’opera d’arte. Anche maestro e allievo sono figure che abitano questa intima atmosfera; sono figure che vivono in noi nella reciprocità di ogni relazione, quando il nostro mondo interiore rimane aperto, in attesa, proprio come quello dei bambini di prima elementare. Il maestro e allievo che siamo svelano quel divenire della vita che sempre è trasformazione ed espansione. Raccontano di intrecci esistenziali in continuo movimento che alimentano l’incontro con l’altro, quando accolgo la sua voce e il suo sguardo e gli offro le mie verità, sentimenti, parole, gesti. Anche quando le scuole sono chiuse e magari diventano l’ultimo dei nostri pensieri, ecco che in un altrove dell’in-
timità, il maestro e l’allievo continuano a farci sperimentare un bel modo di stare al mondo: una possibilità di esserci che aiuta tutti a fiorire. Questi significati simbolici, che ci conducono oltre la concretezza del mondo, che spingono la nostra sensibilità oltre i dati nudi e crudi, sono la nostra realtà. Sono il nostro ambiente di vita. Il simbolo, lo dice la parola, mette insieme, unisce, lega il visibile e l’invisibile. E crea legami, proprio come il rito antico in cui un oggetto veniva spezzato in due e ciascuna delle due parti separate rimaneva un segno di riconoscimento tra persone lontane. Non viviamo a contatto diretto con la realtà ma con i significati che le attribuiamo. Lo aveva capito molto bene il filosofo Ernst Cassirer. Più che con il mondo fisico, con le cose del mondo, l’uomo ha a che fare con sé stesso. Plasma la realtà con pensieri e con emozioni suscitate dall’immaginazione.
Viviamo tra le cose del mondo, certo, ma sempre restiamo a colloquio con noi stessi, con i significati con cui plasmiamo il nostro mondo e con cui disegniamo il senso della vita. E ciò accade anche quando si tratta di comprendere, nei suoi dettagli, il senso della scuola. Un esempio? Il continuo impoverimento e il progressivo abbandono degli studi classici è una situazione di cui si discute molto di questi tempi. Preoccupano, a ragione, certe scelte politicoculturali, a cominciare da quelle di prestigiose università americane. Questo spirito del tempo tocca da vicino anche la nostra realtà. Nella formazione liceale si è rilevata, negli ultimi anni, una vistosa perdita di interesse per lo studio di greco e latino con un calo drastico delle iscrizioni all’indirizzo di lingue antiche. Lungi da me il desiderio di esprimere sentimenti nostalgici per valori umani e umanistici che il nostro clima cultu-
rale non sa più riconoscere. Le scelte dei giovani vi si adeguano, e non potrebbe essere altrimenti. Alla nostalgia preferisco sentimenti di apertura sul futuro. E allora penso alle istituzioni e alle loro scelte politiche. In particolare, a quella di non istituire il corso di lingue antiche se non ci sono almeno cinque iscritti. Se sono solo tre o quattro, gli studenti dovranno spostarsi in un’altra sede o rinunciarvi. Ragioni economiche, ci sta. Ma il Liceo conserva il nome della scuola di Aristotele in cui il Maestro insegnava tutte le discipline, dalla biologia alla retorica, dalla fisica alla politica, in una pienezza del senso del sapere. Una pienezza di atmosfere che dovremmo poter continuare a respirare nei corridoi, anche senza mai entrare in un’aula di greco. Ma anche senza rinunciare alla presenza simbolica di un mondo che parla le lingue in cui abbiamo incominciato a pensare.
preindustriale è assicurato. «Il nuovo paesaggio balneare mette in scena artisticamente un mondo migliore che si credeva perso» scrive Johannes Stoffler nel saggio Modernism for the people: Swimming pool landscapes in Switzerland (2010), a proposito del Bad Allenmoos (441m) di Zurigo. Un eden ritrovato, quasi una critica sottile alla civilizzazione. La grande città sparisce come d’incanto. Anche l’architettura, già discreta in partenza, ha il pregio di sparire del tutto tra gli alberi ricercati. Spicca solo, a fianco del faggio pendulo, sospeso e leggiadro come fata morgana, il bar-ristorante dalle linee transatlantiche. La terrazza in alto, in aria come un pontile, è sorretta dai pilotis fungini. Solo a nuoto si ammira al meglio la tavolozza ben studiata di decine di verdi diversi che compongono il paesaggio come pennellate postimpressioniste. A quest’ora, in questa piscina popolare di un romanticismo modernista, non c’è ancora molta gente, solo alcuni nuotatori abitudinari mattinali. A bordo vasca, appoggio le dita su un orlo tutto costellato da favolosi sassolini. Rintro-
nato dalla bellezza intorno di questo arboretum-piscina dove flora scelta e funzionalità dell’architettura moderna vanno a braccetto, dopo una ventina di vasche, zampetto fino al ristorante servisol per un pralinato fuori orario. Due vecchietti a un tavolino, con l’aria di quelli che vengono qui tutti i giorni per tutta l’estate, da anni, sorseggiano un caffè e fanno quattro chiacchiere. Butto un occhio, benché apra solo nel pomeriggio, al chiosco-rotonda in Landistil. Eppure è l’angolo della grande quercia piramidale con la piscina azzurrina trasparente e scintillante ad attrarre di nuovo la mia attenzione, messa un po’ in crisi, da uno stato trasognato continuo. Lì, nell’aiuola, spunta onirica una statua di donna nuda in bronzo striato di verderame di non so chi. Non per niente, il titolo di un articolo di Andreas Nentwich a proposito di questo posto, apparso sull’ultimo numero di «Kunst + Architektur in der Schweiz», contiene il verbo «träumen». Mi svacco sul prato, maculato d’ombra e sole, e a occhi aperti sogno l’albero dei pralinati. Forse è meglio andare a fare un bagno.
Mattacheo e Marco Peano, che in un’intervista su Rivista Studio raccontano come l’ebook abbia contribuito a fare di necessità virtù: «Dopo aver temuto la morte del libro di carta per mano dell’ebook, abbiamo scoperto che invece era l’ebook a rischio di morte precoce. Ultimamente, forse proprio con la pandemia, questo formato sembra vivere una seconda vita». Consoni alla loro veste digitale si tratta di testi brevi, agili, leggibili in un’unica seduta che vanno dritti al punto. Autori italiani e stranieri spaziano dalla narrativa alla saggistica con tutte le sfumature che stanno nel mezzo, d’altra parte il Web è il luogo giusto per esplorare, sperimentare, creare nuovi generi e formati. Di iniziative in questo senso ne seguiranno perché proprio come per il mondo del giornalismo la pandemia ha accelerato dei processi già in atto. In tempi di contrazione e incertezza eco-
nomica il digitale può fare la differenza. Lo vediamo nel giornalismo, quasi tutte le nuove realtà indipendenti nascono online. Se prendessi tutti i giorni i mezzi pubblici leggerei al mattino le edizioni digitali dei giornali e alla sera i Quanti. Se la pandemia mi costringesse a casa mi ritaglierei ugualmente il tempo. Leggerei ad esempio il testo di Marco Filoni che disegnando un inaspettato ritratto del buon uso della paura inizia così: «C’è una vecchia storiella che si racconta fra gli chassidim. Questa storiella dice quel che tutti vogliono sapere. Cioè come sarà il mondo a venire». La Variante Delta e il clima impazzito non ci danno indizi propizi. Non ci resta che continuare a nutrire la nostra speranza continuando a raccontare, leggere e condividere storie in un costante e umile esercizio di conoscenza e comprensione della realtà, che mai come oggi appare fluida e fuori controllo.
Passeggiate svizzere di Oliver Scharpf Il Bad Allenmoos di Zurigo Tram numero undici, otto fermate dalla stazione centrale, dodici minuti di viaggio. E tra un attimo dovrei essere sul posto. Una piscina-parco nata nel 1939 la cui distanza, dalla fermata del tram omonima, corrisponde al tempo di marcia trovato nel testo Das Freibad Allenmoos Zürich di Alfred Roth pubblicato nel 1947 su «Das Werk» 34. «Due minuti a piedi dalla fermata del tram» scrive l’autore dell’articolo, tra l’altro anche architetto e designer. E mica l’ultimo arrivato: è lui, per esempio, a scegliere i colori per l’edificio di Le Corbusier al Weissenhof di Stoccarda, in collaborazione con Alvar Aalto disegna una banca a Beirut, firma varie scuole, un libro-chiave sulla nuova architettura scolastica, e il letto dove ho dormito al Bella Lui di Crans-Montana. Ex sanatorio progettato – assieme alla moglie Flora Steiger-Crawford e Arnold Itten – proprio da uno dei tre architetti artefici di questo lido Neues Bauen. Il trio è composto infatti da Rudolf Steiger (1900-1982), Werner Max Moser (18961970), Max Ernst Haefeli (1901-1976). In realtà però è l’opera di un quartetto.
Il ruolo dell’architetto-paesaggista Gustav Ammann (1885-1955), si intuisce già dall’entrata, è fondamentale. Vetrocemento e colonne a fungo si fondono da subito con le fronde variegate degli alberi. Alle nove e ventiquattro di una mattina verso fine luglio, poco dopo la sua apertura, assaggio in tutta tranquillità, la sua visione di piantare una moltitudine di alberi provenienti da tutto il mondo. Come il delicato katsura che incontro ora. Tocco elegante da giardino ornamentale giapponese, il Cercidiphyllum japonicum è noto in tedesco anche come Kuchenbaum, albero delle torte. In autunno, le foglie cadute hanno, pare, per un paio di ore al giorno, un odore che ricorda le torte appena uscite dal forno. Regna e ombreggia a meraviglia, a ridosso delle celate cabine in beton – per cambiarsi al volo – con le porte di legno azzurro provenzale, un maestoso faggio sanguigno. Protetto da vetrate lattescenti, un tavolo da pingpong mattiniero vive la sua vita solitaria in santa pace. Poco più in là, un’apertura improvvisa nel soffitto piano come uno squarcio a forma di dirigibile
o balena, incornicia le chiome arboree. Gironzolo un po’, a piedi nudi, nell’erba umida, prima di trovare il luogo preciso dove accamparmi. Non lontano dalla magnifica Quercus robur Fastigiata che domina la scena all’angolo sinistro della piscina. Il bacino, azzurro chiaro invitante, devia dalla convenzionale forma rettangolare. Due lati sono leggermente a zig zag, creando così, in lunghezza, una concavità accennata appena; e in larghezza, a malapena percettibile, una certa convessità. L’acqua è inaspettatamente fresca, senza odore di cloro. Nuotando si capisce meglio tutta l’armonia della struttura. Si assaporano, innanzitutto, fino in fondo, le aiuole selvatiche che corrono per cinquanta metri lungo i fianchi della piscina. Achillea tomentosa a go go, margherite, malva, e tanti altri fiori spontanei spuntano come citazione cittadina dei prati di campagna. A rana, a poco poco, contemplo la vocazione di Amman per il giardinaggio selvaggio inglese. Laggiù, dalle parti della piscina per bambini a forma di apostrofo con tanto di scivolo, si scorge un filare di pioppi e l’effetto ripariano
La società connessa di Natascha Fioretti Di Quanti e di speranza in questa pazza estate Prima, a marzo 2020, è arrivata Adelphi con i «Microgrammi», una collana di lievi e puntuti e-book con fulminei interventi inediti o tasselli ritagliati dal guazzabuglio di testi più larghi. Dapprima un’iniziativa tutta digitale, partita con l’inedito italiano Al via con Dolore di V.S. Naipaul, uno dei suoi scritti più diretti e personali apparso per la prima volta sul «New Yorker». Da quest’anno, a grande richiesta, le edizioncine escono anche in forma cartacea. Un’iniziativa nata per dare la possibilità nei giorni di lockdown senza librerie di leggere alcuni dei testi che normalmente la casa editrice avrebbe voluto pubblicare in quelle settimane. «Per chi li fa e chi li legge i libri sono una forma di concupiscenza. Di cui non è facile liberarsi, anche in circostanze avverse. Specie in circostanze avverse. Costretti alla clandestinità, i libri prosperano. È già accaduto non poche volte – e adesso
tentiamo di farlo succedere di nuovo» sottolineava allora la casa editrice. Racconti tratti da volumi più ampi o brevi inediti, l’idea era quella di pubblicare libri autonomi in veste mignon. Nel frattempo ne sono usciti tanti, basta andare sul sito della casa editrice per scoprirli. E nel frattempo anche Einaudi ha lanciato un’iniziativa tutta digitale, una sorta di rivista che però è anche una collana divisa in numeri in cui tutti gli articoli sono autonomi gli uni dagli altri. Ad accomunare le prime uscite è il tema della speranza: «La speranza è un continente diceva Ernst Bloch, abitato quanto quello più civilizzato, e inesplorato quanto l’antartide. Ecco perché per iniziare la nuova serie di Quanti Einaudi, abbiamo chiesto alle scrittrici e agli scrittori di essere, ancora una volta, i primi cartografi di questa nuova geografia. Di mandarci i loro dispacci da un continente, quello della speranza, con cui
abbiamo un enorme bisogno di entrare in contatto». I primi, iniziando dalle donne, sono Antonella Lattanzi, Eula Biss, Hisham Matar, Paolo Giordano, Marco Filoni e Ascanio Celestini. Inaugurati lo scorso maggio i Quanti nascono per rispondere all’esigenza di lettori e lettrici, e cioè di conoscere e comprendere questa nuova realtà pandemica particolarmente confusa e oscura. Capirla destrutturandone, scomponendone e osservandone i suoi elementi, le sue particelle fondamentali per ricomporle in infinite combinazioni. Potete trovarli per pochi euro negli store online, oppure su Play libri di Google potete dare un’occhiata alle anteprime e scegliere il testo che fa per voi. Anche sull’account Instagram di Einaudi trovate immagini e testi che possono ispirarvi e orientarvi. In un formato molto comodo da leggere anche sul cellulare, la collana è ideata e curata da Francesco Guglieri, Andrea
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 agosto 2021 • N. 31
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Ambiente e Benessere I fiordi dell’Ovest islandese Una terra per settemila abitanti, qualche milione di uccelli marini e molte greggi di pecore
Volontari verde speranza Una passione che si è tramutata da semplici passeggiate nella natura a lotta al littering
Un’isola da mangiare Inizia una miniserie di tre articoli dedicati alla tradizione gastronomica della Sicilia pagina 12
pagina 11
pagina 10
StraLugano: e sono 15! La più importante competizione podistica del cantone torna i prossimi 28 e 29 agosto
pagina 15
cosa fare contro l’ncontinenza urinaria Medicina Cercare aiuto prima possibile
migliora sensibilmente lo stile di vita – Prima parte
Maria Grazia Buletti «Me la faccio addosso dal ridere»: quante volte abbiamo sentito o detto questa frase che ha un suo fondo di verità? Ridere a più non posso non è però la sola possibile causa di una perdita incontrollata di urina. «Un uomo su dieci, dai 50 anni in poi, è confrontato con questo problema e solo il 20% di chi ne soffre consulta un medico: la maggior parte di essi non affronta la questione e si preclude le possibilità di trattamento che esistono e sono efficaci». A parlare è l’urologo Paolo Broggini (attivo alla Clinica Sant’Anna di Sorengo) che sottolinea come spesso l’argomento sia ancora un tabù erroneamente associato alla sfera urogenitale e all’invecchiamento. L’incontinenza urinaria concerne entrambi i sessi, anche se con incidenza, cause e reazioni differenti: «Per una questione anatomica, nella donna i numeri sono maggiori e il problema è più consistente». Le differenze di approccio fra uomo e donna comportano altre sfumature: «L’uomo declina il problema facendone un aspetto personale e meno problematico rispetto alla donna, anche perché nell’uomo la fascia d’età interessata risulta essere più avanzata di quella femminile in cui entrano in gioco gli aspetti sociale, relazionale e di coppia, in un rapporto col sintomo che pesa sulla qualità della vita». L’urologo evidenzia che la donna identifica spesso a torto l’apparato genitale con quello urinario, con conseguente pudore a parlarne e nascondendo il problema: «In realtà, la carenza ormonale apportata dalla menopausa, i sistemi legamentosi di vescica e uretra che si indeboliscono e altre cause di dominio prettamente femminile possono portare all’incontinenza urinaria della donna che, quando vede cambiare gli aspetti di genitalità e sessualità, li identifica col problema dell’incontinenza, scotomizzando entrambi». Una fatica psicologica ad affrontare il dolore del cambiamento fisico e dell’immagine di sé, potenziata dal fatto che chi soffre di incontinenza «vive con un
amico scomodo: l’assorbente che dà cattivo odore e modifica l’aspetto fisico stesso». L’uomo, ribadisce Broggini, ragiona diversamente: «È generalmente over 70 e dobbiamo considerare il “pianeta prostata”, in quanto la causa più comune dell’incontinenza maschile è riconducibile al suo ingrossamento. L’urina si accumula nella vescica e il bisogno di urinare viene percepito in modo impellente e improvviso. Inoltre, negli anni si affievolisce l’equilibrio fra serbatoio passivo della vescica cui fa da antagonista la contrazione naturale che induce allo svuotamento. Questo squilibrio tra le forze muscolari (che provvedono allo svuotamento della vescica) e quelle che permettono di trattenere l’urina portano a una “vescica iperattiva” con uno svuotamento frequente e disturbato». Altro discorso è l’intervento chirurgico sulla prostata, anche se si sopravvaluta l’incidenza dell’incontinenza urinaria a seguito di un classico intervento di prostata ingrossata: «La chirurgia di asportazione prostatica per tumore potrebbe creare problematiche di incontinenza urinaria, mentre quella per ipertrofia benigna non ne produce, come pure non porta a problemi di impotenza». Emergono la rilevanza della prevenzione del tumore prostatico e l’importanza di individuarlo in uno stadio precoce: «Per fortuna, la precisione della chirurgia robotica dell’ultimo decennio ha permesso di affinare la delicatezza dell’intervento per asportazione di tumore prostatico nel risparmio di alcune strutture anatomiche vicino alla prostata: i nervi per l’erezione e lo sfintere volontario che trattiene l’urina (posizionato proprio al di sotto). Questo favorisce la salvaguardia dello sfintere anche nella chirurgia prostatica tumorale, e permette di diminuire sensibilmente la percentuale di incontinenze a essa associata (dal 20% a una percentuale inferiore a 5%)». Ad ogni modo, la prevenzione dell’incontinenza urinaria è da considerarsi un vero jolly: «Sia l’uomo che la donna possono fare parecchio, a co-
L’urologo Paolo Broggini. (Stefano Spinelli)
minciare dalla cura dell’obesità (il peso delle persone obese comprime sugli organi pelvici che perdono la loro statica); anche il fumo è nocivo e non fumare può prevenire tutti quei problemi respiratori che portano a colpi di tosse continui che a loro volta potrebbero condurre a incontinenza da sforzo tanto quanto il sollevamento di pesi o le risate: tutto ciò indebolisce alla lunga l’efficacia dello sfintere vescicale». Nella donna: «Oltre a fumo e obesità, partorire più volte comporta pure un indebolimento del pavimento pelvico che merita quindi esercizi specifici (ndr. di cui si parlerà approfonditamente sul prossimo numero di salute «Azione» no. 32 del 9 agosto)». Le opzioni di trattamento dell’incontinenza urinaria sono molteplici, secondo il caso: «Può essere curata o migliorata per oltre il 90% delle persone che ne soffrono e un primo aiuto deriva proprio dal rafforzamento della muscolatura del pavimento pelvico. Altra op-
zione sono i farmaci (antimuscarinici o beta agonisti) spesso combinati con la pianificazione della minzione e, in casi di incontinenza particolarmente gravi, l’impianto di uno sfintere artificiale o intervento chirurgico sono strade percorribili». Qualche utile suggerimento a chi, ad esempio, limita l’assunzione di liquidi pensando di diminuire il disturbo: «La teoria che bere molto faccia bene è invalsa e porta spesso a smaltire due o tre litri durante le 24 ore. Ad alcuni pazienti consiglio di ridurre l’idratazione a partire dalle 18 in poi, per non alzarsi di notte a urinare». Il medico sottolinea però che ridurre l’idratazione per diminuire i problemi di incontinenza non è la soluzione del problema e resta un artificio casalingo. Così come non lo è l’aumentare la frequenza della minzione: «Alcuni tracciano i bar lungo il loro tragitto per poter avere la certezza di trovare subito un posto dove andare a fare pipì: una vita complessa nella quale
avrebbe più senso affidarsi all’urologo perché esistono farmaci che riducono l’iperattività vescicale: non miracolosi ma che potrebbero aiutare». E quando «scappa» troppo spesso? L’urologo parla di ginnastica vescicale: «La vescica è un muscolo che agisce, abbiamo visto, in modo antagonistico serbatoio-svuotamento. Lo stimolo che giunge con 50 o 150 ml appena non è da soddisfare subito: si tratta di un primo allarme della vescica che poi dimentichiamo per un po’, finché essa stessa non si riempie di più e allora ne lancia un secondo che vale la pena di rimuovere; di norma si parla di almeno 3 ore fra una minzione e la successiva». Ecco una ginnastica vescicale per una vescica iperattiva che aiuta a prevenire in parte l’incontinenza urinaria. In questo modo abituiamo progressivamente la vescica a migliorare la sua funzione di serbatoio aumentando la sua capacità, semplicemente trattenendo un po’ di più le urine.
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Ambiente e Benessere Una spiaggia bianca tra i fiordi dell’Ovest. Su www.azione.ch si trova una più ampia galleria fotografica. (Francesca Mazzoni)
c’era una volta l’Islanda Reportage Storie di resistenza nei fiordi dell’ovest
Francesca Mazzoni La scogliera di Látrabjarg, con i suoi quattrocento e passa metri d’altezza, è il punto più occidentale d’Europa, ma non c’è nessuno con cui celebrare questo primato, a parte pecore sparse un po’ ovunque e qualche milione di uccelli marini. In questi remoti fiordi dell’ovest gli abitanti sono pochi, appena settemila in un territorio che è la metà della Svizzera, per lo più impegnati in attività tradizionali, dall’allevamento alla pesca. E i turisti non sono molti di più, nonostante da qualche tempo l’Islanda sia una meta piuttosto popolare (due milioni di visitatori l’anno).
Il fascino dei fiordi dell’Ovest islandese, una terra per settemila abitanti, qualche milione di uccelli marini e molte greggi di pecore Per una volta non è solo colpa della pandemia. Anche in tempi normali qui arriva un viaggiatore su dieci. La posizione fuori mano, i collegamenti difficili, il meteo dispettoso sono una selezione all’ingresso. Niente di estremo, beninteso; basta qualche ora d’auto e una tratta in traghetto per trovarmi sola tra i campi viola di lupino selvatico, immersa in un silenzio rotto dalle stridule grida di arrabbiatissime sterne artiche in difesa dei loro nidi, accanto a goffi pulcinella di mare. Lasciata la scogliera, viaggio per ore e ore tra paesaggi epici verso il Patreksfjörður, una manciata di case in legno a due passi dalla riva alla fine della strada 615, a una cinquantina di chilometri dal primo negozio di alimentari. Passerò la mia prima notte in una fattoria dove mi accoglie Íshildur, una giovanissima pastora con i capelli raccolti in una treccia e le scarpe sporche di fango. Nonostante l’età, ha l’aria burbera; per questo non ho il coraggio di chiederle una foto assieme e
La pulcinella di mare è anche detta fratercula o puffin. (Francesca Mazzoni)
me ne pentirò per il resto del viaggio. Rotto il ghiaccio, Íshildur comincia a raccontare di sé: «Vivo qui tutto l’anno. In estate mi divido tra gli ospiti e la fattoria, mentre in inverno lavoro ai ferri per creare i lopapeysa», spiega mostrando una sfilza di iconici maglioni di lana islandesi con colori e pattern diversi. A queste latitudini in estate le giornate sono interminabili e la luce non cede mai veramente il passo al buio; fuori un soffice crepuscolo avvolge tutto. L’assenza di comfort è ampiamente ripagata dal panorama. Il giorno dopo riprendo il viaggio. Per fortuna ho affittato un fuoristrada, ma anche così avanzo lentamente lungo strade polverose che si insinuano tra i fianchi delle montagne, seguendo il corso frastagliatissimo della costa, un fiordo dopo l’altro. Mi sorprendono spiagge bianchissime; in Islanda la sabbia è spesso di colore nero, per la presenza di lava. È stato il giugno più freddo degli ultimi quarant’anni, mi ha raccontato la pastora, e in effetti ci sono ancora molti cumuli di neve al bordo della strada. Nel paesaggio brullo risalta ogni avvenimento, come la volpe arti-
ca che fugge a zampe levate tra le pietre con la sua preda in bocca. Dopo interminabili saliscendi e qualche tunnel di nuovissima costruzione sosto a Flateyri, un minuscolo villaggio di pescatori dove nel 1995 una gigantesca valanga uccise venti persone. In viaggio non sai mai cosa troverai dietro l’angolo della strada.
Eyþór Jóvinsson, libraio del The Old Bookstore. (Francesca Mazzoni)
Bræðurnir Eyjólfsson, conosciuto anche come The Old Bookstore, è uno dei negozi più antichi d’Islanda, un emporio del 1914 trasformato in una libreria. Eyþór Jóvinsson, 36 anni, porta avanti questo affare di famiglia nel suo elegante e inconfondibile abito tre pezzi. «Tutto è rimasto com’era più di un secolo fa. Abbiamo i registri dell’at-
La gente dei fiordi dell’Ovest islandese. (Francesca Mazzoni)
tività e possiamo rintracciare ogni corona islandese che è entrata o uscita dalla cassa sin dal primissimo giorno di apertura» mi racconta con orgoglio. Poi mi mostra una centenaria bilancia con cui si possono acquistare a peso libri di seconda mano. Qui a Flateyri vivono poco più di duecento persone nel mezzo del nulla, isolate dalle montagne e dall’oceano. «Per fortuna sono lettori forti, specie d’inverno» spiega Eyþór con un pizzico d’ironia. La casa dei suoi nonni, nell’edificio a fianco, è ancora come negli anni Cinquanta. Quand’era più giovane Eyþór ha vissuto a Reykjavík e in Australia, ma alla fine è tornato, come tanti altri giovani di queste parti peraltro. Riprendo la strada per Ísafjörður, teoricamente sarebbe il capoluogo dei fiordi occidentali ma di fatto è poco più di una cittadina. Le vecchie case in legno costruite dai mercanti stranieri nel Settecento stanno accanto a più anonimi edifici moderni. Un giovane pescatore indossa la sua tuta arancio e fuma una sigaretta appoggiato alla parete del magazzino. Moli, barche e reti sono il DNA di Ísafjörður ma la pesca è in declino a causa delle maggiori tutele ambientali e molti pescatori si sono trasferiti altrove. La mattina seguente sperimento una pura giornata islandese. I fiordi dell’ovest sono spazzati da un vento rabbioso. L’app del meteo esplode di notifiche d’allerta. Mi rifugio nella piscina comunale. Anche per scansare disinvolte nudità, m’immergo per qualche ora in una piccola e bollente piscinetta. In una piacevole conversazione con i miei vicini di vasca scopro che la prima donna in Islanda a esercitare il diritto di voto lo fece proprio qui, a Ísafjörður. Dai finestroni vedo le nuvole muoversi veloci sospinte dal vento e il tempo tornare sereno. Domani percorrerò un ultimo tratto a zig-zag fino a Hólmavík e Djúpavík, poi lascerò questa Islanda coraggiosa, ancorata alla tradizione, con un occhio alle greggi, al mare e al futuro.
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Ambiente e Benessere
Un gruppo di volontari speranzosi
Littering In Ticino, sempre più persone si stanno impegnando per ripulire le aree verdi dalla spazzatura
Daniela Delmenico «Agisci come se quel che fai facesse la differenza. La fa». Così si legge sul sito del Gruppo Verde Speranza, un’associazione di volontari attiva in Ticino, che ha lo scopo di ripulire le aree verdi dal littering. L’idea alla base della creazione del gruppo è infatti proprio quella di un’azione concreta e locale che punti a un cambiamento dal basso, passo dopo passo, volontario dopo volontario.
Nelle nostre aree verdi ogni 750 metri quadrati si trova la spazzatura di un sacco dei rifiuti Denis Ansermin, co-fondatore del gruppo, ci spiega che «i volontari si incontrano ogni sabato per pulire aree verdi di vario tipo, come boschi, parchi, rive di fiumi e laghi. Queste zone sono scelte sulla base di segnalazioni che riceviamo da parte di privati o dai comuni, ma anche dai membri del gruppo stesso». In effetti, quest’ultimo è nato proprio a partire dall’esperienza di due amici, Manuele Giussani e Denis Ansermin. Racconta Ansermin: «Noi fondatori siamo prima di tutto amici, e ci piace trovarci per andare a camminare nei boschi o sulle rive dei laghi. Nel corso delle nostre passeggiate ci siamo però resi conto della quantità di spazzatura che è presente quasi ovunque nelle zone naturali del nostro Cantone. Così, infastiditi, abbiamo deciso di rimboccarci le maniche e di iniziare a raccoglierla, per aiutare le zone verdi a respirare un po’. In questo modo le nostre escursioni sono diventate sempre più brevi, in quanto a chilometri, e la nostra attività si è tramutata da semplici passeggiate a lotta al littering». Poco tempo dopo è nata l’idea di creare un vero e proprio gruppo: «Nell’
agosto del 2020 eravamo solo in due, poi piano piano si sono aggiunti altri volontari, anche grazie all’interesse che i media hanno subito dimostrato nei confronti del nostro operato. In seguito abbiamo aperto le pagine social, su Facebook e su Instagram, e infine abbiamo creato il sito, per una maggiore organizzazione e per raccontare la nostra storia, i nostri obiettivi e per segnalare agli interessati gli appuntamenti settimanali». La scelta del nome è nata per caso: «Il nome per il nostro gruppo ci è stato suggerito da un uomo che, dopo averci dato una mano all’inizio della nostra attività, salutandoci e andando via si è voltato verso di noi gridandoci: “C’è ancora speranza!”. Si tratta in effetti di un concetto fondamentale che caratterizza i nostri obiettivi e la nostra azione, e così, aggiungendo il legame con la natura, e pensando al modo di dire, abbiamo deciso di chiamarci Gruppo Verde Speranza». Il gruppo collabora inoltre con diversi Comuni che hanno aderito all’iniziativa: loro compito è approvare i luoghi scelti per la pulizia e occuparsi dello smaltimento dei rifiuti. Anche
Volontari in azione, mentre ripuliscono la riva del lago di Lugano. (Gruppo verde speranza)
alcune associazioni hanno aiutato il gruppo, sostenendolo economicamente e donando materiale, come gilet ad alta visibilità, pinze per raccogliere i rifiuti, e vario materiale di protezione per i volontari. «A febbraio abbiamo inoltre ricevuto un premio, da Edilgroup, nell’ambito di un progetto a sostegno di
associazioni meritevoli presenti sul territorio, ne andiamo molto fieri». L’azione del Gruppo Verde Speranza con il passare dei mesi si è pure ampliata: «Ci occupiamo anche di svolgere attività di sensibilizzazione sul littering nelle scuole del Cantone: siamo già stati al liceo di Mendrisio e in quello di Lo-
Volontari raccolgono spazzatura nel bosco. (Gruppo verde speranza)
carno, e prossimamente andremo anche al Liceo 1 di Lugano. Nel corso degli incontri con gli studenti abbiamo presentato il nostro gruppo e le nostre attività, mettendo inoltre in luce i problemi e le conseguenze del littering attraverso varie attività legate al tema. Il riscontro tra i giovani è molto positivo». Per dare una mano e partecipare alle raccolte del sabato basta iscriversi sul sito del gruppo (www.gruppoverdesperanza.com): «Sul nostro sito sono indicati i vari appuntamenti delle prossime settimane, con la spiegazione della tipologia del luogo da ripulire, la classificazione dei rifiuti che si potranno trovare e l’orario di ritrovo. Una volta effettuata l’iscrizione, basta poi presentarsi sul posto, in questo modo si entra a far parte del gruppo». Passo dopo passo, volontario dopo volontario, sono stati già raccolti più di tremila chili di rifiuti, in un’area di 476’224,5 metri quadrati, per un totale di 636 sacchi della spazzatura, a dimostrazione che l’azione dei singoli la differenza la fa davvero, e che c’è veramente ancora speranza per un rapporto tra uomo e natura più rispettoso e sostenibile.
L’elettrico rivoluziona anche il design
Motori I coreani di Kia, con la nuova EV6 interpretano bene gli inediti spazi dando vita
a un vero e proprio crossover che mischia tratti differenti Mario Alberto Cucchi La transizione verso la mobilità elettrica permette alle Case costruttrici di giocare con le forme in modo inedito. D’altronde la meccanica è nettamente differente e, ad esempio, se da una parte sparisce la marmitta e il serbatoio della benzina, dall’altra arrivano le batterie che pesano e ingombrano ma trovano spazio sotto il pianale.
Non è un SUV ma è più di una berlina, tanto da poter apparire come una grande ammiraglia I coreani di Kia, con la nuova EV6 (ndr: si legge IVUSIX) interpretano bene questi inediti spazi puntando proprio sulle linee per dare vita a un vero e proprio crossover che mischia tratti differenti. Ecco allora che il posteriore di EV6 è filante come quello di una coupé nonostante la lunghezza di 4,68 metri. Non è un SUV ma ha un’altezza da terra maggiore di quella di una berlina: 17 centimetri. La larghezza di 1,88 metri non si discosta
invece dalle auto tradizionali. Quello che fa davvero la differenza è il passo, ovvero la distanza che intercorre tra le ruote anteriori e quelle posteriori che nel caso di EV6 è di ben 2,9 metri. Un dato simile a quella di una grande ammiraglia come la Mercedes Classe S. Un’auto che però è ben più lunga. Il risultato è un’area interna esagerata e un confort memorabile per i passeggeri posteriori che hanno quindi tantissimo spazio per le gambe. Inoltre il
pavimento dell’abitacolo è totalmente piatto anche se la trazione è sulle ruote dietro. Tornando a parlare di estetica non si possono non notare la fascia di luci a led che abbraccia tutto il posteriore dando contemporaneamente vita a uno spoiler integrato e dissimulando un vano di carico con disegno regolare. Dimensionalmente importante, è in grado di contenere le valigie di tutta la famiglia. Persino nello spazio
dedicato ai bagagli si apprezza la cura degli assemblaggi e la scelta dei materiali premium. EV6 è basata sulla nuova piattaforma e-gmp del gruppo Hyundai e Kia. Pensata per servire esclusivamente le auto che nascono elettriche. Molte le soluzioni innovative ad alto contenuto tecnologico introdotte, come il sistema di rifornimento rapido a 800 V che permette una ricarica della batteria dal 10% all’80% in soli
18 minuti per un’autonomia massima che può arrivare a oltre 510 chilometri. Secondo gli ingegneri coreani al massimo della potenza bastano 4,5 minuti per ottenere 100 chilometri di autonomia. KIA EV6 ha un sistema di ricarica bidirezionale e può anche essere utilizzata come una power bank. In pratica, in caso di necessità è in grado di caricare le batterie ad altre auto elettriche e può addirittura essere utilizzata come gruppo di continuità per una casa fornendo corrente alternata a 230 volt fino a 3,6 kW. Se l’energia, ad esempio, andasse via per un temporale questa Kia può alimentare tutti i dispositivi elettrici di casa. Le prime EV6 saranno consegnate il prossimo autunno. Il prezzo di listino parte da 49’950 franchi svizzeri per la versione a trazione posteriore con autonomia fino a 400 chilometri. Si arriva a 75’950 franchi per la versione GT in grado di erogare una potenza massima di 584 cavalli e una coppia massima 760 newton metro. Quest’ultima ha prestazioni da vera sportiva, basti pensare che grazie al dual motor e alla trazione integrale è in grado di scattare da ferma a cento orari in soli 3,5 secondi. Le consegne della versione GT sono previste per la fine del 2022.
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Ambiente e Benessere
Dedicato a Ovidio
Scelto per voi
Vino nella storia Un dovuto omaggio al poeta che interpretò Bacco per elargire consigli
sulla tecnica amatoria con dolci parole che ancora oggi risuonano in noi Davide Comoli Dopo aver abbandonato quei letterati che pur avevano celebrato la vita agreste (vedi Virgilio), ma che avevano manifestato se non proprio diffidenza una certa prudenza nei confronti del suo dono, Bacco andò in cerca di chi voleva sperimentare un’esistenza piena, fatta di contraddizioni. L’invasamento bacchico colpì il malinconico Tibullo che, nel suo Corpus Tibullianum, descrive la sua segreta aspirazione a una modesta vita serena in una modesta casa, al calore di una bella fanciulla e a una pace interiore che una coppa di vino poteva garantire: «Adde merum vinoque novos compesce dolores…» («Versa vino e col vino esprimi i nuovi dolori»). Il divin licore, nel primo periodo imperiale, tolse un po’ ai Romani la corazza, la spada, la lancia, lo scudo e li avviò a battaglie più seducenti. Bacco e Venere diventarono l’accoppiata vincente; conquistarono sempre più nuovi estimatori, suscitando nuove emozioni e rendendo più stuzzicante la loro esistenza. Di certo Bacco doveva nutrire una particolare simpatia per Ovidio, fine conoscitore della psiche femminile, abile nella conversazione, impeccabile nell’arte della seduzione. Publio Ovidio Nasone (Sulmona 43 a.C.-Tomi 17 d.C.), fece parte del circolo letterario di Messala Corvino. Era la Roma dei salotti, delle feste, del
Sarabande Hauser Dipinto dell’artista Hendrik Goltzius (1558-1617) dal titolo «Sine Cerere et Libero friget Venus». (Sailko)
passeggio nel Foro, e Ovidio nell’anno 1-2 d.C. era un raffinato poeta e idolo dei circoli mondani della capitale. E lo fu proprio durante quel periodo in cui vigeva l’austera politica culturale voluta da Augusto, dal quale venne esiliato perché implicato per un oscuro scandalo di corte, sulle rive del Mar Nero a Tomi, dove morì. Tra le innumerevoli sue opere ricordiamo: Gli amori, Lettere dal Mar Nero, il suo capolavoro le Metamorfosi, opere dell’esilio come Tristezze e soprattutto quello che inte-
ressa a noi per i versi dedicati alle lodi del vino: L’arte amatoria. Ars amatoria è un poema in tre libri. Codice ardito di tattica galante, contiene una trama di maliziosi suggerimenti rivolti agli ingenui o ai timidi, ma anche agli sperimentati cultori della pratica erotica, siano essi uomini o donne. Egli descrive infatti con una fluida eleganza poetica, consuetudini della vita pubblica, ma anche particolari nascosti della vita privata e dell’intimità
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sessuale, cogliendone il senso dell’amore, ma inteso come schermaglia galante, intrisa di fuggevoli emozioni e malizia, senza drammi. I versi di Ovidio sono pregni di vino, strumento capace di agevolare il rapporto amoroso e, dopo 2000 anni, mantengono intatta la loro freschezza come un Falerno prodotto sotto il consolato di Opimio. Ovidio usa la mensa quale scopo recondito e sottile per la sua Ars Amatoria: i conviti forniscono occasione d’incontro; c’è qualcosa da cercare (ci consiglia) oltre al vino. Dal Primo libro dell’Ars Amatoria (VV 229-246) citiamo: «Anche i banchetti, con la tavola imbandita, offrono buoni approcci, e qualche cosa d’altro ci potrai trovare, oltre al buon vino. Là spesso Amore con le tenere mani afferra e tiene ferme, splendente di giovinezza, le corna del dio Bacco che sta a mensa; e quando il vino ha impregnato le ali di Cupido, allora il dio si ferma, appesantito, seduto saldamente al posto conquistato. Egli sì vola rapido via battendo le ali bagnate ma guai se le gocce lanciate da Amore ti toccano il petto. Il vino dispone l’animo all’amore e lo rende pronto alla passione: l’inquietudine fugge e si dissolve con il vino abbondante: allora nasce il riso, ed anche un pover’uomo si fa audace: allora se ne vanno affanni e rughe sulla fronte, e la sincerità, nel nostro tempo così rara, rende aperti i cuori giacché il divino Bacco bandisce ogni artificio. Là spesso le ragazze rubano il cuore ai giovani, e Venere, col vino, è fuoco aggiunto al fuoco. Ma tu non creder troppo all’ingannevole lucerna, la notte e il vino non sono adatti a giudicare la bellezza…». Proseguendo la lettura, qualche verso più avanti (VV 565-582 e 589602) notiamo la premura di Ovidio di fornire utili e oculati consigli sull’uso del vino nel corso delle schermaglie amorose ai cosiddetti «sciupafemmine» dell’epoca romana, scrive: «Quando dunque ti saranno sulla mensa offerti i doni di Bacco e avrai una donna accanto a te sul letto tricliniare, prega il padre Nyctelio (Bacco) e i sacri riti della notte e di far sì che il vino non ti dia alla testa. Allora con parole coperte potrai dire molte frasi allusive che lei intenda come rivolte a sé. Potrai con poche gocce di vino scrivere leggere lusinghe così che sulla tavola lei legga d’esser la padrona del tuo cuore; potrai guardarla negli occhi con occhi che rivelano il tuo amore: anche uno sguardo muto ha spesso voce e parola». Ovidio è un brillante maestro di un pubblico sensibile e la sua poesia passa dall’insegnamento amoroso alla favola dotta; fondamentali nell’ambiente che lo circonda sono la simulazione dei sentimenti e l’astuzia.
Arrivato in Ticino alla fine degli anni Novanta, dopo la laurea in ingegneria elettrotecnica, Urs Hauser si è innamorato del nostro cantone e, come dice lui: «La bellezza della natura che si vive e respira nei vigneti mi hanno motivato». Con la moglie ha comprato una casa a Contone e oggi, con molti sacrifici e investimenti, da autodidatta alleva e vinifica le uve di circa venti vigneti, alcuni vecchi e di difficile accesso, tra la pianura (un terzo) e i ripidi pendii del Monte Ceneri (due terzi), per un totale di 4,5 ettari. Tra i molti vitigni coltivati (75% Merlot), oggi per voi abbiamo scelto il suo Sauvignon, il 5% della produzione. Il Sarabande di casa Hauser ci ha colpito per la sua freschezza aromatica e persistenza gustativa. Dal colore giallo paglierino, al naso presenta una buona intensità, dall’erbaceo, salvia, ortica, i profumi evolvono verso il floreale, fiori di sambuco per virare sul fruttato, ananas e mango; una discreta componente alcolica e struttura sono sostenute da una buona acidità. Da servire fresco 10°-12° C con spaghetti alle vongole, formaggi caprini freschi, ma noi lo abbiamo sposato in modo divino con un fritto misto di lago. / DC Trovate questo vino nei negozi Vinarte al prezzo di Fr. 17.60. Nella sua Ars Amatoria spesso ripete: fallite fallentes, ovvero ingannate chi v’inganna, rivolto agli uomini (I VV 645), ma qualcosa di simile ripete alle donne (III VV 401) avendo l’accortezza di fornire pure alle signore (ricorrendo anche all’aiuto del vino) preziosi consigli sull’arte di amare e farsi amare (III VV 751-768: «Quando dovrai recarti a una festa… arriva in ritardo, e con eleganza fa il tuo ingresso a lampade già accese: giungerai gradita per l’attesa; l’attesa è un’ottima mezzana. Se anche sei brutta, sembrerai bella a chi ha bevuto, e sarà l’ombra della notte a tenere nascosti i tuoi difetti. Prendi cibi con le dita (c’è uno stile anche nel mangiare) e con la mano sporca non ungerti la faccia. Non prender nulla a casa, avanti cena, ma fermati prima d’esser sazia». Poi continua con un utile consiglio: «Più adatto alle ragazze è il bere, e può essere anche più elegante, ma anche questo finché la testa lo sopporta, e la mente e le gambe stanno salde: insomma, se la cosa è una non vederla doppia. Brutto è vedere una donna distesa, fradicia di vino». «Hic ego qui iaceo», così incomincia la breve nota scolpita sul monumento funebre situato sulla piazza a lui dedicata nella città di Costanza (Mar Nero, Romania); ci siamo fermati di fronte pochi giorni fa, e abbiamo constatato quanto dura fosse la punizione per chi trasgrediva le leggi di Roma. «Hic levo carmine quo possum tristia fata» («Qui allevio come posso con il canto i tristi destini»). Ad Ovidio, il vero grande autentico cantore del vino, abbiamo librato un calice di una dorata, dolce e profumatissima Tamaioasa Romaneasca.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 agosto 2021 • N. 31
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Ambiente e Benessere
Sulla tavola di Sicilia
Gastronomia È così ricca la cucina dell’isola tirrenica che, per restituirne una minima visione d’insieme,
Non ho mai parlato della cucina siciliana per un motivo: è un argomento talmente vasto da far tremare il computer. Ma prima o poi dovevo farlo ed eccomi dunque qua a scriverne. Dedicare solo un articolo è impossibile, devo farne tre: ci accompagnerà per tutto agosto. Nel corso dei secoli, la gastronomia siciliana si è forgiata sul filo delle invasioni e degli scambi commerciali e culturali. La Magna Grecia ha lasciato in eredità piatti semplici e austeri, gli arabi le coltivazioni di frumento, il gusto per l’agrodolce, l’uso della ricotta e della cannella nei dolci, l’impiego del sesamo. Si sono poi susseguite l’influenza spagnola, con piatti sfarzosi, e quella francese, cui si deve l’introduzione della cipolla cotta a lungo per i sughi (come nell’agglassato, carne servita con un denso intingolo di questo ortaggio), e l’uso della pasta frolla per la preparazione di raffinati timballi.
Le due realtà geografiche, costiera ed entroterra, condividono in ogni caso alcuni ingredienti importanti Su queste basi, la cucina siciliana ha elaborato ricette diverse a seconda delle zone: sulle coste domina ovviamente il pesce, mentre nell’entroterra abbondano legumi, verdure, uova, formaggi e latticini in genere; molto diffusi per esempio il pecorino primosale, la provola, il caciocavallo (come il caratteristico ragusano) e la tipica ricotta infornata, cotta in forno, dura all’esterno e da grattugiare. Le due realtà geografiche, costiera ed entroterra, hanno comunque sempre condiviso ingredienti come gli ortaggi, in primo luogo melanzane, e poi pomodori (celebri i Pachino), sedano,
peperoni, carciofi, broccoli, cavolfiori, piselli, finocchi selvatici. Abbondante l’uso di uvetta e semi oleosi come mandorle (quella di Noto e la Pizzuta d’Avola), pistacchi, nocciole, pinoli e sesamo. Comuni anche i condimenti dai gusti intensi: aglio crudo, origano, menta, basilico, olive e i celebri capperi (di Pantelleria e delle Eolie), consumati sia nei boccioli sia nei frutti (detti cucunci). Pasta, pane e pizza costituiscono l’apporto principale dei cereali, ma nella zona di Trapani è tradizionale anche il cuscus. Nel messinese si prepara la minestra di riso e ceci; più diffuso l’elaborato gattò di riso, lessato e poi cotto al forno, con strati farciti di primosale, melanzane, uova sode e carne tritata. Molto più varie le ricette per preparare la pasta: alla Norma, con melanzane fritte e ricotta infornata; con le sarde, cui si aggiungono finocchietto, uvetta e pinoli; con il pesto alla trapanese, ottenuto mescolando a crudo pomodori, mandorle e aglio, e unendo pangrattato tostato; con i broccoli, una pasta cotta al forno con caciocavallo, pangrattato e mandorle. Comune anche la pasta gratinata con besciamella, provolone e parmigiano, servita con l’agglassato. Tradizionali poi gli anelletti del monsù: piccola pasta ad anellini, infornata a strati con carne, formaggio, piselli, salsa e ragù. Spesso i piatti di pasta vengono cosparsi con la muddica, pangrattato tostato in padella, con o senza acciuga; mescolato con olive, uvetta, pinoli o mandorle, diventa uno squisito ripieno per carciofi, peperoni e altro. Anche i legumi concorrono alla realizzazione di ottimi piatti di pasta: è il caso delle fave, con cui si preparano per esempio i ditalini con favuzze e ricotta o il maccu, che in una versione elaborata (maccu di San Giuseppe) comprende anche ceci, lenticchie, piselli secchi, fagioli e castagne secche, il tutto accompagnato dal finocchietto. Questi gli ingredienti di base e una prima spolverata di portate: alla prossima puntata.
cSF (come si fa)
SWT666
Allan Bay
Jeanne Menjoulet
vi proporremo tre articoli – Prima parte
Premessa: io sono onnivoro senza se e senza ma, e apprezzo qualsiasi preparazione – se fatta bene con buone materie prime. Questo detto, ci sono alcune (parecchie…) preparazioni che mi piacciono moltissimo. Fra queste, i nervetti. È un piatto che più semplice non si può. Come tutti, li compro da un bravo macellaio ma se si vuole, ogni tanto, si possono fare. Sono una preparazione tipica della cucina tradizionale lombarda ma non
solo. Oggi adottato come antipasto, una volta era un tipico piatto della cucina povera – fatto con parti di scarto del bovino – destinato ad accompagnare le bevute all’osteria. Il nome deriva dal termine dialettale gnervitt, «tendini»: per la preparazione vengono usate infatti cartilagini del ginocchio e dello stinco del vitello, bollite a lungo con verdure aromatiche, raffreddate, tagliate a pezzetti (più tradizionale) o a fettine sottili (più moderno), e condite con cipolla, prezzemolo, olio e aceto. Oggi i nervetti si possono acquistare già pronti in gastronomia, preparati con tutti i tipi di cartilagine. Alcune varianti prevedono l’aggiunta di fagioli di Spagna lessati o di cipolline sottaceto. Anche in Veneto si preparano similmente dei nervetti, arricchiti alla
fine con sedano, porri o cipolla scottata. Vediamo come si fanno. Nervetti in insalata (con gli ingredienti per 4 persone). In una pentola portate a bollore abbondante acqua con 1 carota, 1 gambo di sedano e 1 cucchiaino di sale. Tuffate le cartilagini di un ginocchio e di uno stinco di vitello e cuocete per circa 2 ore (dovranno risultare tenere e gonfie). Scolatele e mettetele a raffreddare tra due piatti pressati da un peso, poi tagliate il blocco che si è formato come detto sopra. In una insalatiera mescolateli con 2 cipollotti freschi affettati sottili e una manciata di prezzemolo tritato, quindi condite con un filo di olio e un cucchiaino di aceto di vino bianco. Regolate di sale e di pepe. Lasciate riposare i nervetti per 2 ore a temperatura ambiente prima di servirli.
Ballando coi gusti Oggi parliamo di piatti arricchiti con una delle più universali miscele di spezie che esistono: il curry. Super eclettico e non necessariamente piccante. Salsa universale al curry
curry di verdure allo yogurt
Ingredienti: 1 kg di verdure miste di stagione · 200 g di lenticchie del tipo che più vi piace · curry in pasta o in polvere · 1 mela · brodo vegetale · olio di oliva · sale.
Ingredienti per 4 persone: 1 kg di verdure miste di stagione (patate, carote, cipolle, fagiolini, zucchine, melanzane, pomodori, peperoni eccetera) · 5 cm di zenzero · 2 cucchiaini di curry in polvere · 1 vasetto di yogurt greco · concentrato di pomodoro · sale.
Mondate e tagliate a dadi più o meno grossi a piacer vostro tutte le verdure. Scaldate in una casseruola 1 giro di olio e rosolate le verdure per 5 minuti, mescolando. Bagnate con 1 bicchiere di brodo bollente, unite le lenticchie ben sciacquate e la mela mondata e tagliata a dadi e cuocete per 45 minuti, mescolando e unendo altro brodo se necessario, alla fine il composto dovrà essere asciutto. Profumate con curry in pasta stemperato in poca acqua o in polvere sciolto in poca acqua e regolate di sale, cuocete ancora per 1 minuto. Potete utilizzarla così com’è, oppure frullarne metà oppure frullarla tutta. La potete unire a qualsiasi preparazione, meglio se aggiungendo anche yogurt tipo greco. Le lenticchie servono ad addensare, se lo preferite utilizzate altrettante patate. Le verdure vanno bene tutte, quelle molto dure vanno preventivamente sbollentate.
Pulite tutte le verdure e lavatele con cura. In una casseruola mettete le verdure e un bicchiere di acqua in cui avrete stemperato il concentrato di pomodoro. Mescolate e portate a cottura per 20 minuti. Profumate con il curry e lo zenzero grattugiato, poi regolate di sale e terminate di cuocere fino a che le verdure non si siano ben ammorbidite. A fine cottura unite un vasetto di yogurt e mescolate bene. Servite tiepido, ma è molto buono anche freddo, per esempio su pane tostato.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 agosto 2021 • N. 31
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Ambiente e Benessere
Il 28/29 agosto insieme #ripartiamo StraLugano 2021 Attesa come non mai la più importante gara podistica del nostro cantone Questa XV edizione non sarà solo un evento sportivo, soprattutto sarà un simbolo per testimoniare che tutti insieme vogliamo ripartire. Atleti, organizzatori, sponsor, autorità e tifosi. Ripartire significa che le difficoltà possono essere affrontate e superate. Lo sport, da sempre, ce lo ha insegnato e ora dobbiamo e vogliamo mettere in pratica questa regola di vita. Certo, sarà diverso, si dovranno rispettare alcuni protocolli, ma non per questo sarà un’edizione meno coinvolgente ed entusiasmante. Anzi, il desiderio di tornare ad essere protagonisti aggiungerà emozioni troppo spesso date per scontate. Ma cosa dobbiamo aspettarci da questa edizione 2021? Conferme e novità. Ancora una volta infatti, a testimonianza dell’ottimo lavoro preparatorio svolto dal Comitato, la 10KmCityRun sarà valida per l’assegnazione del Campionato Svizzero su
Iscrizioni gratuite in palio Migros Ticino mette in palio 20 iscrizioni gratuite alla gara. Per partecipare inviare una email all’indirizzo giochi@azione.ch entro le ore 24.00 di giovedì 5 agosto, specificando nell’oggetto del messaggio la frase «Concorso StraLugano» e inserendo nome, cognome, indirizzo e numero di telefono.
strada. Il percorso omologato da Swiss Athletics, cronometro alla mano, è considerato il più veloce dell’intera nazione. Verranno inoltre riproposte, tra le altre, l’apprezzatissima Half Marathon, la staffetta RelayRun, la coriacea Monte Brè Challenge Race, la StraCombinata, la freschissima KidsRun e la 4Charity solidale.
Oltre alla 10 km City Run, la Fast Run, la Half Marathon, la Relay Run, la Monte Brè Challenge Race, la StraCombinata, la Kids Run e la 4Charity Per la prima volta verrà invece introdotta la velocissima FastRun: 5 Km snelli e briosi perfetti per neofiti e veterani. Per tutti gli iscritti, come d’abitudine, moltissimi gadget, servizi, materiale tecnico e trasporto gratuito su tutto il territorio elvetico dal proprio domicilio fino alla sede dell’evento. Il tutto sarà come sempre «condito» da eventi collaterali, sorprese e puro divertimento. Da ricordare che Migros Ticino, come sponsor principale della manifestazione, offrirà il tradizionale ed apprezzatissimo «Pasta Party» all’interno del Centro Esposizioni, sabato 28 agosto 2021 dalle ore 20.00 per i partecipanti alla
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10km City e domenica 29 agosto 2021 dalle ore 12.00 per i partecipanti alla Half Marathon e RelayRun e Monte Brè Challenge Race. Questa edizione sarà poi l’ultima che vedrà Vanni Merzari in veste di Presidente. Occasione perfetta per rendere omaggio a uno degli ideatori
e colonna portante della StraLugano. A lui che di diritto rimarrà nella storia di questo evento, il più sentito StraGrazie da parte di tutti coloro che in questi anni hanno avuto la fortuna di vivere in prima persona l’evento sportivo più importante della Svizzera italiana.
Info e iscrizioni
www.stralugano.ch
StraLugano, 28/29 agosto 2021, Lungolago e dintorni di Lugano
Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku
Cruciverba La famosa Silvia, alla quale Leopardi ha dedicato una nota poesia, in realtà come si chiamava e di chi era figlia? Scoprilo a cruciverba ultimato leggendo le lettere evidenziate. (Frase: 6 – 3, 3, 9)
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In gara per la quindicesima edizione. (www.stralugano.ch)
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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
I premi, cinque carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.
ORIZZONTALI
1. Ombreggiano il viso 4. Secreta da alcune piante 9. Passa... in cucina 10. Era il capo della Repubblica veneta 11. Rendono gentile la gente... 12. Le iniziali dell’attore Arena 13. Antica lotta giapponese 14. Si spinge con un dito 15. Vicina al cuore 16. Chiude l’orazione 17. Colmo 19. Rossi come i quadri... 20. Ha come sottomultiplo la iarda 21. Le iniziali dell’attore Hoffman 22. Pronome personale 23. Non hanno un alibi 24. Donare senza dare 25. Moneta dell’Iran 26. Sono oltre i confini dello Stato
Sudoku Soluzione:
Scoprire i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.
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Partecipazione online: inserire la
soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la so-
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Verticali
1. Un fiore 2. Non aveva nessuna rivale 3. Le iniziali dell’attrice Autieri 4. La «caput mundi» 5. L’Io in psicanalisi 6. Introduce un’ipotesi 7. Stato dell’Africa occidentale 8. Li lasciano le macchie 10. Solido, tosto 13. Un anagramma di naso 14. Si nasconde in un boccone 15. Usati nella liturgia cattolica 16. Simbolo chimico dell’oro 18. Immagini sacre 19. Sono un’unità di misura 21. Caro in Inghilterra 23. Cattive in poesia 25. Le separa la «S»
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Soluzione della settimana precedente
È PROPRIO VERO! – Nell’armadio i vestiti sono divisi in tre categorie: Frase risultante: INVERNO, ESTATE E… SE DIMAGRISCO ME LO METTO! I N E D I T O
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O V E R V E S E I C A A L O S E E M A M F A R I M E T E T O M I A T A R C I O E L O G I A T
T I T U B A R E
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Z A I L E D G I A C L E E R R I E A
luzione, corredata da nome, cognome, indirizzo, email del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 6315, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui
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concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 agosto 2021 • N. 31
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Politica e economia come salvare il pianeta? La storia della diplomazia ambientale, dalla Conferenza del 1992 alla Cop26 di Glasgow
La nuova corsa allo spazio Il confronto tra i sogni di miliardari che collaborano con la Nasa e gli ambiziosi programmi militari cinesi
Dentro la crisi tunisina Cosa sta succedendo nel Paese nordafricano duramente colpito da crisi economica e pandemia?
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economie soffocate La pandemia pesa enormemente sui Paesi emergenti, mettendone a rischio la crescita congiunturale pagina 22
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Inflazione, vaccini e diplomazia L’analisi Che autunno ci aspetta?
Le previsioni sulla congiuntura internazionale nell’ultimo scorcio del 2021
Federico Rampini Quale economia ci attende in autunno? La risposta dipende da tre fattori. Primo l’inflazione. Secondo la vaccinazione. Terzo i rapporti Usa-Cina. Seguo questo ordine. Le aspettative d’inflazione stanno calmandosi un po’, a cominciare dagli Stati uniti dove la turbo-ripresa le aveva infiammate. Consumatori, imprese, investitori in bond, stanno rivedendo al ribasso le loro attese sui rincari dei prezzi. Dopo un periodo in cui le previsioni sul carovita continuavano a crescere, che è durato dall’ottobre 2020 al maggio di quest’anno, negli ultimi due mesi l’allarme-inflazione si è leggermente attenuato. Tra i consumatori americani c’è pur sempre l’attesa di un aumento medio dei prezzi del 4,8% su base annua. Gli stessi consumatori però pensano che nell’arco dei 5-10 anni successivi l’inflazione tornerà a un livello più moderato, del 2,9%. A placare l’allarme sui prezzi concorrono due cause. Da una parte gioca il fatto che i maxi-piani di investimenti pubblici di Joe Biden faticano ad avanzare al Congresso (se approvati provocherebbero giganteschi aumenti del deficit pubblico). D’altra parte variante Delta, ripresa dei contagi e difficoltà nelle vaccinazioni, fanno temere una ripresa un po’ meno «turbo» a settembre. Anche la Cina fa la sua parte nel moderare gli scenari inflazionistici. Anzitutto va ricordato che il Governo di Pechino dall’inizio della pandemia si è ben guardato dal varare maxi-piani di spesa pubblica, a differenza dell’America e dell’Europa. Non ne ha avuto bisogno, visto che la ripresa cinese l’abbiamo trainata noi usando una parte dei nostri piani di spesa pubblica per rimpinguare il reddito delle famiglie, che a loro volta ne hanno speso una parte per acquistare prodotti made in China. Ma dietro la prudenza nelle politiche di bilancio cinesi c’era anche la paura dell’inflazione. Xi Jinping ha usato le sue riserve strategiche di materie prime per interventi sui mercati mondiali finalizzati a calmierare gli aumenti dei prezzi delle commodities. Infine si nota che le imprese esportatrici cinesi in molti casi evitano di trasferire sui prezzi all’export la totalità dei rincari che subiscono nei loro costi di produzione (materie prime e salari).
Riguardo alla pandemia, il Fondo monetario internazionale (Fmi) stabilisce un legame forte tra il livello di vaccinazioni e le prospettive di crescita autunnali. Nelle sue ultime previsioni il Fmi rivede al rialzo la crescita di Stati uniti e Regno unito, tutt’e due attorno al +7% del Pil a fine anno, non a caso due Nazioni che vantano percentuali di vaccinati tra le più elevate. Lo stesso Fmi ritocca un po’ al ribasso la crescita cinese, e delle economie-satelliti nel sud-est asiatico. Alla Cina assegna comunque +8% del Pil a fine annuo. Benché l’America sia più avanti dell’Europa continentale, Biden è alle prese con problemi simili all’Europa: siamo attorno al 70% di adulti vaccinati con almeno una dose, ma quelli che ancora rimangono da vaccinare non si fidano, dentro quel 30% si annidano resistenze di varia natura e coloriture ideologiche disparate. Descriverli come tutti trumpiani è una forzatura. In realtà l’ex portavoce di Trump sta facendo campagna tra i repubblicani perché si facciano inoculare «i vaccini di Trump» (ricorda cioè che fu lui a lanciare l’operazione di produzione in tempi record con Pfizer e Moderna nella primavera del 2020). Il rischio di un approccio troppo autoritario è evidente in un’America sempre polarizzata dove metà del Paese è pronta a denunciare presunte «derive autoritarie». Si assiste così alla strategia del «nudge», la spintarella soft, che mescola obblighi e incentivi. Il Ministero dei veterani (reduci), che gestisce tanti ospedali militari, è il primo a imporre il vaccino al personale sanitario. Biden sta meditando di fare la stessa cosa per tutti i dipendenti federali e potrebbe annunciarlo da un momento all’altro. A livello locale, anche dove governa la sinistra come a New York, si adotta un approccio binario: i dipendenti pubblici che non sono vaccinati, per lavorare dovranno sottoporsi a tamponi continui. Infine interviene una spinta della società civile, dal basso: 300 bar di San Francisco hanno preso l’iniziativa da soli annunciando che accetteranno solo clienti vaccinati. Si cerca dunque di aumentare la convenienza a vaccinarsi senza arrivare fino all’imposizione. Intanto la decisione dell’Amministrazione Biden di mantenere chiuse le frontiere al turismo dall’Europa (e da ogni altra parte del mondo, in verità)
L’Fmi stabilisce un legame forte tra il livello di vaccinazioni e le prospettive di crescita autunnali. (Shutterstock)
la dice lunga sulle priorità: si preferisce sacrificare l’industria turistica pur di ridurre i rischi d’importazione del new Covid da aree dove la percentuale di vaccinati è più bassa. Infine Stati uniti e Cina continuano a divergere e ormai il loro divorzio economico viene perseguito con alacrità da entrambe i Governi. L’ultima prova l’abbiamo avuta di recente, con la visita a Pechino di Wendy Sherman, numero due al Dipartimento di Stato, cioè viceministra degli Esteri di Biden. Si è vista consegnare una lista di otto richieste tassative da parte del ministro degli Esteri cinese. Siamo in piena Wolf warrior diplomacy, la Diplomazia del guerriero lupo (che racconto nel mio nuovo monologo teatrale «Morirete cinesi. La verità secondo Xi Jinping»). Le richieste di Pechino agli americani sono variegate, includono la levata di diverse sanzioni. Ma il fatto di averle divulgate pubblicamente le rende sem-
plicemente irricevibili: ora Biden ha le mani legate più di prima, fare concessioni significherebbe perdere la faccia. Xi lo sa benissimo e quindi il suo gesto è pura propaganda, in vista di una tensione prolungata. Su un altro fronte si è visto quanto Xi sia disposto a pagare prezzi economici elevati pur di emanciparsi dalla dipendenza dagli Stati uniti. Dopo gli attacchi contro i colossi digitali di big tech a cui Xi sta gradualmente precludendo l’accesso a Wall Street, ora il leader cinese se la prende con un’altra tipologia di aziende quotate sulle Borse americane: le società che fanno «tutoring» cioè corsi privati per studenti. È un business fiorente in Cina perché il sistema scolastico e universitario è molto selettivo e competitivo. Da anni è cresciuta una fiorente industria che impartisce lezioni private per preparare gli studenti agli esami. Le aziende del settore sono così grosse che alcune si sono quotate in Borsa a Wall Street.
L’attacco del Governo consiste in questo: una nuova norma le costringerà a trasformarsi in non-profit, il che ovviamente ha subito fatto crollare le loro valutazioni in Borsa. Come nel caso di big tech, è interessante notare il mix di obiettivi che Xi persegue. Da una parte c’è una chiara impronta socialpopulista: nel caso dei giganti digitali Xi attacca la costruzioni di posizioni dominanti e gli abusi monopolisti a danno dei consumatori; nel caso del «tutoring» prende di mira un servizio che accentua le diseguaglianze sociali perché solo le famiglie benestanti possono regalare ai figli costose consulenze private in vista degli esami. Al tempo stesso, Xi tende a tagliare la dipendenza di grandi aziende cinesi dal mercato dei capitali americano, a spostarle verso Hong Kong, e così persegue una sorta di autarchia finanziaria in vista di ulteriori deterioramenti nel rapporto con l’altra superpotenza.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 agosto 2021 • N. 31
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Politica e economia
È l’ultima spiaggia
emergenza clima Il lungo cammino della diplomazia ambientale
dalla Conferenza di Rio de Janeiro nel 1992 alla Cop26 di Glasgow
Il clima sembra impazzito. L’alluvione di luglio in Germania ha causato oltre cento morti. A lato: istantanea dalla RenaniaPalatinato. (Shutterstock)
Alfredo Venturi Mentre il fuoco divora foreste in California, in Amazzonia, in Siberia, in Sardegna, mentre in Germania e in Belgio si contano le vittime e i danni delle spaventose inondazioni di luglio incrociando le dita in attesa di quelle di agosto, i responsabili politici e scientifici si avvicendano al capezzale del pianeta malato. È un ritornello che sentiamo da tempo ma è per così dire sempre più vero: il surriscaldamento dell’atmosfera e il clima impazzito che ne deriva stanno per raggiungere il punto di non ritorno. La necessità di intervenire è ormai della massima urgenza e poiché le avversità climatiche scavalcano ogni frontiera, il fenomeno chiama in causa la comunità internazionale. In novembre si celebrerà a Glasgow la ventiseiesima conferenza delle parti, Cop26 nel linguaggio diplomatico: un appuntamento davvero cruciale. Ci sono state alcune riunioni preliminari: i ministri dell’ambiente del G20 si sono incontrati a Napoli, successivamente si è svolta a Londra una riunione allargata a una cinquantina di Stati per sgombrare il campo dagli ultimi ostacoli (25 e 26 luglio).
Il 25 e 26 luglio a Londra si è svolta una riunione in vista di Glasgow alla quale hanno partecipato anche Usa, Cina e India Hanno attivamente partecipato a questo lavoro preparatorio anche i rappresentanti della Cina, che finora ha reagito con paralizzanti riserve alle sollecitazioni del mondo perché riducesse le emissioni di composti del carbonio e dunque l’effetto serra. È la conferma che i tempi stringono, la degenerazione ambientale aumenta, i suoi effetti sul clima sono sotto gli occhi di tutti e nessuno può tirarsi indietro. A Glasgow sono chiamati i rappresentanti di tutti i Paesi del mondo. Tutti consapevoli, compresi coloro che finora hanno difeso a spada tratta il loro orticello, che siamo ormai all’ultima spiaggia. Infatti gli specialisti sono concordi: questo vertice in terra di Scozia offre l’ultima possibilità per affrontare il cambiamento climatico, correggere la tendenza, bloccarla e se possibile ribaltarla. Ventiseiesima conferenza. Questa numerazione rivela che ormai da quasi trent’anni il mondo è consapevole del
dramma che lo minaccia e ha messo in moto un meccanismo destinato a frenare e invertire il processo. Ma i risultati sono a dir poco deludenti, in questi tre decenni la situazione è andata peggiorando in progressione allarmante. Il lungo cammino della diplomazia ambientale comincia nel 1992 con la conferenza di Rio de Janeiro: in quella sede l’Onu lancia la Convenzione per i cambiamenti climatici e avvia la successione delle annuali conferenze delle parti. Il lavoro si annuncia assai arduo, non è facile mettere d’accordo un mondo così eterogeneo, sia pure di fronte a un incubo di fatto unificante. Si comincia a discutere sulle misure da adottare e ovviamente emerge la necessità non soltanto di interrompere l’assalto speculativo al patrimonio forestale, ma anche di ridurre le emissioni dei gas a effetto serra prodotti dalla combustione di materiali fossili come il petrolio e soprattutto il carbone. Immediatamente si fa strada un contrasto di fondo, da una parte gli Stati di consolidata industrializzazione, dall’altra quelli che si sono affacciati più di recente alla ribalta dello sviluppo. Questi ultimi muovono un’obiezione: i Paesi industrializzati, in pratica l’Occidente euro-nordamericano più Giappone, Australia e pochi altri, sono i principali responsabili del disastro, e ora pretendono che il resto del mondo freni i suoi piani di sviluppo per lottare contro un’emergenza di cui non ha colpa. L’argomento non è certo privo di logica, ma il fatto è che se giganti come la Cina e l’India, abitati complessivamente da un terzo della popolazione mondiale, dovessero completare il loro sviluppo con modalità simili a quelle che proiettarono l’Occidente nella modernità per questo pianeta sarebbe la fine. Un’altra resistenza è quella dei Paesi che ricavano energia dal carbone estratto dal loro sottosuolo, la più inquinante fra le fonti di energia, e non intendono rinunciarvi investendo nelle rinnovabili: acqua, sole, vento, idrogeno. Si vara un sistema di compensazioni, chi può permetterselo finanzierà la conversione e lo sviluppo «verde» degli altri Stati. Ma si bisticcia sull’entità degli stanziamenti e intanto il degrado va avanti indisturbato: si sciolgono i ghiacci, si alza il livello dei mari, si modificano la salinità e l’acidità delle acque, incendi devastanti e uragani terrificanti si susseguono da un capo all’altro del pianeta. Perfino la pandemia che oggi ci affligge potrebbe essere scaturita, secondo una delle tante teorie, da una causa ambientale come la
deforestazione e le sue conseguenze su alcune specie animali. Alla conferenza di Parigi del 2015 si traducono in numeri gli obblighi che s’impongono per mettere il fenomeno sotto controllo. Se si vuole scampare all’irreversibilità del cambiamento climatico è necessario fare in modo, riducendo le emissioni dei gas responsabili dell’effetto serra, che in un tempo ragionevole la temperatura media del pianeta si riduca di un grado e mezzo rispetto ai valori che precedettero la rivoluzione industriale. L’accordo non si limita a stabilire ciò che è necessario ma precisa anche ciò che è auspicabile. Infatti un grado e mezzo potrebbe non bastare, sarebbe meglio arrivare a due gradi. Questa compresenza del necessario e dell’auspicabile rivela la cautela, legata alle accanite resistenze di molti Paesi, con cui è stata perfezionata l’intesa parigina. Nonostante questo c’è chi la considera inutilmente gravosa, per esempio il presidente americano Donald Trump disconobbe l’accordo di Parigi sostenendo che si fondava su un’incidenza sopravvalutata delle attività umane sui fenomeni naturali. Sia pure attualmente distratte dalla pandemia e dai suoi strascichi economici e sociali, le opinioni pubbliche hanno assimilato la gravità della situazione e l’urgenza di correre ai ripari. Anche grazie all’irruzione sulla scena di un’adolescente attivista svedese, Greta Thunberg, che arringò i potenti della terra parlando all’assemblea delle Nazioni unite: ma non vi vergognate per come avete ridotto il mondo?, domandò loro scoppiando in lacrime. Greta non andrà a Glasgow, dice che potrebbero esserci molte assenze a causa della pandemia e dunque la conferenza andrebbe rinviata. Inoltre teme che sarà la solita passerella di politici chiacchieroni. Auguriamoci che venga smentita, che si voglia finalmente passare dalle polemiche ai fatti. L’Unione europea si pone all’avanguardia dell’attivismo ambientalista, l’Amministrazione americana è cambiata e non è più ostile alla crociata ecologica, la stessa Cina si dice intenzionata a fare la sua parte, anche se figura tuttora, con Russia, Brasile e Australia, nel gruppo di chi non vuole subordinare l’economia alla difesa dell’ambiente. Sarà dura. Chi dovrà fare sacrifici pretenderà aiuti consistenti. Si prevedono resistenze accanite, ma di fronte alla drammatica alternativa questa potrebbe essere la volta buona per superarle. E così il sogno di Thunberg, un pianeta pulito e vivibile, diverrebbe un po’ meno utopistico.
Se è un bambino a fare la differenza
Le storie Jude, 11 anni, a piedi fino a Londra
per la carbon tax e gli altri piccoli attivisti Romina Borla Vi ricordate cosa pensavate a 11 anni o giù di lì? Chi scrive sicuramente a divertirsi, tra amiche e giochi in giardino, a come convincere i genitori ad acquistare quel nuovo schianto di zaino. Oppure a sfogliare libri d’avventura e d’amore sognando – accidenti ai cartoni animati – principi azzurri e castelli incantati. C’è invece chi, a 11 anni, decide di percorrere a piedi oltre 320 chilometri – da casa sua nello Yorkshire, nel nord dell’Inghilterra, fino a Londra, più precisamente Westminster, sede del Parlamento britannico, per tentare di convincere i politici ad adottare una carbon tax, una tassa sui prodotti energetici che emettono biossido di carbonio nell’atmosfera. Un’ecotassa insomma. Un piccolo grande gesto che si inserisce nella lotta contro il cambiamento climatico.
«La situazione è gravissima. È talmente evidente che lo capiamo anche noi, bimbi, mentre voi adulti vi perdete» Stiamo parlando di un bambino che si chiama Jude. La sua storia è stata raccontata dalla «Bbc» settimana scorsa, nel momento in cui proprio a Londra si svolgeva il summit preparatorio in vista della Cop26 di Glasgow (leggi articolo a lato). Sembra che il ragazzino sia stato influenzato dal saggio «Dire predictions: understanding climate change» (in italiano «Previsioni disastrose: capire il cambiamento climatico») del climatologo, geofisico statunitense Micheal E. Mann e di Lee R. Kump, professore di geoscienze all’Università della Pennsylvania. E sostiene le iniziative della Zero carbon campaign, un’associazione che tra le altre cose ha lanciato una petizione online per chiedere l’introduzione di una tassa sul carbonio nel Regno unito (www.zeroc. org.uk). Ma perché proprio una marcia? Jude, racconta sempre la «Bbc», si è ispirato alla storia dell’amico di uno zio che ha fatto il giro del mondo in bicicletta per contribuire ad aumentare la consapevolezza sull’emergenza climatica. E soprattutto da Romeo, un bambino italo-inglese di 10 anni che l’anno scorso, durante il lockdown, è partito da Palermo, in Sicilia, per raggiungere Londra usando mezzi di trasporto non inquinanti – piedi, bicicletta, barca a vela – con gli scopi di riabbracciare la
nonna Rosemary, di dare un segnale forte di rispetto nei confronti del pianeta e di comprare tablet per gli studenti rifugiati. Di bambini e ragazzi che si mobilitano per l’ambiente, diventando delle icone non solo per i loro coetanei, ce sono ormai tanti, a partire da Greta Thunberg che nel 2018 – a soli 15 anni – ha iniziato il suo «Sciopero scolastico per il clima» davanti al Parlamento svedese, diventando ispiratrice e leader del movimento Friday for future (l’attivista, tra le altre cose, si è appena vaccinata contro il Coronavirus e postando una foto su Twitter ha ricordato quanto sia iniqua la distribuzione dei vaccini nel mondo). «Non sei mai troppo piccolo per fare la differenza», ha dichiarato più volte, dimostrando una determinazione e una forza fuori dal comune nel confrontarsi con leader navigati e organizzazioni internazionali. Hanno seguito le orme di Thunberg ad esempio le statunitensi Alexandria Villaseñor (classe 2005) e Isra Hirsi (2003), cofondatrici di US youth climate strike (Sciopero dei giovani statunitensi per il clima). Che dire poi di Autumn Peltier che aveva solo 8 anni quando ha compreso che non tutte le persone in Canada hanno liberamente accesso all’acqua potabile. Da lì è iniziato il suo impegno ambientalista. Nel 2018, a 13 anni, la ragazza ha parlato davanti all’Assemblea generale delle Nazioni unite sul tema della protezione dell’acqua. E potremmo continuare… Tutti volti giovanissimi, con una grinta da vendere e la capacità di sfruttare i mezzi di comunicazione di massa per diffondere il loro messaggio. E proprio perché sono così giovani colpiscono ancora di più nel segno. Cosa ci dicono? La situazione è gravissima. È talmente evidente che lo capiamo anche noi – bambini – mentre voi adulti continuate a perdervi in chiacchiere inutili e nei vostri stupidi interessi personali. Guardate a noi, al futuro. È soprattutto per le nuove generazioni che bisogna intervenire e subito. Jude, gli altri e le altre hanno messo da parte bambole e trenini per convogliare le loro energie in qualcosa di importante, di più, in qualcosa di vitale. Molti di loro non si limitano ad esprimersi in merito a questioni ambientali ma spaziano nel campo della difesa dei diritti umani, delle donne, delle popolazioni indigene ecc. Alcuni saranno stati probabilmente influenzati da genitori consapevoli, ma ben venga. Come dice una di questi piccoli «influencer etici», Anya Sastry: «Quando i leader iniziano a comportarsi come bambini, i bambini devono iniziare ad agire come leader».
Autumn Peltier, della tribù Anishinaabe del Canada, parla all’Onu il 22 marzo 2018. (Keystone)
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 agosto 2021 • N. 31
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Politica e economia
Una gara tra miliardari e militari
corsa allo spazio Il confronto è tra due modelli. Da una parte ricchissimi privati che collaborano con la Nasa,
dall’altra la Cina con il suo ambizioso programma in cui i settori della ricerca e della difesa si sovrappongono Giulia Pompili Essere astronauti non è cosa per tutti. La scorsa settimana l’Amministrazione federale dell’aviazione americana ha riscritto le regole per la definizione dello status di astronauta. L’autorità statunitense ha fatto sapere che non basta viaggiare almeno a 80 chilometri dalla superficie terrestre, ma gli abitanti della navicella devono anche aver compiuto, durante il volo, «attività essenziali per la sicurezza pubblica o per contribuire alla sicurezza del volo umano spaziale». Il messaggio è chiaro: voi ricchi imprenditori che spendete soldi ed energie per volare nello spazio non potete definirvi astronauti perché siete solo passeggeri. La discussione è particolarmente accesa in questo periodo, dopo la competizione sui viaggi commercia-
li nello spazio lanciata da sir Richard Branson, magnate inglese e padre della Virgin group, e da Jeff Bezos, ricchissimo fondatore di Amazon. Per diciassette anni la divisione scientifica della Virgin ha studiato e progettato un razzo spaziale in grado di portare in orbita bassa – subito oltre l’atmosfera terrestre, non nello spazio profondo – le persone comuni e non addestrate. È il grande sogno dei voli commerciali nello spazio, una specie di ossessione per Richard Branson che crede da tempo, come Bezos, che l’orbita sia il futuro degli spostamenti veloci di persone e merci. L’11 luglio scorso il miliardario inglese, a settant’anni, è diventato il primo uomo a testare con successo il suo personale veicolo spaziale. Partito dallo spazioporto nel New Mexico di proprietà della Virgin,
Branson e il suo team hanno volato per pochi minuti tra l’atmosfera e lo spazio, in assenza di gravità, prima di far ritorno sulla terra. Era il quarto test di volo del nuovo veicolo della Virgin. A bordo della navicella, battezzata SpaceShipTwo, c’erano il pilota Dave Mackay e il copilota Michael Masucci e quattro passeggeri: il patron Branson, la responsabile dell’addestramento di Virgin galactic Beth Moses, l’ingegnere capo Colin Bennett e la capa della ricerca scientifica Sirisha Bandla. Quest’ultima, di origini indiane, è diventata una star in India per i successi ottenuti con la Virgin. Neanche dieci giorni dopo il volo della Virgin galactic, il 20 luglio scorso è stata la volta della New shepard, la navicella costruita dalla Blue origin di Jeff Bezos. Il fondatore di Amazon,
Richard Branson e l’equipaggio della Virgin galactic in volo l’11 luglio scorso. (Shutterstock)
appassionato di affari spaziali e visionario promotore del turismo oltre l’atmosfera terrestre, ha iniziato nel 2000 a lavorare nel settore fondando la Blue origin, che recentemente è arrivata a collaborare con la Nasa, l’agenzia spaziale americana. Anche solo per come è costruita, con il più grande finestrino mai progettato per un veicolo spaziale, la New shepard ha come obiettivo soprattutto il turismo. Il volo della Blue origin nello spazio è durato poco più di dieci minuti, e insieme al fondatore Jeff Bezos hanno volato il fratello, Mark Bezos e due persone rappresentative del futuro dei viaggi spaziali, la più anziana e il più giovane a viaggiare oltre l’atmosfera terrestre. La prima si chiama Wally Funk, oggi ha 82 anni e negli anni Sessanta era stata selezionata come astronauta del programma spaziale americano, senza mai volare. Il secondo è lo studente diciottenne olandese Oliver Daemen, che ha «vinto» il biglietto sulla navicella di Bezos dopo che il riccone che aveva acquistato il viaggio per 28 milioni di dollari è stato costretto a ritirarsi. La competizione tra la Virgin galactic di Branson e la Blue origin di Bezos (a cui andrebbe aggiunta anche la SpaceX di Elonk Musk) è stata definita la nuova corsa allo spazio tra miliardari, una competizione che riguarda il raggiungimento di record e primati ma anche il primo posto nella collaborazione con le agenzie governative e l’innovazione. Dopo i due voli, per giorni l’industria spaziale internazionale ha parlato di un passaggio storico, perché fino a poco tempo fa il volo umano spaziale è stato gestito da compagnie istituzionali, regolamentato dai Governi e dalle autorità internazionali. E il motivo è che lo spazio è d’interesse pubblico e scientifico, ma per progettare ed eseguire un volo è necessario un mastodontico budget da cui si ricavano difficili vantaggi economici. L’arrivo delle compagnie private nel settore aerospaziale e nell’esplorazione rende
tutto più competitivo, ma non meno problematico. Una delle polemiche che più hanno accompagnato i tour turistici di Branson e Bezos nello spazio ha a che fare con la lotta ai cambiamenti climatici: secondo Dallas Kasaboski, analista della società di consulenza spaziale Northern sky research, un singolo volo di turismo spaziale suborbitale, della durata di circa un’ora e mezza, può generare tanto inquinamento quanto un volo transatlantico di dieci ore. Ci si domanda quindi se sia sostenibile iniziare a promuovere l’idea di viaggi spaziali quotidiani riservati a ricchi passeggeri, in un momento in cui sempre più Governi riconoscono la necessità di attuare politiche a zero emissioni. L’altro aspetto interessante della sfida spaziale è la trasformazione che ha avuto il concetto di esplorazione sin dai tempi della Guerra fredda. La corsa allo spazio di oggi, infatti, non è più uno scontro tra ideologie – da un lato l’Unione sovietica, dall’altro l’America che si contendevano il primato nelle conquiste scientifiche – ma di sistemi. La Cina, con l’aiuto della Russia, sta continuando il suo programma spaziale ambizioso e futuristico, guidato dalla leadership di Pechino, dove il settore della ricerca scientifica è sovrapposto a quello della difesa. Il programma spaziale cinese è un programma militare. Dall’altro capo del mondo c’è l’America, e il sogno spaziale coltivato dalla propaganda della Nasa sin dagli anni Settanta e Ottanta. Il programma americano di volo umano, lo Space shuttle, è andato in pensione definitivamente nel 2011, dopo una serie di disastri (come quello del Challenger nel 1986) e il progressivo definanziamento dei costosissimi progetti. Adesso la Nasa può appoggiarsi alle idee e agli ingegneri delle compagnie private, con cui collabora ormai da qualche anno. A oggi il modello spaziale americano è misto, ma sempre più lontano da quello militaristico di Pechino e Mosca.
Il «beluga spia» sempre in pericolo
La storia Da anni Hvaldimir nuota lungo le coste norvegesi cercando il contatto con l’uomo
ma rischia di essere investito dalle barche. C’è chi sostiene sia stato addestrato da Mosca Irene Peroni Catturare un animale selvatico è relativamente facile, rimetterlo in libertà consentendogli di sopravvivere può essere un’impresa molto più complessa. A più di due anni dal suo primo avvistamento, Hvaldimir, il misterioso «beluga spia» ritrovato non lontano da Capo nord, continua a nuotare su e giù lungo la costa della Norvegia settentrionale, cercando sempre il contatto con l’uomo. Le profonde ferite apparse sul suo dorso nel corso dei mesi sono testimoni del pericolo rappresentato dalle imbarcazioni e dunque oggi si sta pensando di trasformare, per lui, un fiordo in riserva marina con il patrocinio della città di Hammerfest, «la più a nord del mondo». Per realizzare questo progetto alcuni volontari hanno creato l’organizzazione One whale. Il fine è quello di pubblicizzare l’iniziativa e raccogliere fondi a livello internazionale. Ormai è evidente che il beluga, sebbene libero di prendere il largo in qualsiasi momento, non perde una sola occasione per avvicinare qualsiasi umano incontri sul suo percorso. Così un giorno Nils Roar Selnes, un tecnico specializzato, se l’è sentito arrivare
alle spalle mentre era intento a riparare cavi sottomarini nel porto di Tromsø. «Continuava a darmi delle leggere musate, era morbido come il velluto, sarei rimasto volentieri a giocare con lui», ha raccontato alla tv pubblica Nrk. In un’altra occasione la balena bianca si è improvvisamente tuffata per recuperare un cellulare che ha poi restituito alla ragazza a cui era appena caduto in acqua. Incontri come questi ce ne sono stati a dozzine e molti sono documentati da foto e filmati. La storia di Hvaldimir, che rimarrà per sempre avvolta da un alone di mistero, è degna di un film di spionaggio dei tempi della Guerra fredda. Uno dei tanti paradossi è quello che lo fa avvistare nell’aprile del 2019 da Joar Hesten, un pescatore di professione che fino a quel giorno le balene le aveva cacciate per venderne la carne (la Norvegia prevede l’uccisione di una certa quota annuale di balenottere rostrate). Fu lui a notare la strana imbracatura che cingeva il cetaceo. Determinato a liberarlo, appena si presentò l’occasione si tuffò in acqua e slacciò le fibbie. Così scoprì che le cinghie, dotate di un attacco per telecamera GoPro, portavano un’inequivocabile scritta in inglese: «Equipment St. Petersburg». Malgra-
do le nette smentite di Mosca – «Se fosse una spia, pensate davvero che gli avremmo messo addosso un numero di telefono chiedendo di chiamarci?», dichiarò ironico un esperto militare russo alla Bbc – i norvegesi hanno pochi dubbi: cetacei e foche vengono addestrati da decenni dalle marine russa e americana. Il candido beluga viene dunque ribattezzato Hvaldimir da hval, balena in norvegese, e Vladimir, il nome di battesimo di Putin. Qui però inizia anche il dilemma su cosa farne: per vari mesi, pur essendo libero, Hvaldimir continua a bighellonare nel porto di Hammerfest, un luogo caotico e ricco di potenziali pericoli. «Eseguiva dei compiti sperando chiaramente che la gente gli desse da mangiare», spiega Eve Jourdain, scienziata francese che vive ad Andenes, sulle isole Vesterålen, dove ha fondato il Norwegian orca survey. Jourdain capisce fin dall’inizio che Hvaldimir è ammaestrato e ha bisogno di aiuto, dunque sospende la propria ricerca e si trasferisce a Hammerfest. Lì si trova a combattere ogni giorno per educare i molti turisti e visitatori affinché non nuocciano inconsapevolmente al delicato mammifero. All’inizio, lei e il suo team rifocillano il belu-
ga denutrito gettandogli 10-20 chili di aringhe al giorno. Poi, attraverso una telecamera montata sul suo dorso per mezzo di ventose, riescono a monitorarne i primi passi (o colpi di coda) verso l’indipendenza. «Gradualmente abbiamo visto aumentare il suo interesse per i pesci vivi, finché a luglio del 2019 ha abbandonato definitivamente il porto di Hammerfest», ricorda. Qualche mese dopo l’esperta di orche sente che il suo compito è terminato e ritorna alla sua base sulle isole Vesterålen. «Hvaldimir ora è libero, tuttavia non è un animale selvatico. Purtroppo non credo che possa unirsi ad un branco di suoi simili», ci racconta al telefono. «Cerca continuamente gli umani perché ha bisogno di socializzare e pensa che siano tutti buoni. Dunque è costantemente esposto a comportamenti stupidi e rischia di essere investito dalle imbarcazioni». Ora che è in grado di coprire distanze notevoli e si nutre da solo, Jourdain non vede più la necessità di una riserva marina. «Non è facile dire quale sia la soluzione migliore – osserva – però catturarlo e metterlo in un fiordo vorrebbe dire privarlo ancora una volta della libertà». Ma se da un lato Hvaldimir ha dovuto rinunciare, suo malgrado, alla
Eve Jourdain e il suo amico. (Norwegian orca survey)
vita per cui era nato, allo stesso tempo si è trasformato in una mascotte, anzi, in un inconsapevole paladino che potrebbe cambiare per sempre il rapporto del Paese scandinavo con i grandi cetacei. «Mangiare carne di balena è tradizione, qui in Norvegia, come per altri mangiare manzo o maiale», spiega Jourdain. «Ma incrociare lo sguardo di Hvaldimir crea una connessione, rende possibile comunicarci… È raro che qualcuno possa avvicinarsi così tanto ad una balena. E dunque un’esperienza del genere può cambiare le persone che lo incontrano». Chissà che il beluga che viene dal freddo non riesca laddove Greenpeace ha fallito, facendo breccia nel cuore di altri pescatori come Joar Hesten, e li convinca a desistere dall’antica, radicata tradizione della caccia alla balena.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 agosto 2021 • N. 31
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Tunisia spaccata a metà
Politica e economia
Il punto Le proteste evidenziano la divisione tra i sostenitori del presidente Saied e quelli del partito islamista
Ennahda. Intanto il Paese è in ginocchio a causa di una profonda crisi economica e della pandemia
Francesca Mannocchi In Tunisia tornano le proteste e insieme la grande preoccupazione per il futuro. Il Paese, a pochi mesi dalle ultime massicce manifestazioni di piazza, è di nuovo di fronte a un momento estremamente delicato. Domenica 25 luglio, il giorno della festa della Repubblica tunisina, il presidente Kais Saied ha licenziato il primo ministro Hichem Mechichi, sospeso le attività del Parlamento e privato i deputati dell’immunità. Qualche giorno dopo ha silurato una ventina di alti funzionari governativi e il procuratore generale militare. Le mosse seguono una nuova ondata di proteste che derivano da problemi strutturali del Paese – l’assenza di concrete politiche del lavoro, i picchi di disoccupazione e una crisi economica senza precedenti – a cui si sono andati ad aggiungere negli ultimi mesi problemi imprevisti che hanno aggravato le condizioni di vita dei cittadini tunisini, cioè una cattiva gestione della pandemia da parte del Governo. Nel suo discorso al Paese Saied, assumendo pieni poteri, ha annunciato che avrebbe presto nominato un nuovo primo ministro di sua fiducia. I membri del primo partito in Parlamento, gli islamisti moderati di Ennahda, hanno immediatamente parlato di golpe, mentre in tutto il Paese, da Susa a Tozeur, i manifestanti prendevano d’assalto le sedi del partito, ritenuto da molti una delle cause della cattiva gestione del Paese. Saied ha agito, a suo dire, secondo un’interpretazione dell’articolo 80 della Costituzione che gli permette di adottare «misure eccezionali» in caso di emergenza nazionale.
A luglio l’agenzia di rating Fitch ha declassato la Tunisia da B a B–. La disoccupazione ha raggiunto il 18% Già lo scorso maggio un leak pubblicato dal sito «Middle east eye» aveva reso pubbliche le voci di un piano per rovesciare il Governo tunisino e dare a Saied il pieno controllo delle istituzioni. I documenti rivelavano i dettagli dell’operazione secondo cui il presidente avrebbe preso il potere proprio avvalendosi dell’articolo 80, estromettendo altri partiti dalla gestione della vita politica del Paese. Le decisioni di Saied derivano da una combinazione di diverse crisi. Sebbene infatti la Tunisia venga considerata l’esempio più compiuto delle rivoluzioni del 2011, e abbia effettivamente dimostrato di essere al centro di un processo di transizione democratica (si pensi allo svolgimento regolare di elezioni, al rispetto della libertà di espressione), la sua economia vive da anni un preoccupante stallo che ha destabilizzato ampie sezioni della società. All’inizio di luglio l’agenzia di rating Fitch
Sostenitori di Ennahda e poliziotti in assetto anti-sommossa davanti al Parlamento a Tunisi. (Shutterstock)
ha declassato il Paese da B a B–, citando un aumento dei rischi fiscali e un problema serio di liquidità se non verrà approvato il piano di aiuti del Fondo monetario internazionale. Nell’ultimo anno, quando alla grave crisi economico-finanziaria e alla disoccupazione che ormai ha raggiunto quasi il 18%, si è aggiunta l’epidemia, la situazione è precipitata. La Tunisia è stata ed è infatti uno degli epicentri della pandemia da Covid nell’area e dopo il Ramadan è stata esposta a un picco di contagi che ha portato al collasso del sistema sanitario: molti ospedali sono rimasti privi di ossigeno e il bilancio delle vittime ha superato i duecento morti al giorno. Sono state contagiate circa 600 mila persone, almeno 18 mila sono morte, in un Paese di undici milioni di persone (dato di settimana scorsa). La campagna vaccinale è molto lenta, con meno del 10% della popolazione immunizzato, e la gestione dei centri vaccinali è stata così male organizzata che Saied aveva ordinato all’esercito di prenderne il controllo, decisione che aveva innescato un pezzo della crisi politica che ha anticipato le decisioni del 25 luglio. La pandemia e la crisi economica hanno portato alla recessione più grave dall’indipendenza del Paese, nel 1956. Le persone si sono riversate nelle strade, chiedendo giustizia e cambiamenti. Una grande manifestazione ha preceduto di poche ore il discorso di
Saied e migliaia di cittadini sono scesi in strada per tutta la notte, dopo aver saputo delle sue decisioni, gridando inni contro Ennahda. I militari hanno sigillato il Parlamento impedendo l’ingresso ai leader politici mentre centinaia di sostenitori di Ennahda urlavano davanti all’Assemblea del popolo: «La gente vuole il Parlamento aperto». Le proteste hanno evidenziato l’antica spaccatura che attraversa la scena politica del Paese: da un lato i sostenitori del presidente Saied, dall’altro quelli del partito islamista moderato Ennahda che dopo il 2011 si è imposto come la principale formazione politica. Ennahda è guidato da Rached Ghannouchi, che è presidente del Parlamento, ed esprimeva anche il primo ministro, Hichem Mechichi, prima che venisse esonerato da Saied. È proprio a partire dalla contrapposizione di queste due anime che si può in parte spiegare cosa stia accadendo nel Paese. I rapporti tra il presidente Saied e il leader di Ennahda Rachid Ghannouchi sono infatti profondamente peggiorati negli ultimi mesi, in particolare dopo che Saied si è rifiutato di autorizzare la nomina di diversi ministri a seguito di un rimpasto di Governo deciso dal primo ministro Mechichi. In quell’occasione Saied ha avocato a sé il diritto di veto, sebbene la Costituzione non lo preveda, e ha sostenuto che alcuni dei ministri proposti fossero corrotti. Complicato capire se Saied avesse davvero il potere di farlo perché la Corte
Costituzionale, l’unico organismo super partes su queste questioni, non è mai stata completata. Vale la pena ricordare che Saied è un professore di diritto costituzionale, un outsider conservatore, che ha fatto della lotta alla corruzione uno dei cardini della sua azione politica. Saied ha vinto a sorpresa le elezioni del 2019, approfittando della disillusione dei tunisini nei confronti della classe politica.
I detrattori di Saied parlano di golpe costituzionale, i suoi sostenitori di liberazione dalla corruzione Ora, dopo gli avvenimenti di domenica 25 luglio, il Paese è in uno stato di confusione, i detrattori di Saied parlano di un colpo di Stato costituzionale, i suoi sostenitori di una liberazione necessaria dalla corruzione di Ennahda. La frattura tra chi plaude il rovesciamento del primo ministro e chi lo definisce un golpe rievoca la storia recente di un altro Paese del Maghreb, l’Egitto, e precisamente quello che accadde nell’estate del 2014, quando l’esercito egiziano sfruttò un movimento di protesta contro il Governo di Mohamed Morsi – espressione della Fratellanza musulmana – per rimuoverlo, uccidere centinaia di sostenitori
e imprigionare l’allora presidente che morì pochi anni dopo in carcere. Il sistema di governance tunisino sta per ora dimostrando di resistere alla tentazione restauratrice, ma è certo che questa spaccatura politica e quello che è di fatto un golpe costituzionale evidenziano con forza le influenze di altri attori regionali negli equilibri del Paese. Egitto, Emirati arabi uniti e Arabia saudita hanno infatti salutato l’annuncio di Saied con soddisfazione, essendo tutti storici antagonisti della Fratellanza musulmana. Dall’altra parte la Turchia, che invece sostiene la Fratellanza, si è detta allarmata dal ritorno di uno stato di polizia nel Paese. Da questo punto di vista la posta in gioco è molto alta e le attuali tensioni suggeriscono dei cambiamenti regionali in atto. Dal 2019, quando è salito al potere, Saied ha stretto legami sempre più forti con l’Egitto e gli Emirati, seguendo una politica di tolleranza zero verso gli islamisti. Sarà quindi cruciale osservare le posizioni di questi Paesi ma anche la posizione che prenderà l’Europa, sempre più allarmata dal fenomeno migratorio che dalla Tunisia tocca le coste meridionali del Continente. Gli Stati europei sanno che una crisi politica devastante potrebbe inaugurare una nuova ondata di partenze e hanno storicamente preferito interloquire con un Governo forte che sembri sinonimo di stabilità, per questo non stupirebbe un sostegno dell’Unione europea a Saied, contro Ennahda. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 agosto 2021 • N. 31
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Politica e economia
Preoccupa la crescita La consulenza della Banca Migros
Thomas Pentsy
Restano indietro le economie emergenti Percentuale della popolazione totale a cui è stata somministrata almeno una dose di vaccino
Regno Unito Stati Uniti UE Svizzera Cina Brasile America Latina Messico Asia Mondo India Russia Sudafrica 0
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l’aumento dei tassi di interesse statunitensi metterà sempre più sotto pressione le banche centrali degli EmMa, soprattutto nei Paesi che dipendono fortemente dal capitale estero. Spesso il vantaggio che le economie
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emergenti traggono dall’attuale livello elevato dei prezzi delle materie prime non è così consistente come molti suppongono. In linea generale, sono economie che si sviluppano meglio quando è la domanda ad alimentare i
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Fonte: ourworldindata.org
Thomas Pentsy è analista di mercato presso la Banca Migros
Nei Paesi industrializzati l’offensiva delle vaccinazioni procede a ritmo sostenuto. Ma le economie emergenti sono ancora colpite da elevati tassi di contagi. Gli Emerging Markets (EmMa) continuano a far fronte a elevati tassi di contagi da Covid-19 e a restrizioni della mobilità per gli scarsi progressi nelle vaccinazioni. Nuove varianti del coronavirus hanno colpito duramente i Paesi asiatici e latinoamericani. È vero che le conseguenze economiche sono meno gravi rispetto all’anno scorso. Ma le nuove restrizioni imposte per il coronavirus pesano sulle economie emergenti. Ancora una volta, gli investitori sono quindi sempre più in preda a preoccupazioni per la crescita. Alla luce dell’elevato numero di contagi, la sostenibilità della ripresa economica è avvolta dalle incertezze in molti EmMa. La crisi del coronavirus ha lasciato tracce profonde anche nella politica e nelle finanze pubbliche. Come nei Paesi industrializzati, i disavanzi di bilancio sono aumentati e l’indebitamento è cresciuto. In America Latina, inoltre, la politica populista ha ottenuto un forte sostegno durante la pandemia e sono cresciuti i disordini sociali. In futuro gli investitori internazionali dovrebbero rimettere in discussione la credibilità monetaria e fiscale di questi Paesi. In generale, a medio termine
prezzi delle materie prime. La scarsità dell’offerta che fa salire i prezzi li favorisce invece di meno. Non da ultimo, la Banca Migros continua a ritenere che non sia imminente un superciclo delle materie prime. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 agosto 2021 • N. 31
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Politica e economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Quale terapia per la demografia ticinese? Lo scorso mese di maggio l’Ufficio cantonale di statistica (USTAT) ha pubblicato i suoi scenari demografici per il Cantone e i distretti. Si tratta di proiezioni a lungo termine sull’evoluzione della popolazione. La prima constatazione che si impone, alla lettura di queste previsioni, è che esse confermano il senso di malessere che si era diffuso quando, esattamente un anno prima, l’Ufficio federale di statistica (UFS) aveva reso noti i suoi scenari.
Il Ticino demografico è in perdita di velocità. Anche se l’USTAT è un pochino più ottimista dell’UFS, i tassi annuali di crescita della popolazione del Canton Ticino dal 2020 al 2050 non supereranno, neanche nello scenario più ottimistico, lo 0,5%. Si tratta di un drastico rallentamento rispetto alla crescita demografica che il Ticino aveva conosciuto fino al 2015. Rispetto alla possibile evoluzione futura della popolazione i distretti ticinesi si dividono poi
La fonte della giovinezza di Lukas Cranach il Vecchio. (Wikipedia)
in due gruppi. Ci sono distretti vincenti: sono quelli delle tre maggiori città, ossia il distretto di Bellinzona, che sarà quello che, in termini relativi, ossia in valori percentuali, guadagnerà più abitanti, il distretto di Lugano e il distretto di Locarno. Gli altri distretti del Cantone faranno invece parte del gruppo dei perdenti. Le perdite maggiori, sempre in termini relativi, le conosceranno il distretto di Leventina e quello di Blenio; la perdita minore la sopporterà invece il distretto di Mendrisio. Questo significa che l’evoluzione futura della popolazione del Cantone sarà contraddistinta da due tendenze. In primo luogo, come abbiamo già ricordato, da un più che modesto aumento e, in secondo luogo, da un’ulteriore concentrazione della popolazione negli agglomerati urbani delle tre maggiori città. Perché la demografia ticinese sta perdendo di velocità? Da un lato perché la popolazione invecchia e, dall’altro, perché il saldo migratorio, da qualche anno, sta restringendosi come una peau de chagrin. Delle due tendenze quella
all’invecchiamento della popolazione è quella di più lunga data. È infatti da più di mezzo secolo che il saldo naturale in Ticino è in diminuzione ed è da quasi vent’anni che è diventato negativo. Di fronte alla persistenza della tendenza all’invecchiamento della popolazione le autorità non sono state con le mani in mano. Sono intervenute investendo nelle case per anziani, negli aiuti domiciliari e nel sostegno finanziario, sotto diversi titoli, delle persone anziane. La loro è, se possiamo permetterci il confronto, una specie di terapia anti-aging che persegue la finalità di migliorare la qualità di vita delle persone in età. Si tratta certamente di misure necessarie per affrontare le conseguenze negative immediate del fenomeno. Le stesse però non incideranno in nessun modo sulla tendenza all’invecchiamento. Quello di cui la demografia ticinese oggi ha bisogno non è tanto dell’anti-aging ma di una terapia di ringiovanimento, una specie di fonte della giovinezza. Non che non si sia fatto nulla per favorire la procreazione e le famiglie con figli. Dal
congedo di paternità e maternità agli assegni famigliari, dagli aiuti per gli asili-nido e la campagna per la generalizzazione dei giardini di infanzia, dal sostegno pedagogico alla diffusissima attività dei molti enti di aiuto alle famiglie. Ma quello che l’osservatore esterno critica è la mancanza di una strategia che riunisca i numerosi interventi, pubblici e privati, sotto una sola tematica politica: quella del ringiovanimento della popolazione. Non è che formulando obiettivi e misure per una politica di questo tipo il problema si risolva da solo. Tuttavia, anche se la politica dell’incoraggiamento alle nascite è stata quasi sempre il retaggio di governi autoritari è venuto il momento di intraprendere qualcosa di esplicito. Uguale attenzione il Cantone Ticino dovrà prestare anche alla politica di controllo dell’immigrazione. Infatti, anche supponendo che il saldo naturale ritorni ad essere nullo, un risultato che non sarà facile da conseguire, per vedere la popolazione del Cantone crescere occorrerà ristabilire un saldo migratorio positivo.
L’alternativa è un altro anno a singhiozzo. È richiudere le scuole e tornare alla didattica a distanza, i cui limiti appaiono chiari a insegnanti, allievi e famiglie. È ripiombare nell’incertezza sui luoghi di lavoro (perché ci sono lavori che da casa non si possono fare, o che non riescono allo stesso modo). È abituarsi definitivamente alla vita virtuale e impaurita di questi diciotto mesi: le riunioni a distanza, gli impegni cancellati all’ultimo momento, le vagonate di autocertificazioni inutili, le gomitate di saluto e tutte le altre cose di cui non vediamo l’ora di fare a meno. I «no-vax» a oltranza sono pochi, e le loro posizioni facilmente confutabili, adesso che si è visto che i vaccini sono sicuri (tranne rarissime eccezioni che confermano la regola) e che l’unica arma seria per prevenire il Coronavirus o renderlo meno pericoloso è appunto il vaccino. Si sentono però (e si leggono nei messaggi che girano sui social) ragionamenti meno diretti ma più insidiosi. «I vaccini non danno la certezza dell’immunità». Certo, però abbattono
il pericolo. «Devono vaccinarsi solo coloro che rischiano di finire in ospedale o di morire»; ma prendere questo virus è come partecipare a una tragica lotteria, nessuno può sapere in anticipo come va a finire, e se i morti sono quasi tutti (ma non tutti) anziani, i giovani si contagiano facilmente e altrettanto facilmente trasmettono il contagio, tenendo in vita il virus e consentendogli di mutare, quindi di resistere. «Non si sa come reagirà il fisico al vaccino tra qualche anno»; certo, ma qualcuno sa come tra qualche anno il fisico reagirà al virus? Non è evidente che vaccinarsi è meno pericoloso di prendere il Coronavirus? La politica dovrebbe essere responsabile e rinunciare a vellicare gli incerti; semmai dovrebbe convincerli a vaccinarsi o almeno incentivarli a farlo. Destra e sinistra non c’entrano nulla. Davvero non abbiamo rispetto per le vittime e i loro familiari, per i tanti che hanno sofferto nel fisico e nella psiche, per coloro – compresi molti giovani – che hanno perso lavoro e opportunità? Siamo diventati narcisisti al punto da credere che
una cosa non esiste fino a quando non accade a noi? O invece siamo maturati tanto da comprendere che in una pandemia ognuno porta la responsabilità della salvezza dell’altro? Come d’abitudine, però, l’Europa si muove in ordine sparso. La Francia ha scelto una linea dura che espone a gravi disagi parte della popolazione, che non è ancora vaccinata ma non sempre per propria scelta. L’Italia ha scelto una linea più morbida: tutti possono ad esempio cenare in un ristorante all’aperto; per cenare all’interno basta una sola dose di vaccino. Tuttavia i capi dei partiti di destra non sono d’accordo, ad esempio Matteo Salvini – pur avendo dichiarato di essersi vaccinato – continua a strizzare l’occhio ai «boh-Vax», come vengono definiti gli indecisi. Ad esempio dichiara di non voler «inseguire nessuno con la siringa in mano», frase a effetto che non vuol dire nulla, ma rappresenta un segnale di intesa a molti elettori. Bene ha fatto il premier Draghi a rispondergli che gli appelli a non vaccinarsi sono in realtà appelli a morire.
rispetto a –6,7%). Nel 2022 le agenzie prevedono non solo un pieno recupero, ma un incremento; anche le cifre riguardanti la disoccupazione dovrebbero riallinearsi con il periodo pre-pandemico, e nei cantoni tradizionalmente più virtuosi – come per esempio nei Grigioni – sfiorare il pieno impiego. Il Ticino segue a ruota. Sappiamo che per le ragioni ben note, il nostro cantone non ha mai raggiunto i vertici delle graduatorie nazionali per tasso di produttività e capacità di innovazione. Tuttavia negli ultimi decenni la rincorsa ha dato buoni frutti, specie nella formazione post-liceale e nei settori tecnologicamente più avanzati, tra cui spicca la biomedicina. Il Dipartimento delle finanze e dell’economia (Dfe) ha recentemente illustrato cinque aree tematiche in cui concentrare le forze: imprenditorialità, competitività,
interconnessione, digitalizzazione e sostenibilità. Per ogni area, gli esperti presenti al Tavolo di lavoro (istituito nel 2015) hanno identificato gli strumenti che dovranno attivare e orientare la transizione, partendo dalla ricerca, dalla formazione (ad ogni livello, compresa quella permanente), dalla modernizzazione delle amministrazioni pubbliche e dalla responsabilità sociale delle imprese. Il piano allestito dal Dfe è senz’altro condivisibile nel suo impianto generale. Per conseguire gli obiettivi auspicati dovrà però costruire collaborazioni e sinergie con gli altri dipartimenti, senza temere contaminazioni ed eventuali «eresie» di pensiero. L’idea di rendere «smart», ossia intelligenti attraverso una diffusione capillare della banda larga, non solo gli agglomerati urbani ma anche i villaggi delle terre alte, non
camminerà da sola. Se si considera – giustamente – la formazione d’importanza strategica per il futuro del paese, sarà inevitabile coinvolgere il Dipartimento dell’educazione, nonché gli istituti superiori, a partire dall’Usi e dalla Supsi. Anche da loro ci si aspetta un contributo non formale al rilancio dell’economia cantonale. Ma tutti i ceti riflessivi (urbanisti, sociologi, geografi, demografi, antropologi) sono invitati a recare il loro personale mattone, piccolo o grande, alla riedificazione e all’ammodernamento della casa comune. Un processo che il prof. Mauro Baranzini definisce «resilienza». Da intendersi non come semplice «resistenza» agli urti della vita (che comunque è già gran cosa, per non precipitare nella depressione), ma come forza reattiva e propositiva, come capacità di individuare vie nuove e soluzioni originali.
In&outlet di Aldo Cazzullo chi vuol essere davvero libero Tutta Europa ormai si divide tra vaccinati e non vaccinati. Molti tra i non vaccinati non hanno ancora potuto farsi immunizzare, un po’ per i ritardi – che riguardano soprattutto i giovani – un po’ perché le loro condizioni di salute non lo consentono. Ma per altri si è trattato di una scelta. A mio avviso sbagliata. La discussione sul vaccino è viziata da un grande equivoco. Il confronto non è tra chi difende la libertà e chi la nega. Il confronto è tra chi vuol essere – o si illude di poter essere – libero qui e ora, e chi vuol essere libero in modo duraturo, senza ritrovarsi a fine estate (se non prima) in questo frustrante giorno della marmotta, senza dover ricominciare da capo con i bollettini delle terapie intensive e i decreti di chiusura. Dovrebbe essere chiaro che la scelta giusta è la seconda. Nessun Paese democratico ha imposto l’obbligo di vaccino, se non (com’era inevitabile) agli operatori sanitari. Quasi tutti i Paesi democratici, però, hanno deciso di incentivare le vaccinazioni. Il diritto al lavoro è inviolabile, quindi è
impossibile legare l’ingresso sul posto di lavoro al green pass. Ci sono però lavori che si svolgono a contatto con il pubblico. Un conto è difendere la libertà di non vaccinarsi, un altro è attentare alla libertà di lavorare – o usufruire di un servizio – senza venire in contatto con una persona che ha deliberatamente scelto di non vaccinarsi. Distinguere tra le generazioni, per arrivare a sentenziare che i giovani possono anche non immunizzarsi perché tanto non muoiono, significa non aver capito come si muove questa pandemia. Il virus resiste e muta proprio perché non è molto letale, ma è molto contagioso. L’unico modo per bloccarne o limitarne la circolazione e la mutazione è vaccinarsi tutti, o quasi tutti. Qualsiasi dato scientifico ed empirico è lì a dimostrarlo. Purtroppo non ci sono altre possibilità, se vogliamo riaprire le scuole in sicurezza, consolidare la ripresa economica, recuperare la socialità, i rapporti tra le persone, il clima di scambio e di incontro che resta di gran lunga il modo migliore di lavorare e di vivere.
cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Ora e sempre resilienza Che dopo il brutto arriva il bello, lo sosteneva già Bertoldo, anche se, con i capricci climatici sempre più frequenti, improvvisi e devastanti, non ne siamo più tanto sicuri. Un discorso analogo vale per l’andamento economico. La storia insegna che dopo l’evento traumatico (guerre, terremoti, carestie, pandemie), l’economia riprende velocemente, per poi ricadere alla prossima catastrofe. Ma un tempo la macchina statale, come l’intendiamo oggi, era debole e priva di mezzi; oggi non è più così, le politiche economiche d’ispirazione keynesiana sono pronte ad iniettare denaro liquido ogniqualvolta intervengono gravi inceppamenti. Il programma varato dall’Unione europea sotto il nome di NextGenerationEU prevede investimenti dell’ordine di ottocento miliardi. Non sarà, come si è spiegato mille volte, una semplice
cambiale in bianco. Bruxelles si aspetta dagli Stati membri un rigoroso piano d’investimento guidato da filosofie «green». Quindi un impegno vincolante ad investire in energie rinnovabili, a beneficio delle prossime generazioni. Non solo: ogni progetto sarà sottoposto a verifica periodica. Se le opere non procederanno, o si disperderanno in rivoli insondabili, la Commissione interromperà le sovvenzioni. Troppe volte, in passato, i contributi europei sono svaniti nelle nebbie della burocrazia, degli sprechi e del ladrocinio. Della ripresa dell’economia continentale trarrà vantaggio anche la Svizzera. I dati diffusi finora sono incoraggianti. L’anno peggiore, il 2020, è alle spalle. La contrazione elvetica del Prodotto interno lordo (Pil) è stata tutto sommato contenuta, e comunque inferiore a quella registrata nell’eurozona (–2,7%
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 agosto 2021 • N. 31
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cultura e Spettacoli In ricordo di calasso L’editore italiano, fondatore della celebre casa editrice Adelphi, è mancato la scorsa settimana pagina 27
Ishiguro e le macchine Nel suo nuovo Klara e il sole, il Nobel per la letteratura si occupa di Intelligenza artificiale in chiave inedita
Un Olandese che vola Bayreuth riapre per la gioia di tutti gli amanti di Wagner e propone l’Olandese volante
Tutti i volti di Nicolas Maury L’attore francese, star della serie Dix pour cent, sta dimostrando doti attoriali straordinarie
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La fortezza dell’arte
Musei Una visita al Castello di Masnago
a Varese tra affreschi medievali e collezioni di opere lombarde
Alessia Brughera Anche se il Covid non sembra volere allentare la presa, con l’arrivo dell’estate abbiamo finalmente potuto ritornare ad assaporare un po’ della tanto agognata normalità, progettando anche piacevoli gite oltre confine alla scoperta di piccoli gioielli artistici. Uno di questi è sicuramente il Castello di Masnago a Varese, suggestivo complesso architettonico posto su un’altura naturale che degrada verso il lago, la cui fisionomia così come oggi ci appare è il risultato di diversi ampliamenti avvenuti nel tempo. La parte più antica è costituita da una torre di avvistamento risalente al XII secolo, epoca in cui doveva essere inserita in un sistema difensivo ben più ampio, in diretta relazione visiva con le non lontane torri di Velate e di Santa Maria del Monte. A questo nucleo militare è stato annesso nella prima metà del Quattrocento il corpo di fabbrica principale, una porzione che ha incominciato a conferire all’edificio l’aspetto di una dimora signorile. Questa aggiunta viene fatta costruire dalla potente famiglia Castiglioni, casata a cui sono appartenute note personalità della letteratura e del mondo politico e religioso, basti pensare a quella del cardinale Branda, colui che nel Rinascimento ha reso la località di Castiglione Olona (altra meta in provincia di Varese che vale sicuramente la pena di visitare) «un’isola di Toscana in Lombardia», come ebbe a dire Gabriele D’Annunzio.
Ulteriori ampliamenti al castello sono stati poi effettuati nel corso del Settecento, con un’ala innestata sul lato ovest e un grande parco che rendono la fortezza medioevale simile a una vera e propria villa di delizia, in cui la svettante torre originaria diventa adesso simbolo del potere del signore. Gran parte dell’edificio quattrocentesco è affrescata con scene a carattere profano di grande raffinatezza, collocabili nel contesto del revival dell’arte gotica (il cosiddetto Gotico Internazionale) tanto in voga in Lombardia e nelle corti di mezza Europa nei decenni centrali del XV secolo. Gli avvincenti cicli pittorici di Varese vengono scoperti nel 1937 dall’allora proprietario del castello, Angelo Mantegazza, a cui la famiglia Castiglioni aveva venduto pochi anni prima l’intero immobile. Sebbene l’autore resti a tutt’oggi ignoto, gli affreschi vengono considerati affini per qualità e tematiche ad alcuni degli esiti più riusciti della pittura lombarda di gusto cortese, come ad esempio i dipinti murali di Palazzo Borromeo a Milano. A commissionare i cicli di Masnago era stata tra il 1443 e il 1453 Maria Lampugnani, moglie di Giovanni Castiglioni, intellettuale e bibliofilo, proprio per abbellire la dimora con opere che potessero rappresentare lo status della casata. Nella Sala degli Svaghi, al pianterreno, le pareti illustrano i passatempi a cui la piccola corte varesina era dedita nella quotidianità, testimoniando la fortuna che i soggetti
Particolare degli affreschi della Sala dei Vizi e delle Virtù, Castello di Masnago, Musei Civici di Varese.
aristocratici e profani stavano riscuotendo in quel periodo. Ecco che sullo sfondo delle Prealpi lombarde si assiste a una gita in barca di tre dame intente a scambiarsi dei fiori, alla colazione sull’erba di un gruppetto di gentiluomini, a una partita al gioco dei tarocchi, alla partenza per la caccia con il falcone e a un delicato brano in cui una dama, probabilmente la stessa Maria Lampugnani, è intenta a suonare l’organo sotto una tenda riccamente decorata; tutte scene, queste, eseguite con un’accurata resa dei dettagli e un’intensa caratterizzazione fisionomica dei volti. Al primo piano, invece, il più suggestivo degli spazi è la Sala dei Vizi e delle Virtù, che affronta un tema di ispirazione filosofica e morale attinto dalla cultura classica. Su un prato fiorito si susseguono a gruppi di tre le personificazioni delle Virtù e dei Vizi, con una figura femminile collocata
in posizione centrale a rappresentare la Virtù e altre due ai lati a incarnare i Vizi a lei opposti per eccesso o per difetto. Questi affreschi dal soggetto allegorico hanno molto incuriosito i critici, che hanno rintracciato precisi riferimenti alla letteratura a sfondo moraleggiante della metà del Quattrocento, attestando gli ampi interessi culturali della famiglia Castiglioni. Nel 1981 il Castello di Masnago viene acquistato dal Comune di Varese e nel 1995 aperto al pubblico come sede del Museo Civico d’Arte Moderna e Contemporanea, cosicché oltre ai cicli pittorici appena descritti è possibile visitare la nutrita collezione di dipinti, sculture e grafiche costituita negli anni grazie agli importanti lasciti di alcune illustri famiglie del territorio e al sapiente lavoro del celebre critico d’arte Giovanni Testori. Le opere spaziano dal XVI al XX secolo e sono realizzate perlopiù da artisti di area
lombarda, tra cui spiccano Francesco Hayez, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Giacomo Balla e il ticinese Vincenzo Vela, solo per citarne alcuni. Dopo la visita agli affreschi e al museo ci si può rilassare nel grande giardino che circonda il castello. Non è più quello originario del Settecento (di cui però si conservano a testimonianza due leoni di pietra in cima ai pilastri dell’ingresso) ma il più recente parco all’inglese dominato dalle possenti chiome di faggi, ippocastani, querce, cedri e carpini: una cornice ideale per svagarsi come faceva la famiglia Castiglioni secoli or sono. Informazioni
Castello di Masnago – Museo Civico d’Arte Moderna e Contemporanea, Varese. Orari di apertura: da ma a do dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 14.00 alle 18.00. www.comune.varese.it
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cultura e Spettacoli
L’ordine secondo Filippo Baldinucci Trattati Ritrattista, storico dell’arte fece un certosino lavoro di ricerca
grafie e ne estrae singole voci (come nel caso di Cennino Cennini, estratto dalla vita di Agnolo Gaddi)». Isola molte sottovoci e corregge diverse datazioni sbagliate dello stesso Vasari (la nascita di Giotto e la morte di Taddeo Gaddi). Fa lo stesso con le Vite emiliane di Carlo Cesare Malvasia (1678), quelle genovesi di Raffaele Soprani (1674), senesi di Isidoro Ugurgieri Azzolini (1649), venete di Carlo Ridolfi (1648) e romane di Filippo Titi (1674). Nel terzo volume aggiunge più di 40 voci riguardanti gli artisti tedeschi e fiamminghi estrapolate da Schilder-Boeck del 1604 di Karel van Mander, con i nomi un tantino storpiati. Da Entretiens sur les vies et sur les ouvrages des plus excellents peintres, anciens et modernes pubblicato da André Félibien nel 1666-1688 trae per il quarto volume le notizie sui francesi. Quest’ultimo viene pubblicato nel 1688. L’autore muore nel 1697. Il quinto volume relativo agli anni 1580-1610 e il sesto dal 1610 al 1670 vengono pubblicati rispettivamente nel 1702 e nel 1728. L’impresa ovviamente non è semplice perché l’autore aveva a disposizione una mole di documenti impressionante e non omogenea, da riordinare. Una fase ancora operativa, come scrive Paola Barocchi, alla quale i nuovi curatori si sono attenuti. Opera monumentale, dicevamo, che registra un vasto periodo della storia dell’arte dando anche conto delle novità estere che a un fiorentino possono sembrare stravaganti come la pittura di Rembrandt senza contorni precisi o «circonscrizione di linee interiori né esteriori, tutta fatta di colpi strapazzati e replicati, con gran forza di scuri a suo modo, ma senza scuro profondo». Insomma, chiosa Lionello Venturi, appare chiaro che l’ombra di Rembrandt è luminosa, al contrario di quella di Caravaggio, ma senza contorni.
Gianluigi Bellei Filippo Baldinucci (Firenze, 16251696) ha un’educazione religiosa e studia dai gesuiti. Frequenta la bottega dell’incisore e scultore Iacopo Maria Foggini e poi quella del pittore Matteo Rosselli. In seguito collabora con le attività commerciali paterne. Il suo talento artistico lo introduce nell’aristocratico mondo granducale di Firenze. Il cardinale Leopoldo de’ Medici gli affida l’ordinamento della sua raccolta di disegni e poi l’incremento della collezione degli autoritratti. Da questa esperienza nasce la sua attività di storico.
A Baldinucci si riconoscono lo sforzo di documentazione e l’apertura mentale europeista Nel 1681 pubblica il Vocabolario toscano dell’arte del disegno, nel 1682 la Vita del Cavaliere Gio. Lorenzo Bernino. Il suo lavoro più importante rimane Notizie dei professori del disegno da Cimabue in qua che vede la luce dal 1681. Un’opera monumentale paragonabile solo alle Vite del Vasari. Julius Schlosser Magnino scrive che questa è «la prima storia universale dell’arte figurativa in Europa, scritta in uno stile impeccabile, sì da essere compresa fra i testi di lingua della Crusca». Sergio Samek Ludovici ne apprezza l’obiettivo sforzo di documentazione, quasi prepositivista e Roberto Longhi l’apertura mentale europeista. La Listra de’ nomi de’ pittori del 1673 rivela il primo sforzo alfabetico per documentare il sempre più numeroso materiale del quale si sta occupando. Realizza un primo formulario d’inchiesta destinato ai «cultori figurativi della varie città», annota Paola Barocchi nella nota critica all’edizione di riferimento attuale, quella dell’editore S.P.E.S. di Firenze. La cronologia si traduce in notizie. Aspetta con ansia la pubblicazione delle Vite del Malvasia
Ritratto di Filippo Baldinucci realizzato da Antonio Baratta (1734-1787).
che attacca Vasari, mentre Baldinucci pensa di continuare sulla scia delle vite descritte proprio dal fiorentino. Dal 1675 inizia a lavorare a una cronologia. Nell’aprile dello stesso anno spedisce
un secondo questionario a funzionari granducali, curiosi, eruditi italiani ed esteri nel quale chiede i nomi degli artisti – non nominati dal Baglioni, dal Ridolfi e dal Bellori – che operano in città
Bibliografia
dal 1642 e chi sono i loro maestri. Decide infine di dare un’intelaiatura per decenni alla cronologia. Lavora contemporaneamente sulle Vite vasariane «rompendo anche le più omogenee bio-
Edizione di riferimento (dalla mia biblioteca): Filippo Baldinucci, Notizie dei professori del disegno da Cimabue in qua, Firenze, S.P.E.S., 1974.
lontano; pensiamo all’Africa, ai discendenti delle popolazioni precolombiane, agli aborigeni australiani. Ma non è la stessa cosa che lavorare su degli originali poiché non è provato che occasioni, tecniche, ritmi e melodie siano proprio quelli antichi. Andando indietro nei secoli cosa dire ad esempio della grande tradizione del Medio Oriente, dell’Egitto, della Grecia o di Roma? In questo caso specifico vengono in aiuto le fonti letterarie con gli scritti di autori che magari anche casualmente hanno toccato l’argomento musicale, come pure le espressioni artistiche realizzate su vasi e suppellettili, in rappresentazioni plastiche, nella pittura e nell’affrescare pareti domestiche o di edifici religiosi: testimonianze dei diversi usi della musica nell’antichità. La vita privata e quella pubblica risuonavano entrambe della musica, presente ovunque e in ogni momento anche allora, seppure con modalità diverse dalle nostre. Un campo di indagine originale sul quale si sono chinati gli organizzatori della mostra all’Antikenmuseum di Basilea Dell’armonia e dell’estasi pensando ad Apollo e a Dioniso. Strumenti antichi originali o ricostruiti, rappresentazioni
artistiche su opere della collezione del museo o da prestiti esterni, sculture e dipinti, ma soprattutto postazioni auditive per ascoltare i probabili suoni prodotti da quegli antichissimi strumenti. «Secondo gli scritti di teoria musicale del periodo post-pitagorico (dopo il V sec. a.C.) – si legge nella presentazione – una caratteristica della musica è proprio quella di combinare correnti opposte. Come le armonie sonore nascono dalla combinazione di toni divergenti, così la musica unisce elementi che si contraddicono». Da questo incontro scaturisce il fascino della musica che sa trasmettere emozioni e sentimenti contrastanti. Tre i capitoli lungo i quali si sviluppa il discorso della mostra: Vita-Morte, Ordine-Caos e Spirito-Corpo. Durante l’apertura della mostra (fino al 19 settembre) visite guidate e concerti proposti da gruppi specializzati in musica antica.
Allora era tutta un’altra musica Mostra A Basilea si può riascoltare la musica degli antichi Marco Horat La World Music dei nostri giorni si fonda, come lascia intendere il nome, sul principio del rimescolamento delle carte: rock, pop, ethno, disco e magari anche un po’ di jazz con riverberi di classica, tutti riuniti. Lo scopo? Illustrare una realtà globale e contaminata che pesca in tutti i settori dell’espressione musicale per creare un nuovo prodotto di largo consumo. Non proprio così sembrano pensarla gli antichi che, pur avendo a disposizione un numero di generi musicali infinitamente inferiore, tenevano separati i campi e gli usi che della musica si facevano nei momenti dedicati al sacro o a quelli del profano. Dicono gli esperti che in sostanza c’erano due princìpi definiti ma anche complementari: da un parte la musica ispirata dai suoni della lira di Apollo, dio della musica, che ci porta verso l’armonia che dovrebbe presiedere e ispirare il vivere civile; dall’altra i ritmi scatentati di tamburi, sonagli (i famosi sistri) e flauti che ricordano le forze che sorgono dal caos primordiale come divinità dionisiache, con atteggiamenti primitivi e dirompenti. La musica era insomma roba da dei o quasi e talvolta i musicisti, come
sacerdoti, fungevano da intermediari tra l’umano e il divino. Come succede oggi con le nostre orchestre di musica classica e le rockband che ci trasportano emotivamente in altri mondi? Ordine e caos presenti nell’espressione vitale dell’uomo come della società, in un rapporto dialettico necessario per la vita. Gli studiosi, archeologi e musicologi che indagano su questo affascinante settore dell’espressione umana, si muo-
vono su un terreno instabile poiché le testimonianze materiali sulle quali operare sono minime: rari gli strumenti musicali antichi che si sono conservati nei secoli e naturalmente niente «registrazioni» di suoni originali. Come spesso capita ci sono gli etnomusicologi che ricorrono a tecniche di registrazione sul campo per riproporre suoni e melodie eseguiti con strumenti che si suppone vengano da un passato più o meno
Una suonatrice di flauto accompagna un uomo apparentemente vestito da donna durante un simposio, Atene, 520/10 a.C. (© Andreas F. Voegelin Antikenmuseum Basel und Sammlung Ludwig)
Dove e quando
Von Harmonie und Ekstase. Musik in den frühen Kulturen. Basilea, Antikenmuseum. Orari: ma-me-sa-do 11.00-17.00; gio 11.00-22.00; lu chiuso; fino al 19 settembre 2021.
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cultura e Spettacoli
L’azzardo in letteratura
In memoria Un ricordo dello scrittore ed editore Roberto Calasso, intellettuale raffinato
che ha saputo lasciare un’impronta del tutto personale nella cultura italiana Paolo Di Stefano Si fatica a individuare una personalità culturale complessa come quella di Roberto Calasso, morto a Milano nella notte tra mercoledì e giovedì scorso, proprio in coincidenza con l’uscita di due suoi nuovi libri, peraltro ambedue di stampo autobiografico (il primo dedicato alla figura dell’amico Bobi Bazlen, il secondo centrato sugli anni dell’infanzia a Firenze).
La casa editrice Adelphi da lui creata si distingue per l’originalità con cui attraversa il mondo della scrittura A Firenze, Calasso era nato nel 1941, da Francesco, famoso storico del diritto e antifascista, costretto alla clandestinità e poi alla prigionia con l’accusa di aver partecipato all’assassinio di Gentile nel 1944. La madre di Roberto, Melisenda, classicista allieva di Ettore Bignone e di Giorgio Pasquali, era figlia di Ernesto Codignola, pedagogista e filosofo, il quale a Firenze fondò una Scuola-Città Pestalozzi e la casa editrice Nuova Italia. Grazie alla straordinaria biblioteca del nonno, il bambino Calasso ebbe la possibilità di dedicarsi a letture molto precoci (Cime tempestose fu il primo romanzo da cui si disse travolto), e nel Natale 1954 ricevette in regalo da suo padre tre volumi Pléiade della Recherche di Proust. In casa Calasso circolavano, durante e dopo la guerra, intellettuali di grande fascino e prestigio, come lo stesso Pasquali e lo storico Arnaldo Momigliano, ma si potevano incontrare anche, di passaggio, componenti della famiglia Pasternak. Con il trasferimento a Roma, nel 1954, la vita di Roberto cambia, non solo per gli studi (al liceo classico Tasso e poi in università con l’anglista Mario Praz), ma soprattutto per gli incontri fatali: a cominciare da quello con il triestino Bazlen, che lo stesso Calasso ricorda come una figura imprendibile e geniale, lettore onnivoro, oltre che consulente di case editrici come Bompiani,
Era nato a Firenze nel 1941. (Keystone)
Astrolabio, Boringhieri, Einaudi. A lui si deve, nel 1962, l’idea di fondare una nuova casa editrice («pubblicheremo solo i libri che ci piacciono molto») e di coinvolgere nel progetto il ventenne amico Roberto, oltre a Luciano Foà e a Roberto Olivetti (figlio maggiore di Adriano). Bazlen morirà ultrasessantenne nel 1965, facendo appena in tempo a vedere il primo volume pubblicato dalla neonata Adelphi. Da allora Calasso tiene fede all’impegno contratto con Bobi: nel 1971 sarà direttore editoriale, e presto diventerà amministratore e proprietario della casa editrice. L’obiettivo è quello di proporre i filoni banditi o sottovalutati dalla cultura einaudiana, di ispirazione marxista: etnologia e religione, filosofie orientali, pensiero nichilista, letteratura mitteleuropea della decadenza. Del resto, Foà e Bazlen si erano separati da Einaudi dopo aver
incassato il rifiuto di pubblicare l’edizione critica delle opere di Friedrich Nietzsche a cura di Giorgio Colli (su cui avrebbe poi puntato Adelphi). Da allora il catalogo Adelphi, che Calasso amava definire come «libro unico» per gli accostamenti studiati dei titoli e i reciproci riverberi, è diventato quasi un monumento di raffinatezza, apprezzato, invidiato e ammirato ovunque. Con opere che quasi per miracolo riuscivano a catturare l’attenzione del vasto pubblico pur essendo tutt’altro che di facile lettura. Basti pensare ad alcuni titoli-bestseller come L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera (1985), Il cardillo addolorato di Anna Maria Ortese (1993), Le braci di Sandor Marai (1998). Viceversa, Calasso riuscì a dare un’aura di massima ricercatezza ad autori di vocazione più popolare, come Simenon.
Si tratta in genere di nomi già ampiamente proposti da altri ma felicemente rilanciati grazie all’intuizione e al tocco particolare di Calasso. Re della riscoperta (Savinio, Gadda, Sciascia, Manganelli, Landolfi, Parise, Arbasino…). E non solo: è Calasso a intuire il talento di Aldo Busi, il cui esordio, Seminario sulla gioventù, è del 1984. Ed è Calasso a dare ospitalità a Giampaolo Rugarli, Paolo Maurensig, a Letizia Muratori, alla scrittrice svizzera-italiana Fleur Jaeggy (che sarà sua moglie). Calasso è stato anche editore di sé stesso, avendo pubblicato con le eleganti copertine pastello di Adelphi una notevole serie di sue opere che spaziano dai Veda indiani alla Parigi di Baudelaire, dalla mitologia classica alla Praga di Kafka, dal Settecento veneziano di Tiepolo all’«innominabile attuale», cioè la modernità che annienta la vo-
cazione all’ignoto, oggetto primario della letteratura. «Letteratura assoluta» è stata definita l’opera labirintica di Calasso, il cui libro più famoso, del 1988, è Le nozze di Cadmo e Armonia, incredibilmente capace, in virtù della particolare seduzione del racconto saggistico, di superare il mezzo milione di copie vendute (e le venti traduzioni). Con Umberto Eco e Italo Calvino, non c’è stato intellettuale italiano più noto e ammirato all’estero: non si contano i tentativi (in genere falliti) di ispirarsi a lui come maestro di editoria. Curiosamente è stato meno amato dalla cultura italiana (specie quella di sinistra), che diffidava del suo snobismo e del suo elitarismo. Del resto, Calasso non aveva timore, spesso, a mostrare il suo lato polemico, e anzi concepiva il suo lavoro, ovvero la sua passione, come un azzardo.
educazione di una clownesse
editoria Il romanzo di Patrizia Barbuiani, una piacevole sorpresa tra virtù narrative e cura del contenitore
Stefano Vassere «Margherita Rosa Viola lanciò a suo padre una margherita, una rosa e una viola suggellando con lui l’antico patto di alleanza e d’amore che li aveva uniti sulla terra e che li avrebbe sicuramente uniti anche nell’aldilà». Diciamolo subito: La Clownesse dell’Anno del Cane di Patrizia Barbuiani è tra i migliori libri che siano usciti negli ultimi anni nella Svizzera italiana. Per virtù narrativa, per capacità regolare di sviare la lettura, per centrata attenzione per le soluzioni e i materiali del volume di carta. Bref, una benvenuta novità. Costretti a scegliere tra le non poche direzioni della vicenda narrata, si potrebbe definire questo testo un romanzo di formazione; una formazione, qua e là casuale, tormentata e piena di incidenti. La protagonista Lotte scopre da piccola e probabilmente suo malgrado di avere abilità che divertono il prossimo e si trova rotolata per incanto in un mondo pseudo-circense per lei ovvio e domestico, e per noi disorientante. Il racconto della faticosa conquista
L’autrice in scena, come interprete del Diario di Eva. (barbuiani.com)
si concede solo per discreti capolini, cosa che si deve ai temi che emergono con parsimonia e ci costringono a sco-
varli come apparizioni e brevi assaggi: «completamente contratta e rigida non sapeva dove mettere le braccia, dove mettere le mani, dove mettere il suo respiro, la sua testa, insomma dove mettere sé stessa in quello spazio ristretto». Certo l’incedere verso il destino inevitabile e fortunato di questa storia incontra qua e là vere e proprie scene madri. Della serie fa parte di diritto l’irruzione mortifera dell’orda di maiali che travolge il personaggio Hans: «sentendosi prigionieri in uno spazio esiguo invece di calmarsi correvano avanti e indietro caricando la palizzata». A chi la conosca non può non venire in mente una suprema scena madre delle lettere contemporanee, quella della corsa dei cani nella casa di Ballard in Figlio di Dio di Cormac McCarthy («rimasero immobili per un attimo, un quadro pulsante di pelo pezzato, poi inarcarono la schiena e si precipitarono dentro la stanza, ne fecero il giro riempiendola sempre più di latrati»). Questo per dire che la letteratura di qualità avanza spesso per archetipi comuni eppure sinceramente inconsapevoli, che
albergano da qualche parte nella memoria letteraria dell’insieme di noi. Ce ne sono altri, di quadri narrativi efficaci e portentosi: la teatralità di alcune morti femminili attorno a Lotte, le ripetute rivelazioni improvvise dell’arte della protagonista, il ritorno al magazzino degli amici circensi per constatarne le macerie; e il rapporto con il proprio naso, che ricorda qui nelle formule e nelle immagini ulteriori modelli e idee: primariamente Il profumo di Patrick Süskind ma forse anche altro. E infine, su tutto, un certo realismo magico, che da scenari normali ci proietta in qualche riga nel fantastico e nel surrea-
le. Insomma, per molti motivi, va letto. Poi c’è il libro in sé. Il volume è tirato in 258 esemplari firmati dall’autrice e compreso di confezione fantasiosa e cura grafica non comune. Se tutto va bene, ogni copia dovrebbe conservare un segnalibro che allerta chi la prende in mano in merito alla fragilità e alla precarietà del supporto, il quale, ogni tot pagine, contiene oggetti in tema: un petalo, una piuma, il biglietto da visita della «Pasticceria Grassi», scritte autografe, note musicali, biglietti del tram. Quando la protagonista è in treno e sta entrando in galleria, due pagine si fanno nere; quelle che descrivono il primo affettuoso rapporto sessuale sono come velate, quasi a inserire un elemento di discrezione. Insomma, è un circo tipografico anche l’involucro. Quando si dice, senza timore, «questo sì che è un libro!». Bibliografia
Il libro: una delizia sia nei contenuti sia nelle veste tipografica.
Patrizia Barbuiani, La Clownesse dell’Anno del Cane, Lugano, Petruska Editions, 2021.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 agosto 2021 • N. 31
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cultura e Spettacoli
Klara, Ishiguro e il sole
Narrativa Dopo il Nobel ricevuto nel 2017, Ishiguro torna con Klara e il sole, nuovo intrigante romanzo Sebastiano Caroni
Per uno scrittore che riceve il Nobel, non deve essere per forza facile proseguire sulla propria strada. Per un romanziere, ciò significa dover scrivere un nuovo romanzo che non deluda le aspettative, operazione tutt’altro che semplice. È difficile affermare con certezza se Kazuo Ishiguro, scrittore britannico di origine giapponese e vincitore del premio Nobel di letteratura nel 2017, ci sia riuscito. Di sicuro è riuscito a scrivere un nuovo romanzo con un titolo suggestivo: Klara e il sole.
Nonostante le premesse, Kazuo Ishiguro non mette il lettore al cospetto di un filone fantascientifico Klara è la voce narrante del romanzo, lo sguardo attraverso cui i lettori seguono l’evolversi della vicenda. Nelle prime pagine la scopriamo mentre dalla vetrina di un negozio osserva il mondo esterno e con curiosità registra gli spostamenti del sole, i comportamenti dei passanti, gli eventi inaspettati. Si emoziona alla vista di scene di semplice vita reale, e prova stupore di fronte alla coreografia estetica che la luce del sole abbozza sui muri dei palazzi. Ma Klara è anche una narratrice sui generis: è un robot alimentato da
energia solare che oltre ad osservare il mondo dalla vetrina di un negozio, aspetta di trovare un legittimo proprietario. Ben presto l’attesa di Klara verrà ripagata dall’incontro con Josie, una ragazzina che la elegge nonostante la concorrenza di modelli tecnologicamente più avanzati. L’intesa è subito reciproca, e da quel momento Klara impara che dovrà essere amica di Josie, starle vicino, sostenerla. A poco a poco scoprirà le abitudini di Josie, il suo contesto famigliare, il misterioso male che la affligge e la fragilizza; interagirà con una madre spesso tesa e indecifrabile, con una domestica dai modi sbarazzini, e con degli amichetti un po’ insolenti. È l’inizio di una missione di cui Klara coglierà progressivamente il senso e la portata, e che le imporrà delle sfide a cui dovrà far fronte con grande dedizione, sacrificio, e spirito di iniziativa. Date queste premesse, si potrebbe pensare che ci si trovi al cospetto di un filone fantascientifico già ampiamente collaudato. Ma quello di Ishiguro non è l’ennesimo romanzo, o film, in cui l’intelligenza umana e quella macchinica finiscono per gareggiare e confondersi. Ishiguro non ci racconta di come l’artificiale si ribella all’umano provocando panico, violenza, e disordine. Non cede neppure alla trappola delle facili analogie a cui fin troppi romanzieri, cineasti, e scienziati soccombono; e che ci rimanda, in modo ossessivo, a un labirintico intreccio in cui la macchina si umanizza, e l’umano si scopre robotico. Ishiguro trova, piuttosto, una soluzione più elegante e originale. Im-
Le tre versioni volute da Einaudi per la copertina del libro.
magina una creatura robotica dotata di un’intelligenza, di una sensibilità, e di una logica che travalicano le categorie di umano e robotico. Crea cioè qualcosa di inedito, di singolare, a beneficio dei lettori che scoprono nella voce narrante un modo di vedere il mondo che per certi versi assomiglia al loro, e che per altri conserva una misteriosa alterità. D’altronde, cosa ci fa amare i personaggi romanzeschi? Non è forse la coesistenza di un’aria di familiarità che li rende accessibili, che ne agevola l’identificazione, e di un’alterità che li sottrae alla banalità e garantisce mistero e imprevedibilità? L’impressione è che Ishiguro sia
ormai diventato un maestro nell’intrecciare familiarità e estraneità. Lo scrittore, inoltre, non è nuovo al genere della fantascienza, che interpreta con grande padronanza di mezzi. Non è la prima volta infatti che elabora una sottile distopia che, attraverso un sapientissimo gioco di contrasti, fa risuonare la sensibilità umana in modi del tutto nuovi. Già con Non lasciarmi (2005) il romanziere ci aveva trasmesso un senso di disorientamento, di sotterranea confusione, che però apriva vertiginosi squarci sulle profondità di un’umanità spaesata. Quando Ishiguro immagina futuri possibili, tanto in Non lasciarmi così come nel suo ultimo lavoro Klara e
il sole, disegna i confini di distopie che accompagnano il lettore sulle onde di un dolce naufragare in cui il perdersi e il ritrovarsi fanno parte di un unico movimento. A rendere assolutamente unico Ishiguro, poi, è l’irrisoria facilità con cui snocciola immagini di una semplicità disarmante che sanno essere figurative e inequivocabilmente astratte, concrete e immancabilmente fuggevoli, attraenti e sottilmente inquietanti; reali, e malinconicamente irreali. Bibliografia
Kazuo Ishiguro, Klara e il sole, Einaudi 2021. Annuncio pubblicitario
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cultura e Spettacoli
Un vascello troppo borghese
Opera Il Festival di Bayreuth riapre con una nuova produzione di Der Fliegende Holländer
Sabrina Faller È stata una riapertura emozionante quella del 25 luglio 2021, dopo un anno di pandemia che ha costretto il festival a far saltare l’edizione 2020 e la nuova produzione del Ring, ora prevista per il 2022. Per la prima volta la platea ha ospitato meno della metà del numero degli spettatori possibili, tutti vaccinati o testati, tutti con mascherina, e tra questi come sempre personaggi illustri quali la cancelliera Angela Merkel, alla sua ultima inaugurazione ufficiale. Il Festival del 2021 sarà ricordato per diverse ragioni, la più importante forse la presenza per la prima volta sul podio del festival di una donna, la direttrice d’orchestra Oksana Lyniv, ucraina, assistente di Petrenko alla Bayerische Staatsoper, già lanciata verso una carriera internazionale. La nuova produzione, Der Fliegende Holländer, ben si addice alle sue caratteristiche e del resto Oksana l’ha diretto in passato al Liceu di Barcellona. Scintillante e coinvolgente, la sua direzione ha conquistato il pubblico della «première», come del resto il debutto al festival di un’altra donna, anche lei proveniente dall’Europa orientale, la lituana Asmik Grigorian, protagonista nel ruolo di Senta, vera trionfatrice della serata. E si tratta in effetti di un allestimento d’impronta esteuropea. L’Olandese Volante nasce tra il 1839 e il ’42 da un’idea che frullava in testa a Wagner dopo la lettura di una riscrittura della leggenda del marinaio maledetto, costretto a vagare per i mari
finché non avesse trovato la donna che gli fosse fedele fino alla morte. Ma nasce anche da un episodio autobiografico, ovvero la tempesta che travolse la nave che portava il compositore, in fuga da Riga e dai suoi creditori, verso Londra e di lì verso Parigi. La goletta riparò in un fiordo norvegese e tutto l’episodio, nonostante la drammaticità, stimolò la creatività musicale del nostro. La vicenda, narrata in breve, porta dunque l’Olandese in casa del ricco Daland, attraendolo con ricchezze maggiori, per sposarne la figlia Senta, nella speranza che la fanciulla sia la sua salvatrice. Senta, già mezza promessa a Eric, che è un povero cacciatore, è tutta presa dalla leggenda dell’Olandese e quando lui arriva, lei gli giura fedeltà. Ma Eric non si dà per vinto e l’Olandese, credendo che Senta non gli sia fedele, se ne va sulla nave dalle vele rosso sangue con la sua ciurma di marinai morti. Senta si lancia dalle rocce in mare, liberando l’Olandese dalla dannazione, e le immagini dei due trasfigurate salgono dal mare abbracciandosi. Questa la storia raccontata da Wagner, autore di libretto e musica. Il regista russo Dmitri Tcherniakov ci racconta un’altra storia, che sembra prendere spunto dal grande teatro borghese di fine Ottocento di stampo nordico, o più probabilmente da qualche leggenda russa. Una storia realistica, in cui la dimensione del soprannaturale e del fantastico è del tutto assente. Ci regala un antefatto, piazzandolo nell’Ouverture, in cui un bambino (l’Olandese da piccolo) assiste
Una scena dall’Olandese volante. (© Enrico Nawrath Presse)
al suicidio della madre, abbandonata da un uomo sposato (Daland) di cui è stata amante e che ora la rifiuta, dopo che il loro legame è stato scoperto e lei additata al ludibrio della folla del piccolo paese marittimo. Diventa quasi una némesi il ritorno a casa dell’Olandese adulto che avvicina Daland, padre di Senta. Sognatrice e immatura, ricca e viziata, contestatrice e superficiale, Senta è infatuata del personaggio, ma nel contempo coltiva una relazione con Eric: è una ragazzina che non sa quello che vuole. Mary, la nutrice di Senta, è probabilmente innamorata dell’Olandese. Il conflitto tra mondo reale impersonato da Daland e mondo soprannaturale impersonato dall’Olandese si trasforma in conflitto tra mondo della
ricca borghesia (con Daland appunto) e mondo povero, proletario, rappresentato da Eric, dai marinai e dalle loro donne. Un ruolo molto importante gioca la morale popolare, quella che accusò e provocò il suicidio della madre dell’Olandese, e che oggi vorrebbe mettere al bando la giovane Senta, accusata pubblicamente di infedeltà dall’Olandese, il quale, tra l’altro, a un certo punto tira fuori la pistola e uccide due marinai norvegesi durante una rissa. Come finisce la vicenda? Con la morte dell’Olandese, ucciso da Mary dopo aver messo a ferro e fuoco la città. Dalla vicenda Senta sembra uscire rinnovata, cresciuta, e tutta la storia pare quasi un percorso di formazione che porterà la giovane all’età adulta. Questo per
me l’Olandese Volante di Tcherniakov, che disegna come sempre la scena, un esterno di villaggio nordico le cui varie componenti si spostano a costruire scorci diversi mentre l’unico interno è rappresentato dalla piccola ma ricca sala da pranzo di Daland. Abbiamo detto della presenza carismatica sul piano vocale e interpretativo di Asmik Grigorian, con un Daland affidato alla voce inconfondibile e sicura, molto amata a Bayreuth, di Georg Zeppenfeld, mentre l’Olandese di John Lundgren ha sorpreso per qualche accento aspro. La disinvoltura di Tcherniakov non è stata apprezzata da tutto il pubblico, anzi. Ma il festival va avanti, se ne discute, Bayreuth è tornata a respirare musica. Annuncio pubblicitario
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cultura e Spettacoli
Garçon chiffon, Nicolas Maury in tutto il suo splendore
Non è estate senza un po’ di swing Jazz Attività ridotta
ma si continua nella programmazione
cinema L’ascesa inarrestabile e atipica di un attore francese fuori da ogni schema
Ci si è messo anche il maltempo ma la solida tradizione dei concerti jazz estivi, alle nostre latitudini non si è interrotta. Conclusa con un buon riscontro di pubblico la rassegna Calanca Jazz, una primizia che ha visto Nicolas Gilliet riunire alcuni musicisti della sua scuderia a suonare in una regione discosta e, fino ad oggi, un po’ lontana dalla programmazione jazzistica, tocca ora all’Associazione Jazzy Jams portare un po’ di buona musica nelle piazze del Sottoceneri. Il sodalizio luganese festeggia quest’anno i dieci anni dalla creazione del club Jazz in Bess, il più attivo locale dedicato a questo genere musicale nel nostro cantone. Come da tradizione, il calendario estivo delle esibizioni si sposta dalla sala di Via Besso ad alcuni palchi esterni, per poter godere dei benefici delle belle serate all’aperto. Ricorrendo a tutti gli scongiuri più adatti, durante il mese di agosto saranno ben cinque le serate in programma, affidate ad alcuni giovani musicisti della nostra regione.
Nicolas Maury (a des.) in Dix pour cent. (YouTube)
Giorgia Del Don Conosciuto dai più come Hervé, personaggio emblematico della seguitissima serie francese Dix pour cent (Chiami il mio agente) le cui quattro stagioni (il seguito è stato confermato ma ancora non è chiaro se sotto forma di quinta stagione o di episodio lungo) sono disponibili su Netflix, Nicolas Maury, che ha da poco superato la soglia dei quarant’anni, può già vantare una carriera invidiabile in quanto attore di cinema e teatro. Il suo percorso artistico è iniziato col botto a diciassette anni quando è stato scelto da Patrice Chéreau per il suo film Ceux qui m’aiment prendront le train ed è proseguita sotto la guida di registi importanti quali Philippe Garrel, Olivier Assayas, Noémie Lvovsky, Rebecca Zlotowsky, Valeria Bruni Tedeschi, Yann Gonzalez, Eva Ionesco e tanti altri. Registi, ma soprattutto molte registe, intransigenti e con una visione estremamente personale del cinema, che hanno percepito in lui una sensibilità rara. Carnagione diafana, sguardo malizioso e una capacità innata di coniugare gentilezza e risolutezza, l’attore francese continua a stupire proponendo personaggi sempre nuovi ai quali infonde un mistero che li rende presso-
ché eterei. A metà strada fra un Marcel Marceau e un Alain Delon versione Il cerchio rosso, Nicolas Maury sfugge a ogni categorizzazione, una qualità che non ha sempre giocato in suo favore, trasformandolo spesso nell’attore che non si sa bene dove piazzare: troppo sincero, troppo appariscente, troppo a fior di pelle, sempre «troppo». Eppure, invece di cercare di «smussare gli angoli» di una personalità atipica, Maury l’ha trasformata in forza, si è lasciato (coscientemente) sfuggire dei ruoli prendendosi il tempo per far maturare l’attore che ha sempre voluto essere: sincero e coerente con sé stesso, l’esempio di un uomo nuovo, fragile e libero di esplorare ogni sfaccettatura del proprio io (anche, o meglio soprattutto, quelle che la mascolinità egemonica sembra precludergli). Non è quindi un caso se i suoi «modelli» cinematografici sono costituiti da attrici: Isabelle Adjani in L’été meurtrier, Charlotte Gainsbourg in L’effrontée ma soprattutto Vanessa Paradis, sua musa sin dall’infanzia, con cui ha lavorato nell’esplosivo Un couteau dans le coeur di Yann Gonzalez e Nathalie Baye, la sua «mamma del cinema», apparsa in Dix pour cent e nel suo primo lungometraggio Garçon chiffon.
Più recentemente è con la collega Laure Calamy, indimenticabile in una scena breve ma intensissima del suo primo film, che ha stretto un legame definito da lui stesso come fusionale, un colpo di fulmine platonico che si manifesta una sola volta nella vita. Apertamente omosessuale, modello per molti ragazzi alla ricerca di esempi alternativi di mascolinità che si scostino da quello dominante dell’uomo bianco, eterosessuale e benestante, Nicolas Maury non esita a utilizzare tutte le pieghe della sua personalità per andare a cercare ispirazione ovunque lo ritenga opportuno, senza porsi barriere di genere, sesso o altro. Un’ecletticità in linea con le sue fonti d’ispirazione che spaziano dall’introspezione dei film orientali alla sincerità senza concessioni dei film di Amos Kollek. Un bouquet meraviglioso di riferimenti che, associati a una personalità atipica, e non solo per il cinema francese, ha dato vita al suo primo lungometraggio: Garçon chiffon, un film sulla gelosia e sui rapporti che istauriamo con gli altri. Il film mette in scena un attore trentenne (interpretato dallo stesso Maury) alla ricerca delle cause del malessere che lo spinge a tormentare senza sosta il suo compagno.
ecco le date
Stravagante ma mai in modo gratuito, Garçon chiffon è un film delicato capitanato da un antieroe che ci ipnotizza malgrado il fastidioso eccesso di gelosia che porta con sé come una valigia troppo pesante. Garçon chiffon sfugge alla dittatura dei generi cinematografici (ma non solo) mischiando allegramente il romanzo di formazione, la commedia classica e il musical (la musica è talmente importante nel film da diventare vero e proprio personaggio). Un’eterogeneità che rappresenta perfettamente l’attore e regista francese deciso a giocare con le convenzioni per creare un cinema che non assomiglia a nessun altro, un cinema personale che può definire davvero come suo. «È il ritratto di un ragazzo dei giorni nostri, che va avanti e che potremmo forse definire come un soldato della fragilità» dice Maury parlando del suo film. Una descrizione molto bella di un personaggio complesso e sincero con il quale tutti noi possiamo identificarci perché la fragilità che lo abita, e che abita tutti noi, non ha barriere e permettergli di esprimersi è una catarsi della quale nessuno dovrebbe privarsi. Un primo lungometraggio inebriante da gustare senza moderazione.
■ 11.08, 21.00, Centro ricreativo, Gentilino Rassegna Jazz Collina D’Oro. Sheldon’s Playhouse; ■ 12.08, 18.30 Parco Casa Rusca, Cureglia. Just Friends; ■ 19.08, ore 18.30, Parco Casa Rusca, Cureglia. Danilo Moccia Dixie Five ■ 25.08, ore 21.00 Piazzetta, Viglio Rassegna Jazz Collina D’Oro 2021. Dario Napoli’s Modern Manouche Project; ■ 26.08. ore 18.30 Parco Casa Rusca, Cureglia. Bebop Blues. Informazioni
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Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. Offerte valide solo dal 3.8 al 9.8.2021, fino a esaurimento dello stock
11.30
invece di 16.20
Latte Drink Valflora UHT 12 x 1 l
conf. da 3
33% 4.80 invece di 7.20
Prodotti per la doccia Nivea per es. docciacrema trattante Creme Soft, 3 x 250 ml
Migros Ticino
Frutta e verdura
Per aggiungere un tocco di colore al piatto
22% 1.95
Meloni Charentais Spagna/Francia, il pezzo
invece di 2.50
20% 2.10
CONSIGLIO DEGLI ESPERTI Se vuoi arrostire o friggere le melanzane, è consigliabile salarle preventivamente. Al contrario, se desideri cuocerle in una ratatouille non è necessario salarle in anticipo.
invece di 2.65
37% 4.30
invece di 3.90
Migros Ticino
Melanzane Ticino, al kg
Hit 2.50
Nuova Zelanda, confezione da 500 g
Mais dolce Svizzera, al kg, confezionato
invece di 6.90
20% 3.10
Kiwi
l c o ng e a d e in m a it V
lat ore
20% Insalata estiva
Tutto l'assortimento Farmer's Best
200 g
prodotti surgelati, per es. spinaci tritati, 800 g, 2.40 invece di 3.–
20% 5.90
Mirtilli Spagna, confezione da 500 g
invece di 9.90
33% 5.60 20% 4.40 invece di 5.50
Pomodori a grappolo bio Ticino, al kg
invece di 8.40
IDEALE CON
Su tutte le extra pesche e nettarine Italia/Spagna, per es. Extra pesche noci bianche, al kg
conf. da 3
22% 2.80
20% 4.65 invece di 5.85
Pomodori Peretti
–.40 di riduzione
Mozzarella Galbani
Tutte le corone di pane
3 x 150 g
per es. corona di Sils TerraSuisse, 350 g, 2.45 invece di 2.85, prodotto confezionato
Ticino, al kg
invece di 3.60
Migros Ticino
Offerte valide solo dal 3.8 al 9.8.2021, fino a esaurimento dello stock
Carne e salumi
Prelibatezze per carnivori parsimoniosi Da ag ricolt ura sv izze ra re sponsabi
30% 4.45 invece di 6.40
le
Entrecôte di manzo, IP-SUISSE in conf. speciale, 2 pezzi, per 100 g
25% 2.85 invece di 3.85
Fettine di tacchino «La Belle escalope» Francia, per 100 g, in self-service
Hit 4.90
Tartare di manzo prodotta in filiale con carne Svizzera, per 100 g, in self-service
conf. da 6
30% 12.30 invece di 17.70
20% Tutti gli spedini Grill mi surgelati per es. spiedini di gamberetti marinati, d'allevamento, Vietnam, per 100 g, 3.60 invece di 4.50, in self-service Migros Ticino
25% 3.05 invece di 4.10
Bratwurst di vitello, IP-SUISSE 6 x 140 g
Salametti a pasta grossa prodotti in Ticino, 2 pezzi, per 100 g, in self-service
31% 1.10
conf. da 2
25% 8.55 invece di 11.40
32% 1.25 invece di 1.85
Carne macinata di manzo IP-SUISSE
conf. da 3
Fleischkäse TerraSuisse affettato finemente in conf. speciale, per 100 g
20x
33% 5.90 invece di 8.85
conf. da 2
33% 15.70
Chicken Sticks M-Classic
invece di 23.45
Svizzera, 3 x 5 pezzi, 270 g
20x
Svizzera, per 100 g, in self-service, in vendita nelle maggiori filiali
2.95
Svizzera, 2 x 350 g
PUNTI
Novità
Prosciutto cotto Tradition affettato con pepe
Sminuzzato di pollo Optigal
20x
PUNTI
Novità
Migros Ticino
Svizzera, per 100 g, in self-service
invece di 1.60
2 x 300 g
PUNTI
3.80
Cosce inferiori di pollo speziate Optigal
Novità
Pure Nature Chilli Stick Svizzera, 50 g, in self-service, in vendita nelle maggiori filiali
2.95
Pure Nature Classic Stick Svizzera, 50 g, in self-service, in vendita nelle maggiori filiali
Offres valables du 3.8 au 9.8.2021, jusqu’à épuisement du stock
Pesce e frutti di mare
Azioni contro la nostalgia delle vacanze
21% 18.– invece di 23.–
Orata bio
CONSIGLIO DEGLI ESPERTI
d'allevamento, Croazia, 720 g, in self-service
20% 8.50
Prima di rosolarla o grigliarla, incidere leggermente la pelle dell’orata e spennellarla con la marinata. In questo modo gli aromi penetrano meglio all’interno del pesce.
Gamberetti tail-on cotti, ASC d'allevamento, Vietnam, in conf. speciale, 260 g
invece di 10.65
25% 2.30 invece di 3.10
Migros Ticino
conf. da 2
Filetto di passera, MSC Atlantico nord-orientale, per 100 g, valido fino al 7.8.2021, al banco a servizio e in self-service
33% 6.80 invece di 10.20
Pangasio in una leggera panatura al limone Pelican, ASC prodotto surgelato, 2 x 300 g
Pane e prodotti da forno
Per i fan dei prodotti da forno de l l a e n a p o r t I l no s : se t t imana e v i aromi e , li t n a c c o r c c r o s t a a t ur a e mo l l i c a di t ost rbida mo
2.90
30%
500 g, confezionato
conf. da 2
33%
Farina bianca TerraSuisse
Pasta frolla o pasta sfoglia M-Classic
1 kg o 4 x 1 kg, per es. 1 kg, 1.20 invece di 1.75
per es. pasta sfoglia, 2 x 270 g, 1.80 invece di 2.70
Migros Ticino
Pane del boscaiolo TerraSuisse
Offerte valide solo dal 3.8 al 9.8.2021, fino a esaurimento dello stock
Formaggi e latticini
Per cominciare bene la giornata
21% 1.50 invece di 1.90
20% 1.85 invece di 2.35
20% 1.90
Appenzeller Surchoix per 100 g, confezionato
Sbrinz, AOP per 100 g, confezionato
invece di 2.40
Caseificio Blenio prodotto in Ticino, per 100 g, confezionato
–.20 di riduzione
Gli snack al latte o le fette al latte Kinder refrigerati per es. fette al latte, 5 pezzi, 140 g, 1.45 invece di 1.65
Migros Ticino
Dolce e salato
Snack per il buonumore
20% 4.85
20% Caprice des Dieux
Tutti i dessert in coppetta refrigerati
in conf. speciale, 330 g
(Daily esclusi), per es. coppetta svedese M-Classic, 100 g, 1.90 invece di 2.40
invece di 6.10
conf. da 3
20% 1.40 invece di 1.80
Tutti gli yogurt e i drink Bifidus
invece di 8.85
50% Cialde finissime Choc Midor Classico, Noir o Diplomat, per es. Classico, 3 x 190 g
20% Tutti i tipi di Caffè Latte Emmi per es. Macchiato, 230 ml, 1.55 invece di 1.90
Tavolette di cioccolato Frey al latte finissimo o al latte con nocciole, 12 x 100 g, per es. al latte finissimo, 11.70 invece di 23.40
Me i l e n , Pr o d o t t o a i Z u r i g o s ul l a g o d
per es. drink alla fragola, 500 ml
a partire da 2 pezzi
Migros Ticino
33% 5.90
conf. da 12
conf. da 4
25% Chips e Graneo Zweifel disponibili in diverse varietà, in conf. XXL Big Pack, per es. chips alla paprica, 380 g, 5.80 invece di 7.75
23% 5.95 invece di 7.80
Gelati in barattolini monoporzione surgelati, Ice Coffee, Vacherin o Bananasplit, per es. Ice Coffee, 4 x 165 ml
Offerte valide solo dal 3.8 al 9.8.2021, fino a esaurimento dello stock
Scorta
Ben forniti, dalla mattina alla sera
conf. da 3
40% Gnocchi alla caprese o fiori al limone e formaggio fresco Anna's Best in confezioni multiple, per es. gnocchi, 3 x 400 g, 8.90 invece di 14.85
t e pi c c a n t e n e m ia d e M sv i z z e r o e c o n po l l o
conf. da 2
a partire da 2 pezzi
–.30 di riduzione
Tutti i tipi di pasta M-Classic per es. maccheroni dell’alpigiano, 500 g, 1.– invece di 1.30
conf. da 3
21% Pizza Trattoria Finizza prodotto surgelato, alla mozzarella, al prosciutto o al tonno, per es. alla mozzarella, 3 x 330 g, 4.60 invece di 5.85
Conf. da 3
20% Acciughe M-Classic, MSC 3 x 16 g o 3 x 33 g, per es. 3 x 16 g, 6.45 invece di 8.10
Migros Ticino
25% 5.10 invece di 6.80
20% Tutto l’assortimento i Raviöö
Chicken Satay, Vegetable Spring Rolls o Dim Sum Sea Treasure Anna's Best
prodotti in Ticino, per es. al brasato, 250 g
per es. Chicken Satay, 2 x 400 g, 12.– invece di 15.–
30%
20%
Strudel al prosciutto o tortine di spinaci M-Classic
Tutte le olive Migros e Polli non refrigerate
prodotto surgelato, in conf. speciale, per es. strudel al prosciutto, 2 x 420 g, 7.55 invece di 10.80
per es. olive nere spagnole snocciolate M-Classic, 150 g, 1.90 invece di 2.40
conf. da 12
50% 3.60 invece di 7.20
33% Aproz
Tutti i tipi di acqua Volvic Essence
Classic, Cristal o Medium, 12 x 500 ml, per es. Classic
per es. limone-mela, 750 ml, 1.30 invece di 1.95
30%
20x
10%
Tutti i tipi di caffè Boncampo, in chicchi e macinato, UTZ per es. Classico in chicchi, 500 g, 3.25 invece di 4.70
PUNTI
9.80
Tutte le capsule Delizio, UTZ (prodotti M-Classic e bio esclusi), per es. Lungo Crema, 12 capsule, 4.75 invece di 5.30
La Semeuse Mocca, in chicchi 500 g
di Con il 1 0 0%bic a c hicc hi A ra
20x
20x PUNTI
20x
PUNTI
Novità
PUNTI
Novità
Caffè Starbucks disponibili in diverse varietà, per es. tostatura media, in chicchi, 450 g, 8.90
11.95
Novità
Caffè istantaneo Nescafé Gold bio 180 g, in vendita nelle maggiori filiali
6.60
Müesli Plus Ovomaltine 420 g
Crema spal mabile chiara bio
20x
PUNTI
Novità
3.60
20x
20x
PUNTI
PUNTI
Novità
Lenticchie gialle bio 500 g, in vendita nelle maggiori filiali
5.95
Novità
bio, 270 g
10 0% succ o di frutta da commercio equo
40%
Sarasay
Pepsi, 7Up e Orangina
disponibili in diverse varietà, 1 l e 6 x 1 l, per es. succo d’arancia, Fairtrade, 1 l, 1.80 invece di 2.30
6 x 1,5 l, disponibile in diverse varietà, per es. Pepsi Max, 6.60 invece di 11.–
Migros Ticino
Marmellate You albicocche, lamponi o fragole, per es. albicocche, 210 g
Conf. da 6 in azione
conf. da 6
20%
1.95
Nocciolata bianca
conf. da 6
30% 5.45 invece di 7.80
Mitico Ice Tea in bottiglie PET al limone, alla pesca o Zero, 6 x 1 l
Offerte valide solo dal 3.8 al 9.8.2021, fino a esaurimento dello stock
Bellezza e cura del corpo
Per proteggersi, coccolarsi e prendersi cura di sé
Protegge le ciglia grazie alla formula con estratto di fiordaliso a partire da 2 pezzi
20%
i r u g he Cre ma ant re di c o n f at t o 1 5 p r o t e z i o ne
Tutto l'assortimento di prodotti a base di ovatta Primella e bio (confezioni multiple e confezioni da viaggio escluse), per es. dischetti d'ovatta Primella, 80 pezzi, 1.55 invece di 1.90 a partire da 2 pezzi
conf. da 2
25%
33% Fazzoletti e salviettine cosmetiche Linsoft, Tempo e Kleenex in confezioni speciali, per es. fazzoletti di carta Linsoft, FSC, 56 x 10 pezzi, 3.90 invece di 5.85
conf. da 4
Hit 5.30
Prodotti per la cura del viso o del corpo Nivea
25% Prodotti per la cura del viso e del corpo Nivea e Nivea Men (solari, prodotti per la doccia, deodoranti, prodotti per la cura delle mani, confezioni multiple e da viaggio esclusi), per es. crema da giorno idratante Q10 Power IP 15, 50 ml, 8.95 invece di 11.90
(prodotti per le mani esclusi), per es. struccante per occhi per trucco resistente all'acqua, 2 x 125 ml, 8.70 invece di 11.60
50% Salviettine cosmetiche Linsoft in scatola
Tutte le mascherine igieniche, in tessuto e FFP-2
4 x 150 pezzi
(mascherine igieniche nere escluse), per es. Medigauze, 50 pezzi, 3.40 invece di 6.80
50% Tutto l'assortimento di mascherine per es. Mask Case, il pezzo, 1.45 invece di 2.90
CONSIGLIO SUI PRODOTTI conf. da 2
conf. da 3
25% Shampoo o balsami Ultra Doux per es. shampoo al miele, 2 x 300 ml, 5.90 invece di 7.90
Con impug natura in me tallo
20x
30% 7.45 invece di 10.65
Shampoo o balsamo Fructis in confezioni multiple, per es. shampoo Fresh, 3 x 250 ml
Applicare generosamente prima di prendere il sole un'applicazione esigua riduce l'effetto protettivo. Ripetere più volte l’applicazione, soprattutto se si suda e dopo aver fatto il bagno. Evitare il sole intenso di mezzogiorno.
PUNTI
Novità
conf. da 2
25%
Venus Gillette
Deodoranti Nivea
rasoio Comfortglide Sugarberry, lamette o gel per depilazione Satin Care Lavender Touch, per es. rasoio Sugarberry, il pezzo, 17.50
per es. roll-on Dry Impact, 2 x 50 ml, 3.90 invece di 5.20
15% Tutto l'assortimento Sun Look (confezioni multiple escluse), per es. Basic Sun Milk IP 30 IR-A, 200 ml, 6.50 invece di 7.70
Offerte valide solo dal 3.8 al 9.8.2021, fino a esaurimento dello stock
Varie
Dalla padella al detersivo
40% Batterie di pentole Deluxe
conf. da 3
15% 4.55 invece di 5.40
per es. casseruola con coperchio, ø 20 cm , il pezzo, 29.95 invece di 49.95
Detersivo per stoviglie Handy Classic 3 x 750 ml
a partire da 2 pezzi
50% Tutti i detersivi Total per es. 1 for all, 2 l, 8.45 invece di 16.90
Migros Ticino
conf. da 4
40%
5.–
di riduzione
29.90 invece di 34.90
Boxer da uomo Puma
Tutto l'assortimento di biancheria da uomo da giorno e da notte
nero, disponibile nelle taglie S–XL, per es. tg. M
per es. Athletic Shirt grigio chiaro bio, taglia M, il pezzo, 7.75 invece di 12.95
Fiori e giardino
Per concludere in bellezza
Senza profumo per pel li sensibili
CONSIGLIO DEGLI ESPERTI PROFI-TIPP Versare acqua bollente in un secchio e per alcuni minuti immergervi la punta dei gambi per 10 cm circa. In questo modo l'aria può fuoriuscire e si migliora l'assorbimento dell'acqua. Mettere poi i girasoli in acqua fresca o tiepida.
conf. da 4
40% 7.65 invece di 12.80
Salviettine umide Hakle, FSC pulizia delicata o pulizia trattante, per es. pulizia delicata, 4 x 42 pezzi
Hit 7.95 40% Carta igienica Hakle pulizia naturale o pulizia delicata, in confezione speciale, per es. pulizia naturale, 30 rotoli, 16.95 invece di 28.30
Migros Ticino
Phalaenopsis, 2 steli vaso, Ø 12 cm, disponibile in diversi colori, per es. pink, il vaso
10% 8.95
Girasoli Sonja mazzo da 7, il mazzo
invece di 9.95
Offerte valide solo dal 3.8 al 9.8.2021, fino a esaurimento dello stock
La scuola si tinge di mille colori
Validi gio.– dom. Prezzi
imbattibili del
weekend
30% 27.95 invece di 39.95
27% 5.75
Zaino disponibile in rosso o blu, taglia unica, per es. rosso, il pezzo
Protezione extra per lo smartphone – da mattina a sera
invece di 7.95
30% 9.05 invece di 12.95
Bratwurst di maiale Grill mi Svizzera, in conf. speciale, 4 pezzi, 500 g, offerta valida dal 5.8 all'8.8.2021
Borsa a tracolla disponibile in vari colori, taglia unica, per es. turchese, il pezzo
30% Intero assortimento Kellogg's per es. Tresor Choco Nut, 660 g, 5.– invece di 7.15
30% 6.95 invece di 9.95
Custodia per cellulare disponibile in vari colori, taglia unica, per es. bianco, il pezzo
30% 17.45
invece di 24.95
Borsa a tracolla disponibile in rosso o blu, taglia unica, per es. rosso, il pezzo
a partire da 3 pezzi
30% 6.95 invece di 9.95
40% Tutti i pannolini Pampers Sacca sportiva disponibile in vari colori, taglia unica, per es. pink, il pezzo
Alcuni articoli sono in vendita solo nelle maggiori filiali. Offerte valide solo dal 3.8 al 9.8.2021, fino a esaurimento dello stock
per es. Baby Dry pants 5, conf. da 37, 11.95 invece di 19.90