Azione 31 del 29 luglio 2024

Page 1


Pronto a vivere il tuo sogno?

Il tuo caffè preferito a casa?

ML-GRANDE

FORMATO PER LA CASA in vendita dal 6 agosto 2024 nei punti di vendita Migros

edizione 31

MONDO MIGROS

Pagine 4 / 6 – 7

SOCIETÀ Pagina 5

Le cure palliative sono ancora erroneamente associate solo al concetto di fine vita, ma così non è

Katja Snozzi ha sempre preferito il valore testimoniale dell’immagine fotografica, non solo nel reportage

TEMPO LIBERO Pagina 13

Kamala Harris punta alla Casa Bianca in un Paese in bilico tra decadenza e segnali di vitalità

ATTUALITÀ Pagina 21

Là, dove tutto è cominciato

Antonella Cilento ci accompagna in un viaggio di profondità e di vette nella Napoli letteraria

CULTURA Pagina 29

Roberto Porta Pagina 19

Dall’apprendistato

Abbiamo la fortuna di potere affermare come, nel campo della formazione, la Svizzera sia seconda a poche altre Nazioni. Lo dimostrano puntualmente i ranking universitari, dove i due politecnici federali sono sempre in pole position globale, ma lo conferma anche il fittissimo network delle scuole universitarie professionali, impegnate in un costante arricchimento dei propri curricula e percorsi formativi. Anche a livello di formazione secondaria possiamo fregiarci di una formazione, quella del sistema duale, che rappresenta un fiore all’occhiello nazionale, e che ogni anno consegna all’economia migliaia di giovani donne e uomini pronte/i per il mondo del lavoro. La formazione duale svizzera (diffusa anche in molti Paesi del Nord Europa), nasce su un modello germanico degli anni Sessanta e, come recita admin.ch «permette ai giovani di entrare nel mondo del lavoro» grazie alla «combinazione tra la formazione nell’azienda formatrice e quella nella scuola professionale», là dove «l’offerta formativa si basa

verso il domani

(…) sulle qualifiche professionali effettivamente richieste e sui posti di lavoro disponibili». Al netto di quanto sia diventato difficile trovare un posto di apprendistato (la pagella di uscita dalle scuole dell’obbligo deve riportare voti possibilmente alti) per molte apprendiste e apprendisti è altrettanto difficile riuscire a mantenerlo. Ma non tanto per le sfide professionali o le materie da imparare, quanto più per le ripercussioni emotive sul proprio equilibrio interiore, guarda caso proprio l’aspetto che nella definizione di formazione duale non trova collocazione.

Da un recente sondaggio condotto dal sindacato UNIA, che ha intervistato 1100 apprendisti (nel 2022/23 gli apprendisti in Svizzera erano 212’000), è emerso come un terzo sia insoddisfatto della propria situazione professionale. Le cause di questo malcontento, che tradotto in cifre corrisponde a circa 18’000 giovani all’anno che non amano ciò che fanno, sono da ricercarsi in diversi fattori, la maggior parte dei quali non

di natura prettamente formativa. Le e i giovani si percepiscono infatti sotto tale stress da sentirsi spesso esausti, subiscono delle discriminazioni o situazioni di mobbing (oltre il 35% delle/degli intervistate/i), e in numerosi casi (per il 27,9% delle intervistate e il 7,8% degli intervistati) subiscono addirittura delle molestie sessuali. In tutto questo, oltre la metà delle e dei giovani in formazione esprime il proprio biasimo nei confronti dell’operato degli uffici della formazione professionale, accusati di assenteismo nei loro confronti, e il proprio scontento rispetto ai salari, considerati da quasi la metà delle/degli interpellate/i come insufficienti (quasi la metà degli apprendisti durante i tre anni di formazione guadagna tra i 500 e i 999 franchi al mese, mentre un significativo 39,2% riceve un salario compreso tra 1000 e 1499 franchi).

È un sondaggio realizzato su scala nazionale, e non è intenzione di nessuno puntare il dito, quanto più invitare a una riflessione intorno

a quelli che sono i valori legati al lavoro che contribuiscono a migliorare una società e di conseguenza la Nazione che la ospita. Il primo agosto dunque, al di là di ogni retorica, come occasione per la politica, per formatrici e formatori, e non da ultimo per le aziende, per riflettere sul valore intrinseco di un/a giovane desideroso/a di iniziare un percorso formativo duale. È forse necessario uno sforzo in più, per garantire il miglior spazio di protezione ad apprendiste e apprendisti (spesso ancora minorenni), tenendo presente che rappresentano una fetta importante della potenziale Nazione del futuro, e che oltre all’apprendimento delle competenze professionali, hanno anche il diritto di imparare quelle umane, grazie all’esempio degli adulti.

Un circolo virtuoso di questo tipo non mancherà di riverberarsi sulla vera qualità di ogni percorso formativo, e in futuro, chissà, potrebbe assottigliarsi anche quel 25 percento di giovani che ancora abbandona il proprio apprendistato.

Un ringraziamento a chi sta ancora lavorando

Fino a qualche settimana fa la nostra estate è stata indubbiamente caratterizzata da una serie di eventi eccezionali che non hanno mancato di riverberarsi sulle biografie di molte cittadine e cittadini del nostro cantone e della Mesolcina. Negli occhi di tutti sono rimaste impresse le immagini delle ferite inferte dalla natura al paesaggio, di massi che si sono trascinati appresso case, alberi e vite, di volumi d’acqua che sono riusciti a isolare le persone demolendo ponti e strade, dell’immensa desolazione che è diventata tratto distintivo di luoghi che fino a poche ore prima del maltempo non era eccessivo definire idilliaci.

Per stare sin dal primo istante al fianco di soccorritori e persone colpite, Migros si è attivata immediatamente stanziando d’urgenza un milione di franchi. La Cooperativa Migros Ticino, attraverso la sua cellula di crisi diretta da Rosy Croce e dal vice Silvio Vassalli, si è poi preoccupata di organizzare una serie di forniture di beni di prima necessità (come riportato in modo esaustivo nei reportage pubblicati su «Azione» del 15 luglio), mentre nei giorni successivi alla tragedia ha versato 50’000 CHF al Comune di Cevio per il ripristino delle zone interessate dall’alluvione.

«Oggi ci si può concentrare sull’ulteriore ripristino delle zone colpite, sgomberando strade, edifici e pascoli»

Oggi, a qualche settimana di distanza e con le situazioni di emergenza ormai quasi superate – grazie all’instancabile lavoro di protezione civile, militari e soccorritori, ma anche alle adesioni di aiuto spontanee di semplici cittadine e cittadini – ci si può concentrare sull’ulteriore ripristino delle zone colpite, sgomberando strade, edifici e pascoli da detriti e massi, e mettendoli in sicurezza.

Ne abbiamo parlato con il Capitano Patrick Filipponi, istruttore e responsabile del servizio Aiuto alla condotta della protezione civile di Locarno e Valle Maggia. «Anche quella del ripristino è una fase molto importante delle operazioni legate al maltempo, attualmente militi della Protezione civile provenienti da tutte e sei le regioni del Ticino (v. BOX), stanno pulendo strade e pascoli (anche loro colpiti duramente, con perdita di animali) da detriti, legnami e sassi. Ci stiamo soprattutto concentrando sulla Valle Bavona. Siamo presenti anche al Piano di Peccia, a Cevio, con l’ufficio tecnico, e presidiamo la passerella tra Cevio e Visletto. Nel frattempo, i militi dell’esercito, in collaborazione con alcune ditte private, hanno creato un passaggio che permette ai mezzi di intervento di accedere alla Val Bavona dopo la frana di Fontana».

Anche se il peggio pare passato, dunque, resta ancora molto da fare, e soprattutto da lavorare, senza scordare che l’estate così attesa è finalmente ar-

rivata, con tanto di temperature elevate e rischio canicola. «Per questo motivo» continua Patrick Filipponi, «lo Stato Maggiore regionale di condotta ha fatto un appello ai grandi distributori attivi su suolo ticinese, chiedendo loro se non fosse possibile organizzare

La protezione civile

La protezione civile è disciplinata a livello federale dal 1963; come recita il sito dell’amministrazione federale, «può essere chiamata in servizio soprattutto per interventi in caso di eventi maggiori, catastrofi e situazioni d’emergenza». In Ticino la protezione civile è organizzata in sei sezioni: Tre Valli, Bellinzonese, Locarno e Valle Maggia, Lugano Campagna, Lugano Città e Mendrisiotto. I militi della Protezione Civile si suddividono in cinque servizi: Pionieri, istruiti nell’utilizzo dei vari attrezzi a loro di -

la distribuzione di una piccola sussistenza per i militi della protezione civile e i soldati dell’esercito ancora impegnati a svolgere duri lavori fisici». Migros Ticino non si è fatta ripetere due volte l’appello, e ha così organizzato un furgone che sull’arco di

quattro giornate potesse raggiungere le piazze di lavoro in cui operano i militi per distribuire loro beni semplici. L’iniziativa ha preso avvio mercoledì 24 luglio ed è continuata venerdì 29; questa settimana (lunedì e mercoledì) il furgone si recherà in Valle Bavona.

sposizione; Aiuto alla condotta, dove si gestiscono gli interventi dal punto di vista delle comunicazioni, della ricerca e della diffusione delle informazioni per il comando e per gli organi di condotta; Logistica, dove ci si occupa dei trasporti, della cucina e della manutenzione e la preparazione dei vari attrezzi e del materiale; Assistenza, dove si assistono le persone minacciate o bisognose d’aiuto; Protezione dei beni culturali/PBC, dove si aiuta ad assicurare la protezione dei beni culturali (beni mobili e immobili di grande

importanza per il patrimonio culturale). Oltre a disporre di numerosi attrezzi manuali, per spostarsi e garantire i propri interventi, la protezione civile ha in dotazione una serie di mezzi di trasporto, tra cui pickup, SUV e furgoni.

L a protezione civile di Locarno-Valle Maggia occupa dieci professionisti a tempo pieno, e può contare su circa 750 militi.

Finora nell’intervento in Valle Maggia sono entrati in servizio 405 militi per un totale di quasi 2000 giorni di servizio.

«I nostri furgoni portano ai militi dei beni semplici, bibite, frutta e snack» spiega Rosy Croce, responsabile della cellula di crisi di Migros Ticino, «ma il nostro sostegno non si riduce all’approvvigionamento. Abbiamo voglia di interagire con i militi che stanno lavorando sotto il sole per ripristinare il nostro territorio così duramente colpito, ringraziandoli così a nome di tutta la popolazione». Una sorta di sostegno morale espresso attraverso piccoli ma significativi gesti. Ma come stanno oggi i militi impegnati nei lavori di ripristino? «Lo spirito è sempre buono», racconta ancora Filipponi, «e la voglia di aiutare è ancora molta. Per chi proviene dalla regione vi è in gioco anche l’aspetto relazionale, a me è successo ad esempio di aiutare una compagna di classe che non vedevo da oltre trent’anni, ed è stato emozionante».

Informazioni

Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica.

Il Capitano Patrick Filipponi insieme ai suoi militi e ai coordinatori della cellula di crisi di Migros Ticino
(Jeannette Hobil e Matteo Rizzi); sotto, alcuni momenti di sosta vicino alle piazze di lavoro. (Ma.Ma.)

SOCIETÀ

Al fianco delle donne

La Casa della Giovane è un’istituzione storica, ce ne parla la direttrice Elena Bernasconi che ha appena passato il testimone a Sabrina Clerici

Giovani, un aiuto a orientarsi

Il Pretirocinio è un anno di formazione per i ragazzi che dopo la scuola media non hanno ancora trovato la loro strada

L’ultima popolazione neotenica europea

I tritoni del lago Starlarèsc da Sgióf sono solo acquatici, a differenza dei loro simili che abbandonano l’acqua dopo la riproduzione

Pagina 11

Trattamenti integrati: un’opportunità per tutti?

Medicina ◆ Nei casi di malattie croniche l’integrazione precoce delle cure palliative migliora sensibilmente la qualità della vita

«Quello con la signora G., per me, è stato un incontro importante perché mi ha insegnato quali sono i bisogni del paziente di cure palliative, dall’inizio del suo percorso». Così comincia il racconto di una delle più toccanti esperienze della professoressa Claudia Gamondi, già primario di Cure Palliative all’Eoc e oggi primario di Cure palliative e di supporto al Centro ospedaliero universitario del canton Vaud di Losanna.

La dicotomia tra cure curative e cure palliative, che nasce da un punto di vista solo pessimistico, nuoce a tutti

A 55 anni G. soffre di lombalgia e, dopo una settimana di analisi, la diagnosi è implacabile: tumore al pancreas in stadio avanzato. «Con lei ho vissuto fianco a fianco tutti i suoi otto mesi di percorso, dalla chirurgia, alla chemioterapia, ai farmaci necessari per stare meglio possibile (oppioidi che poi le portavo personalmente a casa). L’ho accompagnata dovunque: dal diabetologo e da altri specialisti; ed ero lì quando le hanno comunicato che non c’era più “nulla da fare”. Non abbiamo condiviso solo le esperienze fisiche della malattia, ma abbiamo parlato a lungo dell’esperienza vissuta da lei e dalla sua famiglia attraverso la malattia. Come tutti questi pazienti, G. non aveva bisogno solo di trattamenti medici. Abbiamo condiviso cosa significa avere una patologia oncologica e tutto quello che ciò comporta».

A un certo punto, la dottoressa Gamondi rientra al lavoro dopo tre settimane di assenza; al giro delle visite in reparto si sente chiamare da una persona in un letto: «Era lei, che mi dice: “Claudia, non mi riconosci? Sono io. Questo è quello che il cancro fa alle persone: le persone non mi riconoscono, non mi riconosco più nemmeno io”».

La «frattura» che la dottoressa descrive a proposito «dell’incapacità di essere vista» della paziente, la induce a riflettere parecchio sull’importanza dell’integrazione delle cure palliative in un percorso sufficientemente precoce da creare, oltre a una migliore qualità di vita, anche una consapevolezza e un’elaborazione graduale di quanto succederà. «G. è deceduta qualche notte dopo quel nostro incontro». Quando il suo capo le chiede se lei era lì con la paziente, lei risponde: «Sì, sono stata con lei tutta la notte». Eppure, tutto ciò che Claudia Gamondi spiega di aver visto lungo quel percorso di accompagnamento nelle cure palliative «era molto diverso da ciò che gli altri medici vedevano. Nelle cure palliative, una buona

parte delle persone vedono bare, vedono solo la morte; io ci vedo un panorama, ci vedo la vita, una vita degna e migliore possibile, fino alla fine». Di fatto, le Cure palliative sono ancora erroneamente associate esclusivamente al concetto di fine vita, ma così non è: «A torto, le persone vi vedono solo la fine, la morte, che peraltro non vorrebbero vedere. La conseguenza di questa visione crea la dicotomia tra cure curative e cure palliative, e ciò nuoce a tutti: al paziente, alla famiglia, alla società. Nascondere la morte significa nascondere il processo curativo in quello palliativo, e questo non mi è mai piaciuto».

L’Organizzazione mondiale della sanità definisce le cure palliative come un «approccio per migliorare la qualità di vita dei pazienti e dei congiunti che affrontano i problemi associati a una malattia letale», e punta a prevenire e alleviare la sofferenza attraverso una diagnosi precoce, l’attenta valutazione e il trattamento del dolore, nonché di altri problemi di natura fisica, psicosociale e spirituale. Dunque, si chiede la nostra interlocutrice, «Cosa sono le cure palliative? Cure di fine vita? Sì. Ma ogni medico è chiamato a curare anche la

fine della vita. Ecco, le cure palliative sono di più, e non si fermano alla cura dei sintomi». Così, la dottoressa Gamondi va oltre, ricordando una definizione forgiata da un maestro delle cure pallitive (B. Mount): «L’espressione “Cure palliative” sottintende una forma personalizzata di cure, va al di là del modello biomedico, verso un orizzonte più vasto come condizione necessaria per farsi carico adeguatamente sia della sofferenza sia della biologia della malattia».

Nascondere la morte, non voler affrontarla in modo solidale, significa nascondere il processo curativo in quello palliativo

In questo senso, l’obiettivo è quello di promuovere una qualità di vita migliore e ottimale: «Si tratta di cambiare il paradigma e pensare di promuovere la guarigione, nel senso di cambiare la risposta verso un’esperienza di integrità e di interezza nel continuum della qualità di vita». Nel medesimo contesto, si inserisce il concetto evolutivo delle cure palliative integrate e precoci, che non si «insinuano»

nella cura dei pazienti oncologici terminali: «Tutte le persone con malattie cronico-degenerative ad andamento progressivo e a prognosi infausta, e i loro famigliari, possono essere presi a carico in un percorso di cure palliative precoci. Dunque, le cure palliative precoci non sono da intendersi come cure di fine vita, ma come un approccio palliativo precoce a una persona con malattia inguaribile che può ancora rispondere a trattamenti specifici, in condizioni cliniche buone o discrete, anche in assenza di sintomi, con sintomi lievi o disturbanti».

La specialista sottolinea come la presa in carico precoce delle cure palliative è utile perché la persona malata ha una patologia che deve essere curata anche nei disturbi che provoca, perché le persone non sono la loro malattia, non sono solo corpo, ma sono corpo e mente e devono essere prese a carico globalmente: «Le cure palliative precoci sono integrate da subito nel processo di cura, e non al loro termine, permettendo in tal modo di unire diversi aspetti clinici, organizzativi, amministrativi, di servizio, così da assicurare la continuità delle cure fra tutti gli attori implicati. Ricordiamo che lo scopo è di assicurare al pazien-

te e alla sua famiglia una qualità di vita e un accompagnamento consapevole durante l’ evoluzione della malattia cronica evolutiva, in collaborazione con tutti i curanti».

Le cure palliative precoci si inseriscono, dunque, in modo coordinato, nel percorso con gli specialisti, i professionisti e il medico di famiglia, per garantire al malato e alla sua famiglia una presa a carico globale: «Si tratta di un percorso basato sul dialogo e su una comunicazione aperta, empatica e sincera; uno strumento di accompagnamento della persona, della famiglia e dell’équipe sanitaria che inizia già al momento della diagnosi e segue con continuità tutta la strada della malattia, con una progressiva valutazione e rivalutazione dei bisogni che ne emergono».

Di questa visione, la dottoressa Gamondi riassume i benefici salienti: «La loro integrazione precoce migliora la qualità e la quantità della vita, e non esclude affatto le terapie votate ad allungare la vita stessa, di cui è un complemento. Infine, i pazienti e i loro cari possono godere della collaborazione interdisciplinare dei professionisti che si fanno carico del percorso terapeutico».

Pagina 9
Pagina 8
Maria Grazia Buletti

Il reparto Migros Daily è sinonimo di prodotti freddi e caldi pronti al consumo, preparati freschissimi più volte al giorno con ingredienti di prima scelta. Qui ognuno può trovare la giusta ispirazione per ogni momento della giornata, dalla colazione al pranzo fino ai corroboranti spuntini rompifame. Che si tratti di müesli, smoothies, insalate, panini imbottiti, pizza, pinsa, poke, proposte vegane e dessert, a dipendenza della filiale, la scelta è particolarmente variegata e in grado di rispondere sia alle necessità tradizionali sia a quelle più moderne.

La pizzetta nostrana

Una sfiziosa novità appena introdotta al reparto Migros Daily è costituita dalla pizzetta margherita nostrana, realizzata con ingredienti al 100% ticinesi. A produrla è il pastificio L’Oste di Quartino, azienda attiva dal 2006 e specializzata nella produzione di pasta fresca, pasta ripiena e prodotti lievitati, diversi dei quali già presenti sugli scaffali di Migros Ticino, in primis sotto forma degli apprezzati raviöö nostrani alle varie farciture.

Con la pizzetta nostrana lo spuntino gustoso e genuino è garantito!

«L’azienda è stata fondata da mio padre, Davide Mitolo, chef e imprenditore, con il proposito di offrire ai consumatori dei prodotti preparati con tecniche e lavorazioni artigianali, a base di materie prime locali attentamente selezionate per esprimere il massimo in termini di gusto e genuinità», spiega Nikolas Mitolo, responsabile sviluppo dell’azienda e figlio del titolare. La nuova pizzetta firmata L’Oste non deluderà certamente le aspettative degli appassionati di questa tradizionale pietanza

Una pizzetta 100% ticinese

Novità ◆ L’assortimento Migros Daily è stato arricchito con una proposta a base di ingredienti provenienti esclusivamente dalla nostra regione

Pizzetta margherita nostrana 210 g Fr. 4.90

Le settimane dei Nostrani del Ticino fino al 5 agosto

della cucina mediterranea. «Questo prodotto – prosegue Nikolas – si distingue per il suo sapore accentuato e avvolgente, oltre che per la sua caratteristica fragranza, consistenza croccante e leggera e per la ricca farcitura. La pizzetta viene prodotta a

mano attraverso una lievitazione lenta di 48 ore dell’impasto e l’utilizzo di una speciale miscela di farine bianche e semibianche. Abbiamo a cuore il concetto di unione e felicità che il cibo riesce a trasmettere, e la pizza ben lo rappresenta. La nostra idea

I sapori autentici del Ticino

è quella di riprendere questo concetto e legarlo al territorio ticinese, offrendo un prodotto che possa piacere a tutti e che sia adatto ad ogni contesto. Tutte le materie prime provengono dal territorio ticinese, a partire dalla farina fornita dal Mulino Ma-

Attualità ◆ L’aromatica coppa nostrana della Salumi del Pin è una specialità irrinunciabile durante la stagione estiva e non solo

Ci sono bontà che per molti diventano imprescindibili durante l’estate, quando la voglia di mettersi ai fornelli è poca ma non si vuole certo rinunciare a qualcosa di genuino, meglio ancora se prodotto nella nostra regione.

La coppa nostrana è un must in qualsiasi tagliere di salumi misti ticinesi

La coppa fa sicuramente parte di questa categoria: un salume che non sfigura mai in nessun contesto, sia quando si tratta di arricchire un tagliere di affettati misti per l’aperitivo, sia utilizzata per preparare un appetitoso panino imbottito, oppure da gustare accompagnata da una colorata insalata di stagione.

La coppa nostrana in vendita alla Migros è prodotta dal salumificio I Salu-

mi del Pin di Mendrisio. La specialità è ottenuta utilizzando esclusivamente carni selezionate di maiali pesanti allevati in Ticino nel rispetto della specie. Il taglio idoneo per la produzione della coppa proviene dal collo del suino. Una volta addizionata di sale in quantità relativamente ridotta, spezie e vino merlot ticinese, la carne viene massaggiata lentamente in zangole poste in celle a temperatura controllata. Segue l’insaccatura in budello naturale e l’asciugatura del prodotto, che si protrae per un paio di giorni. Infine, la coppa viene sottoposta al periodo di stagionatura, che dura non meno di due mesi e avviene anch’esso in speciali celle a temperatura e umidità monitorate, fase in cui il salume acquisisce il suo tipico e caratteristico sapore, che rispecchia pienamente l’autenticità della tradizione culinaria della nostra regione.

roggia che trasforma i cereali coltivati sul Piano di Magadino e nel Mendrisiotto; passando per la mozzarella realizzata in esclusiva dalla Latteria del Borgo di Faido; fino al pomodoro coltivato e raccolto dall’Orticola Bassi di S. Antonino».

Coppa ticinese affettata per 100 g Fr. 4.70 invece di 5.90 dal 30.7 al 5.8.2024

Gazosa nostrana: un fresco piacere tutto locale

Attualità ◆ Amata da grandi e piccini, la gazosa è la bevanda perfetta per dissetarsi con gusto a ogni occasione

Dissetante e accattivante, la gazosa ticinese della Migros si presenta ora alla clientela con la nuova ed elegante grafica dei Nostrani del Ticino, dove spicca il distintivo logo con il bacio che rappresenta l’amore per il nostro territorio.

Disponibile attualmente in cinque aromi differenti – limone, lampone, mandarino, sambuco e moscato – da ormai vent’anni questa bevanda culto rende ogni sorso un’esperienza unica in fatto di piacere e passione per i prodotti regionali. La bevanda è stata sviluppata ed è tuttora prodotta dall’azienda Sicas SA di Chiasso che, oltre alle gazose, produce diverse altre bibite e succhi di frutta.

La ricetta si rifà a un’antica tradizione del Mendrisiotto, quella legata ai grotti, dove la gente si ritrovava a gustare piatti semplici e genuini sorseggiando un buon boccalino di vino e un rinfrescante bicchiere di gazosa. Gli ingredienti utilizzati per la produzione della bevanda sono prettamente naturali e non vengono impiegati conservanti, edulcoranti o aromi artificiali. Questo aspetto non solo garantisce un prodotto dal gusto autentico e inconfondibile nel rispetto della nostra tradizione, ma gioca un ruolo importante anche per il nostro benessere.

2.8 e 3.8.2024

Migros S. Antonino

Annuncio pubblicitario
Flavia Leuenberger

Un luogo protetto per donne e ragazze

Istituzioni ◆ La Casa della Giovane di Lugano, istituzione storica della città, ha una nuova direzione e pensa a nuove iniziative per le sue utenti

Forse qualcuno ricorda quei curiosi manifesti che si trovavano nelle stazioni ferroviarie e anche su alcuni treni, fino a qualche decina d’anni fa. Nell’immagine in bianco e nero si vedeva una giovane donna sorridente e nel testo di accompagnamento il riferimento a un’associazione svizzera, Pro Filia, votata alla «Protezione della giovane». Si trattava di un servizio offerto a giovani donne in difficoltà o bisognose di un aiuto, e l’associazione gestiva in varie città e stazioni ferroviarie della Svizzera dei punti di contatto per accoglierle e per rispondere a loro necessità contingenti.

La Casa della Giovane ha da poco dato il via a un nuovo progetto di reinserimento lavorativo in collaborazione con l’Osteria del Mino di Pura

Di quel particolare tipo di assistenza si era sentito il bisogno in un periodo storico preciso, a fine 800. Era un’epoca in cui il movimento della popolazione dalla campagna verso le città trovava proprio nelle giovani donne una fascia di popolazione particolarmente fragile e soggetta a vari tipi di possibili abusi. Come molte altre associazioni a vocazione «umanitaria» sorte in quel periodo, Pro Filia era nata quindi a livello nazionale nel 1896. Nel Ticino si era insediata poco dopo, nel 1901. Il motto del sodalizio, «In Via», ricorda ancora oggi quell’attenzione alla situazione specifica «di movimento» delle donne, alla loro esperienza di viaggiatrici. Una vocazione che in seguito si è poi estesa anche alla tutela delle ragazze alla pari, viaggiatrici per eccellenza tra le varie regioni della Svizzera. Importante sottolineare come l’impostazione di base sia legata dichiaratamente a una concezione cattolica dell’intervento sociale. «Siamo però aperti a qualunque confessione e a qualunque cultura» ci spiega l’attuale direttrice Elena Bernasconi, «perché lo scopo principale del nostro intervento è da sempre l’accoglienza». Con il passare degli anni i punti di consulenza legati alle stazioni ferroviarie sono rimasti, e sussistono ancora oggi ad esempio alla Stazione FFS di Chiasso. Il mutamento delle condizioni sociali e di bisogno fa sì però

che la casistica sia mutata, come ci conferma Elena Bernasconi: «Interveniamo frequentemente per fornire una consulenza e dare un concreto aiuto ad esempio a migranti in arrivo alla stazione, che spesso non hanno nemmeno un abbigliamento adeguato alla stagione, o non hanno biglietti o documenti. Gli interventi nel corso dell’anno sono moltissimi».

In Ticino, storicamente, la presenza dell’associazione Pro Filia fa capo a tre strutture. «Oltre alla permanenza alla stazione di Chiasso, esistono le sedi di Lugano e Locarno. La prima trova la sua sede nella Casa del-

la Giovane di Corso Elvezia. Si tratta di una struttura che ospita donne con difficoltà di inserimento sociale o con problemi psichiatrici. La casa è attrezzata per accoglierle in un contesto protetto e per offrire loro una serie di attività quotidiane di impiego del tem po. A Locarno invece esiste uno stabile, costruito in collaborazione con la Parrocchia, con appartamenti a pigione moderata: con gli introiti si aiutano poi enti, servizi e famiglie sul territorio».

Per finanziare la sua attività Pro Filia usufruisce di contributi di vario genere, tra cui quelli assegnati dal Cantone. «Come altre istituzioni attive nel settore sociale, abbiamo stipulato un contratto di prestazione con lo Stato, e i recenti tagli lineari messi in atto ci mettono di fronte alla necessità di trovare sempre nuove fonti di sostegno. Attualmente, per rispondere ai bisogni di una cinquantina di ospiti, occupiamo una sessantina di persone, nei tre settori amministrativo, alberghiero e infermieristico/educativo» ci spiega Elena Bernasconi.

Una delle sfide con cui è confrontata la direzione è anche quella di gestire un fenomeno inevitabile che tocca le donne residenti: l’invecchiamento.

La sede di Corso Elvezia a Lugano era stata inaugurata nel 1983; sotto, da sinistra, Elena Bernasconi, direttrice fino a quest'anno, Nadia Ferrari, nuova vicedirettrice e Sabrina Clerici, nuova direttrice.

Più in generale, comunque, l’attività luganese di Pro Filia è legata all’immagine della Casa della Giovane di Lugano. «La prima collocazione della “Casa” era in centro, in Via Peri. Dal 1983 ci siamo trasferiti invece nel moderno stabile costruito in Corso Elvezia dall’architetto Livio Lenzi. Si tratta di un palazzo molto particolare, con una fisionomia moderna che vorrebbe ispirarsi alla chiesa del Sacro Cuore che è proprio di fronte. Il suo profilo, però, in mattoni rossi e con infissi di metallo molto appariscenti, fa sì che spesso venga scambiata per una costruzione di Mario Botta. Abbiamo turisti che vengono a chiedere di fotografarne gli spazi…» annota divertita Elena Bernasconi. «All’interno, con il passare del tempo, abbiamo dovuto adattare la struttura alle nuove esigenze della nostra utenza. Ma rimane comunque una costruzione ancora capace di rispondere alla sua vocazione di accoglienza, offrendo al contempo una vita sociale di qualità alle residenti».

«Dal 2019 abbiamo aperto una nuova struttura, in uno stabile in via Serafino Balestra, proprio per prendere a carico le nostre utenti d’età avanzata. Date le loro difficoltà, era prematuro pensare a un inserimento in case per anziani, le quali d’altro canto sono meno esperte nella gestione di casi psichiatrici».

E espandendo ancora il raggio della propria attività, la «Casa della giovane» ha di recente dato il via a una nuova iniziativa, attraverso la quale intende permettere ad alcune delle sue utenti di reinserirsi nel mondo del lavoro e poi trovare una sistemazione esterna in appartamento indipendente. «Abbiamo iniziato a collaborare con un locale del Malcantone, l’Osteria del Mino di Pura. In uno stabile che è stato completamente rinnovato intendiamo offrire ad alcune nostre utenti la possibilità di intraprendere un percorso riabilitativo professionale. Si tratta di un’iniziativa recentissima che è stata inaugurata con un pomeriggio speciale, in occasione della “Giornata d’azione nazionale per i diritti delle persone con disabilità”, l’8 giugno scorso. Vi ha partecipato in particolare la poetessa e scrittrice ticinese Franca Felber».

Fatto il punto sulla situazione passata e presente di Pro Filia, rimane ora da immaginarne la fisionomia futura, e da vedere come pensa di adattarsi all’evoluzione dei tempi. «Abbiamo in cantiere un ulteriore progetto, che ci permetterà di aprire una nuova unità abitativa. Il progetto è stato elaborato in collaborazione con l’OCST e prevede, tramite la Cooperativa Lambertenghi, la costruzione sul sedime dell’Ex Macello di Lugano di uno stabile in cui vorremmo inserire degli appartamenti a pigione moderata». Di questo nuovo progetto però si occuperà la nuova direzione: Elena Bernasconi, laureata in Sociologia e Antropologia a Losanna, ricopre il ruolo di direttrice dal 1987 e alla fine di quest’anno andrà in pensione. Passerà il testimone alla sua collaboratrice, Sabrina Clerici. «Abbiamo lavorato insieme negli ultimi 18 anni: in questo modo ci immaginiamo di garantire ancora una continuità a quello che è stato lo spirito della casa fino ad oggi». Il futuro della Casa della Giovane di Lugano si apre quindi a una serie di novità e rilancia negli anni a venire la sua vocazione di sodalizio creato a favore delle donne.

Informazioni www.casadellagiovane.ch

Pretirocinio, per chi non studia e non lavora

Giovani ◆ C’è chi non riesce a ultimare la formazione scolastica e professionale dopo la scuola media; l’Istituto della transizione e del sostegno interviene per contrastare questo fenomeno; abbiamo incontrato la direttrice

La formazione dei giovani è, o dovrebbe essere, un caposaldo della società. La Svizzera offre una buona qualità in questo campo e, in particolare, il sistema formativo duale è riconosciuto come punto di forza del nostro Paese. Scuola e lavoro paralleli per chi sceglie l’apprendistato come formazione scolastica e professionale.

Negli ultimi anni stiamo però assistendo a un fenomeno nuovo: «Sempre più giovani faticano a entrare nel mondo del lavoro, interrompono la formazione, non superano gli esami finali». – si legge sulla pagina di presentazione dell’Istituto della transizione e del sostegno (ITS) – «Diverse sono le ragioni che spiegano le difficoltà riscontrate da questi giovani nel passaggio dalla scuola dell’obbligo alla formazione di base come ad esempio le fragilità personali, le difficoltà scolastiche, i rischi sociali, gli adattamenti culturali, le relazioni famigliari complicate, l’inserimento nel mercato del lavoro complicato».

Da 12 allievi agli attuali 200

Dal 1994 in Ticino è attivo il Pretirocinio di orientamento (PTO), della durata di un anno scolastico. All’inizio accoglieva 12 adolescenti, oggi circa 200. I corsi si svolgono in due sedi, a Bioggio e a Gordola, e il Pretirocinio fa parte dell’Istituto della transizione e del sostegno, diretto da Chiara Orelli Vassere, che abbiamo intervistato.

«L’offerta didattica e formativa – ci dice – è unica per entrambe le sedi, e prevede, così come stabilito dalle norme federali e cantonali che definiscono il campo di azione della formazione professionale di base e delle offerte di transizione, un mix tra rafforzamento delle conoscenze scolastiche e avvicinamento formativo ed esperienziale al mondo delle professioni: attivazione di stage, incontri con attori del mercato del lavoro, accompagnamento professionale offerto da docenti con formazione specifica nelle ore di scuola, così come un’attenzione alle competenze trasversali della persona in formazione attraverso figure di sostegno individuale interne alla scuola».

In Ticino il Pretirocinio di orientamento è attivo dal 1994, dura un anno scolastico e i corsi si svolgono nelle sedi di Bioggio e Gordola

In uno studio di dieci anni fa dedicato al Pretirocinio, curato da Jenny Marcionetti e Spartaco Calvo, si sottolineava che il 27% dei ragazzi iscritti al PTO non riusciva a inserirsi in una formazione secondaria. Oggi, dati precisi non sono disponibili, ma è probabile che la percentuale di chi non riesce a ritrovare la strada della formazione sia analoga.

La Confederazione nel 2006 ha stabilito un obiettivo: portare il 95% dei giovani minori di 25 anni all’ottenimento di un diploma. In Ticino il risultato non è ancora stato raggiunto, ma si sta lavorando in questo senso. Chi sono i giovani che attualmente frequentano il PTO? «La maggior parte – spiega Chiara Orelli – ha terminato la scuola media in Ticino, alcuni senza avere conseguito la licen-

za; hanno dunque assolto l’obbligo scolastico pur essendo ancora legati a quello formativo, che li chiama a un progetto formativo individuale fino al raggiungimento della maggiore età. Vi sono poi allieve e allievi che provengono da altri cantoni o dall’estero, oppure da percorsi scolastici diversi, come il Pretirocinio di integrazione, un’offerta scolastica dell’Istituto della transizione e del sostegno (ITS) volta al rafforzamento delle competenze linguistiche in italiano per allievi alloglotti, tappa indispensabile per proseguire con successo lungo la strada della formazione professionale.

La composizione delle classi riflette le ragioni per le quali le persone in formazione approdano all’ITS. Vi sono pertanto giovani non ancora pronti a una scelta professionale chiara e solida, indipendentemente dagli esiti positivi o meno del precedente percorso scolastico e dalle loro condizioni di vita; altri che sono o sono stati confrontati con situazioni familiari, economiche, sociali o di salute difficili, che hanno inciso anche nel percorso scolastico, rendendolo più complesso.

Il PTO è una scuola che offre aiuto e sostegno a ragazze e ragazzi che desiderano e chiedono un’attenzione accentuata nella non facile scelta di un percorso di vita successivo alla scolarizzazione di base».

Il Ticino ha il vanto, da anni, di offrire una Scuola media unica ai suoi giovani. Una formazione inclusiva che

cerca di evitare le differenze dovute alle condizioni materiali dei cittadini. Cinquant’anni fa la scuola media non c’era e i giovani che non proseguivano gli studi passavano dalla scuola di avviamento, dopo le maggiori, perché bisognava attendere di compiere quindici anni per poter lavorare. Allora, l’avviamento era frequentato in buona parte da figli di operai che andavano a fare gli operai o, al massimo, gli impiegati. Anche oggi, chi frequenta il PTO proviene da ceti sociali meno favoriti oppure si tratta di stranieri.

Il ruolo delle famiglie

Il rapporto tra scuola e famiglia riveste un aspetto rilevante per aver successo nel reinserimento formativo o professionale dei giovani che frequentano il Pretirocinio. «Le famiglie delle allieve e degli allievi hanno un ruolo importante nel condividere e sostenere il progetto formativo proposto ai loro figli e concorrono con la scuola a costruire quella motivazione che è l’ingrediente essenziale per un esito positivo del percorso. – afferma la direttrice – Per questa ragione sono coinvolti da subito, attraverso colloqui iniziali individuali e di gruppo, nelle attività della scuola. L’interazione scuola-famiglia è poi costante lungo tutto l’anno del PTO: ad esempio per il ruolo richiesto alla famiglia nella ricerca e nell’attivazione di stage, di concerto con i docenti di accompagnamento professionale, o nell’affiancare le e i docenti nell’individuazione precoce delle eventuali difficoltà dell’allieva o allievo e nel concordare insieme le strategie più adeguate a porvi rimedio». Considerando l’importanza delle famiglie è indispensabile valutare anche il comportamento dei giovani. Oggigiorno, le aziende e il mondo del lavoro, prestano molta attenzione all’atteggiamento dei giovani. «Le competenze trasversali sono ormai al centro delle competenze sociali richieste anche dal mondo del lavoro. – sottolinea Chiara Orelli – È di conseguenza importante spiegare alle

persone in formazione la necessità di assumere comportamenti rispettosi di sé, e dunque ad esempio non dannosi alla salute fisica e psichica propria e degli altri. In questa direzione, si sottolineano nella formazione il rispetto dei principi e dei valori di base della nostra società, in testa l’eguaglianza di tutti nei diritti e il principio di non discriminazione, affinché vengano formate persone preparate al mondo del lavoro e consapevoli delle dinamiche virtuose della vita collettiva. Un’attenzione particolare è data evidentemente alle esigenze dei datori di lavoro, che chiedono puntualità, costanza, serietà e correttezza nelle relazioni: un ampio lavoro formativo in questo senso è svolto nelle nostre aule da tutto il corpo docente, con il supporto anche di altri enti, ad esempio la Città dei Mestieri della Svizzera italiana, a cui facciamo regolarmente capo».

I rapporti col mondo del lavoro

Per gli stage e per le assunzioni dei giovani avete buoni rapporti con il mondo del lavoro? «Allieve e allievi del Pretirocinio di orientamento, come quelli di tutto l’ITS, beneficiano direttamente degli sforzi messi in atto da anni dal Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport, e in particolare dalla Divisione della formazione professionale, per sensibilizzare le aziende del territorio all’accoglienza di apprendiste e apprendisti e all’offerta di stage. Grazie a ciò, oltre alla presenza di un importante apparato di supporto pubblico (ispettorato, orientamento professionale, servizio GO95 …), anche il PTO può avvalersi di una rete di aziende pronte a dare la loro disponibilità all’accoglienza di giovani in stage. Detto questo, l’impegno resta costante nel rafforzare la rete di aziende formatrici a disposizione sul territorio». Il mondo del lavoro è molto cambiato in questi anni e, purtroppo, non in meglio. Condizioni sempre più difficili, stress, insicurezza, stipendi inadeguati, competitività, precariato. Situazioni che certo non crea-

e avvicinamento

ed esperienziale al

no il clima migliore per invogliare i giovani. E, d’altra parte, ci sono ragazzi che hanno meno motivazioni e poca disponibilità ad accettare le norme. Ciò porta un numero non indifferente di apprendisti a interrompere il tirocinio. A questi giovani l’Istituto della transizione e del sostegno offre un «semestre di motivazione», un provvedimento contemplato nella Legge sull’assicurazione contro la disoccupazione (LADI). Riuscite a motivare i partecipanti? Chiediamo a Chiara Orelli Vassere: «Il Semestre di motivazione (SEMO) è una delle misure a disposizione delle giovani e dei giovani che hanno sciolto un contratto di tirocinio o interrotto la frequenza di una scuola a tempo pieno e che necessitano di un sostegno per riorientare la propria scelta. Si tratta di un percorso incentrato sulla possibilità di fare esperienze concrete nel mercato del lavoro ed è tra l’altro un provvedimento del mercato del lavoro stesso, contemplato dalla Legge sull’assicurazione contro la disoccupazione. L’offerta dell’ITS si inserisce dunque a pieno titolo nella strategia attuata dal Cantone per sostenere coloro che abbandonano o interrompono la formazione, una strategia che vede il coinvolgimento di attori pubblici, Città dei Mestieri della Svizzera italiana, servizio GO95 e privati, Pro Juventute, servizio LIFT, che concorrono e collaborano nel contrastare la dispersione scolastica e formativa, per garantire alle e ai giovani un futuro più sereno».

Il Pretirocinio di orientamento è quindi una realtà importante in Ticino. Sostenere i giovani e garantire loro una formazione adeguata è un pilastro fondamentale per un paese democratico e moderno. Il mercato dei posti di tirocinio è sempre più competitivo, la formazione dopo la scuola dell’obbligo è fondamentale e i datori di lavoro sono sempre più esigenti. «Le conseguenze di questa spirale – indicavano già dieci anni fa Marcionetti e Calvo – le pagano i giovani appartenenti alle fasce più deboli: chi non ottiene buoni risultati scolastici, chi proviene dai ceti sociali meno favoriti e gli stranieri».

L’offerta didattica del Pretirocinio di orientamento prevede un mix tra rafforzamento delle conoscenze scolastiche
formativo
mondo delle professioni (Keystone); sotto, Chiara Orelli Vassere. (ti.ch)

Dolce tentazione in rosso-bianco

Tra pochi giorni festeggeremo il 1° agosto. Ma per una volta non si tratterà di Guglielmo Tell e del tiro alla mela, bensì del bernese Wilhelm Kaiser e delle teste di cioccolato. Nel 1901 Kaiser fondò l’azienda Chocolat Villars a Villars-sur-Glâne (FR) che, fin dall’inizio, tostava le fave di cacao per il cioccolato del posto. Ancora oggi, Villars realizza il 100% dei suoi articoli a Friburgo. Suddetta fabbrica produce le teste di cioccolato più vendute in Svizzera. Per la Festa nazionale i dolci saranno disponibili nel look a croce svizzera.

Teste di cioccolato fondente Villars 4 pezzi da 30 g Fr. 3.60

Il lago dell’eterna giovinezza

Biodiversità ◆ L’ultima popolazione europea di tritoni parzialmente neotenica vive nel bacino alpino dello Starlarèsc da

Nel lago alpino dello Starlarèsc da Sgióf, in Valle Verzasca, come nei laghetti del Masnee e Pianca, è presente una particolare popolazione di tritoni parzialmente neotenica, fenomeno evolutivo per cui gli esemplari adulti mantengono le caratteristiche fisiche e caratteriali infantili. Detta popolazione è unica in Svizzera e, allo stato attuale delle ricerche scientifiche, è l’ultima sopravvissuta in Europa.

Il laghetto ha una superficie contenuta ed è situato su un terrazzo panoramico a 1875 m slm, con vista sul Poncione d’Alnasca. Il sentiero per raggiungerlo parte da Brione Verzasca, e si inerpica sul fianco della valle per un dislivello complessivo di mille metri, in un susseguirsi di alcuni tratti impervi e ripidi, altri più pianeggianti che attraversano faggete, boschi di abete bianco e larici, e terminano sul pianoro dove si trova il laghetto.

La presenza dei tritoni alpestri (Ichthyosaura alpestris) è stata segnalata copiosamente negli anni Novanta del secolo scorso; tuttavia alcune ricerche più recenti hanno dimostrato che essi hanno colonizzato il lago ben 11’700 anni or sono, in pratica a partire dal Pleistocene.

È un anfibio classificato nell’ordine degli urodeli (anfibi con la coda), tra i quali troviamo anche le salamandre; ma nella mitologia greca, Tritone era il dio-fiume, metà pesce e metà uomo, figlio di Poseidone. Rappresentato con un corno di conchiglia, tramite il suono che ne scaturiva, calmava le tempeste e annunciava l’arrivo del dio del mare, suo padre.

I primi naturalisti che studiarono la specie e la descrissero, scelsero il nome di Triton per definire il genere, accomunando questi anfibi alla divinità marina dell’antica mitologia. Successivamente gli zoologi si accorsero che lo stesso nome era già stato assegnato a un gasteropode marino dotato di una conchiglia molto grande e allungata, in uso come tromba di guerra da alcune popolazioni mediterranee. Fu pertanto deciso di trasformare il nome in Triturus per definire il genere di urodeli dei quali ci stiamo occupando.

La neotenia è il fenomeno per cui nell’adulto, dopo il raggiungimento della maturità sessuale, restano caratteristiche morfologiche giovanili

Questa specie trascorre molto tempo in acqua ed è presente in una grande varietà di habitat: laghi di alta montagna, specchi e corsi d’acqua a flusso lento, fino a bacini artificiali, torbiere e stagni. Difficilmente passa l’inverno in acqua; tuttavia, in particolare nelle popolazioni che abitano freddi laghi montani, non è raro trovare individui adulti neotenici, che conservano ancora le branchie nonostante abbiano superato lo stadio larvale. La neotenia è di fatto quel fenomeno per cui nell’adulto, dopo il raggiungimento della maturità sessuale, si mantengono caratteristiche morfologiche giovanili (ad esempio le branchie). Ne deriva che gli adulti rimangono vincolati all’ambiente acquatico per tutta la loro vita, poiché sulla terraferma non possono respirare.

La neotenia può essere facoltativa oppure obbligatoria: nel primo caso, essa è legata a particolari fattori ambientali, non riguarda tutti gli indi-

vidui di una specie bensì solo alcune popolazioni o un certo numero di individui all’interno della stessa popolazione. La neotenia obbligatoria interessa invece tutti gli individui di una determinata specie.

Lo sviluppo di questa anomalia, questa «eterna giovinezza» di adulti che conservano un aspetto giovanile, avviene in presenza di acque permanenti e ricche di risorse alimentari, ciò che rende evolutivamente conveniente rimanere nell’ambiente acquatico anziché avventurarsi in quello terrestre, rischiando la disidratazione e la penuria di cibo.

E proprio nel lago dello Starlarèsc da Sgiófci si trovano le condizioni ottimali per cui alcuni esemplari di giovani tritoni bloccano la metamorfosi mantenendo le branchie.

Gli anfibi costituiscono il primo gruppo di vertebrati comparso sui territori emersi; sono eterotermi, hanno pelle nuda e mucosa, gli adulti respirano tramite i polmoni mentre le larve tramite le branchie. Quasi tutte le specie si accoppiano in acqua.

Ichthyosaura alpestris è un anfibio di modeste dimensioni. Gli individui adulti misurano da circa 7 cm a un massimo di 12. Le femmine sono più grandi (10-12 cm) e i maschi più piccoli (non superano i 9 cm). Come alcune salamandre, questa specie ha zampe brevi e coda lunga, che lateralmente è compressa. Durante la fase acquatica, la pelle è liscia e umida, mentre nella fase terrestre appare più setosa e granulosa. Il Tritone alpestre ha diverse livree, che mutano in base al genere (maschio/femmina, piccolo/ adulto), al periodo, all’età, e all’ambiente in cui vive.

Nella stagione riproduttiva i maschi esibiscono una cresta dorsale di piccole dimensioni color giallastro, cosparsa di macchiette nere, che risalta sul dorso di colori freddi, in varie tonalità dal celeste chiaro, all’indaco, al blu notte più intenso. I lati del corpo sono di colore blu marmorizzato, delineati da una banda bianco-argentea con macchioline nere e una fascia turchese. Il colore dei fianchi crea uno splendido contrasto con il ventre arancio.

Durante la stagione riproduttiva avvengono fatti abbastanza curiosi. La lunga fase di corteggiamento inizia con il maschio che si dispone davanti alla femmina inarcando il dorso e facendo vibrare la coda, per creare una corrente d’acqua in direzione della compagna prescelta. Se lei condivide le attenzioni maschili, la femmina risponde sollevando la coda ed esponendo la regione cloacale. Il maschio si sposta lentamente e la femmina lo segue. Quando lei tocca la parte terminale della coda del maschio, lui depone una capsula contenente lo sperma (spermatofora) davanti alla femmina che la raccoglie per fecondare le uova.

Ogni femmina depone fino a circa 250 uova per stagione riproduttiva. A differenza dei maschi, le femmine hanno tinte più modeste e opache, che consentono loro di mimetizzarsi nell’ambiente nel quale vivono, e non hanno la cresta dorsale. In particolare, sono assenti sia la fascia turchese, sia la colorazione bluastra del manto, che è di colore mutevole dal verdognolo al beige, dal marrone al nero. La colorazione ventrale arancione vistoso è presente sia nei maschi sia nelle femmine in quanto è una chiara evoluzione difensiva (non un carattere di distinzione sessuale); come altri anfibi, anche il tritone alpestre, quando minacciato, mette in risalto la sua colorazione apo-

Sgióf

sematica, segnalando la propria tossicità al predatore.

Durante il periodo di vita terrestre, i colori possono sembrare più scuri; ciò dipende dalla minore umidità della pelle che diventa più granulosa. Le popolazioni che vivono a quote molto elevate hanno tinte più scure e mostrano una maggiore longevità, stimata fino a 22 anni.

I tritoni alpini hanno una dieta generalista, che include prevalentemente diversi invertebrati. Durante la fase acquatica, essi predano in particolare piccoli molluschi, insetti, anellidi e altri invertebrati, crostacei come pulci d’acqua, ostracodi o anfipodi e insetti terrestri che cadono nell’acqua; la dieta è arricchita da uova e larve di altri anfibi, incluse quelle della propria specie. Nella fase di permanenza terrestre si nutrono di artropodi vari, lombrichi e lumache, insetti, vermi, ragni e onischi.

Il tritone alpino è stato classificato come Least Concern nella Lista Rossa IUCN nel 2009

I predatori dei tritoni alpini adulti sono soprattutto serpenti (le comuni bisce), pesci (ad esempio le trote), uccelli e mammiferi (il riccio, la martora o il toporagno). Sott’acqua, i grandi coleotteri tuffatori (Dytiscus) possono predare i tritoni, mentre i piccoli tritoni sulla terra possono essere predati dai coleotteri terricoli (Carabus). I principali nemici delle uova e delle larve sono i coleotteri (scarabei), i pesci, le larve di libellula e altri tritoni.

Quando i tritoni adulti sono in presenza di un predatore, tendono a fuggire. Tuttavia, la decisione se fuggire o no varia in base al genere (maschio o femmina) e alla temperatura del tritone. In un esperimento, le femmine dei tritoni fuggivano più spesso e a una velocità maggiore in un intervallo di temperature più ampio rispetto ai maschi, che tendevano a fuggire a una velocità inferiore e rimanevano immobili, mentre secernevano neurotossina quando la temperatura era oltre l’intervallo comune.

I tritoni adulti minacciati assumono una posizione difensiva, esponendo il ventre e pertanto la colorazione arancione vistosa, piegandosi all’indietro o alzando la coda, e secernono una sostanza lattiginosa. Nel tritone alpino sono state rinvenute solo tracce del veleno tetrodotossina, abbondante nei tritoni del Pacifico nordamericano (Taricha). Talvolta producono anche suoni, dei quali si ignora la funzione. Considerando il vasto areale in cui vivono e le popolazioni che sono gravemente frammentate, il tritone alpino è stato classificato come Least Concern nella Lista Rossa IUCN nel 2009. La tendenza della popolazione è tuttavia «in diminuzione». Le minacce sono simili a quelle che colpiscono gli altri tritoni e comprendono la distruzione e l’inquinamento degli habitat acquatici. Anche l’introduzione di pesci, in particolare salmonidi come le trote, e potenzialmente di gamberi, rappresenta una minaccia significativa che può sradicare le popolazioni da un sito di riproduzione. Un’altra difficoltà rilevante è la mancanza di habitat terrestri adeguati e indisturbati, nonché dei corridoi di dispersione e migrazione tra i siti di riproduzione.

Informazioni

Su www.azione.ch si trova una più ampia galleria fotografica.

*vs. Durata minima media per le batterie a moneta al litio 2032/2025 nei test standard IEC su chiavi elettroniche. I risultati possono variare in base al dispositivo e alle modalità di utilizzo. Le batterie Duracell 2032, 2025 e 2016 hanno un doppio sistema di sicurezza: confezione sicura con doppio blister rinforzato e strato dal sapore disgustoso, per scoraggiare l’ingestione accidentale da parte dei bambini.

Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli già ridotti. Offerte valide solo dal 30.7. al 12.8.2024, fino a esaurimento dello stock.

tutti i prodotti

confezione doppia

valide solo dal 30.07 al 12.08.2024, fino a esaurimento dello stock.

TEMPO LIBERO

Un viaggio all’interno del labirinto di Masone

Non lontano da Parma, a Fontanellato, si trova il giardino labirintico più grande del mondo, realizzato in canne di bambù, che si estende su una superficie di sette ettari

Crea con noi

Con semplici materiali molto colorati si può realizzare un mini giardino tattile perfetto per stimolare la curiosità e il senso del tatto dei bambini

Katja Snozzi, fotoreporter e non solo

Primi piani ◆ Da grande esploratrice del mondo intero, negli ultimi anni la fotografa di Verscio si è dedicata ai volti della gente

Seduti tra il verde di una fresca terrazza affacciata sui tetti di Locarno, dopo un buon espresso e qualche scambio di vedute, Katja Snozzi, fotografa di affermata esperienza, ci racconta il suo lungo percorso professionale di oltre cinquant’anni di attività, in buona parte impiegati a viaggiare per il mondo e fotografare per conto di pubblicazioni e di organizzazioni umanitarie. Un bisogno di muoversi e conoscere altre realtà che affonda probabilmente le sue radici nei primi anni della sua vita: nata a Locarno, Katja Snozzi trascorre poi l’infanzia e l’adolescenza tra Kenya, Svizzera tedesca e Ticino. In questo contesto, la fotografia, come traccia di esperienze vissute, è già pratica comune dei suoi genitori, per cui, quando se ne presenta il momento, la scelta della formazione professionale da seguire viene spontanea.

Scelta anche dettata dalla sua natura solitaria, dall’amore per l’arte e dall’avversione per i lavori in spazi costretti: «Cercavo un’attività che non implicasse il dover lavorare in team. Amavo star sola, nel senso che volevo fare le mie cose, e di certo sapevo che non volevo passare la mia vita in un ufficio». Così s’iscrive in quella che oggi è l’Università delle arti di Zurigo, per poi acquisire il diploma federale in fotografia.

L’incontro con il fotogiornalismo nasce invece per uno strano caso. Dopo la pubblicazione in Austria di un suo libro, Zwischen Flut und Ebbe (1978), Katja viene contattata dall’editore di una rivista viennese di politica e cultura: «Mi chiese se avessi già fatto dei reportage. Alla mia risposta negativa, mi propose comunque di accompagnarlo in Libano dove lui doveva fare un’intervista ad Arafat. Ma sì, mi sono detta, perché no? Probabilmente il virus [del reportage] l’ho preso lì». Benché quell’esperienza non è priva di momenti difficili, per non dire traumatici – «C’era la guerra: vidi il primo morto ammazzato; ero completamente scioccata. Al mio ritorno me la giurai da sola: non avrei mai più fatto una cosa così!» –Katja Snozzi coglie molte altre occasioni, dando così il via al suo percorso pluridecennale di fotogiornalista. Per diverse testate copre situazioni di crisi, conflitti o disastri di varia natura: guerre, carestie, terremoti, alluvioni… Viaggia tra il Medio Oriente, l’Africa, l’Asia e il Sud America. Sente il dovere di documentare queste realtà per rendere attenti, chi non le vive, di quanto accade: «Ero convinta, ed è quello che mi ha sempre spinta a perseverare, che quello che facevo serviva a qualcosa. A differenza di quanto succedeva allora con i servizi televisivi – di un minuto o poco più, troppo veloci per lasciarti qualcosa –la fotografia, se tu la guardi un mi-

nuto, ti rimane dentro. E poi, io volevo far vedere quello che sta dietro alla guerra, con la gente comune, con le donne e i bambini». Si rende presto conto che il fatto di esser donna – tra le pochissime allora sul campo – le porta vantaggio, perché le donne godevano la fiducia di altre donne per cui, più facilmente, oltre a raccontarsi, si lasciavano fotografare.

Con il rullino serviva pazienza: prima di fare la foto – non se ne poteva fare cento – ma anche per svilupparle e stamparle

Erano i tempi in cui i giornali dedicavano ancora molto spazio alla fotografia. I servizi fotografici prendevano forma di documentari, occupavano diverse pagine, le foto venivano stampate anche in grandi dimensioni, perfino su doppie pagine. Si lavorava con la pellicola e non si aveva, come oggi, la possibilità di verificare subito sul display della macchina quello che si era fatto, ma bisognava aspettare di poter sviluppare i rullini prima di sapere com’era andata, magari solo al rientro dal reportage. Parrebbe uno svantaggio, in realtà, ci dice, questo faceva sì che il fotografo fosse più concentrato su quanto faceva e istintivamente, grazie anche all’esperienza, sentisse quando aveva colto l’immagine giusta. Proprio per questo, Snozzi, quando

cominciò a utilizzare macchine digitali per il suo lavoro, restava infastidita dal vedere sempre sul display l’immagine scattata, al punto tale da coprire lo schermetto con uno scotch nero.

Diversamente da oggi – dove la possibilità di ampi interventi in post-produzione infragilisce il valore testimoniale dell’immagine fotografica – con la pellicola, ed è ciò che apprezza Katja, la realtà viene riportata uno a uno, ossia per quello che è. Questo, anche quando è in bianco e nero, com’è il caso per la gran parte del suo lavoro. Anzi, il b/n spesso avvicina l’immagine ancor più all’essenza del soggetto fotografato.

Oggi, con gli avvenuti cambiamenti tecnologici, il lavoro di reporter rappresenta un lusso. Un’infinità d’immagini ci arriva costantemente via internet in tempo – quasi – reale. Sono così tante da passarci via lasciando poche tracce. Ma non solo. Il passaggio al digitale, oltre a produrre un eccesso di effimere foto, fa sì che tutto il procedere sia estremamente compresso e si perda, per il fotografo, la dimensione fattuale e la lentezza che l’accompagna: «Col rullino avevi bisogno anche di pazienza, la pazienza prima di scattare, perché avevi una quantità limitata di film, la pazienza di sviluppare e stampare le immagini. Era tutto un processo, d’ordine artigianale, quasi sensuale. Oggi non fai più niente. Guardi e, puff, è fatto». Forse anche questa è una delle ragioni

per cui lo sguardo di Katja a un certo punto – siamo arrivati nel nuovo millennio – si è rivolto verso altre realtà. Da Berna, dove ha risieduto per oltre tre decenni – lavorando anche per un paio d’anni accreditata, come prima donna fotografa, a Palazzo federale –, Snozzi rientra in Ticino, rifugiandosi a Verscio, proprio nel momento in cui si stavano aggregando i comuni delle Terre di Pedemonte. Realizza allora, siamo nel 2012, una serie di ritratti di cittadini del Comune nascente, pensando a come questo progetto possa suggerire loro un sentimento di appartenenza alla nuova comunità. Sono cento ritratti in bianco e nero, pubblicati nel libro Gente delle Terre di Pedemonte (e varie altre sono le pubblicazioni che ha editato del suo vasto lavoro, in parte fruibile anche nel sito katjasnozzi.ch). Tutte le persone ritratte sono di età diversa, in modo da coprire con i loro volti un secolo della storia di questa terra. Nel realizzare questa serie, Katja Snozzi riscontra quanto belli e forti siano i visi delle persone anziane: «Terminato il lavoro, mi ricordo di aver pensato: più sono anziani, più belli sono. Poche storie, sono dei volti bellissimi». Crea così il progetto di ritratti a centenari, ponendosi di fotografarne cento come traguardo. Grazie a degli aiuti istituzionali, Snozzi arriva a trovarli e a fotografarli realizzando una splendida serie, anche questa pubblicata (Anime centenni, 2016 )

e poi esposta al Museo Vela di Ligornetto con stampe di grande formato. Vicissitudini della vita e il periodo di chiusura legato alla pandemia deviano il suo lavoro fotografico, portandola piuttosto verso una dimensione introspettiva. Sarà proprio da questa condizione, allorché ritrova un rapporto più saldo col mondo – un mondo che ridiventa a colori – che prende avvio una nuova serie, in-Visibilia, ancora in lavorazione, composta da miniature che, come il titolo suggerisce, ci rendono partecipi di uno sguardo volto a quella parte di realtà che, pur stando quotidianamente sotto ai nostri occhi, distratti, non cogliamo. Come ci suggerisce la fotografa, sono immagini che hanno a che fare con la solitudine, figlie di un tempo libero e ozioso nel quale potersi perdere con lo sguardo, lasciandolo galleggiare tra il vedere e il non vedere – tra assenza e presenza – fino a cogliere, all’improvviso, un’immagine. Astrazioni/estrazioni di realtà, dai colori soffusi. Pura fotografia, frutto di un procedere che, a mio avviso, simile a certa disciplina di tiro con l’arco, avvicina quest’arte alla pratica dello zen.

Dove e quando

Le immagini della serie in-Visibilia saranno in mostra presso la Fondazione Ghisla Art di Locarno dal 7 settembre 2024 al 5 gennaio 2025.

Sierra Leone, 2007. (© Katja Snozzi)
Stefano Spinelli
Pagina 16
Pagina 15

L’essenza del viaggio e dell’esplorazione

Itinerario

◆ A Fontanellato, il dedalo di sentieri più grande del mondo fatto in canne di bambù, noto come il labirinto di Masone

Luigi Baldelli, testo e foto

Oggigiorno, e il più delle volte, i viaggi sono programmati per filo e per segno. Si conoscono già la data di partenza, i luoghi da esplorare, il tempo per riposarsi e il tempo per comprendere, si sa già dove dormire e dove mangiare, cosa visitare e cosa no; tempi e luoghi. Difficilmente si esce da una strada già tracciata. Eppure il bello del viaggio sta anche nella scoperta, nel cambiare strada e direzione, uscire dalla via maestra per perdersi e scoprire cose nuove e poi ritrovarsi ancora sul percorso principale per riprendere il viaggio, e andare avanti verso nuove piccole o grandi scoperte. Il viaggio è divertimento, spensieratezza ma anche un modo per imparare a conoscerci, per mettere alla prova paure e certezze, e soprattutto per alimentare la nostra curiosità. Se non si ha tempo e modo di affrontare un viaggio lungo dove prendere da soli le proprie decisioni, si può provare, in piccolo, a fare la stessa esperienza dentro un labirinto, simbolo per eccellenza di viaggio esteriore e interiore.

Non lontano da Parma, a Fontanellato, si trova il labirinto più grande del mondo realizzato in canne di bambù: il labirinto di Masone. Costruito tra il 2005 e il 2015 dal nobile Franco Maria Ricci (1937-2020) famoso in tutto il mondo come collezionista d’arte ed editore, sorge accanto alla casa museo sede di mostre permanenti di sculture e disegni che spaziano dal Cinquecento al Novecento.

Il labirinto si espande su circa sette ettari di terreno per un percorso di circa tre chilometri e le pareti dei suoi viali sono interamente realizzate con più di trecentomila canne di bambù. Geometricamente, la pianta quadrata rimanda ai labirinti dei romani, mentre le spire che muovono verso il centro ricordano quello cretese, il più noto tra i labirinti.

Il labirinto fu inventato più di 5mila anni or sono e la sua costruzione si è tramandata attraverso le epoche, dai greci ai romani, al Medioevo e nei tempi moderni. Una delle grandi fantasie dell’umanità. Prima di realizzarlo, Franco Maria Ricci – da sempre affascinato dai labirinti – aveva parlato a lungo di questo suo desiderio con un caro amico, che era nientemeno che lo scrittore argentino Jorge Luis Borge. Come in tutti i labirinti, l’ingresso sarà anche la porta d’uscita, ma solo quando verrà trovata la strada giusta. Appena entrati ci si ritrova immersi in alte gallerie di canne di bambù e foglie verdi. Dopo pochi metri si è subito confrontati con il primo dilemma: svoltare o andare diritti? Non dimentichiamoci che il fine del labirinto è arrivare al centro dello stesso, benché

tutto dipenda da come ci si arriva. I viali, puliti e pianeggianti e senza barriere architettoniche, invogliano subito al cammino. Non ci sono indicazioni, quindi perdere l’orientamento, girovagare e ritrovarsi nello stesso posto, fa parte dell’esperienza. E, si sa: è bello perdersi, ma è anche bello a un certo punto ritrovare lo stimolo per proseguire, andare avanti nel viaggio e scoprire se poi alla fine la strada intrapresa è quella giusta, se la decisione di voltare a destra invece che andare diritto è stata quella corretta, se rimarremo delusi oppure se ci emozioneremo nel vedere cosa ci sarà in fondo al vialetto, se dietro a quell’angolo la stradina porterà verso il centro del labirinto.

Il bello del labirinto, perdersi, ritrovarsi, decidere, esplorare, conoscere una strada nuova, mettersi in gioco

Durante la passeggiata incontriamo coppie che camminano mano nella mano, comitive di ragazzi che ridono e si divertono nel gioco di trovare il percorso giusto. Camminiamo accompagnati dal fruscìo delle piante di bambù, e dalla luce del sole che filtra tra le foglie e rende piacevole la passeggiata, tanto che non ci accorgiamo del passare del tempo.

La logica a volte ti fa dire di seguire il gruppo, che forse loro sanno come arrivare, altre volte invece l’istinto ti suggerisce di cambiare strada. Ogni viale sembra uguale a quello precedente. Ma non bisogna perdersi d’animo e nemmeno aver fretta: non serve per forza continuare a spron battuto per affrontare il viaggio prendendo decisioni a raffica, ci si può anche prendere il proprio tempo per pensare e riposarsi su una delle panchine che ogni tanto si trovano lungo il percorso.

Dall’altro lato della parete di bambù sentiamo risate e grida di bambini che corrono sotto l’occhio attento dei genitori. Non è inusuale sentirsi chiedere dagli altri visitatori se quella è la direzione che porta alla fine del percorso, al centro del labirinto. Ma nessuno è in grado di dare la risposta. Le certezze che avevamo poco prima spariscono quando comprendiamo di aver sbagliato di nuovo, abbiamo allungato il percorso, siamo finiti fuori rotta. Ma è questo il bello del labirinto, perdersi, ritrovarsi, decidere, esplorare, conoscere una strada nuova, mettersi in gioco. Camminare tra le alti pareti verde smeraldo di bambù è certamente come fare un piccolo viaggio, un viaggio dal tempo lento, scandito dai passi e dall’ambiguità della certezza e del dubbio. Non c’è un programma, non ci sono tappe da rispettare. Andiamo avanti, sceglia-

mo dove fermarci o dove girare e ci domandiamo che cosa si troverà dopo la svolta. A volte veniamo sorpassati da altri visitatori, che all’apparenza sembrano sicuri di dove andare, per poi ritrovarli poco dopo, persi o indecisi su quale strada prendere. Su tutti però aleggia una leggerezza che è quella del divertimento e di sapere che prima o poi si arriverà al centro del labirinto. Ma è anche una sfida con noi stessi. E chi alza bandiera bianca, chi si sente totalmente perso non deve avere paura perché all’ingresso, dopo aver acquistato il biglietto, a ogni ospite viene dato un braccialetto di carta con scritto il numero di telefono per farsi venire a prendere dai custodi che ti riaccompagnano verso l’uscita.

E se viaggiare vuol dire esplorare, il labirinto è forse l’essenza del viaggio e dell’esplorazione. Cercare strade nuove, perdersi e ritrovarsi, è inconsciamente anche un modo per affrontare un viaggio dentro di noi. Ed è così che dovrebbero essere tutti i viaggi, una migrazione e una conoscenza verso nuovi posti, nuove culture e popoli ma anche un cammino per una conoscenza di sé.

Continuiamo a camminare nel labirinto di Masone convinti di essere sempre più vicini alla meta. Il sole si è fatto più alto e sedersi su una panchina all’ombra delle canne di bambù è un ottimo refrigerio. Riposando-

ci possiamo guardare gli altri mentre passano davanti, toccano le canne di bambù e fanno selfie abbracciati, qualcuno ridendo grida «mi sono perso» mentre altri rispondono «siamo qui». Il labirinto è un bel gioco, per grandi e bambini. Dopo poco, riprendo il cammino e un totem con una cartina fornisce un aiuto indicandomi dove mi trovo. Comprendo che non sono lontano dall’arrivo: ok, bisogna andare diritti, poi a sinistra, ancora diritti. E così si arriva alla piazza centrale coi portici, dove d’estate si tengono concerti e feste.

Franco Maria Ricci, quando descrive il suo labirinto ne parla insieme come di un dedalo di sentieri e come di un giardino, intendendo il giardino dell’Eden, che incarna innocenza e felicità. Labirinto perché è fonte di turbamenti: riflette la perplessa esperienza che abbiamo della realtà e la fatica nel percorrere la vita. Ma, aggiunge anche che il labirinto è un percorso dell’anima, un perdersi e ritrovarsi. Un percorso che deve servire a ritrovare la serenità, il silenzio, noi stessi.

Certo, è una bella soddisfazione essere arrivato nel centro del labirinto. Ma forse è ancora più importante il percorso. Perché come diceva T. S. Eliot: «È il viaggio, non la metà, ciò che conta». E il labirinto simboleggia il viaggio che l’uomo deve compiere attraverso le prove e le difficoltà. Ma anche la curiosità, la scoperta e l’ignoto, elementi che devono essere sempre alla base di chi si appresta a viaggiare, anche se fosse solo per una gita fuori porta. Perché spostarsi non vuol dire andare per forza dall’altro capo del mondo. Si può viaggiare anche andando a pochi chilometri da casa, se si affronta il viaggio non con regole ferree ma con la mente aperta. Riassumendo il pensiero di Tagore, si possono vedere monti e mari, ma aprendo gli occhi si può vedere la goccia di rugiada sulla spiga di grano a due passi da casa.

Informazioni

Su www.azione.ch si trova una più ampia galleria fotografica.

Un giardino tutto da toccare

Crea con noi ◆ Ecco come realizzare un mini giardino tattile perfetto per stimolare la curiosità e il senso del tatto dei bambini

Ecco un progetto perfetto per stimolare la curiosità e il senso del tatto dei bambini più piccoli: un mini giardino, con fiori colorati creati utilizzando materiali di uso comune con texture e consistenze diverse. Questo pannello catturerà l’attenzione dei bambini grazie alla varietà di forme e colori utilizzati, permettendovi di dare sfogo alla vostra creatività nella realizzazione.

Procedimento

Come prima cosa rivestite un cartone formato A3 con un panno multiuso. Risvoltate il panno sui 4 lati verso il retro del cartone e fissatelo con del nastro adesivo. Utilizzate una striscia di panno

e del cartone rivestito con colla vinilica e stoffa verde per creare delle verdi colline.

Prima di incollare la collinetta più bassa, praticate due fori nel cartone e, utilizzando un ago da maglia, inserite un filo con delle perle di legno. Fissate sul retro. Riempite 5 palloncini con farina, riso o altri materiali, utilizzando un imbuto e uno stecchino. Annodate poi i palloncini. Create ora altri fiori che siano per forma, colore ed effetto tattile diversi. Su questo quadro hanno trovato posto (da sinistra a destra sulla foto di copertina):

Fiore 1

- Un fiorellino arancio riciclato da una vecchia decorazione

Giochi e passatempi

Cruciverba

La Crooked Forest in Polonia ha circa quattrocento alberi di pino con una particolarità, hanno… Termina la frase leggendo, a soluzione ultimata le lettere nelle caselle evidenziate (Frase: 3, 12, 2, 7, 5)

ORIZZONTALI

1. Attaccante, goleador

5. Un felino

9. Si legano in reste

10. Scatola con i dati di volo

11. Le iniziali della cantante Zilli

13. Articolo

14. Porzione di città

16. Sa scriverla il poeta

17. Piccolo a Parigi

18. Uno spumante

19. Ha un taglio in testa

20. Uccello acquatico

22. Chi vi è segue gli altri

24. Un azzurro scuro

25. Ha i mesi contati

26. Lo ama Fedora

29. Avverbio di tempo

30. Cenerine

31. In genere... sono estremi

32. Pronome poetico

33. Si tocca approdando

34. Comandante arabo

36. Colpiscono il naso

37. Li valuta il perito

VERTICALI

1. Assistono i ladri

2. Nome maschile

3. Le iniziali del velocista statunitense Lyles

4. Per aprirlo si fa scorrere

5. Priva di sollecitudine

6. Desinenza verbale

7. Ci... seguono in cucina

8. Gara di motocross

10. Pronome personale

12. Una consonante

Fiore 2

- Un fiore con 5 palloncini variopinti con al centro una corolla in panno e un tappo grande Fiore 3

- R itagliate un tulipano rosa da un panno multiuso Fiore 4

- Sovrapponete un fiore rosa, un cerchio di feltro giallo, e un disco di cartone ondulato fucsia

- Montate il tutto su un tappo di bottiglia con una puntina di Parigi, permettendo ai dischi di ruotare

Fiore 5

- Create un fiore viola con 7 petali in panno, cuciti tra loro a punto filza. Al centro, usate mezza pallina di polistirolo dipinta di giallo

Steli e foglie:

Cercate materiali verdi come nastri, filati, pulisci pipe, piume, cerniere, resti di cartone o plastica. Create i gambi e le foglie dei fiori utilizzando questi materiali. Utilizzate la vostra fantasia.

Materiale

• Cartone di riciclo formato A3

• Panni multiuso di vario tipo

• Resti di pannolenci colorato, feltro, stoffa e cartone ondulato

• Materiali verdi per steli: nastri, filati, pulisci pipe, piume, cerniere, ecc.

• Filo e perline di legno

• Ago da maglia

• Palloncini colorati, imbuto e stecchino

• Farina, riso o altri materiali per riempire i palloncini

• Feltro e cartone ondulato

• Tappi di bottiglia

• Puntina di Parigi

• Mezza pallina di polistirolo

• Nastro adesivo, colla vinilica e colla a caldo (I materiali li potete trovare presso la vostra filiale Migros con reparto Bricolage o Migros do-it)

Posizionate tutti i fiori, steli e foglie sulla base del quadro. Una volta soddisfatti della composizione, incollate tutto saldamente alla base usando la colla a caldo. Tagliate le eccedenze. Rifinite il retro del quadro con un cartoncino colorato. Buon divertimento con questo progetto creativo! Tutorial completo azione.ch/tempo-libero/passatempi

Sudoku Scoprite i

15. Trafila burocratica

16. Lo Jacopo foscoliano

17. Colmi

18. Monaco ne è il capoluogo

19. Vende a litri

21. Sotto il naso di tutti

22. Pedine... promosse

23. Alberi sempre verdi

27. Ago sottosopra

28. Una discussione con il professore...

30. Sigla bancaria per ingenti bonifici

31. Un liquore

33. Una metà di zero

35. Due quarti dell’anno

Soluzione della settimana precedente PAESE CHE VAI USANZE CHE TROVI – Le persone in Giappone, prima di entrare in un santuario, si… Resto della frase: … SCIACQUANO LE MANI E LA BOCCA

Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell ’apposito

cartolina

intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è

Vinci una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una carta regalo da 50 franchi con il sudoku

Viaggiatori d’Occidente

Overtourism e turisti desiderati

Il turismo può sembrare schizofrenico se visto attraverso la lente dei media. Per cominciare in Europa la stagione sta andando benissimo, con un aumento degli arrivi internazionali intorno al 10% (il doppio per i turisti provenienti dagli Stati Uniti). I grandi eventi sportivi – UEFA Euro 2024 in Germania e i Giochi olimpici di Parigi – senza dubbio danno il loro contributo, ma gli esperti sottolineano anche il carattere strutturale, permanente di questa crescita. Non a caso la domanda sostenuta spinge verso l’alto i prezzi; per esempio le associazioni dei consumatori italiane hanno denunciato un aumento sino al 20% nel costo delle vacanze al mare. Al tempo stesso però in molte destinazioni popolari – Palma di Maiorca, Amsterdam, Venezia, Firenze, Dubrovnik… – si moltiplicano le proteste contro i turisti. Si parla ormai correntemente di Overtourism, di un

turismo invadente, eccessivo, dannoso. Nella maggior parte dei Paesi europei metà della popolazione conosce il problema e reclama qualche misura di contenimento. Dove gli animi sono esasperati, si passa anche alle vie di fatto, come a Barcellona, dove i manifestanti, al grido di Tourists go home!, li hanno bersagliati con pistole ad acqua. Eppure sarebbe sbagliato pensare che nessuno voglia più i turisti. Qualche esempio recente? Il presidente cubano Miguel Díaz-Canel ha ribadito l’invito ai ricchi occidentali perché accorrano in soccorso della traballante economia cubana, che non si è mai veramente ripresa dal crollo dell’Unione Sovietica. L’Albania per parte sua vuole crescere quanto più possibile entro la fine di questo decennio; per tale ragione ha raddoppiato l’aeroporto di Tirana e ne sta costruendo un secondo nel sud del Paese. Il Marocco non ama

Passeggiate svizzere

L’ex cabina telefonica di Vrin

In cima alla Val Lumnezia, toponimo romancio-colpo di fulmine che significa valle della luce, mi rapisce il digradare dei prati. Di un particolare verde lenitivo, si delineano come delle venature o pieghe, in corrispondenza di ogni cambio di pendenza od orientamento del pendio. In particolar modo, questo andamento prativo s’incide negli occhi alle spalle dell’absidiola esagonale bianco calce dell’umile chiesetta settecentesca di Sogn Giusep – il tetto è a scandole in larice ingrigite dal tempo – che punteggia il paesaggio con la sua magnifica semplicità. Il cartello con su Vrin lo avvisto dopo sei ore e venti di cammino. Passeggiata da una valle (Blenio) all’altra, attraverso tutta la Greina: un mondo a sé meritevole forse quasi di un poema epico-cavalleresco. Per intanto, lungo la strada che fiancheggia questo villaggio di duecentocinquantaquattro anime, in uno

spiazzo dove c’era l’ufficio postale e si ferma ancora la posta, accanto a una stalla, a metà pomeriggio verso la fine di luglio, trovo l’ex cabina telefonica di Vrin (1448 m) risalente al 1997. È tutta in legno, ecco la sua peculiarità. Larice, scoloritissimo per la gran parte, tranne una piccola zona sotto la tettoia, color rossiccio volpe con tratti brunastri. Come i rettangolini intermittenti, all’angolo, che mostrano il punto dove l’asse è stata segata. Trentasei assi per un verso, intramezzate ad altrettante assi per l’altro verso, di lato, ormai color cenere. Rivelando così la tecnica atavica a incastro nota come Strickbau, leitmotiv di tutti gli edifici – mattatoio, camera mortuaria, sala multiuso, fermata della posta, case, stalle – di Gion Antoni Caminada. Architetto-carpentiere classe 1957 – nato a Vrin, partito da Vrin, ritornato a vivere a Vrin – di cui non sono proprio fan ma ha l’enorme

Sport in Azione

Frustrazione,

parlare del recente terremoto, per timore di spaventare i potenziali ospiti, e punta a raddoppiare il numero di visitatori entro il 2030, quando ospiterà la Coppa del mondo di calcio insieme a Portogallo e Spagna.

«Conquistiamo i cuori e le menti delle persone aprendo le nostre porte attraverso il turismo» proclama l’Arabia Saudita, un tempo chiusa nella più stretta ortodossia religiosa. Il desiderio di superare la storica dipendenza dell’economia dal petrolio è più forte di ogni altra considerazione. E così, nel quadro del programma Vision 2030, si costruisce una smart city lineare lunga 170 chilometri (The Line), sostenibile e senza auto, e aprono stazioni per gli sport invernali (Trojena) là dove nessuno le avrebbe immaginate. Nella terra del Profeta quest’anno il turismo crescerà del 30%, raggiungendo con sette anni di anticipo sulle tabelle di marcia la soglia psicologica

dei cento milioni di arrivi internazionali, creando dal nulla mezzo milione di posti di lavoro (già ora 1 impiego su 5 è nel turismo).

Insomma, anche se nella comunicazione pubblica questi sviluppi restano spesso in ombra, la maggior parte delle destinazioni cerca in ogni modo di attirare i turisti e con buone ragioni: portano denaro, promuovono l’imprenditoria, creano posti di lavoro, potenziano i servizi, favoriscono l’incontro di culture. Anche dalle nostre parti dunque bisogna stare attenti a non buttare il bambino insieme all’acqua sporca del catino. Da questo punto di vista il nostro famoso vicino, il lago di Como, offre ottimi spunti di riflessione (anche se spesso vengono sprecati per amore di polemica). Qualche tempo fa un ex assessore, Alberto Frigerio, ha posto una domanda provocatoria: «Da giovani sognavamo una città turistica, piena di gente con

voglia di vivere. Ora volete davvero tornare a lavorare in fabbrica?». Probabilmente il problema non è il turismo in sé, ma solo la forma specifica che assume nell’Overtourism. E dunque potremmo chiederci: come lo riconosciamo? Per cominciare l’Overtourism è un turismo mordi e fuggi, con visite di un giorno o comunque soggiorni di breve durata. Questo turista utilizza l’auto oppure, per tratte più lunghe, le compagnie Low Cost. Cerca alloggio tramite Airbnb. Predilige le mete più famose, a volte seguendo il richiamo di qualche celebrità, ricerca i set delle serie televisive o altri luoghi instagrammable ed è largamente dipendente dai social e dalla logica del selfie. Ma anche così l’Overtourism è una malattia pericolosa in un organismo altrimenti sano; va individuato, prevenuto e curato con medicine efficaci, ma senza uccidere il paziente.

pregio del mimetismo. «Quando i visitatori interessati d’architettura arrivano a Vrin da Ilanz, con l’autopostale per esempio, sono spesso stupiti che le costruzioni di Gion Caminada non siano subito visibili» scrive, non per niente, Bettina Schlorhaufer in Cul zuffel e l’aura dado – Gion A. Caminada (2005). E prosegue, proprio nel pezzetto di questa monografia –il cui titolo sono due nomi di venti in vrinerromontsch che influiscono sul paesaggio e sulle persone – dedicato a questa microarchitettura pubblica: «È solo quando l’autopostale svolta nel posteggio che possono vedere il primo dei suoi progetti, la cabina telefonica».

Persa la sua funzione originaria verso il 2015, l’anno della fine per le cabine telefoniche a causa dei telefonini nelle tasche di tutti, oggi, a differenza di molte altre cabine telefoniche dismesse in giro per la Svizzera, non è di-

ventata una bibliocabina. Incastonata accanto a una stalla imbrunita dai secoli, possiede, all’entrata, sospesa su uno zoccolo in beton, una specie di pulpito. Da qui potete osservare per bene i tronchi a incastro della stalla a fianco, ammirare l’orto d’antologia, parlare ai morti nel cimitero. Lì davanti alla chiesa barocca con l’esuberante campanile versicolore con tanto di falso marmo, in contrasto con il resto del villaggio insignito nel 1998 del Premio Wakker – attribuito in onore di Henri-Louis Wakker (18751972), banchiere-imprenditore immobiliare ginevrino che almeno ingaggiò l’architetto Maurice Braillard – come Monte Carasso nel 1993 grazie al tocco in beton di Snozzi. Mentre poi si accorda al resto attraverso il tetto, ricoperto di lastre in pietra metamorfica. Come quelle sopra la stiva da morts, camera mortuaria in legno dove l’architettura-strickbau

sofferenza, ma anche tante emozioni

Si sostiene spesso che il fascino dello sport si concentri soprattutto nella sua capacità di generare belle emozioni. Vero. Non ho dubbi. Non nego però che esistano anche aspetti negativi e deleteri, i quali possono sfociare, ad esempio, nella violenza. Tuttavia, sia pure nella consapevolezza delle derive perniciose che questo fenomeno planetario ci mostra, sono convinto che la forza vitale dello sport, vissuto di sponda quotidianamente nelle nostre case, sia una sorta di farmaco per chi, magari, fatica a trovare serenità nella propria vita relazionale e professionale. Giorni fa, ho incontrato un uomo tetraplegico con gravi difficoltà nell’articolazione della parola. Mi ha confessato che il poter seguire in tv, o allo stadio, le vicende della sua squadra del cuore, gli regala l’energia che lo aiuta a guardare avanti, a trovare una ragione. Uno degli aspetti che mi affa-

scinano del pianeta sport è che molti atleti sono consapevoli di questa loro facoltà, direi quasi di questa loro responsabilità. Ciononostante, restano spesso talmente ingabbiati in questioni tattiche, strategiche, scientifiche, da rischiare di essere trasformati in una sorta di macchina quasi infallibile, e così facendo di erigere un muro tra loro e chi li osanna. Basta però un piccolo graffio in superficie, una domanda fuori dal comune da parte di un giornalista, per liberarli dalla loro prigione e fare affiorare l’essere umano che è in loro. Capita soprattutto nei momenti di difficoltà. Dopo un primo comprensibile trincerarsi dietro un protettivo silenzio, gli atleti costretti al palo sono più disposti ad aprirsi. Anche loro hanno bisogno di nuova linfa vitale. Tre anni fa, ai Giochi Olimpici di Tokyo, lo sport ticinese visse momenti di straordinaria intensità: il ritor-

no di una medaglia «estiva», con Noè Ponti, 21 anni dopo quella conquistata nel 2000 a Sydney dal tiratore Marcel Ansermet; il 5° posto di Ajla Del Ponte nella finale dei cento metri, prima europea, migliore sprinter non afroamericana; la corsa da protagonista del biker Filippo Colombo, capace di duellare con l’élite mondiale; infine la semifinale di Ricky Petrucciani sui 400 piani, dopo l’argento agli Europei. Di lui si disse: «È nata una stella!». Ebbene, solo Noè Ponti potrà ripetersi nell’edizione iniziata tre giorni fa a Parigi. Anzi, il nuotatore losonese potrebbe persino migliorarsi. Luce rossa per gli altri, vuoi per una serie infinita di infortuni (Ajla), vuoi per scelte tecniche discutibili dei selezionatori (Filippo). Dal canto suo Ricky, che potrebbe essere recuperato per la staffetta mista, ha subìto un’insospettabile involuzione. Da potenziali protagonisti a spettato-

ri. Dal palcoscenico al divano. Può essere stimolante, per rialzarsi, ripartire e cercare il riscatto. Ma può essere anche molto doloroso.

L’aspetto che invece può far sorridere noi spettatori è il fatto che, nonostante queste defezioni eccellenti, il Ticino sarà rappresentato da cinque atleti. Oltre a Noè Ponti, vedremo all’opera la ginnasta Lena Bickel; la portacolori della Società federale di ginnastica di Morbio Inferiore, stretta nella morsa di orientali e americane, punta a un posto nella finale a 24. Il bleniese Jason Solari, porta a Parigi ambizioni importanti nella gara di tiro con la pistola ad aria compressa. Per lui e per il suo coach storico Mauro Biasca, la parola «podio» non è tabù. Linda Zanetti, anche se quest’anno sta pedalando un po’ meno forte rispetto alla passata stagione, potrebbe approfittare della meritatissima selezione per fare un ulteriore salto di qualità, soprattutto in

contemporanea di Caminada, senza fronzoli, forse raggiunge l’apice. Posta di sghimbescio rispetto alla chiesa, si orienta verso l’angolo della facciata con la quale è in tinta, visto che è spennellata di bianco caseina. Spira ora un’arietta senza nome; di fronte tonificano la vista i boschi scoscesi di conifere.

Da questo pulpito della cabina da telefon vuota – il cui intreccio basilare, da vicino, adesso mi ricorda quello dello sgabello Ulm (1954) di Max Bill, Hans Gugelot, Paul Hildinger – uno potrebbe anche fare la predica alle galline citando Caminada: «Un villaggio muore se non c’è una comunità». A fianco della strada risalgo con lo sguardo sul declivio di altri prati mesmerizzanti. Dove una merenda con pane e cioccolata, dopotutto, penso sia più che meritata. Pioggerella leggera, mi sdraio esausto, l’arcobaleno.

termini di consapevolezza dei propri mezzi. Infine, in virtù della sorprendente e a volte ruvida legge delle alterne vicende umane, la famiglia Colombo sarà rappresentata dal fratello maggiore di Filippo. Elia non pedala. Veleggia sulla sua tavola da Windsurf Foil che potrebbe tanto confinarlo nelle retrovie, quanto sospingerlo sul podio. Che il buon vento ci metta il suo zampino.

Cinque atleti, sei se ci sarà anche Petrucciani, per un Cantone di circa 350mila abitanti: 1 su 58mila. Su scala nazionale ne avremo 1 su 75mila. Ogni tanto emerge una graduatoria che ci premia come cantone virtuoso. Sarà magari casuale, tuttavia sono convinto che dietro ai fenomeni di élite ci sia l’oscuro, capillare, paziente, appassionato lavoro di una base che, giorno dopo giorno, prepara le fondamenta sulle quali erigere meravigliosi edifici che ci lasciano a bocca aperta.

di Giancarlo Dionisio
di Oliver Scharpf
di Claudio Visentin

Per i professionisti del 1° agosto

19.95 Ghirlanda di luci solari LED per esterni 1,8 m, il pezzo

3.95 Girandola Stella alpina il pezzo 2.95 Bengala Croce svizzera il pezzo

3.95 Lumini 4 pezzi

Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli
M-Budget e quelli già ridotti. Fino a esaurimento dello stock.

ATTUALITÀ

Il rilancio di Kamala Harris

Le novità nella sconcertante corsa alla Casa Bianca in un Paese in bilico tra decadenza e segnali di vitalità

Pagina 21

Ue e Regno Unito più vicini

Con il Governo laburista di Keir Starmer si aprono nuove prospettive di collaborazione, anche sui temi della sicurezza

Pagina 22

Grütli: il praticello della discordia

La Russia guardava a Occidente

Tra il 1997 e il 2014 Mosca partecipava al forum denominato G7, in quegli anni ribattezzato G8, ma la musica è cambiata

Pagina 23

Svizzera ◆ Il luogo dove si celebra il «Natale della Patria» più autentico e significativo è ora al centro di discussioni e diatribe; nel mirino la società che dal lontano 1860 si occupa di gestirlo

Un albergo sul praticello del Grütli? Anche di questo potrete leggere tra qualche riga, in riferimento a un episodio dell’Ottocento. Iniziamo però dall’attualità stretta, visto che quest’anno si prospetta un’edizione piuttosto sottotono del primo di agosto, in quella che viene chiamata anche la «culla della Svizzera». Per la prima volta dal 1949 nessuna personalità di spicco del nostro Paese è stata invitata sul Grütli per tenervi un’allocuzione ufficiale. Per chi non c’è mai stato si tratta di un piccolo pascolo, con tanto di mucche, che si trova sui pendii urani del Seelisberg, a picco sul lago del Quattro Cantoni. Come è noto, secondo i racconti leggendari che ci parlano della nascita della Confederazione, lì si tenne il giuramento che sancì l’alleanza tra i primi tre Cantoni del nostro Paese. Un luogo dal forte contenuto simbolico e identitario su cui, in occasione della festa nazionale, si focalizza l’attenzione del nostro Paese, visto che a giusta ragione il primo di agosto sul Grütli può essere considerato il «Natale della Patria» più autentico e significativo. E questo anche grazie alle tante personalità che negli anni sono state chiamate a prendervi la parola.

Molto discusso è l’orientamento dato alla Società svizzera di utilità pubblica dall’ormai suo ex presidente Nicola Forster

Da notare che il primo consigliere federale invitato a pronunciare la propria allocuzione sul Grütli fu Kaspar Villiger, era il 1999. I nostri ministri dovettero dunque aspettare parecchio tempo, prima di allora si preferì assegnare questo incarico a personalità del mondo culturale o economico del nostro Paese. Anche quest’anno sul praticello ci sarà una cerimonia, questo sì, ma per la prima volta negli ultimi 75 anni si è deciso di darle un profilo piuttosto modesto, l’allocuzione ufficiale è stata affidata ad Anders Stokholm, il neo-presidente della Società svizzera di utilità pubblica, SSUP, non certo un nome noto alla maggior parte dei cittadini del nostro Paese.

Sarà una sorta di primo d’agosto di transizione per questa società che dal lontano 1860 si occupa di gestire il Grütli e che in questi ultimi anni sta vivendo un periodo decisamente travagliato, segnato da una crisi interna e da rapporti sempre più tesi anche con il mondo della politica elvetica. Non per nulla lo scorso mese di aprile il Consiglio nazionale ha tenuto un dibattito sul suo operato, in autunno sarà invece il turno del Con-

siglio degli Stati. Discussioni e diatribe che spiegano la scelta di tenere quest’anno una cerimonia discreta, per evitare di fomentare ulteriori polemiche. Al centro di queste controversie c’è in particolare l’orientamento dato alla SSUP dall’ormai suo ex presidente Nicola Forster, criticato in particolare dall’UDC. In questi ultimi anni, e fino alla scorsa primavera, la sua impostazione sarebbe stata troppo progressista, con poco rispetto per le tradizioni e per il passato del nostro Paese. Nel mirino delle critiche anche la sua candidatura l’anno scorso al Consiglio nazionale per i Verdi liberali zurighesi, di cui è stato co-presidente. Chi gestisce il Grütli, si dice a Berna in particolare tra i partiti del centro-destra, non può essere attivo politicamente.

Ma i rimproveri più sonori riguardano la scelta degli ospiti per la cerimonia del primo di agosto sul praticello del Grütli. E qui va detto che negli ultimi tempi tra gli invitati ci sono stati diversi consiglieri federali, per la maggior parte si è trattato di membri del Partito socialista, nessuno invece del PLR e dell’UDC. Da

qui una mozione in Parlamento e il recente dibattito al Consiglio nazionale, innescato da Thomas Aeschi, il capo-gruppo del partito democentrista. Il suo atto parlamentare chiedeva di revocare il prima possibile la storica convenzione tra la Confederazione e la SSUP per la gestione del Grütli.

I rimproveri più sonori riguardano la scelta degli ospiti per la cerimonia del primo di agosto: troppi socialisti, dicono alcuni

Una proposta che a sorpresa ha ottenuto il sostegno della maggioranza del Nazionale, segno che a essere delusi dall’operato della stessa SSUP non sono soltanto i deputati dell’UDC. E qui val la pena di aprire una parentesi storica. A essere poco conosciuto dal grande pubblico non è soltanto il suo presidente ma l’intera Società svizzera di utilità pubblica. Eppure si può senza dubbio dire che questo ente abbia avuto un ruolo di peso nella storia del nostro Paese. Creata a Zurigo nel 1810, la SSUP

ha di fatto salvato il Grütli da un progetto che nella metà dell’Ottocento mirava a realizzare un albergo proprio sui pendii del Seelisberg. Questa società lanciò allora una raccolta fondi per l’acquisto del praticello. Una volta entrata in possesso di quel fondo, la SSUP decise di donarlo alla Confederazione, con cui venne sottoscritta la convenzione che ora il Consiglio nazionale vorrebbe disdire. Un accordo che assegna alla stessa Società di utilità pubblica il compito di amministrare il Grütli. La storia ci dice dunque che senza quella raccolta di denaro il praticello si troverebbe oggi in mano privata. La SSUP si occupa comunque anche di altro, a lei si devono ad esempio anche la fondazione di associazioni ben più conosciute, come Pro Juventute, Pro Mente Sana e Pro Senectute. Fedele alla sua impostazione filosofica, a metà strada tra tradizione e cambiamento, questa società fu anche all’origine del concorso con cui si era voluto cambiare il testo dell’inno nazionale svizzero. Era il 2013 e quell’iniziativa suscitò già allora diverse polemiche, anche in Parlamento a Berna, a tal punto che

l’inno vincitore di quel bando viene oggi cantato in pochissime occasioni, una proprio il primo di agosto sul Grütli, a fianco però del salmo svizzero ufficiale. Insomma, attorno al praticello anche in passato ci sono state discussioni e malumori. E qui vanno ricordate anche le azioni di disturbo di alcuni movimenti neo-nazisti, proprio in occasione del primo di agosto. Per l’aneddoto va detto che con un’ironica protesta vi fu anche una cerimonia in un primo di aprile, era il 1968, quando i separatisti giurassiani issarono sul Grütli la bandiera del loro Cantone. «Un praticello che è anche un luogo di pellegrinaggio nazionale», scrive lo storico Georg Kreis nel suo Mythos Rütli

«Le attività che vi si svolgono sono esposte alle tendenze politiche e culturali del nostro Paese, e queste ci raccontano soprattutto del presente e meno della nostra storia antica». E il presente ci parla oggi di un braccio di ferro politico per la gestione di questo praticello; al Parlamento in autunno il compito di calmare le acque attorno alla «culla della Svizzera».

Sbandieratori sul praticello del Grütli. (Keystone)
Roberto Porta

Asciugacapelli 4000 Digital blu 7181.261

2200 W, tecnologia agli ioni, regolazione della temperatura tramite touchscreen, funzione aria fredda, display a LED, Incl. 6 inserti e custodia 69.95 55.95 20%

Frullatore a immersione Blend & Chop 810 7180.261

Potenza 810 W, multifunzione 3 in 1 per frullare, sminuzzare e sbattere, base e lame in acciaio inox 59.95 39.95 33%

Bilancia pesapersone Scale Diagnostic 200 7179.862

Memorizza i dati di 8 utenti, misurazione di peso corporeo, percentuale di grasso e acqua nonché massa muscolare e ossea, portata massima di 180 kg

Tecnologia a ultrasuoni, 1 programma di pulizia, 2 livelli di intensità, timer, controllo della pressione, promemoria per la sostituzione della testina, informazioni sulla garanzia soddisfatti o rimborsati su philips.ch/c-w/aktionen/GZG

Essiccatore Dehydrator 540 7174.818

Potenza 540 W, livello di temperatura: 95 °C con regolazione automatica, incl. coperchio trasparente con indicazione dei tempi di essiccazione

*Offerta valida

L’operazione (ri)lancio di Kamala Harris

Stati Uniti ◆ Le novità nella sconcertante corsa alla Casa Bianca in un Paese in bilico tra decadenza e segnali di vitalità

Un candidato, già condannato in tribunale, ha rischiato di morire assassinato, in un episodio segnato dal crollo di efficienza dei Servizi segreti americani. L’altro candidato ha gettato la spugna dopo un lungo assedio per sospetta incapacità. Un partito – il Democratic Party – deve reinventarsi la campagna elettorale a tre mesi dal traguardo. La nuova candidata, Kamala Harris (nella foto), emerge da un lungo periodo nell’ombra, circondata a sua volta da dubbi sulla sua competenza. I livelli di popolarità di tutti sono ai minimi storici. La stima per il Governo e il Parlamento è debole. A chi appartiene questo disastro?

Chi si prenderà la guida di una delle Nazioni più potenti della Terra, mentre nel mondo divampano due guerre dalla portata globale? Potrà la «novità Harris» guarire l’America da sintomi di decadenza così gravi?

Nonostante quello attuale sia il «secolo asiatico», dalla Cina e dall’India si continua a emigrare verso gli Usa, non viceversa

La campagna elettorale del 2024 esibisce tutti i difetti degli Stati Uniti, a cominciare dal male oscuro che affligge la più antica liberaldemocrazia: l’erosione della fiducia nelle istituzioni e l’assenza di uno spirito di unità nazionale. A sinistra come a destra prevale il parere che «l’America è sulla strada sbagliata». Eppure è la più antica Repubblica federalista nella storia, un sistema presidenziale spesso incompreso, con bilanciamenti e contropoteri che in passato hanno salvato questa democrazia da minacce tremende. Ivi compreso dopo il 6 gennaio 2021: l’assalto traumatico a Capitol Hill ebbe un «happy ending» sottovalutato nei suoi significati. Il sociologo Robert Putnam ha inventato un gioco a sorpresa. Comincia con un quadro raccapricciante di tutte le patologie americane: diseguaglianze, polarizzazione politica, razzismo, tensioni sull’immigrazione, corrosione della democrazia.

I segni di un decadimento sono concreti: in primo piano salute, longevità e il peggioramento dell’istruzione

Quando i lettori si sono convinti di avere di fronte una descrizione dell’America di oggi, arriva la sorpresa: quel testo è una sintesi di analisi diffuse tra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento. Cioè un’era che fu seguita dal massimo progresso americano in tutti i campi: dall’economia alla giustizia sociale, dai diritti umani all’istruzione, fino alla costruzione di una leadership planetaria. Un esercizio simile si può fare rivisitando gli anni Sessanta del Novecento. Nei nostri ricordi sono associati a grandi movimenti progressisti: i diritti civili dei black, il pacifismo, il femminismo, la liberazione gay, l’ambientalismo, le lotte studentesche, i «figli dei fiori», una esplosione di creatività artistica. Nella realtà gli anni Sessanta furono segnati dalla violenza, politica e non; da una guerra perduta; dalla convinzione di un declino nazionale, che peraltro molti americani giudicavano meritato. Di nuovo, dopo quel periodo tormentato l’Ameri-

Largo alle giovani

Settimana scorsa Joe Biden ha tenuto un discorso dallo Studio ovale per spiegare le ragioni del suo ritiro. La rinuncia a un secondo mandato non sarebbe da imputare a questioni di salute, bensì alla necessità di fare spazio a una nuova generazione di politici che possano unire il Partito democratico e la Nazione. Il presidente ha evidenziato come il bene degli Usa venga prima delle ambizioni personali e ribadito la forza della democrazia: «L’America è più forte di qualsiasi dittatore o tiranno: la storia, il potere e l’idea dell’America è nelle vostre mani. Ora dovete scegliere tra la speranza e l’odio, tra l’unità e le divisioni». Biden ha poi rinnovato il suo appoggio alla sua vice Kamala Harris: «È esperta, tosta e capace». / Red.

ca sorprese il mondo con una rinascita e una lunga catena di successi: gli anni Ottanta furono ricchi di trionfi economici, tecnologici, culturali. Fino alla vittoria nella guerra fredda contro l’Unione Sovietica. La storia non è destinata a ripetersi. Quei precedenti devono però consigliarci prudenza prima di emettere sentenze definitive sul collasso dell’America e sulla decomposizione della sua democrazia.

Sulle ragioni profonde che stanno dietro l’egemonia americana che cosa ci dice, per esempio, l’immigrazione? Che l’America vista dal Grande sud globale sta molto meglio di quanto pensino i suoi critici. È una terra non solo di benessere materiale ma anche di libertà e diritti (compreso quello di accusarla di ogni male). I tanti aspiranti al «sogno americano» – compresi i giovani cervelli europei in fuga – vi trovano ancora opportunità migliori, grazie a una fiducia nell’impresa e nel mercato che nei Paesi d’o-

2024 è quasi impossibile trovare un punto di unità «valoriale» tra destra e sinistra, salvo una pragmatica convergenza sulla difesa contro la Cina e sulla necessità di reindustrializzare il Paese. Però c’è un principio che unisce davvero i repubblicani e i democratici: la convinzione che il ruolo dell’America nel mondo dipende dalla sua forza interna, dalla sua capacità di curare sé stessa. È possibile, forse è verosimile, che il peso dell’America nel mondo sia destinato a diminuire inesorabilmente. In fondo, è eccezionale: questa nazione di 350 milioni esercita in molti campi un’influenza sproporzionata su un pianeta di 8 miliardi. Gli americani sono appena il 3,5% degli abitanti del pianeta. Neppure ai tempi dell’Impero romano c’era uno squilibrio così vistoso, un’influenza di così pochi su così tanti. Di fronte a questo dato – che dura da un secolo – si può essere ammirati o irritati, stupefatti o indignati: mai indifferenti.

Ora questa sconcertante campagna elettorale è entrata in una fase nuova. Riassumo i cambiamenti più significativi. Il fattore vecchiaia smette di essere un problema per i democratici e di colpo lo diventa per i repubblicani; anche se la grinta dimostrata da Trump in occasione dell’attentato è una risposta efficace ai dubbi sulla sua età. È cominciata subito la «costruzione di Kamala Harris». Il tempo stringe, il Partito democratico deve ripensare tutta la campagna elettorale nell’ultimo rettilineo prima del traguardo. Un traguardo che arriva in anticipo sul 5 novembre: alcuni Stati permettono il voto per corrispondenza già a fine settembre. Ma l’operazione «lancio di Harris» (o rilancio, reinvenzione, visto che i tre anni e mezzo da vice non sono stati un trampolino di popolarità per lei) ha tante ragioni per riuscire. I democratici hanno dalla loro parte la maggioranza dei media e dei social; hanno molti più soldi da ricchi donatori; hanno la macchina di potere della Casa Bianca.

I democratici hanno dalla loro parte la maggioranza dei media e dei social, hanno molti più soldi da ricchi donatori

rigine è soppressa da burocrazie o dispotismi. Nonostante i segnali attendibili che questo ventunesimo sia destinato a diventare il «secolo asiatico», è dalla Cina e dall’India che si continua a emigrare verso gli Stati Uniti, non viceversa.

I segni di un decadimento americano sono reali, concreti, preoccupanti: in primo piano salute e longevità; peggioramento dell’istruzione. Alcuni sono legati tuttavia proprio all’immigrazione, che abbassa sistematicamente le medie dei residenti. Sono compensati da altrettanti segni di vitalità: innovazione a ciclo continuo; dinamismo economico; capacità di cooptare le élite degli altri Paesi, inclusi i «nemici». Il sintomo più preoccupante è il crollo di autostima, ai massimi tra le nuove generazioni. Però qualcosa di simile accadde anche all’inizio del Novecento, poi durante la Grande depressione; e ancora negli anni Sessanta-Settanta. In questa campagna elettorale del

Già si nota che il tono della stampa verso Harris è cambiato. Gli stessi opinionisti che fino a poco tempo fa invocavano altri candidati sottolineando i limiti della vice presidente, si stanno allineando nel coro di elogi e ammirazione verso colei che può diventare la prima donna presidente degli Stati Uniti. Il compito di Harris è meno tremendo di quanto possa apparire. La stragrande maggioranza degli americani dà un voto «di appartenenza», ha già deciso a priori da che parte sta, a prescindere dal candidato. Spesso è anche un voto «contro» l’avversario più che in favore del proprio candidato. Tra le due grandi famiglie politiche i travasi di voti sono rari, lenti, limitati. Harris, per il solo fatto di essere quella che è, e di appartenere a quel partito, parte già con una maggioranza di consensi tra le donne, tra i giovani, tra i black. Deve solo riuscire a ripetere il piccolo exploit (sottolineo piccolo) che Biden riuscì a compiere nel 2020 quando seppe arginare in parte la frana di consensi dalla classe operaia verso i repubblicani.

Keystone

Regno Unito più vicino all’Unione europea

Gran Bretagna ◆ Con il Governo laburista di Starmer si aprono nuove prospettive di

Barbara Gallino

«È un piacere tendere la mano verso tutti voi per conto del mio Paese per esprimere che, sotto la mia guida, la Gran Bretagna sarà uno Stato amico e collaborativo pronto a lavorare con i Paesi europei non come membro dell’Unione europea, ma certamente come membro dell’Europa. Senza focalizzarsi sulle differenze esistenti, ma piuttosto sui valori condivisi, uniti dalla nostra determinazione di difenderli e sicuri di quanto possiamo conseguire insieme». Keir Starmer volta pagina sugli algidi rapporti che hanno segnato l’interazione fra il Regno Unito e la Ue dal controverso referendum del 2016 che ha decretato la Brexit e l’uscita per la prima volta nella storia di un Paese dal blocco. E lo ha espresso in modo inequivocabile.

L’occasione è stato il summit della Comunità politica europea (EPC) a Blenheim Palace nell’Oxfordshire, dove il neo-primo ministro laburista britannico nei giorni scorsi ha fatto gli onori di casa, intrattenendo così incontri bilaterali con i leader di oltre 40 Paesi europei: 27 stati Ue e 20 non Ue. Un palcoscenico perfetto per il debutto sulla scena internazionale del nuovo inquilino di Downing Street. Non è un segreto che il Governo Labour, tornato al timone del Paese dopo 14 anni di leadership Tory, voglia migliorare i rapporti con i partner europei, considerati alleati. Il tempismo del vertice EPC in questo senso è stato dunque eccellente per Starmer, che ha colto l’opportunità per allungare un ramo d’ulivo e discutere di temi urgenti, a cominciare dalla sicurezza.

La sicurezza infatti, in primo luogo, è un ambito di comune interesse fra Regno Unito e Ue. Dalla stipulazione nel dicembre 2020 del Trade Corporation Agreement (TCA) – il trattato che regola i rapporti commerciali fra Londra e Bruxelles – il contesto geopolitico europeo è drasticamente cambiato con il conflitto in corso in Ucraina. Sicurezza, difesa e politica estera non sono sufficientemente regolati dagli accordi esistenti. Se si guarda al Trading Corporation Agreement, ci sono poche disposizioni in materia, se non limitatamente alla cybersicurezza e all’antiterrorismo. Del resto lo stesso ex premier Boris Johnson aveva deciso di non includere questi temi nelle trattative del 2020.

Il tema della sicurezza è considerato dai laburisti come un ottimo modo per ricostruire fiducia e relazioni personali con i membri dell’Unione. Già nella prima settimana di insediamento, infatti, è partita un’intensa serie di iniziative diplomatiche: il neoministro degli Esteri britannico David Lammy ha visitato Germania, Polonia e Svezia. Poi c’è stato il summit della Nato e infine la Gran Bretagna ha ospitato il summit della comunità politica europea.

Il Labour punta a una dichiarazione congiunta con l’Ue su sicurezza e difesa, e la vuole presto, entro sei mesi

L’obiettivo di lungo termine? Il Labour punta a una dichiarazione congiunta con la Ue su sicurezza e difesa e la vuole presto, possibilmente entro sei mesi. Fra i desiderata, anche modalità più strutturate per trattare i temi sicurezza, politica estera e difesa con dialoghi politici bi-annuali fra funzionari e un maggiore impegno di coordinamento con la politica estera e di difesa comunitaria: ad esempio il

Regno Unito potrebbe contribuire ad alcune missioni militari dell’Ue.

«Il Regno Unito intende la sicurezza in senso lato e dunque comprende non solo la sicurezza militare ma anche quella relativa a energia, clima, intelligenza artificiale e persino immigrazione», ha spiegato Jannike Wachoviak, ricercatrice del think tank britannico UK in a Changing Europe (UKiCE) a un incontro organizzato a Londra dall’Associazione stampa estera proprio per discutere sulle future relazioni fra Ue e Gran Bretagna nella nuova era Labour. Questa interpretazione ampia potrebbe costituire un problema per i partner europei visto che si tratta di argomenti che hanno anche risvolti economici e che quindi sono già stati parzialmente coperti e concordati dal TCA.

«Il TCA è strutturato come un grande sandwich: le fette di pane esterne rappresentano le disposizioni quadro ovvero il framework istituzionale, che non ha nulla a che fare con il diritto comunitario per volontà dei relatori soprattutto di parte britannica, e questo è un limite», ha aggiunto Catherine Barnard, vicedirettrice di UKiCE e professoressa di diritto

comunitario a Cambridge. «Anche se il TCA prevede che si possano siglare accordi supplementari, poiché non assegna alcun ruolo alla Corte di giustizia europea, nulla di ambizioso può essere perseguito sulla base del TCA e dovrà essere pertanto oggetto di un accordo separato e apposito».

Sul fronte dell’immigrazione illegale il premier britannico Starmer intanto, oltre ad accantonare prontamente la controversa politica Tory di deportazione in Ruanda dei clandestini, ha rassicurato i partner europei in merito all’impegno del Regno Unito di continuare ad aderire alla Convenzione di Ginevra sui diritti umani che alcuni esponenti del Governo precedente invece avevano minacciato di abbandonare, proprio perché d’intralcio alle espulsioni verso il Paese africano. Starmer ha annunciato piuttosto lo stanziamento di 84 milioni di sterline per progetti in Africa e nel Medio-Oriente volti a fornire istruzione, opportunità lavorative e supporto umanitario, scoraggiando così le partenze e stroncando l’immigrazione illegale «alla radice».

Unione doganale e mercato unico, invece, restano per il momento fuori discussione. «Del resto la questio-

ne non si potrebbe esaurire in una legislatura e il Partito laburista vuole mettere in campo azioni che diano frutti in uno spazio di tempo più breve», ha commentato Anand Menon, direttore di UK in a changing Europe e professore di Politica europea al King’s College di Londra. Anche l’opinione pubblica britannica non sembra propensa a un’altra lunga negoziazione con l’Unione europea. Al momento i sudditi di Sua Maestà pare abbiano accantonato la Brexit e rivolto la propria attenzione all’economia e all’inefficiente servizio sanitario nazionale.

In base agli ultimi sondaggi, se si tornasse indietro, il 58% dei britannici rimarrebbe nell’Unione europea contro il 42% che invece non rinnega la decisione del 2016. Tuttavia la Brexit non rappresenta più una questione prioritaria: se alle elezioni del 2019 lo era per il 73% dei votanti, alle ultime solo il 13% l’ha indicata come tale. Meglio puntare dunque a un riavvicinamento amichevole con l’Ue per il momento, e cambiare registro. Starmer lo ha capito ed espresso con positivi segnali di umiltà, o quantomeno non di arroganza, a differenza dei suoi predecessori.

Keir Starmer (al centro, in prima fila) e altri leader in occasione del summit della Comunità politica europea nell’Oxfordshire. (Keystone)

Quando la Russia strizzava l’occhio all’Occidente

Storia ◆ Tra il 1997 e il 2014 Mosca partecipava al forum denominato G7, in quegli anni ribattezzato G8, ma la musica è cambiata

Alfredo Venturi

Sembra incredibile nei tempi che corrono, contrassegnati dalla guerra che in Ucraina contrappone Russia e Occidente e dalle reciproche minacce di escalation che arrivano a prospettare l’ipotesi dell’annientamento nucleare. Ma fra il 1997 e il 2014 Mosca partecipava a pieno titolo al forum denominato G7, in quegli anni ribattezzato G8. Era il tempo in cui la Russia, emersa dal rovinoso crollo dell’Unione Sovietica, considerava i termini di un’eventuale adesione alla Nato. Proprio la Nato, quella stessa Alleanza atlantica che oggi è percepita a Oriente come l’intima essenza di un Occidente ostile che arma i nemici di Mosca.

In quel 1997 che vide l’adesione formale della Russia eravamo di fronte a elementi geopolitici nuovi, che sembravano avvalorare la tesi che uno studioso americano, Francis Fukuyama, riassunse nel titolo di un celebre saggio, La fine della storia. Era davvero finita la storia con il collasso del sistema sovietico, all’insegna del globalismo e del liberismo occidentale? Niente affatto: quel drammatico susseguirsi di luci e ombre che chiamiamo storia avrebbe presto reclamato il suo diritto di condizionare il nostro destino. Si sarebbe riproposto con nuove sfide, nuove rivalità, nuovi conflitti, nuove pesanti ipoteche sul futuro del mondo.

Durante il G8 di Genova, nel 2001, le forze dell’ordine si scontrarono brutalmente con una massa multinazionale di contestatori

Proprio nei primi anni della parentesi G8 le riunioni del gruppo dovettero fare i conti con accese contestazioni che spesso sfociarono nella guerriglia urbana. Forze anti-sistema, dai gruppi no-global della sinistra alternativa fino ai devastanti black bloc, stringevano d’assedio le sedi degli incontri annuali, repressi da reparti di polizia sempre meno propensi a distinguere la legittima protesta dalla sua degenerazione vandalica.

Il culmine di questa turbolenta stagione si ebbe con il G8 di Genova nel 2001, che mentre gli otto capi di Stato

e di Governo, fra i quali George Bush e Vladimir Putin, discutevano nei saloni del Palazzo Ducale, vide le forze dell’ordine all’assalto di una massa multinazionale di contestatori che comprendeva anche pacifiche organizzazioni studentesche. La polizia aveva istruzioni severissime, uno dei manifestanti fu ucciso, molti i feriti. Le immagini dei ragazzi grondanti di sangue che uscivano da una scuola del centro di Genova fecero il giro del mondo. Era il luglio dell’anno che inaugurava il nuovo secolo e il nuovo millennio: meno di due mesi più tardi la strage delle torri gemelle a New York avrebbe aperto una delle stagioni più cruente della storia. Di fronte alla sfida contestatrice il G8 prese le sue misure, riunendosi negli anni successivi ai fatti di Genova in località difficilmente raggiungibili e facilmente difendibili: nel 2002 la presidenza canadese scelse Kananaskis, una sperduta località montana dell’Alberta. Nel 2024 la presidenza è di nuovo toccata all’Italia, che ha organizzato i lavori a Borgo Egnazia, un posto altrettanto sperduto nel Salento pugliese.

Nel frattempo l’aggravarsi delle tensioni e delle rivalità internazionali aveva ridimensionato il G8 privandolo della presenza russa e trasformandolo di nuovo in G7. La partecipazione di Mosca fu sospesa nel 2014, quando il vertice del gruppo doveva tenersi proprio in Russia, a Sochi, ma l’annessione della Crimea, primo episodio della crisi che sarebbe culminata nella guerra ucraina, aveva provocato la reazione dei Sette. Nel 2017 la Russia, ormai ai ferri corti con l’Occidente, uscì formalmente dal gruppo.

I Paesi BRICS sono uniti dalla comune necessità di lasciarsi alle spalle ciò che resta del sottosviluppo e vogliono togliere il dollaro dal suo piedistallo

Con la nascita e l’affermarsi dei BRICS una nuova architettura delle relazioni internazionali si propose di mandare in archivio la tradizionale tripartizione fra Occidente, blocco sovietico e terzo mondo. Erede prin-

cipale dell’Unione Sovietica, la Russia propose la formula del multilateralismo, in pratica coinvolgendo la potenza sempre più ingombrante della Cina e assieme alla Cina ponendosi a capo di quello che era stato il Terzo mondo. Economie emergenti: alta densità demografica, alti tassi di crescita, superamento di vecchie sudditanze e secolari problemi sociali.

Di fronte a un Occidente ancorato a strutture come il G7 o il FMI ecco dunque la sfida delle nuove potenze, che fanno valere l’enorme massa critica offerta dalla demografia (India e Cina ospitano da sole un terzo della popolazione mondiale) e gli impetuosi tassi di aumento del Prodotto interno lordo. I Paesi BRICS sono uniti dalla comune necessità di lasciarsi alle spalle ciò che resta del sottosviluppo. Uniti anche da un sogno, quello di rivoluzionare il sistema internazionale dei pagamenti facendo scendere il dollaro americano dal suo piedistallo e sostituendolo con una valuta comune.

I due blocchi, a ben vedere, sono tutt’altro che compatti. Le due potenze maggiori dei BRICS, Russia e

Percepisco un assegno mensile per

i figli:

sarebbe opportuno investirne una parte?

Cina, non hanno certo la stessa visione: la prima considera il gruppo per la sua valenza ideologica e politica, la seconda guarda piuttosto all’occasione per fare buoni affari e riprendere la crescita tumultuosa degli anni scorsi. Alcuni fra i BRICS sono divisi da storici contenziosi, si pensi all’antica ruggine fra Cina e India e alle loro irrisolte questioni di confine, o al problematico rapporto fra Iran e Arabia Saudita. Inoltre molti fra gli appartenenti al gruppo si concedono disinvolti giri di valzer nel campo avverso: come il Brasile che sceglie il Giappone per organizzare il salvataggio ecologico dell’Amazzonia. O i numerosi BRICS che accettarono l’invito al G8 italiano che aveva in agenda anche i temi dell’Africa e dell’Indo-Pacifico. Del resto anche il campo occidentale si concede qualche distrazione, basti pensare al caso turco, che chiama in causa la massima potenza convenzionale della Nato. Paese bicontinentale, a lungo sulla soglia dell’Unione europea, la Turchia guarda ai BRICS con attenzione e simpatia, senza escludere una possibile adesione.

La consulenza della Banca Migros ◆ Con un investimento in azioni è possibile moltiplicare questo denaro che costituisce una buona base per spese future quali la formazione, l’università o l’inizio della vita professionale

Se si desidera creare una riserva finanziaria per i figli conviene investire l’assegno o anche solo una parte di questo. Ciò presuppone, tuttavia, che si disponga di sufficienti ulteriori risorse finanziarie per provvedere al loro sostentamento, perché proprio a questo scopo sono previsti gli assegni. Questi ultimi vengono versati mensilmente per ogni figlio fino al 16esimo anno di età. L’importo dell’assegno varia da Cantone a Cantone, ma ammonta almeno a 200 franchi al mese.

Con un investimento in azioni è possibile moltiplicare questo denaro che costituisce una buona base per spese future quali la formazione, l’u-

niversità o l’inizio della vita professionale. Dai calcoli effettuati dalla Banca Migros si evince che, a lungo termine, si ottengono rendimenti maggiori rispetto a quelli ottenuti tenendo il denaro sul conto di risparmio.

Immaginiamo per esempio che il proprio figlio o la propria figlia sia nato/a a gennaio del 2008 e che da allora si investano ogni mese 50 franchi nello Swiss Performance Index (SPI), un indice con oltre 200 azioni svizzere. Il momento in cui è stato fatto l’investimento era sfavorevole: eravamo in piena crisi finanziaria. A partire dal 2010 i mercati finanziari si sono costantemente ripresi e l’inve-

stimento è cresciuto, permettendo in questo modo di beneficiare dell’effetto degli interessi composti, ovvero i proventi conseguiti dagli investimenti sono stati costantemente reinvestiti. Il denaro si è quindi moltiplicato da solo. A giugno 2024 il patrimonio ammonta quindi a 19’091 franchi. Se lo stesso importo fosse stato versato ogni mese su un conto di risparmio, i proventi sarebbero stati nettamente inferiori: 10’072 franchi. In tal modo, gli averi sul conto di risparmio sarebbero cresciuti solo di circa la metà rispetto agli investimenti in azioni a causa dei bassi tassi d’interesse sui risparmi. Con l’attuale 0,75% all’anno, questi sono

nettamente inferiori rispetto ai rendimenti azionari medi che gli investitori possono raggiungere durante un orizzonte d’investimento superiore ai 16 anni. Il bilancio sarebbe ancora migliore se ogni mese fosse stato investito l’intero assegno per i figli di 200 franchi: con le azioni si sarebbero ottenuti alla fine proventi pari a 76’367 franchi. Al contrario, con un investimento sul conto di risparmio, la somma ammonterebbe a soli 40’289 franchi. Non importa quanto denaro venga investito: investendo gli assegni per i figli in azioni, a lungo termine ne beneficiano sia la persona che effettua l’investimento che i suoi figli.

Sven Illi, consulente alla clientela della Banca Migros.
Foto ufficiale del G8 del 2002, tenutosi in Canada (Kananaskis). Da destra: Jacques Chirac, Silvio Berlusconi, George W. Bush, Tony Blair, Vladimir Putin, Junichiro Koizumi, Romano Prodi (allora presidente della Commissione europea) e Jean Chrétien. (Keystone)

Il Mercato e la Piazza

Andiamo piano ma piuttosto lontano

La Seco ha distribuito, qualche settimana fa, il suo rapporto congiunturale trimestrale che contiene i primi dati sull’evoluzione dell’economia svizzera durante il 2024. Riguardano il suo andamento nel primo trimestre, da gennaio a marzo. Il tasso di crescita del Prodotto interno lordo per il primo trimestre dell’anno è stato pari allo 0,3%. Si tratta di un valore modesto che però, stando alla Seco, si trova al margine superiore di quelle che erano le attese degli specialisti. Andiamo piano quindi, ma senza grosse preoccupazioni. Guardando fuori dal finestrino vediamo invece realtà meno attraenti. Sappiamo che, nei Paesi dell’Ue, in particolare in Germania, la situazione congiunturale è critica. Stando ai dati più recenti, il Pil della Svizzera è cresciuto dell’1,3% nel 2023, crescerà dell’1,2% quest’anno e dell’1,7% l’anno prossimo. I tassi di crescita del Pil per l’Ue sono in-

Affari Esteri

vece 0,4% nel 2023, 1% quest’anno e 1,6% nel 2025. Per la zona Euro nella quale si trovano alcuni tra i più importanti partner commerciali della Svizzera i tassi di crescita del Pil sarebbero: 0,4% nel 2023, 0,8% nel 2024 e 1,6% nel 2025. Questi tassi inducono a pensare che l’economia Svizzera cresca per la crescita degli aggregati interni della domanda globale visto che i nostri partner commerciali europei più importanti stanno passando per un periodo di stagnazione. Sì, questo è vero sebbene i consumi privati che, nel 2023, avevano praticamente trascinato da soli la nostra economia, quest’anno conosceranno un tasso di crescita molto minore. Ma per fortuna a salvare capra e cavoli interverranno gli aumenti del tasso di variazione dei consumi pubblici e degli investimenti nelle costruzioni. Per effetto di queste variazioni le componenti interne della domanda globale assicureran-

no quest’anno un contributo al Pil leggermente superiore a quello assicurato dagli scambi con il resto del mondo. Questi dati sono al netto delle variazioni dovuti a grandi eventi sportivi. Da qualche anno l’Ufficio federale di statistica si dà la pena di calcolare quale possa essere l’impatto di questi eventi sulla contabilità nazionale. Questo perché la Svizzera non solo ospita la sede di importanti organizzazioni sportive internazionali ma, di fatto, è anche la banca di queste organizzazioni che possono compiere transazioni miliardarie quando organizzano campionati mondiali, europei o Giochi olimpici. È questo per l’appunto il caso di quest’anno dove, tra campionati europei di calcio e Olimpiadi di Parigi, i grandi eventi sportivi garantiranno alla nostra economia un valore aggiunto pari allo 0.4% del Pil. In altre parole, se non scorporiamo questo contributo, il tasso di crescita

I due «scudi» di Ursula von der Leyen

Ursula von der Leyen è stata confermata alla presidenza della Commissione europea con più voti parlamentari della sua prima volta grazie in particolare al sostegno dei Verdi: di fronte alla minaccia dell’estrema destra – che controlla circa 200 seggi nell’Assemblea di Strasburgo – hanno deciso di unirsi alla coalizione europeista pure se il «green deal», spilletta del primo mandato di von der Leyen, non è più una priorità. I voti dei Verdi sono stati decisivi, perché nelle famiglie dei conservatori (quella di von der Leyen), dei socialisti e dei liberali ci sono state alcune defezioni. C’è un dato che ha incuriosito i commentatori: la Francia ha votato contro la presidente della Commissione. Ci sono attualmente 81 eurodeputati francesi e solo 26 di loro hanno approvato la riconferma, cioè i socialisti e i liberali (almeno così pare, il voto è segreto). Ma gli altri, che comprendono altri gruppi

di destra, i Verdi e la France insoumise hanno votato contro. Questo esito è un po’ lo specchio della Francia di questo momento, alle prese con una trasformazione che non è la catastrofe che molti avevano previsto prima del voto anticipato ma che comunque denuncia un po’ di instabilità. Il presidente Emmanuel Macron aveva indicato von der Leyen per la riconferma, nonostante avesse fatto un po’ pesare questo suo sostegno, almeno prima del voto europeo del 9 giugno: ora la sua battaglia sarà quella di confermare il commissario francese della scorsa legislatura, Thierry Breton, che ha avuto parecchi dissapori con von der Leyen. Un altro elemento rilevante per la presidente della Commissione è che il suo partito, il Ppe, si conferma egemone in Europa. Al potere da 20 anni nell’Ue, con anche la riconferma di Roberta Metsola alla presidenza del Parlamento europeo, e almeno 13

commissari nel prossimo Esecutivo, il Ppe esce rafforzato dal voto: alcuni esperti dicono che è l’unica formazione che si muove davvero come un partito e non come la sommatoria di partiti nazionali con obiettivi diversi. Questo non vuol dire che non ci siano state delle divisioni, anzi von der Leyen conosce molto bene il disamore dei suoi stessi compagni di partito, ma la macchina che ora permette di occupare posizioni chiave a Bruxelles funziona in modo molto efficace. Che cosa vorrà farsene, von der Leyen, del suo secondo mandato? C’è il bilancio del primo a dare qualche indicazione. Intanto la presidente della Commissione è una leader cauta e calcolatrice, abituata a vedere come si posizionano i capi di Stato di Governo più influenti e poi decidere. A Bruxelles molti dicono, in modo talvolta ingiusto, che von der Leyen è in ritardo sulle cose ogni volta di sei mesi. Una volta Mario Draghi, quan-

del Pil svizzero sarebbe nel 2023 pari all’1,6%, vale a dire un terzo di più del tasso al netto degli effetti in questione. Questo divario suggerisce due cose: in primo luogo che la Svizzera ha tutto l’interesse a conservare le sedi delle grandi organizzazioni sportive internazionali, facendo precetto del motto «too big to leave». Secondariamente che ai conti della nostra contabilità nazionale andrebbe aggiunto, per ottenere un’informazione più trasparente sulla consistenza effettiva delle prestazioni della nostra economia, un conto nuovo: quello delle organizzazioni sportive internazionali con i loro flussi miliardari. Anche per meglio considerare la funzione di stampella che le organizzazioni sportive internazionali esercitano nel sostenere la crescita dell’economia del nostro Paese. Per il 2025 la Seco si attende un miglioramento della situazione, un ritorno a tassi di crescita vicini al-

la media degli ultimi dieci anni. La spinta dovrebbe venire dalle componenti interne della domanda globale, in particolare dagli investimenti nelle costruzioni e nelle attrezzature. Il tasso di variazione dei consumi privati aumenterà; quello dei consumi pubblici invece si ridurrà (decreti Morisoli?).

Ancora un’osservazione a proposito di inflazione e disoccupazione. Stando alle previsioni della Seco, la prima dovrebbe diminuire dall’1,4% di quest’anno all’1,1%; la seconda invece dovrebbe aumentare dal 2,4% al 2,6%. E così la legge di Phillips sarebbe di nuovo confermata: quando i prezzi diminuiscono aumenta la disoccupazione.

Tutto questo in uno scenario in cui, come si precisava all’inizio di quest’articolo, tutto continuerà a muoversi adagio e, speriamo, senza grandi scossoni.

do era presidente del Consiglio italiano, le aveva chiesto se soffrisse di un deficit cognitivo perché, di fronte alla crisi energetica scatenata dall’invasione di Vladimir Putin in Ucraina, von der Leyen si era mossa molto lentamente. In realtà era la Germania che ci mise più degli altri a realizzare che la dipendenza dalle risorse russe andava riconvertita, e von der Leyen i ritmi e le esigenze tedesche le ha sempre rispettate. Questo è uno dei tratti della sua leadership: dare la priorità alla Germania e cercare di mantenere consenso ed equilibrio in un perenne negoziato. Il caso ungherese è lì a dimostrarlo, ancor più ora che il Paese ha la presidenza del semestre europeo (che Viktor Orban usa per evidenziare tutte le disfunzionalità europee, oltre che per fare visite non concordate a Putin). Non che l’Ungheria sia di facile gestione per nessuno, ma von der Leyen ha fatto particolare fatica a ovviare all’ostru-

Quel fatidico primo agosto e il sud della Svizzera

Sbrigate le pratiche, la buralista postale mi chiede se al conto delle cedole mensili voglio aggiungere anche uno scudo per il nuovo distintivo del primo agosto. Stavo dicendo di no, ma guardando l’offerta esposta ho trovato originale, simpatica anche, la proposta di Pro Patria per il 2024. Subito me lo sono appuntato su una sorta di gilet estivo che con le sue mille tasche mi consente di evitare le giacche. Il distintivo di quest’anno riproduce in miniatura uno dei millanta cartelli che vediamo nei boschi e sui monti per segnalare sentieri e mete di escursioni. Il motto per ricordare il Natale della patria è infatti «Escursionismo, lo sport popolare». Mi soffermo poi sulle quattro località indicate e noto che hanno un riferimento orario. Subito la cortese buralista risponde al solito azzeccagarbugli che sono io e mi spiega che quelli

indicati sono i tempi di percorrenza (ovviamente a piedi e in ore, trattandosi di escursionismo), cioè le ore di cammino necessarie a chi, partendo dalla sede centrale di Pro Patria a Zurigo, vuol toccare quattro luoghi «culturalmente significativi» della Confederazione. Distintivo patriottico al 100 per cento insomma. Che una volta appuntato sul gilet mi causa un effetto inatteso: camminando si muove e «chiama» continuamente la coda dell’occhio. Mi trovo così a rimuginare pensieri su Pro Patria e alla fine anche sulle destinazioni indicate: Rütli raggiungibile in 19 ore; San Gottardo 23 ore; Gruyères 41 ore e Val Mustair 56 ore. Come si legge sul sito di Pro Patria, l’ente utilizza i fondi raccolti per la promozione di progetti di tipo culturale e sociale in tutta la Svizzera «al fine di mantenere vivo il ricordo del-

la nascita della Confederazione e (…) s’impegna a favore di una Svizzera che, con la sua diversità, offre un luogo d’accoglienza per tutti». La fondazione, nel concreto, promuove progetti in ambito culturale che creino opportunità di incontro e di scambio per la popolazione, sostenendo la varietà culturale del Paese. Pensieri belli insomma, che Pro Patria rinnova ogni anno per lanciare il primo agosto il suo ormai più che centenario messaggio di unione delle quattro parti che compongono la Svizzera. Così anche il distintivo 2024 (in omaggio al 90esimo anniversario della creazione dei sentieri escursionistici) indica quattro mete: il praticello del Rütli (inevitabile) per gli svizzero-tedeschi, la regione della Gruyère per la Romandia e la valle Monastero per il romancio, mentre per il sud e per l’italiano figura il

San Gottardo. Strano, tanto più che nella pubblicazione che accompagna il lancio di questo distintivo come meta per il Ticino figura l’escursione per visitare il nucleo di Curzútt e il ponte tibetano sopra Sementina. Perché allora il San Gottardo, come punto più «sudista» e non, tanto per dire, il Malcantone o il sentiero del Penz? A questo punto risulta più patriottica l’offerta dello chef di un ristorante stellato di Paradiso (vista su golfo e fuochi d’artificio) che per la sera del primo agosto propone un Benvenuto con cannoncino di bratwurst, Bigné raclette, Tartelletta zincarlin e lamponi, Baslermehlsuppe, Salmerino in carpione; Rösti con salmone affumicato ed erbe fini; Ravioli di fonduta e consommé di pane bigio; Puntine al barbecue con mais, crème fraîche e misticanze; Torta zurighese (ovvio, il federalismo cul-

zionismo di Budapest e ora aggiunge anche l’Italia di Giorgia Meloni tra i Paesi probabilmente ostili. Negoziazioni a parte, le priorità di von der Leyen saranno meno «verdi» e più rivolte alla difesa e al miglioramento della qualità della vita degli europei. Nel suo discorso al Parlamento europeo e nel manifesto che ha consegnato agli europarlamentari prima del voto di conferma, ha detto parole ispirate per quel che riguarda l’ambizione alla prosperità, alla democrazia e alla libertà. In modo più pratico, ha lanciato due «scudi» di protezione dell’Ue, uno aereo (la cui fattibilità è già molto discussa) e uno «democratico», contro la manipolazione delle informazioni e le interferenze straniere, in coordinamento con le agenzie presenti in ogni Stato. È l’assetto con cui l’Ue si presenta di fronte al terzo anno di guerra e alle turbolenze americane, verso cui il motto è: siamo pronti a tutto.

turale legato alla gastronomia costa molto più del distintivo dei sentieri). Rimuginando sull’astruso poker di Pro Patria, alla fine mi torna in mente anche la storia già raccontata di un’esercitazione in grigioverde di mezzo secolo fa a Friborgo, con un drappello di giornalisti ticinesi guidati dall’ex procuratore pubblico Gabriello Patocchi. Alla fine resoconto e critica, di fronte allo Stato maggiore dello Stato maggiore dell’esercito, con l’avv. Patocchi impegnato in una forbita arringa (in equilibrio tra il magistrale e il surreale più tra il serio e il faceto) per denunciare l’esercizio strategico come chiara dimostrazione di quanto il Ticino conti poco per Berna, visto che prevedeva una linea di difesa solo a partire da Biasca, sacrificando al nemico che attaccava da sud tutto quanto c’è a meridione! Vuoi vedere che ora la linea è al San Gottardo?

di Angelo Rossi
di Paola Peduzzi
di Ovidio Biffi

Come creare il piatto perfetto per l’aperitivo

1. Scegli una base adatta

Si addicono dei bei taglieri decorati di legno, piatti grandi o vassoi da portata, ma vanno bene anche dei normali taglieri un po’ più grandi.

2. Fai uno schizzo

Per farti un’idea di quanti ingredienti mettere sul tagliere o sul piatto, val la pena fare uno schizzo prima di andare a fare la spesa. In questo modo riesci a calcolare le dosi dei singoli prodotti e a capire se la disposizione del piatto funziona. Inoltre eviti di dover spostare di continuo i prodotti freschi. Per motivi d’igiene è sempre meglio toccarli solo una volta quando li disponi sul piatto.

3. Concentrati su determinati ingredienti

Rifletti su cosa vuoi concentrarti: verdure come carote o ravanelli con le foglie, formaggio stagionato, affettati o burro? Dovresti puntare soprattutto su questi ingredienti.

4. Definisci cosa mettere al centro

Scegli due cose attorno alle quali disporre poi gli altri ingredienti. Potrebbe essere un formaggio rotondo o una ciotolina con un dip. Questo consente di creare un

certo ordine sul piatto e facilitare il riempimento dello spazio rimanente. Puoi lasciare interi o dividere a metà i pezzi di carne e formaggio più grandi e mettere a disposizione dei commensali un coltello per il resto.

5. Affina la presentazione guarnendola

Disponi gli altri ingredienti drappeggiandoli intorno a questi oggetti centrali e guarnisci con della frutta come bacche, mango, ananas o frutta secca. Completa infine il piatto con erbe aromatiche fresche, fiori commestibili, germogli e altre decorazioni.

6. Programma tempo a sufficienza

Consiglio per la preparazione: se prepari il piatto poco prima dell’aperitivo, dovresti iniziare circa un’ora prima dell’arrivo degli ospiti. Il piatto non va rimesso al fresco, ad eccezione del butter board. Lascia ammorbidire il burro, distribuiscilo sul piatto, decoralo e fallo raffreddare il più a lungo possibile. Se vuoi preparare il piatto degli aperitivi con anticipo, toglilo dal frigorifero 30 minuti prima dell’arrivo degli ospiti e decoralo solo allora.

Vuoi stupire i tuoi ospiti con un piatto per l’aperitivo colorato? Non c’è problema! Con questi consigli crei tante composizioni diverse

Piatto di formaggi di montagna con semolino ai mirtilli rossi

Un tagliere ricco di formaggi, salsiz e prosciutto crudo serviti con semolino ai mirtilli rossi aggiunge sapore e dona anche colore alla tavola.

Verdure variopinte con dip all’harissa

Uno snack appetitoso per le feste e l’aperitivo. La gustosa salsina con feta e harissa dà gusto alle verdure crude come carote, indivia belga, cetrioli e peperoni.

APERITIVO Gusto

Butter board alla frutta

(Per 6 persone)

olio per ungere

ca.100 g d’alchechengi

30 g di noci, ad es. noci e nocciole

ca. 21/2 cucchiai di perle di lampone

10 g di microgreen

2 cucchiaini di miele di fiori liquido peperoncino affumicato

Burro alla noce

200 g di burro, morbido

2 cucchiai d’olio di noce

1 cucchiaio di succo di limone

1 presa di zucchero, di fleur de sel e di pepe

1. Per il burro alla noce, lavora a spuma il burro in una scodella con l’olio di noce, il succo di limone e lo zucchero con uno sbattitore elettrico. Condisci con sale e pepe.

2. Ungi un tagliere (board) di legno bello grande con poco olio. Spalmaci sopra il burro. Metti da parte alcuni alchechengi per guarnire, taglia il resto della frutta a fette. Aggiungi tutti gli ingredienti fino ai microgreen compresi, poi irrora con il miele e cospargi con i fiocchi di peperoncino. Servi subito il butter board oppure mettilo in frigorifero fino al momento di servire. Ideale da accompagnare con panini per l’aperitivo.

Consigli utili

Il burro sul tagliere può essere decorato e aromatizzato a piacimento con semi di frutti della passione, chicchi di melagrana, mandarini, cachi, datteri, fichi, marmellata, erbe, spezie, scorza di agrumi. Il burro a temperatura ambiente va spalmato su un tagliere o un piatto piano grande.

Tagliere di formaggi saporiti con patate rosolate

Roquefort, sbrinz e appenzeller sono tre formaggi dal sapore marcato che si abbinano con le patate rosolate. Un piatto saporito per un aperitivo o un buffet.

Ricetta
già ridotti.

CULTURA

L’esperienza poetica di Vittorio Sereni

Christian Genetelli indaga la lirica del poeta e scrittore italiano nel volume edito da Carocci

Sereni: Ancora sulla strada di Zenna

Pagina 31

La Cena di Emmaus

Custodita al Musée Jacquemart-André, è una piccola tela che appartiene all’opera giovanile di Rembrandt ed è totalmente rivoluzionaria

Pagina 33

Camaleontica Mélissa Guex

Dal percorso artistico all’esperienza sul palco con il batterista Clément Grin, l’artista e performer giurassiana si racconta

Pagina 35

Napoli letteraria, sensuale e sorniona

Pubblicazioni ◆ Nel suo Il Sole non bagna Napoli Antonella Cilento ci accompagna in un viaggio di profondità e di vette

Marta Morazzoni

Napoli è una città difficile. Io, per esempio, sono tra quelli che, sul lungomare di Chiaia, alzano gli occhi verso la collina del Vomero e pensano alla fortuna di Goethe che l’ha vista in ben altra veste, nel verde di orti e giardini. Io vedo case e case, un ammasso edilizio a volte malridotto, molto spesso abusivo, che soffoca il respiro. Capisco Giorgio Manganelli che, arrivato qui, si guardò intorno e, spaventato, salì sul primo treno che tornava a Milano. E allora mi affido agli occhi di una napoletana che da tempo e con la pazienza apre gli occhi miei e di tutti su quello che non sappiamo vedere.

Lo sguardo di Antonella Cilento ne Il sole non bagna Napoli, (il titolo è una citazione d’affetto) è quello stregato da luci e ombre di questa terra tipico di chi la conosce con lucidità e passione e ne sa la misura. Anch’io sto imparando che Napoli chiede tempo e sapienza nell’affronto delle sue quattro dimensioni: altezza, larghezza, profondità. La quarta dimensione è l’affetto. Sembrerebbe la più pericolosa, se non fosse che in questo libro è accompagnata dalla capacità critica e quindi dalla voce della ragione che aiuta a filtrare le emozioni.

«Napoli è un lento viaggio di profondità e di vette» scrive Antonella Cilento, preannunciando l’itinerario che ci propone, e non è una metafora: penso alla pancia del Vesuvio dentro cui ribolle il magma (nella foto si vede sullo sfondo) che agita anche i Campi Flegrei, penso alla vertigine di luce

del Cristo alla colonna del Caravaggio e il rosso e l’oro della Maddalena del Masaccio a Capodimonte. Riconosco i colori che accendono il golfo visto da Sant’Elmo, e per contro l’ombra dei vicoli dove si può camminare a qualsiasi ora del giorno senza essere disturbati dalla prepotenza del sole. A proposito! Esiste una guida che spiega come percorrere la città al riparo dalla sua luminosa ferocia. Esiste, ma dove trovarla? Chi l’ha scritta? Si chiamerebbe (il condizionale è necessario) Napoli senza sole, ne parla anche Alexandre Dumas, ma chi ha mai avuto tra le mani questo libro? Chi l’ha utilizzato? Sembra un gioco di immaginazione, una storia degna di Borges, suggerisce Antonella Cilento, e in questo modo lascia che lieviti la leggenda, si muova la fantasia intorno a suggestioni che la realtà non sa smentire, e forse non vuole smentirle! Sono dettagli che dicono quanto sia difficile afferrare in una sola definizione la città che è diventata mitologica attraverso la sua gente, attraverso lo sguardo di artisti di ogni genere e tempo, che l’hanno utilizzata come scenario delle loro invenzioni.

Ma lasciamo sbiadire il colore facile del folclore e teniamoci alla realtà che ci passa sotto gli occhi, se ci addentriamo nel dedalo di vie e piazze a cui l’autrice ci introduce con affetto e ironia, carattere quest’ultimo imprescindibile nello spirito partenopeo e necessario per capire il luogo in cui gli opposti armonizzano, tragico e comi-

co coabitano. Ho negli occhi la maschera incavata e nell’orecchio il timbro della voce di Eduardo nel finale di Napoli milionaria: «Adda passà a nuttata». Fatalismo, fiducia, filosofia di vita: tutto sta in questo magma antropologico che si muove tra letteratura e vita, tra i palazzi signorili e i vicoli di Spaccanapoli. È naturale che mito e storia nella prosa di Antonella Cilento si facciano largo e abitino la città: Napoli nasce prima di Micene. E per inciso Micene rinasce grazie a Napoli. Se non fossero cominciati, pur nell’imperizia entusiasta dei ricercatori, gli scavi di Pompei e Ercolano, se non fosse stato per Giuseppe Fiorelli, il primo a muoversi metodicamente alla ricerca delle città sepolte, forse Schliemann non si sarebbe avventurato alla scoperta di Troia prima, di Micene e Argo poi. È un’interdipendenza fatta di suggestioni, ma c’è qualcosa di vero. Verissime e certe invece le tante testimonianze, citate dall’autrice, di scrittori, studiosi, artisti che sono passati di qui e hanno cercato di carpirne il segreto, o si sono arresi alla sensualità sorniona (possibile che esista questo ossimoro?) della terra tra cielo e mare, protetta da un castello che si regge su un uovo! Leggende e storia, verrebbe da dire storie, senza che ci sia alcunché di denigratorio nell’uso del plurale. Napoli ne ha viste e vissute tante. La città colta di Roberto d’Angiò, amatissima anche dall’imperatore Carlo V, che circa un secolo dopo si ribella agli spagnoli con Ma-

saniello, per essere poi punita – vox populi – dalla peste, quella secentesca che affratella tragicamente il sud e il nord dell’Italia; Napoli alimenta il sogno di Murat di farla capitale del suo regno, un regno senza fortuna. E prima, a proposito di storie, il Boccaccio, che la amava immensamente, vi ambienta il suo Andreuccio da Perugia che qui per mille peripezie, tra un cesso e una tomba, trova la ricchezza. Sì, Boccaccio la amò davvero: ci arrivò a 14 anni, al seguito del padre funzionario della Banca dei Bardi e Peruzzi, e lì si istallò respirando a pieni polmoni l’aura vitale (memoria di Petrarca?) della città, lì si innamorò di Fiammetta che vide la prima volta nella chiesa di San Lorenzo Maggiore. Cerco di andarci, tutte le volte che capito a Napoli, in memoria del padre di tutti i racconti che qui ebbe il suo momento di pienezza.

Se vogliamo seguire il filo d’oro delle narrazioni e dei narratori, questa città non è seconda a nessuno: l’elenco dei suoi scrittori qui chiamati in causa è lungo: da Marotta a La Capria, a Fabrizia Remondino, alla Ortese, che forse è stata stilisticamente la più stregante nel gioco dell’invenzione. Tra tutti quelli che, sedotti dall’aria inquietante della città, dalla sua magnificenza e dall’altrettanto grande miseria, a Napoli hanno ambientato le loro storie è singolare il caso di E.T.A. Hoffmann che non la vide mai, ma ne fece lo scenario di una sua visione oscura e torbida. Mi viene però in mente che la fascinazione stregonesca

di questo luogo è caduta anche su un milanese, perché qui Emilio De Marchi ambienta il suo giallo Il cappello del prete, un libro ingiustamente dimenticato e una perla di luce nera (un altro ossimoro) nella nebbia padana dello scrittore verista. Infine una riflessione sullo stile dell’autrice modulato sulle sfumature della sua città, nelle pieghe del linguaggio ora coltissimo ora dialettale (e il dialetto racconta di un’altra e non meno profonda cultura), come nella conoscenza accurata e affettuosa della topografia e di tutto quello che angoli, vicoli, scalette e ipogei raccontano del passato. Occhi e orecchie aperti e ricettivi, per questo le voci che si rincorrono nelle strade o echeggiano nei palazzi tornano puntuali sulla pagina, dove l’elaborazione della scrittura si fonde con la forza dell’oralità: ne sentiamo «scritte» le cadenze riportate con naturalezza, e sono il segno di innata musicalità oltre che della capacità di conservazione del patrimonio linguistico che ogni dialetto porta con sé.

Che nel bene e nel male Antonella Cilento ami questa sua Napoli non c’è dubbio, non c’è dubbio che ce ne restituisca il calore e i colori, quella sintesi di luce e tenebra cui Manganelli avrebbe dovuto dare il tempo di manifestarsi.

Bibliografia

Antonella Cilento, Il sole non bagna Napoli BBE edizioni, Udine 2024.

Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli già ridotti.

In auto da Luino a Zenna

Poesia

L’esperienza

poetica

di Vittorio Sereni secondo Christian Genetelli

La lingua dei giganti

Saggi ◆ Giorgio Agamben parla di corpi enormi che si esprimono in modo smisurato

Stefano Vassere

Prima osservazione preliminare. Chissà quante volte Vittorio Sereni avrà percorso la strada che dalla sua Luino porta verso Zenna e la frontiera con la Svizzera. Se i luoghi sono prima di tutto costituiti dalla stratificazione psicologica ed esperienziale di chi li osserva, tornare su quella strada sarà stata per lui (come lo sarebbe per tutti) cosa sempre nuova: una rivisitazione capace di aggiungere o sottrarre a quel paesaggio elementi di senso, di rimettere in discussione ciò che se ne sapeva. Seconda osservazione preliminare. Mi pare che capiti piuttosto di rado che al movimento interno di un testo letterario si adegui l’andamento del discorso critico su di esso condotto, come avviene in questo libro.

Il percorso in automobile descritto in Ancora sulla strada di Zenna è l’evento che avvia la riflessione sulla relazione dialettica tra due leggi temporali, entrambe disperanti

Attorno al centro focale costituito da Ancora sulla strada di Zenna – «componimento che si colloca nel cuore dell’esperienza poetica di Vittorio Sereni» – Christian Genetelli costruisce una serie di cerchi concentrici (la sezione del libro nella quale si trova la poesia; il macrotesto degli Strumenti umani; gli altri testi sereniani: creativi, autobiografici, critici, epistolari; la biografia dell’autore; il contesto storico-letterario di ricezione), instancabilmente attraversati su strade centripete e centrifughe. Non c’è qui – credo – solo l’idea, dichiarata sin dalla premessa, «che Sereni spesso si possa e si debba spiegare con Sereni», ma anche la capacità di (far) entrare nella poesia in esame attraverso la costruzione di un percorso critico che ne assecondi il nucleo concettuale. Insomma, al cuore caldo di Ancora sulla strada di Zenna Genetelli torna continuamente con nuove acquisizioni, sottraendo pertanto il proprio discorso e il testo di Sereni dall’inerte «ripetizione dell’esistere». Il percorso in automobile descritto

in Ancora sulla strada di Zenna è l’evento che avvia la riflessione sulla relazione dialettica tra due leggi temporali, entrambe disperanti: quella della «transitorietà delle cose» e quella della «ciclicità ripetitiva». Non a caso, nota Genetelli, le ripetizioni lessicali toccano il loro vertice con le occorrenze di «mutare» e derivati, a rendere patente anche sulla superficie della tavola testuale il centro tematico del componimento, l’evoluzione per cui all’«antico dolore del mutamento» si sostituisce «la scoperta del lato opprimente dell’immutabilità». Il commento metrico e stilistico al testo appare efficacissimo per misura e acume: ne viene ad esempio rilevato il dettato «piuttosto felpato», solo raramente acceso da particolari incontri fonici, e ciò «in coerenza con un interno, da automobile, che certo non impedisce la percezione sensoriale del soggetto, ma la scherma, la media, la uniforma». Opportunamente Genetelli sosta sul piano della sintassi, alla quale Sereni attribuisce, qui una volta di più, il compito di restituire «l’andamento del discorso interiore» (Mengaldo). Ancora sulla strada di Zenna, col suo «scorrimento sintatticamente orizzontale» e il «profilo sinuoso che gli a capo vengono a disegnare sulla destra della pagina» (ci si muove tra il settenario e il verso lungo, che varca la misura dell’endecasillabo), sembra mimeticamente disegnare proprio la strada percorsa, «ricca di curve ma pianeggiante o senza apprezzabili dislivelli», costruita «seguendo lo sporgere dei monti».

Sul piano dell’intratestualità e dell’intertestualità, mi limito qui a segnalare le pagine dedicate al confronto – proficuo fin dai titoli – tra Zenna, Strada di Zenna e Ancora sulla strada di Zenna; e noterei in particolare come Genetelli aggiunga alle acquisizioni della critica pregressa importanti tessere e memorie montaliane, senza indugiare nella stucchevole ricerca di «briciole intertestuali» poco o punto funzionali al discorso.

Al rapporto con il macrotesto, di cui lo stesso Sereni è perfettamente cosciente e al quale sono qui dedicate le pagine più dense, occorre tornare anche solo per il fatto che Ancora

sulla strada di Zenna, nel suo centro geometrico (il diciottesimo verso, sui trentacinque complessivi), presenta il sintagma che diverrà il titolo della raccolta. E sono allora preziose, se restringo il campo a quest’unico aspetto, le testimonianze sereniane convocate per dimostrare come quegli strumenti umani siano per il libro tutto investiti di un significato più profondo rispetto a quello assunto nel microtesto di origine: «Questa espressione, che nella poesia significa strumenti di lavoro agresti o artigianali, nel titolo del libro intende invece significare tutti i mezzi e anche gli espedienti con cui l’uomo, singolo o collettività, affronta l’ignoto, il mistero, il destino». Ma è un discorso, questo della pertinenza degli altri testi di Sereni chiamati a illuminare il componimento in esame, che attraversa tutto il libro di Genetelli e che ne è, direi, il maggior pregio. Valga, in questo senso, una lettera dello stesso Sereni a Giansiro Ferrata, finora mai considerata dalla critica e cruciale per datare la stesura della poesia (e gli «spunti» dai quali è germogliata); da cui il suggerimento di ampliare le ricerche anche ad altre carte o altri carteggi oggi inediti, come gli scambi epistolari con Giancarlo Vigorelli, fondatore e direttore di quell’«Europa letteraria» sulle cui pagine Ancora sulla strada di Zenna vedrà la prima pubblicazione nel giugno 1960. E valgano, infine, i più che opportuni allargamenti alla biografia dell’autore (basti pensare ai rapporti con il compaesano e coetaneo Piero Chiara) e al dinamico ambiente letterario della fine degli anni Cinquanta e dell’inizio degli anni Sessanta.

Questo prezioso librino (piccolo solo nel numero di pagine, poco più di cento) è davvero una «Bussola» (esce nella serie Poesia della collana di Carocci, diretta da Uberto Motta e Niccolò Scaffai): uno strumento che permette al lettore di non smarrirsi su quella strada (di Zenna) che, con Sereni, Christian Genetelli ha lucidamente percorso.

Bibliografia

Christian Genetelli, Sereni: Ancora sulla strada di Zenna, Carocci, Roma, 2024.

François Rabelais rappresenta il riscatto dall’ingiusto trattamento che vede i classici della letteratura e in questo caso di quella francese ritenuti difficili, fuori tempo e dunque probabilmente inavvicinabili. Figura suprema del Rinascimento europeo, egli può essere senza dubbio considerato un superclassico, che scrive mezzo millennio fa. Eppure, provate a sentire questa descrizione del gigante Pantagruel: «È così enorme che non può venire alla luce senza soffocare la madre Badebec, benché dal suo ventre fossero usciti prima di lui sessantotto mulattieri, ciascuno col suo mulo carico di sale, e nove dromedari con una soma stipata di prosciutti e lingue di bue affumicate, per non parlare di sette cammelli carichi di anguille e venticinque carretti pieni di porri, agli, cipolle e cipollotti». Ora, nessuno potrebbe negare che questo passo sia ben dentro le nostre logiche letterarie, accessibile ai lettori medi di questi nostri tempi, decisamente divertente. Anzi, ci si potrebbe spingere molto avanti e pensare che i più coraggiosi potrebbero addirittura leggere i brani di Rabelais ai bambini, la sera, invece di talune noiose favole moderne, aspettando che si addormentino. Il Quarto Libro del Gargantua e Pantagruel porta il noto episodio delle parole che nei freddi inverni di «qualche luogo» congelano, assumendo consistenza fisica. Al tepore delle mani fondono come neve, ma è proprio lì che si libera il loro suono: «hin, hin, hin, hin, his, ticque, torche, lorgne, brededin, brededac». Panurge chiede a Pantagruel di regalargli un’altra manciata di parole gelate, quest’ultimo ribatte che «regalare parole è atto da innamorati e vendere parole è atto da avvocati». Dunque, i classici sono spesso più vicini a noi di quanto si possa pensare. Buonanotte, bambini! Questo Il corpo della lingua di Giorgio Agamben ha anche un sottotitolo, che il correttore automatico si ostina (e come dargli torto?) a sottolineare di rosso: Esperruquancluzelubelouzerirelu È l’espressione della lingua smisurata dei giganti, che si affianca alle dimensioni senza limite tangibile del loro corpo; perché se il gigante è la misura del mondo, e non qualcosa che si muove nello spazio ma lo spazio stesso nella sua interezza, la sua lingua non può che essere espressione esagerata di questa fisicità totale. Rabelais, ci dice Agamben, ha imparato da un italiano mantovano, Teofilo Folengo, la descrizione del corpo della lingua, dotando Pantagruel di un idioma «im-

menso quanto il suo corpo». Perché la lingua ha in questa seducente realtà una sua fisicità e un suo corpo al di là e al di qua del suo significato; altrimenti il gigante non potrebbe raccogliere le parole a piene mani sul ponte della nave nell’intento di conservarle sott’olio, come la neve. Fabbriche a pieno regime di parole ipertrofiche, sgangherate reinvenzioni di significato, caricature lessicali, parole che si percepiscono con i sensi primari, il tatto, il profumo, corpi giganteschi fatti di queste stesse parole. La lingua di un gigante è «un’infinità di vocaboli serialmente accozzati, che non si separano come gli organi di un corpo per formare un unico organismo, ma che piuttosto, come avviene nel loro corpo sconfinato, abdicano alla loro consistenza singolare per moltiplicarsi e obliterarsi in un complesso continuo e virtualmente illimitato».

Di commovente bellezza è infine l’apparato di immagini che accompagnano questo testo: sono riproduzioni dall’originale del Baldo di Teofilo Folengo nell’edizione di Toscolano del Garda del 1521 e dalla serie di più di cento incisioni del 1565 che i più attribuiscono allo stesso Rabelais. Che matti, questi illustratori: in copertina c’è un essere che consiste del suo solo viso con gambe e braccia corte, più avanti c’è un altro che ha un membro a forma di capra e una testa coperta di un guscio d’uovo, e ancora più in là un individuo con la testa di elefante e la proboscide dotata di una rotella che gli permette di scorrere senza problemi al suolo; lascia magnificamente interdetti quello con la testa come un panettone, con una sorta di piccolo vulcano in cima trafitto da un coltello. Che bella follia! E che attualità! Forse solo i bambini, da quella loro intatta, ostinata e inquietante propensione al mistero, riescono a dirci qualcosa. «Abitano questo paese i popoli grammatici e la stirpe dei pedagoghi, c’è il nome insieme al verbo, al pronome e a loro seguito tutta la restante brigata, gli avverbi huc, illuc, istud, hinc, inde, deorsum atque sinistrorum cum tota gente cuiorum. Non mancano i concetti ens, quiditas, acidens, substantia, cum solegismo, e tutta questa turba assale l’estranea combriccola come le mosche si gettano sul burro o sulla ricotta».

Bibliografia

Giorgio Agamben, Il corpo della lingua. Esperruquancluzelubelouzerirelu, Einaudi, Torino, 2024.

L’infanzia di Pantagruel Incisione di Gustave Doré dal capitolo IV di Pantagruel pubblicato da Garnier Frères, 1873. (Wikimedia)

Luino. (Wikipedia)
Migros Ticino

La Cena in Emmaus

Tesoro nascosto – 7 ◆ Una piccola tela custodita al Musée Jacquemart-André Gianluigi Bellei

«E sedutosi a mensa con loro, avendo egli preso il pane lo benedisse, e dopo averlo spezzato, ne diede loro. E si aprirono i loro occhi e lo riconobbero: ed egli divenne ad essi invisibile». Queste è la versione del Vangelo di Luca XXIV, 30 a cura di Raffaele Cantarella, che racconta il cammino a Emmaus e la relativa cena dopo la resurrezione. Bruno Maggioni commenta la scena sostenendo che Luca, in sostanza, vuole dare alcuni insegnamenti: Gesù spezzando il pane conferma la sua presenza oggi come ieri, la sua presenza è diversa da come era prima e la resurrezione «non si svela agli occhi di tutti, ma solo al credente».

La versione del Musée Jacquemart-André è un’opera giovanile di Rembrandt totalmente rivoluzionaria

La cena a Emmaus è un soggetto perfetto per gli artisti. Potete cercare quella del Moretto (Alessandro Bonvicino), del Pontormo (Jacopo Carucci), del Tiziano Vecellio, quelle del Caravaggio e quelle di Rembrandt. Proprio di uno dei dipinti di quest’ultimo vogliamo parlare. Non quelli del Louvre, bensì la piccola strabiliante tela del Musée Jacquemart-André, sempre a Parigi. Il dipinto si trova nella sala della Biblioteca tra il Portrait d’Amalia van Solms del 1632 e il Portrait

du Docteur Arnold Tholinx del 1656; tre opere che riassumono la carriera e l’evoluzione stilistica del pittore. Del museo abbiamo scritto diverse volte su queste pagine. Per farvi un’idea potete leggere Désirs & Volupté à l’époque Victorienne del 7 ottobre 2013. Di Rembrandt Harmenszoon van Rijn (1606-1669) esiste una bibliografia sterminata ma, come punto di riferimento, potete cercare il catalogo della mostra di Amsterdam e Londra del 1992-93, Rembrandt. Il maestro e la sua bottega che trovate nella versione italiana per De Luca editori.

Il brano dei Vangeli pone agli artisti diversi problemi. Prima di arrivare a Emmaus gli apostoli incontrano un viandante che non riconoscono quale Gesù, poi lo invitano a cena e solo quando questo spezza il pane avviene il riconoscimento e per ultimo la sparizione. Tre vicende che nel Medioevo si sarebbero risolte in altrettante scene. Nel Rinascimento si trattava di condensarle in un solo dipinto. Nel grande telero di Veronese del 1559 al Louvre di Parigi possiamo ammirare una cena sontuosa con tanti personaggi, bambini, cani e un Gesù che dirige lo sguardo verso l’alto come ad anticipare la sparizione. Caravaggio nel dipinto del 1602 alla National Gallery di Londra ritrae un Cristo fuori dagli schemi, senza barba e un po’ rotondetto. Quasi trasfigurato. Per questo non riconoscibile. La scena è intima e i tre apostoli lo guardano attoniti.

Durante la sua vita Rembrandt ha affrontato la rappresentazione della cena diverse volte. Nel disegno del 1640, al Fitzwilliam Museum di Cambridge, Cristo sparisce in un bagliore di luce. Il Louvre possiede due dipinti: uno del 1648 con Cristo isolato, pallido e smagrito che emette una luce grandiosa e un altro del 1660 con la luce proveniente da sinistra. Quello del Museo Reale di Copenaghen, sempre del 1648, mostra un Cristo illuminato dalla luce di una candela mentre una tenda sul lato sinistro dà l’immagine di una certa intimità. La versione del Musée Jacquemart-André (nella foto) è un’opera giovanile di Rembrandt totalmente rivoluzionaria. L’artista ha ventidue anni e la sfrontatezza della gioventù. Il dipinto ci appare come una quinta teatrale. Diviso in due diagonalmente. Cristo seduto a quarantacinque gradi è in ombra; percepiamo la sua silhouette, la barba a doppia punta, le mani in grembo a spezzare il pane. In piena luce, di traverso contrapposto al Cristo come una «v» vediamo l’apostolo con le mani aperte e il viso attonito, terrificato. Sopra di lui la sacca del viandante. Sullo sfondo una donna, sempre in controluce, sbriga le faccende dell’osteria. «Il suo corpo chinato in avanti, scrive Max Milner, è esattamente parallelo a quello di Gesù, chino all’indietro secondo la diagonale principale del quadro». Richiama l’umiltà del luogo. Ma c’è un altro personaggio nella scena.

Per vederlo bene è preferibile andare al museo e osservare attentamente. Non ve ne pentirete, il Jacquemart-André è un gioiello che vi rimarrà nel cuore per sempre. Sulla stessa diagonale del Cristo si intravvede un altro discepolo che abbraccia le sue gambe inginocchiato. Lo ha già riconosciuto.

La scena è accecante, surreale, violenta.

Nel 2018 il dipinto è stato presentato alla Pinacoteca di Brera a Milano.

In quell’occasione è stato scritto che negli altri dipinti con lo stesso soggetto si «cercava di illuminare la figura del Cristo per fare della sua epifania luminosa l’equivalente di un’apparizione, mentre qui Cristo, è in ombra, la sagoma ritagliata sul fondo di luce per alludere non solo alla sua apparizione, ma alla sparizione».

Un dipinto eccezionale, come eccezionale è l’artista tanto che Filippo Baldinucci scrive nelle Notizie de’ professori del disegno (edito a Firenze dal 1681 al 1728): «Questo pittore siccome fu molto diverso di cervello dagli altri uomini nel governo di se stesso, così fu anche stravagantissimo nel modo di dipingere, e si fece una maniera che si può dire che fosse interamente sua…».

Dove e quando Musée Jacquemart-André, Parigi, VIII arrondissement.

Orari: tutti i giorni dalle 10.00 alle 18.00, in caso di esposizioni temporanee il gio e il ve fino alle 22.00. www.museejacquemart-andre.com

Annuncio pubblicitario

GUSTO

Müesli

Evviva il müesli!

Alcuni lo amano per colazione, altri lo preferiscono come spuntino dolce: il müesli. Ti mostriamo ricette classiche e varianti per tutti i gusti

Testo: Claudia Schmidt

Smoothie bowl alla granola

Smoothie a base di latte, frutta surgelata, banane e miele per questa bowl guarnita con bacche, granola e semi di chia. E il pieno di energia è pronto.

Birchermüesli (Per 4 persone)

30 g di nocciole

100 g di fiocchi d’avena fini

2 cucchiai d’uvetta ad es. uva sultanina

1,5 dl di latticello al naturale

360 g di yogurt al naturale

2 mele

1 banana

250 g di bacche miste, ad es. fragole, ribes, lamponi, mirtilli

2 cucchiai di miele liquido

1,5 dl di panna semigrassa

1. Tritate grossolanamente le nocciole e tostatele in padella senza aggiungere grassi. Estraetele e mettetele da parte. Versate i fiocchi d’avena e l’uvetta in una scodella, aggiungete il latticello e lo yogurt.

2. Grattugiate la mela con la buccia con la grattugia per birchermüesli. Dimezzate la banana per il lungo e tagliatela a fettine. Aggiungete la banana, le bacche e il miele ai fiocchi e mescolate. Montate la panna semi-ferma. Guarnite il birchermüesli con le nocciole tostate e con la panna montata.

Chi ha inventato il Birchermüesli?

Il Birchermüesli è stato inventato dal medico svizzero Maximilian Oskar Bircher-Benner. La leggenda racconta che un giorno su un’alpe gli venne servito un pasto a base di cereali frantumati, frutta, latte e noci. Questo lo indusse a sperimentare con gli stessi ingredienti. Nel suo sanatorio sulle alture di Zurigo nacque così la creazione a base di mele, lo «d’Spys». Gli ingredienti: fiocchi di avena, mela grattugiata, mandorle o noci, succo di limone e latte condensato zuccherato. Quest’ultimo ingrediente veniva usato al tempo per motivi di igiene: non esisteva ancora il latte pastorizzato, che andava così a male rapidamente. Il latte condensato a lunga conservazione era invece un’alternativa sicura, soprattutto per i pazienti sensibili del sanatorio. A proposito, pare che il dottor Bircher-Benner grattugiasse sempre anche il torsolo delle mele per aumentare il tenore di fibre alimentari del müesli. Anche se oggi molte persone sostituiscono il latte condensato con latte fresco o yogurt, la base della ricetta è sempre la stessa.

Müesli con granola, albicocche e datteri

Quick & easy: una colazione veloce con 5 ingredienti. Serviti con skyr, granola e chicchi di melagrana, le albicocche e i datteri sono leggeri

Ricetta
Cosa ti serve
Yogurt Bifidus al naturale
150 g Fr. –.70
Uva sultanina chiara M-Classic 300 g Fr. 2.30
Fiocchi di avena svizzeri fini Migros

Mélissa Guex, performer grintosa e camaleontica

Incontri ◆ Dal percorso artistico all’esperienza sul palco con il batterista Clément Grin, l’artista giurassiana si racconta

Giorgia Del Don

Formatasi in un primo tempo alla scuola di teatro LASAAD di Bruxelles e poi approdata alla Manufacture di Losanna, Mélissa Guex (nella foto qui a lato) è una di quelle performer che ti catapultano in avanti facendoti vedere ciò che la scena contemporanea svizzera ha da offrire in termini di spontaneità e creatività. Forse è proprio il suo percorso pluridisciplinare, fra teatro e danza, così come la sua anima camaleontica che la spingono a indossare alternativamente i panni della coreografa e dell’interprete (per altri come Nina Negri o Katerina Andreou e per sé stessa) a definire il suo stile: rinfrescante, libero ed esplosivo. Sebbene ammetta di aver sognato anche lei, come la maggior parte dei ballerini e delle ballerine che hanno transitato per il Belgio, di entrare alla prestigiosa e rigorosa scuola di danza

P.A.R.T.S. di Anne Teresa De Keersmaeker, è stata invece, e in modo magari più inaspettato, la Manufacture di Losanna a permetterle di capire che genere di performer volesse essere e ad aiutarla a costruire la sua identità artistica.

Cresciuta in un paesino del Giura vodese, Mélissa Guex trasmette l’energia di chi ha avuto il coraggio di uscire dal proprio guscio per affrontare il mondo. Il suo ultimo spettacolo DAWN (full album), in cui duetta con il batterista Clément Grin (foto in basso) scatenando un vero e proprio uragano, coinvolge gli spettatori in modo epidermico. La vitalità che il duo emana si diffonde nella sala spingendo il pubblico, anche se solo per il tempo di uno spettacolo, ad abbandonare la propria riservatezza. Tra una data e l’altra abbiamo avuto l’opportunità di discutere con lei del suo tour che l’ha portata a Parigi, Bruxelles, Santarcangelo e Avignone.

Quello della danza

è un linguaggio universale che mi permette di viaggiare ovunque senza preoccuparmi delle barriere linguistiche

Cosa la ispira in quanto artista?

Cosa le dà voglia di creare?

In generale mi piacciono molto le parole, la lingua francese, ma sicuramente quello che ho trovato nel movimento, nella danza non ha eguali. Grazie alla danza ho capito come comunicare con il mondo, come esprimere quello che sento senza dover utilizzare le parole. Il movimento lascia molto più spazio all’immaginazione. Trovo che si possano dire cose molto importanti e profonde senza utilizzare le parole. È magico. Quello della danza è un linguaggio universale che mi permette di viaggiare ovunque senza preoccuparmi delle barriere linguistiche. Mi sono inna-

morata delle possibilità infinite che il linguaggio corporeo offre.

Quali sono le fondamenta del suo lavoro, le risorse che le permettono di non perdere la rotta?

Sono molto socievole, passo molto tempo con gli altri e l’essere umano mi affascina. DAWN si ispira ai raduni di persone, durante i festival di musica per esempio, luoghi dove le folle si incontrano per stare insieme. C’è qualcosa di molto affascinante e ispirante in questo, nel fatto di dirsi che un gruppo di persone che non si conoscono si incontrano sulla base di un tacito accordo, quello di esserci per ballare insieme allo stesso ritmo. Sono momenti meravigliosi dove c’è una sorta di armonia perfetta. Il mondo della notte, delle feste, mi nutre artisticamente, ma so che non devo abusarne perché può creare dipendenza. Non esco più solo per fare festa ma scelgo che musica voglio ascoltare, dove voglio andare. Sono molto curiosa e penso sia anche questo a guidarmi, sono questi slanci di curiosità a spingermi in avanti. Ho sempre fame di conoscere nuove persone, di scoprire nuovi luoghi, di partire sempre più lontano ma il fatto di abitare in Svizzera mi permette di mantenere l’equilibrio perché è una sorta di rifugio idilliaco e riposante. Abitare in Svizzera è un privilegio del quale sono cosciente, qui c’è un equilibrio perfetto fra la calma della natura, del lago e l’esplosione delle città.

In che modo la formazione alla Manufacture di Losanna (Bachelor in danza contemporanea) l’ha

Cura coccolante dopo la depilazione per una pelle morbida come la seta

aiutata a progredire nel suo lavoro? Credo che ogni percorso sia legittimo e che formarsi in una scuola di danza non sia assolutamente obbligatorio. Personalmente adoro la Manufacture, la sua pedagogia, il modo in cui gli insegnanti e le insegnanti ci seguono e accompagnano. Penso che sarebbe stato difficile per me trovarmi in un’altra scuola, magari più severa o che pretende da tutti di avere solide basi di danza classica. Alla Manufacture sono arrivata con il mio bagaglio, con la mia personalità. Lì ho ricevuto gli strumenti per svilupparla ed è qualcosa di raro che non si trova ovunque. Gli studenti e le studentesse non sono formattati, al contrario ciascuno è spinto a sviluppare il proprio stile. E poi, soprattutto, la scuola permette di crearsi un’enorme rete di contatti in Svizzera che poi torna molto utile. A Bru-

xelles, dove ho studiato prima della Manufacture, l’approccio è molto diverso, una volta finita la formazione si viene letteralmente gettati nell’arena. Non mi sentivo pronta ad affrontare quel mondo senza le armi necessarie per difendermi, sono cose che bisogna imparare tanto quanto il fatto stesso di danzare. Quello che mi è piaciuto molto alla Manufacture è che è una scuola al passo con i tempi dove ci si rende conto delle difficoltà che comporta una carriera d’artista. Si interessano molto a quello che pensiamo e viviamo, e questo è un lusso.

A proposito di benessere personale, ci sono sempre più associazioni che si schierano in difesa degli artisti e degli operatori culturali, che si occupano delle condizioni di lavoro, delle violenze fisiche e

morali che possono subire. Cosa ne pensa e come cerca, nel suo lavoro di artista, di incentivare il benessere di ognuno?

Non ho perso la speranza, soprattutto per quanto riguarda le nuove generazioni, ma so che ci sono persone che hanno raggiunto la saturazione. Mi dico che il meglio deve ancora arrivare e per questo bisogna lavorare e continuare a prendersi cura l’uno dell’altro crescendo insieme. Nei posti in cui non ci si sente rispettati in quanto persone bisogna essere radicali. Quando non è possibile alcuna comunicazione, sono una persona capace di cessare la collaborazione. Il mio primo riflesso è sempre quello di discutere, di comunicare, ma se la comunicazione non è possibile allora anche la collaborazione non può esserlo. Amo troppo il mio lavoro per ritrovarmi di fronte a persone che non vogliono dialogare, imparare ed evolvere. Ci sono così tanti bei luoghi dove ho voglia di lavorare, tante belle persone con cui ho voglia di collaborare che, con la mia équipe, faccio delle scelte mirate. La mia équipe (tecnica, produzione ecc.) è composta principalmente da persone identificate come donne. È successo per caso, ma allo stesso tempo non è un caso. So cosa significa arrivare in un teatro dove l’équipe è composta principalmente da donne ed è raro! Per me è anche una scelta militante. Penso che creare posti di lavoro fra di noi, che esistiamo e difendiamo i nostri diritti di fronte a una realtà non sempre favorevole è importante. Mi sento sostenuta dalle persone del mio team di lavoro, imparo molto da loro, le nostre discussioni sono davvero ricche e questo mi dà speranza. Mi piace molto collaborare con le persone che lavorano con amore e con gioia.

A proposito di incontri, come è nata la sua collaborazione con il batterista Clément Grin con cui condivide la scena in DAWN? L’osmosi fra di voi è davvero perfetta come foste fratello e sorella. È un incontro artistico davvero prezioso, di quelli che accadono raramente. Il legame fraterno lo sento veramente. L’ho visto esibirsi per la prima volta a Ginevra al festival Antigel e ho avuto un grande flash Suonava in un luogo pazzesco, dove si distruggono le macchine in disuso e anche la performance era abbastanza folle. Credo di aver captato in lui una specie di fuoco che anima anche me, ma in modo diverso. Fortunatamente vivevamo nella stessa città, a Losanna, e qualche mese dopo ci siamo rivisti in un caffè e gli ho proposto di fare una session per far incontrare i nostri due universi artistici. È stato come se due fuochi si incontrassero creando un’esplosione. Forse ci siamo già conosciuti in una vita precedente.

Daniel Roelli

Hit della settimana

30. 7 – 5. 8. 2024

14.50 invece di 21.–Salmone selvatico Sockeye MSC pesca, Pacifico, in conf. speciale, 280 g, (100 g = 5.18)

Tutte le angurie (fette escluse), per es. mini, Spagna/Italia, il pezzo, 2.90 invece di 4.70 38%

1.15

24.95 invece di 51.80

Detersivo per bucato in gel Persil Universal, Color o Sensitive, in conf. speciale, 3,6 litri, (1 l = 6.93)

imbattibili weekend del Prezzi

Validi gio. – dom. Tutte le confetture Extra, Fit & Well e Belle Journée per es. Extra alle fragole, 500 g, 1.65 invece di 2.75, (100 g = 0.33), offerta valida dall’1.8 al 4.8.2024

Settimana Migros Approfittane e festeggia

1.15 invece di 1.65 Cetrioli Svizzera, il pezzo

7.95 invece di 11.85

Bratwurst dell'Olma di San Gallo IGP Svizzera, 3 x 2 pezzi, 3 x 320 g, (100 g = 0.83)

Tutti i formaggi per insalata e i tipi di feta per es. feta Xenia, 200 g, 3.25 invece di 4.70, (100 g = 1.63)

2.55

invece di 3.65

Bistecche di lonza di maiale marinate Grill mi, IP-SUISSE in conf. speciale, 4 pezzi, per 100 g 30%

9.30

invece di 18.60

MegaStar prodotto surgelato, Almond, Vanilla o Cappuccino, 12 x 120 ml, per es. Almond, (100 ml = 0.65)

7.90 invece di 9.90

4.–

invece di 6.70

4.30

Lattuga XL 350 g, (100 g = 1.23)
Bistecca di manzo BBQ marinata Grill mi, IP-SUISSE in conf. speciale, per 100 g
Albicocche extra Svizzera, al kg

3.95

invece di 5.60 Lamponi Svizzera, vaschetta da 250 g, (100 g = 1.58)

2.50

invece di 3.90

Nettarine a polpa gialla Spagna/Italia/Francia, al kg

1.50 invece di 1.95

Peperoni misti Spagna/Paesi Bassi, sacchetto da 500 g, (100 g = 0.30)

Tutte le angurie (fette escluse), per es. mini, Spagna/Italia, il pezzo, 2.90 invece di 4.70

3.90

di 4.90 Extra Fragole Svizzera, 250 g, (100 g = 1.56)

1.90 invece di 3.20 Mais dolce Svizzera, vaschetta da 440 g, (100 g = 0.43)

3.90 invece di 5.95

Pomodoro cuore di bue Ticino, al kg, (100 g = 0.39)

3.90 invece di 4.95

Patate Amandine Svizzera, sacchetto da 1,5 kg 21%

Migros Ticino

La festa nazionale all’insegna della tradizione

1.60 invece di 2.95 Costine di maiale marinate Grill mi Svizzera, per 100 g, in self-service 45%

5.35 invece di 7.70 Salame Felino Beretta Italia, per 100 g, in self-service 30%

3.85

Ora in vendita al banco, l'ideale per il barbecue del 1° agosto!

Bistecche svizzere al banco per es. bistecca di collo di maiale marinata, IP-SUISSE, per 100 g, 2.05 invece di 2.60 20%

2.80 invece di 3.55 Paillard di lonza di maiale IP-SUISSE per 100 g, in self-service 21%

1.50 invece di 1.95

1.55

Sovracosce di pollo Optigal al naturale e speziate, Svizzera, per es. al naturale, 4 pezzi, al kg, 9.30 invece di 14.–33%

Particolarmente teneri

3.05

invece di 3.60

Mini filetti di pollo Optigal Svizzera, in conf. speciale, per 100 g 15%

1.20

Galletto M-Classic Svizzera, per 100 g, in self-service 17%

invece di 1.45

Pesce e frutti di mare

Per un mare di freschezza nel piatto

30%

12.70

invece di 18.20

Filetti di salmone senza pelle M-Classic, ASC d'allevamento, Norvegia, in conf. speciale, 380 g, (100 g = 3.34)

Filetti di passera MSC freschi per es. M-Classic, pescato, Oceano Atlantico nord-orientale, per 100 g, 2.70 invece di 3.40, in self-service 20%

Suggerimento: per la mousse di salmone mescolare con mousse di rafano e succo di limone

14.50

invece di 21.–

Salmone selvatico Sockeye MSC pesca, Pacifico, in conf. speciale, 280 g, (100 g = 5.18) 30%

12.75

invece di 16.05

Gamberetti sgusciati e cotti Migros Bio d'allevamento, Indonesia, in conf. speciale, 240 g, (100 g = 5.31) 20%

4.40

invece di 7.40

Filetti di pesce persico con pelle M-Classic, ASC d'allevamento, Svizzera, per 100 g, in self-service 40%

8.30

invece di 13.90 Filetti Gourmet à la Provençale Pelican, MSC prodotto surgelato, 2 x 400 g, (100 g = 1.04) conf. da 2 40%

Migros Ticino

Formaggi e latticini

Bontà di latte

L'halloumi è originario di Cipro e si ottiene dal latte di mucca, latte di pecora o di capra. Dato che non si scioglie a contatto con il calore, è ideale per il grill. Marinare prima il formaggio con olio d'oliva e timo. Grigliare a fuoco medio per circa 4 minuti su entrambi i lati e condire con pepe, fiocchi di peperoncino e un goccio di limone. CONSIGLIO DEGLI ESPERTI

Appenzeller surchoix per 100 g, prodotto confezionato 20%

1.55 invece di 1.95

Leerdammer a fette Original o Lightlife,

1.65 invece di 1.95

Vacherin Fribourgeois dolce AOP circa 250 g, per 100 g, prodotto confezionato 15%

2.05

Gottardo Caseificio per 100 g, prodotto confezionato 15%

Migros Ticino
Mozzarella
Halloumi Taverna classic,

3.85 invece di 4.55

Tomino del boscaiolo con speck 195 g, (100 g = 1.97) 15%

Robiolini Nostrani al naturale o alle erbe 200 g, per es. al naturale, 4.25 invece di 5.–, (100 g = 2.13) 15%

Benecol o Aktifit, Emmi disponibili in diverse varietà, per es. Benecol lampone, senza zucchero cristallizzato, 12 x 65 ml, 9.35 invece di 11.70, (100 g = 1.20) conf. da 12 20% Yogurt LC1 Immunity Nestlé disponibili in diverse varietà, per es. arancia sanguigna e zenzero, 4 x 150 g, 3.50 invece di 4.40, (100 g = 0.58) conf. da 4 20%

Tutti i dessert in coppetta refrigerati (prodotti Daily esclusi), per es. coppetta svedese, 100 g, 2.35 invece di 2.95 20%

4.40 invece di 6.30

Berliner con ripieno ai lamponi in conf. speciale, 6 pezzi, 420 g, (100 g = 1.05) 30%

Tutte le farine M-Classic per es. farina per treccia, IP-SUISSE, 1 kg, 1.50 invece di 2.10

Per festeggiare il

agosto senza sbattimenti

20%

5.25 invece di 6.60

Farm Chips alle erbe svizzere, al naturale o al rosmarino, in confezione speciale, 300 g, (100 g = 1.75)

In vendita nel reparto frigo

8.90 Mini Springrolls Vegi Asia Snacks 20 pezzi, 500 g, (100 g = 1.78)

8.80

invece di 12.60

Cornetti al prosciutto Happy Hour, M-Classic prodotto surgelato, in conf. speciale, 24 pezzi, 1008 g, (100 g = 0.87) 30%

Tutti gli antipasti non refrigerati per es. bruschetta olive e pomodori Da Emilio, 190 g, 2.60 invece di 3.20, (100 g = 1.35) a partire da 2 pezzi 20%

Senza aromi né dolcificanti artificiali

Tutto l'assortimento Fever Tree disponibile in diverse varietà e in confezioni multiple, per es. Premium Indian Tonic Water, 4 x 200 ml, 4.50 invece di 6.–, (100 ml = 0.56) 25%

da 8 25%

8.95

invece di 12.–

Coca-Cola Classic o Zero, 8 x 500 ml, (100 ml = 0.22)

conf. da 8 25%

9.30

invece di 12.40

Rivella rossa, blu o gialla, 6 + 2 gratis, 8 x 500 ml, (100 ml = 0.23)

conf. da 6

30%

Tutto l'assortimento di acqua minerale Valais (bottiglie di vetro e Botanical escluse), per es. senza anidride carbonica, 6 x 1,5 litri, 4.45 invece di 6.40, (100 ml = 0.05)

conf.

3.95

Sempre meglio averne in frigo o in dispensa Scorta

6.–

Senape, maionese, maionese con senape o salsa tartara, M-Classic

Sfacciate tentazioni a prezzi spudoratamente ridotti

Prezzi puliti, ottimi prodotti

Igiene e bellezza, naturalmente

Patch per brufoli e maschera per gli occhi alla caffeina, Jiinju per es. patch per brufoli, 24 pezzi, 4.60 20x

20x CUMULUS

Comfortglide Sensitive Gillette Venus rasoio e lame di ricambio, per es. lame di ricambio, 4 pezzi, 21.90, (1 pz. = 5.48)

20x

12.90 Stick antisfregamento Gillette Venus Satin Care senza profumi, 48 g, (100 g = 26.88)

Cerotti ultrasottili antinfiammatori per i brufoli Stick antisfregamento per la zona intima 4.50

Assortimento di prodotti per il viso Nivea e Nivea Men (prodotti Sun, confezioni da viaggio e confezioni multiple esclusi), per es. siero antimacchie Luminous 630 Nivea, 30 ml, 24.75 invece di 32.95, (10 ml = 8.24)

Zoé Revital al retinolo 30 capsule

Protegge dal sole e dalla disidratazione

Balsamo per le labbra con protezione solare SPF 30, Tropical, Carmex il pezzo 20x

Prodotti per la cura del viso o del corpo Nivea (prodotti per le mani esclusi), per es. struccante per occhi per trucco resistente all'acqua, 2 x 125 ml, 8.70 invece di 11.60, (100 ml = 3.48)

Prodotti per l'igiene orale Candida in confezioni multiple, per es. collutorio Parodin, 2 x 400 ml, 6.75 invece di 9.–, (100 ml = 0.85)

conf. da 2
partire da 2 pezzi
conf. da 2

Cose utili e belle per la scuola e la casa

TUTTO PRONTO PER LA SCUOLA?

La cartella perfetta vanta un design accattivante e in più è funzionale e non sovraccarica la schiena. Dovrebbe pertanto soddisfare i seguenti requisiti: - spallacci larghi almeno 4 cm, imbottiti e regolabili - schienale imbottito ed ergonomico - catarifrangenti per una buona visibilità - chiusure e cinghie facili da usare 9.95

Eccellenti disponibileantiaderenti,proprietà in set da 2 disponibile

Padelle

7.95

invece di 9.95

Minirose M-Classic, Fairtrade disponibili in diversi colori, mazzo da 20, lunghezza dello stelo 40 cm, il mazzo

Prezzi imbattibili del weekend

5.95

I prezzi fanno il botto per il 1° agosto

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.