Anno LXXXV 8 agosto 2022
Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura
edizione
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MONDO MIGROS
Pagine 4 – 5 ●
SOCIETÀ
TEMPO LIBERO
ATTUALITÀ
CULTURA
Come spiegare concetti delicati e anche un po’ spinosi ai nostri figli? Un recente libro ce lo illustra
È in corso il reclutamento arbitri della Federazione ticinese di calcio, ce ne parla Silvio Papa
Cosa sta succedendo attorno a Taiwan. Si va verso una guerra «per incidente»?
Dallo Spazio al Tempo, la mostra che omaggia il lavoro di Gianfredo Camesi al Museo d’Arte Mendrisio
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Pagine 17 e 19
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Quanto neutrali e indipendenti?
Il cinema di Douglas Sirk risplende a Locarno
Peter Schiesser
Nicola Mazzi – Pagina 25
La festa nazionale è sempre una buona occasione per riflettere sui valori fondanti del proprio paese. Anche quest’anno, concetti come sovranità, indipendenza, neutralità, hanno fatto da sfondo a molti discorsi celebrativi. Da celebrare c’è molto, senza dubbio, la Svizzera se la cava egregiamente, meglio di altri, persino i fossati sorti durante la pandemia si stanno lentamente riempiendo, le accuse rivolte al Consiglio federale di imporre una dittatura sanitaria si sono dissolte dopo che per due volte il Popolo ha votato a favore della legge sul Covid; la guerra in Ucraina e le ripercussioni sull’economia elvetica non hanno (ancora) provocato una recessione. Tuttavia, a esaltare i valori fondanti della patria si corre il rischio di mitizzarli, di renderli assoluti, di isolarli dal contesto reale in una bolla ideologica. In realtà, al di fuori dei discorsi del . agosto, concetti come sovranità, neutralità, indipendenza, sono declinati in modo abbastanza pragmatico. Prendiamo la neutralità. La decisione del Consiglio federale di adottare le sanzioni imposte dall’Unione europea alla Russia per punire l’aggressione della guerra contro l’Ucraina ha riacceso un dibattito assopito da tempo. L’UDC lancerà un’iniziativa popolare per una «neutralità integrale», che impedirebbe anche l’adozione di sanzioni, in contrasto con quella attuale che il Consiglio federale definisce «neutralità differenziata» o «cooperativa»; il ministro degli esteri Ignazio Cassis ha annunciato per questo mese un rapporto, in cui verranno esaminate anche le relazioni con la Nato. Il dibattito che ne seguirà servirà a distinguere due aspetti fondamentali della neutralità elvetica: il diritto della neutralità e la politica della neutralità; il primo vieta la partecipazione a conflitti armati e l’adesione a un’alleanza militare, la seconda definisce il quadro entro cui il principio può essere applicato, a seconda delle contingenze. Non dimentichiamo infatti che con la partecipazione a Frontex la Svizzera dà già oggi il proprio contributo alla difesa dei confini esterni dell’Unione europea e con la Partnership per la pace intrattiene da anni rapporti con la Nato. Ora è tempo di tematizzare quanta vicinanza alla Nato (chiesta a gran voce dai presidenti di Plr e Centro) sia oggi possibile e desiderata. I sondaggi indicano che la politica del Consiglio federale e la volontà del
centro e del centro destra di avvicinarsi alla Nato raccolgono i consensi della maggioranza. Strettamente connessa al concetto di neutralità c’è la difesa armata. E la guerra in Ucraina mette in discussione anche questo mito che affonda le radici nella Seconda guerra mondiale. Da decenni, a destra c’è la convinzione che la Svizzera debba e sia in grado di difendersi militarmente da sola, a sinistra che l’esercito sia un’istituzione superata, inutile in un continente in pace. Ora, a destra il mito della difesa autarchica resiste, la messa in guardia del capo dell’esercito Thomas Süssli secondo cui la Svizzera resisterebbe un solo mese a un’invasione non lo ha messo in dubbio, bensì spinge una maggioranza dei politici (e della popolazione, non solo a destra) a chiedere più soldi per le forze armate. Nell’area progressista, non pochi politici e intellettuali rivedono individualmente il proprio rapporto con l’esercito e senza troppo clamore ne riconoscono la necessità, alcuni anche l’opportunità di un avvicinamento alla Nato poiché non ritengono plausibile una difesa armata autonoma. Inoltre, un conflitto armato in Svizzera coinvolgerebbe dapprima i paesi vicini, quindi sarebbe una guerra comune, da affrontare in solidarietà con l’Europa. La neutralità e la difesa armata ci portano dritti verso i concetti di sovranità e indipendenza. Politicamente il tema è sempre attuale, i rapporti con l’Unione europea si misurano da decenni con questo metro. Ma sono concetti che se applicati in modo dogmatico sconfinano nell’isolamento. Dopo la decisione governativa di chiudere i negoziati sull’accordo istituzionale con l’Ue ce ne siamo accorti: nessun nuovo accordo bilaterale (mentre quello sull’energia è da tempo urgente), niente partecipazione elvetica ai programmi scientifici di Horizon Europa, dotati di miliardi di euro. Inoltre, l’indipendenza politica mal si sposa con la dipendenza economica. Prendiamo il settore dell’energia. Dipendiamo dalle centrali nucleari francesi, da importazioni di gas russo dalla Germania, dal petrolio. Se la metà delle centrali francesi chiude, come è il caso oggi, e persino il governo francese è preoccupato di non avere abbastanza energia il prossimo inverno, se il gas russo non fluisce più, se i prezzi dei prodotti petroliferi vanno alle stelle, l’indipendenza diventa un concetto vacuo.
Images courtesy of Park Circus/Universal
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2 Settimanale di informazione e cultura
Anno LXXXV 8 agosto 2022
SOCIETÀ
azione – Cooperativa Migros Ticino
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Una Torre bianca per Mulegns Il geniale Giovanni Netzer ha dato vita a un nuovo progetto per rivalorizzare il villaggio grigionese di Mulegns
La madeleine di Marcel Proust Cresce l’interesse dei neuroscienziati per la Recherche, in particolare per gli episodi che il suo autore definiva di «memoria involontaria»
Il vaiolo della scimmia Resta ignoto il «serbatoio animale specifico»: in Africa potrebbe essere un roditore mentre in Europa non ci è ancora dato sapere
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Le parole giuste Il caffè delle mamme
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Una pubblicazione giunge in soccorso di chi vuole affrontare gli argomenti più delicati con gli adolescenti
Simona Ravizza
Il piacere Nessun giro di parole, Pellai e Tamborini vanno dritti al punto: «Scoprirai che il tuo corpo può farti provare un piacere molto intenso», scrivono. «Con la pubertà i tuoi organi genitali si sviluppano e quando sono stimolati da qualcosa che li attiva, ti regalano la possibilità di provare sensazioni fortissime. In genere questa è una scoperta che si fa prima da soli e poi nelle relazioni con le persone di cui ci si innamora. Il piacere sessuale è un prezioso alleato per costruire legami d’amore che durano nel tempo perché mantiene viva la voglia di volersi bene anche con il corpo».
Lo spermarca, ovvero l’eiaculazione Lo ammettono subito: «Nessun familiare ti verrà mai a chiedere: “Hai avuto la tua prima eiaculazione?”.
Non è un argomento di cui si parla durante i pranzi di famiglia, non è una novità che in genere viene condivisa». Ma quali informazioni possono servire? «Nei maschi la pubertà si manifesta con la prima eiaculazione, ovvero con l’uscita di sperma o liquido seminale dal pene. Può succedere masturbandoti, ovvero toccandoti i genitali perché sentirai come un prurito piacevole che ti invoglierà a farlo, oppure mentre dormi, senza nessuna stimolazione, e questa si chiama polluzione notturna», dicono lo psicoterapeuta e la psicopedagogista. «Puoi capire che questo momento sta per arrivare da alcuni segnali come la crescita dei testicoli e del pene, la pelle dei genitali che diventa più scura, la comparsa di peli sulla zona genitale e poi quelli di barba, baffi e ascelle».
L’ansia delle misure Informazione importante per i maschietti affinché non si trascinino inutili complessi per tutta la vita: «Non farti venire l’ansia se negli spogliatoi hai notato che qualche tuo compagno di squadra ha un pene più grande del tuo. Non siamo tutti uguali e le dimensioni diverse non influiscono sul funzionamento. Non vergognarti!».
Quei giorni Usare eufemismi porta con sé l’idea di qualcosa di imbarazzante. Invece un nome ce l’hanno: mestruazioni! «Per una ragazza non c’è parola più normale di questa», sottolineano gli esperti, che fanno un invito: «Prova a ripeterlo tre volte ad alta voce: mestruazioni, mestruazioni, mestruazioni». Qui Il caffè delle mamme sente l’esigenza di un avvertimento: «È sempre meglio ricordare che lo spermarca e le mestruazioni portano con sé anche la possibilità di generare una vita».
Il primo bacio Qui non servono dettagli tecnici, ma un po’ di romanticismo! Così da Pellai e Tamborini arriva un incoraggiamento: «Non avere paura di mostrarti per come sei sotto la lente d’ingrandimento che l’estrema vicinanza dei volti consente. Il primo bacio è anche fatto di occhi che si incontrano a una distanza ravvicinata. L’intimità che serve per vivere il primo bacio ti regala un potere speciale: il coraggio di farti vedere da vicino! Godi della bellezza che ogni bacio ben vissuto ti regalerà. È come una colonnina di ricarica per le macchine elettriche, mette dentro un’energia vitale che ti fa sentire bene».
Keystone
Ebbene sì, a volte noi genitori preferiamo ancora battere in ritirata davanti alle domande che frullano nel cervello di un/a - enne su cosa sia il piacere; diventiamo rossi al solo pensiero di affrontare con i nostri figli la prima fuoriuscita di sperma e con le nostre figlie preferiamo parlare in codice di «quei giorni» oppure delle «tue cose» anziché definirle semplicemente mestruazioni; fingiamo di non vedere i turbamenti che accompagnano il primo bacio o il primo innamoramento; non siamo a nostro agio a parlare di sesso; diamo la percezione di innervosirci al solo sentire la parola omosessuale; parlare di cosa provocano l’alcol o la cannabis lo riteniamo da boomer o lo facciamo da pedanti. Alla fine – è il ragionamento ricorrente – ormai i giovanissimi sanno già tutto, cosa posso aggiungere io? A Il caffè delle mamme ciascuna di noi pensa di non fare parte di questa schiera di genitori. È un’autoassoluzione di comodo però perché, inutile negarlo, ognuna ha il proprio argomento tabù. Ecco allora che per trovare il coraggio di affrontare i temi più delicati decidiamo di andare a vedere le spiegazioni che utilizzano lo psicoterapeuta Alberto Pellai e la psicopedagogista Barbara Tamborini che in Next Level (ed. De Agostini, aprile ) si rivolgono direttamente ai giovanissimi con una promessa: «Dirti le cose che nessuno ha il coraggio di dirti prima dei anni». Come le spiegano loro, forse può esserci d’ispirazione in questa estate di nuovi propositi sotto l’ombrellone, per trovare le parole giuste. Il libro è tratto dal programma televisivo Next Level, prodotto da KidsMe in collaborazione con Rai Ragazzi.
L’innamoramento Cosa detta le regole dell’innamoramento? È una questione di chimica: «Il nostro cervello rilascia sostanze che attivano sensazioni viscerali che guidano il nostro agire senza che noi lo sappiamo. L’innamoramento è così travolgente per questo motivo: ci tocca nel profondo del nostro essere e parla a tutto il corpo. La scienza dice che l’innamoramento è un sentimento che non può durare per sempre. In genere dura dai sei mesi ai tre anni. Tre anni sono molti per un adolescente… e infatti sembra che la durata dell’innamoramento dipenda anche dall’età degli innamorati. Più sei giovane e più questa fase è breve».
L’amore Il caffè delle mamme si domanda se sia davvero il caso che gli adolescenti lo sappiano subito, i due esperti invece ci vanno giù piatti: «Il fuoco dell’innamoramento, per ardere, ha bisogno di carburante e tener viva una fiam-
ma troppo grande richiede tantissime energie. Ed è per questo che l’innamoramento, dopo un po’, passa. È, allora, che vediamo anche tutti i limiti dell’altro. Se vogliamo starci insieme lo stesso, allora questo è amore».
L’orientamento sessuale Aiutiamo davvero i nostri figli a essere sé stessi e ad accettarsi. Senza pregiudizi! Lo possiamo fare con queste parole: «Nessuno può essere diverso da ciò che è. Basta darsi il tempo di scoprire la verità che ciascuno ha dentro».
Il sesso Per Pellai e Tamborini la cosa più importante da dire (e gli adulti fanno un po’ fatica a farlo) è che la sessualità è una cosa che fa stare bene. «Regala un piacere che rende la vita più bella, ma lo fa in modo differente a seconda dell’età che hai. Gli organi genitali si svegliano improvvisamente e mandano al cervello molti stimoli e lo stesso fa il cervello verso gli organi genita-
li, inducendo a volte uno stato di forte eccitazione: basta vedere un’immagine oppure essere sfiorati dalla mano di un’altra persona per sentire che qualcosa di forte succede dentro di noi».
La cannabis e l’alcol Sull’uso della cannabis i due esperti si attengono in modo rigoroso alla scienza: «Le neuroscienze dimostrano che l’uso della cannabis in età adolescenziale danneggia in modo significativo la capacità di apprendimento di coloro che l’assumono, facendogli fare molta più fatica per raggiungere i risultati attesi». E sul consumo di alcol Pellai e Tamborini invitano a fare un esperimento per capire cosa vuol dire perdere la lucidità bevendo: «Prova a sistemare sul pavimento quindici bottiglie di plastica in fila. Gira su te stesso volte e poi prova a fare uno slalom». A Il caffè delle mamme la consapevolezza è che – con le parole giuste – tutti questi temi vanno affrontati sempre prima. Per non essere battuti sul tempo da TikTok.
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La grande famiglia di Lilly
Personaggi ◆ La figura e l’operato della protagonista dell’ultimo romanzo di Mattia Bertoldi raccontata dalla nipote Evelina Camponovo, presente ad Ascona negli anni in cui la zia accolse numerosi bambini in fuga dalla guerra Stefania Hubmann
Lilly Volkart. Un nome e una figura fino a pochi mesi fa sconosciuti ai più, divenuti familiari grazie all’ultimo libro di Mattia Bertoldi. Nel suo primo romanzo storico lo scrittore ticinese offre ai lettori il ritratto di questa donna valorosa, nata e cresciuta a Zurigo, ma vissuta poi ad Ascona dove durante il secondo conflitto mondiale ha accolto nel suo Kinderheim migliaia di bambini in fuga dalla guerra. Il volume ne traccia la storia, romanzata soprattutto nelle parti dedicate alla sua gioventù, evidenziando anche il difficile contesto nel quale ha operato. Ascona, vicina al confine con l’Italia, si è ritrovata in una posizione delicata, in bilico tra paura e accoglienza. Ascona era pure sinonimo di una cospicua presenza di intellettuali e artisti che nella realtà come nel romanzo hanno aiutato Lilly Volkart nella sua «missione». Il coraggio di Lilly (Edizioni Tre), scritto partendo da un numero ridotto di fonti – una ricerca pubblicata in tedesco e alcune testimonianze dirette – ha risvegliato altre memorie, raccolte dall’autore. Con lui e una nipote di Lilly Volkart, Evelina Camponovo Spertini di Lugano, siamo andati alla scoperta di quanto emerso dopo la pubblicazione del libro. Per Mattia Bertoldi le esplorazioni nelle terre locarnesi non si sono esaurite con la raccolta di informazioni precedente la stesura del romanzo. Racconta lo scrittore: «Sono stato di recente ad Ascona e mi sono imbattuto in Christine Knaak, vedova di quel Lothar Knaak che per decenni ha lavorato con Lilly Volkart. La signora Knaak mi ha consegnato un CD con la versione in italiano del documentario Lillys Kinder realizzato da SRF, versione di cui finora non c’era traccia. Il filmato I bambini di Lilly, come tutto il materiale che raccolgo su Lilly Volkart, è a disposizione sulla piattaforma «lanostrastoria.
in giardino, così da non vederli tutti insieme e poter riferire che era tutto a posto. In realtà il loro numero elevato destava qualche sospetto e non sono mancate neppure le minacce». La famiglia Volkart, come si legge anche nelle pagine de Il coraggio di Lilly, intratteneva stretti legami con artisti, scrittori e altri esponenti del mondo culturale nazionale e internazionale che soggiornavano ad Ascona. Lilly ricevette da loro sostegno morale e finanziario, così come dai fratelli maggiori Gustav, dottore in fisica e matematica rimasto a Zurigo, e Max, trasferitosi in Cina e attivo nel commercio. «Tutta la famiglia la aiutava con discrezione», precisa la nostra interlocutrice. «Con Lilly abbiamo sempre mantenuto il contatto anche negli anni dopo la guerra, festeggiando ad Ascona diverse ricorrenze familiari. Per i suoi anni sono giunti auguri anche da parte di ex ospiti del Kinderheim».
Ritratto di famiglia con da sin. Lilly Volkart, la sorella Elsbeth, i fratelli Gustav e Max e al centro la madre Lina.
ch». In questo modo il pubblico ha accesso a più ampie informazioni sulla vita e l’operato di questa rilevante figura legata alla storia del Ticino». Ulteriori contatti sono stati stabiliti con Stefano Camponovo, pronipote di Lilly; Michel Stopnicer, uno dei bambini giunti ad Ascona negli anni della guerra e ospite del Kinderheim assieme alla sorella; o ancora il figlio di Hedwig Rümeli, detta Hedi, giovane ragazza giunta da oltre Gottardo per aiutare Lilly e presente anche nel romanzo. L’impegno di Lilly Volkart con i bambini, iniziato nel come colonia estiva per figli di famiglie agiate e trasformatosi nell’accoglienza di piccole vittime della guerra (in particolare delle persecuzioni naziste contro gli ebrei), si intreccia con le vicende della sua famiglia di origine. La sorella minore Elsbeth si era infatti pure trasferita ad Ascona, ospitando nella sua nuova famiglia Spertini la madre Anna rimasta vedova precocemente. Ricordi e aneddoti di quel periodo e degli anni successivi, durante i quali Lilly continuò ad accogliere giovani in difficoltà costruendo per loro un percorso educativo, rivivono nel racconto di Evelina Camponovo, figlia di Elsbeth. Nella sua casa di Lugano ci sono fotografie, ritagli di giornali, il libro Ein Zuhause
für jüdische Flüchtlingskinder del , frutto della ricerca di Eveline Zeder alla quale ha fornito le fotografie per la pubblicazione. Fino a poco tempo fa c’era pure un battello giocattolo risalente ai tempi del Kinderheim di Ascona. È stato il giocattolo preferito dell’abiatico Aldo, nato nel , che ora lo custodisce.
Lilly Volker aveva dalla sua una grande generosità e una visione delle cose e del mondo all’avanguardia Nata nel , Evelina Camponovo conserva da parte sua diversi ricordi dell’infanzia trascorsa ad Ascona dove ha frequentato le scuole elementari, così come la sorella Veronica nata sei anni più tardi. Anni durante i quali ha avuto occasione di andare da zia Lilly in via Collinetta (zona del Monte Verità) a giocare con i bambini del Kinderheim. L’attività di Lilly Volkart si sviluppò a tal punto da arrivare a occupare tre edifici: Casa Cedro (abitazione messa a disposizione da Mia Hesse-Bernoulli, prima moglie dello scrittore Hermann Hesse), Casa Quercia e Casa Bianca. Da poche decine, i bambini passarono durante la guerra a oltre e si
calcola che sull’intero arco della sua apertura, durata oltre sei decenni, il Kinderheim ne abbia ospitati quasi quattromila. L’ambiente di vita descritto nel romanzo di Mattia Bertoldi corrisponde a quanto ricorda la nipote Evelina che così rievoca la figura della zia materna: «Lilly, come mia madre, emanava una forza tranquilla. Non ho mai assistito a scene di panico o collera. Sapeva come comprendere la delicata situazione di ogni bambino, facendogli comunque capire quando sbagliava. Seguiti da maestri, i piccoli ricevevano un’educazione scolastica che si affiancava agli insegnamenti di Lilly. Venivano trasmessi sani valori – rispetto, precisione, pulizia, puntualità – in un ambiente allegro e colto ma non lussuoso. Si parlava schwyzerdütsch, italiano e anche francese. Ognuno doveva svolgere piccoli compiti legati alla vita quotidiana». Evelina Camponovo sottolinea la solidarietà dimostrata nei confronti dell’iniziativa di sua zia. «C’erano persone che le passavano i bollini per la spesa alimentare, la mia famiglia le portava frutta e verdura del giardino (in parte trasformato in campo di patate e mais), il poliziotto locale incaricato di andare a contare i bambini arrivava apposta quando questi giocavano
«Lilly emanava una forza tranquilla (...) Sapeva come comprendere la delicata situazione di ogni bambino» Insegnamenti e curiosità contribuiscono ad arricchire la visione di questa donna generosa e all’avanguardia. Il suo spirito emerge a tutto tondo dalle pagine del romanzo di Mattia Bertoldi, così come quello di alcuni piccoli e grandi coprotagonisti. I primi li ha protetti creando una sorta di bolla, ma anche di grande famiglia, nella quale essere al sicuro e crescere in attesa di ritrovare i genitori. L’autore le fa però ammettere con i suoi piccoli ospiti che «succedono cose terribili», ma nel contempo tante persone buone li hanno aiutati portandoli fino a lei. Nel romanzo Lilly Volkart esprime al riguardo le seguenti considerazioni: «Ha sempre pensato che i più piccoli non siano in grado di gestire quelle informazioni; soltanto ora si rende conto della loro forza. Della loro capacità di resistere e di adattarsi». La significativa azione svolta da Lilly Volkart ad Ascona, dove era giunta al seguito di una famiglia zurighese con due figli gracili, va infine inserita nel contesto di un’iniziativa più ampia alla quale lei stessa contribuì personalmente. Fu infatti una delle venti donne che fondarono lo Schweizer Hilfswerk für Emigrantenkinder (Aiuto svizzero per bambini emigranti), istituzione che dal al permise a oltre diecimila bambini in pericolo di trovare rifugio in Svizzera. Molti di loro nel Kinderheim di Lilly.
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azione
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MONDO MIGROS
I fagiolini verdi di produzione svizzera Attualità
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Un legume di stagione che spicca per le sue proprietà nutrizionali e la versatilità culinaria
I fagiolini verdi, conosciuti anche con il nome di «cornetti», come altre varietà di fagiolo sono originari del Sudamerica dove crescono spontaneamente nelle foreste tropicali e subtropicali. Poco tempo dopo la scoperta dell’America, furono introdotti in Europa attraverso la Spagna. I fagiolini verdi sono legumi «mangiatutto», ossia se ne consuma l’intero baccello. La pianta è una rampicante che necessita di un supporto. La coltura è particolarmente esigente in fatto di manodopera nella fase di raccolta, pertanto in Svizzera la produzione è essenzialmente limitata a piccole superfici. I fagiolini verdi devono sempre essere cotti prima del consumo,
perché contengono una sostanza tossica, la lectina, che può provocare disturbi gastrointestinali. Con la cottura viene eliminata completamente. I fagiolini verdi forniscono importanti sostanze benefiche per il nostro organismo, come proteine di alto valore, fibre, sali minerali e vitamine. All’acquisto i fagiolini devono essere di un bel colore verde, croccanti e senza macchie di «ruggine». Si possono cucinare in molteplici modi: in insalata, come contorno o come piatto principale. Un grande classico è il piatto del contadino, con pancetta, patate e salsiccia. Prima di cucinarli è consigliabile eliminare le due estremità e il filamento centrale del baccello.
Azione 25% Fagiolini verdi, Svizzera, 500 g Fr. 3.20 invece di 4.30 dal 9.8 al 15.8.2022
La ricetta Insalata di fagiolini verdi Contorno per 6 persone • 1 kg di fagiolini verdi • sale • 1 cipolla • 300 g di pomodori, ad es. verdi • 1 mazzetto di prezzemolo • 2 spicchi d’aglio • 1 dl d’olio d’oliva • 7 cucchiai di Condimento bianco • pepe dal macinapepe
Preparazione
Monda i fagiolini e lessali in acqua salata per ca. minuti. Passali sotto l’acqua fredda, scolali e falli sgocciolare. Taglia la cipolla e i pomodori a spicchi sottili e mettili in una scodella. Unisci le foglie di prezzemolo. Per la salsa, schiaccia l’aglio nell’olio, aggiungi l’aceto, sala e pepa. Mescola bene tutto e servi.
Fette di bontà Attualità
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La mortadella Beretta è un grande classico della salumeria italiana
È una delle più sfiziose farciture per panini e focacce, ma è apprezzata anche da sola come antipasto o abbinata a paste, insalate e verdure. Stiamo parlando della mortadella Beretta, un prelibato insaccato cotto riconoscibile già a prima vista per le sue fette sottilissime e la grana unica. Il suo tipico aspetto marmorizzato e l’aroma gradevole sono il risultato del perfetto equilibrio tra carne suina magra e lardo, a cui vengono aggiunte spezie e aromi naturali. Una volta delicatamente miscelato, l’impasto di carne viene insaccato in un budello naturale e cotto lentamente in forni ad aria calda fino al raggiungimento di una temperatura interna di minimo °C. La mortadella Beretta è realizzata nel rispetto della ricetta tipica originale. Si ritiene che la prima denominazione di questo insaccato risalga al , quando il cardinale Farnese pubblicò una sorta di avviso che codificava la produzione del salume, anticipando per certi versi l’attuale disciplinare del consorzio di tutela del prodotto.
Oltre 200 anni di esperienza
La mortadella è solo una delle specialità firmate Fratelli Beretta presenti sugli scaffali Migros da oltre trent’anni. Dell’assortimento fanno infatti parte anche i prosciutti crudi di Parma e San Daniele, la bresaola della Valtellina, i salami Milano e Felino, la coppa e il prosciutto cotto. L’azienda nasce nel a Barzanò, nei pressi di Milano, e rappresenta una storia familiare di successo giunta oggi alla settima generazione. Grazie ad una produzione che impiega le più moderne tecnologie, ma che non trascura mai la grande tradizione alimentare italiana, l’azienda è diventata uno dei leader in Italia e a livello internazionale nel settore dei salumi. Azione 26% Mortadella Beretta Italia, per 100 g Fr. 2.10 invece di 2.85 dal 9.8 al 15.8.2022
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MONDO MIGROS
Voglia di caffè freddo
Attualità ◆ Il mitico marchio Emmi Caffè Latte offre deliziose bevande fredde per ogni occasione. Grazie all’offerta vantaggiosa di questa settimana, potete farne una bella scorta
Azione 20% su tutti gli Emmi Caffè Latte, da 2 pezzi dal 9.8 al 15.8.2022
Nato nel da un’idea della Emmi SA, la più grande azienda svizzera di trasformazione del latte e tra le prime in Europa, il marchio Emmi Caffè Latte in pochi anni ha fatto registrare un successo senza precedenti, tanto che nel sono stati venduti per la prima volta qualcosa come oltre milioni di Emmi Caffè Latte in un anno. Per produrre questi deliziosi caffè freddi vengono accuratamente selezionati solo i migliori ingredienti. Fin dall’inizio tutte le varietà sono prodotte con caffè preparato fresco. Il caffè utilizzato proviene solo da produttori certificati con il label internazionale della Rainforest Alliance, ossia da aziende che nei paesi di origine si impegnano a rispettare gli standard sociali ed economici dell’agricoltura sostenibile. Inoltre, solo il migliore
latte svizzero entra tra gli ingredienti degli Emmi Caffè Latte, ciò significa che esso deriva da mucche che si nutrono principalmente di erba di pascolo, fieno e insilati. Gran parte delle bevande reca anche il marchio “% natural ingredients”, pertanto non contengono stabilizzanti, addensanti, conservanti, coloranti o aromi artificiali. Solo per le varietà prive di zucchero vengono impiegati degli edulcoranti. Alla Migros si possono scegliere tra una decina di gusti di Emmi Caffè Latte. Qualche esempio? Dai classici Cappuccino, Espresso o Macchiato alle aromatiche varianti Almond Macchiato vegan o Vanilla con vaniglia del Madagascar, dall’High Protein ricco di proteine ai Double Zero senza zuccheri aggiunti fino al leggero Balance con pochissime calorie. Annuncio pubblicitario
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SOCIETÀ
Mulegns rinasce con la cultura
Progetti ◆ La Fondazione Origen – accanto all’attività teatrale, musicale e non solo – intende salvare il villaggio grigionese costruendo fra l’altro una Torre Bianca stampata in 3D Fabio Dozio
Se andate in Engadina transitando dal Passo del Giulia, superati Savognin e Rona arrivate a Mulegns. Lì fermatevi e scoprite cosa sta facendo la Fondazione Origen per questo villaggio quasi abbandonato, ne vale la pena. Farete un salto all’inizio del Novecento, quando davanti al Post Hotel Löwe le diligenze si fermavano per cambiare i cavalli e i viaggiatori dormivano una notte per alleggerire le fatiche del viaggio da Coira a Samedan. Fino a Mulegns bastavano quattro cavalli per diligenza, per affrontare la salita del passo i cavalli diventavano sei. Visitate la Villa Bianca costruita dal pasticciere Jegher, che si arricchì in Francia, la casa parrocchiale, la casa del contadino, la piccola casetta del telegrafo e l’albergo. Tutto rimasto come all’origine oppure restaurato con stile e con garbo. Un tuffo nel passato che vi potrà sbalordire. Salvare un villaggio grazie alla cultura. È quanto sta accadendo oggi a Mulegns. Dove la politica è impotente, l’economia è inesistente, il turismo è disinteressato, la cultura può compiere il miracolo, facendo rinascere un paese di abitanti, sulla strada trafficatissima che collega Tiefencastel e Savognin alla ricca Engadina. Chi ha percorso questa strada non può non conoscere Mulegns, perché fino a due anni fa c’era una strettoia, un imbuto, che impediva a due autocarri di incrociare. Ora la strada è più scorrevole, perché la Villa Bianca che la costeggiava è stata spostata di sei metri. Il Canton Grigioni ha discusso per oltre vent’anni su come allargare il passaggio, senza giungere a decisioni operative. Giovanni Netzer, direttore artistico (Intendant) della Fondazione Origen, ha risolto il problema in meno di due anni, lanciando l’idea di far scivolare la villa verso il fiume, dopo aver raccolto i finanziamenti necessari. La Villa Bianca è una testimonianza della storia dei migranti grigionesi, costruita nel dal pasticciere Jean Jegher, rientrato al paese d’origine dopo aver fatto fortuna a Bordeaux. Giovanni Netzer, un visionario nel cuore delle alpi, come l’avevamo definito in un articolo del .., ha fondato nel il teatro Origen a Riom. I primi spettacoli al castello, poi un continuo sviluppo con iniziative originali, perché Netzer non teme di affrontare l’impossibile, anzi, lo cerca. A Riom la Fondazione Origen ha acquistato la Villa Carisch, costruita e appartenuta a un emigrante che si era arricchito in Francia, poi via via ha occupato altri spazi nel villaggio, riempiendoli di eventi culturali: musica, balletto, spettacoli, teatro, atelier di costumi ecc. Nel la Fondazione Origen, grazie alle attività promosse a Riom, ha ottenuto il premio Wakker di Heimatschutz, che viene assegnato a comuni e, in casi eccezionali, ad associazioni che si distinguono per la gestione del patrimonio storico architettonico. Dopo la rivitalizzazione di Riom, Netzer ha presentato il progetto per salvare Mulegns («Mulegns retten») con una serie di interventi: lo spostamento della Villa Bianca realizzato due anni fa, la riattazione, quasi ultimata, del vecchio e storico Post Hotel Löwe, il recupero della casa parrocchiale e della casa rurale e, dulcis in fundo, la realizzazione della Torre Bianca, una torre di metri che verrà realizzata in cemento bianco grazie a una stampante D. Un’opera con re-
Modellino dellaTorre Bianca che sorgerà a Mulegns. (Keystone)
In vetta con «Azione» Concorso/1 ◆ Una serata di musica latina sul Generoso
Oltre alla risalita sull’unica cremagliera del Ticino e a un panorama mozzafiato, il Monte Generoso offre una serie di appuntamenti atti a valorizzarne le peculiarità e la straordinarietà. Fra questi si colloca anche la serata danzante a tema latino del agosto. Una serata imperdibile che offrirà agli appassionati un’atmosfera speciale. Durante la serata ci sarà l’occasione di ballare liberamente o in solitaria con la propria o il proprio partner. Per l’occasione non ci saranno i tavoli assegnati ma sarà privilegiato il formato standing (in piedi).
Ballare sul Generoso
miniscenze gotiche, ma che fa immaginare una torta di zucchero. «L’idea è nata perché volevamo continuare a raccontare la storia dei pasticcieri», ci spiega Giovanni Netzer nella bella sala liberty dell’albergo Post Löwe. «La domanda che ci siamo posti era questa: cosa costruirebbe un pasticciere emigrato in Europa se ritornasse oggi nel suo paese natio? All’epoca erano pionieri, erano aperti alle nuove tecnologie, avevano visto le grandi città, volevano case con finestre ampie e luminose, così ci siamo detti che, per continuare a raccontare questa storia dei pasticcieri, era necessario pensare a un progetto contemporaneo». La Torre Bianca è un progetto avveniristico, concepito dalla Fondazione Origen assieme al Politecnico federale di Zurigo. Una torre di quasi trenta metri con un diametro massimo di nove metri. Sarà realizzata sul posto con una stampante D a partire dal prossimo anno di fianco all’albergo. Il costo previsto è di , milioni di franchi. Per poterla costruire l’assemblea comunale del comune di Surses, a cui appartiene Mulegns, ha modificato il piano regolatore. Il permesso di costruzione durerà cinque anni. Si tratta quindi di un progetto effimero, come è stata la Torre Rossa sul Giulia, altra realizzazione originale di Giovanni Netzer, costruita nel e che alla fine di agosto di quest’anno verrà demolita. Anche per il Politecnico di Zurigo questa operazione riveste importanza, sia dal profilo scientifico, perché si tratta di un prototipo sperimentale, sia perché offre all’ETH la possibilità di coniugare sapere scientifico e cultura, sviluppando l’innovazione in diretta interazione con il territorio. Giovanni Netzer ha radici a Savognin, dove è cresciuto. Ha studiato teologia e arte drammatica a Monaco di Baviera, ma invece di imboccare una carriera teatrale nelle capitali d’Europa ha deciso di ritornare in valle. Ha tante qualità, una mente aperta e grandi visioni, un’attenzione per la cultura e la natura del luogo e una predilezione per la storia delle migrazioni. In passato per un Cantone povero come il Grigioni, così come per il Ticino, emigrare era una necessità per molti contadini. La tradizione di queste valli ha trasformato i contadini in pasticcieri (Zuckerbäcker). Alcuni hanno avuto successo in tante città d’Europa. Da Savognin andavano a Venezia, da Riom a Parigi,
da Mon a Odessa, da Mulegns a Bordeaux. La storia della Fondazione Origen è legata a doppio filo alle storie dei pasticcieri migranti della regione. Ma qual è il senso di questa torre che ricorda il pasticciere e che diventerà un simbolo per Mulegns? «La Torre principalmente per noi è uno spazio culturale», precisa Netzer. «Vuol dire avere la possibilità di fare piccole rappresentazioni, potrà essere visitata come un’istallazione e sarà anche un’attrazione per la gente che passa e che potrà fermarsi incuriosita a scoprire la torre e la storia di Mulegns. D’altra parte si tratta di un prototipo dal profilo tecnico, con varie sfide: risparmiare il cemento, costruire in modo ecologico, con metodi innovativi, per definire e mettere in pratica quella che può essere la costruzione del futuro. Per noi è molto interessante sviluppare queste nuove tecnologie e penso che per gli architetti coinvolti, così come per il Politecnico, sia un’occasione per realizzare esperimenti che guardano al futuro, che non si fermano alla costruzione di una piccola casa unifamigliare. È in gioco la possibilità di mostrare le qualità delle nuove tecnologie».
La Torre Bianca sarà realizzata sul posto con una stampante 3D in collaborazione con il Politecnico di Zurigo La Fondazione Origen aveva già sorpreso e fatto discutere per la realizzazione, nel , della Torre Rossa sul Passo del Giulia. Per la Torre Bianca che prospettive ci sono? «La particolarità della Torre Bianca – ci dice Giovanni Netzer – a differenza della Torre Rossa di legno sullo Julier, è che sarà costruita modularmente. Vale a dire che il sistema di costruzione prevede di poterla assemblare, ma poi anche di smontarla, e quindi di ricostruirla eventualmente in un altro posto. In fondo la storia dei pasticcieri grigionesi non appartiene solo a Mulegns, ma a tanti altri comuni del Cantone. Questo potrebbe offrire uno sviluppo futuro e una nuova vita alla torre. Qui è previsto che rimanga cinque anni, come ha stabilito la modifica della pianificazione che ne permette la costruzione. Se si volesse mantenerla più a lungo, bisognerebbe modificare la legge. Chissà… La Torre Rossa era nata per essere uno spazio teatrale: il
teatro è effimero e così lo è stata la torre dello Julier. Ora è diverso: si tratta di un prototipo, magari ci saranno errori o imperfezioni nella costruzione che dovranno essere corretti; è un progetto che ha anche una valenza di esperimento tecnico». Queste operazioni di salvaguardia e di promozione di Mulegns serviranno per rilanciare il paese? «È una delle idee fondamentali di questi progetti, una sfida che ci attende. Pensiamo che l’albergo, quando riaprirà l’anno prossimo, creerà una quindicina di posti di lavoro. La gente che lavorerà qui avrà interesse a poter vivere nel paese e quindi penso che alcune strutture, come la casa parrocchiale o la Bauernhaus, anche se semplici, potranno essere utili come abitazioni per chi lavora. Penso che, alla fine, per dare nuova vita al villaggio è importante che ci sia lavoro». La particolarità di Netzer è che non è solo uomo di cultura. Propone decine di eventi teatrali, musicali e di spettacolo, da Riom a Mulegns, da Savognin all’Engadina, a innumerevoli palcoscenici grigionesi e non solo. In questi anni è stato e continua a essere promotore e organizzatore, raccoglie fondi e gestisce una rete di sostenitori, fa rivivere vecchie abitazioni e testimonianze del passato: insomma, un manager a tutto campo con energia inesauribile. Giovanni Netzer è inarrestabile, sempre in movimento. «Sì – conferma sornione – una minaccia…». Certo, ora la Fondazione Origen può contare su molti collaboratori fidati e qualificati, ma la cura spasmodica dei particolari di tutte le operazioni è una caratteristica dell’Intendant. Così al Post Hotel Löwe si continua a curare con dedizione i gerani piantati dalla signora Donata Willi, l’ex proprietaria che si è ritirata pochi anni fa alla bella età di anni. Nella Villa Bianca si è serviti impeccabilmente da giovani ragazze nelle loro eleganti divise nere e si possono gustare torte e pasticcini che ricordano l’antico padrone di casa. Se andate in Engadina passando dal Giulia a partire dalla prossima estate vedrete la Torre Bianca svettare accanto all’albergo Löwe e a due passi dalla Villa Bianca spostata per allargare la strada. Chissà cosa direbbe il fortunato pasticciere Jegher osservando quanto la Fondazione Origen sta facendo per celebrare la sua storia e per rilanciare, grazie alla cultura, le sorti del suo piccolo villaggio...
«Azione» mette in palio alcuni biglietti (a coppie di due) per la serata Latin Night in vetta al Generoso di sabato 27 agosto 2022. L’offerta comprende il biglietto per il viaggio di andata e ritorno con il trenino a cremagliera (partenza da Capolago alle 18.45 e ritorno alle 23.00), un assaggio di risotto e musica latina. Per partecipare al concorso inviare una mail a giochi@azione.ch (oggetto: «Latin Night») indicando i vostri dati personali entro domenica 14 agosto 2022. Info: montegeneroso.ch
Per i cari vicini
Concorso/2 ◆ Migros mette in palio 500 carte regalo da 500 franchi Una cena di quartiere? Un orto condiviso? L’#iniziativadivicinato di Migros Impegno vuole promuovere il buon vicinato nel nostro Paese e dunque mette in palio carte regalo Migros da franchi per piccoli progetti di vicinato. In autunno seguirà un concorso di idee per sostenere progetti di vicinato di maggiore portata e l’iniziativa terminerà a maggio con la Giornata del vicinato. Per maggiori informazioni e per partecipare migros-engagement.ch/vicinato
Settimanale di informazione e cultura
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azione – Cooperativa Migros Ticino
SOCIETÀ
La verità molecolare che sta dietro la madeleine Ricerca
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A cent’anni dalla nascita di Proust, le neuroscienze ne stanno studiando l’opera
Lorenzo De Carli
Il blogger Nicolas Ragonneau sta emergendo come il più originale studioso di Marcel Proust, rinnovando profondamente la conoscenza di À la recherche du temps perdu con un volume intitolato: Le proustographe. Proust et «À la recherche du temps» en infographe, pubblicato da Denoël. Si tratta di un’opera che non ha eguali e che solo un autore giunto assai tardi alla conoscenza della Recherche, e – per così dire – per vie traverse ha potuto realizzare: una vera e propria enciclopedia visiva di Proust e della sua opera.
Per le neuroscienze, l’episodio della «madeleine» è il primo della serie perché gusto e olfatto «sono gli unici ad avere un collegamento diretto con l’ippocampo» In una infografica, per esempio, leggiamo la frase più corta della Recherche, costituita di una sola parola, accanto a quella più lunga: un periodo grammaticale di parole, che si legge in Sodome et Gomorrhe. In un’altra pagina, invece, vediamo l’infografica di chi, nella Recherche, ama chi; scoprendo che l’opera di Proust, tra le prime a definire i suoi personaggi in funzione della loro sessualità, è un inno alla bisessualità. La vita di Proust si svolse pressoché tutta a Parigi, in pochi chilometri quadrati nella riva destra della Senna, e negli ultimi anni lasciava raramente la sua stanza tappezzata di sughero. L’idea che molti si son fatti di lui, come di un uomo ritiratosi dal mondo, totalmente immerso nella stesura della sua opera, è un’idea corretta. In due infografiche di Ragonneau, però, leggiamo anche il prezzo di quella vita sacrificata sull’altare della letteratura. Asmatico, insonne, ansioso e tormentato dai mali più disparati, Proust divenne uno dei più grandi tossicomani della storia della letteratura. Il padre e il fratello, en-
trambi medici, poco poterono per interrompere la spirale di una infernale automedicazione, usando la belladonna e la morfina per l’asma; l’adrenalina e la caffeina per vincere il sonno; il trional, il tetronal, l’oppio e il veronal, invece, per cercar di dormire. È probabilmente proprio in questa deliberata automanipolazione dei suoi stati psichici che Proust divenne una specie di neuroscienziato. Negli ultimi dieci anni è cresciuto l’interesse dei neuroscienziati per la Recherche, e in particolare per quegli episodi che il suo autore definiva di «memoria involontaria». Non possiamo chiedere agli scienziati che si occupano del cervello di conoscere anche il contesto storico e culturale in cui nacque questo o quel classico della letteratura, ma per Proust – lettore di Henry Bergson e del suo Matière et mémoire – la memoria doveva essere argomento di riflessione continua perché, secondo lui, era il passato a definire il senso del presente. D’altra parte, la letteratura coeva alla Recherche era estremamente ricettiva al tema dell’improvviso apparire del passato e del senso che dovremmo attribuire a questi episodi – basti pensare a quelle che James Joyce chiamava «epifanie»; e qualche decennio dopo alla diluizione del passato nel presente e viceversa che Virginia Woolf descrisse nel suo romanzo The Waves. Si trattava anche in un contesto culturale, nel quale le scoperte della psicanalisi giustificavano l’esplorazione narrativa di stati della coscienza descritti solo occasionalmente in passato ma che la letteratura stava ormai sistematicamente battendo come nuovi territori. Per alcuni studiosi della mente che si sono avvicinati negli ultimi anni a Proust – come per esempio in Inghilterra Emily Troscianko e in Germania Hannah Monyer – il contesto storico nel quale operò Proust, così come le arti coeve, sono poco rilevanti. Diverso è invece il caso di Jonah Lehrer, che ha studiato pittori come Paul Cézanne o musicisti come Igor
Questa statua di cera, situata al Château de Breteuil, rappresenta Proust nella sua stanza, dove scrisse la sua opera maggiore, ma anche dove divenne tossicomane. (Lionel Allorge)
Stravinskij, o scrittrici come Gertrude Stein e Virginia Woolf, mettendo in luce nel suo Proust era un neuroscienziato quanto essi siano acuti nel descrivere fenomeni percettivi oggi studiati dalle neuroscienze. Se dal punto di vista delle «verità» che il narratore della Recherche scopre grazie ai ricordi involontari, l’episodio più importante è l’ultimo – quello del contatto con il lastricato sconnesso nel cortile di palazzo Guermantes, che innesca la resurrezione di San Marco e che gli fa comprendere che la vita vera si manifesta quando nel
presente sentiamo vibrare il passato, quando si verifica il pieno sovrapporsi del «qui» con l’«altrove» di un passato che sopraggiunge per ingravidare di senso il presente – dal punto di vista delle neuroscienze, però, non è un caso che l’episodio della «madeleine» sia il primo della serie perché gusto e olfatto «sono gli unici ad avere un collegamento diretto con l’ippocampo, il centro della memoria a lungo termine». Le neuroscienze, chiarisce Lehrer, ci spiegano che «i nostri ricordi esistono come lievi alterazioni della
forza delle sinapsi, che facilitano la comunicazione tra neuroni»: ricordiamo, cioè, perché, in un certo momento, i nostri neuroni assunsero una certa configurazione, stabilizzatasi nel tempo. Esperimenti recenti, hanno messo in rilievo che «il ricordo si altera in assenza dello stimolo originario e riguarda sempre meno il suo oggetto e sempre più noi» – scrive Lehrer. Per un verso, quindi, il «ricordo esige una certa costruzione cellulare», grazie alla quale l’esperienza che facciamo del mondo viene incorporata nel cervello; me per l’altro verso, nell’atto di ricordare, il nostro referente non è più ciò che abbiamo esperito del mondo, bensì il ricordo – il quale, a sua volta, genera copie modificate di sé stesso per mezzo di nuove configurazioni neurali. Ma come avvengono queste nuove configurazioni? Kausik Si – neuroscienziato che lavora nel laboratorio del premio Nobel Eric Kandel alla Columbia University – è il ricercatore che sembra essere sulla buona strada per descrivere la biologia molecolare della Recherche: «quando apprendiamo qualcosa e formiamo ricordi di lungo termine, si stabiliscono nuove connessioni sinaptiche, e i prioni solubili in quelle sinapsi sono convertiti in prioni aggregati. I prioni aggregati attivano la sintesi proteica necessaria per mantenere la memoria». Kausik Si ha scoperto che è il gene CPEB a codificare per la proteina che marca come ricordo una specifica ramificazione dendritica; e probabilmente è anche il meccanismo molecolare che ha fatto della madeleine la forza motrice della Recherche: «è solo quando il pasticcino viene inzuppato nel tè – scrive Lehrer –, quando la memoria viene richiamata in superficie, che la CPEB torna in vita. Il gusto del dolcetto scatena un flusso di nuovi trasmettitori verso i neuroni che rappresentano Combray e, se si raggiunge il punto di svolta, la CPEB attiva infetta i dendriti vicini. Da questo fremito molecolare nasce il ricordo».
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Viale dei ciliegi Carol Roth-Valeri Gorbachev, Coniglietto non riesce a dormire Edizioni Arka (Da 3 anni)
Non può che rallegrarci la ricomparsa, finalmente, di un albo illustrato bellissimo, un vero e proprio classico nell’ambito delle storie della buonanotte, che immancabilmente incontrava l’entusiasmo di ogni piccolo lettore/ascoltatore (e so di cosa parlo, perché l’ho presentato in letture animate, per anni, a centinaia di bambini). Si intitolava La notte in bianco di Tommaso ed era pubblicato da Nord-Sud, ma era fuori catalogo da tempo. Ora, grazie all’intelligente recupero della casa editrice Arka – di lunga e alta tradizione nell’ambito dell’albo illustrato di qualità – torna, per la nostra gioia, in libreria, con un titolo più immediato e una traduzione rinnovata, più leggera, più scorrevole. Scritto da Carol Roth e illustrato da Valeri Gorbachev, noto autore/illustratore ucraino emigrato trent’anni fa negli Stati Uniti, racconta la storia di Coniglietto che, nonostante abbia una bella cameretta tutta per sé, non vuole stare da solo nel suo lettino e saltella
di Letizia Bolzani
nelle case degli altri animali del bosco chiedendo di poter dormire da loro. Ma ogni volta sorge un problema a disturbargli il sonno: Scoiattolo sgranocchia rumorosamente nocciole nei suoi spuntini notturni, Puzzola fa puzzette, gli aculei di Porcospino pungono… e così via, di casa in casa, fino a scoprire che forse il suo lettino non era poi così male! Oltre al valore rappresentativo delle frequenti difficoltà dei bambini nell’accettare di dormire tranquilli nel loro lettino – e a funzionare quindi co-
me potente rassicurazione e incoraggiamento a farlo, invece, perché nel lettone si sta più scomodi, come nelle tane degli altri animali – questa semplice, vivacissima, storia, ha ulteriori punti di forza. Soprattutto perché è una di quelle storie a schema iterativo: Coniglietto bussa a una porta–viene invitato a entrare–prova a dormire–sorge un problema legato a una particolarità dell’animale ospite–Coniglietto ringrazia e cerca un’altra casa; e lo schema iterativo è perfetto per i più piccoli, che possono fare ipotesi sul proseguimento della storia e vedere le loro ipotesi confermate, rafforzando così la loro autostima di fruitori narrativi, e futuri lettori, e mantenendo concentrata l’attenzione per lo svilupparsi della storia. Ma questo schema iterativo è ben vivacizzato da sorprese continue (il bambino si aspetta che Coniglietto incontri un problema, ma non sa quale) ricche di humour che immancabilmente scatenerà le risate (ahi come mi pungono il sedere gli aculei di Porcospino! Che versi fa Orso quando russa!). Da leggere e rileggere ad alta voce, per addormentarsi ogni volta con un sorriso.
Brigit Young La più bella. Tu non sei un numero Edizioni Giunti (Da 11 anni)
Alla scuola media Ford qualcuno ha stilato una lista che arriva a tutti i cellulari degli studenti. La lista delle ragazze più belle della scuola. Da quel momento i rapporti tra le persone vanno in crisi, ognuna prova profondo disagio. Chi è esclusa perché è esclusa, chi è al numero perché non è al primo posto, chi è al primo posto perché si sente al centro dell’attenzione e del
sospetto di essere stata lei a scriverla. E soprattutto perché è umiliante e inaccettabile sentirsi giudicate per il proprio aspetto. Un romanzo che invita gli adolescenti a chiedersi quanto della propria unicità si sacrifichi per adeguarsi alle aspettative degli altri, e quanto si perda di vista il rispetto per le persone facendo confronti o dando giudizi su come si appare. Tre ragazze sono le protagoniste di questa storia: Eve, colei che non avrebbe mai voluto finire al primo posto, riservata, grande lettrice, schiva. Sophie, la bella, che mal sopporta lo smacco di essere la numero . E Nessa, che non è nella lista, ma sembra non curarsene. Si uniranno, diverse come sono, per scoprire chi ha stilato il famigerato punteggio. Ma al di là della loro indagine, pur appassionante, quello che importa in questo libro sono le relazioni tra queste ragazze e ragazzi, l’onesta franchezza delle loro riflessioni più intime (sono sicura che non mi importi essere considerata la più bella? Cosa ho fatto per difendere la mia amica quando veniva umiliata?). Per scoprire, come recita un verso di Walt Whitman che ha colpito Eve, che «ognuno di noi è vasto e contiene moltitudini».
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Il vaiolo domestico delle scimmie
Mondoanimale ◆ L’orthopoxvirus riporta la discussione sulle malattie virali trasmissibili da specie a specie
«Da metà maggio in Europa si è registrato un aumento insolito di infezioni da orthopoxvirus in persone senza anamnesi di viaggio in una regione a rischio, e ce ne sono state anche in Svizzera». Così l’Ufficio federale della salute pubblica (Ufsp) illustra l’attuale situazione del virus del vaiolo delle scimmie, i cui dati «filogenetici» riportano all’origine nelle regioni dell’Africa Centrale e Occidentale. Il vaiolo delle scimmie è causato da un’infezione virale e può essere trovato negli animali, inclusi roditori e scimmie, così come negli esseri umani. Negli ultimi mesi se ne parla a causa di un aumento di casi umani in alcuni paesi europei, dove però la malattia non è endemica. Sebbene il nome suggerisca che l’ospite principale di questo virus sia la scimmia, resta ignoto quello che gli esperti definiscono «serbatoio animale specifico» (animale ospite da cui parte il virus), anche se pare che nel continente africano siano i roditori indigeni a costituire un serbatoio naturale per questo virus. L’Ufsp fa presente che le vie di trasmissione del vaiolo delle scimmie sono ancora oggetto di ricerche: «Esso può trasmettersi dall’animale all’uomo o viceversa, oppure anche da persona a persona». Le vie di trasmis-
sione possono essere diverse e sono pure attualmente oggetto di ricerca: «Contatto con secreti, sangue o grandi goccioline respiratorie infette, contatto stretto con persone o animali infetti (solitamente con pelle o mucose, occhi, naso bocca, genitali…), contatto con oggetti contaminati (indumenti, lenzuola, articoli sanitari), rapporti sessuali con una persona infetta (maggiore probabilità di trasmissione da persona a persona)». È legittimo chiedersi quale sia la situazione riguardo alla trasmissione da noi ai nostri animali domestici e viceversa, anche se dagli esperti giungono rassicurazioni: «Nel caso dell’attuale aumento di infezioni da orthopoxvirus al di fuori della regione endemica (ndr: è il caso dell’Europa, Svizzera compresa), secondo le conoscenze attuali la trasmissione avviene principalmente da persona a persona». Complice dunque la segnalazione di alcuni casi di vaiolo delle scimmie nell’uomo, l’Ufficio federale della sicurezza alimentare e veterinaria (Usav) torna sul tema delle zoonosi: «Sono malattie trasmissibili dall’animale all’uomo o viceversa ed è quindi fondamentale sorvegliarle negli animali, nell’uomo e nelle derrate alimentari». Anche nel caso specifico, dunque,
l’Usav si interroga per trovare risposta alle domande che tutti si pongono alla luce dei fatti: «Una persona infetta può trasmettere il virus agli animali e viceversa? Quali animali sono particolarmente ricettivi? Quali sintomi manifestano gli animali infetti?». Dal canto suo, col timore che il virus possa diventare endemico in tutto il Continente passando dall’uomo agli altri animali, il Centro europeo per il controllo delle malattie (Ecdc) ha precauzionalmente esortato le persone infette (assieme agli stretti contatti che sono attentamente monitorati) «a tener distanti i propri animali domestici». Lo scrive nel Regno Unito «The Telegraph» secondo cui «le autorità sanitarie europee dovrebbero idealmente isolare in strutture monitorate criceti, gerbilli e porcellini d’India appartenenti a pazienti affetti da vaiolo delle scimmie». Finora sarebbero i casi sospetti o confermati segnalati in più di venti paesi in tutto il mondo, mentre nelle linee guida pubblicate nei giorni scorsi, i roditori domestici (inclusi oltre gli indicati, anche i topi) sono considerati animali più a rischio di contagio di altri, poiché noti per essere suscettibili alla malattia. Ad ogni modo, in Inghilterra si stanno conti-
Rama
Maria Grazia Buletti
nuando a registrare casi e il direttore dell’UK Health Security Agency Wendy Shepherd, responsabile del monitoraggio del virus nel Paese, ha dichiarato: «Stiamo continuando a identificare prontamente ulteriori casi di vaiolo delle scimmie nel Regno Unito. Come misura precauzionale, i nostri team di protezione della salute consigliano ai casi confermati di evitare il contatto con animali domestici per giorni». Una misura per evitare che questi possano essere infettati e, di conseguenza, trasmettere il virus ad altre persone. Anche se è stato specificato che «altri mammiferi tenuti come animali domestici, come cani e gatti, corrono un rischio molto minore». Gli scienziati non sottovalutano nulla e le ricerche continuano. La buona notizia viene dall’UK Health Security Agency che sottolinea: «Il rischio che qualcuno trasmetta il vaiolo delle scimmie al proprio animale domestico è basso. Infatti, per ora ci sono prove di rischio solo per un numero limitato di specie, la maggior parte delle quali sono roditori». I sin-
tomi della malattia possono variare fra le diverse specie animali. Quelli collegati al vaiolo delle scimmie riscontrati in diversi cani da prateria durante l’epidemia del negli USA sono così descritti: «Tosse, febbre, congiuntivite, mancanza di appetito, difficoltà respiratorie ed eruzioni cutanee». Sintomi simili sono stati osservati anche in primati non umani che sono stati infettati, mentre alcuni animali possono sperimentare una forma più lieve della malattia, con meno manifestazioni. Allo stato attuale, in Svizzera si può comunque dormire sonni tranquilli. Punto di riferimento di monitoraggio e relative informazioni resta l’Usav. Ad ogni modo, basterebbe una semplice quarantena per quegli animali domestici entrati in contatto con esseri umani infetti, mentre quelli più a rischio restano i roditori. Ricordiamo che l’Ecdc specifica che per cani e gatti i rischi di contrarre il vaiolo delle scimmie è inferiore, «anche se nel dubbio di contagio dovrebbero essere tenuti in casa, semplicemente isolati». Annuncio pubblicitario
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NOVITÀ
Settimanale di informazione e cultura
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SOCIETÀ / RUBRICHE ●
L’altropologo
di Cesare Poppi
Tutto ciò che è solido ◆
La linea dei pali della luce che corre lungo la pista scompare oltre l’ultima collina laggiù, sulla linea d’orizzonte dove una nuvolaglia cupa annuncia il prossimo diluvio. Abbiamo chiesto all’ultimo villaggio dove ci siamo fermati fino a dove arriva: ci sarà elettricità a Gurumbelle? A Ducie c’è la luce? Nessuno pare saperlo. Un anziano taglia corto alle mie insistenze: «se vedi la coda di un serpente nell’erba, puoi dire dove sia la testa?!». Sarà. Però. Però la verità è che quello che nei villaggi hanno guadagnato in intensità stanno perdendo in estensione. Quarant’anni fa le mappe mentali della geografia regionale erano disegnate individualmente dal network della parentela dei lignaggi e dei clan distribuiti sul territorio. Un adulto sapeva benissimo dove fossero i suoi parenti lontani così come sapeva arrivare al loro villaggio quando c’era bisogno, e soprattutto per andare a una festa funebre. Ma sapere dove arriva la linea elettrica è inutile. Basta e avanza che arrivi qui. E il numero
del cellulare fa il resto. I parenti sono dentro la magica scatoletta. Oltre sunt leones. In Ghana (come altrove?) la tecnologia fa perdere adesione al concreto. Allontana il corpo fisico dalla terra come allontana dai rapporti sociali. Si allenta il grip sulla realtà delle cose. Il virtuale poi costruisce dominii d’azione logicamente ordinati intesi a fotocopiare e soddisfare desiderata individuali ormai sganciati da una realtà indipendente e sovrana. Soddisfarli diventa un diritto. Che spesso trasfigura in frustrazione ed aggressione populista: Governo Ladro. E mentre riparto all’inseguimento della coda del serpente per risalire fino alla testa – se c’è – per sapere come potrò organizzare i miei desiderata quando arriverò finalmente al capolinea, mi interrogo sull’impatto che il virtuale ha avuto qui, dove fino a quarant’anni fa non si trovava il cherosene per le lampade a petrolio e si bruciava l’olio di karité che ora comprano i profumieri di Parigi. I sedili di tronchi che segnavano
l’ingresso dai villaggi sono spariti o giacciono trascurati in rovina. Ancora dieci anni fa ne erano il punto focale. Costruiti all’ombra fitta di un mango ci si congregavano gli anziani. Chi faceva ceste, chi scolpiva un manico di zappa, chi chiacchierava, chi discuteva di politica… molti sonnecchiavano. L’Altropologo ci passava le giornate a raccogliere notizie, ascoltare il canale internazionale della BBC – e dormire. I visitatori forestieri si fermavano a spiegare i motivi della visita, rendere omaggio agli anziani, magari bere una calabassa di birra di sorgo prima di procedere all’interno del villaggio. Si scambiavano le notizie e si commentava. Il mondo aveva ancora una maniglia per il quale afferrarlo e cercare di farne senso. Ora non è più. Nemmeno liquefatto – come sosteneva Zygmunt Bauman: si è fatto d’etere, di messaggi invisibili che viaggiano nell’aria e che nessuno vede se non quando arrivano dentro la scatoletta e allora parlano e tu puoi rispondere senza vedere nessuno.
Come se fossimo tutti diventati ciechi. Almeno le streghe si vedono volare di notte come palle di fuoco – le comete. Quell’altra cosa là no. Basta aggiungere soldi ed è come volare con l’aeroplano. Dentro ci sei tu. Ma nessuno ti vede. Alì, il mio amico e assistente, è andato a un funerale in un villaggio remoto e mi ha mandato un video con le maschere Sigma che danzano in onore del defunto. Alì è ufficialmente musulmano come tutti coloro che, inurbati dai villaggi, diventano artigiani in città. Alì fa il meccanico di moto e gli costa meno andare alla moschea che non fare costosi sacrifici di vacche, pecore e capre agli dei del suo villaggio. Questo non significa che non ci creda, però. La sera, quando torna, mi chiede se ho ricevuto sul telefonino il video con le maschere che danzano. Controlliamo assieme: «Sono entrate! Inshallah!» commenta Alì con un sorriso di sollievo. Nel non mi permettevano neanche di fare fotografie. Quelle che scattai di nascosto
svanirono con la mia intera scorta di pellicole danneggiate da una troppo lunga permanenza ai tropici. Un disastro. Allora pensai alla vendetta di Sigma. Seriamente. L’altra sera guardo Alì negli occhi e dico a me stesso che no – il digitale non lo regge neanche Sigma. «Allahu Akbar!». Ma sotto sotto non sono contento. «Tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria…»: così Marx descriveva le ambivalenze, le incertezze, i dubbi e le contraddizioni di un mondo che cambiava con l’incedere della Rivoluzione Industriale. A distanza di più di un secolo Marshall Berman lo avrebbe citato per descrivere la condizione cronica della modernità compiuta. Poi Bauman: società liquida. Nel Nord del Ghana la socialità diventa impalpabile: costa meno telefonare che rischiare la vita su uno scassatissimo triciclo. E si fa tutto da casa: su quattro sopravvissuti, l’altro giorno sulla panchina al villaggio, tre erano al cellulare. Il quarto dormiva. Senza pietà. Kyrie eleison.
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La stanza del dialogo
di Silvia Vegetti Finzi
Una moglie che non deve arrendersi ◆
Cara Silvia, scusa se ti do del tu ma, dopo tanti anni che ti leggo, ti considero un’amica. Sono una cinquantenne, sposata da vent’anni con un uomo quasi coetaneo che considero un buon marito. Abbiamo due figli adolescenti belli e bravi anche se il maggiore, gravemente dislessico, mi impegna in un sostegno scolastico continuo. Può darsi che, per dedicarmi a lui, abbia trascurato mio marito che ora si sta allontanando affettivamente da noi. A Natale, durante le vacanze invernali, ha incontrato Nadia, il primo, indimenticabile amore dell’adolescenza. Dopo il Liceo non si erano più rivisti ma è stato come si fossero lasciati ieri. Lei è ancora avvenente e seducente e utilizza il fatto di essere stata abbandonata, con tre figli, dal marito, per impersonare la vittima bisognosa di aiuto e conforto. Purtroppo mio marito è caduto nella trappola e da allora si vedono regolarmente senza che, secondo lui, ci
sia una relazione. Solo per amicizia e compassione. La situazione mi rende ansiosa e insicura ma comprendo che sentirsi indispensabile confermi la sua autostima e, in un certo senso, lo ringiovanisca, ma io? Devo limitarmi a soffrire in silenzio? Grazie, cara Silvia, del tuo ascolto e, spero, del tuo aiuto. Ornella Cara Ornella, persona sensibile e intelligente, è giusta la comprensione del partner, ma fino a un certo punto. Rischia altrimenti di diventare complicità. Freud sostiene che un matrimonio non si stabilizza finché la moglie non assume il ruolo di madre del marito. Ma se è giusto che una madre faccia un passo indietro e, anche se a lei non piace, accetti la donna amata dal figlio, tanta arrendevolezza non vale per la moglie nei confronti della rivale. In questo momento tuo marito con-
fonde, credo in buona fede, l’amore con l’amicizia, l’attrazione con la solidarietà, il passato con il presente. Ma tu devi restare lucida e, senza fare tragedie, difendere la posizione che ti compete, far valere i tuoi sentimenti. Lui sta vivendo laceranti contraddizioni (il cuore umano non ne è mai esente) e si attende che lo aiuti a fare chiarezza nel caos delle emozioni. L’accondiscendenza potrebbe essere considerata indifferenza e autorizzarlo a cercare fuori di casa ciò che non trova tra le pareti domestiche. Bisogna saper ammettere il conflitto e utilizzare le tensioni per ribaltare la situazione. Approfittando delle vacanze scolastiche, sospendi quindi l’impegno nei confronti del primogenito dislessico e, mostrando quanto ami ancora tuo marito, il padre dei tuoi figli, organizza un bel viaggio per voi soli. Può darsi che affrontare francamente la situazione, svelare quanto sia-
no pretestuose certe giustificazioni e strumentale il richiamo a valori quali l’amicizia, la compassione e la solidarietà non serva a niente. Può darsi che far chiarezza faccia precipitare un equilibrio instabile, sostenuto dall’autoinganno. Ma senza affrontare ragionevoli rischi si rimane in una destabilizzante insicurezza, una condizione che anche i ragazzi certamente patiscono. Gli adolescenti sembrano disinteressati ai conflitti dei genitori ma, come rivelano le testimonianze che ho raccolto nel libro Quando i genitori si dividono: le emozioni del figli, Oscar Mondadori, non è mai così. Nel conflitto coniugale ci sono da sempre e si attendono che voi lo risolviate anche per loro. La tua battaglia è nell’interesse di tutti in quanto si propone, nonostante indubbie spinte centrifughe, di tener unita la famiglia e di preservare la vostra storia.
Dopo tanti anni di ascolto dei conflitti coniugali, l’esperienza mi dice che i cinquant’anni rappresentano una seconda adolescenza. Tutto viene rimesso in gioco, soprattutto il rapporto di coppia, ma spesso è con sollievo che prevale il senso di responsabilità, la salvaguardia della propria identità, il senso di una narrazione condivisa. Quando questo accade, il fragile vascello della famiglia prosegue, solcando le acque procellose della nostra epoca, il viaggio verso un futuro possibile e desiderabile. Informazioni Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6901 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch
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Settimanale di informazione e cultura
Anno LXXXV 8 agosto 2022
TEMPO LIBERO La carica dei 101 cornisti Dall’inaugurazione di Alptransit alla festa nazionale, i raduni dei suonatori di corno delle Alpi
Cinque sensi libanesi Il profumo di cedri, il rombo di una cascata, l’arrampicata al tempio del sole, gli orizzonti e i sapori del cibo
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Arbitri cercansi
azione – Cooperativa Migros Ticino 11
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Costolette alla griglia Accompagnate da un’aromatica salsa al pesto, in tre sfiziose variazioni, sono un portento
Un micio cibernetico Grazie a Stray gli appassionati di videogiochi potranno far le unghie o le fusa come i gatti
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Sport ◆ Silvio Papa ci parla della campagna di reclutamento che, in queste settimane e fino al 20 agosto, sta effettuando la Federazione ticinese di calcio Nicola Mazzi
Signor Papa, come è l’attuale situazione degli arbitri in Ticino? Per quanto riguarda i numeri purtroppo siamo sotto la media, in quanto dobbiamo considerare che oltre alle partite dei nostri campionati regionali dobbiamo anche coprire partite che ci vengono assegnate dalla commissione arbitri dell’Associazione Svizzera di Football (ASF), senza contare coloro impegnati nelle leghe superiori. Molte partite devono essere dirette da una terna e questo assottiglia il numero di arbitri a disposizione. Non da ultimo le assenze per congedi, malattie, vacanze eccetera non facilitano il compito del convocatore. Attualmente in quanto a numeri siamo sul filo del rasoio, per poter far fronte ai vari impegni ci mancano almeno arbitri e a malincuore si constata che l’interesse per questa attività non è altissimo. Molti chiedono informazioni ma alla resa dei conti solo una minoranza si iscrive ai corsi. Lo scorso campionato abbiamo avuto fortuna, grazie anche a un coaching non indifferente, di promuovere tra le categorie di attivi circa quaranta arbitri, molti dei quali in giovane età, il che ci fa ben sperare per il futuro. Nelle scorse settimane è uscita la campagna di reclutamento. Ci il-
lustra i passi per poter diventare un arbitro? Quali requisiti sono necessari? Negli scorsi anni abbiamo sempre puntato sul reclutamento fatto direttamente dalle società, ma ci siamo accorti che questo non bastava. Alcune società erano già ampiamente coperte, per cui non si muovevano più di quel tanto, altre avevano difficoltà nella ricerca di persone adatte al ruolo e abbandonavano ogni tentativo. A questo punto abbiamo deciso di intraprendere una campagna su larga scala. I requisiti per iniziare l’attività sono i seguenti: avere minimo anni, essere domiciliati in Svizzera, avere buone doti fisiche, carattere, forza di volontà e motivazione, è poi necessario aver superato i test teorici e fisici e non da ultimo avere disponibilità di tempo. C’è un compenso per le partite arbitrate o è puro volontariato? Per ogni partita si riceve un compenso forfettario che a livello regionale si aggira tra gli e i franchi. Se la trasferta dovesse oltrepassare i Km dal proprio domicilio (solo andata) l’arbitro ha il diritto di fatturare un supplemento di franchi. In Ticino abbiamo avuto un’ottima tradizione di arbitri con la punta di diamante che è stata Massimo Busacca. Crede che nei prossimi anni potremmo contare su nuovi «fischietti» di livello nazionale e internazionale? La nostra è una piccola regione, attualmente direi che è ben rappresentata nelle leghe superiori. Luca Piccolo arbitro di Super League, Sladan Josipovic assistente di super League e FIFA e Devis Dettamanti assistente di Super League, Simona Ghisletta arbitro FIFA femminile, mentre altri sono ben piazzati in . Lega e stanno «lottando» per fare il salto di categoria. Fare previsioni per il futuro è molto difficile e dipende da diversi fattori, ma sono convinto che con il lavoro, la forza di volontà e soprattutto con la disponibilità le porte sono aperte. I giovani ci sono, ora sta a loro dimostrare il proprio valore. Negli ultimi anni si stanno facendo strada anche le arbitre. Da settembre, infatti, anche nella serie A italiana ci sarà una donna ad arbitrare partite tra uomini. Alle nostre latitudini come siamo messi su questo fronte? A livello nazionale si stanno facendo passi da gigante e in tutti i gran-
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La storia dell’arbitraggio nasce a metà dell’Ottocento quando il calcio moderno inizia a darsi qualche piccola regola. Ispirandosi al cricket, venne coniata la figura dell’umpire, uno per squadra, con il compito di contare i goal fatti e, su richiesta dei partecipanti, di risolvere eventuali casi dubbi. Ma è solo nel , quando le regole del gioco vennero riscritte, che l’International Football Association Board (IFAB) indicò nel referee l’unico direttore di gara che veniva ammesso all’interno del rettangolo di gioco, dotato di un fischietto e con potere decisionale totalmente autonomo. Gli umpires cedettero dunque la loro funzione, diventando supervisori delle linee laterali, i precursori dei guardalinee. Questo piccolo excursus storico ci introduce nel tema che approfondiamo in questo articolo: quello appunto dell’arbitraggio. E lo facciamo basandoci sulla campagna di reclutamento che la Federazione ticinese di calcio sta effettuando in queste settimane e che scade il agosto. A Silvio Papa (responsabile della sezione arbitri in Ticino) abbiamo posto alcune domande.
di tornei siamo ben rappresentati. Esther Staubli oltre a essere arbitro di SL è anche arbitro FIFA femminile. Per quanto riguarda il Ticino le donne arbitro sono unicamente tre e non nascondiamo che siamo un passo indietro in confronto alle altre regioni. A dire il vero qualche iscrizione al femminile l’abbiamo avuta, ma alla resa dei conti ci siamo accorti che erano iscrizioni di facciata senza alcuna possibilità di successo. Con l’introduzione del Var la responsabilità di alcune decisioni importanti non è più solo dell’arbitro principale, ma è condivisa. Che bilancio fa di questa esperienza? In che modo è migliorabile? Il Var ha fatto, fa e farà discutere, ma
comunque è un buon supporto per il direttore di gioco. Come tutte le cose necessita anch’esso di un apprendistato e il suo protocollo composto da una decina di pagine non è conosciuto da tutti, come peraltro le regole di gioco, e da qui le innumerevoli prese di posizione di chi ignora la materia. Sicuramente dei punti da migliorare ci sono, ma ritengo che si debba lasciare agli esperti questo compito, in quanto la materia è molto ampia, non sempre facile da gestire e soprattutto da applicare. Un ultimo aspetto, tra i molti, che vorremmo toccare è quello del professionismo. Qual è l’attuale situazione in Svizzera? Professionismo sì o professionismo
no? Una domanda che molti si fanno. In Svizzera abbiamo alcuni semi-professionisti legati come lavoro all’ASF. A mio parere, l’ideale sarebbe un semi-professionismo ben fatto, nel senso che venga lasciata all’arbitro la possibilità di muoversi liberamente tra lavoro e arbitraggio. In questo caso ognuno avrebbe il tempo sufficiente per prepararsi sia mentalmente sia fisicamente, assicurando così il recupero dopo ogni partita. Sono scettico su un professionismo totale e qui mi riferisco in modo particolare a eventuali infortuni che possono chiudere prematuramente la carriera e che aprono altri punti interrogativi: assicurazioni, difficoltà nella ricerca di un nuovo lavoro, e via elencando.
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TEMPO LIBERO
Il corno (delle Alpi) può cambiarti la vita Hobby
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L’avventura di Aldo e Claudine, due appassionati degli oltre cento suonatori attivi in tutto il Ticino
Matilde Casasopra
Estate . Aldo e Claudine sono sul divano. Manuela, la loro primogenita, si è iscritta a veterinaria a Zurigo e tra un po’ di settimane andrà lì a vivere. Matteo ha anni e, a quell’età, la sera non si sta a casa coi genitori. «La vita della nostra famiglia stava cambiando. Ci siamo guardati e ci siamo detti che… no, a casa tutte le sere a guardare la televisione, proprio no. Così abbiamo recuperato il catalogo dei “Corsi per adulti” abbiamo passato in rassegna le proposte e ci siamo fermati sul “Corso di corno delle Alpi” che iniziava a settembre. Lo facciamo? Ma sì che proviamo, dai. Ci siamo iscritti e… la nostra vita è cambiata». Sono passati solo sette anni da quella decisione, ma – come ci racconta sorridendo Aldo Bugada – di cose, da quel momento, ne sono successe. «La prima, che ci colse quasi di sorpresa, fu la partecipazione, nel , all’inaugurazione di Alptransit. Cinquantasei suonatori di corno – uno per ogni chilometro del tracciato ferroviario – uniti da un’unica composizione musicale. Ogni settimana, per un paio di mesi, un bus veniva a prelevarci. Destinazione: Pollegio. Qui si svolgevano, sull’arco della serata, le prove: del nostro brano, certo, ma anche di tutta la cerimonia. Un’esperienza davvero straordinaria». Mi sta dicendo che avete imparato a suonare il corno delle Alpi in pochi
mesi? «Sì, glielo sto dicendo. Abbiamo seguito le otto lezioni del primo corso e le sei lezioni del secondo e poi, visto che tra gli otto iscritti di quel , oltre a noi due c’erano anche due-tre corsisti della Valle di Blenio, abbiamo dato il “la” ai Corni da Curzönas. Ed è a Corzoneso che abbiamo conosciuto il maestro Mario Bozzini. Lui è direttore di banda, suona il corno francese, ma anche il corno delle Alpi e… ci ha aiutati a migliorare». Aldo e Claudine non si fermano al gruppo di Corzoneso. In Collina d’Oro, dove abitano, è nato il gruppo Corni d’Or, «in questo gruppo suonano musicisti della filarmonica del Comune e di quella di Castagnola che ci hanno dato un ulteriore stimolo a migliorare e studiare la musica. Quando abbiamo iniziato a suonare con questi gruppi – prosegue Aldo – ci si è aperto un mondo. Concerti, serate, ritrovi, prove. Il tutto con persone diverse tra loro per formazione ed età. Pensi che quando abbiamo iniziato, in Ticino, il suonatore più giovane aveva anni e il più anziano . A unirci tutti (adesso siamo oltre un centinaio) c’è la passione per questo strumento che parla di passato, ma che è presente e affascina oggi come allora, e l’associazione che li rappresenta, l’ACASI». (Associazione Corno delle Alpi della Svizzera Italiana, www.acasi.ch) Il discorso dalle persone passa allo strumento. Aldo, con il fratello Cesa-
re, è titolare della falegnameria di famiglia. Il primo corno lo costruisce nel , alla fine dei corsi «dove – ricorda a occhi chiusi e sorridendo – per suonare, le prime volte, ci avevano dato un tubo di plastica con un imbuto nella parte terminale, una specie di vuvuzela. Dopo aver imparato a emettere due suoni abbiamo dovuto decidere se continuare. La risposta è stata sì e allora ho costruito tre corni. Il primo era un prototipo. Sono partito dalla regola di base: il corno delle Alpi dev’essere lungo tre metri e quaranta centimetri (perché è in tonalità Fa diesis, con venti centimetri in più si ha la tonalità in Fa che è quella del corno delle Alpi per banda). I corni possono comunque avere lunghezze diverse – comprese tra i , e i , metri – a dipendenza della tonalità della quale li si vuole dotare. Libera, invece, la scelta del legno con il quale li si costruisce. Io, per i primi tre corni, decisi di usare legno di risonanza di abete rosso che è quello che si usa anche per i violini. Tre centimetri di spessore del legno per la cassa armonica dei violini, tredici centimetri per il corno. Mi dissero che in Trentino, a Paneveggio, c’era il miglior legno di risonanza, scelto anche dai maestri liutai di Modena. Ci sono andato e, oltre a procurarmi il legno, ho imparato moltissime cose dai liutai. Ho anche capito che posso costruire dei corni delle Alpi pressoché perfetti, ma non sarò mai in gra-
do di costruire un violino, una viola o un violoncello. Adesso, comunque, per realizzare la ventina di corni che costruisco ogni anno, il legno di risonanza me lo procuro in Svizzera». Così, corno dopo corno, Aldo Bugada si è affermato, in Svizzera, come uno dei migliori costruttori di corni delle Alpi. Ogni strumento richiede dalle alle ore di lavoro delle quali solo il % è svolto con l’ausilio di macchinari. Uno dei migliori suonatori di corno al mondo, il russo Arkady Shilkloper, ne ha decantato le lodi e anche oltre San Gottardo sono in molti coloro che, per avere il proprio
strumento, si rivolgono ad Aldo, Cesare e Claudine. Torniamo però alla vita cambiata dei coniugi Bugada. Parliamo di corno delle Alpi e turismo, in particolare di corno delle Alpi e . agosto… «La festa nazionale? Un tour de force – ci confessa Aldo – L’abbiamo fatto per qualche anno, io e Claudine, ma adesso preferiamo ritirarci in montagna, nei Grigioni, e suoniamo per gli abitanti del villaggio. È così che, tutti insieme, passiamo una bella festa della Patria in compagnia. Inutile negarlo, le esibizioni di corno sono super richieste per il natale della Patria». Un’ultima cosa. Una curiosità. Prima di incontrarla ho letto che il corno delle Alpi, aveva in passato una duplice funzione: quella di comunicare dall’alpe al villaggio e quella di radunare il bestiame. La funzione «comunicativa» mi è chiara. Meno lo è la seconda che avrebbe bisogno di una ricerca empirica. «Ci siamo detti qualcosa di simile anch’io e mia moglie – sorride Aldo – e così, corno in spalla, abbiamo deciso di andarlo a suonare su un’alpe deserta. Abbiamo iniziato con poche note e poi, scaldato il labbro, abbiamo proseguito con un brano più articolato. Tempo dieci minuti ed ecco che, guardandoci intorno, ci siamo trovati circondati da circa mucche. Quello che volevamo sapere era lì, davanti a noi: il corno delle Alpi funziona ancora!». Annuncio pubblicitario
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TEMPO LIBERO
L’altro Libano Reportage
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Un minuscolo angolo di Medio Oriente dove la potenza della natura trionfa e il tesoro della storia regna indisturbato
Emanuela Crosetti, testo e foto
Se da questo fazzoletto di terra martoriato dalla storia si escludessero le instabili aree di confine e le mete più battute dal turismo (ma «battute» è un modo di dire per un Paese che riceve ben pochi visitatori), del Libano non resterebbe molto. Eppure da questo minuscolo angolo di Medio Oriente si dirama una fitta filigrana di strade secondarie dove la potenza della natura trionfa solitaria e il tesoro della storia regna indisturbato. Luoghi ammantati di antichi silenzi, spesso spettatori di destini incompiuti e di racconti ancora in attesa di una conclusione. Luoghi da attraversare a bordo di un’auto, con la curiosità in poppa e una forte propensione a vagare senza una guida sottomano né approdi nella testa; al massimo una cartina. «Non tutti quelli che vagano si sono persi», scriveva Tolkien. Vero. Ma nel caso del Libano, a una condizione: non lasciarsi scoraggiare dalle sue strade perennemente sconnesse, dalla segnaletica spesso inesistente e da una quantità incalcolabile di check point militari in cui fanno bella mostra di sé mitra presumibilmente carichi, cavalli di frisia sparsi come dadi su un backgammon e blocchi di cemento indigesti più di un boccone andato per traverso. Dettagli. Si deve andare oltre. E seguire i sensi. Olfatto. La foresta dei cedri di Dio: un nome, una promessa. Soltanto a respirarla ci si sente redenti. Il suo profumo si avverte a distanza, molto prima che emerga folta e scura dai silenzi brulli delle montagne, nella valle di Qadisha, come un miraggio o un lontano ricordo. Patrimonio Unesco dal , la foresta primigenia vanta fusti enormi alti più di trenta metri, in alcuni dei quali ci si può rifugiare. La si può percorrere a piedi, lungo un sentiero ad anello, tutto vento, cinguettii e freschi chiaroscuri. Della sterminata distesa di alberi che un tempo ricopriva tutto il suolo libanese non resta che questo piccolo quadrato boscoso. I fenici utilizzarono i tronchi dei cedri per costruire le loro navi; gli egizi ne traevano la resina per mummificare le salme dei morti; e con questo stesso legno il re Salomone fece edificare parte del tempio di Gerusalemme. Solo l’imperatore Adriano ebbe la lungimiranza di fermare temporaneamente la deforestazione: troppo poco, troppo tardi. Udito. Il rombo della cascata delle gole del Baatara è un enigma. Le sue acque precipitano all’interno di questa immensa grotta carsica del Giurassico per quasi cento metri, perdendosi poi nel sottosuolo. È un’atmosfera adamitica, intatta dalla notte dei tempi, con le sue rocce calcaree taglienti come lame e un morbido muschio a ricoprire ogni cosa. Eppure il suono travolgente della cascata si avverte solo quando ci si trova al suo cospetto, dopo aver camminato a lungo su sentieri sassosi, disceso incerti scalini di pietra e sfi-
dato la sorte spingendosi fin sull’orlo scivoloso della caverna. Tatto. Per raggiungere l’impervio tempio del sole, antica tomba incompiuta scolpita nella montagna alle spalle del borgo di Qob Elias, a picco sulla valle della Beqā, bisogna usare mani e piedi, far leva sui massi che qua e là affiorano e affondare letteralmente le dita nella terra. Il tempio, con colonne e architravi incisi come bassorilievi, comprende tre piccoli vestiboli rivolti a est per accogliere la prima luce del mattino. È praticamente sconosciuto ai turisti. C’è chi sostiene risalga agli inizi dell’età romana, secondo altri addirittura al tempo dell’impero persiano degli Achemenidi (IV-VI secolo a.C.). Vista. Anche un disinteressato sarebbe in grado di scorgere in lontananza il castello di Beaufort, fortezza abbarbicata sui monti a sud del Libano, la cui storia, prima della conquista crociata del , sprofonda nelle tenebre dell’ignoto. A guardarlo da vicino, sembra un blocco di pietra piovuto dal cielo. A visitarlo viene il dubbio che
sia stato costruito con il solo intento di far smarrire gli incauti visitatori. È un illogico labirinto di stanze, passaggi, falsi piani, cunicoli, scale, ponticelli. Conquistato dal Saladino, rivendicato dai templari ed espugnato dai mamelucchi, il castello di Beaufort passò poi nelle mani del principe libanese Fakhr al-Din, per essere infine parzialmente distrutto dagli ottomani e dal terremoto del . Fino al secolo scorso venne utilizzato come ricovero per le pecore. Poi agli ovini è subentrata l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) che proprio qui installò la sua base per lanciare razzi agli israeliani, ricevendone altrettanti in risposta. I risultati sono chiaramente visibili. Gusto. Non si può lasciare il Libano senza essersi tuffati nel coacervo di sapori della sua rinomata cucina. E quale luogo migliore per sperimentarli se non il souk di Tripoli, nel profondo nord del Paese? Percorrendo le sue strette vie sommerse da banchi, carretti, fili elettrici e voci c’è da perdere il senno. Tra violenti tagli di luci e ombre, vecchi hammam ricamati
di maioliche e raffinati caffè dal sapore coloniale, pullulano millantatori di prodigiose prelibatezze e venditori dell’ultimo assaggio, pronti a contrattare a suon di offerte, miracoli e strabilianti promesse. Imperdibile il manāqīsh, pasta di pane preparata sul momento e infornata per qualche minuto. Può essere farcita con carne macinata d’agnello e paprica; con l’anba-
ris, formaggio cremoso di capra; con il kishk, preparazione essiccata di yogurt fermentato e grano saraceno; o con il tipico za’atar, salsa a base di timo finemente tritato e olio d’oliva. Ma ecco un magico tintinnio. Sta arrivando l’«uomo del caffè». Percorre il mercato in lungo e in largo, tenendo in una mano la dallah – tradizionale caffettiera – e nell’altra due taz-
zine di porcellana che fa tintinnare a ogni passo, a mo’ di richiamo. È come un pifferaio al soldo del re, col suo seguito di personaggi fiabeschi, creature incantate e curiosi di ogni sorta. Si ferma, versa, incassa e se ne va. Informazioni Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica Annuncio pubblicitario
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Ricetta della settimana - Tagliata di vitello con salsa al pesto ●
Ingredienti
Preparazione
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Piatto principale Ingredienti per 4 persone
1. Scaldate la griglia a 200 °C. .
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4 costolette di vitello di circa 220 g olio per arrostire 20 g di rucola pepe 40 g di parmigiano Salsa al pesto 40 g di zucchine 2 mazzetti di basilico ¼ di mazzetto di menta 2 c di mandorle spellate 6 c d’olio d’oliva 3 c di brodo 1 c di parmigiano grattugiato fleur de sel o Smoky Sea Salt pepe
2. Per la salsa al pesto tagliate le zucchine a fettine sottili e poi a pezzettini. Tritate finemente con le erbe aromatiche e le mandorle. Mescolate con l’olio d’oliva, il brodo e il parmigiano. Insaporite con sale e pepe. 3. Nel frattempo, fate prendere alle costolette la temperatura ambiente. Grigliatele a fuoco medio per 3-5 minuti per lato. Lasciatele riposare brevemente coperte. 4. Tagliate la carne (tagliata di vitello) a strisce sottili e guarnite con la rucola. Cospargete con pepe, parmigiano a scaglie e servite con la salsa al pesto. Salsa al pesto lampo: affinate 80 g di pesto genovese con 2 cucchiai di pinoli tritati, un po’ di erbe aromatiche fresche tritate e 2 cucchiai di brodo. Salsa al pesto rosso: mescolate 80 g di pesto rosso con circa 20 g di peperoni rossi e gialli a dadini. Mescolate il tutto con 2 cucchiai di salsa di pomodoro. Il calore alto (220-280 °C) è adatto alla cottura diretta: gli alimenti vengono messi sulla griglia direttamente sulla fonte di calore (brace). A calore medio (180–220 °C ) si griglia o si arrostisce a fuoco indiretto; gli alimenti non devono essere posti direttamente sulla brace e il coperchio della griglia resta abbassato. Preparazione: circa 30 minuti. Per persona: circa 41 g di proteine, 40 g di grassi, 3 g di carboidrati, 540 kcal/2250 kJ.
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Settimanale di informazione e cultura
Anno LXXXV 8 agosto 2022
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azione – Cooperativa Migros Ticino
TEMPO LIBERO
Stray Cybercat 2077
Videogiochi ◆ Né complicato né lungo, è una piacevole distrazione soprattutto per chi ama il mondo dei gatti Davide Canavesi
Chi non ha mai sognato di sperimentare almeno una volta la rilassata vita di un gatto? Dormire al sole, rincorrere le farfalle, farsi le unghie sul tappeto. Attività che ogni bravo micio di casa compie con assoluta serietà e che potrebbero suscitare un po’ d’invidia in chi invece deve alzarsi ogni mattina per andare a scuola o al lavoro. In Stray avremo la possibilità di impersonare proprio un gatto anche se l’esperienza non sarà di quelle più rilassanti. Però, con un po’ di fortuna, potremo salvare un’intera civiltà. Nel mondo di Stray gli umani sono spariti, spazzati via da un qualche cataclisma che ha reso la superficie terrestre inabitabile. Molti anni dopo questa serie di eventi incontriamo il protagonista di Stray, un gatto arancione che vive in una colonia di felini e che spende il suo tempo facendo quello che fanno i gatti: correre, arrampicarsi, saltare e dormire pacifico. Durante uno dei suoi soliti giretti, però, scivola cadendo in un abisso profondo. Sopravvissuto alla caduta, bloccato nelle viscere della terra, non può fare altro che tentare di trovare una via d’uscita. Ed è così che facciamo il nostro ingresso nella Città Morta, una sorta di rifugio sotterraneo costruito per salvare l’umanità ma che oramai è abitato da robot senzienti. Il nostro
ingresso in città non passa di certo inosservato. Da un lato saremo chiamati a seguire una serie di invitanti scie luminose ma dall’altro capiremo ben presto che qualcosa non va. Ci sono strani esseri che strisciano al nostro passaggio e il nostro primo contatto con la popolazione robotica causa il panico. Con un pizzico di perseveranza però troveremo presto un alleato, B-, un drone intelligente che si farà carico di tradurre per noi il linguaggio degli abitanti, trasporterà i nostri oggetti e ci spiegherà i contorni della vicenda. In sua compagnia cercheremo anche di aiutare gli Oltraggiosi, una fazione di robot che rifiuta la prigionia nell’enorme e cavernosa città sotterranea desiderando raggiungere la superficie. Intenti comuni che salderanno l’alleanza tra il felino e le macchine, uniti dal desiderio di ritornare a vedere le stelle e abbandonare i polverosi livelli sotterranei. Stray è sicuramente una bella sorpresa. Realizzato splendidamente, è un’avventura piuttosto corta ma assai godibile. Ci aggireremo per diverse ambientazioni che spaziano dalla Città Morta a fognature, canali, torri e altro ancora in un’ambientazione dal sapore molto cyberpunk. Luci al neon che si contrappongono alla decadenza degli edifici. Altissima tecnologia riparata nel corso degli anni con pezzi
di ricambio scombinati e rottami creano un’atmosfera che invita il giocatore all’esplorazione ma con una certa prudenza. Stray obbliga il giocatore anche ad adattare la lettura del livello. Il sistema di attraversamento (in inglese si usa il termine traversal system per spiegare il concetto) è a misura di gatto. Non potremo allora ragionare in termini umani perché i gatti sono agili, si infilano ovunque e non hanno le vertigini. Ed ecco che allora dovremo davvero guardare il mondo con gli occhi di un felino e muoverci di conseguenza. La prima ora di gioco sarà spesa sforzandoci di pensare come un gatto e l’abbiamo trovato un esercizio divertente. Avanzando nell’avventura saremo chiamati a risolvere dei semplici puzzle ambientali e ad aiutare i vari personaggi che incontreremo, ma potremo anche fare i gatti in tutto e per tutto. Unghiette su tappeti, divani e muri, dormire della grossa in lettini e cucce, miagolare per fare i dispetti e far cadere oggetti da tavoli e credenze sono tutte cose in cui potremo dilettarci per il puro piacere di farlo. In effetti è difficile capire se gli sviluppatori francesi di BlueTwelve Studio abbiano deciso di rendere il gatto protagonista effettivamente cosciente di cosa stia facendo oppure se
Giochi e passatempi Cruciverba
Qual è l’uccello che vola più in alto al mondo? Sai che altezza può raggiungere? Troverai le risposte leggendo a soluzione ultimata le lettere evidenziate. (Frase: 1, 3, 7 - 8, 5)
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ORIZZONTALI 1. Sudicio, sporco 5. Usata per imbiancare i muri 10. Sono cariche... brillanti! 12. La cantante Céline 13. Le iniziali della cantante Tatangelo 15. I propri... sono propri 17. Congiunzione inglese 18. Articolo spagnolo 20. Vi si smorzano le onde 22. Satellite di Giove 23. Seguaci, imitatrici 24. Le spiega anche l’oca 26. Le iniziali dell’attore Salemme 28. Una tavola in movimento... 30. Un vaso panciuto
32. Le iniziali della conduttrice Isoardi 33. Nipote di Abramo 34. Uomini inglesi 35. Il settentrione d’Italia... 36. Danno armonia ai versi VERTICALI 1. Mantiene le promesse 2. Le iniziali dell’attore Memphis 3. Rintocco di campana 4. Membri del parlamento 6. Le iniziali del Duca della Vittoria 7. Prima moglie di Giacobbe 8. Figure geometriche
Scoprite i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.
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9. Sostanze chimiche prodotte dal cervello 11. Prefisso che vuol dire metà 14. Il Jones di Henry Fielding 16. Nome femminile 19. Nella parte alta 21. Ferma la spada al fodero 25. Laggiù in fondo 27. Una macchina nei locali pubblici 29. Ultimo prototipo di robot umanoide costruito in Spagna 31. Le iniziali di Tolstoj 34. Nota musicale
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ambientali, specialmente il fatto che miagolii e fusa vengano anche riprodotti dal controller di PlayStation e PlayStation (ma non sulla versione per PC). Le musiche invece sono un mix di chill-elettronica e contribuiscono all’atmosfera particolare del gioco. Stray è decisamente un gioco per gli amanti dei gatti. Impossibile non vedere gli stessi comportamenti e le stesse marachelle così familiari se condividiamo casa con un micio. Da un punto di vista videoludico, Stray non è un gioco complicato o particolarmente lungo. È però una piacevole distrazione, una piccola avventura a misura di palla di pelo che, siate voi fan dei gatti o meno, funziona. Il senso d’esplorazione e di mistero dovrebbe essere sufficiente anche per chi preferisce i cani.
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sia guidato solo dall’istinto. In quanto giocatori possiamo interagire con il mondo che ci circonda ma senza B- non possiamo parlare o usare gli oggetti. Il gatto è un gatto e basta, anche se si tratta pur sempre di un gatto incredibilmente svelto e perspicace. Il gioco offre anche alcune sezioni molto movimentate che ci vedranno fuggire dagli Zurk, strani esseri che distruggono ogni cosa che si muove. Ci imbatteremo infine in sezioni in cui un approccio furtivo è essenziale e potremo sfruttare le nostre dimensioni feline per nasconderci dentro scatoloni o sgusciare attorno a letali raggi laser. Generalmente, insomma, Stray è piuttosto variato in termini di gameplay, pur restando confinato nelle limitazioni della nostra forma felina. Da un punto di vista sonoro troviamo apprezzabili i rumori
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Soluzione della settimana precedente SAGGE PAROLE – Frase di Gandhi: «SII IL CAMBIAMENTO CHE VUOI VEDERE NEL MONDO».
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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.
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ATTUALITÀ
azione – Cooperativa Migros Ticino 17
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La tensione resta alta Stati Uniti e Cina sempre più distanti dopo il viaggio di Nancy Pelosi a Taiwan. La terza guerra mondiale è all’orizzonte?
Il paradiso degli jihadisti Nonostante il leader di Al Qaeda, Al Zawahiri, sia stato ucciso a Kabul, l’Afghanistan resta la base privilegiata del terrorismo internazionale
La nuova corsa all’Africa Il continente nero è diventato il palcoscenico di un notevole traffico diplomatico (e non solo) da parte delle maggiori potenze mondiali
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Manovre militari di Pechino nello Stretto diTaiwan, giovedì scorso. (AFP/PLA EASTERNTHEATER COMMAND/ESN)
Prove pechinesi di invasione Taiwan
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Sono due gli ostacoli ad oggi insormontabili che la Cina incontra sul suo cammino verso la talassocrazia: Usa e Giappone
Lucio Caracciolo
Ai primi di agosto la Cina ha svolto le prove generali dell’invasione di Taiwan. Ovvero, dal suo punto di vista, del ritorno sotto la sovranità della patria di quella provincia ribelle, situata allo strategico incrocio fra i Mari cinesi orientale e meridionale, quasi equidistante da Repubblica popolare cinese, Giappone e Filippine. Isola da riportare al suo ordine storico, insomma. Anche se – particolare omesso da Pechino – Taiwan e il suo arcipelago non sono mai stati parte della Repubblica popolare. E anche in età imperiale si trattava di periferie vegliate da lontano dal centro imperiale, assai poco interessato all’espansione negli oceani. Ciò che invece oggi rappresenta l’obiettivo strategico irrinunciabile della Cina di Xi Jinping, conscia che il libero accesso al Pacifico e all’Indiano comincia dalla sovranità sullo Stretto di Taiwan. In questa inedita corsa alla talassocrazia, Pechino incontra almeno due ostacoli ad oggi insormontabili. Uno esplicito e recente, gli Stati Uniti d’America, che sull’egemonia nel Pacifico fondano la propria potenza mondiale. L’altro implicito quanto
antico, il Giappone che deve ancora completare la sua rincorsa alla potenza piena, sovrana e credibile dopo la disfatta nella seconda guerra mondiale. Conflitto scoppiato, fra l’altro, per la supremazia in quelle medesime rotte oceaniche e sui relativi stretti, essenziali per un paese privo o quasi di materie prime. Tokyo non può ancora dispiegare tutto il suo notevole potenziale militare, ma partecipa in prima linea nel contenimento della Cina organizzato da Washington via Quad, l’informale alleanza fra India, Australia, Giappone e Stati Uniti. Pretesto per le prove pechinesi d’invasione è stata la visita della presidente della Camera dei rappresentanti americana, Nancy Pelosi, a Taiwan. Solo poche ore, sufficienti ad agitare le acque dello Stretto di Taiwan e le cancellerie asiatiche come raramente prima. Grazie alla sua missione, accolta con grande fervore dal governo taiwanese e sigillata nel vertice a Taipei con la presidente indipendentista Tsai Ing-wen, Pelosi ha di fatto chiamato il bluff della «Cina unica». Ingegnosa formula diplomatica con cui finora Pechino
e Washington hanno coperto i loro divergenti punti di vista sullo status dell’isola. Taiwan è infatti il residuo territoriale della Repubblica di Cina fondata nel - da Sun Yat-sen, suo primo presidente. Qui si rifugiarono i nazionalisti di Chiang Kai-shek nel , dopo la conquista della Cina continentale da parte di Mao. Oggi l’autodefinizione di Repubblica di Cina, non riconosciuta dagli Stati Uniti e dalla grandissima maggioranza degli stati rappresentati alle Nazioni Unite, è messa in sordina dalle autorità di Taipei, che cercano di costruire un’identità taiwanese rimuovendo le origini cinesi in favore della nuova nazionalità locale. I milioni di taiwanesi sono pur sempre han al per cento, il resto minoranze austronesiane aborigene. La consapevolezza di rappresentare una nazione a parte cresce, senza però che si affermi la disponibilità a proclamarsi indipendenti: in tal caso la guerra con la Cina sarebbe scontata. E il supporto americano o altrui tutto da dimostrare. Ora che le tensioni sino-americane sono al diapa-
son nulla permette di escludere che per caso o intenzione si arrivi prima o poi allo scontro diretto fra Cina e Usa su Taiwan. Il viaggio di Pelosi, di fatto riconoscendo che le Cine sono due, una buona perché democratica e amica degli Stati Uniti (Taiwan) l’altra cattiva perché autoritaria e nemica di Washington (Repubblica popolare) rende questa prospettiva meno improbabile. Xi ha definito «operazioni militari mirate» le esercitazioni aeree, navali e missilistiche che dal agosto hanno interessato sei aree intorno a Taiwan, circondata a simulare un blocco totale, preludio allo sbarco. Insieme, ecco il classico meccanismo delle sanzioni. Tra cui la fine delle esportazioni di sabbia cinese verso l’isola. Sabbia che non serve a fare castelli in spiaggia ma ad alimentare la produzione dei semiconduttori, di cui Taiwan è leader mondiale. Di tale decisiva tecnologia quella polvere di roccia sedimentaria è componente essenziale. La reazione cinese si spiega anche con l’avvicinarsi del Congresso del Partito comunista, previsto quest’autunno. Salvo sorprese, Xi otterrà il
suo terzo mandato da leader massimo. Ma la sua discutibile gestione del Covid e la crisi del sistema economico cinese – tutt’altro che congiunturale – hanno oscurato il suo prestigio e provocato in patria reazioni e proteste non sempre ovattate. Presentarsi come portabandiera della nazione offesa dagli americani è quindi necessità. Molti si aspettavano qualcosa di più. Specie nella blogosfera e in genere nei social, non sempre permeabili alla censura di stato, le frange estreme del nazionalismo cinese invocavano di abbattere l’aereo di Pelosi, anche a rischio della guerra aperta con gli Usa. Il bilancio della visita di Nancy Pelosi a Taipei è prematuro. Ma tutto lascia prevedere, almeno nei prossimi mesi, l’inasprimento della già acuta tensione fra Washington e Pechino. Sullo sfondo della guerra in Ucraina, il clima è poco promettente. Se non invertiranno la rotta, americani e cinesi si troveranno a incrociare le spade prima di quanto pensino o vogliano. In quei mari, le guerre «per incidente» non sono così rare eccezioni.
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azione – Cooperativa Migros Ticino
ATTUALITÀ
L’etica pacifista di Taiwan L’analisi
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L’isola diventerà il nuovo campo di battaglia nel contesto della seconda guerra fredda tra Occidente e blocco sino-russo?
Federico Rampini
La visita «inopportuna» – secondo molti in Occidente – «provocatoria e illegale» – secondo il governo cinese – di Nancy Pelosi a Taiwan, ha scatenato illazioni e paure su una possibile escalation della tensione fra Cina e Stati Uniti. Sembra quasi avverarsi in anticipo lo scenario già discusso da mesi, secondo il quale dopo l’Ucraina toccherà a Taiwan diventare la nuova guerra calda nel contesto della seconda guerra fredda tra Occidente e blocco sino-russo. La prima domanda che bisogna porsi è quella che nessuno si pone: i taiwanesi combatterebbero come gli ucraini, se venissero aggrediti? La domanda non è banale né secondaria. Dopotutto quel che sta accadendo in Ucraina è in larga parte determinato dal comportamento del popolo aggredito, delle sue forze armate, dei suoi governanti democraticamente eletti. Checché ne dicano i putiniani che descrivono quella ucraina come una «guerra per procura» e la resistenza contro l’aggressore come se fosse «aizzata dall’America», in realtà sono stati proprio gli ucraini a decidere di resistere. Sono stati loro a chiedere aiuto, e lo hanno ottenuto solo in parte. Molti ucraini sono morti, altri moriranno, per difendere le proprie famiglie, la propria terra, la propria libertà. Farebbero lo stesso i taiwanesi?
Nonostante la minaccia reiterata da Xi Jinping di un’annessione con la forza militare, Taiwan spende solo l’1,9% del suo Pil per la Difesa C’è una corrente di pensiero scettica, che guarda alcuni dati. Nonostante la minaccia reiterata da Xi Jinping di un’annessione con la forza militare, Taiwan spende solo l’,% del suo Pil per la Difesa. Cioè meno della Polonia e dei paesi baltici, meno di quello che è l’obiettivo ufficiale fissato dagli stati membri della Nato, che è il % del Pil. L’esercito taiwanese viene descritto da esperti americani come inadeguato e afflitto perfino da fenomeni di corruzione. Ancora più importante è lo spirito del popolo: i taiwanesi, se interrogati in proposito, appaiono «pacifisti» come molti europei, la maggioranza è restia a morire per la patria. Come noi, i taiwanesi sono cresciuti nel benessere e nella pace, non hanno un’etica guerriera. So-
Il 3 agosto scorso la speaker della Camera dei rappresentanti degli Usa Nancy Pelosi, a sinistra, ha incontrato la presidente diTaiwan. (Shutterstock)
no affezionati alle loro libertà, ai loro diritti, alla loro democrazia, ma questo non significa che siano pronti a sacrificare addirittura la vita per questi valori. Il quadro dipinto da questi sondaggi suscita un interrogativo: perché l’America dovrebbe mandare dei soldati a morire per Taiwan, in caso di aggressione militare cinese, se i taiwanesi non sono altrettanto determinati e votati al sacrificio quanto gli ucraini? Sono domande importanti ma astratte, perché nessuno può prevedere a priori quale sarebbe la reazione in una guerra vera. Tsai Ing-wen a anni è la prima donna eletta alla presidenza di Taiwan. Appartiene al partito democratico-progressista che è il più distante ideologicamente dall’idea dell’appartenenza alla Cina e quindi della riunificazione. È il partito emerso da protagonista dalla democratizzazione dell’isola: dopo il Taipei ebbe un regime autoritario di destra, il partito democratico fu fondato nel , un anno prima che venisse abrogata la legge marziale dando il via alle riforme liberali. Il sangue freddo con cui finora Tsai e la sua opinione pubblica hanno accolto l’escalation della tensione
si spiega forse con una certa assuefazione: le minacce di Pechino sono costanti, così come gli sconfinamenti di cacciabombardieri cinesi sui cieli dell’isola. Non si può escludere che l’assuefazione porti a sottovalutare il pericolo (come accadde a Zelensky di fronte agli avvertimenti dell’intelligence americana e inglese sui preparativi dell’invasione russa). In ogni caso la presidente taiwanese, e la maggioranza del suo popolo, sembrano rassegnati all’anomalia per cui la riunificazione con la Cina è terribilmente indesiderabile, ma una dichiarazione d’indipendenza è impossibile perché rappresenta una «linea rossa» da non varcare agli occhi di Pechino. Peraltro anche i taiwanesi sono reduci da un periodo in cui s’illusero – come tanti americani ed europei – che la Repubblica popolare si potesse migliorare attraverso il business. All’inizio della transizione della Cina verso l’economia di mercato, gli imprenditori taiwanesi furono tra gli investitori più attivi nella madrepatria e tuttora le imprese taiwanesi sulla terraferma sono una realtà importante. Ma i legami di business non hanno né favorito una democratizzazione di Pechino né ad-
dolcito il linguaggio bellicoso di Xi verso Taiwan. La popolazione taiwanese nel frattempo si è «de-sinizzata» nel senso che ha sviluppato un’identità culturale propria e soprattutto le giovani generazioni si sentono molto diverse dai cinesi. Taiwan è l’unica democrazia cinese al mondo e la sua diversità è stata sottolineata durante la pandemia: ha saputo contenere il contagio, il bilancio di vittime è rimasto a livelli microscopici rispetto all’Occidente, ma non ha ottenuto questo risultato con i metodi autoritari di Xi, bensì affidandosi alla disciplina spontanea, al rispetto delle regole, al senso di dovere della comunità che sono tipici della cultura confuciana. Di recente si è parlato di una «strategia del porcospino», come lezione che Taiwan avrebbe imparato dall’Ucraina: dotarsi di armamenti studiati su misura per rendere dolorosa e costosa un’invasione, anche se l’aggressore è molto più grosso e potente. Taiwan ha il potere di innescare una terza guerra mondiale? Joe Biden ha promesso che interverrebbe in difesa dell’isola democratica, in caso di aggressione militare cinese. C’è la pre-condizione per uno scontro tra
superpotenze nucleari, che Biden ha sempre escluso in Ucraina. Taiwan ha un’importanza strategica unica: per la sua posizione su rotte navali dove transita l’energia indispensabile a due alleati dell’Occidente, Giappone e Corea del sud; perché è una superpotenza tecnologica che produce il % dei semiconduttori mondiali; perché la sua caduta nelle mani del regime comunista sarebbe fatale negli equilibri dell’Indo-Pacifico dove si gioca il futuro del pianeta. Gli ottimisti sottolineano che il consenso verso Xi si fonda anzitutto sul benessere economico, la stabilità e l’ordine, prima che sull’orgoglio patriottico. E una guerra non è indispensabile per la tenuta del potere personale di Xi, anche se dovrà fare dei gesti forti per evitare di perdere la faccia. I pessimisti osservano invece che la formidabile escalation di riarmo in cui la Repubblica popolare si è lanciata non ha spiegazioni se quella forza prima o poi non viene usata. La flotta militare di Pechino ha superato il numero di bastimenti della US Navy, un sorpasso inaudito fino a poco tempo fa. Eppure nessuno minaccia le frontiere cinesi, anzi, semmai è la Repubblica popolare che sgomita per prendersi zone contese con i paesi vicini.
Annettere Taiwan alla madrepatria darebbe a Xi il trofeo che sfuggì ai suoi predecessori, lo innalzerebbe sopra Mao Zedong e Deng Xiaoping Annettere Taiwan alla madrepatria darebbe a Xi il trofeo che sfuggì ai suoi predecessori, lo innalzerebbe sopra Mao Zedong, fondatore della Repubblica, e Deng Xiaoping, artefice del boom economico. Perché Xi si è precluso una riunificazione pacifica, consensuale? I taiwanesi non possono credere allo scenario di «una nazione, con due sistemi politici» dopo la feroce normalizzazione di Hong Kong. La chiave dell’accanimento di Xi contro Taiwan sta qui: per un genuino leninista che crede nel primato del partito comunista e nella superiorità di quel sistema politico, non è tollerabile che sopravviva una democrazia cinese (Taiwan) così come non era ammissibile uno stato di diritto con libertà di espressione a Hong Kong. Annuncio pubblicitario
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ATTUALITÀ
Dietro la morte del capo di Al Qaeda Il punto
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Al Zawahiri è stato ucciso ma l’Afghanistan dei talebani rimane la base privilegiata per il terrorismo internazionale
Francesca Marino
«La morte di Al Zawahiri verrà spacciata per un trionfo dell’antiterrorismo. Ma questo tipo di narrativa nasconde a stento un’innegabile verità: che l’Afghanistan dei talebani serve da nascondiglio e rifugio per Al Qaeda». Bill Roggio, esperto di terrorismo e direttore del «Long war journal», ha sempre avuto pochi dubbi in proposito e, fatti alla mano, aveva ragione. Kabul un anno dopo la vergognosa e frettolosa ritirata degli americani somiglia in modo sempre più sinistro alla Kabul dei primi anni (ricordiamo che il agosto la capitale è stata presa dai talebani). La Kabul delle donne rinchiuse nei burqa e all’interno delle loro case, la Kabul delle donne a cui non è permesso studiare né lavorare. Delle donne a cui è vietato allontanarsi dal domicilio per più di un limitato numero di chilometri senza un accompagnatore maschio. Kabul in cui, ancora una volta, l’unica musica a risuonare è la chiamata alla preghiera e il rumore di esplosioni e pallottole, Kabul senza più cinema o teatri, senza più film in tv. Kabul senza più attrici o cantanti, Kabul senza sportive e con pochissimi sportivi rimasti. Kabul in cui i barbieri non possono più tagliare la barba ai loro clienti, in cui la gente ha fame. Kabul su cui regna la sola pace possibile: la «pax talebana», che somiglia tanto a quella di un qualunque cimitero. Quella Kabul in cui l’Occidente è entrato con una controversa decisione per combattere il terrorismo e che, vent’anni dopo, ha abbandonato accordandosi con gli stessi terroristi che aveva combattuto. E siglando vergognosi accordi di pace che prevedevano in pratica, per i talebani, un’unica condizione: che rescindessero i rapporti con Al Qaeda e che quindi l’Afghanistan non diventasse ancora una volta base privilegiata per il terrorismo internazionale.
I talebani erano stati invitati con tutti gli onori da vari governi occidentali per discutere di «diritti umani» A poco erano valsi i commenti della maggioranza, a poco erano valse prove sia visive che di intelligence da cui si evinceva che non solo Al Qaeda ma tutti gli altri gruppi jihadisti dell’area geopolitica erano vivi e vegeti e più felici che mai nel rinnovato paradiso per terroristi guidato ancora una volta da terroristi. Una campagna stampa gestita ad arte aveva fatto dei cosiddetti talebani . i «pupilli» di parte della stampa internazionale. I tristi figuri che siedono al governo erano stati invitati con tutti gli onori da vari governi occidentali per discutere di «diritti umani». I cui rappresentanti si dichiaravano «fieri» di sedere al tavolo delle trattative con un gruppo di tagliagole prezzolati. Come dire, invitiamo il lupo a trattare su Cappuccetto rosso. Fino a che, siccome la presa di un terrorista internazionale non si nega a nessun presidente americano, un missile RX, detto «missile ninja», ha centrato e ammazzato Ayman Al Zawahiri: l’uomo che, assieme a Osama bin Laden, aveva progettato l’attacco alle Torri gemelle. Al Zawahiri, ormai vecchio, malato e operativamente innocuo, è stato ucciso non in un rifugio tra le montagne, ma men-
tre affacciato al balcone si godeva il fresco del mattino in una graziosa villetta rosa pallido, sedici stanze appena, al centro di Kabul. Nel quartiere di Sherpur, il quartiere residenziale più esclusivo della città: dove, tanto per capirci, hanno casa l’ex-presidente Ashraf Ghani e Hamid Karzai. E la casa dove Al Zawahiri viveva sotto protezione era difatti di proprietà di Sirajuddin Haqqani. Haqqani è il ministro degli Interni dei talebani, il loro vice-premier ed è ancora sulla lista dei terroristi internazionali stilata dalle Nazioni Unite. Oltre a essere uno dei più feroci assassini a pagamento in circolazione e anche un’occasionale editorialista del democraticissimo «New York Times».
Su Kabul, presa dai talebani il 15 agosto 2021, regna la «pax talebana», che somiglia tanto a quella di un qualunque cimitero Morto Zawahiri è cominciato il secondo atto della farsa il cui primo atto si era consumato con l’uccisione di Osama bin Laden ad Abbottabad. Ci riferiamo ai comunicati emanati dal governo degli Stati Uniti e dal governo dei talebani, che si accusano reciprocamente di avere violato gli sciagurati accordi di Doha e una quindicina di regole del diritto internazionale. Circostanza resa assurda dal fatto che nei suddetti accordi non sono previste sanzioni per alcun tipo di violazione. La farsa si sta sviluppando a mezzo stampa e nelle segreterie di alcuni governi. Perché, come sempre quando si parla di terrorismo, tutte le strade portano invariabilmente a Islamabad. Basta provare a connettere i punti. Pare che il drone che ha centrato Al Zawahiri sia partito da una base pakistana: circostanza che il governo trova difficile da spiegare ai suoi cittadini, così come aveva trovato impossibile spiegare l’uccisione di Osama bin Laden compiuta dagli americani su suolo pakistano. Perché, anche se il drone non è partito dal Pakistan, agli americani è stato garantito lo spazio aereo per compiere l’operazione. Al Zawahiri e famiglia, fino a non molto tempo fa, erano di certo in Pakistan e sono stati portati a Kabul, secondo il presidente americano Joe Biden, da qualche mese. Affidati alle cure di Sirajuddin Haqqani, uomo dei servizi pakistani: per chi non lo ricordasse, gli Haqqani (così come i talebani originari) non sono afghani ma vengono dal Pakistan, da cui sono stati addestrati, nutriti, allevati e usati come mezzo infame di politica estera. Logistica e progettazione dell’operazione che ha portato alla morte di Zawahiri hanno richiesto mesi e di certo degli uomini sul campo. All’interno dei talebani è in atto da mesi una guerra tra la fazione degli Haqqani e quella guidata tra gli altri dal figlio del mullah Omar. Qualche giorno prima dell’uccisione di Zawahiri, il generale Bajwa, capo dell’esercito pakistano, aveva fatto una telefonata a Wendy Sherman, una dei sottosegretari di stato americani. La telefonata, trapelata con uno scoop del «NikkeiAsia», aveva come oggetto un prestito di , miliardi di dollari che il Pakistan deve assolutamente ottenere dal Fondo monetario internazionale (Fmi) se non vuole ritrovarsi come lo Sri Lanka in ban-
Pattuglia di sicurezza talebana nel quartiere dove un drone statunitense ha ucciso il leader di Al Qaeda Al Zawahiri. (Keystone)
carotta. Perché un generale, e non ad esempio il ministro delle Finanze o quello degli Esteri, chiama una sottosegretaria? In Pakistan e dintorni i punti potrebbero connettersi così: Bajwa e il suo governo, con la connivenza di Haqqani e dei suoi, hanno «venduto» Al Zawahiri agli Usa in cambio
del prestito dell’Fmi. Zawahiri è stato ammazzato a Kabul perché non fosse il secondo esponente di spicco di Al Qaeda ad essere ucciso in territorio pakistano, con tutte le conseguenze del caso. Gli americani ottengono il loro trofeo, i pakistani prendono i soldi… Non sarebbe la prima volta che le cose vanno così tra Stati Uniti e Pa-
kistan, e non sarà l’ultima. I talebani si liberano dello scomodo fardello di un poco carismatico burocrate alla guida di Al Qaeda e hanno una scusa ulteriore per continuare a non mantenere le pur labili promesse dell’accordo di pace. Mano libera ai jihadisti dunque, quelli veri, gestiti da loro e da Islamabad. Fino alla prossima volta. Annuncio pubblicitario
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ATTUALITÀ
Calpestata di nuovo come l’erba quando gli elefanti combattono tra loro
Prospettive ◆ Sarebbe in corso una nuova corsa all’Africa, la cui posta in gioco non è più il possesso territoriale e nemmeno – o non solo – l’accaparramento delle materie prime
Pietro Veronese
La rivista «Internazionale» ha messo in vendita nelle edicole italiane un bel volume intitolato «Viva l’indipendenza». Il libro, ricco di foto storiche e di testi, racconta, attraverso gli articoli della stampa mondiale dell’epoca, quella stagione irripetibile di speranze e di entusiasmi. Grandi nazioni dell’Africa e dell’Asia, dalla Nigeria all’Indonesia, reclamavano il loro posto nella storia dei popoli. Finiva il secolo del colonialismo, gli equilibri globali cambiavano, masse innumerevoli di esseri umani rivendicavano la propria libertà. Quasi giorno dopo giorno nuovi pennoni si innalzavano davanti al Palazzo delle Nazioni unite di New York, nuove bandiere sventolavano disegnando un mondo variopinto. Da allora sono passati sessant’anni. La stagione delle grandi speranze è ricordata oggi come la stagione delle grandi illusioni. Subito la Guerra fredda costrinse i paesi di nuova indipendenza a una forzata scelta di campo. Il dominio economico e geopolitico sostituì quello politico-militare. Poi la Guerra fredda finì, gli equilibri globali tornarono in movimento, i regimi vassalli dell’Occidente e della sfera sovietica crollarono. La Cina irruppe sulla scena africana, in cerca di mercati e di materie prime. L’Africa si avviò verso un periodo di crescita e di relativa prosperità. Ma eccoci al . Per l’ennesima volta l’Africa, secondo il vecchio proverbio, finisce calpestata come l’erba quando gli elefanti combattono tra loro.
La guerra in Ucraina, in apparenza lontana, sta colpendo l’Africa molto più dell’Europa e promette di ridurre gran parte del continente alla fame All’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite è stata chiamata a votare una risoluzione di condanna (era lo scorso marzo). La maggioranza è stata inequivocabile: Paesi a favore su . Ma tra astenuti e deliberatamente assenti al momento del voto, ben Paesi africani (più uno
contrario), praticamente la metà, hanno rifiutato di unirsi al coro. Quel risultato è stato molto notato perché rivelava la riluttanza a schierarsi in un conflitto considerato da molte opinioni pubbliche e altrettanti governi del continente come uno scontro distante dalla geografia, dagli interessi e dalla partecipazione emotiva degli africani. Tre mesi dopo il presidente di turno dell’Unione africana, il senegalese Macky Sall, ha dichiarato: «Non ci interessa il dibattito su chi abbia ragione e chi torto. Vogliamo solo accesso al grano e ai fertilizzanti». Con l’andare delle settimane era diventato evidente quel che già si sapeva, e cioè che i due paesi coinvolti nella guerra sono i due maggiori esportatori mondiali di cereali. Il blocco dei porti ucraini aveva ridotto drasticamente quel commercio. La vittima principale del blocco è l’Africa, peraltro già afflitta in questo da una devastante siccità e da rincari senza precedenti dei generi alimentari. Si è scoperto così che la guerra in Ucraina, apparentemente lontana, stava colpendo l’Africa molto più dell’Europa e prometteva di ridurre gran parte del continente alla fame. Venerdì luglio, grazie alla mediazione Onu, è stato raggiunto un accordo tra Russia e Ucraina. Navi con le stive colme di cereali hanno lentamente ricominciato a salpare dal porto di Odessa. La catastrofe è almeno in parte evitata. Nel frattempo, però, l’Africa è diventata il palcoscenico di un notevole traffico diplomatico da parte delle maggiori potenze mondiali. I ministri degli Esteri russo e americano si sono inseguiti da una capitale all’altra del continente – uno a fine luglio, l’altro a inizio agosto – entrambi rinnovando le promesse di sostegno e di partnership da parte dei rispettivi governi. Sia Russia che Stati Uniti hanno diramato inviti per due grandi vertici con i leader africani in programma nei prossimi mesi. Nel frattempo la Cina non è stata a guardare. Rompendo con una tradizione almeno ventennale, che l’aveva sempre visto sottolineare la natura piuttosto commerciale che diplomatica delle relazioni con i suoi interlocutori africani, il governo di Pechino
Donne che setacciano il grano. Diversi paesi africani ricevono la gran parte del loro grano dalla Russia e dall’Ucraina. (Keystone)
ha organizzato in giugno nella capitale etiopica Addis Abeba la Prima conferenza del Corno d’Africa per la pace, il buon governo e lo sviluppo. Erano rappresentati otto Paesi, Cina compresa (assente l’Eritrea). In tal modo la potenza asiatica si è assunta la responsabilità di operare per la soluzione dei numerosi conflitti e tensioni di questa delicatissima macro-regione africana. L’unica voce europea in questo straordinario fervore d’interesse per l’Africa è stata quella del presidente francese Emmanuel Macron. Per quattro giorni a fine luglio Macron è stato in Camerun, Benin e Guinea-Bissau. La presenza politico-militare francese in Africa ha subito nei tempi recenti due significativi rovesci, in Repubblica Centrafricana e in Mali, a vantaggio della Russia. Altrove, come nello stesso Camerun, in Burkina Faso, in Niger il ruolo francese è messo in discussione. Lo scopo del presidente francese era dunque in primo luogo quello di puntellare gli in-
teressi della sua nazione; ma egli ha avuto anche cura di parlare a nome dell’Europa nel contrastare la crescente presenza russa. In un articolo dedicato all’iniziativa diplomatica del ministro degli Esteri russo Lavrov in Africa, Paolo Garimberti ha scritto su «la Repubblica» che essa è servita a lanciare due sfide: «La prima diretta a quell’Occidente collettivo, composto da Nato e Unione europea, che accusa la Russia per l’aggressione all’Ucraina e il blocco delle esportazioni del grano, che colpisce soprattutto i Paesi africani. […] La seconda, non dichiarata a differenza della prima, è verso la Cina, […] rivale della Russia nell’edificare una sfera di influenza nel continente africano». È un’analisi rivelatrice, perché come si vede, l’Africa non è considerata parte in gioco, ma solo terreno di scontro tra europei, russi, cinesi e americani. Alcuni commentatori, ed è difficile dar loro torto, vi vedono una nuova «corsa all’Africa», analoga a quella con cui le potenze europee si spartirono il con-
tinente negli ultimi decenni dell’Ottocento. La posta in gioco non è più il possesso territoriale, e nemmeno – o non solo – l’accaparramento delle materie prime, quanto l’affermazione del proprio controllo globale.
L’unica voce europea in questo straordinario fervore d’interesse per l’Africa è stata quella del presidente francese Emmanuel Macron Difficile capire che ne pensa l’Africa. La migliore sintesi di un possibile punto di vista collettivo resta quella di Macky Sall: «Vogliamo accesso al grano e ai fertilizzanti». Il sostegno all’uno o l’altro dei contendenti nella guerra in Ucraina verrà eventualmente considerato un prezzo da pagare, non certo una scelta ideale. L’Africa al momento ha altre priorità: nutrire i suoi figli, una sfida più seria di tutte le altre.
Come funzionano le nuove fatture con codice QR? La consulenza della Banca Migros ◆ È possibile rilevare il codice con lo smartphone o altri lettori – È importante aggiornare sin d’ora ma al massimo entro il 1. ottobre i vecchi ordini permanenti
La maggior parte delle fatture non esiste più sotto forma di polizza di versamento arancione, ma è dotata ora di codice QR. Come funziona questo codice? E in futuro potrò ancora pagare le nuove fatture allo sportello postale? Sì, potrà farlo. La fattura con codice QR può essere impiegata sia allo sportello postale sia per l’e-banking. Anche gli ordini di pagamento in busta alla banca continueranno a essere possibili. Ma la fattura QR segna il passaggio dal mondo cartaceo a quello digita-
le. I codici QR verranno impiegati laddove dovranno essere selezionati dei dati. La QR-fattura semplifica effettivamente i pagamenti nell’e-banking. È possibile rilevare il codice con lo smartphone o altri lettori. Questo codice contiene già tutte le informazioni sul pagamento. Viene meno la faticosa digitazione dei numeri di conto e di riferimento. Il pagamento diventa così non solo più semplice, ma anche meno soggetto a errori. Le fatture QR sono in circolazione già da anni. Le banche sulla piazza
FabioThaler, consulente alla clientela presso la Banca Migros Regione Svizzera orientale.
finanziaria svizzera, quindi anche la Banca Migros, intendono così digitalizzare e armonizzare il traffico dei pagamenti. A partire da ottobre verrà elaborata solo la variante QR, poiché PostFinance ritirerà dal mercato le polizze di versamento arancioni e rosse. C’è una cosa che può fare sin d’ora, ovvero aggiornare i vecchi ordini permanenti, dato che quelli basati sulle polizze di versamento arancioni o rosse non saranno più utilizzabili a partire dal ° ottobre. Per esempio, chieda
al suo locatore di fornirle fatture QR con un IBAN QR e un riferimento QR. Consiglio Ancora più semplice è utilizzare eBill, la fattura digitale per la Svizzera. Invece che per posta o e-mail, la riceve direttamente nell’e-banking, dove può anche saldarla. Basteranno pochi clic per effettuare la verifica e il pagamento. Inoltre, manterrà sempre il pieno controllo. Registrazione e informazioni: www.migmag.ch/ebill
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ATTUALITÀ / RUBRICHE ●
Il Mercato e la Piazza
di Angelo Rossi
Finanze comunali: nel 2020 meglio del previsto ◆
Il numero più recente della rivista «Dati» del nostro ufficio cantonale di statistica riporta l’annuale rendiconto sulle finanze comunali, sforzo comune di John Derighetti e Daniela Baroni della Sezione Enti Locali dell’amministrazione cantonale. I dati di quest’anno si riferiscono alla gestione finanziaria del . Ovviamente essendo il il primo anno della pandemia, l’interesse del lettore – come quello degli autori del rendiconto – si concentra sulle conseguenze che la stessa può aver avuto sui conti dei comuni. La risposta, cari lettori, la potete dedurre dal titolo di questo commento. Le cose sono andate meglio di quanto ci si poteva attendere. Il è stato comunque, per l’aggregato dei comuni un anno deficitario. Ma la portata del deficit è limitata. Rapportato al totale delle spese correnti dell’aggregato dei comuni il deficit complessivo di milioni rappresenta infatti solamente l’.%. Non siamo
quindi lontani dal pareggio dei conti, in un anno che, ripetiamolo, in seguito alla pandemia, ha indotto spese supplementari considerevoli per i comuni e ha visto i ricavi correnti ridursi di . milioni. Per arrivare a questo risultato però i comuni hanno dovuto ridurre le loro uscite di milioni di franchi rispetto a quanto avevano speso nel . Siccome non disponiamo di cifre relative al preventivo non possiamo stimare quale sia stata la vera portata dei tagli alla spesa effettuati dai comuni ticinesi nel rispetto a quelle che potevano essere le loro intenzioni di spesa pre-pandemia. Poiché a preventivo sono state stimate uscite superiori a quelle del , è tuttavia presumibile che i tagli alla spesa preventivata siano notevolmente superiori ai milioni di franchi che rappresentano la riduzione delle uscite correnti rispetto al consuntivo del . Altrettanto presumibile è che questi risparmi di
uscite si siano concentrati nei comuni di maggior taglia. Purtroppo il rendiconto di Derighetti e Baroni non offre – pensiamo per più di una buona ragione – dati per categorie di comuni secondo la taglia. Non siamo quindi in grado di verificare in che misura questa ipotesi sia fondata. Le cifre, esposte nel loro rendiconto, ci consentono comunque di affermare che lo sforzo di contenimento ha portato su più poste di spesa ed è stato particolarmente importante per quel che riguarda gli ammortamenti amministrativi, anche perché nel sono state applicate nuove direttive nel calcolo degli stessi. Ma anche l’aggregato delle spese per il personale che, in un ente pubblico, tende sempre ad aumentare, è stato ridotto di circa il %. Occorre però valutare con prudenza queste variazioni, perché come rilevano gli autori del rendiconto, tra il e il , sia Lugano sia Bellinzona hanno esternalizzato una
parte delle spese correnti che prima figuravano nei loro conti, costituendo enti separati per la gestione di particolari servizi. Le difficoltà finanziarie emergono poi, come è comune negli anni critici, nel conto degli investimenti. L’autofinanziamento degli investimenti si è infatti ridotto da ., nel , a . milioni nell’anno seguente. Il tasso di autofinanziamento è così sceso, per l’aggregato dei comuni, dal al %. Di conseguenza il debito pubblico dell’insieme dei comuni ticinesi è aumentato di circa milioni di franchi, ossia del % rispetto al . Quando si considerano le cifre d’assieme il non è quindi stato un anno favorevole alle finanze dei comuni ticinesi. Avrebbe potuto però anche andare peggio! Teniamo poi presente che ciò nonostante il % dei comuni ha chiuso anche il con un avanzo d’esercizio. Considerato quanto è successo nel primo anno della pandemia
da Coronavirus si tratta certamente di un risultato positivo. La pandemia è stata infatti una fonte di spesa supplementare non trascurabile. Derighetti e Baroni hanno cercato di fare il bilancio degli aumenti di spesa e degli sgravi provocati dalla stessa. Semplificando si può affermare che la pandemia ha provocato, nel , un aumento delle spese dei comuni ticinesi pari a , milioni di franchi come uscite correnti e a . milioni di addebiti interni. In tutto, quindi, nell’anno in questione la pandemia di Coronavirus è costata ai comuni ticinesi . milioni di franchi. La stessa ha però generato anche entrate correnti per . milioni. Il costo netto della pandemia si è quindi aggirato, nel , sui milioni di franchi. Per abitante si tratta di un po’ più di franchi, ossia neanche il prezzo di un’iniezione contro il Covid. Questo dato induce a relativizzare ulteriormente la portata del deficit dei comuni ticinesi per il .
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Affari Esteri
di Paola Peduzzi
Liz Truss, quella strana, premier? ◆
A Londra tutti dicono che Liz Truss sarà la prossima premier del Regno Unito. Nelle edicole il suo volto spunta ovunque, le cronache sono piene di racconti che la riguardano e aneddoti. A domanda diretta molti, pur senza troppa contentezza, sospirano: è inevitabile. La regola dell’inevitabilità in realtà è un boomerang. Chi si considera vincitore poi perde (un esempio Hillary Clinton), ed è quello che sperano nel campo degli avversari capitanati da Rishi Sunak, l'ex cancelliere che pareva adatto a sostituire Boris Johnson alla guida del paese e che invece oggi sbuffa dalle retrovie: la base del Partito conservatore – circa duecentomila persone – preferisce Truss. E così anche gli stessi esponenti dei Tory. Eppure quando era il loro turno della votazione – hanno mandato loro Truss e Sunak al ballottaggio – avevano preferito Sunak. Ora invece si dispongono ai lati di Truss. Classe , ministra
degli Esteri, ex ministra per il Commercio internazionale e per le Pari opportunità, in Parlamento dal eletta tra quelle che erano chiamate le «Cameron’s girls» dal nome dell'allora leader di partito e premier David Cameron, Liz Truss viene spesso definita «un po’ strana». Se si cercano i suoi video e le sue immagini online questa «stranezza» si può declinare in un misto di goffaggine e candore, fatto di risatine fuori tempo e di enormità dette con convinzione. Forse contribuiscono a questa «stranezza» il look ispirato a Margaret Thatcher, il suo esordio politico da giovanissima con i liberaldemocratici e non i conservatori, la campagna elettorale con i Tory al fianco della madre e non del padre (che pretende il silenzio stampa sulla distanza politica che lo divide dalla figlia), la partecipazione alla campagna contro la Brexit e la determinazione con cui ha poi difeso la sua bontà, l’affaire
extramatrimoniale con un conservatore seppellita dalle dichiarazioni ferme sulla tenuta perfetta del suo matrimonio. Insomma, Truss ha una storia travagliata, ed è questo che fa alzare qualche sopracciglio a chi voleva, dopo le montagne russe di Johnson, una linea dritta da seguire, senza capriole. Comunque sia, Liz Truss sta giocando le sue carte, godendo del sostegno di Johnson, il premier spodestato dal suo partito che però resta popolare alla base dello stesso. Questa contraddizione ha giocato a favore della ministra degli Esteri che non si è dimessa e che, anzi, lascia trapelare che potrebbe accogliere Johnson nel suo governo. È una scelta politicamente rischiosa, considerata la riluttanza con cui Johnson lascia il suo posto, ma in questo momento è funzionale per consolidare la leadership di Truss contro Sunak. Il quale invece è considerato un traditore: si è dimesso dal posto di cancelliere dello Scac-
chiere dando il via al processo che ha portato Johnson alle dimissioni. Grava su di lui anche la vicinanza a Dominic Cummings, l’ex consigliere di Johnson licenziato nel che progetta la sua vendetta da allora. Per quanto paradossale possa sembrare, Truss gode di un maggiore consenso proprio perché è rimasta fedele al premier che deve sostituire. Inoltre propone politiche in linea con quelle definite da Johnson, a dimostrazione del fatto che era il suo approccio al potere – e quella facilità di mentire – a essere ingestibile per il partito, non le sue idee. Truss vuole fare funzionare la Brexit e la difende contro ogni evidenza; intende tagliare le tasse, come previsto dal programma elettorale del , anche se tutti gli economisti – tranne uno, che è il suo ispiratore Patrick Minford, professore di Economia applicata alla Business School dell’Università di Cardiff – affermano che oggi non è fattibile, anzi
è controproducente per l’economia inglese che, come quelle continentali, è surriscaldata dall'inflazione. Ma a definire la leadership di Truss è soprattutto la sua fama di «cultural warrior», una combattente delle guerre culturali: thatcheriana in una famiglia di sinistra, una figlia di nome Liberty, le è stata affibbiata l’etichetta di donna che combatte contro la «wokeness» (la consapevolezza di problemi sociali e politici come il razzismo, le diseguaglianze), in linea con la base dei Tory, che è mediamente più anziana, più ricca e più bianca della media del paese, e ama la postura di Truss. Nei sondaggi sulle priorità degli elettori la «wokeness» compare molto in basso. Ma quelle che decideranno il nuovo o la nuova premier non sono delle elezioni vere, sono una selezione di un’infinitesimale porzione del popolo britannico, una bolla che ancora deve fare i suoi conti interni.
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Zig-Zag
di Ovidio Biffi
Spreco contro bisogno ◆
A chi mi chiede la più evidente prova della disattenzione dell’Occidente verso il degrado ambientale, non cito proclami o allarmi di qualche profeta della lotta per la salvaguardia del clima, ma una semplice frase: «Eppure l’acqua – acqua pulita, purificata, potabile – è usata per il trasporto dei rifiuti organici nelle fognature». Da tanti anni queste parole suonano per me come prova della nostra irragionevolezza: acqua potabile, a litri, sprecata spensieratamente e senza alcun rimorso (salvo le foglie di fico dei depuratori) per far sparire i nostri rifiuti organici. Le ha scritte Ruth Link, una giornalista americana, stabilitasi in Europa nell’immediato dopoguerra, desiderosa di conoscere la forma di economia mista e degli sforzi per creare una socialdemocrazia in Svezia. Il suo nome dirà poco o niente a quasi tutti i lettori. Anche sui vari motori di ricerca digi-
tali non sono riuscito (ha un cognome che non aiuta!) a verificare se la quasi centenaria Link, sposatasi nel a anni con un agiato sessantenne svedese, sia ancora in vita. Oggi la Link viene ricordata praticamente solo per un suo ricercatissimo libro per bambini, Una casa piena di topi, un’allegoria dell’esplosione demografica. Poco o nulla invece è rimasto delle prese di posizione che la studiosa americana, attiva collaboratrice dell’organizzazione svedese per l’aiuto allo sviluppo (Sida), nella seconda metà del secolo scorso ha continuato a diffondere con articoli e saggi che riguardavano la salvaguardia delle risorse naturali nei vari continenti e paesi. Riletti oggi, suscitano meraviglia frammista a un forte senso di colpevolezza per non aver ascoltato questa donna che, oltre a individuarne le problematiche, esortava a combattere il degrado ambientale.
Ho pensato a Ruth Link leggendo una notizia proveniente da Madrid e da un governo (quello spagnolo, guidato da Pedro Sanchez) particolarmente attivo nella scelta di nuove vie per fare politica. Un progetto di legge, ispirato all’economia circolare (altro recupero da compiere!), favorirà in Spagna progetti collaborativi tra ristoranti, organizzazioni di quartiere e banche alimentari «sulla prevenzione delle perdite e degli sprechi nell’alimentazione». In un momento fortemente segnato dai disastrosi effetti dei mutamenti climatici, e soprattutto dal drammatico problema dell’approvvigionamento e della distribuzione dell’acqua, la notizia mi ha ricordato un breve saggio di Ruth Link degli anni Settanta. Titolo emblematico: Spreco contro bisogno. In apertura dell’articolo, sottolineando la scarsa riuscita dei numerosi «piani di azione» delle Nazioni Unite contro i proble-
mi che già in quegli anni oscuravano la scena mondiale (crescita demografica, fame, accesso all’acqua ecc.), l’autrice mette a confronto le ingenti spese militari di quel tempo con la mancanza di cibo e acqua per quasi un miliardo di persone in paesi poveri o in via di sviluppo. Poi affronta il capitolo dello spreco con parole che sembrano quelle di un editoriale dei nostri giorni: «Nei paesi ricchi lo sperpero è un modo di vivere. (…) In un mondo dove un quinto dell’umanità ha fame, un altro quinto mangia troppo, fa la dieta e cerca sostanze che non ingrassano. (…) I ricchi mangiano più proteine di quanto è salutare, sebbene ci vogliano dieci chili di grano per produrne uno di carne e dodici litri di acqua per produrne uno di latte e benché i paesi ricchi comincino a sperimentare la mancanza di acqua». È a questo punto che inserisce l’espres-
sione risentita riportata in avvio: «Eppure l’acqua – acqua pulita, purificata, potabile – è usata per il trasporto dei rifiuti organici nelle fognature». Ma non è il solo spreco censurato. Ricorda anche che bruciare il petrolio è «consumo inutile di una risorsa naturale alla base di potenziali prodotti alimentari, di plastiche, di combustibili più potenti, che inquina l’aria e da questa il suolo». La conclusione è affidata a un ultimo monito, rimasto sinora inascoltato: «Sebbene i climatologi ci dicano che non possiamo continuare ad aggiungere energia all’energia, innalzando la temperatura e aumentando la quantità di anidride carbonica nell’atmosfera senza provocare lo scioglimento delle calotte polari, noi, per ora, andiamo avanti tranquillamente». Lette oggi, queste parole aggiungono alla colpa per gli sprechi anche quella di tanti anni di sciagurata indifferenza.
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CULTURA
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Hélène Dufour, la pioniera In arte Noëlle Roger, scrittrice svizzera di lingua francese, ha abbracciato il genere fantastico
La sfida della letteratura Incontro con Marco Missiroli che riflette su Fedeltà, il suo romanzo diventato una serie Netflix
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L’alchimista dell’arte Mostre
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azione – Cooperativa Migros Ticino 25
Istantanee da Locarno In pieno svolgimento, vi raccontiamo film e momenti del Film Festival di Locarno
Un ricordo di Pietro Citati Firma di «Repubblica», critico letterario, vinse lo Strega nel 1984 con Tolstoj, è scomparso a 92 anni
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Fino al 4 settembre il Museo d’Arte di Mendrisio omaggia l’opera di Gianfredo Camesi
Alessia Brughera
Se la vicenda creativa di un artista, per essere compresa appieno, non può essere scissa da quella personale, questo è ancor più vero parlando di Gianfredo Camesi. «Autentico autodidatta», come lui stesso si definisce, Camesi ha sempre fatto confluire nel proprio lavoro le molteplici suggestioni ricevute nell’arco di un’intensa esistenza in continuo movimento. Quella dell’artista ticinese è stata infatti una vita da nomade, caratterizzata da viaggi alla scoperta di luoghi e di culture da cui lasciarsi ispirare. Tanti sono i paesi e le città dove Camesi ha vissuto o soggiornato: Ginevra, Parigi, la Provenza, l’Italia, Bochum, Vienna, Colonia e poi ancora Amsterdam, il Brasile (dove nel rappresenta la Svizzera alla Biennale di San Paolo), l’America del Sud, Tokyo e New York. Eppure da questo suo assiduo errare, nonostante possa quasi sembrare un controsenso, è sempre uscito rafforzato il rapporto con il proprio paese d’origine, Menzonio, nella Val Lavizzara, un territorio montano dal paesaggio solido e austero che per Camesi è stato ed è tutt’ora il perno attorno a cui far ruotare la propria storia. È qui che l’artista fa costantemente ritorno per rinnovare il suo linguaggio e per dare vita alla maggior parte dei suoi cicli di opere. Menzonio è la sua fucina creativa per eccellenza, il luogo dove rielaborare tutto ciò che viene raccolto in giro per il mondo al fine di dargli una nuova, personale, forma. Non è un caso che la coerenza e il rigore che contraddistinguono i lavori di Camesi siano anche i tratti distintivi della personalità stessa dell’artista, mutuati a loro volta dalla natura esigente e primitiva della sua terra natia. Risoluto, meticoloso, quasi dogmatico nel dare corpo alle proprie intenzioni, Camesi, oggi ottantaduenne, ha sviluppato una cifra stilistica che, seppur ben radicata nel suo tempo e aperta alla ricezione di impulsi differenti, non può essere accostata ad alcuna tendenza o movimento. Essa si qualifica piuttosto per la particolare impronta soggettiva che scaturisce dal profondo legame che l’artista ha con l’ambiente che lo ha visto nascere e dalla determinata capacità, quasi un’esigenza, del suo muoversi come singolo pensatore. Camesi descrive così una traiettoria specifica in cui, se si possono comunque ravvisare affinità con il Minimalismo, con l’Arte Concettuale o con la Land Art, si ritrovano i segni del suo percorso individuale, a partire da quell’approccio progettuale all’opera d’arte che deriva dall’apprendistato nello studio locarnese di architettura di Oreste Pisenti, dove, giovanissimo, l’artista ha iniziato a muovere i primi passi. A rendere pe-
culiare il suo linguaggio, poi, è la geometria personale che Camesi ha diligentemente edificato nel corso del tempo, un vocabolario di segni e immagini dalla profonda valenza simbolica che attraversa tutti i suoi lavori. Figure come il punto e la linea, il quadrato e il cerchio, la croce e la freccia sono diventati le componenti essenziali di un lessico ancestrale che anima la produzione dell’artista, plasmando rappresentazioni cariche di un forte potenziale metafisico. Nei propri cicli di opere, Camesi rielabora questi segni fondamentali, proponendoli all’osservatore secondo
schemi e proporzioni di derivazione sacrale, riallacciandosi a quella secolare tradizione che concepisce la geometria come estrinsecazione del divino. Ogni elemento si pone così come un frammento che rinvia all’unità e all’armonia virtuale della totalità a cui appartiene. Ecco allora che l’arte di Camesi rivela la sua vera natura, quella di essere espressione del desiderio di comprensione di sé e della realtà che ci circonda. L’artista focalizza la sua attenzione sulla ricerca di una connessione con le leggi che governano le cose attraverso la creazione di opere che diventano veri e propri spazi assoluti in cui microcosmo e macrocosmo si incontrano: «l’universo è in noi e il mondo è la sua immagine», è la frase che spesso Camesi recita, condensando in poche parole l’idea di una consonanza tra l’individuo e il tutto. Nella mostra che il Museo d’Arte di Mendrisio dedica all’artista ticinese si coglie molto bene la volontà di Camesi di fare del proprio lavoro uno strumento per esplorare ed esprimere simbolicamente il rapporto tra l’uomo e il creato. Il progetto espositivo, che lui stesso ha concepito interamente seguendolo nella sua realizzazione con la meticolosità che lo contraddistingue, diviene così una sorta di cammino che lo spettatore viene invitato a percorrere per instaurare un dialogo con il mondo. Le opere di Camesi, dall’impeccabile rigore formale e dal sofisticato gioco di equilibri, hanno la capacità di sintetizzare l’incontro di forze spazio-temporali e
Qui a fianco Chemin du Corps, 1998-99, olio e matita su tela. (Stefano Spinelli) Sotto Espace mesure duTemps, 1999, olio su vetro (Stefano Spinelli) A sinistra una foto dello scultore e pittore nato a Cevio nel 1940. (Keystone)
di energie cosmiche, quelle che regolano l’esistenza umana e di cui l’artista sa cogliere le correlazioni e le alchimie recondite. Le installazioni radunate in mostra, tra cui figurano alcuni dei capisaldi della produzione di Camesi, narrano la storia di una vita dedicata all’arte intesa come itinerario di conoscenza. Con la presenza di opere che vanno dalla prima maturità agli anni più recenti, passando anche per cicli finora rimasti inediti, ciò che l’esposizione riflette chiaramente è l’esi-
genza dell’artista di creare un percorso fluido e compatto caratterizzato da continui intrecci interpretativi che rimandano a un’idea di circolarità. Percorrendo le sale ci si accorge di come, nel lavoro di Camesi, l’esperienza estetica sia condizionata, e in un certo senso subordinata, a un apparato simbolico che va inteso come manifestazione delle entità dell’universo. La freccia, segno-totem presente nell’opera Point Vital e nell’installazione collocata nel chiostro del Museo, è visualizzazione dello Spa-
zio. La croce, nel ciclo Espace mesure du Temps disegnata ripetutamente sulla tela con il dito indice immerso nel colore, è traccia del Tempo, mentre nella serie di matite su carta dal titolo Vacuité si fa espressione di un Vuoto inteso non come assenza ma come origine di tutte le forme. Nei Retable, trittici d’altare dal bianco assoluto, è invece la Luce a emergere, così come in Forme de Lumière, lavoro in cui Camesi graffia la materia per sprigionarne la luminosità nascosta. In Chemin du Corps, l’opera forse più significativa della rassegna, è ancora il Tempo a essere protagonista: sopra la massa pittorica di colore nero, posta su una lunga tela, compaiono le impronte del camminamento dell’artista, vestigia di un passaggio che diventa memoria esplicita dell’azione, del momento trascorso. A fine mostra, poi, c’è un dittico che compendia bene il pensiero di Camesi. Una delle sue Terre, fotografia su tavola del suolo naturale, viene accostata a un Cielo, tela dipinta a olio di un vivido azzurro. Sotto di loro, a pochi centimetri dal pavimento, una livella, a simboleggiare il lavoro umano. È l’incontro tra materia e spirito nella ricerca di un Assoluto e di un Infinito che passano dalla mano dell’uomo. Dove e quando Gianfredo Camesi. Dallo spazio al tempo. Museo d’Arte Mendrisio. Fino al 4 settembre 2022. Da ma a ve 10.00-12.00 / 14.00-17.00, sa, do e festivi 10.00-18.00. www.mendrisio.ch/museo
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CULTURA
L’incredibile Noëlle Roger
PRO SENECTUTE
Personaggi ◆ Pioniera dell’emancipazione femminile, unica scrittrice svizzera di fantascienza, ne ripercorriamo la parabola artistica e umana
informa
Benedicta Froelich
Il fatto di vivere in un’epoca ipertecnologizzata – in cui molte delle invenzioni e innovazioni previste dai maggiori scrittori di fantascienza del Novecento possono ormai definirsi realtà – ha forse portato molti di noi a dimenticare come il cosiddetto genere «fantastico» possa definirsi ancora «giovane» in termini letterari; in effetti, è solo nel che si comincia davvero a parlare di letteratura fantastica come categoria a sé stante, grazie al celeberrimo Frankenstein di Mary Shelley. Da allora, contaminazioni riconducibili a tale genere si sono riscontrate in ogni ambito letterario, spesso assurgendo al rango di veri e propri archetipi (chi non ricorda le macchine di Jules Verne?). E poiché fin dagli inizi si è trattato di un genere ad appannaggio prevalentemente maschile (come del resto è ancor oggi), sono in pochi a sapere che, nei primi anni del Novecento, la Svizzera ha potuto vantare una delle rare eccezioni alla regola nella figura della ginevrina Noëlle Roger, destinata a raggiungere una certa notorietà come pioniera del genere fantascientifico, e non solo.
Ripresa corsi e attività da settembre! Da settembre riprendono le attività di movimento e i corsi in tutto il Cantone.
Da fine agosto, utilizzando il motore di ricerca delle attività sul nostro sito internet, sarà possibile cercare tutte le nostre proposte di corsi (anche di tipo conviviale organizzate dai nostri Centri diurni) ed iscriversi.
Programma vacanze 2022: soggiorni ancora in programma
Dopo una formazione come giornalista a Londra, e alcuni romanzi incentrati su temi legati all’infanzia, la Roger deciderà di buttarsi nel genere fantastico
I soggiorni sono rivolti a persone anziane autosufficienti che desiderano trascorrere una vacanza in compagnia, con l’accompagnamento da parte di volontari. – Pinarella di Cervia dal 4 al 14 settembre – Montegrotto Terme dal 7 al 16 ottobre Per maggiori informazioni: Telefono: 091 912 17 17 info@prosenectute.org
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Contatto Pro Senectute Ticino e Moesano Via Vanoni 8/10, 6904 Lugano Tel. 091 912 17 17 – info@prosenectute.org Le nostre sedi regionali si trovano anche a: Balerna, Bellinzona, Biasca e Muralto www.prosenectute.org Seguiteci anche su Facebook
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Noëlle, il cui nome all’anagrafe era Hélène Dufour, è stata, tra le altre cose, una figlia d’arte, dal momento che il padre Théophile era molto noto nei circoli letterari per i suoi lavori su Rousseau e sul riformatore Calvino, mentre la madre Fanny discendeva da uno storico di vaglia quale Henri Bordier. Questo permise alla giovane Hélène, nata a Ginevra nel , di coltivare fin dall’infanzia la passione per la pittura e la poesia, per poi decidere di debuttare come scrittrice. Il suo primo romanzo, Larmes d’enfant, venne pubblicato nel , quando l’autrice aveva appena ventidue anni; e fu proprio in quell’occasione che la Dufour coniò il proprio pseudonimo, giocando con i nomi di battesimo di due dei suoi fratelli, Leon (che, letto al contrario, suona come Noëlle), e Roger. Ed è da questa scelta che si dipanerà un’esistenza a dir poco notevole: in tempi in cui l’emancipazione femminile era ancora lontana, Noëlle era infatti destinata a farsi rapidamente un nome di tutto rispetto in ambito artistico e non solo, rivelando una poliedricità di talenti a cui i più celebri colleghi di sesso maschile non hanno mai potuto aspirare. Dopo una formazione come giornalista a Londra, e alcuni romanzi incentrati su temi legati all’infanzia, la Roger deciderà infatti di buttarsi nel genere fantastico, ma in modo diverso rispetto ai contemporanei: gli spunti da lei sviluppati nei suoi lavori possono infatti considerarsi estremamente moderni e originali anche per l’ambito fantascientifico del tempo – si pensi al romanzo Le Nouvel Adam (), incentrato su una sorta di «superuomo», creato artificialmente tramite un trapianto di ghiandole e presentato come un antieroe totalmente dedito alla logica e alla freddezza, secondo la miglior tradizione gotica; e
Noëlle Roger in uno scatto di Frank-Henri Jullien (1882-1938) – Centre d’iconographie genevoise. (Wikipedia)
il fatto che, appena due anni dopo, quest’opera abbia beneficiato di un’edizione inglese, dimostra la rilevanza di quella che all’epoca era nota come «fiction speculativa». Negli anni, Noëlle avrebbe pubblicato una decina di libri nel filone della cosiddetta «anticipazione tecnologico-scientifica», tra i quali Celui qui voit (), Le Soleil enseveli () e Le Nouveau Lazare (); il suo fu sempre uno sguardo molto disilluso e pessimistico sul futuro dell’umanità, secondo lei implicitamente incapace di gestire il progresso tecnico, o di coniugarlo davvero all’emotività. Purtroppo, non molto si sa della vita privata della Roger, fatta eccezione per il suo matrimonio (nel ) con l’antropologo Eugène Pittard, figura rinomata nell’ambiente ginevrino in quanto fondatore del Museo di Etnografia cittadino, nonché una delle menti dietro la Lega delle Nazioni, fondata nel allo scopo di mantenere la pace nel mondo dopo la Grande Guerra. Quel che è certo è che quest’unione, durata un’intera vita, avrebbe influito molto sull’immaginario di Noëlle – la quale, divenuta assistente del marito, finì per girare il mondo al suo fianco, imparando a conoscere soprattutto i Balcani e l’Oriente, e redigendo vari resoconti di viaggio, tra cui La Route de l’Orient () e En Asie Mineure (). E se le terre lontane visitate dalla Roger hanno fatto da sfondo a diversi suoi romanzi (si veda Princesse de Lune, ), la stessa cosa sarebbe avvenuta con l’evento destinato a fungere da vero e proprio «spartiacque» del primo , ovvero la Grande Guerra. Assecondando il dovere
implicito di ogni cittadina, anche la nostra scrittrice seguì gli immancabili corsi da infermiera, così da assistere i soldati ricoverati a Lione, e rimase profondamente scossa dall’esperienza – poi riflessa nella serie dei Carnets (collezione di testimonianze di guerra da lei raccolte e pubblicate a partire dal , tra cui l’apprezzato Les Carnets d’une infirmière) –, ma anche negli scenari apocalittici di romanzi come Le Nouveau Déluge. Del resto, come detto, la Roger si sarebbe dimostrata autrice quantomeno versatile: oltre ai molti lavori di fiction, avrebbe firmato anche libri per bambini e svariati saggi biografici su figure come Henri Dunant e Madame De Staël. Nel frattempo, fu anche, a più riprese, giornalista e critica d’arte, il tutto senza mai trascurare il suo lavoro di insegnante di letteratura presso le scuole medie femminili – mostrando un’ecletticità che ne fa un caso pressoché unico nel panorama degli autori di nazionalità svizzera: un primato che, peraltro, riveste anche in qualità di unica scrittrice di fantascienza nativa del nostro Paese. Oggi, Noëlle Roger riposa assieme al marito Eugène presso il Cimetière Des Rois di Ginevra; e, sebbene il suo nome non rivesta più la notorietà di un tempo, rimane un esempio di eccellenza – non solo per via di un lascito artistico assolutamente notevole, ma anche per aver costituito esempio perfetto di realizzazione personale e professionale da parte di una donna che, in tempi assai diversi dai nostri, seppe condurre una vita piena e gratificante, al pari di qualsiasi collega maschile.
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CULTURA
«Viviamo un’era non valoriale» Incontri
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A Berlino con Marco Missiroli, autore di Fedeltà (diventato una serie Netflix), ospite dell’Istituto Italiano di Cultura
Stefano Vastano
«È così difficile scrivere che capisco Nadal, il tennista, con tutti quei gesti. Anch’io ho bisogno di rituali per scrivere: indosso scarpe pesanti, dispongo le matite in fila sulla scrivania e faccio tanti altri gesti autistici». È fatto così Marco Missiroli: è un gigante di centimetri con un bella barba e un animo così candido da svelarti i segreti della sua letteratura. «Per rilassarmi ad esempio, confessa, passo un po’ di aspirapolvere per casa». I risultati di tanta «ritualità» sono una letteratura precisa, pagine di profonda umanità come quelle di Fedeltà (Einaudi, ). Il successo letterario – già tradotto in lingue e diventato una serie di Netflix – in cui Missiroli narra per filo e per segno quell’avventura chiamata amore, e la magmatica pasta dei sentimenti nel esimo secolo. Siamo a Milano. I protagonisti sono Carlo, professorino precario (e in crisi) di quella materia chiamata «scrittura creativa». E Sofia, una sua studentessa, con la quale un giorno – nei bagni dell’università – accade qualcosa, ma neanche loro due sanno bene cosa. Un po’ come la storia in cui scivola la moglie di Carlo, Margherita, donna forte, decisa, proprietaria di un’agenzia immobiliare. Ma che soffre di una grave infiammazione inguinale. Che la porta nelle mani di Andrea, giovane fisioterapista, bellissimo quanto oscuro e riservato (ma non tanto). Il quadrato entro cui si dipana la storia piena di desideri e rimorsi di Fedeltà è tutto qui. Saranno i cellulari o l’impatto di internet nelle nostre vite, «ma di fatto la fedeltà, spiega Missiroli, è un valore che oggi ricorda l’unicorno o la mosca bianca. Viviamo un’epoca di rapporti disgregatissimi,
un’era non valoriale». E le storie ambigue di Carlo e di Sofia, di Margherita e Andrea – in cui passioni certamente nascono, ma di che tipo è difficile dire – rivelano, continua Missiroli «l’incertezza della nostra epoca. Il mio è un libro di dubbi, non di corna; un purgatorio intimo, di contrizioni e pentimenti dei protagonisti». Sono le ombre del dubbio, le perplessità che Carlo e Margherita hanno vivendosi le loro storie (sia di fedeltà che tradimento) il motivo del successo del romanzo. Che parte da una storia vera, realmente accaduta alla moglie di Missiroli. «Mia moglie ebbe realmente quell’infiammazione e fu veramente colpita dal giovane fisioterapista, e mi confidò il suo turbamento. Così mi venne l’idea di un racconto del dubbio che aleggia nella coppia, con la domanda terribile: ma avrà consumato o no? Sì, è il dubbio lo spirito del mio romanzo».
«La sfida della letteratura sta nella sua non istantaneità, nel puntare oltre al clic dei messaggini per ricostruire delle storie a lungo raggio» Certo, poi Netflix ne ha fatta una serie in sei puntate. Ma in che rapporto si trova l’immaginario della letteratura con le storie su Netflix & Co? «Per me Fedeltà era un libro non-girabile, risponde Missiroli. Nella serie hanno creato una struttura di grande velocità e godibilità. Mi dispiace però che così ne abbiano reso consumabili i personaggi. In questo senso non sono stati fedeli al romanzo, né per ragioni cinematografiche potevano esserlo».
Qui di fianco, Marco Missiroli (© Mattia Zoppellaro); in basso, fotogramma del trailer di Fedeltà con i due protagonisti Lucrezia Guidone e Michele Riondino. (Youtube)
Quello che invece c’è di più reale, di tangibile nel romanzo è Milano. «Sono arrivato qui nel e per i primi tre anni ho odiato Milano, confessa Missiroli. Oggi però nutro un amore profondissimo per questa città. Alla fine l’unica vera salda architettura di questo romanzo sui dubbi è Milano». Il che è vero sino a un certo punto. Missiroli infatti è nato a Rimini, e quel suo modo così autoironico e aperto di raccontare viene da lì, dalla grande pianura, dal mare, dalla Romagna. Come Sofia che in Fedeltà volta le spalle a Milano, a Carlo, e se ne torna a Rimini. Possiamo ora discutere all’infinito sulle fonti di questo romanzo. Nelle ambiguità dei protagonisti ad esempio quanto è forte la delicata psicologia di Schnitzler? «Sì, conferma l’autore, la traccia di Doppio sogno c’è perché quel testo di Schnitzler si muove fra due binari paralleli. La coppia da un lato, e ciò che noi intenderemmo, al condizionale, della coppia. Come Fedeltà, tutto basato sui condizionali». L’altra linfa del racconto sono i dialoghi così serrati, diretti (e carichi di dubbi) fra Carlo e la moglie, con Andrea e Sofia. Alla fine però il pilastro su cui poggiano tutte le reticenze e
ombre dei più giovani è Anna: la madre di Margherita, una donna che ha passato una vita a cucire vestiti nel suo appartamentino-laboratorio al Giambellino. «Anna, spiega Missiroli, ha le idee chiare perché è alla fine del suo percorso, ed è il faro che illumina gli altri che le si muovono intorno nella nebbia dei sentimenti. Anna è un nome palindromo, abbraccia passato e futuro e quando compare lei la storia si rilassa». Il bello è che anche Anna, come la nevralgia al pube da cui parte il romanzo, è figura reale. «Sì, Anna è ispirata a una sarta che accomodò l’abito della signora Marella Agnelli, facendola salire nel suo appartamentino del Giambellino». Così nel romanzo le generazioni e i loro modi di viversela, la vita, con tutte le passioni, gli errori e tradimenti si intrecciano fra loro. «È questo il motore di Fedeltà, spiega Missiroli, una storia che si chiede quali valori passino fra le generazioni, a quali si resta fedele e quali vengono dimenticati». Margherita e Carlo acquisteranno un bell’appartamento, in parte con i soldi dei genitori. E quel loro garbuglio sentimentale, almeno in parte, si rischiara, «anche grazie a un ricatto economico, dice l’autore, dei genito-
ri». L’eterno incontro/scontro quindi fra passato, presente e futuro. Le forme che cambiano nel modo di gestire la follia dell’amore: il papà di Margherita ad esempio, un arcigno ferroviere, aveva una passione segreta (Anna ne trova le cartoline dell’amante in cantina). Mentre Carlo e Sofia si scambiano messaggini veloci fra una lezione e l’altra. Internet e i cellulari stanno radicalmente modificando le nostre «fedeltà», cambiando forme ad amori e passioni, e inseminando incertezze profonde. Ma non solo. La letteratura infatti continua a esistere, a resistere anzi con giovani autori come Missiroli. Ed è proprio questo il compito degli scrittori nell’era digitale. «La sfida della letteratura sta nella sua non istantaneità, conclude Missiroli, nel puntare oltre al clic dei messaggini per ricostruire delle storie a lungo raggio. Per certi scrittori anche la letteratura deve essere digeribile, la fotografia della nostra epoca. Ma non sono d’accordo: bisogna ricostruire e recuperare anche quegli archetipi che si stanno perdendo. La letteratura è interessante se non è subito consumabile e digeribile». Come le pagine di Fedeltà, che ci intrigano nonostante e forse grazie ai loro dubbi. Annuncio pubblicitario
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CULTURA
La grandezza di Douglas Sirk La Piazza è gremita Cinema/1 ◆ Giusto l’omaggio che il Film Festival di Locarno ha voluto rendere al regista che ha trascorso gli ultimi anni della sua vita a Lugano
Cinema/2
Nicola Mazzi
Nicola Falcinella
Da sx Giona A. Nazzaro, Roberto Turigliatto e Bernard Eisenschitz - i due curatori della retrospettiva. (Stefano Spinelli)
Douglas Sirk fa parte di quei registi popolari che proprio perché troppo di successo vengono snobbati dai critici del proprio tempo e solo negli anni seguenti sono riconosciuti nella loro grandezza. Locarno ha fatto bene a dedicargli la retrospettiva integrale (dopo che già nel vennero presentate sul Verbano, accompagnate dallo stesso regista, alcune sue opere). È il giusto omaggio a un artista anche un po’ nostro, visto che decise di trascorrere gli ultimi anni della sua vita a Lugano ed è sepolto a Castagnola. Come ha ricordato il direttore Giona A. Nazzaro su queste pagine, i giusti riconoscimenti gli furono attribuiti prima da Jean-Luc Godard (con un articolo sui «Cahiers du cinéma» del ) e poi da Rainer Werner Fassbinder che in un articolo del vide in Sirk un padre artistico e un riferimento culturale (erano entrambi tedeschi) fondamentale. Ma Sirk aveva iniziato a girare film già diverso tempo prima e più precisamente negli anni Trenta in Germania per l’UFA (la più importante casa di produzione tedesca) in quella che fu la sua prima fase artistica. All’epoca si
chiamava Detlef Sierck e diresse opere che ebbero un grande successo popolare sia all’interno sia fuori da una Germania già dominata dal nazismo, ma ancora disposta a sopportare un autore di successo come lui, seppur con una moglie ebrea. In pellicole come Le colonne della società, Habanera, La prigioniera di Sidney e La ragazza di Moorhof ci sono le basi del suo cinema che poi perfezionerà nei decenni seguenti. Siamo già nel campo preferito del regista tedesco, quello del melodramma e in particolare nel dramma cantato con la scoperta dell’attrice Zarah Leander, colei che poi divenne la più acclamata star del Terzo Reich. Sono film nei quali la cura delle inquadrature, l’uso delle ombre e delle luci, il montaggio che divide le scene in modo ragionato, l’ambientazione all’aria aperta (in un’epoca nella quale si girava molto all’interno) e la direzione degli attori si fanno sempre più precisi. Negli anni Quaranta, con la sua fuga negli Stati Uniti e il cambio di nome, si misura soprattutto con il noir e vive una transizione necessaria verso il suo periodo più importante e conosciuto – grazie all’arrivo alla Universal
nel – dove si confronta con altri generi come la commedia, il western e l’avventura per arrivare a (ri)scoprire il melodramma. Quando oggi hai la possibilità di rivedere le pellicole di quegli anni ti accorgi di quanta eleganza, raffinatezza e ricercatezza ci fosse in Sirk. A tal proposito è emblematica, in Magnifica Ossessione, la scelta di girare una lunga scena notturna tra i due amanti (Jane Wyman e Rock Hudson) dopo che lei rimane cieca a causa di un incidente; un atto di delicatezza e un modo di adeguarsi al suo andicap. Così come è passata alla storia un’altra scena (resa celebre dal montaggio alternato) di Come le foglie al vento, nella quale un ricco industriale muore mentre, nella stanza vicina, la figlia balla scatenata con la musica a tutto volume. Due piccoli momenti all’interno di una filmografia importante e, come detto, molto popolare dove gli intrighi amorosi, le scene tragiche e quelle d’azione non mancano mai, perché Douglas Sirk è stato un regista che ha sempre pensato al piacere del pubblico prima che alla sua firma e al suo ego autoriale.
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Bullet Train registra il tutto esaurito
La Piazza Grande di Locarno piena di spettatori è sempre un gran colpo d’occhio. Non poteva esserci avvio migliore per una esima edizione del Film Festival all’insegna della ripartenza segnata dal pienone da tutto esaurito per assistere a un film di grande richiamo come Bullet Train di David Leitch. E pazienza se il regista di Atomica bionda (che era meglio di questo), vuole mettere insieme il thriller sul treno, l’azione, il film di yakuza, il western, la commedia e il fumetto con qualche riferimento a Tarantino. Siamo su un ipertecnologico treno giapponese e non per caso si ritrovano vari personaggi con dei conti da regolare. Il cast di grido – Brad Pitt, Sandra Bullock, Michael Shannon e l’inglese Aaron Taylor-Johnson, che in piazza ha ricevuto l’Excellence Award (nella foto di S. Spinelli) – vale il biglietto, come qualche sorpresa a effetto. Tra gli ospiti di prestigio Matt Dillon, attore simbolo di un’epoca che ha ritirato il Lifetime Achievement Award. Stasera in piazza arriva il belga-svizzero Last Dance di Delphine Lehericey, preceduto dal corto Printed Rainbow dell’animatrice indiana Gitanjali Rao, nota per Bombay Rose e insignita del Locarno Kid Award. Il film ticinese Semret di Ca-
terina Mona sarà presentato mercoledì, a seguire Home of the Brave, film concerto del di Laurie Anderson che riceverà il Vision Award. Non eccezionale l’inizio del concorso internazionale, che ha come presidente di giuria il produttore ginevrino Michel Merkt, già premio Rezzonico alcuni anni fa. Il più atteso tra i in lizza è il russo Skazka del grande Aleksander Sokurov, scoperto proprio da Locarno nel . Oggi passano l’italiano Gigi la legge di Alessandro Comodin e il costaricano Tengo sueños eléctricos di Valentina Maurel. Il più interessante dei primi giorni è il portoghese NaçãoValente - Tommy Guns di Carlos Conceição, ambientato nell’Angola del , un anno prima della liberazione. Tra una suora missionaria che non riesce a salvare un uomo ferito e una ragazza locale uccisa a bruciapelo da un soldato portoghese dopo che hanno mangiato insieme e si sono amati, ci si ritrova in mezzo a un plotone di occupanti barricato dietro un muro con una prostituta. Un film notturno, visivamente molto bello, sul non senso della guerra, il non sapere cosa si combatte, i morti che tornano in vita, i crimini che non si possono nascondere. Vuole essere troppe cose, tra film di denuncia sociale e film di dilemmi morali, con un occhio al neorealismo iraniano, l’indiano Ariyippu – Declaration di Mahesh Narayanan. Una coppia lavora in una fabbrica di guanti di lattice quando riemerge un video ricattatorio che ritrae anche la donna: la vita dentro le officine ai tempi del Covid, con le condizioni che diventano ancora più dure. Delude Il pataffio di Francesco Lagi con Lino Musella, Alessandro Gassmann e Valerio Mastandrea dal libro di Luigi Malerba del . Siamo nel Medioevo e un piccolo nobile sposato per interesse prende possesso del nuovo feudo, ma trova miseria: il linguaggio fa pensare a L’armata Brancaleone, ma il film è insistito, non trova mai il tono giusto, incerto tra comico e dramma e non valorizza gli attori.
I soliti dibattiti stancano, ma c’è una novità SmartTV
◆
Tra trasmissioni informative che registrano la disaffezione del pubblico emerge, in positivo, Filorosso su Rai3
Marco Zueblin
La frequentazione passiva dei dibattiti alla TV italiana, in particolare quelli che La manda in scena con allarmante pervicacia, potrebbe pro-
vocare in stomaci fragili qualche improvvido sussulto di troppo; un effetto non collaterale che spiega un po’ la disaffezione del pubblico nei
confronti di questi quotidiani esercizi di «informazione». Senza entrare nel merito dei temi, si osserva come ci si trovi di fronte a una sorta di narrazione ideologica camuffata da dinamica apparentemente equidistante e inclusiva, e questo che si parli di crisi di governo o di Ucraina, o di partiti. Si dà dunque spazio anche a coloro che hanno una visione diversa dal mainstream mediatico, ci mancherebbe altro; ma non solo e non tanto per evitarsi accuse di ostracismo e di faziosità, quanto proprio per esporre questa visione alternativa a una sorta di strisciante ludibrio, con un basso continuo a livello di disapprovazione ma con punte di polemica di conio assai basso. A questo esercizio subdolo presta man forte anche una regìa che puntuale non manca mai di inquadrare disapprovazioni più o meno clamorose da parte di coloro che si fanno coraggiosi alfieri della tesi opposta,
quella mediaticamente prevalente; quindi, se parlano Borgonovo, Scanzi, Grimaldi o Di Battista, ecco spuntare con bella tempestività la faccia dissenziente del solito giornalista o politico, o dell’onnipresente Parenzo (che non fa neppure finta di essere super partes). Un insopportabile controcanto facciale e gestuale che serve a deviare l’attenzione da chi sta parlando, spostandola su una più accessibile e plateale gestualità di segno opposto; per non parlare dell’esercizio istituzionale dell’interruzione, che impedisce o azzoppa la logica articolazione dei ragionamenti, o l’inquadratura sul conduttore che alza la manina annunciando impazienza e la fine del pur infimo tempo di parola concesso, e quindi indicando al pubblico lo scarso interesse di quello che viene detto (la Gruber e la Merlino sono maestre in questo, con Magnani volonteroso ma pallido epigono).
Abbiamo qualche apprensione per Giorgio Zanchini, cui Rai ha affidato Filorosso (nell’immagine la locandina del programma), il nuovo contenitore informativo che sostituisce quello di Bianca Berlinguer, colpevole di un reato divenuto infamante, cioè dar voce rispettosa a opinioni diverse e quindi di fare del giornalismo serio. Zanchini ha iniziato bene, replicando nell’informazione politica la modalità seria, civile e attenta che era la sua in Quante Storie; ma dopo dieci puntate ecco spuntare la tentazione dell’interruzione e del controcanto visuale sull’ospite dissenziente. Speriamo in bene, diamogli fiducia: l’uomo ci pare sufficientemente «verticale» da resistere a questo trionfo dell’arbitrio e del giornalismo da addetti stampa del potere che sta imperversando, nella progressiva indifferenza di un uditorio ormai anestetizzato.
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Settimanale di informazione e cultura
Anno LXXXV 8 agosto 2022
azione – Cooperativa Migros Ticino
CULTURA
Critico impressionista In memoriam
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Firma contesa dai maggiori quotidiani italiani, autore di fortunate biografie, Pietro Citati è morto il 28 luglio scorso
Chi lo considera un genio, chi lo considera poco più che un mistificatore della letteratura che sulla letteratura ha costruito la sua popolarità. Un suo aspro oppositore, Alfonso Berardinelli, ha scritto che Pietro Citati «ha trasformato la scrittura critica in narrazioni riassuntive di dimensioni abnormi, che hanno senza dubbio il vantaggio della leggibilità, ma usurpano il nome degli autori». Gli autori su cui Citati ha scritto ampie e fortunate «biografie romanzate» sono tutti giganti: Mansfield, Leopardi, Manzoni, Tolstoj, Kafka, Proust, Scott Fitzgerald… Non si è tirato indietro su nulla, Citati, spingendosi verso ambiziose panoramiche di vasto raggio (la monografia su Alessandro Magno, le escursioni sull’ebraismo e sull’Islam, il viaggio dentro l’Odissea). E Berardinelli aveva ragione, ma solo parzialmente. Perché se è vero che le numerose riscritture mimetiche o camaleontiche di Citati hanno finito per uniformare le opere e gli stili degli scrittori trattati a un solo stile, il suo, evasivo e ispirato, creando morbidi feuilleton, va detto che gli si devono anche prove critiche folgoranti che risalgono soprattutto agli anni tra i e i . Quando si parla di critica, a proposito di Citati, bisogna però fare dei distinguo, tenendo presente che Citati è stato non un critico analitico, ma un critico impressionista, pur essendo partito da studi molto severi.
Figlio di un padre di famiglia nobile siculo-parmigiana e di una madre ligure-piemontese, Citati nasce a Firenze nel , a Torino frequenta la scuola dei gesuiti e poi il celebre liceo classico Massimo d’Azeglio, quello in cui si sono formati Pavese, Einaudi e Ginzburg. Amico di Calvino e del letterato-filosofo e storico delle religioni Elémire Zolla, il giovane Citati si laurea in lettere alla Normale di Pisa, dove conosce (e adora) il filologo massimo Gianfranco Contini, il quale a sua volta lo considera uno studioso di grandi promesse. Ma dopo una formazione di carattere linguistico con soggiorni in Germania (il grande maestro tedesco Gerhard Rohlfs lo vorrebbe traduttore della sua Grammatica storica), rinuncia alla carriera universitaria e si trasferisce a Roma, dove si immerge nel mondo letterario. Conosce bene Gadda, Bassani, Manganelli, il poeta Attilio Bertolucci, collabora con l’editore Garzanti, dove tra il e il costruisce la Storia della letteratura italiana di Cecchi e Sapegno, accudisce Gadda quasi come un padre pur essendo molto più giovane di lui, cura il Pasticciaccio, dirige collane, scrive risvolti, corregge traduzioni, edita i libri di Beppe Fenoglio. Per una vita è amico di Carlo Fruttero, che sarà, come Calvino, suo vicino di casa a Castiglione della Pescaia, il «buen retiro» in cui Citati è morto il luglio scorso.
Keystone
Paolo Di Stefano
Citati acquisisce fama e autorità scrivendo per il «Giorno» recensioni e stroncature sulla letteratura in corso, per poi passare al «Corriere della Sera» e dal alla «Repubblica», facendo infine la spola tra i due maggiori quotidiani italiani, sempre conteso e strapagato (pur replicando gli stessi articoli a distanza di anni) specie da quando le sue biografie raccolgono consensi popolari anche in traduzione. Nel contrasto ideale tra Sainte-Beuve e Proust sull’opportunità di far entrare la vita dell’autore nell’interpretazione dell’opera, Citati si colloca senza dubbi contro il suo
Marcel: per lui l’esistenza è parte integrante del testo, al punto da rendere superflui (e anzi nocivi) per la lettura gli strumenti tecnici e i metodi accademici. Con questo spirito affronta grandi e piccoli, classici e moderni, poeti e prosatori, un repertorio sterminato di italiani e stranieri, fino a Blixen, Walser, Cioran, Borges, Caproni, Fruttero e Lucentini, Kundera. Si appassiona ad autori esordienti come Paola Capriolo, Marta Morazzoni, Marco Lodoli, Alessandro Baricco. Stronca con ferocia l’Umberto Eco romanziere, definendolo un «gran buffone».
Nel , in polemica con Natalia Ginzburg, Citati promuoveva un’idea del critico come figura ancillare che, a differenza dello scrittore, «non ha alcuna verità da rivelare al mondo, nessuna immagine di sé da confidare al lettore». Ma se da una parte Citati immagina la funzione critica in chiave di modesto servizio rispetto all’opera letteraria, dall’altra nei fatti non esita a trascendere l’autore, a impossessarsene fino a farlo parlare attraverso la propria voce in una sorta di parafrasi incantata e incantatoria, un’effusione spesso sublime. E questa tendenza si rivela anche nelle più acute letture di Hindermann, di Testori, di Caproni, in cui Citati fa funzionare al meglio l’orecchio e l’intuizione empatica più che gli strumenti stilistici o linguistici. Partendo da questi illuminanti esercizi di comprensione e di diffusione della letteratura contemporanea, Citati si è proposto sempre più come maître à penser e moralista, non di rado tingendo i suoi interventi di nostalgia e di risentimento per il tempo presente, ad esempio tessendo l’elogio del pomodoro (e del suo sapore di una volta) e del punto e virgola ormai in declino. Fatto sta che con la sua autorevolezza, Citati ha rappresentato per decenni il lettore modello e gran cerimoniere della grande letteratura, quello che dagli scrittori estrae una verità, anzi la Verità, altrimenti inattingibile. Annuncio pubblicitario
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CULTURA / RUBRICHE ●
In fin della fiera
di Bruno Gambarotta
Una volpe al casinò ◆
La bella estate calda, l’estate vagabonda. Un po’ qui un po’ là, secondo le occasioni, gli inviti, le proposte, seguendo l’idea che una città con il nome di un santo debba ispirare pensieri nobili, ricchi di spiritualità. Come Saint Vincent in Valle d’Aosta, dove sono andato per prendere parte a uno spettacolo di arte varia, cantanti, ballerini, equilibristi, maghi e monologhisti. Titolo dello spettacolo, Qui è tutto un casinò. Per la versione televisiva serve una sigla di testa. La giriamo nei locali del Casinò, la mattina, per non disturbare la normale attività. Ai nostri occhi si offre una visione inedita di ambienti solitamente affollati, notturni, nei quali circola un’atmosfera eccitata per il gioco e per l’azzardo. Ora sono illuminati da sciabolate di luce solare, vediamo le slot machines immobili e silenziose, mentre le donne addette alle pulizie svuotano i portacenere, spolverano, passano lo straccio sui
pavimenti, bagnano le piante (anche quelle di plastica), lucidano gli ottoni. Per le riprese hanno dato a ciascuno di noi una ciotola piena di gettoni, avvertendoci che le eventuali vincite non sarebbero state considerate valide. La speranza segreta è di non vincere, per non doversi portare dietro il rammarico dell’occasione perduta. Una delle vallette al primo tentativo centra il risultato, la macchina vomita una valanga di gettoni; lei vorrebbe rigiocarli tutti e a stento riusciamo a tirarla via di lì, a riprova del fatto che il gioco d’azzardo ti prende persino quando è finto. Nel pomeriggio di quello stesso giorno l’ho incontrata. Seduto all’ombra nel giardino dell’albergo stavo ripassando il mio monologo, quando mi sono accorto che a un metro di distanza si era materializzata una bellissima volpe, dalla gran coda e dal pelo lustro e marrone. All’inizio trattenevo il fiato per il
timore di farla fuggire ma subito dopo ho realizzato che aveva preso confidenza. Non avrei mai immaginato che la voce di una volpe fosse così stridula. «Non ti ricordi più di me?», ha esordito. «Noi due siamo stati grandi amici, quando ero ancora in vita». «Come sarebbe a dire, ancora in vita?», ho avuto il coraggio di chiedere. «Dopo morto sono stato reincarnato in una volpe e ancora devo capire il perché». «Aiutami, dammi qualche elemento per capire chi eri». Mi sono corretto: «Per capire chi sei». «Non importa. Se non ci arrivi da solo significa che ho meritato il tuo oblio». Ho mormorato: «Scusami, a volte dimentico persino il nome dei miei nipoti.» «Anche se non ti ricordi più di me, un favore me lo puoi fare». «Se posso, volentieri». «Gioca per me stasera questi tre numeri, scrivili su un foglio, tre, ventitré e ventotto. Io non ho fatto in tempo a giocarli e pur-
troppo le volpi non le fanno entrare al casinò. Giocali finché non escono, ti porteranno fortuna, vedrai». Così come si era materializzata, la volpe è scomparsa e io ho trascorso il resto del pomeriggio ad almanaccare su quale dei miei amici già transitati nell’aldilà potesse essere stato reincarnato in una volpe. Nessuno di loro, che io sapessi, aveva mai manifestato interesse per il gioco d’azzardo e francamente si tratta di una di quelle passioni, o vizi, che è impossibile tenere a lungo celate. Alla sera, al termine dello spettacolo, ho indossato il vestito scuro con camicia e cravatta e sono stato ammesso alle sale con i tavoli verdi della roulette. Ho cambiato euro in fiches giurando a me stesso che quello sarebbe stato il tetto massimo delle mie perdite. Mi sono avvicinato al tavolo che sembrava meno affollato degli altri con l’insicurezza di chi compie quel gesto per la prima volta, le fiches in
una mano e nell’altra il foglietto con i tre numeri, , , . Il croupier mi ha incoraggiato con un gran sorriso e poi, notando il foglietto, mi ha domandato: «È stata la volpe a darle quei numeri, vero?». Ero il bambino sorpreso con le mani dentro il vasetto della marmellata. «Come fa a saperlo?» ho domandato a mia volta. «Ormai la conosciamo bene, racconta sempre la stessa storia. E chiede sempre di giocare gli stessi numeri. Lei è libero di giocarli se crede, ma deve sapere che la volpe fa così con tutti quelli che incontra nel giardino dell’albergo». L’ho ringraziato e mi sono avviato al banco per ricambiare le fiches e mettere in salvo i miei euro. Qualcuno doveva aver prestato orecchio alla nostra conversazione sbirciando anche il foglietto che tenevo in mano perché, mentre ero già sulla soglia, ho sentito gridare: «Tre! En plein!».
●
Voti d’aria
di Paolo Di Stefano
Elogio della «Settimana enigmistica» ◆
Siamo angosciati dalla frenesia di stare al passo coi tempi. Tutto congiura contro la lentezza e l’immobilità. Il tempo soffia alle nostre orecchie senza tregua: anche in ferie ci insegue l’ultima notizia sulla crisi di governo, la visita di Nancy Pelosi a Taiwan diventa un momento chiave per l’umanità, la guerra in Ucraina non accenna a finire, il vaiolo delle scimmie ci minaccia, il Covid non demorde. Comincio ad amare la «Settimana enigmistica» () più di ogni altro giornale, perché ignora, o quasi, l’attualità. Un’oasi di pace. Paolo Conte, in una delle canzoni più belle del secolo scorso, Sotto le stelle del jazz (), parlava del «tempo fatto di attimi e settimane enigmistiche» come di un tempo fuori dal tempo. Ci sarà una ragione per cui in spiaggia non vedo altro che «Settimane enigmistiche»: sono scomparsi i quotidiani, rimane qualche libro e qualche
rotocalco, ma soprattutto trionfano le parole crociate a schema libero, le crittografate, le concentriche, gli indovinelli, le sciarade e i rebus. Abbiamo bisogno come il pane di tempi morti, di ore impermeabili all’ansia dell’attualità, tempi fermi e silenziosi in cui si possa rispondere con tranquillità a domande non evasive. Come nella fortunata rubrica «Vero o falso?». L’elefante asiatico ha le orecchie più grandi di quello africano. Falso. E poi: quali oggetti di cinque caselle ornano l’altare del pope? Ovvio, le icone. Chi è quell’imperatore che comincia per A, che ha dieci lettere e che succedette a Teodorico? Nessun dubbio: Atalarico. Domande con risposte inattaccabili, non opinioni su cui accapigliarsi. «La Settimana enigmistica» si sottrae olimpicamente allo spirito del nostro tempo, cioè all’opinionismo e alla commentite trionfanti, è il re-
A video spento
gno incontestabile dei fatti: il fiume con due Dore? Non è il Tevere, non è il Danubio e neanche il Ticino, è il Po, c’è poco da discutere. orizzontale, caselle: «Fu ritratto da grandi artisti quali Michelangelo, Bosch e Rubens». La soluzione è una soltanto: Giornodelgiudizio. Ecco una valida ipotesi sul perché la «Settimana enigmistica» è ancora, dopo novant’anni (è nata nel ), una delle testate più vendute in edicola: non si regge sulle opinioni e sui commenti, ma sui dati di fatto incontestabili. E dio sa quanto abbiamo bisogno di tornare ai fatti sui quali è vietato discutere: i soli capaci di regalarci qualche baluginio di tranquillità, di equilibrio e stabilità. Per un attimo ci fanno sentire sicuri del passato e del presente, visto che nessuno, neanche il più brillante polemista, potrà mai mettere in dubbio che Kafka ha un nome di battesimo di cinque lettere (Franz) e che
le consonanti di Esiodo sono due (s e d). Il copricapo del pontefice? Nel mondo solido dei cruciverba non esistono alternative alla tiara (se è di cinque lettere) o al camauro (se è di sette lettere). Nel mondo liquido di tutti i giorni, un opinionista qualunque può sostenere in un qualunque talk show televisivo di aver visto papa Francesco indossare il Borsalino o la coppola siciliana. Tutto è opinione su cui imbastire avvincenti dibattiti, tranne nel mondo inconfutabile della «Settimana enigmistica», dove il dibattito non ha diritto di cittadinanza. La «Settimana enigmistica» è l’ultimo baluardo della cultura moderna, del bel tempo tutto cose e risposte tassative. L’ideale per le ferie, qualche sorriso senza pretese con le barzellette, soprattutto il silenzio e la concentrazione dopo un anno chiassoso di talk show dove il Covid era un punto di vista, c’era e non c’era a secon-
da di chi urlava di più; dove l’invasione dell’Ucraina era per alcuni la terza guerra mondiale per altri solo un effetto televisivo; dove Putin poteva essere il male assoluto e il benefattore dell’umanità nel giro di due minuti. Le parole crociate incarnano invece la combinazione perfetta che abbiamo perduto, sono l’incrocio previsto, l’appuntamento finalmente rispettato, il calcolo che torna sempre, i puntini che unendosi formano una figura riconoscibile. Il rebus è l’enigma che si risolve, non un parere su una questione eternamente opinabile. Perché l’enigmistica non è l’enigma senza soluzione, è l’enigma giocoso che persino la nostra (modesta) cultura generale può risolvere con precisione millimetrica. E se arriverete a certi problemini proposti dalla mitica rubrica «Se non lo trovate… ve lo dico io», vi stupirete nel constatare che persino la matematica non è un’opinione.
●
di Aldo Grasso
Le vie della pubblicità dai giornali al web ◆
La pubblicità su Internet è fondamentale per la sopravvivenza dei vari siti web. Come accade in televisione. Come accade nei giornali. Va detto però che su alcuni portali gli annunci sono davvero invasivi, specie quelli che si aprono a popup, finestre che quasi impediscono la lettura. Nell’attesa che si trovino soluzioni più soddisfacenti ho fatto un salto nell’Archivio storico del «Corriere della sera» per capire come funzionava la pubblicità alle prime uscite del giornale, negli ultimi decenni del secolo XIX. La prima impressione è quanto fossero timide le inserzioni pubblicitarie. Tutto è affidato al testo, alla suggestione descrittiva, le immagini quasi non esistono. Si reclamizzano pillole di Creosotina contro le tossi e i catarri, pillole di Lichenina contro la tisi, sciroppi depurativi, «rimedi infallibili per la completa guarigione dei calli», il fluido Pagliano contro la sciatica, la gotta,
la renella e altro ancora. Ci sono anche spazi incorniciati che magnificano panni di loden («preservano dai dolori reumatici»), la bontà superiore di mantelli impermeabili, di macchine da scrivere, di stelle filanti, di letti di ferro e di cucine economiche, le pubblicazioni di Ulrico Hoepli Editore-Libraio in Milano e, ovviamente, il già classico Fernet-Branca. Come mai tanti annunci di carattere medico? Il fondatore della prima importante agenzia per la raccolta della pubblicità, Attilio Manzoni, era un importatore e distributore di medicinali, il prodotto maggiormente reclamizzato sui quotidiani nei primi decenni unitari. A Manzoni si deve la felice intuizione di prendere l’appalto della pubblicità dei medicinali da lui commercializzati. Il passo successivo fu estendere l’attività a tutte le inserzioni pubblicitarie sulle pagine dei giornali.
Pubblicità o, alla francese, réclame? Per carità! In un fondo del settembre , a firma del poeta Francesco Pastonchi, il «Corriere» si appella al purismo: «Di questo stesso barbaro réclame io propongo dunque a tutti gli italiani intelligenti e specie alla “Dante Alighieri”, la violenta cacciata dalla nostra lingua, come del più terribile vocabolo che ci abbia mai afflitto». Il vocabolo sarà anche barbarico, ma la sostanza tiene in piedi il giornale. Nel numero del febbraio esce un articolo che è una sorta di illustrazione al pubblico di cosa fossero gli avvisi economici e dei vantaggi che il singolo cittadino poteva ricavare da essi: «La ragione per cui in certi giornali stranieri l’uso degli avvisi economici è così diffuso sta tutta nella consuetudine del pubblico». Si fa l’esempio del mercato degli affitti, constatando che in Italia chi deve affittare un appartamento appende un cartello «e aspetta alla
grazia di Dio che fra i passanti qualcuno si fermi a leggere», mentre chi cerca casa perde giornate a girare per le vie. All’estero si pubblica un annuncio e subito si ha risposta. «Avrà speso poche lire ma avrà risparmiato del gran tempo… Perché bisogna persuadersi che, in fondo, il denaro impiegato in un avviso economico non rappresenta una spesa ma un impiego di capitale. Piccolo capitale che può dare spesso frutti insperati». Con il passare dei decenni, con l’avvento del cosiddetto «boom economico», la domanda di spazi pubblicitari si fa sempre più pressante. Basta sfogliare le inserzioni degli ultimi decenni del «Corriere» per accorgersi che dalla pubblicità passa quel processo fondamentale per comprendere i mutamenti sociali che va sotto il nome di «socializzazione anticipatoria», e che consiste nell’identificazione del lettore con modelli, identità collettive che non ri-
entrano nella sfera diretta di esperienza del soggetto, ma con le quali questi viene a contatto attraverso i media: la pubblicità, appunto, come stile di vita. Da sempre, la pubblicità raccoglie spunti, idee, immaginari diffusi e contribuisce a rafforzarli, a farli circolare nel contesto sociale e culturale. È in questo senso che anche la pubblicità di un giornale ha giocato e gioca un ruolo centrale nel cogliere e raffigurare certi tratti del cambiamento sociale. Nel momento in cui si afferma la soggettività di massa, il consumismo inteso non più come strumento egualitario ma come contrassegno delle identità e dei valori, la pubblicità mette in scena nella maniera più esplicita la fantasmagoria dei desideri e dei sogni diffusi di qualunque Paese. Verrà un giorno in cui, qualche ricercatore leggerà l’attuale pubblicità su Internet con lo stesso stupore con cui ho sfogliato i primi numeri del «Corriere della sera»?
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Novità
3.90 Migros Ticino
Torcinelle Da Emilio 500 g, in vendita nelle maggiori filiali
23% 5.30 invece di 6.90
Pesto Agnesi alla genovese o rosso, per es. alla genovese, 2 x 185 g
Offerte valide solo dal 9.8 al 15.8.2022, fino a esaurimento dello stock.
Formaggi, latticini e uova
Classici per la colazione e delizie da gustare fuori casa
21% 1.60 invece di 2.05
20% 1.55 invece di 1.95
15% Le Gruyère piccante, AOP
Tutti i tipi di crème fraîche (beleaf escluso), per es. Valflora al naturale, 200 g, 2.25 invece di 2.70
per 100 g, prodotto confezionato
Emmentaler surchoix ca. 250 g, per 100 g, prodotto confezionato
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Canaria Caseificio per 100 g, confezionato
invece di 2.95
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Formaggini freschi per 100 g
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Bio, pratic h adatt e pe r il p e , ic nic
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Migros Ticino
Grana Padano grattugiato 3 x 120 g
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Baer Camembert Suisse Crémeux 300 g
Hit 6.50
Uova per picnic svizzere bio da allevamento all'aperto con Mini-Herbamare, 8 x 53 g+
Dolce e salato
Bontà da sgranocchiare a partire da 2 pezzi
25%
–.50 di riduzione
Chips e Graneo Zweifel
a partire da 2 pezzi
disponibili in diverse varietà, in conf. XXL Big Pack, per es. Paprika, 380 g, 5.80 invece di 7.75
20%
Tutti i prodotti da forno per l'aperitivo Roberto e Gran Pavesi per es. Crocchini al rosmarino Roberto, 250 g, 2.30 invece di 2.80
Tutti i tipi di Caffè Latte Emmi per es. Macchiato, 230 ml, 1.60 invece di 1.95
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22% 2.95 invece di 3.80
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33% Tavolette di cioccolato Lindt extra al latte o al latte con nocciole, per es. extra, 3 x 100 g
Blévita in monoporzioni sesamo, timo e sale marino o Gruyère, AOP, per es. sesamo, 3 x 228 g, 6.70 invece di 10.05
Yogurt Passion disponibili in diverse varietà, per es. arancia sanguigna, 4 x 180 g conf. da 30
g e tale A lt e rnativ a v e aturale n allo yog urt al he ro c se nza zuc
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Branches Bicolor o Dark Frey per es. Bicolor, 30 pezzi, 810 g
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Branches Eimalzin 30 x 25 g
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a partire da 2 pezzi
–.60
Novità
2.95 Migros Ticino
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Vegurt di soia al naturale Alpro vegano, senza zucchero, 500 g
Tutti i biscotti Tradition per es. Petits Cœurs al limone, 200 g, 2.80 invece di 3.40
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Gelato in coppette monoporzione surgelato, Ice Coffee, Vacherin o Banana Split, per es. Ice Coffee, 4 x 165 ml
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Scorta
Per dormiglioni e per chi ha nostalgia delle vacanze
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a partire da 2 pezzi
30% Caffè Starbucks istantaneo, in chicchi e capsule Dolce Gusto® per es. Pike Place Roast in chicchi, 450 g, 7.– invece di 9.95, in vendita nelle maggiori filiali
30% Caffè La Semeuse Mocca
Tutti i cereali e i semi per la colazione bio
in chicchi o macinato, per es. in chicchi, Fairtrade, 2 x 500 g, 18.– invece di 25.90
(prodotti Alnatura esclusi), per es. fiocchi d'avena integrali fini, 500 g, –.95 invece di 1.20
Piatt i a base di noodle pre parati in un b amanti de lla cu ale no pe r g li cina asiatica
Voglia di chicken satay, inv olt ini primav era o Dim Sum?
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20% Chicken Satay, Vegetable Spring Rolls o Dim Sum Sea Treasure Anna's Best per es. Chicken Satay, 2 x 400 g, 12.– invece di 15.–
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a partire da 2 pezzi
20%
–.50 di riduzione
Minestre di noodles Nissin
Tutte le noci e la frutta secca bio
disponibili in diverse varietà e in confezioni multiple, per es. Soba Classic, 3 x 109 g, 4.55 invece di 5.70
(prodotti Alnatura e Demeter esclusi), per es. gherigli di noce, 100 g, 2.80 invece di 3.30
30%
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Tutti le tortine e gli strudel M-Classic
Pizze M-Classic
prodotti surgelati, per es. tortine al formaggio, 4 pezzi, 280 g, 1.85 invece di 2.70
surgelate, Margherita o Toscana, in confezioni speciali, per es. Margherita, 3 pezzi, 825 g, 5.60 invece di 7.50
Bevande Fatti consegnare le scorte migros.ch
Per una bella rinfrescata conf. da 8
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Classic o Zero, 8 x 500 ml, per es. Classic
40% Tortelloni Anna's Best
Acqua minerale Valais
ricotta e spinaci o manzo, per es. ricotta e spinaci, 3 x 300 g
(bottiglie in vetro escluse), per es. senza anidride carbonica, 6 x 1,5 l, 3.70 invece di 6.20
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20x
Novità
Novità
1.95
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3.20
Coca-Cola
Risotto ai funghi porcini Da Emilio 250 g, in vendita nelle maggiori filiali
Tutto l'assortimento Prego! per es. Zero, 6 x 1,5 l, 6.90 invece di 11.50
Valais Botanical lampone o albicocca, 750 ml o 6 x 750 ml, per es. lampone, 750 ml
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50% 3.60 invece di 7.40
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Aproz Classic, Cristal o Medium, 12 x 500 ml, per es. Classic
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20%
Tutti i tipi di olio e aceto bio
Succhi di frutta Sarasay, Fairtrade
(olio di girasole escluso), per es. olio d'oliva greco, 500 ml, 5.65 invece di 7.10
disponibili in diverse varietà, 1 l o 6 x 1 l, per es. arancia, 1 l, 2.20 invece di 2.80
23% 5.95 invece di 7.80
Sanbittèr San Pellegrino 10 x 100 ml
Offerte valide solo dal 9.8 al 15.8.2022, fino a esaurimento dello stock.
Bellezza e cura del corpo
Per la pelle, i capelli e centinaia di lacrime La spesa facile migros.ch
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Fazzoletti e salviettine cosmetiche Kleenex
Fazzoletti Tempo, FSC®
in confezioni multiple o speciali, per es. Ultra Soft in scatola quadrata, 3 x 48 pezzi, 5.40 invece di 6.75
in confezioni multiple o speciali, per es. Classic, 30 x 10 pezzi, 5.90 invece di 7.40
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Fazzoletti di carta Linsoft, FSC® in conf. speciale, 42 x 10 pezzi
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30% Tutto l'assortimento Covergirl per es. Outlast All-Day Lip Color 542, il pezzo, 12.55 invece di 17.90
Salviettine cosmetiche Linsoft in scatola quadrata, FSC® 3 x 90 pezzi
Abbigliamento e accessori
Comodi basics
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25% 5.75 invece di 7.70
20% Tutti gli shampoo o i balsami Elseve
Tutto l'assortimento di reggiseni, biancheria intima e per la notte da donna
per es. shampoo Color-Vive, 2 x 250 ml
per es. slip midi bio bianchi, tg. M, il pezzo, 7.95 invece di 9.95
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Shampoo o balsamo Fructis in conf. multiple, per es. shampoo Cucumber Fresh, 3 x 250 ml, 7.45 invece di 10.65
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Hit Slip mini da donna, bio disponibili in nero o bianco, taglie S-XL
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per es. shampoo al miele, 2 x 300 ml
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Calze da donna bio disponibili in nero, numeri 35-38 o 39-42
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Boxer aderenti da uomo, bio disponibili in nero, blu marino o grigio, taglie S–XL
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LIFEHACK I sacchi per rifiuti sono perfetti per traslocare o riporre i vestiti. In questo modo si possono trasportare diverse camicie e giacche direttamente sulla gruccia. Infilare i vestiti da sotto e chiudere sopra all'altezza della gruccia. Per un inizio ben organizzato e ordinato di fine estate.
Set di 2 pezzi
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20% Tower Country Rotho
Contenitori portaoggetti Rotho
il pezzo
disponibili in diverse misure, per es. A4, 15.90 invece di 19.90
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Cleverbag Herkules 35 l, 5 x 20 pezzi
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Novità Deodorante per ambienti Migros Fresh disponibile in varie fragranze, per es. Wood, 2 x 100 ml
Sensations e Soups Felix disponibili in diverse varietà, per es. Soup con carne, 6 x 48 g, 3.10
Fiori e giardino
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Oxi Booster Total Color o White, in conf. speciale, per es. Color, 1,5 kg
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Hit Bicchieri Astro Royal Leerdam 25 cl, 6 pezzi
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Bicchieri Starla Royal Leerdam 36 cl, 6 pezzi
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Spatola per impasti Cucina & Tavola disponibile in grigio o verde, il pezzo
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Controller wireless Sony PS5 DualSense™ White Con feedback aptico, grilletti dinamici e adattivi, microfono integrato e presa per cuffie, il pezzo
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Tutto per la merenda di metà mattina 4.10
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imbattibili del
weekend
Spicchi di mango Sun Queen 200 g
Gallette al granoturco Lilibiggs
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Hamburger M-Classic prodotto surgelato, in confezione speciale, 12 pezzi, 1,08 kg, offerta valida dall’11.8 al 14.8.2022
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speziate o al naturale, per es. Optigal speziate, Svizzera, al kg, 9.60 invece di 16.–, offerta valida dall’11.8 al 14.8.2022, in self-service
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Blévita mais - chia 228 g
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Mozzarella Galbani 4 x 150 g, offerta valida dall'11.8 al 14.8.2022