Cooperativa Migros Ticino
Società e Territorio Aumenta il consumo di video porno da parte dei giovanissimi. Intervista a Elena Martellozzo
Ambiente e Benessere Al Palacongressi di Lugano, il 20 settembre, si approfondirà la conoscenza dell’artrosi alla colonna cervicale, della quale ci parla il reumatologo Mauro Lucini
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXIV 23 agosto 2021
Azione 34 Politica e economia Canale di Suez: storia di una opera che ha cambiato la storia recente del mondo
cultura e Spettacoli Centoventi opere del Rinascimento in mostra al Castello Sforzesco di Milano
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di Caracciolo, Marino, Rampini pagine 25-27-29
Keystone
La rivincita dei Talebani
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Il buco nero del Medio Oriente di Peter Schiesser La guerra più lunga e più inutile combattuta dagli Stati Uniti si è chiusa in modo ignobile e caotico, lasciando un paese a pezzi, impaurito, terreno fertile per una guerra civile e per forze islamiste radicali. Inutili sono stati gli 88 miliardi di dollari spesi in 20 anni per formare un esercito che potesse avere ragione degli irriducibili Talebani (300mila uomini contro 75mila): in 10 giorni hanno conquistato tutto il paese. Kabul è caduta senza colpo ferire, l’esercito si è dissolto, i soldati hanno mollato armi e uniformi, il presidente Ashraf Ghani è scappato all’estero. I Talebani hanno tranquillamente preso possesso del palazzo presidenziale (foto sopra). E adesso che cosa succederà? Le scene drammatiche di migliaia di persone che cercano scampo invadendo l’aeroporto mostrano il panico che si è impossessato di chi teme una riedizione del regime brutale e oscurantista dei Talebani fra il 1996 e il 2001. Ci si può fidare delle dichiarazioni di pace fatte dai loro leader, dell’ottimismo di chi sostiene che i Talebani oggi sono diversi? Prime notizie di violenze nelle città occupate fanno temere il contrario. Pagheranno un
alto prezzo coloro che hanno collaborato con i governi precedenti e con americani ed europei, le donne e le bambine che si rivedono di nuovo segregate in casa, senza più poter andare a scuola. Il fragile sogno di poter vivere una vita in libertà (almeno a Kabul) si è infranto. Il presidente americano Joe Biden viene criticato per non aver saputo pianificare un ritiro più ordinato, per aver lasciato l’Afghanistan in pasto ai Talebani, ma in realtà è stato semplicemente realista: che senso aveva restare altri anni o decenni in un’eterna guerra, senza poter imporre una vera pace, in un paese in cui gli aiuti, civili e militari, hanno soprattutto favorito governi corrotti? Se caos c’è stato è perché l’esercito afgano si è rifiutato di combattere – e perché avrebbero dovuto, quei poveri soldati privi di paga, armi, equipaggiamenti decenti, visto che il denaro veniva sistematicamente intascato dalle alte sfere? Tuttavia, la fuga degli americani dall’Afghanistan si trasforma ora in un gigantesco successo propagandistico per tutti gli islamisti radicali: la vittoria dei Talebani potrà ispirare tanti nemici dell’America a riprendere la lotta. Gli analisti americani non sono concordi, ma quelli più pessimisti vedono un ritorno di Al Qaeda e di altri gruppi terroristici in Afghanistan nei prossimi mesi
e anni. Come reagiranno gli Stati Uniti se da quel paese rinascesse una seria minaccia terroristica, con un altro 11 settembre? Torneranno a invadere l’Afghanistan? Inoltre, quale credibilità militare avranno gli americani sullo scacchiere geopolitico mondiale dopo questa guerra perduta? Abbiamo visto il disastro della guerra in Iraq, sulle cui ceneri ardenti nacque il Califfato Islamico di al Baghdadi: dovremo ancora capire quali conseguenze avrà la presa del potere dei Talebani in Afghanistan. Non sarà solo una tragedia per gli afgani, potrebbe essere un nuovo fattore di destabilizzazione mondiale e per l’intera regione (la Russia al momento gode della sconfitta americana, ma al suo interno e ai suoi confini le popolazioni musulmane potrebbero ribollire). Nell’Afghanistan si sta formando un’opposizione armata, che ancora una volta pare concentrarsi nella valle del Panshir, dove il comandante Massud resistette a russi e Talebani fino a quando venne ucciso il 9 settembre del 2001: suo figlio Ahmed intende proporsi come il nuovo antagonista dei Talebani. Di certo la storia non finisce qui. Ma per ora i vincitori sono i Talebani e il Pakistan (il perché lo spiega Francesca Marino a pagina 27).
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 23 agosto 2021 • N. 34
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Attualità Migros
Ladies Run Ticino in edizione serale
Una stagione da record Turismo Grandi
numeri al Camping Monte Generoso
Podismo La manifestazione si terrà a Lugano sabato 11 settembre 2021,
sono aperte le iscrizioni
e per tutti i livelli di allenamento. Percorre tutto il lungolago di Lugano fino a Paradiso per poi rientrare in centro città passando dal Parco Ciani. L’arrivo è previsto in Piazza Riforma. Quello di 10 km prevede due giri ed è pensato per le più allenate oppure per coloro che vogliono mettersi alla prova. L’iscrizione include un ricco pacco gara con tanto di t-shirt rosa, pettorale con nome, rilevamento del tempo, rifornimenti, servizio sanitario e molto altro. Inoltre, novità 2021, è pure inclusa una carta giornaliera Arcobaleno (2a classe, tutte le zone, valida il giorno dell’evento) inserita nel pettorale. Il villaggio e la zona rosa, per questioni legate alle misure di contrasto al «covid», sarannò ridimensionati, saranno comunque presenti espositori e un warm up prima di ogni partenza.
concorso: in palio 3 iscrizioni
Tutto è pronto per l’edizione 2021 di Ladies Run Ticino, la corsa dedicata esclusivamente alle donne. La grande novità di quest’anno è la modifica degli orari di partenza, l’evento si terrà infatti in versione serale con la prima partenza alle ore 17.15 (percorso 10 km) e la seconda alle ore 18.45 (percorso 5 km).
Revoca scrutinio Gentili cooperatrici, egregi cooperatori, in riferimento all’appello apparso nel numero 28 di «AZIONE» del 12 luglio 2021 concernente l’elezione suppletiva del/la rappresentante della Cooperativa Migros Ticino in seno al Consiglio di amministrazione della Federazione delle cooperative Migros per il restante periodo legislativo (dal 1° dicembre 2021 al 30 giugno 2024), vi informiamo che l’Ufficio elettorale non ha ricevuto proposte da parte dei soci. Conformemente all’articolo 38 dello Statuto, le elezioni hanno dunque avuto luogo tacitamente e lo scrutinio annunciato è stato revocato. Rinunciando a presentare proposte elettorali, i soci di Migros Ticino hanno lasciato al Consiglio di cooperativa e al Consiglio di amministrazione il compito di selezionare il candidato. Ringraziamo per questa testimonianza di fiducia. Il nome della persona eletta sarà pubblicato nel numero 43 di «AZIONE» del 25 ottobre 2021. Sant’Antonino, 23 agosto 2021 Cooperativa Migros Ticino Il consiglio di amministrazione
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Romina Borla, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Le iscrizioni sono possibili online tramite il sito www.ladiesrunticino. ch oppure su www.biglietteria.ch. o tramite polizza di versamento (da richiedere a info@ladiesrunticino.ch). I gruppi di almeno 8 partecipanti possono beneficiare del 12.5% di sconto annunciandosi tramite l’apposito formulario scaricabile dal sito web o da
richiedere via email. Si ricorda che per l’edizione 2021 è previsto un tetto massimo di partecipanti, inoltre a partire dal 3 settembre verrà applicato un supplemento su tutte le tariffe. Il consiglio è di non perdere tempo e di assicurarsi ora il proprio posto! Sono previste due scelte di percorso. Il tracciato di 5 km è pianeggiante
Per partecipare al concorso occorre fornire i seguenti dati: nome, cognome, indirizzo, località, email, anno di nascita, percorso (5km o 10 km). I dati vanno inviati all’indirizzo giochi@azione.ch entro le ore 24.00 di mercoledì 25 agosto. Maggiori informazioni e iscrizioni www.ladiesrunticino.ch
Ladies Run Ticino, 11 settembre 2021, Lugano
Anche se ancora nel pieno della stagione 2021, la Ferrovia Monte Generoso comincia a raccogliere risultati importanti e per quanto riguarda il Camping Monte Generoso – 20.000 metri quadrati affacciati sulle rive del Lago di Lugano a Melano – si può addirittura parlare di risultati straordinari. Infatti, lo scorso 23 luglio, dopo nemmeno quattro mesi dalla sua apertura (il 27 marzo) il numero dei pernottamenti ha eguagliato quelli dell’intera stagione 2020. E il 2020 era già stato un anno record, con il 15,3% di pernottamenti in più rispetto al 2019 e due mesi e mezzo in meno di apertura complessiva. Va considerato che nel 2020, infatti, a causa della pandemia l’apertura del camping era slittata da marzo a giugno. Per quanto riguarda gli introiti, il 2 agosto 2021 è stato raggiunto il fatturato globale del 2020, anno che, dal canto suo, si segnalava già come anno record con + 10% di fatturato rispetto al 2019. La pandemia ha cambiato lo scenario del turismo svizzero e analizzando le provenienze degli ospiti del Camping MG dal 2019 al 2021 è evidente che negli ultimi due anni un numero maggiore di svizzeri ha scelto di trascorrere le proprie ferie all’interno dei confini nazionali e meno turisti stranieri hanno usato il Ticino come campeggio di passaggio prima di proseguire per le destinazioni marittime. Grazie al supporto del Percento culturale Migros nel 2021 sono stati investiti circa 75’000 franchi. Nei prossimi 2-3 anni, è in programma un investimento attorno ai 250’000 franchi. Dati e informazioni di dettaglio sono pubblicati sul sito web www.azione.ch.
Una gara per mettersi alla prova
Sport Il 4 e 5 settembre 2021, condizioni sanitarie permettendo, si terrà il Triathlon di Locarno
Dopo un anno di pausa dovuto alle restrizioni per contrastare la diffusione del coronavirus, gli amanti di questa disciplina potranno nuovamente dare sfogo alle loro energie. Un appuntamento irrinunciabile quello sulle rive del Lago Maggiore, sia per triatleti affermati che per tutti gli interessati all’incredibile mondo delle discipline multisport. Sì, perché il triathlon non è soltanto uno sport, ma si potrebbe dire un vero e proprio stile di vita che, nel tempo, riesce quasi a plasmare chiunque lo pratichi con passione e costanza. La combinazione delle discipline, ad esempio, è estremamente affascinante: ognuno è consapevole che deve dare il meglio di sé laddove la sua performance eccelle, mentre deve lavorare con costanza e regolarità nelle discipline dove invece si sente un po’ meno a suo agio. Esattamente come accade nella vita: si sfruttano i propri punti di forza, concentrando su questi le energie, mentre si cerca di migliorare, per quanto faticoso possa essere, i propri punti deboli. Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
Il triathlon insegna inoltre ad affrontare la vita con una certa struttura, con perseveranza e con obiettivi ben precisi, ed è forse questo ciò che rende la disciplina unica e speciale. Il primo passo, quello più importante, è sempre quello con sé stessi. La forza che spinge a metterci alla prova e che ci dà il coraggio di osare. Al Triathlon di Locarno una possibilità c’è per tutti. Le gare, infatti, sono pensate per ogni tipo di sportivo: dal più giovane, al professionista, fino allo sportivo amatoriale. Conformemente al proprio livello, tutti possono trovare la propria competizione. Inoltre, quest’anno si svolgerà anche il campionato svizzero di duathlon. L’invito è dunque quello di riservare la data in agenda ed iscriversi il prima possibile. Tutte le informazioni sono disponibili sul sito www.3locarno.ch
Triathlon, 4-5 settembre 2021, Locarno editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
Tiratura 101’262 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch
Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 23 agosto 2021 • N. 34
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Società e Territorio La solitudine di Borgna Nel suo ultimo saggio lo psichiatra Eugenio Borgna riflette sulla solitudine che oggi rischia di «naufragare nell’isolamento» pagina 5
Fondazione Ares Il manuale Campanelli Verdi e Rossi creato in Ticino per individuare precocemente nei bambini un Disturbo dello Spettro Autistico è stato tradotto in tedesco e francese e distribuito ad ogni Cantone
Incontri Lorenzo Bettini a 18 anni ha scelto di lasciare tutto e andare in Germania in un monastero Shaolin a lavorare, meditare, studiare, rafforzare mente e corpo pagina 10
pagina 8-9
Adolescenti e pornografia
Il caffè delle mamme Il consumo di video
porno online da parte dei giovanissimi può avere effetti dannosi sulla loro vita relazionale reale. Intervista a Elena Martellozzo ricercatrice alla Middlesex University
Simona Ravizza Una cena d’estate sul lago di Lugano e la mia amica, mamma di un 15enne modello, che ammette: «Mio figlio mi ha chiesto di potersi iscrivere su una piattaforma web di cui non avevo mai sentito parlare. Poi ho scoperto che fa vedere contenuti pornografici». Il figlio in questione è modello perché parla con la propria madre, gli altri fanno senza dire. Dopo essermene occupata a lungo per lavoro, ho capito che la pornografia online è ovunque e il numero di ragazzi che la consumano in età preadolescenziale e adolescenziale è davvero alto. E, con l’avvento di Internet, è tutto diverso dai giornaletti porno d’altri tempi. La mia convinzione è, quindi, che è consigliabile affrontare l’argomento con i propri figli piuttosto che rischino di essere traumatizzati dalle immagini che vedono. A Il caffè delle mamme d’agosto ho, dunque, invitato Elena Martellozzo, criminologa e ricercatrice presso la Middlesex University di Londra, una delle massime esperte del fenomeno a livello internazionale. Qui la nostra chiacchierata. come studia il fenomeno?
Faccio sempre in modo che i giovani siano al centro delle mie ricerche. La loro partecipazione aggiunge un ulteriore livello di complessità a un argomento già impegnativo come la pornografia. Tuttavia, se attuato in modo efficace, tutto ciò ha il potenziale di riconoscere i bambini e i giovani come titolari di competenze, abilità e capacità di partecipazione. I ragazzi hanno preso parte, anonimamente e ovviamente con il consenso loro e dei genitori, a discussioni di gruppo effettuate su piattaforme online che gli consentissero di comunicare con me ed il mio team via chat (il loro metodo di comunicazione preferito). Siamo riusciti così a parlare con più di 1500 ragazzi dai 12 ai 16 anni. È un metodo
che ha avuto successo. Ai giovani è piaciuto così tanto interagire con noi e parlare della pornografia che a volte ho dovuto interromperli per passare alla domanda successiva.
cosa emerge dalla sua ricerca?
Gli aspetti più preoccupanti emersi sia dai nostri studi sia da quelli realizzati da colleghi in Australia e negli Stati Uniti è che i giovani vedono la pornografia online molto prima di avere esperienze sessuali: il 48% dei maschi dichiara di averla vista prima dei 13 anni; il 48% delle femmine prima dei 15 anni. Questi dati non sorprendono se si pensa che tre dei primi dieci siti web più visualizzati sono siti porno. Così la pornografia sembra essere per molti adolescenti la porta d’entrata alla sessualità, purtroppo. La maggior parte dei giovani scopre il porno molto prima di incontrare il sesso, forse anche prima di aver baciato o abbracciato un partner.
I bambini come vengono in contatto con i video pornografici?
Alcuni giovani li cercano attivamente. Altri invece sono esposti a essi senza volerlo perché gli compaiono «pop-up» in seguito a ricerche di parole che non c’entrano nulla con il porno oppure ci si possono imbattere attraverso immagini inviate da amici via whatsapp. Alcuni giovani, invece, creano immagini erotiche utilizzando telefoni cellulari e webcam, che poi condividono con compagni. La ricerca ci rivela che oltre un quarto dei giovani ha inviato un’immagine di se stesso nudo o seminudo; e il 42% dei giovani l’ha ricevuta. Percentuali che crescono tra i giovani sessualmente attivi: la metà ha inviato un’immagine di se stesso nudo o semi nudo; il 69% l’ha ricevuta. che cosa c’è nei video?
In questi video purtroppo c’è di tutto. Innanzitutto molta violenza e sottomissione: donne con corde intorno al collo che fingono di essere soffocate; donne picchiate; donne penetrate da più uomini simultaneamente... Non mi
Dalle ricerche internazionali emerge che il 48% dei ragazzi hanno già visto pornografia online prima dei 13 anni. (shutterstock)
soffermo a descrivere ciò che ho visto o quel che i ragazzi mi hanno raccontanto: non ce n’è bisogno. Dico solo che alcuni video sono scioccanti e possono disturbare la mente anche di un adulto, figuriamoci quella di un bambino. Quali sono le reazioni?
I giovani hanno varie opinioni sulla pornografia, spesso conflittuali. Per esempio, alcuni la considerano divertente o eccitante, ma allo stesso tempo esprimono una certa preoccupazione o disagio per ciò che hanno visto. Questo conflitto ci porta a pensare che gli adolescenti prendano in considerazione i potenziali impatti negativi della pornografia. Ma allo stesso tempo hanno bisogno di più supporto e di una guida per aiutarli a pensare in modo critico alle rappresentazioni dei ruoli di genere che trovano nel porno e ai potenziali impatti e implicazioni che può avere su di loro. Quali differenze di approccio ci sono tra maschi e femmine?
Le femmine sono decisamente più propense a provare emozioni negative, incluso imbarazzo, disgusto e senso di degradazione. Al contrario, i maschi provano emozioni positive, tra cui curiosità, piacere ed eccitazione.
che messaggi vengono comunicati agli adolescenti?
Tra gli altri, che la violenza contro le donne è ammissibile, perché in queste immagini l’aggressione è costantemente presente. La pornografia trasmette messaggi distorti sui ruoli di genere nelle relazioni sessuali e sulla natura e significato di mascolinità e femminilità. Vengono rinforzate idee stereotipate che sono identificate come una delle cause della violenza contro le donne. In che modo e perché possono influenzare la sessualità degli adolescenti e, anche, i rapporti sessuali che avranno una volta cresciuti?
Per esempio, le donne nella pornografia sono spesso sottomesse, desiderose e disposte a soddisfare le richieste dei maschi usando metodi estremi o dolorosi. Inoltre, le donne sono spesso viste come oggetti di piacere. I primi piani delle parti del corpo delle donne si verificano molto più spesso rispetto ai primi piani delle parti del corpo degli uomini. Il piacere degli uomini è considerato più importante rispetto al piacere delle donne: è molto più probabile che gli uomini vengano filmati quando raggiungono l’orgasmo. Questo porta
a pensare alle donne come esseri che servono a compiacere gli uomini. Ma non solo: siccome la vita reale non è un film, nelle relazioni quotidiane i maschi possono poi avere ansia da prestazione e difficoltà a eccitarsi. Noi genitori come possiamo affrontare la questione?
Il problema è che molti adulti non sono consapevoli di quanto sia diventata pervasiva la pornografia, della natura del materiale che vedono i giovani e di come stia influenzando le loro esperienze sessuali e la capacità di comprenderle. Per aiutarli a navigare in questa nuova realtà, i genitori devono prima di tutto comprendere il fenomeno. e poi?
È comprensibile che sia i genitori sia i figli preferiscano evitare i discorsi sul porno. Ma parlare di porno in modo critico può aiutare i ragazzi a capire che quel che vedono, vedranno o sceglieranno di non vedere, non è la realtà ma sono attori che fingono di provare piacere. Dobbiamo aiutare gli adolescenti a comprendere bene cos’è un rapporto sano, in cui è importante comunicare chiaramente con il proprio partner, assicurarsi che ci sia consenso e rispettarsi a vicenda.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 23 agosto 2021 • N. 34
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Idee e acquisti per la settimana
Pasta integrale al farro
Attualità La pasta biologica Poggio del Farro per piatti ricchi di gusto e genuinità
*Azione 30%
su tutta la pasta Poggio del Farro Bio Nel cuore del Mugello, in Toscana, l’azienda Poggio del Farro da decenni lavora esclusivamente farro proveniente da agricoltura biologica per offrire ai consumatori dei prodotti semplici, salubri e dal sapore inconfondibile. Il farro è considerato il cereale più antico ed è coltivato fin dagli albori dell’agricoltura. Un grano rustico, rimasto originale nei millenni senza subire particolari interventi da parte dell’uomo, che si presta bene a tecniche di coltivazione a basso impatto ambientale e si contraddistingue per la sua resistenza alle malattie, senza che richieda l’utilizzo di pesticidi e fertilizzanti dannosi per l’ambiente e gli esseri viventi. Poggio del Farro si è da sempre dedicata con passione alla valorizzazione di questo pregiato grano. Attraverso una filiera virtuosa, rispettosa della tradizione e della cultura agricola delle zone in cui la materia prima viene seminata, coltivata e raccolta – Toscana e Alto Lazio -, l’azienda vuole far conoscere il proprio farro proponendo ai consumatori dei prodotti semplici, ma al contempo gustosi, che mantengano intatte le caratteristiche organolettiche e nutritive dello straordinario cereale. La pasta integrale bio Poggio del Farro è uno di questi. Disponibile nei maggiori supermercati Migros sotto forma di penne, caserecce e spaghetti, è fatta con solo sfarinato integrale di farro Triticum dicoccum biologico e acqua. Grazie ad una delicata trafilatura al bronzo la superficie della pasta risulta particolarmente ruvida, pertanto adatta ad assorbire i condimenti e i sughi più disparati. Inoltre, grazie ad una lenta essiccazione, vengono esaltate al meglio le qualità organolettiche del prodotto finale. È una pasta che si presta perfettamente per la preparazione di ricette saporite e genuine della tradizione mediterranea, come pure per pietanze più elaborate.
dal 24 al 30.8.2021
Penne al farro bio 500 g Fr. 2.70* invece di 3.90
caserecce al farro bio 500 g Fr. 2.70* invece di 3.90
Il Lardo di colonnata
Attualità Un salume dal carattere unico che con il suo sapore deciso
Spaghetti al farro bio 500 g Fr. 2.70* invece di 3.90
L’autunno da Micasa
conquista anche i palati più esigenti
Prodotto nel piccolo villaggio di Colonnata, località alle pendici delle Alpi Apuane situata a pochi chilometri da Carrara nota anche per le cave di marmo, questo lardo è un autentico must della ricca tradizione norcina italiana. È un salume a indicazione geografica protetta (IGP), ottenuto dall’adipe dorsale di suini selezionati, che deve avere uno spessore di almeno cinque centimetri. Gli strati di lardo vengono posti nelle classiche vasche di marmo, dette conche, con una mistura di aromi composta da sale marino, pepe nero macinato, rosmarino fresco, aglio, salvia e altre spezie. Le vasche vengono infine chiuse con un’altra lastra di marmo. In questi contenitori speciali il lardo stagiona per un minimo di sei mesi e fino a dieci mesi, dove acquisisce le sue inconfondibili caratteristiche: consistenza morbida e uniforme, colore bianco leggermente rosato con possibili striature di magro e sapore delicatamente dolce, arricchito dagli aromi utilizzati nella preparazione. È un prodotto da gustare idealmente al naturale, tagliato a fette sottili, accompagnato semplicemente da qualche fettina di pane leggermente abbrustolito.
La nuova collezione autunnale di arredi e accessori Micasa è all’insegna dell’eleganza e della sostenibilità. A farla da padrone sono le forme lineari, le calde tonalità naturali e i tessuti in materiali eco. Che si tratti di divani, poltrone, tende, cuscini, biancheria da letto e da bagno, camere da letto, stoviglie… gran parte dell’assortimento è certificato secondo i criteri dei marchi sostenibili FSC (legname proveniente da foreste gestite in maniera responsabile); Bio Cotton (tessili bio puliti nel massimo rispetto dell’ambiente); GOTS (standard per la lavorazione di fibre naturali biologiche) e GRS (articoli in materiale riciclato). Passa a trovarci e lasciati ispirare! Lardo di colonnata Italia, imballato, per 100 g Fr. 4.50* invece di 6.50 *Azione 30% dal 24 al 30.8.2021
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 23 agosto 2021 • N. 34
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Società e Territorio
La solitudine che apre al mondo
Pubblicazioni 1 È stato da poco pubblicato il nuovo saggio dello psichiatra e accademico italiano Eugenio Borgna
Di getto, così, nel pieno calore e fulgore estivo stona pensare ad un libro sulla solitudine quando il nostro spirito festaiolo in cerca di leggerezza e di svago è più incline a postare foto del mare caraibico su Instagram o video di esotiche cene in spiaggia su TikTok. Di certo anche in vacanza i momenti di silenzio mentale e fisico sono sempre più rari, l’idea di staccare dalla realtà è sempre più un mito mentre crescono le sollecitazioni tecnologiche e non ci danno tregua le comunicazioni istantanee che per loro stessa natura viaggiano in superficie. Penso alle parole di Nietzsche in Così parlò Zarathustra: «Amico mio, fuggi nella tua solitudine! Io ti vedo assordato dal fracasso dei grandi uomini e punzecchiato dai pungiglioni degli uomini piccoli. La foresta e il macigno sanno tacere dignitosamente con te. Sii di nuovo simile all’albero che tu ami, dalle ampie fronde: tacito e attento si leva sopra il mare. Là dove la solitudine finisce, comincia il mercato; e dove il mercato comincia, là comincia anche il fracasso dei grandi commedianti e il ronzio di mosche velenose».
«La solitudine è l’anima segreta e nascosta della vita ma come non avere la sensazione che oggi sia grande il rischio di naufragare nell’isolamento?» Sempre di più, viviamo nel mercato e nel fracasso dei commedianti, nel fracasso che noi stessi generiamo e alimentiamo. Se anche voi ne siete infastiditi, se siete alla ricerca di una via d’uscita o anche semplicemente di una bussola per orientarvi meglio, vi consiglio il saggio di Eugenio Borgna In dia-
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Natascha Fioretti
logo con la solitudine (Einaudi). Letto nel soffio di un pomeriggio di afa africana tagliata, per fortuna, da una timida brezza marina, mi ha restituito lucidità e consapevolezza in un momento di grande smarrimento dato dalle notizie delle ultime settimane. Mi riferisco al Covid che tra varianti, risalite dei contagi e dibattiti sui vaccini non ci fa dormire sonni tranquilli. Ci confronta, anzi, puntualmente con le nostre fragilità. Agli incendi che nelle ultime settimane hanno colpito la Grecia e l’Italia, alle inondazioni che hanno messo in ginocchio la Germania o più semplicemente ai temporali funesti che hanno colpito la Svizzera e il Ticino. Alle immagini arrivate da Kabul. Un articolo del «Corriere della Sera» firmato da Carlo Verdelli nei giorni scorsi raccontava di corpi caduti nel vuoto dagli aerei americani come vent’anni fa dalle Torri Gemelle definendo quello
dell’Afghanistan l’epilogo inguardabile di un mondo sfinito. In senso allargato, di questi tempi, mi pare che tutta la società e il mondo occidentale siano in qualche modo sfiniti. Senza eccedere nel pessimismo, vi starete chiedendo cosa c’entri tutto questo con la solitudine, condizione che siamo portati a pensare come temporanea, sinonimo di isolamento, connotata da tristezza o malinconia magari fine a sé stessa. Intanto, nel suo saggio, Eugenio Borgna ci insegna che la solitudine non è isolamento ma dialogo infinito. Ci racconta di una solitudine animata dall’interiorità, dalla trascendenza, dalla ricerca dell’infinito e un’altra che non è dialogo ma immersione negli aridi confini di un io che non diviene mai un noi. Se la prima ci apre al mondo, alle persone, alle cose l’altra ci isola nei confini della nostra soggettività, precludendoci la speranza di guardare al futuro.
La solitudine è comunione con la vita o come la definiva Rilke in una delle lettere alla madre, è una festa interiore: «Sono anni ormai che celebro la mia festa dentro di me, e credo che anche se fossi rimasto a Monaco avrei trascorso questa sera da solo nella mia stanza, come solennità di raccoglimento, di meditazione, di ricordo. Io sono infatti incline sin dall’infanzia a essere un solitario, senza famiglia e senza feste familiari… sono invece destinato a lontani legami in tutto il mondo, a sentire non vicino, ma lontano, solo questo conferisce al mio sentimento tutto il suo potere, la sua profondità e la sua verità». Se abbiamo il coraggio di viverla fino in fondo, di ritrovarla in noi stessi e tirarla fuori dalla nostra anima, allora la solitudine ha una straordinaria funzione maieutica capace di farci dialogare con il passato, la memoria vissuta, la me-
moria del cuore, l’archivio dal quale sgorgano i ricordi come allodole. Non è una passeggiata, anzi questo dialogo è doloroso, ci stanca, ci affatica ma ci aiuta «a riconoscere frammenti ignoti della storia della nostra vita, che a loro volta si rispecchiano nelle nostre speranze: goethiane stelle cadenti che non vediamo se non siamo capaci di una solitudine che sia raccoglimento e dialogo, attesa e ricerca delle ragioni della nostra vita, e della nostra speranza, arcobaleno sul ruscello: così la chiamava Nietzsche». Non dimentichiamo che talvolta la solitudine è una scelta, talvolta ci è imposta dalle alterne vicende della vita, ad esempio quando perdiamo una persona cara. Sorge spontanea una domanda: nel mondo della modernità esasperata e della comunicazione digitale abbiamo la volontà e la costanza di tessere questo dialogo infinito? O corriamo il rischio di naufragare nell’isolamento, nel silenzio del cuore e della trascendenza perduta in cui si coltivano la noncuranza e l’apatia, il disinteresse e la noia, la gelida freddezza emozionale? Impossibile non riconoscere la tendenza all’individualismo e all’interesse personale che in parte caratterizzano la società di oggi ci dice lo psichiatra e accademico italiano che sottolinea come l’isolamento infecondo non abbia nulla a che fare con la solitudine che invece ci consente di intraprendere il cammino misterioso verso la nostra interiorità. Come dice il teologo Romano Guardini: «La vita rimane sana solo quando continuamente rinnova l’esperienza della solitudine», quell’esperienza che per Leopardi rappresenta il momento diastolico della vita e come il silenzio ci porta a riconoscere le cose essenziali ritrovando ciò che ci unisce nella lealtà e nella solidarietà. Il nostro compito, in una sorta di corsa a ostacoli fatta di continue distrazioni e rumori di sottofondo, è tenerla viva ogni giorno.
L’identità di gruppo sulla tela del corpo Pubblicazioni 2 Il biologo Mark W. Moffett spiega come la «storia naturale» delle società sia segnata dai «marcatori»
Lorenzo De Carli Se il rapporto tra territorio e società è tanto stretto è perché si tratta di una relazione primordiale, che sta alla base della nostra vita comunitaria. Mark W. Moffett, biologo allievo di Edward O. Wilson, nella sua recente «storia naturale» della società (Lo sciame umano) ha scritto: «Come le nazioni e in pratica qualsiasi altra società umana, le società di bande si identificavano con un’estensione di terreno occupato in modo esclusivo. Erano territoriali, diffidenti, e spesso ostili, verso gli estranei che si introducevano nella loro area». Lasciata anche noi l’Africa come altre specie di ominidi prima di noi, abbiamo colonizzato tutto il pianeta con una modalità che Moffett ha definito di «fissione-fusione», vale a dire aggregandoci in bande e separandocene per formarne altre, e sempre con una dinamica caratterizzata da una marcata inclinazione a definire e difendere una specifica porzione di territorio. A stemperare la cruda realtà che non c’è mai stato un momento della storia delle nostre società privo di conflitti per l’accesso esclusivo ad uno specifico territorio, il lavoro di ricerca compiuto da Moffett in questi anni è stato caratterizzato per la funzione che egli ha attribuito ai «marcatori», grazie ai quali
– contrariamente a quanto potrebbe accadere a uno scimpanzé in un bar per scimpanzé, dove verrebbe sicuramente aggredito – noi possiamo essere nello stesso tempo persone anonime ma anche accettate in qualunque bar del mondo: «l’atto apparentemente banale di entrare in un bar pieno di sconosciuti senza alcuna preoccupazione è uno dei risultati più sottovalutati della nostra specie, e distingue il genere umano dalla maggior parte degli altri vertebrati
organizzati in società». Mentre per gli insetti sociali, per esempio le formiche, i marcatori sono di tipo chimico, per noi umani i marcatori sono di natura culturale: il linguaggio, i tatuaggi, le abitudini socialmente condivise, il taglio dei capelli, i vestiti, il modo in cui costruire un arco o una capanna – tutti quei tratti che servono a definirci in quanto membri di una specifica società o gruppo sociale. Così come gli insetti sociali, abbiamo evoluto i marcatori perché, ad un certo punto, le nostre comunità crebbero fino al punto da superare la nostra capacità di ricordarcene i membri. Da quel momento in poi, conducemmo una vita in società anonime, nelle quali, per distinguere Noi da Loro, non era più necessario ricordare ogni membro della nostra comunità, ma bastava riconoscere i marcatori pertinenti. Secondo l’ipotetica ricostruzione evolutiva tracciata da Moffett, i primi marcatori che usammo erano simili ai vocalizzi che vediamo ancora oggi praticati dagli scimpanzé e dai bonbon, modulati successivamente fino a diventare vere e proprie parole d’ordine. «I marcatori successivi avrebbero coinvolto l’intero corpo, come una tela, lasciando però poche tracce archeologiche». Parallelamente allo studio evolutivo dei marcatori, Moffett ha studiato lo sviluppo evolutivo delle società dal punto di vista della sua ipotesi
di «fissione-fusione». La svolta decisiva avvenne circa 10’000 anni fa quando, in sei diverse parti del mondo, contemporaneamente, assieme con l’agricoltura che poteva garantire un largo surplus alimentare, nacquero sei regni secondo dinamiche sociali assai simili: piccole città-stato, per espansione, diventarono regni caratterizzati da specifiche civiltà, e – in virtù della divisione del lavoro che consentiva di dedicare una parte della popolazione al mestiere delle armi –, sottomisero le bande nomadi o stanziali vicine, dominandone i territori, e amalgamandone la popolazione. La storia naturale delle società ricostruita da Moffett descrive una parabola che parte dalle bande di cacciatori-raccoglitori che divennero società, federandosi. Erano gruppi sociali sostanzialmente egualitari. La figura del leader, spesso transitorio, emerse più tardi, quando tribù e società diedero forma ad entità sociali più grandi, i cosiddetti «capitanati», come per esempio l’antica città di Uruk. Quando troppo grandi da poter essere controllati da un leader, i capitanati accrescevano la loro complessità amministrativa, introducendo controlli per delega. Ma al di là dei territori controllati dai capitanati, bande e tribù continuavano la loro esistenza autonoma, almeno fino a quando i loro territori non diventavano oggetto di appetito per
società più grandi: «dal Medio Oriente al Giappone, dalla Cina al Perù, l’unico modo in cui una società creava una civiltà era combinando l’esplodere della sua popolazione con l’espansione del suo regno tramite la forza o il dominio». Non sono mai esistiti Stati pacifisti. «Far parte di una società – scrive Moffett – è nell’ordine delle cose prima che fossimo umani», ciò significa che l’uomo ha sempre avuto delle società. Tuttavia ogni società, formatasi per «fissione-fusione», è destinata a scomparire – in generale in un arco di tempo che va dai 200 ai 500 anni, scrive Moffett. A prescindere da quei collassi ben descritti da Jared Diamond, in generale dovuti a disastri ecologici prodotti dalle società stesse, il motivo della scomparsa delle società è lo stesso che ne ha permesso la nascita: quei marcatori che ci permettono di muoverci in società anonime senza essere aggrediti perché ci identificano come appartenenti al gruppo dei Noi, sono anche gli strumenti per riconoscere gli Altri, a loro volta suscettibili di essere soggiogati o sterminati, se renitenti all’azione civilizzatrice della nostra società. I marcatori, dunque, sono insieme indispensabili e ambivalenti, e Mark W. Moffett si chiede se la fine delle grandi civiltà non coincida con l’età dell’oro di bande e tribù egualitarie.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 23 agosto 2021 • N. 34
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Società e Territorio
campanelli a cui prestare attenzione
Fondazione Ares Il manuale Campanelli Verdi e Rossi creato in Ticino per individuare precocemente nei bambini
un Disturbo dello Spettro Autistico è stato tradotto in tedesco e francese e distribuito ad ogni Cantone
come è strutturato?
Alessandra Ostini Sutto Venire ad aggiungersi e rafforzare quanto già intrapreso in Svizzera nell’individuazione precoce dell’autismo. È questo l’obiettivo del manuale Campanelli Verdi e Rossi, frutto dell’omonimo progetto di screening precoce dei Disturbi dello Spettro Autistico nei bambini da 0 a 3 anni della Fondazione Ares, realizzato in Ticino e diffuso poi nel resto della Svizzera grazie al sostegno e alla collaborazione congiunta di Lions e Rotary. Ares (Autismo Risorse e Sviluppo) da oltre 25 anni è un riferimento nel nostro Cantone per il Disturbo dello Spettro Autistico. Tra i suoi obiettivi figura la promozione di una cultura dell’autismo, che da un lato consenta di riconoscere il disturbo in età precoce, favorendo un intervento tempestivo e di qualità, e dall’altro incoraggi la valorizzazione, l’inclusione e un adeguato accompagnamento delle persone con autismo in tutti gli ambiti della loro vita. Per fare ciò la Fondazione sviluppa progetti, anche in collaborazione con organizzazioni e istituzioni che ne condividono le finalità, come nel caso di Campanelli Verdi e Rossi. Su quest’ultimo abbiamo posto qualche domanda allo scrittore Gionata Bernasconi, uno degli autori – assieme a Chiara Lombardoni e Nicola Rudelli – di questa guida all’osservazione precoce dei comportamenti del bambino.
Il manuale propone una prima parte a cura di esperti che illustrano il regolare sviluppo del bambino e quelle che sono invece le caratteristiche tipiche di uno sviluppo con DSA, una parte centrale composta da 25 schede illustrate che descrivono il comportamento da osservare, il modo in cui farlo e gli aspetti cui prestare attenzione, una sezione dedicata alla spiegazione dell’utilizzo del manuale e alle domande frequenti e una parte conclusiva in cui l’accento viene posto sull’importanza di un intervento precoce e di qualità.
Il manuale è una guida all’osservazione dei comportamenti del bambino: in questo caso, ad esempio, il gesto dell’indicare dovrebbe essere utilizzato spontaneamente dopo i 18 mesi di età. come è nato il progetto Campanelli Verdi e Rossi?
In qualità di Centro di Competenza per i Disturbi dello Spettro Autistico (DSA) per il territorio, siamo impegnati sia nell’accompagnamento di bambini e adulti, sia nelle azioni di informazione, formazione e sensibilizzazione. Ed è proprio attraverso la collaborazione con le famiglie e i professionisti che raccogliamo testimonianze, rileviamo difficoltà, esigenze e richieste e
Il progetto comprende pure un’azione formativa rivolta agli operatori della prima infanzia…
ascoltiamo le riflessioni che con noi condividono. Il progetto Campanelli Verdi e Rossi si colloca all’interno di tali azioni. Il suo intento è quello di aiutare gli operatori della prima infanzia ad osservare in maniera oggettiva e strutturata i comportamenti dei bambini, rilevare quei segnali che potrebbero essere indice di una difficoltà evolutiva e riportarli ai genitori e al pediatra ai fini, se necessario, di un approfondimento diagnostico.
Quali sono, a suo avviso, i punti di forza del manuale?
La sfida che avevamo davanti era quella di sviluppare uno strumento efficace, che consentisse di effettuare l’osservazione dei comportamenti nell’ambito delle attività quotidiane, senza generare ulteriore lavoro nell’allestimento di setting particolari. Oggi siamo lieti di constatare che tali obiettivi sono stati raggiunti.
Gli operatori della prima infanzia, pur essendo esperti nello sviluppo del bambino, non lo sono necessariamente di autismo e, pur accorgendosi che il bambino presenta una serie di difficoltà, spesso faticano a riportare efficacemente quanto osservato. Per garantire loro un supporto teorico all’azione dell’osservazione che li aiuti nella condivisione con genitori e professionisti, abbiamo inserito nel manuale dei capitoli informativi-formativi e realizzato un video-tutorial che presenta interviste a clinici ed esperti del settore, fornisce spiegazioni sui contenuti del manuale e condivide esperienze di professionisti che già utilizzano lo strumento all’interno delle loro strutture.
In Ticino il manuale è in uso dal 2016; quale bilancio si può fare di
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Società e Territorio questi primi 5 anni? com’è stata accolta l’estensione del progetto al resto della Svizzera?
Grazie al sostegno dei Rotary Club Insubrici, il manuale in lingua italiana è stato realizzato e distribuito tra il 2016 e il 2017 a tutti gli operatori della prima infanzia del Canton Ticino e delle Province di Como e Varese, accompagnato da incontri formativi e informativi. I risultati del suo utilizzo durante i primi due anni ci hanno convinti che il progetto dovesse essere messo a beneficio degli operatori del resto della Svizzera. Fortunatamente, alla fiducia e al sostegno accordatici dal Rotary Club si sono uniti quelli del Lions Club, e da questa forza sono nate le versioni Drapeaux Verts et Rouges e Grüne und Rote Klingel, che abbiamo proposto ai vari servizi per la prima infanzia. Dal momento che tutti le hanno accolte favorevolmente, confermandone l’utilità, nel mese di giugno abbiamo offerto le prime 200 copie del manuale ad ogni Cantone. Nel frattempo, molti di essi hanno richiesto copie aggiuntive. Dato il momento storico e le limitate risorse del nostro Servizio, per quel che attiene all’aspetto formativo, abbiamo optato per il video-tutorial multilingue per accompagnare la distribuzione e l’utilizzo del manuale. L’azione è appena partita. Speriamo possa portare ad una maggiore conoscenza dell’autismo, la quale a sua volta possa portare ad un abbassamento dell’età della diagnosi.
Secondo lei, tra la popolazione vi è una sufficiente conoscenza di questo disturbo? Voi come Ares cosa fate per promuoverla ulteriormente?
Negli anni, grazie all’impegno di enti e istituzioni, all’attenzione dei media e alle testimonianze di chi è toccato, la conoscenza dell’autismo è notevolmente aumentata, sia tra i professionisti, sia tra la popolazione. Certamente occorre fare ancora molto per poter garantire una vita inclusiva e di qualità alle persone colpite e alle loro famiglie. Il nostro impegno in
I fumetti dedicati ai matematici
tale ambito è instancabile perché siamo convinti che la conoscenza del funzionamento autistico possa aiutare a valorizzare le persone con questa diagnosi. Siamo infatti certi che il loro apporto alla società passi attraverso il sostenerle nelle loro difficoltà ma anche il consentir loro di esprimere le competenze e le specificità di cui sono dotate. Così facendo andremo insieme nella direzione della creazione di valore per tutti.
Web Continuano
le avventure di Ellie
Qual è attualmente l’incidenza del Disturbo dello Spettro Autistico?
Negli scorsi decenni il DSA era considerata una condizione molto rara; durante gli anni 60 e 70 del secolo scorso si parlava di una prevalenza della condizione di circa 5 bambini ogni 10’000 nascite. Con il passare degli anni, grazie ad una maggiore conoscenza del disturbo e ad una migliore definizione dei criteri diagnostici, l’incidenza è aumentata. Attualmente la prevalenza media a livello internazionale si attesta ad 1 bambino con DSA ogni 100 nascite. In alcune regioni o Stati, dove la ricerca in questo ambito è particolarmente avanzata, si certifica una prevalenza di 1 bambino ogni 68 nascite. Rapportando questo dato al Ticino, dove ogni anno nascono circa 2’500-2’600 bambini, possiamo stimare in circa 25 i nuovi casi annui. Moltiplicando questa cifra per alcuni decenni, rispetto alla speranza di vita della popolazione, tale disturbo va a ragion veduta considerato come una delle neuro-diversità maggiormente presenti nelle nostre società.
Abbiamo parlato più volte di diagnosi precoce; riassumendo, perché è importante?
Nell’ambito del DSA, riuscire a porre la diagnosi il più precocemente possibile è fondamentale per la prognosi evolutiva del bambino. In particolare si può sfruttare la plasticità cerebrale ancora molto importante fra i 2 e i 4 anni di età. Intervenendo con modalità educative riconosciute dalla comunità scientifica
Il Consigliere di Stato De Rosa il giorno della presentazione del progetto con (da sin. ) G. Bernasconi, A. Agustoni (pres. del Consiglio di Fondazione Ares), C. Lombardoni, R. Pozzi, N. Rudelli e il dott. G. Ramelli (primario di Pediatria all’EOC).
internazionale – le cosiddette Evidence Based Interventions (EBI) – si possono così abilitare e insegnare una serie di competenze non presenti nello sviluppo spontaneo del bambino autistico, in modo prioritario quelle che permettano al piccolo di interagire e comunicare in maniera funzionale, andando in questo modo a prevenire l’insorgere di comportamenti problematici. L’intervento precoce non è però sufficiente se non è svolto da professionisti che conoscono molto bene le caratteristiche tipiche del disturbo, in accordo e collaborazione con i genitori, che rimangono per tutta la loro vita i garanti nei confronti del figlio. Nella nostra realtà, di quali strumenti si dispone per arrivare ad una diagnosi precoce? Pur non essendo uno strumento di diagnosi, che ruolo ha il vostro manuale in questo senso?
Esistono vari strumenti di screening
precoce, derivati principalmente dal mondo anglosassone, di facile utilizzo da parte dei pediatri. In particolare possiamo citare la M-CHAT – Modified Checklist for Autism in Toddlers – composta da una serie di domande che il pediatra sottopone ai genitori fra i 18 e i 24 mesi di età del bambino. Se la M-CHAT è un’intervista ai genitori, Campanelli Verdi e Rossi è uno strumento di osservazione dei comportamenti del piccolo in attività quotidiane con altri bambini. La sua utilità consiste nel fatto che osservare il bambino nei suoi ambienti di vita è complementare all’osservazione in ambito ambulatoriale, per cogliere eventuali peculiarità non presenti nello sviluppo tipico dei coetanei.
Sul nostro sito è online da oggi la nuova puntata dei fumetti creati nell’ambito del progetto Matematicando del Centro competenze didattica della matematica del Dipartimento formazione e apprendimento della Supsi. Si tratta dei viaggi nel tempo che la giovane Ellie compie grazie agli occhiali virtuali costruiti in laboratorio dal geniale zio Angelo. Ellie incontra così i personaggi che nel passato hanno fatto la storia della matematica. Questa nuova puntata è dedicata a Fibonacci. I fumetti si trovano sul sito www. azione.ch/societa, sezione «Vivere oggi» (oppure inserendo la parola «matematicando» nel campo di ricerca del sito).
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 23 agosto 2021 • N. 34
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Società e Territorio
Ho deciso di vivere in un monastero Shaolin
Incontri La storia di Lorenzo Bettini, 18 anni, locarnese, che è andato in Germania a lavorare, meditare, studiare,
rafforzare mente e corpo. Proprio come fanno da 1500 anni gli invincibili monaci guerrieri Mauro Giacometti È difficile pensare che un giovane oggi possa fare una scelta di vita coraggiosa, lontana anni luce dagli smartphone e dai social network. Ma come sempre c’è l’eccezione che conferma la regola. A 18 anni ha deciso di dare una svolta radicale e coraggiosa alla sua esistenza. Ha abbandonato gli studi al Liceo di Locarno, che andavano anche bene, ha lasciato famiglia, amici e compagni di scuola, ha detto addio alle comodità e al comfort di una vita agiata e s’è ritirato in un monastero buddhista, in Germania. Lorenzo Bettini da qualche mese è un novizio, dunque un aspirante monaco, e vive a Otterberg, in uno degli unici due monasteri Shaolin in Europa che seguono la disciplina e la pratica della meditazione abbinata alle arti marziali sviluppata in Cina per oltre 1500 anni e che sta trovando sempre più «adepti» anche nel Vecchio Continente. Si è tagliato i capelli a zero, indossa una tunica, lavora, studia, medita, allena la mente e il corpo. «Fin da bambino sono stato affascinato dalla filosofia zen e dalle arti marziali», ci dice al telefono durante una pausa – e sono poche – dei suoi esercizi quotidiani. «Poi, più recentemente, ho visitato e sono stato ospite di questo monastero, dove oltre ad essere stato accolto benissimo ho trovato la mia
Lorenzo Bettini è novizio allo Shaolin Temple Europe di Otterberg.
fonte d’ispirazione. Ho realizzato insomma che l’investimento migliore per me è nella forgia del carattere, nella cura del corpo, non nell’apprendimento di nozioni e concetti che non so se
Il pugilato della giovane foresta Lo Shaolinquan, letteralmente «Pugilato della Giovane Foresta» è un ultramillenario stile di arti marziali tradizionali cinesi originariamente praticato dai monaci buddisti del Monastero di Shaolin nella provincia di Henan. Da alcuni lo stile Shaolin, oltre ad essere considerato uno dei più efficaci e antichi, è ritenuto il progenitore delle arti marziali asiatiche, avendone influenzato in maniera diretta o indiretta la nascita e lo sviluppo. La nascita ufficiale dello Shaolinquan si fa risalire all’arrivo presso il tempio Shaolin, nel 527, del leggendario monaco buddista Bodhidharma, fondatore del Buddismo Zen. Secondo la leggenda,
Bodhidharma trovò i monaci in condizioni fisiche non adeguate allo studio del Buddismo Zen tramite la meditazione, pertanto insegnò loro la pratica di lotta. Si ritiene appunto che queste tecniche abbiano dato inizio allo stile codificato tipico di Shaolin. Il contributo principale dell’incontro tra la filosofia meditativa Zen e le primitive tecniche di combattimento conosciute dai monaci, insomma, sarebbe stata la forte carica spirituale e la cura del sistema mente-corpo di cui si impregnarono le nascenti arti marziali cinesi, le quali si svilupparono da una parte come tecniche di difesa personale e dall’altra come meditazione in movimento.
potrò mai utilizzare. Così ho deciso di abbandonare gli studi “classici” di un liceo per questa scuola di vita», spiega Lorenzo Bettini. Lo Shaolin Temple Europe fu fondato nel 1997 a Otterberg nel distretto di Kaiserslautern in Renania-Palatinato. Si trova in mezzo alla natura, circondato dalla foresta e si sviluppa in una vasta area di terreni e bosco. Il complesso monastico, che assomiglia più a uno chalet che a un tempio, comprende diversi cortili, ospita soggiorni per monaci e novizi, locali amministrativi e magazzini, nonché laboratori e aule di formazione. Le camere e le sale comuni sono arredate in modo semplice, ma offrono un’atmosfera accogliente. Il monastero ha anche una grande sala del Buddha, una biblioteca, una sala per trattamenti e una sala di formazione. All’esterno, oltre agli alberi da frutto si coltiva un piccolo orto di erbe aromatiche e un piccolo campo di ortaggi. Shi Heng Yi è l’attuale capo maestro del Tempio. Nonostante la filosofia meditativa, la giornata di un aspirante mona-
co Shaolin è tutt’altro che rilassante, ci spiega Lorenzo. Sveglia prima delle 6 del mattino e subito al lavoro prima della colazione, dalle 7 alle 9. Quindi un’ora di meditazione prima di affrontare circa tre ore di allenamento per le diverse arti marziali. Dopo il pranzo, altro allenamento, quindi ancora un po’ di lavoro prima della cena. Prima di coricarsi, alle 21, si passa allo studio e alla teoria. «La meditazione viene insegnata come un metodo per rimanere in uno stato mentale molto preciso che può e deve essere mantenuto il più a lungo possibile. Perciò non è una questione di orari da pianificare o rispettare, ma è una consapevolezza di sé che può durare tutto il giorno», sottolinea ancora il nostro aspirante monaco Shaolin. Il quale ha davanti a sé almeno tre anni di pratica prima di aspirare ad iniziare il vero percorso di monaco. Magari andando in Cina, il grande paese dove tutto questo percorso di meditazione e autodifesa è iniziato? gli chiediamo. «Certamente sarebbe molto interessante visitare e imparare
di più sulle diverse culture e sperimentare come la vita può essere vissuta da prospettive diverse. Mai come ora, però, le risposte che sto cercando per la mia vita non possono essere trovate in Cina, nel deserto o nelle profondità dell’ocea-no, ma devono sempre essere scoperte ovunque io sia» è la sua risposta che mostra una volta di più la sua forza di volontà nel continuare il percorso che ha appena iniziato. E anche sul futuro che lo attende, una volta completata la sua formazione, lascia tutte le porte aperte: «Visto che al momento sto cercando di non limitarmi mettendo delle aspettative, l’obiettivo o destinazione nella mia mente non sarà dipendente dal luogo, dal lavoro, dalla quantità di amici. Sono convinto che ovunque io possa essere, la qualità di vita è puramente correlata alla quantità di pratica e determinazione impiegata su me stesso», ci dice al telefono salutandoci. Il suo «tempo libero» è scaduto, è già ora di tornare a lavorare, meditare, ascoltare i suoi maestri e imparare a muoversi con la leggerezza di una farfalla e la forza di un ariete.
Viale dei ciliegi di letizia Bolzani Annalisa Strada, Il libro dei morti, Pelledoca. Da 12 anni. Un titolo, e una copertina, d’impatto, non c’è dubbio. I lettori attratti da questo libro (e sicuramente i ragazzi lo saranno) si aspetteranno brividi. Tuttavia la storia ti avviluppa pian piano, con la scrittura sapiente e tesa di Annalisa Strada, e all’inizio sembra girare intorno a cose tranquille, quotidiane: le vacanze estive al caldo in città, in condominio; un’adolescente, Letizia, che cerca di darsi una routine per non rimpinzarsi di ansia, di cibo o di serie televisive; le telefonate «di controllo» della mamma che è al lavoro. È proprio durante una salutista sessione di allenamento, su e giù per le scale del palazzo, che Letizia decide di varcare la soglia dell’appartamento che sta sopra il suo. Una porta che la incuriosisce, perché è aperta, e soprattutto perché proprio da lì, dal piano di sopra, sente spesso provenire strani tonfi. Ad accoglierla oltre la soglia c’è soltanto una vecchietta in sedia a rotelle, e la spiegazione dei tonfi sono le sue stampelle. La ragazza
e l’anziana fanno conoscenza, iniziano a parlare, ed ecco comparire quello che l’anziana chiama «libro dei morti» e che pare essere semplicemente un album in cui conservare foto e altri ricordi dei suoi amici che non ci sono più. Eppure un velo di inquietudine comincia ad avvolgere il lettore, e anche Letizia, che ascolta l’anziana rievocare, tra molte reticenze, alcuni brandelli del suo passato. A collegare i brandelli, a cercare di dar loro un senso, penserà la ragazza, aiutata da un giovane amico, Marcello. Entram-
bi sono alla ricerca di un senso anche per le loro giovani esistenze in divenire, già crepate dal dolore – tutt’e due hanno perso un genitore- eppure in grado di risanarsi con l’energia vitale che sanno coltivare. E così, se sugli eventi del lontano passato della donna si accenderanno luci cupe, sul presente dei ragazzi brillerà una luce fresca e chiara di speranza. Quella che Letizia e Marcello svolgono non è solo un’indagine (che pure c’è, perché questo romanzo è anche una detective story), ma è un andare a conoscere il regno delle ombre, per poi tornare alla luce. I PICCOLI CASTORO, albi illustrati in piccolo formato, editrice Il castoro. Da 3 anni. Che gioia leggere con un bambino un albo illustrato! Una storia , e ancora una storia, da ascoltare, da guardare, da amare, da rievocare in tutti i momenti della giornata. L’unico problema è quello legato al costo, perché gli albi illustrati possono avere un prezzo anche di 16/18 Euro: davvero tanti,
se, come è auspicabile, in famiglia non ci si vuole limitare a una scarna scelta di storie. Quindi ben vengano le operazioni editoriali come questa de Il Castoro, che pubblica gli albi più amati del suo catalogo anche in piccolo formato (15x19,5 cm), con copertina morbida, a un costo più accessibile: 6,50 Euro. Tra i titoli de «I Piccoli Castoro» troviamo ad esempio le celebri storie di Jeanne Willis illustrate da Tony Ross, come Gisella pipistrella, Paolona musona o Buon compleanno, boa!, e come il libro vincitore del
Premio Nati per Leggere 2012, Nicola Passaguai, storia di un topino che la mamma avvolge nella bambagia per paura che si faccia male, ma quando la bambagia, per una serie di contrattempi, verrà via, Nicola magari si farà anche un po’ male, scoprendo però che ne vale la pena! Non mancano, tra i Piccoli Castoro, albi di autori italiani, come Il coccodrillo gentile, di Lucia Panzieri (testo) e AntonGionata Ferrari (illustrazioni): storia deliziosa, che continuerà a rallegrare l’immaginario dei bambini anche ben dopo la lettura, perché non è la solita storia di un animale che ribalta le aspettative sulle sue caratteristiche (il coccodrillo non feroce, ma gentile). Questa è una «metastoria», dove si racconta di un coccodrillo gentile che di notte usciva dalle pagine di un libro per bambini (questo libro per bambini!) e «faceva un sacco di cortesie a quella famiglia e a quei bambini». State pur certi che arriverà a fare un sacco di cortesie anche a casa vostra, se avete sullo scaffale Il coccodrillo gentile!
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 23 agosto 2021 • N. 34
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Società e Territorio Rubriche
L’altropologo di Cesare Poppi Anche allora non andò tutto bene Saranno in pochi – almeno da questa parte delle Alpi – a rimpiangere la fine di un agosto marcato da temperature record, incendi devastanti, il rincaro fino al 30% dei prodotti ortofrutticoli per via della siccità alternata a devastanti piogge monsoniche. Il tutto condito dalla bomba ad orologeria che ora si teme possa esplodere riportando il contagio pandemico a percentuali da tutti dentro – conseguenza delle calche estive su spiagge di giorno, discoteche e rave di notte che tanto viva la gioventù che la gente non ne può più. E se a Roma si piange, a Londra non si ride: le immagini della sede della BBC presa d’assalto dai Novax la dice lunga sui cedimenti di nervi dell’aplomb anglosassone anche senza tirare in ballo rigori immeritati e sbagliati e pilloline illecite – si scusa l’Altropologo ma come diceva Confucio «quanno ce vò, ce vò». Insomma, un agosto poco Augusto ed Imperiale solo nei disagi: da dimenticare.
Ma è sufficiente scavare nella memoria per accorgersi che, tutto sommato, non ci è andata fatta poi così male. Alla fine di agosto del 1317 si cominciava infatti in tutta Europa a tirare un sospiro di sollievo. Dopo due anni disastrosi, finalmente i raccolti cominciavano a migliorare e si poteva immaginare la fine di una carestia che aveva spazzato via fino al 25% della popolazione urbana – e Dio solo sa quanti nel contado e nelle zone montane. Dal 1100 a tutto il 1200 si era assistito ad una crescita moderata della popolazione europea favorita da economie stabili ed annate agricole positive. Ma a partire dalla primavera del 1315 le piogge costanti fecero marcire i germogli dei cereali per poi far marcire nei campi quanto sopravviveva del raccolto. Se oggi il rapporto fra semente e prodotto finale si attesta sui 30:1, nell’agricoltura preindustriale si attestava sul 7:1, laddove in tempi di carestia scendeva da 2:1 a rapporti
addirittura negativi. Negli anni in questione, in un’Europa ancora priva di patate e mais, quanto dei grani poteva essere salvato veniva asciugato artificialmente provocando così blocchi intestinali mortali ed epidemie di allucinazioni da segale cornuta (un fungo che prolifica nella segale umida ed immatura) che finivano per alimentare accuse di stregoneria ed eresia – e la sensazione di disgregazione della compagine sociale stessa in un generale clima di «si salvi chi può». Le stesse biade per animali – quelle poche che non marcivano - dovevano essere essiccate in maniera sommaria. Si calcola che fino all’ 80% degli animali domestici morissero vuoi di fame vuoi di indigestione – od entrambe. Il destino degli esseri umani non era da meno. Tanto per dare un’idea: si è calcolato che nella stessa famiglia reale inglese l’aspettativa di vita nel 1276 fosse 35.28 anni. Durante la Grande Carestia era scesa a 29.84 – record
battuto solo dal periodo fra il 1348 ed il 1375, durante la Peste Nera, quando scese a 17.33. Tanto per dare un’altra idea di riferimento: in Italia si calcola che l’aspettativa di vita con la crisi Covid sia scesa di due punti percentuali - che il vostro Altropologo preferito non cita in soldoni quando-doveperché in quanto si rischia la gogna mediatica. Fattostà che la popolazione europea crollò del 42% nel fatidico periodo fra il 1348 ed il 1375. In questo contesto le autorità di tutta Europa erano impotenti perché incapaci – ed incapaci perché impotenti. Re Edoardo I d’Inghilterra fece tappa col suo seguito a St. Albans, poco a Nord di Londra il 10 agosto 1315, all’inizio del tour regale del Regno: non trovò alcuna provvigione e fu costretto ad andare a letto senza cena. Un po’ – ma solo un po’, s’intende – come oggi i grandi supermercati inglesi sono a corto di groviera e pomodorini ciliegini… Sta di fatto che le cronache
della città di Bristol riportano che nel 1315 «…vi fu una Grande e Mortale carestia. La mortalità era tale che i vivi erano a malapena sufficienti a seppellire i morti. La carne di cavallo e di cane era considerata ottima – ed alcuni mangiavano i loro bambini. I criminali che erano in prigione divoravano ancora mezzi vivi coloro che erano sbattuti in galera da ultimi». Dicono adesso, nella sequenza interminabile dell’«è colpa di X» che tutto fu causato dall’eruzione del vulcano Terawera in Nuova Zelanda durata per cinque anni. Comunque sia, le conseguenze degli eventi di quegli anni sono ancora fra noi. Allora il prestigio dei rimedi garantiti dalla Chiesa Romana subì un colpo che avrebbe portato, fra gli altri, alle rivolte contadine del XVI secolo ed alla Riforma – e l’effetto domino che ne conseguì. Fake news? Fantastoria? Sia come sia: libera nos…
Incerta perché l’identità, attribuita dalla famiglia e confermata dalla scuola, comincia ad andar stretta e ragazzi e ragazze si pongono per la prima volta la domanda «chi sono io?», una domanda che si articola intorno al desiderio: «che cosa voglio?», «come sarò da grande?», «chi mi rende felice?». Naturalmente non c’è una risposta valida per sempre e per tutti e inizia così una ricerca vaga, confusa e contraddittoria. La cosa peggiore è bloccare l’adolescente in un momento particolare del suo percorso. Probabilmente, baciando l’amico un po’ più grande, Andrea si sta mettendo alla prova e non è detto che non abbia già affrontato, o lo farà ben presto, la medesima esperienza con un’amica. La sessualità, sollecitata anche da messaggi pubblicitari e da scorribande in Internet, sta diventando sempre
più precoce ed è difficile per i genitori sapere a che punto si trovino i loro figli. Non è certo il caso, come potrebbe fare suo marito, di intendere il comportamento di Andrea come una patologia e chiedere un intervento terapeutico. È semplicemente una possibilità e, come tale, non va né condannata né medicalizzata. Si tratta di aspettare con discrezione: non facendo finta di niente, tanto più che anche la sorellina attende una spiegazione, ma affrontando con calma l’argomento senza drammatizzare. Non chieda ad Andrea di giustificarsi ma lo ascolti cercando di comprendere senza giudicare. Tenga conto che ognuno, anche i bambini, possiede un ambito d’intimità e di segreto che rimane ignoto anche a se stesso. Come sostiene Freud, tutti abbiamo
componenti di entrambi i sessi, soltanto che una, salvo eccezioni, diviene dominante, mentre l’altra alimenta i rapporti di empatia e di amicizia con le persone dello stesso genere. Andrea troverà prima o poi il suo equilibrio, più facilmente se non lo costringerete a giustificarsi e ad assumere un atteggiamento oppositivo. Prosegua perciò la sua vacanza il più serenamente possibile, con la consapevolezza che anche l’educazione deve riconoscere i suoi limiti e disporsi pazientemente ad attendere.
gono una presenza fine a se stessa, racchiusa in una cornice immobile. Appartengono, invece, alla quotidianità contemporanea. In proposito, si deve citare Soletta, la più famosa e accreditata fra le nostre piccole città. Ad assicurarle prestigio, la cattedrale cattolica di Sant’Orso e San Vittore, capolavoro barocco. Con ciò, la località non vive soltanto di luce riflessa, grazie a un edificio, dominante, integrato però nel vissuto locale. Fra conservazione e rinnovamento, Soletta si è mossa, accortamente, sul piano pubblico e privato. Ne è un esempio, l’Hotel de la Couronne, la «seconda più antica locanda della Svizzera»: ospitò Napoleone. Ha subito, recentemente, una ristrutturazione raffinata, proposta come modello ad hoc: l’intervento tecnologico che non cancella l’impronta del passato. Anzi, sollecita un confronto di stili estetici e stili di vita. La Soletta delle «11 fontane e 11 torri» medievali è anche quella che ospita, nel teatro, in riva all’Aar, le Giornate cinematografiche, evento frequentato preva-
lentemente da giovani o, comunque, giovanilisti. E, infine, particolare tutt’altro che trascurabile, Soletta vanta un quotidiano ben fatto, la «Solothurner Zeitung». Già l’11 agosto reca la notizia del grave incidente cardiaco che ha colpito Marco Borradori, in anticipo rispetto alla NZZ. L’esigenza di rispondere a esigenze sempre più diversificate, rappresenta un impegno dominante per i responsabili della gestione politica, sociale, urbanistica delle piccole, ma già città, entrate ormai nel novero delle attrazioni turistiche nazionali. Come dire, vette alpine, laghi ameni non bastano. Anche i centri, un tempo minori, devono attrezzarsi per assicurare di tutto un po’: svaghi sportivi, varietà gastronomiche, occasioni culturali di alta qualità. Persino contraddizioni: la quiete ma non la noia. Possibilmente una sorpresa, che ci attende a Neuchâtel. Salendo dalla riva del lago, tutto barche, stabilimenti balneari e bar, si arriva a quello che è stato il rifugio di Friedrich Dürrenmatt, una sorta di
La stanza del dialogo di silvia Vegetti Finzi La sessualità nell’età incerta Gentile Silvia, è vero che nella vita i problemi non finiscono mai. Con l’emergenza Covid è stato per tutti un anno difficile e ora con i miei figli – mio marito ci raggiungerà più tardi – stiamo godendo una meritata vacanza in Italia, nella località di mare dove andiamo da quando ero bambina. Pensi che frequentiamo sempre lo stesso stabilimento balneare dove ci viene riservata ogni anno la medesima cabina. I nostri figli, Marina di nove anni e Andrea di quattordici, sono cresciuti tra coetanei ritrovandosi di stagione in stagione sempre più grandi e sempre più amici. Giorni fa, mentre stavo chiacchierando con la vicina di sdraio, è venuta da me correndo quella sciocchina di Marina con una grande notizia: «dietro le cabine, Andrea si sta baciando con Tommaso», l’amico un po’ più grande di lui.
Sono rimasta di stucco, tanto più che la notizia è stata condivisa con la più pettegola della spiaggia. Sconvolta, non so che fare. Aggredire, appena a casa, Andrea con una scenataccia? Probabilmente non si rende conto di che cosa sta facendo. Parlarne con mio marito? Ma, conoscendo le sue idee, so che chiamerebbe subito il medico di famiglia. Far finta di niente? Mi dica lei. Una sola cosa è certa: la mia vacanza è finita qui. Grazie di cuore. / Enrica PS: i nomi sono di fantasia. Cara Enrica, dimentichi l’amica pettegola, il problema non la riguarda. E pensi piuttosto ad Andrea che si trova in una fase della vita delicatissima. Non a caso, il libro che ho scritto con Anna Maria Battistin sui nuovi adolescenti, l’abbiamo intitolato L’età incerta.
Informazioni
Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6901 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch
Mode e modi di luciana Caglio Piccole, ma già città La forzata saggezza, imposta dal Covid, sta, effettivamente, modificando i nostri comportamenti. Per carità, non siamo diventati migliori, come auspicano i fautori di una conversione virtuosa, cioè la definitiva rinuncia agli sprechi del consumismo, a cominciare da quello turistico. Però, complice il timore di possibili intralci burocratici e sanitari, code agli aeroporti e tamponi, la voglia di andare ha subìto un radicale ridimensionamento: il vicino sostituisce il lontano. Ci si muove, insomma, entro i confini di una Svizzera che rivela aspetti inattesi, tutti suoi, forse unici. È, infatti, la patria di luoghi particolari, che sfidano le norme numeriche abituali: con 15’000 abitanti sono già città, a pieno titolo. Niente da spartire con gli agglomerati dormitorio, che costellano le periferie dei grandi centri. Qui, invece, per contingenze storiche, paesaggistiche e, non da ultimo, per la fortunata coincidenza fra politica e volontà popolare, sono nate e cresciute autentiche comunità urbane: dove, insieme, si condivide
uno spazio da rendere il più possibile accogliente ed efficiente, sfruttando bellezze naturali, monumenti insigni, santuari. Ma diversamente da quanto, spesso, avviene in altri paesi, queste testimonianze del passato non riman-
La cattedrale di Sant’Orso e San Vittore di Soletta. (Wikimedia)
eremo fra i boschi. Quest’abitazione è ormai integrata nel Centro museale, creato da Mario Botta e inaugurato nel 2000: un’opera che non soltanto illustra la vita dello scrittore ma ne rivela la dimensione, per molti segreta, di un pittore altrettanto sconvolgente. Questo linguaggio, parallelo a quello letterario, ha trovato nell’architetto un interprete appassionato, in grado di trasmettere al visitatore l’emozione di una scoperta, che è stata anche sua personale... In altre parole, non è la lontananza chilometrica a determinare, con la cosiddetta ispirazione, la riuscita di un lavoro o di un viaggio. «Anch’io, commenta Botta, dovrei diventare più svizzero, nei miei spostamenti». Con ciò, sia chiaro, piccolo non è sempre bello. A volte, e ce ne rendiamo conto proprio noi ticinesi, la comodità delle piccole città, che magari si autopromuovono a tali, può diventare un tranello. Personalmente, mi tiene compagnia l’illusione che, prima o poi, potrò tornare a inseguire un naturale bisogno di lontananza.
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Ambiente e Benessere Non solo per gli occhi La Chelidonia è un vero killer per le verruche virali di lunga data
Viaggiare senza attrito La pandemia ha aumentato la penetrazione delle nuove tecnologie nel turismo: aiuta a risolvere problemi, forse anche troppo
È colpa nostra... Il sesto Rapporto ONU dell’Ipcc non è una novità, ma l’ennesimo e fondamentale grido d’allarme
Sapori e colori del Ticino Piatto a base di salsiccia ticinese, da gustare con pomodori cherry e fagiolini verdi pagina 21
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Sette persone su dieci hanno dolori al collo Medicina L’artrosi alla colonna cervicale
è frequente con l’età che avanza
Maria Grazia Buletti «Artrite, artrosi, osteoporosi, dolori alla schiena e reumatismi delle parti molli sono le patologie reumatiche più frequenti: esistono 200 diversi quadri clinici reumatici che interessano schiena, articolazioni, ossa, muscoli, tendini e legamenti». Questo si legge sul sito della Lega svizzera contro il reumatismo (www.reumatismo.ch). Per l’intera giornata del 20 settembre 2021, al Palacongressi di Lugano l’omologa Lega ticinese contro il reumatismo punta i riflettori su una specifica patologia reumatica: il mal di schiena dovuto all’artrosi della colonna vertebrale, con attenzione particolare sulla colonna cervicale. «L’artrosi è un processo degenerativo progressivo delle superfici articolari. Una patologia osteoarticolare dovuta al deterioramento della cartilagine che permea le superfici ossee articolari a contatto fra loro. In parole povere, con l’avanzare dell’età la cartilagine che ricopre le superfici articolari vive un processo di invecchiamento naturale e fisiologico e si assottiglia. Così pure le vertebre si deteriorano perché non più protette da essa». A parlare di questa «usura dovuta all’invecchiamento articolare» è il reumatologo Mauro Lucini, vicepresidente della Lega ticinese contro il reumatismo, che spiega come tutti possiamo esserne toccati, semplicemente perché tutti invecchiamo: «Tutte le persone svilupperanno con il tempo l’artrosi, ma la sua manifestazione clinica normalmente avviene con l’avanzare dell’età (a partire dai 50 anni in poi). Più rari sono i casi in cui vi è una componente genetica o famigliare che causa dei sintomi più precocemente». Questa patologia ha «sedi tipiche» come le mani, le ginocchia, le anche e i tratti della colonna lombare e cervicale, dove si sviluppa in maniera primaria (non dovuta ad altre patologie). Essa, dice lo specialista, può dunque colpire anche la colonna cervicale che è composta da sette vertebre che sostengono la testa (fra le quali le prime due si arti-
colano in modo diverso). Grazie al tratto cervicale possiamo compiere movimenti rotatori, flessori ed estensori del capo, movimenti che potrebbero a un certo punto risultare dolorosi: «Più frequentemente l’artrosi colpisce le superfici articolari delle vertebre C5 o C6». L’incidenza è notevole: «Si stima che quotidianamente sette persone su dieci provino dolori cervicali con intensità più o meno marcata alla nuca e al collo: una sensazione di rigidità e difficoltà nel compiere semplici movimenti come girare o piegare la testa, in un quadro che lascerebbe presupporre che possa trattarsi di artrosi cervicale». A queste degenerazioni conseguono movimenti meno sciolti della colonna cervicale: «Ne deriva una possibile infiammazione di muscoli e legamenti che sostengono la colonna stessa. Il corpo interviene per cercare di autoripararsi: le superfici articolari possono produrre “osteofiti”» (ndr: protuberanze ossee che bloccano maggiormente i movimenti di flessione e torsione del collo, impedendo ulteriormente i movimenti vertebrali). Possono allora insorgere contratture muscolari e, negli stadi avanzati, danni ai nervi spinali: «Nel dolore cervicale sono coinvolte strutture ossee, muscolari, vascolari e/o legamentose». Lucini sottolinea che la maggior parte delle volte l’artrosi è riconducibile a problemi degenerativi influenzati da uno stile di vita non propriamente consono, ma talvolta non si possono escludere cause secondarie dovute ad altre patologie: «Fra queste, annoveriamo cause traumatiche (micro e macro traumi), problemi più specifici come ernia discale, malattie infettive o infiammatorie (patologie che favoriscono l’artrosi come problematica accessoria in modo secondario, più acuto e perciò dannoso, che devono essere subito individuate)». Vi sono anche cause microcristalline come la pseudogotta che «si può riscontrare fra prima e seconda vertebra cervicale e può causare dei dolori acuti». Al vaglio del medico di famiglia a cui arriva il paziente sta l’eventualità
Il reumatologo Mauro Lucini, vicepresidente della Lega ticinese contro il reumatismo. (stefano spinelli)
di una visita reumatologica, secondo i sintomi: «Dolore di tipo meccanico dovuto al movimento di rotazione della testa, alla flessione laterale, in avanti e indietro: tutti movimenti che creano fastidio e dolore progressivo, fino a diventare così costante che nei casi avanzati si manifesta anche la notte». Per la diagnosi «è importante raccogliere la storia clinica del paziente ed eseguire una visita accurata, che darà molte informazioni sul dolore e le sue cause, permettendo di escludere altre problematiche più serie o acute (come un’ernia cervicale o altre patologie). Solo se necessario, a complemento, si potranno fare esami mirati come radiografia, TAC o Risonanza magnetica». La terapia è individualizzata e dipende dalle comorbidità, dall’età e dalla storia clinica del paziente: «Nella maggior parte dei casi i dolori
possono essere ridotti con farmaci antinfiammatori non steroidei assunti per bocca, eventualmente seguiti da trattamenti farmacologici più mirati secondo il decorso». L’artrosi cervicale è una malattia cronica e quindi tende a ripresentarsi nel tempo con fasi più o meno acute: «Le recidive sono facilitate da posture scorrette mantenute per tempi prolungati, sforzi eccessivi, esposizione al freddo o posizioni errate durante il sonno». Un atteggiamento di prevenzione e riabilitativo fa la differenza: «Lo stile di vita è importante e, ad esempio, ci si può informare su programmi riabilitativi mirati per rinforzare la muscolatura, esercizi specifici e fisioterapia». Contro l’artrosi disponiamo di poche armi: «È un’usura articolare e possiamo solo cercare di diminuire e togliere i sintomi ad essa legata: nella
fase acuta con una terapia farmacologica, poi con un atteggiamento di prevenzione e riabilitazione». La prevenzione può fare molto: «Adattare la postura ergonomica sul posto di lavoro è essenziale; coloro i quali svolgono attività particolari (muratori, elettricisti e via dicendo) dovranno compensare con esercizi per sciogliere le contratture muscolari; una sana attività fisica regolare (20 o 30 minuti due o tre volte alla settimana) è sufficiente per mantenere una muscolatura tonica che a sua volta contribuisce alla salute della nostra colonna cervicale». Informazioni
Per consigli e informazioni anche sulla giornata del 20 settembre al Palacongressi di Lugano consultare il sito: www.reumatismo.ch/ti
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Ambiente e Benessere
La pianta medicinale usata dalle rondini Fitoterapia La chiamavano anche erba delle fate, ma il suo nome vero è Chelidonia
Eliana Bernasconi Su questa pianta apparentemente insignificante circolavano nell’antichità molte leggende: posta sul capo di un malato, se questi stava per morire si sarebbe messo a piangere, un malato in via di guarigione si sarebbe invece messo a cantare. Era considerata un portafortuna e chiamata l’erba delle fate, definita «la migliore di tutte le erbe e di tutte la più crudele», crudele perché in forti dosi è velenosa: si raccontava che cavalli, asini e oche passandole accanto girassero la testa e si allontanassero. Chelidonia – nome scientifico Chelidonium majus L. della famiglia della Papaveracee – è una pianta comunissima e un poco infestante, tipica del bacino mediterraneo. La si trova ovunque: nei terreni incolti, alla base dei muri, ai bordi di strade e sentieri; impossibile non vederla presso i ruderi e le vecchie costruzioni abbandonate. Per motivi misteriosi, quest’erba li predilige e li ama. È una delle prime piante a sbocciare a primavera e i suoi fiori a quattro petali di un caldo colore giallo crescono in forma di ombrello, mentre le foglie sono di un verde bluastro tendente al grigio. Il fusto è leggermente peloso alla base, quando lo si spezza o si strappano le foglie emette un liquido dallo spiccato odore caratteristico. Dei suoi semi son ghiotte le formiche. Il medico e botanico greco Dioscoride, vissuto ai tempi di Nerone, sapeva che questa pianta fiorisce con l’arrivo delle rondini e muore quando queste
Un esemplare di Chelidonium majus. (Pethan)
stanno per migrare. Vi è nella natura e nel linguaggio una logica segreta: la parola rondine infatti nel vocabolo greco si chiama «Chelidòn». Nella credenza popolare, le rondini curano con la Chelidonia i rondinini ciechi. Secondo il grande scrittore ed erborista Maurice Mességué – che negli anni Settanta seppe risvegliare l’interesse e l’amore per le cure naturali – porzioni di questa pianta vengono strofinate dalle rondini
sugli occhi non ancora aperti dei loro piccoli, così facendo il lattice caustico che contiene aprirebbe loro dei lembi di pelle consentendo ai rondinini di vedere. In un codice miscellaneo – in latino e volgare, conservato a Genova – raccolto sul finire del ’400 leggiamo: «Chelidonia va raccolta con le sue radici 3 o 4 ore dopo l’alba. Le radici ripulite, sminuzzate e pestate in un mortaio
di marmo vanno messe in un’ampolla di vetro e poste sotto sterco equino per 15 giorni, (sic) poi il tutto si distilla». Questo preparato, che non osiamo raccomandare proprio a tutti, era considerato quasi miracoloso, a leggerne il bugiardino: «ottimo farmaco per i nervi come per gli occhi, fortifica e rende allegri, cura sangue e polmoni, fa diventare giovani i vecchi, dà sollievo agli epilettici e paralitici, tira su l’umore della gente debole e malinconica». Nella medicina popolare il preparato di qualche goccia di succo fresco di Chelidonia aggiunto all’albume di un uovo sbattuto era applicato come impiastro sugli occhi «deboli» per «rafforzarli». Secondo la dottrina delle «segnature» ideata da Paracelso e seguita dai suoi allievi, tutte le cose in natura portano un segno che rivela le loro virtù terapeutiche ed è criterio per farne un rimedio: il lattice giallo intenso che esce dalla Chelidonia e ricorda quello della bile aveva fatto pensare che la pianta fosse indicata per le affezioni del fegato. Secoli dopo, ricerche di laboratorio hanno confermato la supposizione: è noto il suo impiego nei disturbi delle vie biliari e dei sintomi collegati al fegato, ha proprietà analgesiche e sedative, diuretiche e lassative. Ma questa pianta è celebre soprattutto per la cura delle verruche e dei porri, che riesce spesso a bruciare ed estirpare completamente producendo una potente reazione locale: è un vero killer per le verruche di lunga data causate da alcuni tipi di papilloma virus. Il
suo lattice, di un intenso giallo arancione alla base della pianta, esposto all’aria si ossida rapidamente e scurisce, ed è inoltre ricco di principi attivi dovuti a una ventina di alcaloidi, sostanze basiche che anche in piccole dosi scatenano forti effetti negativi negli organismi animali. Come usavano fare le nonne non troppo tempo fa, si può raccogliere quotidianamente la pianta, spezzandone il gambo e applicando il suo lattice sulla verruca o sui porri fino a completa sicura guarigione. Di fatto, la Fitoterapia trova un’ampia applicazione in dermatologia: se non si tratta di disturbi gravi, le erbe offrono molto ad esempio per trattare l’acne, i pruriti allergici, le dermatiti, gli eczemi, le irritazioni; piante usate a tale scopo sono fra molte altre la viola tricolor, la bardana, la piantaggine, la cicatrizzante aloe, la betulla, la calendula, la gramigna, la saponaria. Maurice Mességué aveva ben compreso che i princìpi attivi delle piante medicinali penetrano non solo attraverso la mucosa gastrointestinale, ma anche per assorbimento cutaneo tramite immersione, grazie alla proprietà delle mani e delle piante dei piedi, ricchi di terminazioni nervose, e per questo consigliava con grande successo l’antica pratica dei pediluvi e maniluvi a base di erbe curative dove anche la Chelidonia trova un suo posto. Bibliografia
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Ambiente e Benessere
Il rischio del «senza attrito»
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«Quando vidi il vulcano per la prima volta, per strada non c’era nessuno […] Un colosso muto e oscuro, più alto di qualsiasi cosa, nel cielo limpido che si tingeva di rosso. Rimasi a fissarlo ipnotizzato mentre le prime auto cercavano di schivarmi suonando. Poi presi a vagare per il villaggio, scattando un po’ a caso, cercando un caffè. Ma il vulcano non mollava la presa. Il luogo era saturo, letteralmente dominato dalla sua presenza...».
1. Quanto durò la Guerra dei cent’anni? 100 anni 116 anni 99 anni 150 anni 2. Di quale nazione è originario il cappello di Panama? Panama Brasile Cile Ecuador 3. In quale mese del 1917, è avvenuta la Rivoluzione d’ottobre? Ottobre Gennaio Novembre Settembre
4. Qual è il maggiore lago d’Italia? Maggiore Garda Como Trasimeno 5. In quale città è stato inventato il rompicapo della Torre di Hanoi? Hanoi Tokyo Zurigo Parigi 6. In quale nazione è nata la Dama cinese? Cina Giappone Germania Italia 7. In quale località è nato il cantautore italiano Nicola di Bari? Bari Fasano (Brindisi) Zapponeta (Foggia) Grottaglie (Taranto) 8. Di quale città cinese è originario il Riso alla cantonese? Canton Yangzhou Pechino Shanghai
Soluzione
Chi di voi, non si è mai sentito porgere, almeno una volta nella vita (soprattutto nell’infanzia), degli indovinelli scherzosi, come i seguenti: «Di che colore era il cavallo bianco di Napoleone?». «Quante erano le Tre Grazie?». «Quanti erano i Sette Nani?». In merito a quest’ultima domanda, in particolare, circola questa risposta ridanciana: «I Sette Nani erano cinque: Brontolo e Cucciolo». Quesiti di questo genere sono palesemente scontati, perché contengono la risposta direttamente nella relativa proposizione. Esistono, però, delle domande che solo apparentemente rientrano in tale categoria. Nei settori più dispara-
ti (geografici, storici, artistici, ludici, culinari, e così via), infatti, si possono rilevare delle denominazioni incentrate su un dato inaspettatamente fuorviante. Qui di seguito, riporto altre curiose domande di questo tipo. Provate a rispondere correttamente, vincendo la tentazione di scivolare nella banalità…
Stefano Cascavilla, Il dio degli incroci. Nessun luogo è senza genio, Exorma, pp. 288, € 16.–.
1. L’aspro conflitto tra il Regno d’Inghilterra e il Regno di Francia, si trascinò, con alcune interruzioni, per 116 anni, dal 1337 al 1453.
Ennio Peres
5. Il rompicapo fu ideato, nel 1883, dal matematico francese Edouard Lucas, che in quel periodo insegnava a Parigi. Il nome di Hanoi lo scelse, per donare al proprio gioco un connotato esotico.
ma non necessariamente tutti facili da risolvere
Bibliografia
2. Il famoso copricapo è nato in Ecuador, dove cresce la particolare paglia con cui viene realizzato. Il suo nome improprio deriva dal fatto che il presidente statunitense Theodore Roosevelt ne indossò un modello nel corso di una visita diplomatica al Canale di Panama, avvenuta nel 1906.
Giochi di parole Sono indovinelli scherzosi,
6. Il popolare gioco da tavoliere è stato inventato in Germania nel 1892 con il nome di Stern-Halma. Nel 1928, però, la società statunitense Pressman decise di commercializzarlo, ribattezzandolo: Chinese checkers (in italiano: Dama cinese), per ammantarlo di orientalità.
Il colore del cavallo bianco
con moduli indecifrabili continuamente respinti dai doganieri, ci mostrano l’onnipresenza e l’importanza di quei confini che in Europa abbiamo quasi dimenticato. Un taxi indiano bloccato nel traffico mentre tutti suonano ossessivamente il clacson non è proprio un esempio di efficienza nella gestione della mobilità ma è un aspetto caratteristico della vita indiana e molti autisti sono dei veri personaggi. Una prenotazione mancata può spostarci da un anonimo albergo internazionale a forme di ospitalità decisamente più interessanti. Insomma, al di fuori delle nostre Smart City d’Occidente, il viaggio è pieno di frizioni, rallentamenti, imprevisti, ma spesso sono proprio quegli aspetti che ricorderemo più a lungo dopo il ritorno. Nei momenti di difficoltà, quando siamo confusi, smarriti, a rischio, ci si schiudono punti di vista originali sul Paese visitato: la cura dell’ambiente, la paga e le condizioni di vita dei lavoratori, una diversità culturale radicale e irriducibile. Tutte le complessità e le ruvidezze di un viaggio riuscito.
7. Il noto cantautore è nato a Zapponeta, in provincia di Foggia. Tra l’altro, non si chiama Nicola, ma Michele (Scommegna). Il nome d’arte l’ha scelto in onore del santo omonimo, a cui è devoto.
di frizione possono essere anche rivelatori. Il dibattito e il conflitto sociale, aggirati dalle soluzioni tecnologiche, sono essenziali: mostrano chiaramente la diversità di interessi e di punti di vista da conciliare. La frizione rallenta i processi ma proprio per questo concede più tempo per approfondire, discutere, capire: è l’essenza stessa della democrazia. Certo un’organizzazione frictionless è preziosa se per esempio dobbiamo gestire efficacemente e velocemente i posti letto in terapia intensiva durante una pandemia o se dobbiamo affrontare una crisi umanitaria nella cooperazione internazionale. I viaggi e il turismo però non sembrano avere questi stessi caratteri d’urgenza. E dunque il viaggio senza attrito che la tecnologia ci promette non è necessariamente il viaggio migliore. Già alla fine del Cinquecento, nei suoi celebri Saggi, il filosofo Michel de Montaigne sosteneva che lo scopo principale del viaggio è proprio «sfregare il nostro cervello contro quello degli altri». Difficile immaginare un più convinto elogio dell’attrito. Le code interminabili alle dogane delle repubbliche centroasiatiche, alle prese
8. Il celebre piatto è nato nella città di Yangzhou, uno dei più antichi centri culinari cinesi. Il suo nome improprio è dovuto al fatto che i ristoranti cinesi più diffusi nel mondo sono cantonesi.
anni abbiamo scoperto che facilitare… non è facile, che la semplificazione paradossalmente è un processo complesso e impegnativo, soprattutto nel turismo, dove gli attori possono essere molteplici. Inoltre le tecnologie frictionless hanno anche risvolti inquietanti; non per nulla uno dei più importanti campi di applicazione è la guerra tecnologica. L’utilizzo dei droni riduce il numero di perdite tra i soldati del proprio esercito, ma può lasciare sul campo molte vittime civili: nel dicembre 2013 i droni dei marine americani hanno fatto strage in un matrimonio in Yemen, sposa inclusa. È un esempio portato all’estremo ma ci mostra che spesso l’efficienza e la correttezza di queste procedure è misurata solo dal punto di vista di chi ha più ricchezza e potere. Le soluzioni frictionless sono applicate negli ambiti più diversi: affari, design, filantropia, educazione, politica eccetera. Ma non sempre mantengono la loro promessa di risolvere i problemi economici e sociali riducendo i costi e aumentando l’efficienza. Nella nostra società complessa, le difficoltà, i punti
3. In base alla cronologia gregoriana, quello storico evento si concluse il 7 novembre. Secondo l’antico calendario, ancora in uso nella Russia zarista, però, quel giorno cadeva in ottobre.
Le tecnologie frictionless hanno anche risvolti inquietanti. (Pxhere.com)
«Nessun luogo è senza genio» scrive Servio, grammatico romano del IV secolo, col tono di chi dice qualcosa di ovvio. Nella cultura classica ogni luogo aveva un suo spirito, un dio minore: il genius loci appunto. In alcuni casi questa presenza si poteva avvertire con più forza, per esempio là dove sgorgava una fonte, alla confluenza dei fiumi, nel profondo del bosco o nel cavo di un’antica quercia. Anche gli spazi creati dall’uomo erano presidiati da un guardiano invisibile, a cominciare dagli incroci, dove si cambia direzione, si compiono scelte, si manifestano destini, si fanno incontri spesso inquietanti (in molti racconti il patto faustiano col diavolo si stringe proprio a un incrocio). Nel nostro cammino verso la modernità abbiamo perso completamente questa consapevolezza di come ogni luogo sia animato, abbia un’anima. Nel turismo contemporaneo gli spazi sono consumati al pari di ogni altro prodotto e questo uso banale li rende anonimi, li logora, li sfinisce. Certo alcuni paesaggi vengono celebrati per la loro bellezza, sono protetti, registrati in apposite liste, ma anche questa esaltazione in qualche modo li sottrae alla vita quotidiana. Il libro di Cascavilla, con la sua alternanza di teoria e racconti, offre invece le categorie per ristabilire un diverso rapporto coi luoghi attraversati, anche quelli caratteristici del nostro tempo, come le strade e le piazze delle grandi città, in muta attesa del ritorno del loro genio. / CV
4. Il lago di Garda ha una superficie di 368 km2, mentre quella del lago Maggiore è di 212 km2. Il suo nome Maggiore deriva dal fatto che anticamente, quando non erano state messe a punto delle tecniche cartografiche accurate, si pensava che fosse effettivamente il lago più grande d’Italia.
Un mondo senza attrito (Frictionless World) è possibile quando le tecnologie rendono la vita più facile, eliminando perdite di tempo, imprevisti, fastidi. Già nel 2011, Mark Zuckerberg rese popolare questo termine promettendo che Facebook avrebbe garantito «la serendipità in tempo reale in un’esperienza senza attriti». Il turismo è stato uno dei primi campi d’applicazione e a novembre BTO (Buy Tourism Online), il più importante spazio di confronto italiano sulle nuove tecnologie applicate al turismo, tratterà proprio questo tema nei suoi diversi aspetti. Nel frattempo l’intera esperienza turistica è stata ridisegnata dalla tecnologia, che interviene continuamente per offrire un’esperienza più semplice, veloce e conveniente. Un esempio? Al mondo ci sono circa due milioni di destinazioni e almeno dieci modi diversi di alloggiare in ciascuna di esse: siamo già a venti milioni di possibili combinazioni. L’intelligenza artificiale (AI) filtra questi infiniti contenuti e ne riduce il numero, assecondando i desideri del viaggiatore. La prenotazione poi avviene spesso su siti come Booking o Airbnb. Ma anche quando si rivolge direttamente a un albergo, il turista si aspetta risposte pressoché istantanee (si parla di impazienza digitale): poco meno della metà dei visitatori abbandona un sito dopo un ritardo di tre secondi nel caricamento di una pagina. In compenso, dopo resistenze iniziali, i consumatori si stanno abituando a interagire con chatbot e altre forme di assistenti virtuali. Una volta giunti a destinazione, nelle generazioni più giovani la guida cartacea è spesso sostituita da un’app sullo smartphone. Ogni luogo visitato viene poi recensito su Tripadvisor o Google. E così via. La pandemia ha dato un colpo durissimo al turismo ma al tempo stesso ha aumentato la penetrazione delle nuove tecnologie nel settore: di questi tempi il check-in in albergo e l’accesso alla propria camera, per esempio, avvengono spesso senza contatto umano (Contactless). E le realtà virtuali o aumentate, sin qui considerate poco più di una divertente curiosità, hanno preso una nuova concretezza quando sono diventate l’unica forma di visita rimasta. Tutto bene dunque? Non proprio. Per cominciare in questi ultimi dieci
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Ambiente e Benessere
Gigli dei rospi, affascinanti ed eleganti
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Mondoverde Molto simili alle orchidee
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ma di gran lunga più rustici, portano il nome di Tricyrtis
Durante il mese di agosto è già possibile ricevere il nuovo programma corsi 2021/2022. Non è mai troppo tardi per iniziare a fare del movimento o iscriversi ad un corso, provate anche voi! Per informazioni telefonare al centralino: 091 912 17 17 o visitare il nostro sito internet.
Anita Negretti Qualche tempo fa ho letto in una rivista di giardinaggio un nome buffo che mi è rimasto subito in testa, poiché non riesco a capire cosa accomuni un fiore all’animale del quale porta la denominazione. Sto parlando dei «gigli dei rospi», ovvero dei Tricyrtis, una famiglia di bulbose estremamente affascinante ed elegante, molto simili alle orchidee ma di gran lunga più rustiche. Utilizzate all’esterno, in giardini e aiuole a mezz’ombra, si sviluppano in completa autonomia. Com’è possibile che queste erbacee perenni dalle esigenze minime non vengano piantate ovunque, non riempiano ogni giardino ombroso, accanto a ortensie e piante di hosta, e non sfoggino il loro fascino in larghi gruppi sotto le fronde delle piante? Così belle da sembrare libellule dai colori accesi, non le paragonerei a dei rospi, come vuole invece il nome popolare, ma a dei gioielli dalle sfumature porpora da far indossare alle nostre aiuole.
Attività e prestazioni – Attivazione di quartiere siamo operativi con progetti di quartiere che mirano a favorire la coesione sociale e a riattivare la solidarietà intergenerazionale e tra vicini. Per i Comuni o i privati interessati a questo genere di progetti, siamo a disposizione per una consulenza. – Volontariato Cerchiamo volontari per l’accompagnamento a domicilio nel Locarnese. Si cercano persone maggiorenni che abbiano voglia di trascorrere in maniera regolare qualche ora in compagnia di un anziano, per piccole passeggiate, compagnia al domicilio o per accompagnare a fare delle commissioni. Si richiede un impegno regolare, senso d’ascolto e responsabilità.
Originari dell’Himalaya, arrivarono in Europa nel 1851 grazie al botanico danese Nathaniel Wallich
– DOCUPASS Con questo documento mettete per iscritto i vostri desideri, le vostre esigenze e le vostre aspettative per i casi di emergenza. l nostro dossier previdenziale è una soluzione globale riconosciuta nell’ambito di tutte le questioni regolamentabili in un documento con finalità precauzionale: dalle direttive del paziente al testamento. Proponiamo un corso di 2 ore per approfondire questo tema con una specialista. Maggiori informazioni sul nostro sito internet.
Sembrano un intreccio ben riuscito tra gigli e orchidee, con foglie decorative, caduche, di un verde brillante o con maculature simili a pizzi, in grado di colorarsi di giallo oro in autunno, regalandoci un ultimo saluto prima del freddo inverno. Tagliati a livello del terreno, i Tricyrtis rispunteranno in aprile, raggiungendo l’altezza di cinquanta centimetri con i loro steli leggermente arcuati, formando cespugli estivi molto decorativi. I fiori hanno la forma di una stella, i petali sono bianchi con punti violacei e mettono in evidenza i sei tepali regalandogli una forma curiosa.
– Pasti a domicilio Durante la crisi sanitaria i beneficiari del servizio sono aumentati notevolmente. Possono richiedere un pasto a domicilio le persone in età AVS o AI e le persone in malattia con certificato medico. Maggiori informazioni sul nostro sito o telefonando allo 091 912 17 17. – Servizio fiduciario: cerchiamo volontari per il sostegno amministrativo ad anziani, in particolare per il Mendrisiotto e per la Leventina.
Tricyrtis formosana x hirta. (amada44)
A fine luglio, tutti i boccioli si schiudono, fino a metà ottobre, ed è proprio durante l’estate di qualche anno fa che ho visto per la prima volta una di queste piantine. Entusiasta fin da subito della loro eleganza, ne ho piantata una in giardino, mischiando alcune manciate di torba nella buca e bagnandola generosamente durante la prima estate per garantirle un ottimo attecchimento. Mentre il mio giglio dei rospi fioriva in continuazione, io mi documentavo meglio su di esso: originario dell’Himalaya, arrivò in Europa nel 1851 grazie al botanico, collezionista e medico danese Nathaniel Wallich, ma solo negli ultimi anni vivaisti ed ibridatori hanno messo i loro occhi su di loro e vi hanno investito le loro conoscenze per creare nuovi ibridi e cultivar da lanciare sul mercato. Un esempio? T. formosana «Dark Beauty» con macchie sui petali viola prugna, «Empress», dai grandi fiori aerografati bianco e malva e «Tojen» con petali crema e disegni color lavanda.
Contatto: Pro Senectute Ticino e Moesano Via Vanoni 8/10, 6904 Lugano Tel. 091 912 17 17 – info@prosenectute.org Le nostre sedi regionali si trovano anche a: Balerna, Bellinzona, Biasca e Muralto
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Tricyrtis formosana (T. stolonifera). (James Gaither)
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Ambiente e Benessere
catastrofi annunciate
clima I cambiamenti sono più veloci di quanto si pensasse e gli effetti estremi sono sempre più frequenti
Loris Fedele Permettetemi di tornare idealmente al 16 febbraio 2005, una data che ai giovani ecologisti forse dice poco, ma per chi ha vissuto e seguito fin dall’inizio l’epoca delle preoccupazioni ecologiche segna una pietra miliare del discorso sul clima.
La comunità scientifica internazionale chiede a politici e società di agire con urgenza Quel giorno entrò in vigore il famoso Protocollo di Kyoto, il trattato che avrebbe dovuto difendere l’ambiente da tutti quegli inquinamenti, soprattutto dell’aria, che ne favoriscono il riscaldamento. Il Protocollo, messo a punto nel 1997 nella metropoli che gli diede il nome, seguiva una Convenzione voluta all’indomani della Conferenza di Rio de Janeiro del 1992. Era stato fatto l’inventario delle minacce per l’ambiente terrestre e si volevano dare direttive di comportamento per tutti i Paesi industrializzati, proprio quelli che erano ritenuti potenzialmente più pericolosi per gli equilibri planetari a causa delle forti emissioni di gas a effetto serra, anidride carbonica in primis. L’effetto serra è l’intreccio di fenomeni naturali che permette al pianeta di non congelare: se mantenuto a livelli accettabili garantisce la vita sulla Terra. A livelli altissimi, come su Venere, ogni forma di vita come la conosciamo è preclusa. Da noi l’azione dell’uomo, in particolare con l’industrializzazione, l’accresciuta mobilità e la globalizzazione, ha portato a una modificazione degli equilibri dell’effetto serra naturale, con un conseguente riscaldamento progressivo dell’atmosfera. Si dice questo per far notare che la grande eco mediatica, giustificatissima, seguita alla pubblicazione del 9 agosto scorso del sesto Rapporto ONU del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc) non è una novità. Rappresenta tuttavia l’ennesimo grido d’allarme, espresso in toni particolarmente crudi. A sorprendere è stata più la forma che non la sostanza, quella la conoscevamo già. Ma non è un caso. Il rapporto pubblicato dall’IPCC è il frutto del lavoro del suo primo gruppo di lavoro (WG1) che si occupa delle «basi scientifiche del cambiamento climatico». A esso si aggiungono i rapporti di altri due gruppi: WG2 sulle conseguen-
I satelliti ci segnalano che una vasta area del pianeta è devastata dagli incendi, sia naturali, sia provocati dall’uomo. (Vinícius mendonça)
ze del cambiamento climatico e WG3 sulle misure di protezione del clima. I risultati scaturiscono dalle attività dei servizi meteorologici nazionali e dalle università di 195 Stati, che mobilitano centinaia di scienziati super-qualificati. WG1 valuta lo sviluppo futuro del clima sulla base di scenari climatici ottenuti con dati scientifici certi, sviluppati con modelli globali. Il prossimo mese di novembre, a Glasgow, in Scozia, si terrà la Conferenza sul clima COP26 e il sesto rapporto dell’ONU appena pubblicato fornirà alle Nazioni partecipanti una base sulla quale discutere e negoziare (giova ricordare, per esempio, che fu il Rapporto IPCC del 2013 ad aprire la strada all’accordo di Parigi del 2015). Non per nulla il nuovo rapporto contiene quaranta pagine intitolate «Sommario per i responsabili politici». Un punto del sommario salta subito all’occhio. Secondo gli scienziati l’attuale evoluzione mondiale non è in linea con le prescrizioni dell’accordo
di Parigi: in sostanza, andando avanti così non si riuscirà a ridurre il riscaldamento globale a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali. Si parla addirittura di 3°C come dato più attendibile, cosa che fa aprire lo sguardo su scenari catastrofici. Altro punto novità: la prova provata che il contributo umano sia centrale nell’accelerazione del riscaldamento globale. Poi un’amara, e scientifica, constatazione: i cambiamenti sono più veloci di quanto si pensasse e gli effetti estremi sono sempre più frequenti. Se agli inizi, quando il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente e l’Organizzazione Meteorologica Mondiale fondarono l’IPCC (il primo Rapporto uscì nel 1990), c’era chi metteva in dubbio l’autorità, la competenza e l’imparzialità degli scienziati che raccoglievano i dati. Oggi la comunità scientifica internazionale è concorde nel dire che l’IPCC sta facendo il suo dovere già da tempo e che sono i politici e la società che devono mobilitarsi e agire con urgenza.
Facciamo un esame di realtà. cosa sta succedendo? Siamo da sempre confrontati con quelle che definiamo calamità naturali: cicloni, inondazioni, frane, incendi e via dicendo. Sappiamo che periodicamente arriveranno e da tempo stiamo imparando a fronteggiarle. Sappiamo anche che non sono frutto del caso ma seguono logiche precise, scatenate da situazioni altrettanto precise. Cosa sta succedendo al mondo in questo momento? Sono in corso spaventosi e vastissimi incendi in Siberia, in California e Oregon, in Sicilia e in Sardegna, in Turchia e Grecia. Per non parlare dell’Africa, quasi sempre ignorata dai nostri mezzi d’informazione. Lo testimonia in modo tragico e inoppugnabile una immagine satellitare distribuita dalla NASA, l’Ente spaziale americano, all’inizio di agosto. Mostra tutto il pianeta che brucia. L’estensione e la densità dei fuochi sono impressionanti. È sorprendente la zona centro-meridionale dell’Africa, in particolare Zambia, Angola, Ma-
lawi e Madagascar. Nella Repubblica democratica del Congo, poi, lo strato di fumo è così spesso che il satellite non riesce a dare una visione diretta delle fiamme ma fornisce la presenza di temperature altissime, indice di incendi. La NASA ovviamente non dice se i roghi siano dolosi o meno, ma fa capire che la posizione e il momento dell’anno alimentano più di un sospetto in questo senso, tanto più che da migliaia di anni i coltivatori usano il fuoco per pulire e rigenerare i campi per scopi agricoli e per rinnovare i pascoli. Oggi però sappiamo che questa pratica, se esasperata e incontrollata, è fonte di pericolo per la stessa gente, rilascia eccessivi gas serra e distrugge gli ecosistemi. Stanno bruciando in proporzioni allarmanti anche Cina, Malesia e Indonesia, in Asia, oltre al solito Brasile in Sud America. Dal fuoco all’acqua. Il Giappone è stato recentemente colpito
da piogge torrenziali senza precedenti con un disastro che ha interessato 21 prefetture del sud-ovest del Paese, dove sono straripati 14 fiumi. Alle devastanti inondazioni si è aggiunto il rischio di frane. Cinque milioni di persone hanno ricevuto un ordine di sfollamento. Catastrofe naturale, certo, ma che fa sentire in particolare i suoi tragici effetti dove l’uomo ha costruito troppo e magari male. Annoto che in seguito a importanti inondazioni questa estate in Turchia, lungo la costa Nord del Mar Nero, sono crollate varie case e infrastrutture, causando parecchie decine di morti. Il pianeta è stretto fra acqua e fuoco in fenomeni estremi sempre più frequenti. Il cambiamento climatico ne è la più che probabile causa. È un processo in atto suffragato da evidenze scientifiche. Proprio perché lo sappiamo e lo vediamo è puro autolesionismo aggiungere con il nostro comportamento situazioni disastrose a quelle naturali.
Il disboscamento della foresta amazzonica del Brasile costituisce uno dei maggiori disastri ecologici causati dall’uomo. (marizilda Cruppe/disclosure)
Come possiamo convincere gli scettici? Far abbandonare le reticenze e agire? Non bastano i cortei di protesta. La Natura ci sta dando segnali evidenti (vedi articolo di fondo di Peter Schiesser, «Azione» n° 33 del 16.8.2021), dobbiamo coglierli e muoverci più rapidamente nella giusta direzione. Un esempio per tutti: il disboscamento della foresta amazzonica del Brasile costituisce uno dei maggiori disastri ecologici causati dall’uomo. Dalla fine degli anni Ottanta sono state sottoposte a taglio raso superfici enormi per permettere l’insediamento di grandi aziende di allevamento bovino e per attività agroindustriali. La cosa era partita da lontano: fin dagli anni Sessanta con l’aiuto del governo militare si invitarono i coloni delle regioni aride del Nordest e delle aree urbane ad addentrarsi nell’Amazzonia con il miraggio di un futuro economicamente migliore. La popolazione di quella regione è passata da sei milioni a venti milioni di abitanti in cinquant’anni. Le politiche dei successivi governi democratici hanno agito allo stesso modo: lo sfruttamento e gli appetiti industriali hanno fatto il resto. Si sa che il bacino amazzonico è un regolatore importantissimo del clima del nostro pianeta. La foresta accumula enormi quantità di anidride carbonica sottraendola all’atmosfera e la defore-
stazione annulla questo beneficio. Ai fini climatici disboscare equivale a generare inquinamento dell’aria quanto l’uso dell’energia fossile: petrolio, gas, carbone. Tuttavia, su tutta la Terra tenere la foresta per la foresta non ha molto senso. C’è tanta gente al mondo che vive ai margini o dentro la foresta e vive della foresta. I boschi e le zone ricche di vegetazione sono una risorsa preziosa. In una corretta visione di sviluppo sostenibile è bene poter lasciar vivere queste persone nel loro ambiente, insegnando loro a non depredarlo o impoverirlo e a mantenerlo produttivo per le loro necessità. Se ne sta occupando per la Conservation International di Washington l’esperto ticinese Giacomo Fedele, dottore in Scienze Ambientali, da una decina d’anni attivo in Asia, Africa e Sud America nella salvaguardia delle foreste in riferimento ai cambiamenti climatici. «Grazie all’abilità delle foreste di rigenerarsi naturalmente, in principio, noi potremmo sfruttarle indefinitamente mantenendo invariata la loro superficie», annota in una sua pubblicazione, «sfortunatamente a livello globale questo non sta succedendo. È quindi importante sostenere le Nazioni affinché gestiscano responsabilmente le proprie foreste. Perché i boschi hanno bisogno della gente quanto la gente ha bisogno dei boschi».
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Smoothie alla nettarina e al cetriolo
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testo: dinah leuenberger; ricetta: andrea Pistorius, migusto; foto: Veronika studer
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PRePARAZIONe Dimezza le nettarine, snocciolale e taglia la polpa a pezzetti. Pela parzialmente il cetriolo, lasciando delle strisce di buccia, poi sminuzzalo. Grattugia finemente lo zenzero. Riduci in purea le nettarine e il cetriolo in un frullatore potente con lo zenzero, il succo di mela, la cannella, la polpa di olivello spinoso, l’olio di lino e, a piacimento, lo sciroppo d’acero. Servi subito. SUGGeRIMeNTO Sostituisci le nettarine con delle pesche.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 23 agosto 2021 • N. 34
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Ambiente e Benessere Migusto la ricetta della settimana
Uno spezzatino Fagiolini verdi con d’agnello salsiccia speciale Piatto Antipasto principale
migusto.migros.ch/it/ricette Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.
Ingredienti per 4 persone: 800 2 salsicce g di spezzatino ticinesi did’agnello, circa 180 ad g ciascuna esempio·spalla 3 cipollotti · sale · pepe 2 spicchi · 2 cucchiai d’aglio ·d’olio ½ mazzetto di colzadi HOLL timo · 44spicchi c d’oliod’aglio d’oliva· ·2400 cipolle g digrosse pomodori · 8 pomodori cherry · secchi pepe dal sott’olio macinapepe · ½ cucchiaio · 600 g di difagiolini farina · verdi 4 dl di· sale. brodo di manzo · 50 g di olive nere snocciolate · 4 fette di prosciutto crudo · 2 cipollotti · 1 limone. 1. Incidete il budello delle salsicce, estraete la carne e sbriciolatela grossolana1. Condite la carne con sale e pepe e rosolatela bene nell’olio in una padella. mente. Dimezzate l’aglio, tritate grossolanamente cipolle. Aggiungete aglio, cipollelee 2. Sminuzzate finemente i cipollotti. Tritatelegrossolanamente l’aglio. Staccate pomodori alla carne, con la farina e bagnate con il brodo. Mettete foglioline di timo dai spolverizzate rametti. il e stufate a fuoco medio-basso per circa la 50salsiccia minuti. eLasciate il coper3.coperchio Scaldate l’olio d’oliva in una padella e rosolatevi l’aglio per circa chio leggermente aperto permetteretagliati al vapore di fuoriuscire padella, in 5 minuti. A piacere, uniteper i pomodori a metà, i cipollottidalla e il timo e fate modo il liquido si riduca. saltareche il tutto brevemente. Condite con il pepe. 2. Tagliatei le olive e in i cipollotti a rondelle sottili, il prosciutto a dadini. Ricavate 4. Lessate fagiolini acqua salata, scolateli e fateli sgocciolare. delle listarelle dalla scorza del limone. Mescolate tutto. 5. Servite i fagiolini con la salsiccia. 3. Spremete la metà del limone. Condite lo spezzatino con il succo di limone, sale ePer pepe distribuite la gramolata carne. un epiatto principale, servite lasulla salsiccia con la polenta.
Un piatto gustoso che30può essere accompagnato con pasta o semplicemente con Preparazione: circa minuti. fette di pane. circa 22 g di proteine, 25 g di grassi, 12 g di carboidrati, 390 kcal/ Per persona: 1600 kJ. Preparazione: circa 20 minuti; brasatura: circa 50 minuti. Per porzione: circa 47 g di proteine, 27 g di grassi, 13 g di carboidrati, 520 kcal/2150 kJ.
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Ambiente e Benessere
Fare il bagno al largo per vedere da lontano gli ombrelloni oni oni oni… Sport Un tempo giocavamo sulla spiaggia con le biglie contenenti le immagini dei ciclisti.
Oggi imperversano Paddle e Padel
Giancarlo Dionisio Grafie diverse. Lievissima sfumatura di pronuncia. Paddle e Padel guidano la classifica delle attività più «fun» sulle spiagge di mezzo mondo. Il SUP, o Stand Up Paddle, non è una novità di quest’anno. Da tempo lo si pratica anche sui nostri laghi. Meno emozionante del Kitesurfing, più rudimentale del Windsurfing, è spesso un’opportunità per fuggire dalla spiaggia affollata, godere di un’oretta di sana e tranquilla solitudine, e curare l’abbronzatura, al largo, sdraiati sulla tavola, magari alla ricerca di quella tintarella integrale che sembra essere tornata un tabu, dopo anni di seni al vento. Ridere delle disavventure altrui non è carino, ma quando non ci sono pericoli reali, in un pomeriggio di ozio balneare ce lo si può concedere. Infatti, seguire un neofita adulto, non più giovanissimo e non particolarmente atletico, può essere uno spettacolo divertente, sin dal momento in cui tenta di mettere il suo mezzo in acqua. Il solo salirci sopra può comportare delle difficoltà. Inoltre, mettersi in posizione eretta sulla tavola, e cominciare a pagaiare come un gondoliere di Venezia non è un’operazione facilissima. Una volta appresa la tecnica ci si dovrà accontentare di procedere alla velocità di una lumaca in fase digestiva.
Dimenticate il brivido dell’avventura. Se il mare è calmo, rischiate di camminare sul posto. Se è agitato, addio equilibrio. Meglio rientrare a riva. L’ebbrezza delle vele che si gonfiano ve la potete scordare. Il SUP è un’attività per persone tranquille. Dalla vostra, c’è il fatto che dopo alcune uscite potrete esibire una splendida carnagione color ebano, che vi farà fare un figurone in discoteca. Lì sì, vi potrete scatenare. Voto su scala da uno a sei: quattro e mezzo. Altra storia il Padel, che eccita gli emuli di Roger, Rafa e Nole. Anch’esso non è una novità. Il suo arrivo sulle spiagge risale già ad alcuni decenni or sono. Sui litorali italiani lo si chiamava semplicemente tennis da spiaggia. Lo si giocava con dei racchettoni in plastica da 500 lire l’uno. Le palline, della stessa dimensione di quelle da tennis, potevano essere «hard» o «soft». Vabbè, questi termini li abbiamo anche in italiano: «dure» o «morbide». Di regola le prime venivano utilizzate sul bagnasciuga, le altre con le gambe immerse nel mare fino alle ginocchia. Non ho mai capito il perché, visto che le «hard» rischiano di fare del male a chi se ne sta tranquillamente spaparanzato sul lettino a leggere o a sonnecchiare, e se le vede improvvisamente arrivare in faccia o... Storicamente, l’invenzione del Padel viene attribuita al messicano Enrique Corcuera. Nel 1969 voleva a tutti i
Giochi
costi un campo da tennis privato. Non essendo sufficiente lo spazio a sua disposizione, pensò di inventare questa versione mini del doppio, applicando delle regole molto simili a quelle del tennis. Le medesime ragioni spaziali hanno poi trasportato sulle spiagge questa disciplina tanto in voga in Argentina e Spagna. Non è un caso che queste due nazioni si siano spartite i tredici titoli mondiali finora assegnati. Pare che l’estate 2021 abbia visto un proliferare di tornei, campionati, sfide, scommesse con tanto di pizza e birra in palio. Si tratta indiscutibilmente di una disciplina bruciacalorie. Se la brezza marina vi accarezza, senza neppure rendervene conto potrete giocare per delle ore, senza patire i raggi del sole che sferzano la vostra pelle. Anche con il Padel, abbronzatura garantita. Ovvio, farete concorrenza in discoteca agli adepti del Paddle. Una raccomandazione: calzate un cappellino, di giorno. Nessuno vieta che lo portiate anche la sera sulla pista da ballo. Dicono che faccia tendenza. Voto, sempre su scala da uno a sei: cinque. Vorrei precisare che, per principio, sono contrario al sei. Ritengo che la perfezione non appartenga alla sfera umana. Potrei salire al cinque e mezzo se decidete di giocare su una spiaggia deserta della Normandia, o su quella di un’isola greca a scarsissima vocazione
Non ping pong, non tennis, ma padel, anche al mare. (© Vincicius)
turistica. Se invece vi cimentate a due passi dal mio ombrellone, potrei anche rimandarvi a settembre. Scherzi a parte, Paddle e Padel, al pari di tutte le altre attività da spiaggia, ci hanno ricordato che dopo un 2020 di paure, sacrifici e, per taluni, di sofferenza e di lutto, siamo tornati a considerare l’ipotesi di poter trascorrere le vacanze al mare, di abbandonarci alla contem-
Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku
Cruciverba Per scoprire il vero nome di Lady Gaga, risolvi il cruciverba e leggi nelle caselle evidenziate. (Frase: 7, 10)
ORIZZONTALI
1. Una fibra tessile 4. Muggini 9. Gli dei di Sigfrido 10. Vento del Sud 11. Nelle gare fa... girare 12. Si ripetono nel nome di D’Alessio 13. Radici commestibili 14. Opera Nazionale Assistenza 15. Hanno deficienza
Sudoku Soluzione:
Scoprire i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.
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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
I premi, cinque carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.
20. Primo cardinale inglese 21. 20 orizzontale in italiano 22. Torna... se ora non c’è 23. Terzogenito di Adamo 24. Unitamente 25. Corona
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16. Uno spumante 17. 101 romani 18. Sintesi dei trascorsi fisiologici
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plazione dello sciabordio delle onde, di concederci qualche delizia della tavola in più, e soprattutto di condividere momenti divertenti e spensierati con altri esseri umani. Ne avevamo bisogno. In quest’ottica, potrei persino venire meno ai miei principi, e attribuire a entrambe le attività, e a tutte le altre che ci portano fuori dalla quotidianità, un bellissimo, sontuoso sei tondo tondo.
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1. Perspicace, astuto 2. Sottili, fragili 3. Pronome personale 4. Una come un’altra 5. L’estate dei parigini 6. Un indimenticabile Dario attore 7. Il conduttore Pasquale Di Molfetta 8. Sdegnati, risentiti 10. I sonni dei più piccoli 13. Rigagnolo in poesia 14. Misure di tempo 16. Le iniziali dell’attrice Nielsen 19. Cibo celeste 20. Vergogna, disonore 21. Tre vocali 22. Il nome dell’attore Hanks 23. Le iniziali del pittore Dalì 24. Due quinti di cento Partecipazione online: inserire la
soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la so-
Soluzione della settimana precedente
CONOSCERE GLI ANIMALI – Il nome dell’animaletto è: FENNEC O VOLPE DEL DESERTO.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 23 agosto 2021 • N. 34
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Politica e economia Dietro i Talebani, il Pakistan Formalmente alleato degli Stati Uniti, il Pakistan è il paese che ha reso possibile la vittoria dei Talebani sull’America
Biden sotto accusa Il presidente Usa viene criticato per la fuga caotica dall’Afghanistan e per la vittoria dei Talebani. Ma pace non c’è mai stata e nessuno ci ha mai davvero creduto
Il canale che cambiò la storia Il Canale di Suez, cerniera liquida che collega Asia ed Europa tuttora di importanza capitale, è frutto di un sogno millenario pagina 33
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Keystone
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Il tramonto della Nato
Afghanistan La caotica ritirata da Kabul è un simbolo del nuovo corso America first e alone - Washington mette
gli interessi nazionali al di sopra di quelli dell’Alleanza atlantica anche sotto la presidenza Biden Lucio Caracciolo La guerra afgana è finita per la Nato con una mini-guerra fredda nella Nato. La caotica ritirata da Kabul non governata dagli americani, che se la sono squagliata lasciando gli «alleati» alla loro incerta sorte, ha scatenato furiose recriminazioni da parte dei soci europei e in particolare dei «cugini» britannici. Con qualche ritardo, nelle capitali europee si è finalmente preso atto che America first, e se del caso alone, non è marchio del signor Donald Trump ma di questa America. Con qualche ipocrisia, molti europei ne fanno un marchio d’infamia. Con una dose di realismo, occorre riconoscere che si tratta dell’approccio che normalmente gli Stati adottano nel mondo. In termini piani si chiama «interesse nazionale». Naturalmente interpretabile secondo circostanze e convenienze. Perché allora questi cori di stizzita denuncia, perché questa esibizione di cuori infranti, da amanti delusi? Perché ci eravamo raccontati che esi-
ste una parte di mondo che si chiama Occidente, e oggi scopriamo che ne resta un pallido fantasma. Area geopolitica informalmente estesa come la Nato più appendici neutrali, quali Svezia, Finlandia, Svizzera – spesso più atlantiche di alcuni paesi formalmente atlantici ma vocazionalmente «ecumenici», come l’Italia. Con qualche socio troppo orgoglioso per ammettersi ascaro degli Usa – su tutti la Francia, alleata ma non allineata. Questo schieramento è certamente esistito ai tempi della guerra fredda, in chiave antisovietica. Ma negli ultimi trent’anni, dopo il suicidio del Nemico esistenziale, è evidente a ciascuno come non esista un interesse superiore collettivo condiviso, tantomeno automatico. Di qui le tensioni e le crisi interne alla galassia occidentale. E all’interno dei suoi singoli Stati. Stati Uniti in testa. Quando il caso afgano passerà in giudicato con quel minimo di distanza storica che ragione impone, la sentenza sarà preceduta da una premessa, che suonerà più o meno così: «La guerra in
Afghanistan fu la conferma che l’America post-sovietica non si pensava più come leader di uno schieramento geopolitico, ma come superpotenza abilitata a muoversi per conto suo, in nome dei propri superiori interessi. Così fece rifiutando l’offerta di aiuto della Nato, subito dopo l’11 settembre 2001. E confermò, a guerra straperduta, nell’agosto 2021, quando sgombrò disordinatamente il campo senza curarsi né degli associati locali né degli alleati atlantici, che avevano voluto partecipare a quella missione insensata per dimostrare al capo di esistere e di potergli essere utile – ottenendo l’effetto opposto». Il discorso con cui il 16 agosto Joe Biden ha voluto spiegare urbi et orbi il ritiro dall’Afghanistan è perfettamente in linea con le asserzioni del suo predecessore, che quella fuga aveva deciso. Sintassi e tono a parte, «Sleepy Joe» si è dimostrato abbastanza sveglio per interpretare la tragedia in atto come compimento di una scelta logica, sia pure tardiva. Se Trump fosse meno egocentrato e più sportivo, avrebbe do-
vuto congratularsi con Biden. Il cui argomento può sintetizzarsi come segue. Primo: questa America non si può permettere di continuare a toreare in giro per il mondo in teatri secondari contro nemici inafferrabili, dunque imbattibili, spendendo trilioni di dollari e spandendo invano sangue patrio (oltre che altrui, ma questo interessa ovviamente meno). Secondo: deve occuparsi anzitutto di ricucire le ferite interne – sociali, culturali, etniche – e di impedire alla Cina di subentrarle come Numero Uno globale. Sempre tenendo sotto schiaffo la Russia, permanente ragione sociale della Nato. A sua volta condizione della permanenza degli Stati Uniti in Europa, pur con un formato militare e un’impronta geopolitica ridotta. Terzo: cari soci europei, dateci una mano dove ci servite, ovvero nello spazio euromediterraneo su cui dobbiamo ridurre la presa per concentrarci sull’Indo-Pacifico. Inutile venirci in soccorso alle frontiere della Cina, perché non ne avete le risorse e sguarnireste così il vostro tratto di fronte.
Docilmente abbandonati alla brezza della post-storia, gli europei, in ordine rigorosamente sparso, si affaticano ora a cercare un modo per convivere con questa America. E con il caos che la carenza di leadership comporta. Per almeno qualche anno sarà difficile che la Nato possa essere usata come strumento collettivo di potenza da parte dei paesi che ne fanno parte. I satelliti e gli inerti che vi si sono iscritti dal 1949 devono cominciare a riprendere il futuro in mano, come stabilì Angela Merkel nel 2017, appena rientrata in patria dopo l’incontro-scontro con Trump. Non ne hanno, ad oggi, i mezzi materiali e immateriali. Specialmente la Germania, dotata di un esercito piuttosto ridicolo, quasi fosse ancora in pieno dopo-seconda guerra mondiale (e ci resta, infatti, più di quanto appaia). Per gli analisti geopolitici oggi, per gli storici domani, la decomposizione della galassia occidentale sarà argomento di sicuro interesse. Per i contemporanei di questa deriva, motivo di qualche preoccupazione.
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Cyberbullismo: da piccoli individui, grandi responsabilità Incredibile ma purtroppo vero: la Svizzera è tra i paesi europei più colpiti dal cyberbullismo!
S
econdo il vocabolario, il cyberbullismo è la vessazione o diffamazione di persone in internet. In Svizzera, questi attacchi tramite mezzi digitali come WhatsApp, Snapchat o Instagram sono particolarmente diffusi rispetto a quanto avviene nel resto del mondo. Secondo uno studio, un quarto dei giovani interrogati al riguardo ha ammesso che almeno una volta qualcuno ha tentato di maltrattarli in rete. «Con il cyberbullismo le molestie non terminano alla fine della scuola e penetrano invece fino alla cameretta», dice riguardo a questa tragica situazione Daniel Betschart, responsabile del programma di alfabetizzazione mediatica alla Pro Juventute. Henkel Beauty Care lancia un segnale contro tutto ciò e donerà il 2% del profitto
derivante dalla vendita di ciascun prodotto alla fondazione Pro Juventute, per la lotta contro il cyberbullismo.
«Il cyberbullismo penetra fino alla cameretta». Daniel Betschart Pro Juventute Henkel Beauty Care realizza noti prodotti di marca come Syoss, Taft o Nature Box. «Con i nostri prodotti di bellezza, le persone possono dare espressione alla loro bellezza individuale. Tuttavia, troppo spesso nei social media assistiamo a fenomeni di mobbing nei confronti di coloro che scelgono di presentarsi nella loro unicità e diversità. Siamo infatti convinti che tutti quanti abbiano il diritto di sentir-
si belli. Con la nostra iniziativa ‹Respect Everybody’s Beauty› sosteniamo la necessità di una condotta più rispettosa e meno violenta in rete», spiega Christian Volk, General Manager e Head of Marketing presso Henkel Beauty Care Svizzera. «Pro Juventute è il partner ideale per questo proposito, poiché in Svizzera la fondazione è il punto di contatto per bambini, giovani e genitori quando si tratta di cyberbullismo».
«Sosteniamo la necessità di una condotta più rispettosa e meno violenta in rete».
L’iniziativa riguarda tutti i marchi di Schwarzkopf, Syoss, Taft, Brillance, Gliss Kur, Ansatzset, Nature Box, Blonde, Only Love, Live, Perfect Mousse e molti altri.
Christian Volk Henkel Beauty Care
Ulteriori informazioni all’indirizzo:
Fonti: Studio James 2020 dell’Università di Scienze Applicate di Zurigo; Ufficio federale di statistica, aprile 2020
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 23 agosto 2021 • N. 34
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Politica e economia
Il vero vincitore è il Pakistan Afghanistan Islamabad, e in particolare gli onnipotenti servizi segreti militari dell’Isi, sono i veri artefici
della vittoria dei Talebani, una creazione degli stessi servizi segreti pakistani Francesca Marino «Sui libri di storia scriveranno che l’Isi (i servizi segreti militari pakistani) in Afghanistan ha sconfitto l’Unione Sovietica con l’aiuto dell’America. E poi aggiungeranno che l’Isi, con l’aiuto dell’America, ha sconfitto l’America». Così parlò, nell’ormai lontano 2014, il generale Hamid Gul. Famoso, o per meglio dire famigerato, capo della suddetta Isi negli anni Ottanta: principale architetto dell’avanzata dei mujahidin e della creazione dei Talebani, ideologo dell’uso dei gruppi terroristici come strumento di politica estera e inventore dell’ultimo e più riuscito avatar dell’attuale premier pakistano, da playboy internazionale e frequentatore dell’alta società londinese a «Taliban» Khan, senza soluzione di continuità. La clip, tratta da un programma TV a cui Gul veva partecipato come ospite, sta facendo da giorni il giro dei social media pakistani. Così come la clip in cui Imran Khan dichiara che gli afgani hanno «finalmente spezzato le catene della schiavitù»: hanno cioè abbandonato i perversi e dissoluti modi di vivere occidentali, a partire dall’abbigliamento per finire all’istruzione, per abbracciare finalmente una vera indipendenza di modi e di pensiero ritornando sotto la grande e illuminata egida dei fautori dell’Islam integralista. Mentre i Talebani, senza sparare un colpo ma armati fino ai denti, occupavano il palazzo presidenziale a Kabul issando la loro bandiera di morte, in Pakistan, o almeno in gran parte del Pakistan, si festeggiava. Tutti i maggiori esponenti delle organizzazioni terroristiche amabilmente ospitate da Islamabad inviavano messaggi di congratulazioni al mullah Baradar e ai suoi per la storica vittoria ottenuta. I generali, in preda alla sindrome di Napoleone, facevano circolare i profetici messaggi di Gul buonanima e alcuni ministri dello stato, tanto per fare buon peso, dileggiavano gli americani postando foto di Kabul come Saigon. E d’altra parte, dal loro punto di vista, avevano ottimi motivi per farlo. Grazie alla miopia strategica e geopolitica della coalizione
Il primo ministro pakistano Imran Khan con i leader dei Talebani il 18 dicembre 2020 a Islamabad; il Mullah Baradar è il secondo alla destra di Khan. (Keystone)
Nato tutta, Islamabad può finalmente cantare vittoria. Il Pakistan ha tenuto in cassaforte per anni il mullah Omar e la shura di Quetta, gli ha fatto comprare case e proprietà, ha mandato a scuola i loro figli, ha addestrato le loro truppe. Ha tenuto Baradar in una safe house a Karachi rifiutandosi caparbiamente di consegnarlo agli americani, ben sapendo che Baradar, Omar, e la shura tutta erano una specie di polizza di assicurazione sul fatto che il Pakistan avrebbe rivestito ancora una volta un ruolo centrale nel destino dell’Afghanistan. Per evitare che a Kabul si installasse definitivamente un governo filo-indiano, per perseguire il vecchio sogno della profondità strategica e perché la
profondità strategica coincide perfettamente, negli ultimi anni, con le mire espansionistiche cinesi della Belt and Road Initiative. E mentre a Kabul la stampa internazionale sdoganava un branco di loschi figuri che fino a qualche giorno prima avevano allegramente sgozzato colleghi giornalisti (definiti «danno collaterale») insistendo sul fatto che i cosiddetti Talebani 2.0 sono più buoni e gentili di quanto non fossero vent’anni fa, nel resto del paese la mattanza era già cominciata. Da tutto l’Afghanistan arrivano infatti notizie di rastrellamenti, di liste di ragazze e vedove compilate perché le signore sia-no date in sposa ai Talebani, arrivano telefonate
disperate e notizie di case perquisite, passaporti bruciati, donne rimandate a casa dall’università o dal posto di lavoro, uomini braccati perché colpevoli di aver lavorato per il governo o per l’Occidente. E, in barba a quelli che sostengono che i Talebani sono un prodotto autoctono e sostenuti dalla popolazione, le testimonianze sul campo provenienti da più parti e da luoghi diversi, mettono in luce un fatto che sembra a prima vista peculiare: i «nuovi» Talebani, o almeno molti di loro, parlano una «lingua straniera». Non parlano cioè nessuna delle lingue comunemente parlate in Afghanistan. I Talebani afgani, ospitati e facilitati da Islamabad, rac-
coglievano infatti da tempo donazioni «volontarie» in Pakistan e facevano campagne di reclutamento mentre l’esercito pakistano addestrava reparti speciali e creava nuovi gruppi. Non solo il campo di Balakot bombardato dall’India nel 2019 era destinato ad addestrare volontari da mandare in Afghanistan, ma la Jaish-e-Mohammed ha anche una base a Quetta che viene utilizzata per le sue operazioni afgane. In Afghanistan ha stabilito basi a Kandahar e nel nord della provincia di Helmand. E i quadri della JeM sono attivi da almeno un anno nelle aree di Ghazni, Geelan, Helmand e Nangarhar. Dietro pressione di Sirajuddin Haqqani, comandante militare legato ad Al Qaida e ai servizi pakistani, il capo spirituale dei Talebani ha perfino sdoganato gli «anti-islamici» attacchi suicidi che del gruppo Haqqani sono la specialità. Perché, è bene metterlo in chiaro, i Talebani 2.0, così come i «buoni» Talebani, non esistono. Gli americani parlano adesso di «patti violati», dimenticando che dalla firma dell’accordo di Doha in poi tutti i proclami di Baradar e compagnia andavano nella stessa direzione. Così come, mentre l’attenzione è focalizzata sulle dichiarazioni dei «nuovi» Talebani, veicoli militari, equipaggiamento e armi tolte all’esercito regolare afgano vanno nottetempo ormai da giorni nella stessa direzione: il Pakistan. I nuovi Talebani, in realtà, fanno il paio con il «nuovo» Pakistan proclamato da Imran Khan al tempo della sua elezione a premier: una fabbrica di terroristi islamici che sta cercando di cambiare anche le regole dell’istruzione ufficiale, giudicata «troppo occidentale». Vino vecchio in una nuova bottiglia, come si dice. La domanda che resta sul tavolo, quella vera, è soltanto una: si sono accorti gli americani di aver fatto per vent’anni la guerra al paese sbagliato, e di aver giocato al gioco di Hamid Gul cercando ogni motivo per foraggiare con denaro pubblico ed equipaggiamento militare i mandanti di quegli stessi terroristi a cui davano la caccia in Afghanistan?
Il medico che curava le ferite della guerra
In ricordo La storia di una delle tante vittime salvate da Emergency, in omaggio all’opera di Gino Strada Proprio mentre il suo amato Afghanistan tornava sotto il giogo dei Talebani, il fondatore dell’associazione umanitaria Emergency Gino Strada è morto il 13 agosto in Normandia all’età di 73 anni. La caparbietà, la generosità, la dedizione alle vittime di ogni guerra ha fatto di questo chirurgo da decenni in prima linea una figura che ha ispirato e continua ad ispirare migliaia di persone. Dal 1994 Emergency ha curato 11 milioni di persone in 18 paesi del mondo segnati dalla guerra (e ricordando che il 90 per cento delle vittime sono civili). La nostra collaboratrice Francesca Mannocchi, rientrata precipitosamente dall’Afghanistan dopo la caduta di Kabul, gli dedica un ricordo mettendo l’accento su una delle tante vittime che Emergency ha aiutato, quindi sulla sua opera più che sulla persona di Gino Strada, per mostrare in quale realtà operava. / Red. *** Della prima volta che sono stata nell’ospedale di Emergency a Kabul, tre anni fa, ricordo gli occhi di un padre. Muhammad Youssef. Quarant’anni che sembravano mille. Era un conta-
dino della provincia di Ghazni, la provincia strategica sulla rotta che collega Kabul e Kandahar, caduta nelle mani dei talebani nei giorni scorsi. Muhammad Youssef era un uomo di poche parole, che fosse umile si capiva dalla mappa disegnata sulle mani dalla fatica, che fosse povero si capiva dagli abiti consunti, dai piedi segnati in un paio di scarpe che pareva indossare da anni. Muhammad Youssef è un uomo per cui ho cercato a lungo un aggettivo che lo definisse. Poi mi sono rassegnata, ce n’era uno solo: Muhammad era un uomo buono. Era arrivato nell’ospedale di Emergency con un’ambulanza un giovedì pomeriggio. La veste bianca sporca di sangue, tra le braccia suo figlio Ansarullah, di due anni. Stava giocando intorno casa quando un proiettile vagante gli ha staccato un pezzo di braccio e l’ha ferito sul torace. A quei tempi, tre anni fa, le truppe governative e i talebani combattevano già per il controllo dell’area. «Sulle montagne combattono ogni giorno, sulle montagne combattono ogni giorno» scandiva la voce di Muhammad Youssef, mentre spiegava ai dottori cosa fosse successo.
Niente di nuovo, dunque, a Ghazni. Non diverso da quello che accade in queste ore. Niente di imprevedibile, quello che accadeinquestapartedimondo. Muhammad Youssef e sua moglie stavano lavorando la terra, mentre i bambini giocavano a palla. A fine lavoro Muhammad è rientrato in casa, si è diretto verso il bagno per lavarsi lasciandosi alle spalle il rumoreggiare dei
bambini. Poi ha sentito delle grida, ha aperto la porta, ha visto suo figlio correre nel corridoio gridando «Mamma, Mamma» e al secondo grido si è accorto che non aveva un braccio. Tranciato via dai combattimenti. Poco importa a chi appartenesse il proiettile. Il braccio non c’era più. Muhammad ha preso suo figlio, ha chiesto aiuto all’ambulanza di Ghazni
Muhammed Youssef con suo figlio Ansarulllah. (alessio Romenzi)
ed è arrivato a Kabul. Cinquanta chilometri, tre ore di viaggio. Cinquanta chilometri, tre ore di urla. Cinquanta chilometri, un bambino di due anni, un solo braccio. «È stato fortunato, però, mio figlio, perché se non fosse arrivato da lontano, quel proiettile, se l’avesse colpito da vicino, sarebbe morto. La vita è così, qui.» La vita è così, tuo figlio perde un braccio ma è fortunato perché è vivo. La vita è così, si combatte sempre e sempre. La vita è così, non importa a chi appartenesse il proiettile. La vita è così, 40 anni di guerra. Un figlio amputato, un padre che lo ascolta piangere e non si lamenta, non grida, non piange a sua volta, non impreca, non giudica, non incolpa. Perché, qui, la vita è così. Muhammad Youssef era un uomo buono, e i suoi occhi li porterò con me a lungo. Li ho portati con me anche oggi, qui a Kabul, seduta all’esterno dell’ospedale di Emergency quando è arrivata la notizia della morte di Gino Strada. Li porterò con me a lungo come gli insegnamenti di Gino. Che non si rassegnava a quella vita così, e curava gli uomini buoni, e quelli meno buoni. / Francesca Mannocchi
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Politica e economia
La fine della guerra buona Da Bush a Biden Non si possono capire i tragici eventi delle ultime settimane, se non si comincia
con una ricostruzione storica su come è cambiata la visione strategica degli Stati Uniti sull’Afghanistan
Federico Rampini Joe Biden è stato già condannato dal tribunale delle élite globaliste, di destra e di sinistra, per la débacle afgana. Il processo sommario al presidente confonde due cose: il tragico caos con cui è cominciata la ritirata americana; e la decisione stessa di concludere una guerra durata vent’anni. Nell’angoscia provocata dalle immagini di Kabul molti condannano sia la pianificazione ed esecuzione del ritiro, sia il ritiro stesso. Nel coro dei critici non mancano i malati di amnesìa: gli stessi che avrebbero voluto processare George W. Bush per crimini contro l’umanità quando invase l’Afghanistan, oggi accusano l’America per l’abbandono del paese.
La scelta del ritiro cade in un momento di perdita di popolarità del presidente americano, al centro delle critiche sui temi economici e sociali A Biden va dato atto, almeno, di una certa coerenza. Da senatore votò a favore dell’intervento militare in Afghanistan come reazione all’attacco dell’11 settembre 2001. È dal 2009, però, che Biden preme per il ritiro. Da quando divenne vicepresidente di Barack Obama, si è distinto per una battaglia contro i generali del Pentagono, fautori di una presenza militare a tempo indeterminato. Non si possono capire i tragici eventi delle ultime settimane, se non si comincia con una ricostruzione storica su come è cambiata la visione strategica degli Stati Uniti sull’Afghanistan: da Bush a Obama, da Trump a Biden. In questa ricostruzione un ruolo di spicco spetta al Pentagono. Poi ci sono fattori esterni – le profonde trasformazioni nella geoeconomia energetica del pianeta; e nella percezione della Cina a Washington – che hanno influito. L’evoluzione lungo quattro presidenze aiuta a capire perché Biden è così determinato, e disposto a pagare un prezzo d’immagine pur di districarsi da un teatro che non considera più di vitale interesse strategico. Bush invase l’Afghanistan all’inizio per una ragione incontestabile: là era ospitato e protetto dai talebani Osama Bin Laden; dal suo rifugio afgano il capo di Al Qaeda aveva progettato l’attacco dell’11 settembre, quasi tremila civili uccisi. Ben presto il Pentagono si accorse che per estirpare Al Qaeda e castigare i talebani non bastava cospargerli di bombe dai cieli. Gli alleati della Nato furono convinti ad unirsi all’America – in virtù dell’articolo 5 sull’obbligo di mutuo soccorso verso uno Stato membro aggredito – nell’invasione terrestre. Ma nel corso del 2002 a Washington cominciò a maturare il piano di invadere l’Iraq per regolare i conti con Saddam Hussein e rifare le mappe strategiche del Medio Oriente. La guerra in Afghanistan cominciò a scivolare in secondo piano. In seno al partito democratico stava per nascere la stella di Obama, oscuro senatore di Chicago, applaudito dall’ala sinistra del partito per essersi dissociato dalla guerra in Iraq. La geografia politica di Washington si sovrappose alla geopolitica del Medio Oriente. Una parte dei democratici scelsero l’Afghanistan come la guerra «buona», legittima. La sinistra caricò l’occupazione militare afgana di compiti umanitari a cominciare dalla liberazione
Fuga dall’ambasciata Usa a Kabul. (Keystone)
delle donne afgane. Il partito repubblicano preferiva occuparsi dell’Iraq, del petrolio, degli interessi geo-economici nella parte più ricca del Medio Oriente, crocevia tra Israele, Iran e Arabia saudita. Con l’elezione di Obama nel novembre 2008 la divaricazione si è accentuata. Bisognava abbandonare l’Iraq, la guerra immorale; e raddoppiare l’impegno in Afghanistan. Il Pentagono ha continuato ad alimentare illusioni, chiedendo nuove truppe in vista di una vittoria finale alla quale gli stessi generali forse non hanno mai creduto. Anche nelle accademie militari americane si studia l’Afghanistan come la «tomba degli imperi» (russo e britannico). Il Pentagono probabilmente ha puntato su un pareggio con i talebani, sperando di poter dettare le condizioni per un assetto politico che li includesse, ma garantisse contro futuri attacchi terroristici all’America. Biden ha condotto la sua battaglia contro il surge, cioè l’escalation di truppe, ma Obama ha dato partita vinta ai generali e nel 2009 ha aumentato di 110’000 uomini le truppe americane sul terreno. Trump è stato il presidente della svolta, suo fu l’annuncio del ritiro. Biden ha ereditato quella decisione, l’ha applicata senza esitare perché corrisponde a quel che lui voleva fare 12 anni fa. Il mondo è cambiato nel frattempo. L’America ha smesso da anni di importare petrolio dal Medio Oriente. La Cina ha conquistato nella visione strategica di Washington – senza distinzioni fra Trump e Biden – il ruolo di rivale strategico e minaccia numero uno. L’accusa più grave a Biden viene da un giornale amico, il «New York Times»: il presidente avrebbe mentito agli americani quando, ancora poche settimane fa, escludeva un tracollo dell’esercito afgano durante il ritiro Usa. Già allora, secondo il quotidiano progressista, il presidente aveva ricevuto dall’intelligence un rapporto di
segno opposto, dove la débacle delle forze governative era prevista. Come minimo, avrebbe dovuto tenerne conto nel pianificare le modalità della ritirata militare e dell’evacuazione dei civili, in modo da evitare panico e caos. I repubblicani insistono sulla catastrofica esecuzione del ritiro, parlano di una guerra perduta da Biden e solo da lui. Perfino Trump – che aveva firmato gli accordi con i talebani dove l’unica condizione era l’incolumità per gli americani durante l’evacuazione – accusa Biden di una disfatta storica. Nell’ala terzomondista e umanitaria del partito democratico si denuncia l’abbandono delle donne afgane; nell’establishment internazionalista affiora il timore che tutti gli alleati traggano delle conseguenze perniciose da questa vicenda. I media progressisti sono severi quanto i conservatori. Molti sottolineano il crollo di credibilità dell’America tra gli alleati, che rafforza Cina, Russia, Iran. Un’analisi in controtendenza è The American War in Afghanistan di Carter Malkasian, che fu in Afghanistan come funzionario civile nella provincia di Helmand, poi consigliere dello stato maggiore del Pentagono. I dati che lui raccoglie smentiscono la teoria secondo cui gli Stati Uniti stavano mantenendo la pace in Afghanistan con poche migliaia di uomini, e che questa stabilità poteva protrarsi a tempo indefinito. I talebani avevano sospeso solo gli attacchi contro le forze della Nato, mentre la guerra continuava ad intensificarsi contro gli afgani. Il 2019 ha visto il record tragico di vittime tra civili afgani in un decennio. Nel 2018, quando le truppe americane erano ancora il quadruplo rispetto al 2021, ben 282.000 civili afgani erano stati costretti a fuggire dalle loro case. Nel contempo il livello di sostegno della popolazione verso gli americani continuava a scendere, nel 2018 era al 55% contro il 90% di dieci anni prima. Già nel 2016, peraltro, quando Oba-
ma era stato convinto a rinviare per l’ennesima volta il ritiro delle truppe, e dunque la forza militare americana era all’apice, i talebani erano riusciti a riconquistare un quarto del territorio nazionale. In quanto alla costruzione di una democrazia afgana: alle ultime elezioni, nel 2019, solo il 5% della popolazione ha partecipato al voto. Il peggio può ancora venire. Per gli afgani naturalmente, ma anche per Biden. Restano civili americani da portare in salvo, nonché afgani con doppia cittadinanza o Green Card o un visto. Se qualche americano viene ucciso o fatto prigioniero, la crisi afgana farà un salto di gravità. Catturerà l’attenzione dell’opinione pubblica molto più di quanto abbia fatto finora. Lo scenario «Teheran 1979» diventerebbe un incubo per Biden, esposto alla caduta di popolarità che colpì Jimmy Carter durante la detenzione degli ostaggi americani in Iran. Qualora non si arrivi a uno scenario così estremo, comunque Biden deve scegliere quanti richiedenti asilo accogliere negli Stati Uniti. Ha già un’emergenza migranti al confine con il Messico. La destra lo incalza, anche perché le restrizioni sanitarie che impediscono a tanti altri di viaggiare negli Usa non fermano chi entra illegalmente. Perfino nel partito democratico, sono minoritarie le posizioni della sinistra no border, del genere «apriamo le frontiere a tutti i disperati della terra». Se l’afflusso di afgani diventasse massiccio, da un problema di politica estera diventerebbe un dossier domestico. Biden è sceso per la prima volta sotto il 50% dei consensi ma l’Afghanistan non c’entra. Il calo era antecedente la caduta di Kabul e tutto legato a problemi interni: il rallentamento delle riforme, le polemiche sulle nuove misure anti-pandemia, le divisioni interne al partito democratico. Perciò il presidente continua a «parlare d’altro», prevalentemente. L’Afghanistan occupa solo una parte della sua agenda,
la comunicazione della Casa Bianca si concentra su altre cose: la terza dose di vaccini; le misure a favore dei più poveri (blocco degli sfratti, aumento dei buoni-pasto); la ripresa sul mercato del lavoro. Negli ultimi giorni si è confermata una frattura tra le élite globaliste e la società americana. I commenti degli esperti e dei media non colgono quanto il popolo americano sia stanco di guerre, disilluso sul proprio ruolo mondiale. Bush-Obama avevano declinato due versioni dell’internazionalismo. Trump-Biden hanno bucato la bolla delle illusioni imperiali che univa il Pentagono, l’establishment di politica estera, gran parte dei media nazionali. Vent’anni perduti e duemila miliardi sprecati in Afghanistan, l’errore strategico di focalizzarsi su un Medio Oriente in perdita d’importanza: tra gli elettori repubblicani e democratici si è radicata la convinzione che l’America deve fare nation-building a casa propria. Se c’è una speranza di arrestare la decadenza degli Stati Uniti, è curando i suoi mali interni, non finanziando spedizioni fallimentari per esportare democrazia e diritti. Si può etichettare la politica estera di Trump come isolazionista, quella di Biden come improntata ad un realismo che impone rinunce. I due campi concordano che il ventennio delle guerre contro il terrorismo ha regalato tempo e risorse alla Cina per accelerare la corsa verso la supremazia. L’establishment globalista è sempre stato una élite. Anche ai tempi di Roosevelt, Truman e Marshall, quando si trattava di ricostruire l’Europa dalle macerie della seconda guerra mondiale, un’America «profonda» avrebbe preferito ripiegarsi su se stessa. Ma allora aveva i mezzi, economici e politici, per un Piano Marshall; o per trapiantare la liberaldemocrazia in Giappone. Oggi la maggioranza degli americani ha una visione disincantata e lucida sui limiti della propria potenza.
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Politica e economia
La cerniera liquida fra Asia ed europa canale di Suez Nonostante il blocco di una settimana provocato dall’incidente della Ever Given, per l’Egitto
il reddito ha raggiunto quest’anno il massimo storico - Storia di un’opera con una valenza strategica mondiale
Alfredo Venturi Cinque miliardi e 840 milioni di dollari: questo l’utile realizzato dalla Suez Canal Authority, l’ente egiziano che gestisce quella vitale scorciatoia fra Europa e Asia, nell’anno fiscale che si è concluso lo scorso mese di giugno. Osama Rabie, presidente della SCA, ha precisato che superando del due per cento il dato dell’anno precedente e sfiorando i sei miliardi di dollari il reddito del canale, per l’Egitto una irrinunciabile fonte di valuta, ha raggiunto il massimo storico. E questo nonostante la pandemia, nonostante il blocco di una settimana provocato qualche mese fa dall’incidente della Ever Given. Rabie parlava pochi giorni dopo che un accordo sull’ammontare del risarcimento era stato raggiunto con i proprietari giapponesi della gigantesca porta-container, che aveva così potuto mollare gli ormeggi e riprendere con quattro mesi di ritardo il suo viaggio verso l’Europa.
I tentativi di tagliare l’istmo desertico che collega il Sinai all’Egitto risalgono all’antichità, sotto il faraone Necao Un secolo e mezzo dopo l’inaugurazione, il canale di Suez è un elemento insostituibile dei traffici internazionali. Diciannovemila navi lo hanno attraversato nel 2020, novemilasettecento nei primi sei mesi di quest’anno: la media supera dunque i cinquanta passaggi al giorno. Si calcola che un decimo dell’intero traffico marittimo utilizzi questa cerniera liquida fra Africa e Asia, che fa risparmiare al collegamento Europa-Oriente alcune migliaia di miglia e una media di nove giorni di navigazione. Con positive conseguenze non soltanto sulle casse dello Stato egiziano ma anche sul costo dei trasporti, dunque sui prezzi delle merci. Ma i benefici riguardano soprattutto l’ambiente. Evitare la rotta del capo di Buona Speranza, che comporta la lun-
Il giorno dell’inaugurazione del Canale di Suez, novembre 1869. (Keystone)
ghissima circumnavigazione dell’Africa, riduce infatti in misura molto elevata le immissioni nell’atmosfera di fumi corresponsabili dell’effetto serra. Quando nel novembre del 1869 il battello francese Aigle con a bordo l’imperatrice Eugénie navigò da Port Said a Suez, seguita da un corteo di navi imbandierate a festa che portavano sovrani, notabili e diplomatici, la configurazione geopolitica del mondo cambiò di colpo. Gli scambi con l’Oriente si fecero più intensi e più frequenti, le potenze coloniali furono più vicine ai loro possedimenti oltremare, il Mediterraneo recuperò la centralità perduta alcuni secoli prima, il Mar Rosso acquisì una nuova importanza strategica. Finanziati da un consorzio internazionale guidato da Gran Bretagna e Francia e intrapresi da Ferdinand de Lesseps sul progetto di Luigi Negrelli, i lavori di costruzione erano durati dieci anni, la prima nave aveva solcato il canale quando ancora ne mancavano due alla festosa inaugurazione.
Allora era lungo 164 chilometri, largo 53 metri, profondo otto. Oggi la lunghezza è stata portata a 193 chilometri con lo scavo di canali di accesso in mare alle due imboccature, la larghezza supera i duecento metri, la profondità i ventiquattro. Dunque possono passare navi con pescaggio superiore ai venti metri. Ma questo non basta per le enormi superpetroliere, che al momento di entrare nel canale devono alleggerirsi liberandosi di una parte del carico. Lo recupereranno all’uscita dove lo avrà trasportato un oleodotto. Inoltre la parte meridionale, dai Laghi amari a Suez, è stata raddoppiata con la costruzione di un secondo canale parallelo che facilita l’incrocio dei convogli fin qui affidato a due stazioni di scambio. Il taglio dell’istmo desertico che collega il Sinai al resto dell’Egitto è stato, fin dai tempi dei faraoni, un’ossessione per chi esercitava il potere da quelle parti. Fu il re persiano Dario I a completare l’opera avviata dal faraone Necao. Non fu tagliato l’intero istmo ma soltanto una sua parte, dai Laghi amari
a Suez, per il tratto settentrionale fu scavato un canale che portava non a Port Said come l’attuale, ma al ramo orientale del delta del Nilo, da dove la navigazione dei piccoli battelli dell’epoca poteva proseguire fino al Mediterraneo. La manutenzione era scarsa e scoordinata, tanto che il canale insabbiato non permetterà alla regina Cleopatra di mettere in salvo la sua flotta dopo la battaglia di Azio. Alcuni secoli più tardi le autorità musulmane che reggevano l’Egitto distrussero il collegamento che a loro dire minacciava i luoghi sacri di Medina e La Mecca. A fine Settecento, quando s’impadronì dell’Egitto, Napoleone ordinò di studiare la fattibilità dell’opera che avrebbe avvicinato l’Europa all’Oriente. Ma un errore di calcolo bloccò il progetto sul nascere. Fu necessario attendere la seconda metà dell’Ottocento perché il canale come noi lo conosciamo vedesse la luce. La Gran Bretagna, all’epoca la massima potenza navale, assegnò alla via d’acqua, che non a caso gli inglesi definivano «la vena giugulare dell’impero»,
un’assoluta priorità strategica. Nelle due guerre mondiali la difesero con ogni mezzo, nella prima dalle mire ottomane, nella seconda dal disegno italo-tedesco che puntava attraverso l’Egitto alle risorse petrolifere del Medio Oriente e del Caucaso. Il riflesso britannico non poteva non scattare nel 1956, quando il governo di Gamal el-Nasser nazionalizzò il canale. Ma la guerra di Suez, che coinvolse anche Francia e Israele, dopo i primi successi fu bloccata dall’azione diplomatica congiunta di Stati uniti e Unione sovietica. Londra e Parigi dovettero rassegnarsi: il canale e la sua gestione erano ormai di competenza esclusivamente egiziana, sia pure con la garanzia dell’accesso assicurato a navi di qualsiasi Paese. Undici anni più tardi un altro conflitto, la guerra dei sei giorni che contrappose una volta ancora Israele a una coalizione di Stati arabi, portò alla chiusura del canale che si protrasse per otto anni con una quindicina di navi intrappolate. Pesantissime le conseguenze sulle finanze egiziane, fino alla riapertura del 1975 voluta dal nuovo raïs Anwar el-Sadat. Ed eccoci al 23 marzo di quest’anno quando la Ever Given, una porta-container da 200mila tonnellate lunga 400 metri, investita da una fortissima tempesta di vento e di sabbia si mette di traverso incagliandosi su una delle rive. Il blocco si limita stavolta a sette giorni, ognuno dei quali comporta un costo di 19 milioni di dollari. I lavori per liberare la nave coinvolgono imprese internazionali, il mondo intero è interessato a recuperare la funzionalità del canale. Può dunque riprendere la navigazione, mentre la Ever Given finalmente disincagliata viene trattenuta alcuni mesi per regolare la questione del risarcimento. È così nuovamente possibile vedere i convogli che percorrono lentamente il canale: per non danneggiare le sponde la velocità non supera gli otto nodi, il passaggio dura fra le undici e le sedici ore. È uno spettacolo singolare: viste da una distanza che nasconda l’azzurra pista liquida quelle navi sembrano procedere nel deserto, con la stessa solenne andatura delle carovane storiche di dromedari e cammelli. annuncio pubblicitario
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Politica e economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di angelo Rossi Il Ticino non è più l’America La stagnazione demografica è uno dei problemi che potrebbero limitare lo sviluppo economico del Canton Ticino nei prossimi decenni. Come i lettori sanno, la frenata demografica che si è accentuata nel corso degli ultimi anni è dovuta a due fenomeni che si sommano: l’invecchiamento della popolazione che produce regolarmente un saldo naturale negativo e l’incremento delle partenze che ha ridotto praticamente a zero il saldo migratorio. Sull’invecchiamento della popolazione non mancano le ricerche e le discussioni. Pochi sono invece i tentativi di analizzare perché, soprattutto nel corso degli ultimi anni, il saldo migratorio del Ticino, che era stato, per lungo tempo, in grado di assicurare un aumento annuale della popolazione dell’ordine dello 0.8-1%, sia diminuito
al punto che oggi il suo apporto alla crescita demografica è diventato nullo. Per questa ragione lo studio che Matteo Borioli presenta nell’ultimo numero della rivista «Dati» merita di essere citato e letto. A dire il vero Borioli nel suo articolo si propone principalmente di illustrare le nuove possibilità di analisi che offre la statistica STATPOP che, dal 2009, ha sostituito i censimenti federali della popolazione. Ma è proprio grazie a queste possibilità che egli è in grado di gettare un po’ di luce sul mistero del saldo migratorio in diminuzione. Questo perché i nuovi dati consentono di effettuare un’analisi longitudinale delle migrazioni. Il grande vantaggio di questa analisi è che la stessa non si arresta al solo conto degli arrivi e delle partenze, ma riesce anche ad identificare chi è ar-
delle partenze e non necessariamente a una riduzione degli arrivi. In altre parole l’opinione prevalente era che il peggioramento del saldo migratorio non fosse dovuto a una perdita di attrattiva da parte del Ticino. L’analisi longitudinale di Borioli prova invece il contrario. I primi arrivi si sono infatti ridotti del 40% mentre le ripartenze si sono più che raddoppiate. Quanto ai ritorni… campa caval che l’erba cresce; per il momento sono un’entità trascurabile. In un certo senso è come se una proporzione crescente delle persone immigrate in Ticino non scelgano oggi il nostro Cantone come destinazione definitiva, ma solo come un luogo di passaggio. Molto di più di quanto succedeva nel passato, esse vengono da noi per compiere un’esperienza di lavoro, di studio o di vita di durata limitata nel
tempo. Questa però è solo un’ipotesi. Solo ulteriori studi sulle migrazioni potranno spiegare perché il Ticino ha perso di attrattiva. Borioli offre comunque un’interpretazione interessante per le ripartenze degli stranieri. Può darsi che le stesse dipendano o dal fatto che lo straniero si sia naturalizzato durante il periodo sul quale si estende l’analisi (nel quale caso non ci sarebbero però ripercussioni negative sull’evoluzione della popolazione residente), o dal fatto che la ripartenza era già stata prevista al momento dell’arrivo (potrebbe essere il caso degli studenti universitari stranieri che lasciano il Cantone al termine dei loro studi) o, infine, dalla constatazione che la migrazione non ha avuto l’effetto sperato e che quindi lo straniero lasci il Ticino per trovare una nuova America.
mutò in uno strumento di prevenzione di nuove forme di disinformazione e di propaganda provenienti soprattutto dall’est, durante la Guerra fredda. Per questo il pubblico è alto, la fiducia pure e gli investimenti enormi, anche comparati al ricco mercato dell’informazione americano. Ancora oggi, il 12 per cento dei tedeschi ogni sera guarda il telegiornale delle 20 dell’Ard, la principale emittente pubblica tedesca,quindici minuti di informazione che nei sondaggi vengono spesso indicati come imprescindibili. C’è una correlazione precisa tra l’informazione accurata e la fiducia dei cittadini nelle istituzioni: non è un caso che i movimenti populisti hanno come primo obiettivo delle loro accuse i cosiddetti media tradizionali. Più questi sono forti, quindi poco polarizzati, più i populisti li attaccano, sempre con il loro approccio vittimistico: ci trattano male, non ci capiscono, ci sottovalutano, vi ingannano. L’AfD, il partito anti europeo tedesco che poi è diventato il ricettacolo di ogni genere di xenofobia compresa quella neonazista, da anni cerca di minare l’autorevolezza delle emittenti pubbliche e utilizza i social media per
proporre i suoi «fatti alternativi». È un fenomeno comune in Europa (in America il modello è stato impostato ed esportato da Donald Trump e continua a funzionare, come dimostrano le difficoltà enormi nella campagna di vaccinazione), dove sono state trovate anche forme di lotta più brutali: in Ungheria, il premier Viktor Orbán non solo attacca i media europei ma ha fatto in modo di sopprimere il pluralismo chiudendo emittenti e stampa dell’opposizione e mettendo tutti gli altri in un gruppo editoriale unico guidato da suoi sodali. Anche la Polonia del PiS sta andando nella stessa direzione, anche se incontra maggiori difficoltà perché la dissidenza polacca è più organizzata di quella ungherese. In Germania si continua a registrare una sostanziale immunità alla polarizzazione. Il canone televisivo non è visto come una tassa ma come un accesso a un servizio unico, esattamente come accade con le piattaforme tipo Netflix cui ci abboniamo senza batter ciglio. I piani di investimento hanno una durata lunga, in modo che le ingerenze dei vari governi, soprattutto quelli locali visto che il servizio è declinato
in modo federale, non possano farsi sentire: l’alternanza ha la meglio anche sulle priorità di finanziamento. Questo non vuol dire che le influenze non ci siano o che le polemiche non ci siano: lo scorso inverno, l’aumento del canone di 86 centesimi nella Sassonia-Anhalt fece quasi cadere il governo locale. Ma di certo il sistema tedesco è più solido e riesce ad arginare meglio le eventuali polarizzazioni, anche nel settore privato. I tedeschi hanno interiorizzato un modo di relazionarsi con le emittenti pubbliche che funziona come uno standard rispetto a tutto il resto: ci sono molti più stimoli informativi, tra social e privati, ma tutto quel che si discosta dal modello originario viene accolto con un iniziale scetticismo. Questo vuol dire che per ottenere la fiducia degli ascoltatori o dei lettori, i nuovi media devono dimostrare di essere all’altezza del confronto con il settore pubblico. L’equilibrio nella gestione della politica – la Germania produce governi centristi da molti anni –aiuta a dare credibilità a tutto il sistema: è un po’ il contrario di quel che accade in moltissimi altri paesi occidentali.
arriva un decennio dopo, con i servizi streaming di Netflix e di altri giganti della distribuzione via internet, che, in parallelo con la formidabile diffusione di tablet e smartphone, propongono (on line, cioè in diretta, o on demand, vale a dire a pagamento) dapprima videogiochi e grandi eventi sportivi, poi anche intere serie televisive, lungometraggi acquistati o prodotti, promozioni commerciali e persino campagne elettorali. In poche parole: lo streaming ha soppiantato le antidiluviane videocassette VHS e reso sempre più facile lo «scaricare» (download) di video e filmati – operazione che senza i G5 raggiunti dalle bande internet, richiedeva tempi lunghissimi – sino ad approdare anche alle dirette televisive. Dopo la sontuosa copertura dei Giochi di Tokyo lo streaming è ora una specie di vaso di Pandora per le televisioni del futuro. Ne è convinto il collega Giuseppe Pastore de «Il Foglio» che lo definisce «uno strumento di onnipotenza che rende finalmente concreto e presente quel futuro di cui ci siamo
riempiti la bocca per anni». Pastore lo ha indicato così per stigmatizzare la differenza emersa in Italia fra la copertura tradizionale di Tokyo 2020 della Rai generalista, spesso con imbarazzanti scelte programmatiche e ritardi, e quella di televisioni private (nel caso la Eurosport / Discovery) che invece hanno trasmesso in streaming. Ma si può anche ipotizzare il contrario, vale a dire che lo streaming possa diventare strumento di rivincita delle televisioni generaliste e del servizio pubblico sull’invadenza delle televisioni commerciali o private. Un’ipotesi basata però sul presupposto che le tv generaliste (dalla mitica Bbc alla sempre più abnorme Rai, quindi anche le tre sorelle del gruppo Ssr) decidano di impegnarsi a garantire un servizio pubblico anche nell’uso dello streaming non solo per gli eventi sportivi, ma soprattutto per ampliare e modernizzare anche altri servizi che le televisioni generaliste sono chiamate a offrire al pubblico: dalla cultura alla politica, dall’economia alla socialità, dall’educazione a
divertimento e intrattenimento. Purtroppo ho spazio per un unico esempio: immaginate fra due, tre o quattro anni uno streaming live denominato «Elezioni» – magari organizzato con finestre che, al posto delle discipline sportive, siano riservate ai partiti in lizza – attivo nelle settimane che precederanno gli appuntamenti alle urne per le elezioni federali, cantonali o comunali. Una simile piattaforma della Ssr, rispettivamente della Rsi, consentirebbe agli utenti di attivare su tv, pc, tablet e smartphone decine di video e servizi per seguire i programmi dei partiti in lizza: un «Elezioni» in streaming così strutturato potrebbe davvero essere «strumento di onnipotenza» utile per tutti i cittadini, in definitiva per la democrazia e l’informazione. Ecco perché considero lo streaming uno strumento potenzialmente valido per garantire la sopravvivenza delle televisioni generaliste come pure per consolidare il servizio pubblico, se queste sapranno strutturarlo e proporlo per ogni settore, non solo per lo sport.
rivato e ripartito nonché chi, dopo essere partito, è ritornato. La contabilità migratoria per gli ultimi dieci anni ci dice così che i primi arrivi sono diminuiti da circa 10’000 a un po’ meno di 6’000. Anche le prime partenze si sono ridotte, ma in misura minore: da un po’ più di 6’000 a un po’ meno di 4’000. Di conseguenza, tra il 2011 e il 2019, il saldo migratorio positivo dei primi movimenti si è dimezzato. Il saldo tra i ritorni e le ripartenze viene poi ad aggravare il quadro. Questo saldo era infatti praticamente nullo all’inizio del periodo considerato. Nel 2019 era diventato negativo per più di 3’000 unità. I risultati dell’analisi di Borioli rovesciano quindi l’interpretazione che fin qui si era data al peggioramento del saldo migratorio. Finora si pensava che lo stesso fosse dovuto a un forte aumento
Affari esteri di Paola Peduzzi Informazione e fiducia nelle istituzioni Quando Edmund Schechter, un ebreo di Vienna che fuggì dai nazisti, tornò in Germania nel 1945 trovò una «terra desolata», non soltanto dal punto di vista della devastazione fisica ma anche «psicologicamente». Tutti i quotidiani erano stati chiusi, le radio erano state distrutte: quel silenzio era, ricordò Schechter che avrebbe partecipato alla ricostruzione, un «territorio vergine» da cui poteva rinascere qualsiasi cosa, dal principio. Il silenzio fu riempito da emittenti pubbliche che si ispiravano agli inglesi, agli americani, ai francesi e che avevano come scopo non soltanto di riempire il silenzio, ma soprattutto restaurare la democrazia in quella parte di Germania che era nella sfera d’influenza dell’Occidente. Da questa premessa parte la ricerca di tre economisti americani, Levi Boxell, Matthew Gentzkow e Jesse Shapiro, sui media tedeschi in cui si individua un crollo della polarizzazione dei contenuti che va di pari passo con un aumento del consumo di informazione da parte dei cittadini. Come a dire: ci fidiamo di voi. Il modello tedesco è, secondo questi ricercatori, un ibrido tra il federali-
smo americano e la libertà dei media britannici, con una regolamentazione equilibrata che tiene vicino il pubblico e a distanza il governo e le sue eventuali interferenze. Secondo un’esperta degli affari tedeschi, Constanze Stelzenmüller, l’informazione pubblica «ricominciò come uno strumento della rieducazione democratica e della rifondazione del pluralismo politico del paese e poi si
In Germania, i media poco polarizzati generano più consumo di informazione. (Keystone)
Zig-Zag di Ovidio Biffi «Streaming» non solo per lo sport Come tanti comuni mortali, anch’io ho ricevuto da Serafe la richiesta di pagamento del canone radiotelevisivo. Senza rinnegare il mio sostegno a chi ne ha avversato l’obbligatorietà di «leuthardiana» memoria, oggi ritengo giusto passare alla cassa e scorretto protestare contro questa moderna gabella sbandierando mancanze e difetti, senza tener conto di pregi e necessità di un vero servizio pubblico nell’informazione. A farmi sembrare sostenibile il canone Ssr ha sicuramente contribuito anche la concomitanza della bolletta con quanto le tre reti nazionali hanno saputo offrire in occasione delle recenti Olimpiadi. Lo confesso: ho passato ore e ore incollato all’iPad (di notte) e al televisore per seguire i servizi presentati quotidianamente sia da Tsi2, sia sulla piattaforma live streaming Tokyo 2020. E credo siano molti i telespettatori ticinesi (oltretutto riconoscenti per aver potuto seguire in diretta anche Noè e Ajla nelle loro imprese rossocrociate) concordi nell’esternare un elogio alla Rsi per la copertura di tutto l’evento,
come pure per le meraviglie tecnologiche esibite, in particolare l’uso dello streaming. Ed è proprio quest’ultima parolina inglese a suggerirmi un’aggiunta. Credo sia utile, anche se molti già lo conoscono e lo usano, anteporre una concisa spiegazione di questo servizio televisivo. Non è una novità, dato che è lo stesso che già da diversi anni consente a società americane pioniere nella distribuzione via internet (da Netflix a Disney+, da Apple ad Amazon) di operare sui mercati mondiali dell’intrattenimento mandando in tilt, se non proprio in crisi, le televisioni generaliste, costrette oggi a inseguire o a comperare programmi prodotti da queste concorrenti. L’avvio del primo streaming online nel 1999 era stato poco entusiasmante, nonostante avesse trasmesso, in diretta televisiva via internet, una... sfilata del brand di intimo Victoria’s secret. Subito emerse la difficoltà nel raggiungere una qualità che potesse perlomeno competere con le tv via cavo o via satellite. La svolta
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 23 agosto 2021 • N. 34
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cultura e Spettacoli Il penultimo giustiziato Nel 1939 Paul Irniger, il killer vestito da prete fu condannato per l’omicidio di tre persone
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Svizzera-USA andata e ritorno A colloquio con le registe note come Nüesch Sisters, recentemente ospiti al Festival di Locarno
Sfide ticinesi L’evento per professionisti della Ticino Film Commission al Festival di Locarno
In viaggio con Dostoevskij Estate a Baden-Baden, l’avvincente narrazione di Leonid Cypkin pagina 45
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Il corpo e l’Anima
Mostre Una bella esposizione al Castello
Sforzesco di Milano
Gianluigi Bellei Sono passati otto anni dall’esposizione sulla Primavera del Rinascimento – curata da Beatrice Paolozzi Strozzi, già direttore del Museo Nazionale del Bargello, e Marc Bormand, conservateur en chef al dipartimento di scultura del Musée du Louvre – tenutasi a Palazzo Strozzi di Firenze e al Louvre di Parigi. Una mostra dove «storia e opere d’arte sono splendide e illuminanti», scrissi su queste colonne il 13 maggio 2013. Le stesse persone assieme a Francesca Tasso, conservatrice responsabile delle raccolte artistiche del Castello Sforzesco, hanno curato l’esposizione che analizza gli anni seguenti, dal 1453 al 1520, intitolata Il Corpo e l’Anima da Donatello a Michelangelo. Mostra tribolata, chiusa, prolungata nella sede di Parigi dove è terminata il 21 giugno. Il 21 luglio si è aperta al Castello Sforzesco di Milano. 120 opere provenienti da tutto il mondo; la maggior parte ovviamente dal Louvre e dal Castello Sforzesco. L’esposizione è suddivisa in quattro sezioni: Guardando gli antichi, L’arte sacra, Da Dioniso ad Apollo e Roma Caput mundi. Le opere sono le stesse nelle due sedi eccetto i capolavori michelangioleschi delle Prigioni a Parigi e della Pietà Rondanini a Milano, perché inamovibili. Congiuntamente i tre curatori in catalogo scrivono che nella scelta delle opere e del percorso si sono ispirati ad Aby Warburg e al suo concetto di ripresa nelle arti figurative delle Pathosformeln come «archetipi formali». Il corpo e l’anima insomma è incentrato sull’alternarsi e fondersi dei due aspetti fondamentali dell’arte classica ovvero l’ethos apollineo e il pathos dionisiaco, seguendo le teorizzazioni di Nietzsche prima e, appunto, Warburg dopo. La mostra prende l’avvio con il 1453 data del ritorno dell’anziano Donatello a Firenze con due opere romane: una, per il tema del furore, il sarcofago con Achille e Pentesilea – dell’inizio del III secolo dopo Cristo, il quale illustra la battaglia delle Amazzoni contro gli eroi greci, al centro Achille che sorregge Pentesilea mentre muore – e l’altra il Rilievo delle sacrificanti Borghese del 130 dopo Cristo per quello della grazia. Qui troviamo tre aeree fanciulle che portano fiori e
ghirlande per ornare un candelabro. Bertoldo di Giovanni nel 1475 ha realizzato un altorilievo di eccezionale fascino, la Battaglia di romani e barbari nel quale l’artista strizza l’occhio all’antico esasperando la presenza dei corpi nudi e dei guerrieri con grande perizia. Mentre l’Orfeo dello stesso autore, con la sua posizione a chiasma, richiama la grazia. Il celebre Ercole e Anteo di Antonio Pollaiolo del 1475-1480, nel quale si celebra la contrapposizione fra vizio e virtù, è secondo Giorgio Vasari il bronzo con il quale l’artista «intese degli ignudi più modernamente che fatto non avevano gl’altri maestri inanzi a lui». L’arte sacra deriva anch’essa dall’iconografia classica di Meleagro e si concentra nei gesti disperati e dolenti della Maddalena oppure nella rappresentazione del Cristo morto. La Crocifissione Martelli di Donatello è un esempio estremamente raffinato. Un bassorilievo in bronzo, agemina in argento e rame dorato del 1450-1455 circa, realizzato per la famiglia fiorentina dei Martelli che fin da giovanissimo aveva protetto e trattato come un figlio Donatello. La composizione è suddivisa in due parti. In alto le tre croci in un ambiente rarefatto e spoglio. In basso una concentrazione di personaggi fra scudi aste, armature, scale… «L’effetto di concitazione, scrive Ilaria Ciseri in catalogo, richiama antiche scene di battaglia all’epoca visibili su rilievi di monumenti come l’Arco di Costantino o la Colonna Traiana». A partire dagli anni Sessanta del Quattrocento si sviluppa, soprattutto in Emilia, l’idea del Compianto coagulato in otto elementi attorno al Cristo morto. Splendido quello di Niccolò dell’Arca nella chiesa bolognese di Santa Maria della Vita che è possibile vedere nella città felsinea. Con l’avvento di Savonarola si torna alla semplicità come virtù. In un sermone del 1496 il frate domenicano se la prende con le donne fiorentine che a suo dire «menano a mostra (le loro fanciulle) e acconcianle là che paiono ninfe». Quest’austerità si rivela nei vari San Sebastiano. In mostra ne troviamo diversi; in particolare uno di Andrea e Luca della Robbia del 1500-1510 nel quale la terracotta invetriata di bianco rivaleggia con il marmo simbolo di bellezza e purezza divine.
Tullio Lombardo e bottega (1455-1532), Giovane guerriero (San Giorgio o Teodoro), 1490-1500 ca. (nY, the metropolitan museum of art, Friedsam Collection, Bequest of michael Friedsam, 1931)
Ma la vera rivoluzione avviene con il ritrovamento nel gennaio 1506 della statua del Laocoonte già menzionata da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis historia. Un’opera meravigliosa e spettacolare fra dolore e realismo, terribilità e strazio. Particolarmente lodato da Michelangelo si diffonde velocemente attraverso moltissime copie. Jacopo Sansovino è tra gli scultori invitati da Bramante a realizzarne una copia e il Vasari scrive che secondo Raffaello «il Sansovino così giovane, avesse passato tutti gli altri di gran lunga». Il ritorno all’antico si sviluppa nella ricerca di una statuaria classica. Tullio Lombardo verso il 1505 scolpisce un marmo dove troviamo due giovani Bacco e Arianna dalla bellezza ideale, nei quali la levigatezza e la morbidezza delle forme danno luminosità all’altorilievo. Antonio Lombardo realizza una sensuale e un po’ grassottella Venere Anadiomene raffigurata su di una conchiglia mentre esce dall’acqua e si terge i capelli, come è narrato nella Teogonia di Esiodo.
È con Michelangelo che termina la mostra. Riconosciuto come un artista fuori dal comune è il simbolo della perfezione e della nuova modernità. Per Vasari sono cinque i punti necessari per la modernità: regola, ordine, misura, disegno e maniera e tre gli artisti che la incarnano, Leonardo, Raffaello e appunto Michelangelo. Lo Schiavo morente e lo Schiavo ribelle del Louvre dovevano essere parte della tomba di Giulio II. Per alcuni raccontano il mito della caverna di Platone descritto nel settimo libro della Repubblica: «L’immagine di un’umanità tagliata fuori dalla realtà spirituale, incapace di ascendere al livello superiore», scrive Jean-René Gaborit in catalogo. Vasari, più semplicemente, sostiene che gli schiavi sono la personalizzazione delle Province sottomesse alla Chiesa. Nel pregevole catalogo, con l’indice dei nomi – che ha vinto, assieme a Les origines du monde di Laura Bassi per le éditions Gallimard/éditions du Musée d’Orsay, il Prix du catalogue
d’exposition 2021 – manca la scheda relativa alla Pietà Rondanini. Segno che è stato realizzato unicamente come traduzione della mostra del Louvre o magari che non faceva parte della selezione dei curatori. Bella esposizione con due note dolenti. Lo scantinato delle sale Viscontee che la ospita è troppo angusto e basso e l’illuminazione, prevalentemente zenitale e con una lampada sola, falsa il chiaroscuro della statue dando un effetto straniante che a volte rende difficile la lettura, magari illuminando maggiormente la parte alta a scapito di quella bassa. Dove e quando
Il Corpo e l’Anima da Donatello a Michelangelo. A cura di Marc Bormand, Beatrice Paolozzi Strozzi e Francesca Tasso, Milano, Castello Sforzesco. Orari: ma-do 10.00-19.30; lu chiuso. Fino al 24 ottobre 2021. Catalogo Officina Libraria, euro 45.– milanocastello.it
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cultura e Spettacoli
Prete, pardon, killer
Un cancello fantastico sul futuro
Personaggi L’incredibile vicenda di Paul Irniger, «l’assassino con la tonaca», destinato
a essere ricordato come il penultimo condannato a morte nella storia della Svizzera
Benedicta Froelich Per quanto la Svizzera venga raramente nominata nell’ambito dell’eterno dilemma morale relativo alla pena capitale, è giusto ricordare che sono passati soltanto ottant’anni dall’ultima condanna a morte su suolo elvetico; condanna peraltro preceduta, l’anno prima, da un’esecuzione particolarmente importante (e, per molti versi, unica nel suo genere), svoltasi nell’agosto del 1939 a Zugo, per mezzo di una ghigliottina presa in prestito da Lucerna – unico cantone in possesso di un simile strumento. Il condannato, l’appena venticinquenne Paul Irniger, originario del Canton Svitto, era un personaggio quantomeno rocambolesco: talmente peculiare, in effetti, da potersi considerare degno di un feuilleton ottocentesco.
L’uomo fu protagonista di una serie di atti violenti che lo portarono a compiere ben tre omicidi All’epoca della sua morte, Irniger si era già macchiato di ben tre omicidi, al punto da essere considerato da alcuni come un serial killer; ma ciò che davvero distingue la sua carriera criminale è la doppia vita che, con l’abilità di un attore consumato, il confuso giovane condusse per ben quattro anni, prima di essere infine scoperto e catturato. A sua discolpa, si può dire che, fin dall’inizio, Paul crebbe in un’atmosfera non solo di grande povertà, ma anche di palese «irregolarità»: nato a Goldau nel 1913, da bambino dovette affrontare ripetuti attacchi di epilessia e, soprattutto, la caduta in disgrazia della madre, la quale, rimasta presto vedova, aveva aperto una locanda abusiva (priva di licenza federale) insieme al secondo marito. Quando venne infine arrestata per truffa, il giovane Paul si ritrovò sballottato da una famiglia affidataria all’altra, subendo gli immancabili abusi del caso in un’odissea che avrebbe minato per sempre la sua autostima: anche una volta adulto, non avrebbe mai dimenticato l’umiliazione subita da parte di un prete che, adducendo i trascorsi delinquenziali dei genitori, gli negò la comunione. Ed è probabile che questo ricordo, unito al rifiuto riservatogli dai vari ordini monastici nei quali tentò di entrare nell’arco dell’adolescenza, ab-
bia giocato un ruolo nella scelta della perfetta copertura da impiegare negli anni trascorsi in fuga, come si vedrà a breve. Certo è che, prima ancora dei vent’anni, Irniger, già divenuto un vagabondo e un piccolo truffatore, era psicologicamente compromesso, al punto da appiccare fuoco all’albergo di Interlaken in cui aveva trovato lavoro e ritrovarsi così istituzionalizzato ad Aarburg. Finché, il 5 dicembre 1933, a Breitenholz, poco lontano da Baar, Paul, in preda a un impulso delirante, uccise il tassista Werner Kessler per derubarlo di sessanta franchi. L’abilità attoriale di Irniger, che si presentò spontaneamente alla stazione di polizia per produrre la sua pistola, ingannerà gli ufficiali, che non lo collegheranno al delitto e lo arresteranno invece per truffa. Ed ecco che, una volta evaso da una prigione lucernese, Paul inizierà a vestire l’abito talare, che gli garantirà una copertura ideale, al punto da permettergli di aggirarsi per la Svizzera indisturbato e sfuggire alla polizia, dicendo messa e confessando schiere di ignari parrocchiani in qualità di prete trappista (guadagnandosi perfino gli elogi del vescovo di Coira). Una volta scoperto l’inganno, Paul se la cavò con appena qualche mese di galera, poiché il suo ruolo nell’omicidio di Baar era tuttora ignoto; e in seguito approdò perfino in Ticino, dove fu brevemente rappresentante di aspirapolveri e trovò addirittura l’amore – il tutto senza rinunciare a furti e misfatti vari. Tuttavia, la resa dei conti era vicina: nel 1937, mentre si trovava a Rapperswil, Irniger venne riconosciuto e condotto alla stazione di polizia. E per quanto inizialmente Paul sembrasse non opporre resistenza all’arresto, le vecchie pulsioni avrebbero preso il sopravvento, spingendolo a sparare ben cinque, fatali colpi di pistola all’indirizzo del poliziotto Alfons Kellenberger. Fuggito verso il lungolago, Irniger finì per ferire a morte anche un autista trentenne intenzionato a fermarlo – il che portò gli scandalizzati passanti ad inseguirlo e catturarlo, consegnandolo infine alle autorità. Domenica 25 agosto 1939 si sarebbe così compiuto il fato di Paul Irniger, il quale aveva visto sfumare le proprie possibilità di ricorrere in appello a causa di un semplice cavillo burocratico – infatti, all’epoca ogni cantone esercitava leggi differenti in termini di diritto penale; e sebbene proprio quell’estate si stesse esaminando una proposta volta a uniformare il sistema
Mostre Alice Ronchi
a Spazio Lampo
In occasione di ChiassoLetteraria 2021, l’associazione Grande Velocità apre le porte di Spazio Lampo all’immaginazione dell’artista italiana Alice Ronchi, invitandola a dialogare con lo spazio e la sua identità per un nuovo appuntamento del Progetto Vetrina. La «meraviglia» è la chiave di lettura che Alice applica al mondo. Nel progetto Gate la sua capacità di disegnare e comporre paesaggi magnifici si intreccia con l’estetica fantascientifica suggerita dal tema del festival letterario, Il pianeta proibito, che prende in prestito il titolo del celebre film sci-fi anni 50. Ritrovando il fascino per la dimensione galattica che la accompagna fin da bambina, Alice si lascia ispirare dal design delle scenografie del cinema cult di fantascienza della metà del secolo scorso per produrre un’opera totemica che attende i visitatori alla soglia di un mondo possibile. Accompagna la mostra un progetto audio realizzato in collaborazione con il fratello Leonardo Ronchi, compositore e sound designer che per l’occasione ha ri-sonorizzato il trailer originale del film Il pianeta proibito elaborando secondo la propria personale sensibilità una composizione di suoni provenienti dall’immaginario spaziale. La sonorità, contribuisce alla creazione di un’atmosfera immersiva che abbraccia l’intero spazio espositivo, dove l’ingresso in altro mondo sembra, finalmente, possibile. Dove e quando
La sua esecuzione avvenne quando aveva solo 25 anni. (archivio di stato, Zugo)
a livello federale, questa non sarebbe entrata in vigore prima del 1942. Tale indugio giocò a sfavore di Irniger, il quale, inaspettatamente, aveva deciso di rivelare il proprio coinvolgimento nell’omicidio di Baar, chiamando così in causa anche il tribunale del Canton Zugo – la cui giuria, però, votò per la condanna a morte, in netto contrasto con San Gallo, da cui Paul era invece stato «graziato» con il solo ergastolo. Irniger rinunciò a presentare una richiesta di clemenza alla corte, sottomettendosi così al fato «per espiare tramite la morte la grave violazione delle leggi divine», come lui stesso affermò. Ma il particolare forse più incredibile dell’intera vicenda sta nel fatto che, sebbene Irniger rappresenti soltanto il penultimo caso di pena capi-
tale in Svizzera, l’ultimo condannato in assoluto – Hans Vollenweider, giustiziato nell’ottobre 1940 a Sarnen con la medesima ghigliottina – sarebbe stato una sorta di «copycat» del suo predecessore: anch’egli macchiatosi dell’omicidio di un tassista, compiuto ad appena duecento metri dal luogo in cui Irniger aveva colpito, fu condannato per un totale di tre omicidi. Non solo: proprio come era stato per Paul, le sue vittime includevano un poliziotto e un autista – similitudini inquietanti quanto inspiegabili, che danno da pensare. E chissà, forse è vero che, come alcuni ritengono, la storia non fa che ripetere sé stessa – quasi nel tentativo mal dissimulato di lanciarci un segnale, impartirci una qualche lezione che, ahimé, difficilmente noi arriviamo a comprendere.
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cultura e Spettacoli
Il mondo secondo «le Nüesch» Incontri A colloquio con le sorelle Florine e Kim Nüesch, due registe svizzere
(con influenze statunitensi) da tenere d’occhio
Parlare di calcio, ma senza il calcio Smart TV Palinsesti
sportivi particolari
Muriel e Giorgia Del Don Nate in Svizzera ma trasferitesi ben presto a Los Angeles attirate dalla magia della settima arte, Florine e Kim Nüesch non indietreggiano di fronte a nulla, come guerriere della generazione z che delle limitazioni non sanno che farsene. Poco importa la nazionalità o il genere (ammettiamolo pure, l’uomo egemonico nell’industria cinematografica domina incontrastato), quello che conta è sognare in grande, fino a raggiungere le stelle. Sì perché le Nüesch Sisters le stelle le stanno toccando veramente e non solo sull’Hollywood Boulevard. Collaborare, creare un universo artistico che le rappresenti, al confine tra romanticismo pop alla Sofia Coppola e fantascienza dal sapore vintage, è sempre stata per loro un’evidenza. Il loro legame, al di là dell’ovvia parentela, è istintivo e proteiforme, un esempio emblematico di coesione artistica, e spontaneità creativa che non si può spiegare razionalmente (e forse è meglio così!). Cresciute in una famiglia di artisti: madre pittrice e padre architetto, Florine e Kim hanno cominciato a girare i loro primi film da giovanissime, come se il cinema facesse parte del loro DNA, per poi spiccare il volo direzione in direzione di Los Angeles, dove hanno studiato regia all’Art Center College of Design. Il loro universo artistico è marcato da un’accuratezza quasi maniacale per i dettagli: vestiti dal sapore deliziosamente retrò, acconciature che ricordano la folle eleganza di Barbarella o ancora mobili design dal sapore 60ies, nulla è lasciato al caso. I personaggi (spesso interpretati dalle stesse registe) che popolano quest’universo elegante e volutamente controcorrente sembrano fluttuare alla ricerca di un contatto umano che spesso risulta impossibile. Sono conosciute soprattutto per i loro film dedicati all’universo della moda: il loro ultimo cortometraggio, Forget Me Not, ha vinto l’argento al Young Director Award a Cannes ed è stato selezionato in numerosi festival internazionali tra quali il LA Short Festival. Le sorelle Nüesch hanno in programma di girare presto il loro primo lungometraggio, un dramma romantico dai toni fantascientifici. In occasione della loro presenza in Ticino dove sono state invitate per un Locarno talk con il direttore del Film Festival Locarno Giona A. Nazzaro e la curatrice d’arte Dorethea Strauss, abbiamo potuto discutere insieme del loro stuzzicante universo artistico, delle loro influenze ma anche dei loro progetti futuri. Potreste parlarci del vostro background professionale? Perché avete deciso di lavorare insieme come team e di creare insieme i vostri film? Quali sono le vostre similitudini e differenze per quanto riguarda il vostro universo artistico?
Il cinema ci accompagna da sempre. A dire la verità nostro padre ha persino
Marco Züblin
Le sorelle Nüesch a Locarno, in occasione del Festival cinematografico. (instagram, @nueschsisters)
filmato le nostre nascite e documentato la maggior parte della nostra infanzia. In più, a casa nostra avevamo un’immensa collezione di VHS che adoravamo guardare, riguardare e arricchire continuamente. A sette anni e nove anni abbiamo cominciato a girare e poco dopo a montare i nostri film nei quali recitavamo anche. Col tempo siamo diventate ossessionate dai making of dei nostri film preferiti, questo per imparare di più sull’arte cinematografica. Dopo aver finito il liceo artistico ci siamo entrambe trasferite a Los Angeles per studiare cinema all’Art Center College of Design. Il fatto di lavorare insieme come team non è mai stata una decisione cosciente, siamo semplicemente cresciute insieme come una cosa sola, e persino nei rari progetti che abbiamo realizzato separatamente all’università abbiamo realizzato presto che preferivamo lavorare insieme. Questo perché abbiamo affrontato praticamente tutto insieme, abbiamo dei gusti e una visione del mondo molto simili. Possiamo lavorare insieme e abbiamo
Una scena da Forget Me Not, diretto dalle sorelle Nüesch.
bisogno di pochissime parole, per non dire di nessuna, per comunicare una all’altra le nostre idee. Sebbene siamo molto simili da un punto di vista estetico e concettuale, tendiamo a impadronirci dei concetti in un ordine diverso. A Florine piace approcciare i progetti partendo da un’idea visiva e svilupparli a partire da essa, mentre Kim ama scrivere e in seguito avvicinarsi ai progetti tramite la scrittura. Detto ciò, non ci sono regole rispetto alla nostra maniera di lavorare e la maggior parte delle volte affrontiamo le differenti tappe dei progetti insieme. Quali sono le vostre influenze? Il fatto di essere nate in Svizzera influenza la vostra pratica artistica?
Il luogo d’origine influenza sempre il proprio lavoro artistico, quindi siamo sicure che la Svizzera faccia parte del nostro stile. Crescendo, eravamo innamorate dei film americani degli anni 80, 90 e dei primi anni 2000 e questi hanno sicuramente influenzato il nostro lavoro. Quando eravamo a scuola negli Stati Uniti, ci siamo spesso sentite dire che il nostro stile è molto europeo, mentre qui in Europa tutti dicono che ci approcciamo al cinema in modo molto statunitense. Amiamo pensarci come un mix fra queste due culture. Nostra mamma è una pittrice e nostro papà un architetto, quindi oltre al cinema, anche l’arte e il design hanno sempre giocato un ruolo importante nelle nostre vite. La nostra estetica è spesso ispirata da opere d’arte e siamo molto interessate alle scenografie e alle location visivamente maestose. Il talento che dimostrate nel passare da un universo artistico all’altro è abbastanza sorprendente: video musicali, cortometraggi, film per la moda ecc. come riuscite a gestire tutto ciò? cosa vi attira e intriga di questa multidisciplinarietà?
Onestamente non ci abbiamo mai
davvero pensato. Amiamo semplicemente fare quello che ci appassiona e se questo significa lavorare con differenti formati, allora è proprio questo che ci motiva. Forse il lavorare in differenti campi cinematografici è simile a imparare differenti lingue, le basi del raccontare una storia restano le stesse, ma la maniera di esprimersi cambia.
Quali sono i vostri progetti futuri? Potete dirci qualcosa di più sul vostro futuro primo lungometraggio e sulla vostra nuova serie di fantascienza?
Al momento stiamo lavorando su un paio di progetti narrativi. Sfortunatamente sono ancora nelle prime fasi di sviluppo, quindi non possiamo dire molto a proposito. Il nostro futuro lungometraggio sarà un dramma romantico con alcuni elementi di fantascienza che affrontano il tema del lutto. A parte questi progetti narrativi, continueremo a creare altri film per la moda, la musica e la pubblicità.
cosa pensate del crescente e sempre più presente legame fra arte e industria della moda (pensiamo per esempio a Gucci, Balenciaga e Vetements)? Quali designer di moda trovate i più interessanti e con chi sognate di collaborare?
La moda è sempre andata di pari passo con l’arte, visto che è lei stessa un’espressione artistica. Quello che troviamo veramente interessante è che, negli ultimi anni, il cinema è diventato sempre più importante nell’industria della moda. Durante la pandemia, i film hanno rimpiazzato del tutto le sfilate. Questi sviluppi hanno decisamente dato vita a molte più collaborazioni fra registi e designers. Per quanto riguarda le collaborazioni che sogniamo d’avere, ce ne sono troppe per non citarne che alcune, ma se dovessimo fare alcuni nomi diremmo Gucci e Prada.
Spesso ci coglie una domestica disperazione di fronte alla pochezza dei palinsesti televisivi, e non solo di quelli estivi; e ogni tanto le conseguenti incursioni in partibus infidelium permettono qualche scoperta piacevole. Mi riferisco, ad esempio, alle varie trasmissioni che Telelombardia e Antenna 3 dedicano al calcio italiano. Non si tratta di trasmissioni sportive in senso classico, e questo a prescindere dal monomaniaco interesse che esse rivolgono alle vicende del pallone. Sono orfane di immagini di attualità, e questo sarebbe già un paradosso per programmi sportivi; le uniche, che scorrono alle spalle degli ospiti, sono immaginette votive che propongono eroi (anche defunti) della pedata, in contesti vintage. Sarebbe un paradosso, appunto, se queste emissioni non fossero scenario di straordinari meccanismi teatrali, tra il tragico e il farsesco, una vera e fluviale commedia dell’arte che ha il calcio come mero pretesto e occasione per una spesso isterica interazione tra un campionario assai variato di umanità vociante. Ci sono i tifosi tutto fegato e malafede (una schiera di manager, di avvocati e di illustri clinici; c’è anche un disc jockey, e un «ticinese»), i giornalisti o presunti tali (in realtà spesso sbarcati in video come tifosi camuffati da specialisti), gli allenatori di terza fascia (che tentano di sdottoreggiare pensosamente su schemi di gioco, nello scetticismo e nell’ilarità generale), un cabarettista partenopeo, alcuni altri pensosi intervenienti che vengono subito trascinati nel gorgo della polemica spicciola. Gestisce la bella compagnia di giro un gruppo di conduttori e di conduttrici molto in palla, per dire così, impegnati a regolare il traffico della chiacchiera sovrapposta, di volta in volta smorzando ardori eccessivi o, in specie quanto a reggere il gioco è il direttorissimo, suscitando interminabili dibattiti con pretesti da nulla, gossip, polemiche, o con ipotesi campate in aria. È un meccanismo perfetto che va avanti per ore, con un parterre di orchestrali che cambia senza che cambi la musica, ma che nessuno è obbligato a seguire per intero, tanto ripetitivi sono i temi messi sul tavolo come ingredienti di scontro oratorio; una sorta di televisione di flusso, un tappeto sonoro e cacofonico, i cui contenuti sono dimenticati subito dopo essere stati lanciati nell’etere. Il meccanismo è quasi perverso nella sua perfezione, la scelta del parterre del tutto adeguata e frutto di un evidente grande mestiere, i ritmi apparentemente casuali e quasi anarchici ma in realtà sapientemente organizzati, il profluvio di spazi promo-pubblicitari congruo alla qualità dell’emissione (denti finti, formaggi, materassi, idropulitrici). E non è una programmazione per gli amanti dell’assurdo e dell’orrido, intendiamoci; è qualcosa di diverso, quasi di rigenerante, che permette di trasferire e di sedare qualchepropriaquotidianaarrabbiatura. Aggiungo la creazione di un nuovo genere, quello della radiocronaca televisiva, qui ovviamente in versione concitata e programmaticamente faziosa; radio a colori, al suo meglio. Si potrebbe anche dare al successo, meritato, di queste trasmissioni una valenza a livello di sociologia sportiva; i nostri cugini meridionali sono in realtà poco o nulla interessati al gioco del calcio come tale, ma solo alla chiacchiera di contorno, al mercato da fantacalcio e alla girandola di milioni, alla classifica e ai risultati, alle lotte di campanile, e alla quotidiana (ri) creazione di miti e di oggetti di odio o di ludibrio, nessuno essendo al riparo dal finire da un campo all’altro alla velocità della luce. Vedere per credere, vedere per amare.
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Idee e acquisti per la settimana
ALLa scOPerta deLLa natura
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collezionare e giocare al detective: per gli acquisti effettuati tra il 17 agosto e il 4 ottobre, con Nature Detectives Mania i clienti Migros ricevono delle figurine in regalo. chi le colleziona ha tanto da imparare sugli animali e le piante svizzere e può anche risolvere complicati casi.
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cultura e Spettacoli
Un Ticino pieno di progetti
Produzione cinematografica In occasione del Festival di Locarno ha avuto luogo un importante evento
della Ticino Film Commission
Nicola Mazzi È una prima molto interessante e che probabilmente verrà ripetuta anche nei prossimi anni. La Ticino Film Commission – durante il Festival del Film di Locarno – ha organizzato alle isole di Brissago e poi al Teatro Dimitri di Verscio un evento dedicato ai professionisti del cinema. In collaborazione con Locarno Pro (il punto di riferimento per i professionisti dell’industria cinematografica che frequentano il Festival), con Ticino Turismo e l’Organizzazione turistica Lago Maggiore e Valli ha riunito registi, produttori e distributori di film per presentare cinque lavori in via di sviluppo. L’obiettivo? Cercare collaborazioni e finanziatori per sviluppare e concretizzare i film. Come ci spiega il direttore della Ticino Film Commission Niccolò Castelli, è un modo di lavorare piuttosto conosciuto all’estero ma poco alle nostre latitudini: «Personalmente, per il mio ultimo film Atlas, avevo partecipato ad alcuni eventi del genere ed erano stati utili per trovare dei finanziatori. Lo trovo un modo interessante per far conoscere i progetti a chi sta cercando idee da sostenere e sviluppare. In questo caso, con Locarno Pro, abbiamo scelto cinque progetti tra quelli in costruzione, che hanno un potenziale sia per l’organizzazione di un eventuale set in Ticino sia per la ricerca di un aiuto internazionale. Infatti, tra di essi, ci sono anche un paio di produzioni ti-
Niccolò Castelli durante l’evento organizzato per far conoscere film in via di realizzazione. (Copyright ticino Film Commission/ marco soldati)
cinesi che secondo noi hanno queste caratteristiche. L’importante è riuscire a valorizzare il nostro territorio e tutte le sue qualità e dai primi riscontri avuti sembra ci siano le premesse per alcuni accordi». Il primo lavoro presentato e Made in Ticino è quello di Erik Bernasconi per la Cinédokké di Michela Pini. Il titolo provvisorio è Beccaria, ed è un film tratto da un romanzo di Giorgio Genetelli e ambientato sulle nostre montagne nell’estate del 1977. Descrive, con
ironia, la vita di un sedicenne (Zanna) che sta cercando la propria identità. «Siamo all’interno della commedia, ma anche del dramma – sottolinea Bernasconi – e ci credo molto sin da quando ormai una decina di anni or sono lessi il libro. Mi appassionò molto e da allora sto pensando a come trasformarlo in un film. Finalmente siamo arrivati a ottenere una sceneggiatura che ci soddisfa e siamo pronti a partire». Da parte sua Pini evidenzia come «si stanno cercando delle coproduzioni soprattutto
in Italia, e siamo aperti in questo senso anche ad avere attori italiani. Il nostro obiettivo è quello di poter girare già la prossima estate». Il secondo lavoro ticinese, in corso d’opera, è quello di Giorgia Würth per la casa di produzione Rough Cat di Nicola Bernasconi e ha il titolo di Allegra. Altra storia di sicuro interesse, essa è focalizzata su Allegra appunto, una donna di 69 anni che vive a Torino e si è sempre dedicata a fare la moglie, la madre e la nonna. Fino a quando,
per una serie di eventi, non inizia una seconda vita che la porta a prostituirsi in casa con la scoperta dei piaceri del sesso. «Mi interessa scoprire questo mondo ancora inesplorato e ancora tabù, nonostante siamo nel 2021. La vedo come una storia delicata, reale e una sorta di seconda possibilità», rileva Würth. «Da parte mia – ci dice Nicola Bernasconi – ho visto in questo progetto diversi aspetti molto interessanti e nuovi e noi cerchiamo sempre produzioni di questo tipo. L’intenzione è quella di cercare delle coproduzioni e degli interessati all’idea per poterla concretizzare». Altre tre produzioni sono state presentate durante l’evento della Ticino Film Commission. Si tratta della coproduzione italo-tedesca Carla’s Enzo (una commedia romantica sull’amicizia) che è in fase di postproduzione. L’italiano La selvaggia invece, è un thriller che va a scavare nel misterioso passato della protagonista e che si pensa di realizzare nel 2023. Infine, l’altro italiano, Stagione di caccia, anch’esso dai toni cupi e che gira attorno a un omicidio e al tema del razzismo. Insomma, le idee ci sono e le produzioni sono già avviate. Ora bisogna tessere relazioni, cercare collaborazioni e trovare dei finanziatori che credano nel film. E chissà mai che tra qualche anno questi progetti potranno essere realizzati e, magari, glielo auguriamo, passare sul grande schermo di Piazza Grande davanti a migliaia di spettatori. annuncio pubblicitario
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cultura e Spettacoli
A braccetto di Dostoevskij
Narrativa Nella Russia del dissenso un viaggio ne rievoca un altro di cento anni prima: al centro sempre l’autore
di Delitto e castigo con le sue ossessioni
Chiara Macconi Dire che questa opera è unica è persino troppo ovvio ma, in effetti, si fatica a nominarne il genere. Opto per biografia romanzata ma di un tipo particolare. Gli sforzi per trovare riferimenti ad altre opere (qualcuno cita WG Sebald o Th. Bernhard) non hanno migliori risultati, anche se sono stati spesi aggettivi qualificativi al massimo grado. Estate a Baden-Baden è un libro decisamente singolare per l’invenzione che dispiega, lo stile di scrittura e l’esperienza di lettura che offre. E per il prologo di Susan Sontag. All’inizio del racconto (siamo negli anni 1960/70) il narratore/autore, in una giornata invernale e durante un viaggio in treno verso Leningrado, legge i diari di Anna Grigor’evna, seconda giovane moglie di Fiodor Dostoevskij, e il suo pensiero e il suo sguardo si perdono nei paesaggi di neve, di ghiaccio, di cieli che progrediscono verso l’oscurità esterna mentre, all’interno del vagone, si alternano immagini di varia umanità. Da queste descrizioni poetiche emerge, grandioso e meschino, il suo idolo letterario che viene inquadrato mentre viaggia con la moglie da San Pietroburgo verso la Germania e soprattutto verso Baden-Baden, celebrata località termale europea dove soggiornavano, nel 1867, anche intellettuali e scrittori russi come Turgenev e Goncarov. In quella città l’ossessione per il gioco d’azzardo di Dostoevskij è finalmente vissuta a pieno con tutta la disperazione che porta con sé (anche se la moglie riesce a separare la fibra morale dalla sua dipendenza). Due narrazioni, due storie a distanza di un secolo che vivono intrecciandosi, scivolando l’una nell’altra, in continue entrate e uscite, giri lunghi e svolte rapide, seguendo i cambi d’umore dei personaggi e i paesaggi naturali e artistici delle loro vite. Vediamo Dostoevskij con tutte le sue caratteristiche, idiosincrasie, ossessioni, pregiudizi; lui giovane prigioniero del regime zarista, difensore dei perseguitati ma preda del suo sfacciato antisemitismo,
Un’immagine di Anna Grigor’evna, seconda moglie di Dostoevskij. (Keystone)
inseguito dai creditori e in fuga dal suo Paese, le sue miserie, la nevrosi, l’epilessia, fino alla morte nel 1881. E anche lo stato dell’arte della letteratura russa, dei dibattiti fra scrittori e critici del tempo, le avversioni e le menzogne con nomi e cognomi. E i personaggi dei suoi romanzi che sembrano camminare per strada o resistere negli angoli bui delle loro malefatte. Emerge anche Anna Grigor’evna, la stenografa de Il giocatore, lei che tutto perdona, che rammenda e risparmia, che impegna
gioielli al banco dei pegni, conscia del ruolo di moglie protettiva del grande scrittore. Anche nel tempo del viaggio del narratore, un secolo dopo, appaiono importanti personaggi – mai nominati col loro nome ma individuabili attraverso le descrizioni – della scena letteraria e del dissenso russo del Novecento come l’emigrato pentito Solzenicyn o la coppia Sacharov-Bonner. L’autore sapeva troppo bene di non poter essere più esplicito.
Il ritratto sembra più reale del reale – l’autore, ossessionato da Dostoevskij e alla ricerca incessante di informazioni, sembra immergersi totalmente nel suo idolo – e la biografia romanzata cattura il lettore che vive una vera esperienza singolare, nel corso del libro, a causa della fusione delle due storie, un borborigmo senza fine, come un delirio o un sogno. Anche lo stile sorprende: una scrittura letteraria, poetica, evocativa come l’anima russa, circonvoluta, raffinata e talvolta pedante. Le frasi sembrano paragrafi, lunghe anche più pagine, interrotte solo da qualche lineetta, virgola o congiunzione. Una lettura impegnativa, un flusso di coscienza maniacale, comunque inclusivo, distaccato ma umano a significare come intelligenza, introspezione e razionalità possano convivere con l’invenzione e l’immaginazione. Ma chi è questo autore sconosciuto, pubblicato dall’editore Neri Pozza con una sapiente intuizione? Lo scopriamo dal prologo, Amando Dostoevskij di Susan Sontag – altro pregio del libro – che davanti a una libreria di Charing Cross Road (la via è famosa per le sue librerie specializzate e antiquarie), rovistando fra i tascabili usati, trova Estate a Baden-Baden e se ne innamora. Leonid Cypkin, 1926-1981, di famiglia ebrea di Minsk, che perse la nonna sotto i Nazisti e vide il padre arrestato durante il periodo di terrore di Stalin (con tentativo di suicidio in prigione), aveva seguito i genitori nella carriera medica diventando un ricercatore stimato e salendo a migliori funzioni. Fino al 1977 quando suo figlio aveva ottenuto il permesso di emigrare in America: allora fu destituito dai suoi incarichi e privato anche di supporto economico. Aveva sempre scritto senza l’illusione di pubblicare, e durante questo tempo di isolamento scrisse Estate a Baden-Baden. L’autore, affascinato dallo scrittore Dostoevskij, si fa narratore del viaggio della coppia in Europa mentre lui stesso si dirige verso la sua città (Lenin-
grado per l’autore e San Pietroburgo per lo scrittore per problemi di Storia): nel tempo sospeso del viaggio elabora e rielabora domande inquietanti anche sulla sua capacità di comprensione della sofferenza altrui così sbandierata, specialmente di quelli insultati e feriti come pure della vita di una foglia o di un filo d’erba. I suoi romanzi sono colmi di umanità – sebbene quest’uomo non abbia speso una parola a difesa di un popolo perseguitato, anzi: era portatore di pesanti accuse antisemite. Dostoevskij ha narrato un mondo popolato da ebrei che vengono descritti con le qualità più infime e i nasi lunghi. Leonid Cypkin, lui stesso ebreo, sceglie la letteratura e la devozione letteraria nel rappresentare il grande scrittore di Delitto e Castigo, ma descrive anche la vita di sofferenze silenziose degli ebrei sovietici che conosce molto bene.
Dietro a un romanzo magnifico e per certi versi sorprendente si cela Leonid Cypkin, ebreo di Minsk Arriva addirittura a occuparsi di come gli studiosi ebrei abbiano sempre avuto per Dostoevskij una singolare attrazione e studio che lui giudica «un atto cannibalistico verso il leader di una tribù nemica». Oppure lo sfruttamento di un salvacondotto, «come nascondersi dietro la sua schiena» o «mettere una croce sulla porta durante un pogrom». Una doppiezza? Quel che emerge, alla fine, è il ritratto di Dostoevskij e di sua moglie Anna Grigor’evna – un ritratto intimo e fatto di piccoli dettagli, affettuoso ma non sentimentale. Così facendo, l’ha reso personaggio letterario. Bibliografia
Leonid Cypkin, Estate a Baden-Baden, Neri Pozza, 2021
Quando le stelle sono vicine
Racconti Massimo Gezzi ha dato alle stampe una raccolta di racconti in cui si sente la vicinanza del cielo,
e dunque anche della vita Roberto Falconi Mi pare che con l’esordio narrativo de Le stelle vicine Massimo Gezzi, sin qui noto soprattutto come poeta e saggista, abbia prima di tutto scritto un diario. E questo non tanto nell’accezione di «affresco» (o, peggio, di «testimonianza») di un’epoca o di una generazione, ma nel senso profondo di un testo finemente lavorato (e quindi nobilmente letterario) in cui possa prendere forma la necessità di riflettere sul proprio posto nel mondo da parte di uno scrittore (e di un uomo: Gezzi è nato nel 1976) giunto alla sua piena maturità. Mi è sembrato cioè di avvertire, nei dodici pezzi che compongono la raccolta, la voce di chi ha raggiunto una soglia; la consapevolezza di chi ha alle spalle una memoria che non è (più) un inerte serbatoio di ricordi, bensì lo spazio da cui muovere per la costruzione delle proprie (dis)illusioni e della propria visione delle cose. Credo che sia per questo che l’autore insista tanto su motivi e situazioni che icasticamente fissano l’idea della fragilità. A cominciare dalla morte, solo sfiorata da racconti che si chiudono quasi sempre un istante prima della trage-
dia, come nel caso dell’imprenditore in crisi che decide, in una notte limpida, dalle «stelle vicine», di dare fuoco alla propria fabbrica: ci riesce, ma qualcosa va storto durante la fuga dal rogo. O la solitudine dell’infermiera che fa il turno di notte: finché si deve occupare del paziente ricoverato per un’emorragia cerebrale, non è difficile indossare la
maschera che tutti, pirandellianamente, mostriamo in pubblico. Ma nello stanzino della televisione, quando è davvero sola, non può non pensare alla figlia che studia lontano, e che non risponde al messaggino Buon fine settimana. Un bacio Mami. È normale, si dice la donna: in fondo è venerdì sera e a Bologna c’è di meglio da fare. Poi però sente la moglie di quel paziente, una donna bellissima che aveva sin lì accudito senza sosta il marito, uscire dalla stanza per parlare al cellulare con un altro uomo. E quella notte (forse) prende un’altra strada. Nel racconto che chiude il libro una ragazza figlia di circensi arriva nella terza media di Mauro. Ma resterà solo per una settimana, perché tutto finisce: lo spettacolo dei trapezisti, il tendone, così come forse è finita la famiglia di Mauro, a cui quella ragazza bruttina, che però «ha qualcosa di diverso, dentro, di caldo», lascia tuttavia un dono speciale prima di partire. Un rito di iniziazione che vive anche il ragazzo protagonista de Un rettangolo di sole: una partita a calcetto in una giornata assolata, gli amici che arrivano in motorino con le pizze da asporto. Ma basta poco perché tutto cambi e si prenda coscienza dell’impermanenza delle cose.
Una provvisorietà che Gezzi riesce a fissare (e sembra quasi un ossimoro) anche grazie a una serie di costanti tematiche e formali variamente declinate; attraverso, cioè, l’introduzione di elementi dissonanti all’interno di situazioni ricorrenti. Valga, su tutti, il motivo della scuola, toccato da un terzo dei racconti (l’autore è anche insegnante), ma sempre con sensibilità diverse: lo sguardo di un docente malato sulla propria classe; ma anche quello di un allievo che non racconta la verità nel tema di rientro dalle vacanze. O gli incidenti stradali, quegli attimi in cui tutto può cambiare per sempre: non solo quando se ne è vittima, ma anche quando la morte si dilata nelle conseguenze che deve affrontare l’investitore, specie nel caso in cui abbia completamente rimosso l’accaduto, come se nulla fosse successo. Non a caso, inoltre, molti racconti sono costruiti come delle scatole cinesi, nelle quali l’elemento focale è replicato in una sorta di gioco di specchi: è il caso, tra gli altri, del pezzo d’apertura, in cui l’esito imprevedibile di una tipica serata degli anni Novanta al bar sta già tutto nella crudeltà con cui la pallina del flipper non sempre segue le traiettorie desiderate dal giocatore.
Gezzi è abile anche nel variare, oltre allo stile (tra e nei racconti), i punti di vista e le focalizzazioni: dalla terza persona con cui, in un crescendo di tensione, è indagata la condizione di una donna che si crede vittima di uno stalker, alla prima persona, ma variamente modulata, degli altri nove racconti. Così a parlare sono anche personaggi apparentemente laterali, come nel caso della ragazza che assiste alla lite tra un bullo e il controllore dell’autobus che sfocia in una violenza cieca. E anche quando sono i protagonisti a esprimersi, l’autore sa costruire sguardi sghembi sulla realtà, come quello di una donna vittima di una malattia degenerativa che parla con Cattivik. Infine, e mi pare davvero il dato più significativo, la silloge è costruita sulla relazione dialettica tra la sostanziale compiutezza dei singoli pezzi e gli spazi bianchi che li separano, a mimare, anche nei suoi aspetti più profondamente strutturali, il sentimento di fragilità su cui si regge il libro. E le nostre vite. Bibliografia
Massimo Gezzi, Le stelle vicine, Bollati Boringhieri, 2021
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Idee e acquisti per la settimana
l a se Pa n e d e l
t t im a n a
PANe cROccANTe
Il pane di frumento chiaro con segale dal forno a pietra ha una crosta croccante e una mollica morbida. L’aroma leggermente acidulo della parte interna si sposa perfettamente con le note tostate della crosta. È ideale a colazione con contorni dolci o salati
LO SAPEVATE CHE…
… grazie ad una lievitazione di sei ore superiore alla media, il pane dal forno a pietra si mantiene fresco più a lungo? È un pane frutto della perfetta unione tra tradizione artigianale e moderni metodi di produzione. Solo così può sviluppare appieno tutti i suoi caratteristici aromi.
COME GUSTARLO Confettura di pomodori
Immagini e Styling: Veronika Studer
Spalmare delle fette di pane con un po’ di ricotta e della confettura di pomodori fatta in casa. Per la confettura far bollire dei pomodori con delle spezie, del succo di limetta e dello zucchero gelificante. Questa e altre ricette di confetture sono disponibili su migusto.ch.
Ciabatta croccante dal forno di pietra 400 g Fr. 3.80
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cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta Sul triclinio in nome di Dante La storia inizia da una telefonata: «Ti disturbo? Posso parlarti un attimo? Se è un brutto momento dimmelo, chiamo più tardi». «No, no, meglio ora. Stavo solo scrivendo. Dimmi tutto. Così un’altra volta imparo a non spegnere il cellulare». «Hai saputo di Dante?». «No, dimmi». «È morto settecento anni fa». «E hai interrotto quello che stavo facendo per darmi questa notizia?». «No, approfittando dell’evento, vogliamo dare una mano al nostro amico Giorgio, far conoscere il suo ristorante». «Sarò tardo ma continuo a non cogliere il nesso». «Ascolta. Partendo da Dante organizzeremo una serie di cene dedicate ciascuna a uno dei vizi capitali. Ogni volta sarà al centro dell’evento un personaggio illustre, che con il suo stile di vita è in sintonia con il vizio celebrato in quella sera. Abbiamo pensato a te per la serata dedicata all’ozio». «All’ozio, io? Ma se sono un alcolizzato del lavoro, incapace di stare con le mani in mano anche solo per cinque minuti. Perché siete arrivati
a me?». «Sai come si fa in questi casi, no? Si riempiono man mano le caselle vuote con i nomi. Tu eri il nostro jolly». «Jolly? In che senso?». «Tu saresti andato bene per tutti i vizi e stravizi. Tranne che per la lussuria, naturalmente». «Scusa, fammi capire. Perché per la lussuria non sarei andato bene?». «Beh, va bene ridere e scherzare, va bene il paradosso, ma insomma... un minimo di credibilità, di aderenza del personaggio al vizio ci vogliono». «Se è solo per quello ti posso dare un elenco di signore che potrebbero fornirti referenze ineccepibili». «Sì, certo, le tue famose performance fra la prima e la seconda guerra punica». «Cancelliamo la memoria storica! Poi non lamentiamoci se i giovani non hanno più valori!». «Ti guardi allo specchio? È più sexy un carrello del bollito misto». «Bisogna andare all’estero per farsi apprezzare. Accantoniamo la lussuria. Ma perché proprio l’ozio?». «Te l’ho detto, man mano abbiamo riempito tutte le caselle. Alla fine rimaneva fuori
solo l’ozio». «Che cosa dovrei fare di preciso?». «Niente, non devi fare proprio niente. Arrivi, ti siedi al tavolo e mangi. Tutto qui». «Devo solo mangiare, dici?». «Mangiare e bere, naturalmente. Servito come un re». (Un mese dopo). «Aspetta che ti apro la porta del ristorante. Tu non devi fare il minimo sforzo, ricordati che da questo momento sei l’ozio in persona. Il tuo posto è sopra la pedana». «E quello cos’è?». «Non lo riconosci? È un triclinio romano, è così che la gente si immagina la posizione dell’ozioso mentre mangia». «E io dovrei mangiare stando sdraiato lì sopra? Con le trippe di fuori come un lucumone etrusco? Te lo scordi». «È prevista una tunica bianca della tua misura, bella abbondante. Se i patrizi romani mangiavano sdraiati a quel modo un motivo ci sarà pur stato!». «È già tanto se mi siedo a quel coso come un cristiano». «Non ti facevo così capriccioso. Sembri una rock star. Giorgio ci starà malissimo se non ti sdrai sopra il triclinio, gli è costato una bella cifra». «Ti rendi almeno
conto di cosa mi state chiedendo?». «Fallo almeno per le foto! Due scatti e via! Poi ti vai a sedere comodo al tavolo». «Vada per le foto, aiutami a indossare la tunica». «Buona sera, io sono il fotografo incaricato del servizio. Dovrebbe stare più disteso, con il tronco appoggiato mollemente sul fianco sinistro, la testa voltata verso l’alto». «Faccia svelto, non so per quanto tempo riuscirò a resistere in questa posizione». «Eppure gli antichi romani ci stavano per delle giornate intere». «Come fa a dirlo? Lei c’era?». «No, ma l’ho visto al cinema. E poi l’ha detto alla tivù il figlio di Piero Angela. Mi perdoni, ma l’espressione del viso non va». «Che cos’è che non va della mia faccia?». «Lei è uno che sta per fare l’ecografia con due litri di acqua nella vescica. Deve farmi la faccia dell’ozioso». «E com’è la faccia dell’ozioso?». «A me lo chiede? Io lavoro da quando avevo tredici anni». «Provo a strizzare gli occhi. Così va bene?». «Accontentiamoci. Adesso per favore sollevi questo grappolo d’uva so-
pra la testa e provi a mangiarne qualche chicco da sotto, con aria voluttuosa». «Mi fa male la schiena». «Si vede che non ha fatto gli esercizi preparatori. Avanti su, ancora un piccolo sforzo e abbiamo finito, pensi di essere Richard Burton a pranzo da Cleopatra». «Scommetto che adesso mi chiederà di bere del vino da una coppa facendo correre due rigagnoli ai lati del mento». «Volevo farlo ma mi hanno spiegato che quello scatto è per la gola. Abbiamo finito». «Giorgio si scusa se non è ancora venuto a salutarti, in cucina hanno un problema. L’aiuto cuoco si è sentito male. Tu sei bravo in cucina, vero?». «Sì, me la cavo. Ma non penserai mica...». «Cosa ti costa? Invece di stare qui ad annoiarti tutta la sera! Tanto le foto le hai già fatte. Fermati! Dove stai andando? Vai già via?». «Vado a dare una mano in cucina». «Ricordati che ti devo intervistare per il nostro giornale su questa esperienza. Anzi, perché non la scrivi tu, in fondo sei un nostro collaboratore».
disse, cercando di rimediare a quello che sentiva come un tradimento. Betta aveva fatto del suo meglio per penetrare i sofisticati meccanismi di perpetuazione del proprio status che rendevano la famiglia di Tom così solidamente bohémienne. Si era strappata di dosso la provincia con un impeto mansueto. Senza negare l’ingombro delle origini, ma evitando di mettere i suoi genitori alla mercé dell’ossessione giudicante di Esther. Si era adeguata con la grazia che aveva ricevuto in dono alla nascita. Sapeva che Esther ammirava la sua bellezza e aveva imparato a non sottolinearla , sapeva di essere diventata argomento di conversazioni compiaciute, «La compagna di mio figlio è una ragazza bellissima». Aveva accettato la parte. L’aveva recitata con scrupolo, allontanando il sospetto d’aver colto un possibile sottotesto che la relegasse nell’indistinto mucchio delle persone d’intelligenza comune. Aveva fatto del suo meglio, Betta. E lui l’aveva offerta all’altra donna della sua vita (sua madre, una divinità depo-
sta, ma mai davvero invecchiata) nel nudo teatro della vita quotidiana: aveva detto «Non è mai contenta», «Non la sento mai al mio fianco», «Tratta nostra figlia come una nemica». E ora gli pareva di vedere, nello sguardo di Esther, accendersi quella curiosità schierata che tante volte l’aveva irritato. «Certo che vi amate moltissimo, ci mancherebbe. È una perla di ragazza e forse sta attraversando un brutto momento, dovresti starle vicino. Vai, vai a casa. La bambina resta con noi, così state più tranquilli. Se ha le cose di scuola…» Tom mostrò le cose di scuola della figlia, dominando un soprassalto di orgoglio. Lui era un padre attento e Betta era una madre snaturata. Non avrebbe voluto, ma ormai era quella la china. Arrivò a casa, frastornato, con la testa pesante per il vino, e l’anima carica di buone intenzioni. Sarebbe stato magnanimo e dolce, malinconico, beneducato, cavalleresco. Si sarebbe scusato per averle detto quella frase volgare, perché lui non era un uomo volgare e… non so che mi è preso amore mio, potrai mai
perdonarmi? Sì, avrebbe detto così, esagerando colpa e contrizione. E avrebbero celebrato una di quelle che avevano battezzato «piccole nozze»: seguivano ogni ritrattazione radicale di qualche accusa espressa da lui su di lei, da lei su di lui, o da tutti e due su quella divinità esigente detta «il nostro rapporto». Erano un rifugio sicuro, le piccole nozze. E Betta se le era meritate. Aveva comperato le patate le uova e il prosciutto di seconda scelta. Era dura per lei essere povera. E l’uomo con cui stava prima, prima di scegliere Tom, aveva ereditato dal padre un autosalone. Vendeva Mercedes, l’imbecille. Iacopo l’imbecille. Pensò che l’avrebbe evocato, imbecille e impaccato di soldi com’era. Avrebbero parlato male di quelli che erano impaccati di soldi. Per un attimo si cullò con l’idea di piangere sul seno di Betta, di farsi consolare per tutto quello che doveva essere e non era ancora stato. Poi si accorse che Betta non c’era. La sua borsa era ancora appesa alla sedia. E sul tavolo c’erano, in bell’evidenza, le sue chiavi di casa.
soggetto, invece di trasmettere informazioni e percezioni già acquisite. Ne deriva che il controllo e l’azione umana sul mezzo di comunicazione intervengono solo al livello dell’invenzione del mezzo stesso, ma non influiscono sulla sua gestione, che sfugge a ogni controllo ed è subordinata esclusivamente alle caratteristiche tecnologiche di ogni medium particolare. Di conseguenza, è possibile fondare un’antropologia culturale che si basi esclusivamente sullo studio dei mezzi di comunicazione di massa e sulla loro incidenza nella storia umana. A questo riguardo, l’analisi di McLuhan distingue due epoche principali: la modernità, che va dall’invenzione della stampa sino alla metà dell’800; e la contemporaneità, inaugurata dall’uso dell’energia elettrica. Caratteristica della modernità (La galassia Gutenberg: nascita dell’uomo tipografico, 1962) è la frammentazione dell’«esperienza», dovuta ai caratteri specifici della trasmissione di dati mediante la stampa (per cui
l’«apprendimento» avviene in assenza di interlocutori, l’atto conoscitivo si trasforma in un fatto individuale, ossia la lettura). Viceversa, la contemporaneità costituisce un ritorno a condizioni premoderne: la restaurazione della voce e della presenza del soggetto parlante (in un processo che va, con progressivo affinamento, dal telegrafo al telefono, e da questo alla televisione) restituisce una modalità di esperienza più continua e immediata, per cui il mondo viene a essere un «villaggio planetario» ove l’uomo esercita funzioni (come la forte mobilità, la pluralità delle prestazioni richieste ecc.) più simili a quelle dell’uomo antico che a quelle dell’uomo moderno. McLuhan diventa anche uno dei primi, e più travolgenti, intellettuali mediatici della neonata società dello spettacolo. Viene baciato da una impressionante celebrità, al punto da interpretare sé stesso in una notissima scena del film di Woody Allen Io e Annie (1977), in cui, in coda al botteghino di un cinema, rimbrotta
un ragazzo che cerca di impressionare la sua accompagnatrice citandolo, e gli fa osservare, senza tanti complimenti, di non aver capito nulla delle sue teorie. O, ancora, tanto da ispirare il personaggio del professore Brian O’Blivion di Videodrome, l’allucinato film di David Cronenberg (che frequentò i suoi corsi all’università di Toronto), e da meritare nel 1969 una gigantesca intervista sulla rivista «per soli uomini» «Playboy». In quella famosa intervista spicca in modo particolare l’idea chiave di McLuhan, secondo la quale i media non possono essere considerati come dei semplici strumenti che, mediante le rappresentazioni che producono, aiutano le persone a mettersi in contatto con la realtà sociale. Si tratta invece di mezzi che sono in grado di creare dei mondi all’interno dei quali è possibile entrare, cioè dei veri e propri ambienti culturali nei quali le persone possono dare vita alle loro relazioni sociali. Da qui la nascita di Internet…
Quaderno a quadretti di lidia Ravera Le nuove povertà/22 «Mamma sta meglio?» , chiese Sara, con una vocetta artefatta. Davanti alla nonna, fin da quand’era piccola, le piaceva assumere maniere impeccabili. Tom masticò a lungo il boccone di vitello tonnato che Esther aveva cucinato in suo onore, per prendere tempo. Poi disse: « Sai com’è la mamma… la fa sempre un po’ tragica». «Ma la voce le è tornata?» «Sì certo, l’ho convinta a prendere il cortisone». Esther si intromise e per qualche minuto la conversazione si animò di opinioni sui medicinali, uso abuso fobie effetti collaterali dosaggi. Candido citò il film Dietro lo specchio, di Nicholas Ray. Con James Mason che diventa matto prendendo il cortisone e cerca di ammazzare suo figlio. 1957. L’avevano appena scoperto. Il cortisone. Parlarono un po’ di cinema, Candido e Tom, esibendo la loro competenza. La prima bottiglia di vino finì rapidamente. Ne aprirono un’altra. Poi Sara chiese il permesso di alzarsi da tavola,
un gesto inamidato cui Esther dedicò un sorriso soddisfatto. «Questa bambina è un tesoro». «Betta la trova supponente ipercritica choosy e anaffettiva», disse Tom, continuando a bere. Quando anche la seconda bottiglia fu vuota, si rese conto di aver parlato senza interruzione per quella sproporzione di tempo che trasforma una confidenza in un comizio. O un comizio in uno sfogo isterico. Aveva acceso, a beneficio di sua madre, una luce crudele sulla sua compagna, un piccolo crimine di cui non si era mai macchiato prima. Si accorse di essere leggermente sbronzo, sbronzo come si sbronzava in famiglia a vent’anni, esponendo con fierezza il suo malumore, come una delle stigmate dell’età adulta. Vedete? Anche io sono infelice. Ho raggiunto questo obbiettivo. D’ora in avanti non sarete più il Padre e la Madre, non vi corre ormai neppure l’obbligo di difendermi dal male. Siamo colleghi. Si alzò barcollando e sorrise a Esther. «Comunque ci amiamo moltissimo»,
A video spento di aldo Grasso Internet, un sogno realizzato? Internet, la «rete» che prodigiosamente avvolge il mondo intero creando un’unica connessione, è il sogno realizzato del famoso «villaggio globale» di McLuhan? Quella del «villaggio globale» è una metafora adottata da McLuhan per indicare come, con l’evoluzione dei mezzi di comunicazione, il mondo sia diventato «piccolo» e abbia assunto di conseguenza i comportamenti tipici di un villaggio. Le distanze siderali che in passato separavano le varie parti del mondo si sono ridotte e il mondo stesso ha smarrito il suo carattere di infinita grandezza per assumere quello di un villaggio. Internet ha ancora di più accorciato le distanze. Più passa il tempo e più le teorie di McLuhan si rafforzano, la sua forza visionaria non ha eguali nel campo degli studi sui media. Rileggere oggi McLuhan è una vera scoperta. Il sociologo canadese (Edmonton 1911 - Toronto 1980) ha studiato a lungo il ruolo dei mezzi di comunicazione nella società contemporanea attribuendo
il loro influsso sui modelli di pensiero e di comportamento alle peculiarità strutturali dei mezzi stessi più che al contenuto dei messaggi comunicati. Si deve a McLuhan l’introduzione del metodo di analisi dei mass media che si riassume nel principio «il mezzo è il messaggio»: gli strumenti di comunicazione di massa (tra i quali egli annovera anche l’elettricità, i mezzi di trasporto, il denaro, l’abbigliamento ecc., che trasmettono informazioni anche se questa non è la loro finalità elettiva) non vanno definiti e studiati a partire dal contenuto del messaggio che trasmettono, ma in base ai criteri strutturali specifici attraverso i quali essi organizzano la comunicazione, poiché questa si identifica con il mezzo che la veicola (si veda in particolare Gli strumenti del comunicare, 1964). Una simile opzione metodologica si giustifica con l’assunto che i mezzi di comunicazione determinano le condizioni dell’informazione e della percezione del mondo da parte del
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30% Lasagne M-Classic alla bolognese o alla fiorentina, in conf. multiple, per es. alla bolognese, 3 x 400 g, 9.– invece di 12.90
20x PUNTI
conf. da 3
33%
Novità
20%
3.60
Rösti
Tutti i tipi di pasta M-Classic
Original o alla bernese, per es. Original, 3 x 500 g, 3.90 invece di 5.85
per es. fusilli, 500 g, 1.35 invece di 1.70
Couscous di mais bio, aha! 500 g, in vendita nelle maggiori filiali
a partire da 2 pezzi
30%
25%
Tutte le farine TerraSuisse
Pizza M-Classic
per es. farina per treccia, 1 kg, 1.35 invece di 1.90
Margherita o Toscana, surgelata, in confezione speciale, per es. Margherita, 3 x 275 g, 5.60 invece di 7.50
Migros Ticino
Offerte valide solo dal 24.8 al 30.8.2021, fino a esaurimento dello stock
Bellezza e cura del corpo
Per sentirsi bene dalla testa ai piedi
conf. da 2
30% Shampoo o balsamo Pantene Pro-V per es. Shampoo lisci effetto seta, 2 x 300 ml, 5.60 invece di 8.–
conf. da 2
25% Shampoo Head & Shoulders per es. Classic Clean, 2 x 500 ml, 10.95 invece di 14.60
20% Assorbenti Always Ultra in confezioni speciali, per es. Normal Plus, 36 pezzi, 4.70 invece di 5.90
a partire da 2 pezzi
20% Tutto l'assortimento Secure e Secure Discreet (confezioni multiple e sacchetti igienici esclusi), per es. Secure Ultra Normal, FSC, conf. da 10, 2.40 invece di 2.95
Hit 5.90
Tampax Regular, Super o Super Plus in conf. speciale, per es. Regular, 30 pezzi
con l’1,5% di puro ac ido ialuronico etto Con e f f e ric o t a nt i b a t
20x PUNTI
Novità
4.95
a partire da 2 pezzi
Crema per le mani 3 in 1 Care & Protect Nivea 75 ml
25% Prodotti per la cura del viso L'Oréal (prodotti Men, confezioni da viaggio e confezioni multiple esclusi), per es. siero Revitalift Filler, 30 ml, 18.75 invece di 24.95
D ue l a me una rasat upe r ra pe r f e t t a
Hit 5.80
Hit 4.–
50% Rasoio usa e getta Gillette Simply Venus 2 8 pezzi
Tutti i rasoi Gillette e Gillette Venus (esclusi rasoi usa e getta, lame di ricambio e confezioni multiple), per es. Gillette Venus Spa Breeze, il pezzo, 6.90 invece di 13.80
conf. da 3
20% Fazzoletti di carta Linsoft, FSC in conf. speciale, 42 x 10 pezzi
Fazzoletti e salviettine cosmetiche Linsoft, Kleenex e Tempo in confezioni speciali, per es. salviettine cosmetiche Linsoft in scatola quadrata, FSC, 3 x 90 pezzi, 4.65 invece di 5.85
Offerte valide solo dal 24.8 al 30.8.2021, fino a esaurimento dello stock
Bebè e bambini
Per i più piccolini a prezzi mini conf. da 2
20% Tutto l'assortimento di succhietti Medela baby per es. Day & Night, 7.60 invece di 9.50
a partire da 3 pezzi
33% Tutti i pannolini Pampers per es. Baby Dry 4, conf. da 46, 12.70 invece di 18.90
Hit 99.–
30%
Tavolo Skip Hop Explore & More Activity il pezzo
Tutto l'assortimento Fisher-Price per es. blocchi assortiti, il pezzo, 13.90 invece di 19.90
Hit 47.50
Ricariche Sangenic Twist and Click in conf. speciale, 6 pezzi
C o n pe a nt i b a t t l l i c o l a av v o l g e r e r i c a pe r e fin pannolino a 3 0 i
Hit 85.–
Zaino-fasciatoio Mainframe Skip Hop il pezzo
c he r o a Se nza zuc
g g i unt o S na c k pr e z i o c o n a l i me s e f i b r e nt v i t am a r i e i ne
a partire da 4 pezzi
25% Tutte le bustine morbide e gli snack HiPP per es. bustina morbida mela, pera, banana , 100 g, 1.45 invece di 1.90
a partire da 3 pezzi
25% Tutto l'assortimento di alimenti per bebè Organix e Galactina Plasmon per es. biscotti per bambini, 160 g, 2.95 invece di 3.90
30% Tutto l'assortimento Barbie per es. Barbie T7439 Chic, il pezzo, 6.90 invece di 9.90
conf. da 3
Hit 11.95
30% Tutto l'assortimento Hot Wheels per es. automobilina Corvette C7 206, il pezzo, 2.– invece di 2.90
Boxer da bambino disponibili in diversi motivi e misure, per es. con motivi Spider-Man, tg. 98/104
Hit 39.90
Playmobil 70663 Canyon Copter Rescue il set
Offerte valide solo dal 24.8 al 30.8.2021, fino a esaurimento dello stock
Varie
Praticità e convenienza A mmorbidente pe r pe lli se nsibili conf. da 2
23% 10.– invece di 13.–
Ammorbidenti Exelia per es. Ultra Sensitive in conf. di ricarica, 2 x 1,5 l
a partire da 2 pezzi
50% Tutti i detersivi Total per es. 1 for all in conf. di ricarica, 2 l, 8.45 invece di 16.90
Con profumo di aloe vera e orchidea bianca
20x PUNTI
Novità
2.90
Detergente per WC M-Plus lampone 750 ml
20x PUNTI
33% Carta per uso domestico Twist Classic e Recycling, in confezione speciale, per es. Classic, FSC, 16 rotoli, 8.55 invece di 12.80
Migros Ticino
conf. da 3
20% 7.40 invece di 9.30
Novità
Manella per es. Limited Edition, White Orchid & Aloe Vera, Limited Edition, 3 x 500 ml
6.95
Botanicals M-Fresh Green Nature, Floral Tender o Precious Wood, per es. Green Nature, il pezzo
Fiori e giardino
CONSIGLIO DEGLI ESPERTI
25% Padelle e casseruole in titanio Limited Edition, disponibili in azzurro e grigio chiaro nonché in diverse taglie, per es. padella a bordo basso, azzurro, Ø 28 cm, il pezzo, 44.95 invece di 59.95
Hit 48.95
Padella a bordo basso Titan, Ø 30 cm Limited Edition, disponibile in grigio chiaro e azzurro, per es. grigio chiaro, il pezzo
I gambi delle rose devono essere immersi in acqua almeno per la metà della loro lunghezza. L’acqua dev ’essere fredda ma mai ghiacciata.
A prov a di graf fi grazie al riv estimento antiade re nt e rinforzat o
Hit 19.95
Set di stampi da forno Stampo per cake, teglia per dolci e tortiera apribile, il set
Ricc o di p c e r e a l i i nt o l l o e e g r al i
Hit 13.95
a partire da 3 pezzi
50% 9.95 invece di 19.95
Migros Ticino
30% Striscia luminosa Dave LED fissi, con telecomando, dimmerabile, multicolore, 5 m, il pezzo
Tutto l'assortimento di alimenti per gatti Vital Balance
Bouquet di rose M-Classic, Fairtrade mazzo da 30 pezzi, lunghezza dello stelo 40 cm, disponibile in diversi colori, per es. bianco-rosarosso, il mazzo
per es. Adult con pollo, 450 g, 2.95 invece di 4.20
Offerte valide solo dal 24.8 al 30.8.2021, fino a esaurimento dello stock
L’Italia secondo i tuoi gusti
Validi gio.– dom. Prezzi
del
weekend
conf. da 3
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imbattibili
Mozzarella Galbani
40% 3.– invece di 5.–
3 x 150 g
Bistecca di manzo marinata, IP-SUISSE in conf. speciale, per 100 g, offerta valida dal 26.8 al 29.8.2021
invece di 5.85
San Pellegrino per es. acqua minerale, 6 x 1,25 l, 3.80 invece di 5.70
hiere di e c c i b n u i Aggiung o pronto un dolc cc latte ed eliano perfetto it a
conf. da 3
33% 5.60 invece di 8.40
Hit 4.50
Campagnole Mulino Bianco 700 g
Hit 8.90
Offerte valide solo dal 24.8 al 30.8.2021, fino a esaurimento dello stock
Sugo di pomodoro al basilico Agnesi
40% 9.95 invece di 16.80
3 x 400 g
Nuggets di pollo Don Pollo surgelati, in conf. speciale, 1 kg, offerta valida dal 26.8 al 29.8.2021
a partire da 2 pezzi
Pasta fresca Garofalo ravioli ricotta e spinaci o tortellini prosciutto crudo, in conf. speciale, per es. ravioli, 500 g
30% Tutto l'assortimento Borotalco per es. roll-on Original, 50 ml, 3.85 invece di 5.50, offerta valida dal 26.8 al 29.8.2021