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MONDO MIGROS
Pagine 2 / 6 – 7
SOCIETÀ Pagina 5
La nuova guida architettonica curata da Valeria Frei ci porta alla scoperta del Ticino industriale
Manuela Schär porterà in pista, per l’ultima volta, i colori rossocrociati ai giochi paralimpici di Parigi 2024
TEMPO LIBERO Pagina 15
Quanto siamo diversi?
ATTUALITÀ Pagina 25
Russia e Cina sembrano amiche, ma in realtà Mosca teme di essere sottomessa da Pechino
Intervista a Fabio Casagrande che con la sua libreria e le sue edizioni festeggia un doppio anniversario
CULTURA Pagina 40
I giornali e i loro irrinunciabili usi alternativi
Anni fa, scherzando ma non troppo, in un turno cosiddetto «di chiusura» nel quotidiano per il quale lavoravo, abbondantemente dopo la mezzanotte, assieme a un collega ho provato ad elencare tutti i possibili usi non giornalistici del giornale di carta, tipo infilarlo sotto la giacca d’inverno quando si va con lo scooter, collocarne le pagine aperte sul pavimento quando si dipinge una parete, farne un cappellino a forma di barchetta quando c’è troppo sole, usarlo come materia prima per i lavoretti di carta pesta. Un quotidiano cartaceo, così come un settimanale, ha sempre una buona ragion d’essere. Si potrebbe lanciare una campagna pubblicitaria, basata sul concetto del riciclo: «…e dopo aver letto le pagine di “Azione”, potrete farvi un simpatico copricapo, uno schermo termico anti gelo, uno strato anti schizzi di pittura…».
Fino a quando dureranno i giornali di carta ora che l’informazione la trovi sempre online, ap-
parentemente gratis? Fino alla fine dei tempi (o della carta) perché siamo esseri fatti di carne e abbiamo bisogno di materia. Così come gli e-book non hanno soppiantato i libri cartacei, l’informazione elettronica non può sostituire quella su carta. Perché è impalpabile, iper diffusa, mimetica. Ci sono siti di informazione serissimi, ma la gente su internet cerca le notizie prevalentemente sui social, non sulle singole testate. E sui social è tutto un mix di vero e falso, di notizie affidabili e disinformazione. Questo genera confusione, fraintendimenti, bugie. E, di conseguenza, scelte private e pubbliche sbagliate, perché basate o sulla mistificazione o sull’impossibilità di distinguere facilmente le informazioni fondate da quelle farlocche. Nel reale, ergo nel cartaceo, hai più controllo sui media: prendi in mano un giornale e sai chi applaudire o con chi arrabbiarti per quello che leggi. Se scegli una testata seria, dopo averla consultata im-
pari qualcosa che prima non sapevi. Nel frullatore del web con chi te la prendi: con Facebook? Occorre ricordarsi che le più grandi idee della modernità sono state scritte e stampate su carta, che le parole virtuali volano nel web e, al di fuori di una testata riconosciuta, non riesci quasi mai a soppesarne la fondatezza. Lo scrivo con tristezza constatando che anche in Svizzera sono tempi grami per i media tradizionali. Qualche giorno fa il gruppo editoriale Tamedia, filiale del Gruppo TX, ha annunciato il taglio di 200 posti di lavoro nel settore della stampa, e di altri 90 nelle redazioni. In dicembre anche CH Media aveva comunicato la cancellazione di 140 posti nella Svizzera tedesca; l’impresa zurighese Ringier di 55; e il gruppo ESH Médias (editore dei quotidiani romandi Nouvelliste, Arcinfo e La Côte) di un’altra trentina. Il Ticino ha visto negli ultimi anni la chiusura del «Giornale del Popolo», del «Caffè» e di «Ticino Ma-
nagement», oltre a licenziamenti alla RSI e al «Corriere del Ticino». Chiaro che «il prerequisito per un giornalismo indipendente di qualità è la sostenibilità economica», come ha spiegato l’altro giorno la CEO di Tamedia, Jessica Peppel-Schulz. Ma un conto è far quadrare i bilanci, un altro è sacrificare l’informazione sull’altare del massimo profitto. Il sindacato Impressum ha fatto sapere che le redazioni di Tamedia generano un rendimento del 2% in tutta la Svizzera: era davvero necessario calare la mannaia? Se il panorama mediatico svizzero si indebolisce a perderci è la capacità collettiva di capire il territorio e il mondo intero. In definitiva, la qualità stessa della nostra democrazia. Salviamo i media, decodificatori di un’attualità complessa, cani da guardia del potere, coscienze vigili e analitiche del pianeta. E, alla peggio, praticissime fonti di cappellini, schermi antifreddo e altre irrinunciabili utilità.
Simona Sala Pagine 4 e 36-38
Carlo Silini
Un’iper frammentazione che ci arricchisce
GDI ◆ Nel più recente studio del think tank voluto da Gottlieb Duttweiler si analizzano i rapporti tra diversi gruppi in Svizzera
Quattro lingue (svizzero tedesco, 65%; francese, 39%, italiano 17%, romancio 0,9%), 26 cantoni, almeno 6 orientamenti religiosi (32,1% cattolico, 20,5% evangelico riformato, 5,6% altre comunità cristiane, 5,9% comunità musulmane, 1,3% altre chiese, 33,5% senza appartenenza religiosa), una comunità composta per quasi un quarto da stranieri (i più numerosi sono, rispettivamente, gli italiani, poi i tedeschi, i portoghesi e i francesi)... Potremmo andare avanti a lungo con questo elenco, che ci restituisce una Svizzera tutt’altro che omogenea, ad esempio soffermandoci sulle differenze tra cantoni a livello scolastico o sanitario, oppure di reddito; spingendoci ancora più in là, frammentando cioè ulteriormente la società, approderemmo alle differenze individuali, di cui fanno parte il livello di formazione, il grado di socializzazione, e, non da ultimo, l’orientamento politico o sessuale. La Svizzera, infatti, grazie ai suoi Kim de l’Horizon (vincitore del Deutscher e Schweizer Buchpreis) e Nemo (vincitore dell’Eurofestival) ha fatto da involontaria paladina anche della causa della diversità di genere, mettendo in luce la «non binarietà». Ed è proprio qui che entra in gioco il più recente studio commissionato dal Percento culturale Migros al GDI (Gottlieb Duttweiler Institut) – vedi anche articolo a pagg. 36-38 – dove i ricercatori Jakub Samochowiec e Johannes C. Bauer, attraverso lo studio qualitativo Insieme nella diversità?
Il grande studio svizzero sulla diversità, si sono occupati dell’ impatto che una tale stratificazione sociale può avere sulla stessa società e sui suoi individui. I due ricercatori hanno esaminato in dettaglio cosa i differenti gruppi che vivono in Svizzera (suddivisi per grado di istruzione, situazione economica, orientamento politico, religio-
Il ricercatore del GDI Dr Jakub Samochoviec. (Jorma Müller)
so e sessuale, provenienza, età, ecc) sentano gli uni per gli altri e pensino gli uni degli altri. Lo studio è stato completato da una ricerca su «quanti contatti i diversi gruppi abbiano tra loro, come questi influenzino gli atteggiamenti e cosa renda difficile gli incontri».
Lo studio sottolinea come una maggiore diversità porti «anche a maggiori discrepanze tra i valori portanti dei diversi individui all’interno di una società». Quanto più la diversità riguarda aspetti fondanti dell’individuo, come le sue opinioni, la sua
personalità e i suoi valori (la cosiddetta deep diversity), e tanto più si trasforma in differenza, con tutto il suo potenziale di conflitto. A questo proposito i ricercatori citano il paradosso della tolleranza, per il quale ribattere con la tolleranza all’intolleranza metterebbe a rischio una società di per sé tollerante. Lo studio ha però messo in luce anche un altro aspetto: il contatto fra gruppi diversi favorirebbe l’adattamento reciproco degli stessi, oltre a offrire una «familiarizzazione emotiva». Abbiamo incontrato Jakub Sa-
Dallo studio ai progetti concreti per la gente
Esther Unternährer, responsabile di progetto in ambito sociale, spiega come i risultati della ricerca sulla diversità porteranno a nuovi progetti rivolti alla popolazione.
Perché il Percento culturale Migros ha commissionato uno studio sulla diversità al GDI?
La diversità in Svizzera è una tradizione. La diversità è una questione sociale e l’impegno per la società è la missione del Percento culturale Migros, che dal 1957 è sancito dallo Statuto della Migros come scopo aziendale indipendente. Per questo motivo abbiamo voluto scoprire cosa pensino della diversità le persone che vivono in Svizzera, così da poter orientare le nostre attività promozionali di conseguenza. Abbiamo quindi commissionato al GDI uno studio.
Quali sono i risultati a suo avviso più interessanti?
Sono rimasta colpita da tre risultati in particolare: la diversità è generalmente vista in modo positivo e come un arricchimento della propria vita; nonostante la diversità, però, la società svizzera non è molto eterogenea e i gruppi tendono a rimanere chiusi in sé stessi; il motivo addotto è che ci sono troppe poche occasioni di incontro «reale»; non si tratta solo di un breve saluto sulle scale o per strada, ma di uno scambio di opinioni e stili di vita.
Cosa farà il Percento culturale Migros con questi risultati? Da decenni ci impegniamo per la coesione sociale. Coesione e buona convivenza significano anche concentrarsi sulle esigenze di tutti. Con l’iniziativa #diversità vogliamo concentrarci su vari aspetti della diversità in Svizzera per un anno intero a partire da oggi. Vogliamo motivare la popolazione a superare i confini
Redazione Carlo Silini (redattore responsabile)
Simona Sala
Barbara Manzoni
Manuela Mazzi
Romina Borla
Natascha Fioretti
sociali, a cercare la diversità e quindi ad allargare i propri orizzonti.
Cosa significa concretamente?
L’iniziativa #diversità durerà circa un anno e comprenderà tre fasi. Stiamo lanciando la prima fase con il motto «Insieme invece che uno accanto all’altro». Sotto forma di concorso, cerchiamo esperienze quotidiane su come costruire ponti tra le persone in modo semplice. Sul nostro sito engagement.migros.ch/ diversity, tutti sono invitati a condividere con noi i loro consigli e le loro esperienze per un’interazione positiva. In palio ci sono 100 buoni Migros del valore di 100 franchi. Per consentire al maggior numero possibile di persone di partecipare al concorso, le informazioni sono disponibili in tedesco, francese e italiano, oltre che in inglese, e sono in un linguaggio semplice.
La seconda fase sarà rivolta a orga-
Ivan Leoni Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Telefono tel + 41 91 922 77 40 fax + 41 91 923 18 89 Indirizzo postale Redazione Azione CP 1055 CH-6901 Lugano
mochowiec, insieme a Johannes C. Bauer autore del recente studio del GDI.
Jakub Samochowiec, lei può ormai considerarsi un esperto del popolo svizzero. Cosa l’ha colpita maggiormente dei risultati emersi dallo studio appena presentato? Fra gli aspetti che mi hanno colpito maggiormente vi è quello della discrepanza politica, laddove le persone appartenenti all’area di sinistra mostrano una negatività persino più grande di quelle dell’area di destra.
Chi appartiene all’area di sinistra mostra scarsa tolleranza verso chi è di destra, mentre, a loro volta, le persone di destra mostrano scarsa tolleranza verso le minoranze. Sono rimasto anche colpito dal fatto che ben il 40% delle persone svizzero tedesche interpellate non conosca alcun ticinese, e che un altro 35% ne conosca solo pochi. Mi sono così reso conto di quanto siano limitati i contatti tra le varie regioni della Svizzera. Abbiamo però osservato che, non appena ci si conosce un po’ meglio, i sentimenti delle persone si fanno di colpo più positivi.
Un aumento dei contatti fra i vari gruppi presi in esame permetterebbe un abbattimento delle diversità. Quali sono a suo avviso gli ostacoli da superare al fine di favorire i contatti?
Ci siamo chiesti dove sia possibile incontrare persone diverse tra di loro: principalmente ciò avviene nella cerchia delle proprie amicizie e sul posto di lavoro. Il contatto individuale tra le persone da una parte permette di rendersi conto di come in realtà le cose in comune siano maggiori delle differenze, e dall’altra di come i gruppi non siano omogenei al proprio interno.
È vero che il lavoro di ricerca andrebbe affrontato con una disposizione neutrale, ma lei aveva delle aspettative?
nizzazioni e istituzioni specializzate con un concorso di idee. Siamo alla ricerca di idee progettuali che contribuiscano a garantire che tutte le persone possano svolgere un ruolo paritario nella formazione della vita sociale e culturale in base alle loro condizioni e potenzialità individuali. Nella grande votazione pubblica che si terrà alla fine di febbraio 2025, il pubblico avrà voce in capitolo su quali 15 progetti saranno sostenuti dal Percento culturale Migros con una sovvenzione fino a 50.000 franchi ciascuno. L’iniziativa #diversità si concluderà nel giugno 2025 con un gran finale. Vogliamo motivare le persone in Svizzera a sperimentare cose nuove e a fare nuovi incontri, con l’obiettivo di ampliare i loro orizzonti personali.
Naturalmente avevo delle aspettative, e, come detto, sono rimasto colpito dalla discrepanza politica. Solitamente si parlava del «Graben» tra Romandia e Svizzera tedesca o tra campagna e città, invece è tra schieramenti politici. Inoltre, non mi aspettavo di trovare tanta negatività tra i giovanissimi verso le minoranze. A livello personale sono rimasto colpito dalla negatività nei confronti dei cognomi stranieri. Io mi chiamo Samochowiec, che si pronuncia «samochoviez», ma spesso mi chiamano «samochovic», come se fossi slavo, e questo in un Paese dove il 20% degli interpellati ha sentimenti negativi verso potenziali vicini di casa il cui nome termina in «ic». Io credevo che questo pregiudizio, magari grazie al calcio, fosse ormai superato.
Dopo lo studio sull’amicizia e quello sul vicinato, ora uno studio sulla diversità. Ha riconsiderato i risultati degli studi precedenti alla luce dello studio sulla diversità? Avete individuato un fil rouge che permetta un identikit della Svizzera? Buona domanda! Ripensandoci, credo che il ruolo svolto sia dalla cerchia degli amici sia dal vicinato sia molto importante, si tratta infatti di segmenti della società ad alto potenziale; in generale in tutti e tre gli studi è emerso quanto importante sia il contatto in tutte le forme in cui questo può avere luogo. /Si.Sa.
Per scaricare lo studio www.engagement. migros.ch/varieta
Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino
SOCIETÀ
L’universo che sussurra
La ricerca delle specie aliene sulla Terra e nello spazio nel nuovo libro della divulgatrice scientifica Sabrina Mugnos
Pagina 8
In difesa delle greggi contro i lupi
Il collare che rilascia feromoni non convince gli allevatori; ma i responsabili del progetto mantengono la speranza: va solo perfezionato
Pagina 9
Alla scoperta del Ticino industriale
L’impegno di Realtà Giovanili
La neonata associazione promuove molte iniziative e si mobilita per chiedere più spazi dedicati ai giovani
Pagina 10
Territorio ◆ Spunta a sorpresa anche una fabbrica di Giò Ponti dalla nuova guida architettonica curata da Valeria Frei per Industriekultur Schweiz
La si sfoglia come un libro fotografico, la si legge come un racconto. Questa guida narra il Ticino industriale tessendo i segni architettonici con la storia economica di un cantone complesso, stretto nel corridoio che dai valichi alpini porta ai valichi di frontiera.
Le 91 schede proposte dal volume sono accurate tessere di un mosaico che si compone cronologicamente, partendo dai ponti dell’Ottocento per approdare ai centri logistici del nuovo millennio. E sono solo il distillato di 4 anni di paziente e accurata campagna di osservazione del territorio e ricerca d’archivio portata a termine da Valeria Frei, giovane storica dell’arte che si è lasciata affascinare dall’archeologia industriale.
L’opera omnia dell’enorme lavoro di inventariazione del patrimonio industriale ticinese è andata ad arricchire la mappa interattiva del progetto nazionale Industriekultur Schweiz, che, come si legge nella prefazione al volume, «offre una panoramica degli edifici industriali ancora presenti sul territorio e rilevanti da un punto di vista storico e architettonico, ma anche dei macchinari, delle strutture per il trasporto e degli archivi di fabbriche del XIX e XX secolo». In quasi 20 anni di ricerche, con la tappa ticinese, l’inventario nazionale avviato dall’architetto zurighese Hans Peter Bärtschi è arrivato oggi a coprire circa la metà della Svizzera, offrendo la descrizione di quasi 5000 oggetti del patrimonio industriale sulla piattaforma industriekultur.ch. L’obiettivo dell’attuale capoprogetto Hanna Gervasi e del suo team è quello di completare il censimento in tutto il territorio nazionale.
Se la grande mappa online invita all’esplorazione di inediti itinerari geografici, la guida confezionata da Valeria Frei propone una lettura storica del Ticino industriale e dell’architettura delle fabbriche nella concatenazione di sette capitoli, dalla rivoluzione industriale ai giorni nostri.
E le fabbriche sono doverosamente precedute dalle infrastrutture, con i due pilastri che hanno favorito e accompagnato lo sviluppo del Ticino, non solo industriale: le vie di comunicazione e l’energia elettrica.
Pagina dopo pagina si delinea quindi dapprima il nostro paesaggio, marcato indelebilmente dai segni dell’imponente e stratificato asse di transito europeo: strade e autostrade, ferrovie, ponti, viadotti e gallerie. Dal ponte diga di Melide, firmato dall’ingegner Pasquale Lucchini (padre delle famose gallerie elicoidali della Gotthardbahn e di cui nella guida si scopre anche un progetto mai realizzato per il cantiere della Navigazio-
ne del Lago di Lugano a Cassarate), all’autostrada A2 firmata dall’architetto Rino Tami; dai tornanti della storica strada della Tremola (monumento viario più lungo della Svizzera) alle tracce visibili della sommersa linea ad alta velocità dell’Alptransit (che detiene il record mondiale di lunghezza dei tunnel ferroviari).
In una narrazione ben intrecciata fra trasporti ed energia, la guida ci conduce all’impianto idroelettrico Ritom delle FFS, costruito come una fortezza Heimatstil all’indomani della prima guerra mondiale per garantire l’elettrificazione della linea del Gottardo: un mondo di turbine e di condotte forzate, che la scheda esplicativa non manca però di estendere anche alla sua funicolare (costruita
per il trasporto di materiale, oggi attrazione turistica e sportiva) e alle case operaie. Scheda dopo scheda, le pagine idroelettriche scorrono giù per la Leventina con lo stile industriale lombardo di inizio Novecento dell’impianto AET del Piottino e lo Jugendstil della Vecchia Biaschina. Sorprendentemente (questo è il pregio della guida!), queste cattedrali dello sfruttamento del patrimonio alpino, convivono con piccoli segni sul territorio che raccontano la lunga filiera produttiva dell’industria idroelettrica. Nella sua capillare indagine sul campo Valeria Frei non si è quindi lasciata sfuggire le modeste dimensioni delle torrette di trasformazione elettrica: ne ha censite ben
di grandi progetti passati e futuri, come la Monteforno di Bodio, le Officine di Bellinzona o la Stazione di Chiasso, assumono contorni più precisi nella loro dimensione architettonica, storica, economica e sociale. Ma il volume riesce anche a stupire l’occhio più allenato nella ricerca delle tracce industriali, individuando inediti itinerari di lettura del territorio e persino portando alla luce singole scoperte architettoniche. E così, tra i nomi più o meno noti di ingegneri e architetti che hanno firmato i progetti delle infrastrutture e delle fabbriche, spunta a sorpresa quello di Giò Ponti. Eh sì, proprio lui! Il celebrato architetto e designer milanese, ovunque noto principalmente per il grattacielo Pirelli e le raffinate ceramiche Ginori, ha firmato anche una fabbrica in Ticino: la ex SAFIZ di Giubiasco. Che scoperta! Per chi legge, ma ancor prima per chi ha scritto la guida. Un’intuizione scattata durante la ricerca sul comparto industriale giubiaschese, che ha trovato conferma all’Archivio Giò Ponti di Milano: quella fabbrica dai tetti a inclinazione alternata era proprio stata costruita nel 1955 su progetto dello studio milanese Ponti-Fornaroli-Rosselli per la milanese Società Anonima Forniture Impianti Zootecnici, che avrebbe prodotto nello stabilimento per neppure un ventennio, prima di trasferirsi nel canton Turgovia nel 1972. Lo stabilimento di Giubiasco rappresenta l’unica opera di Giò Ponti attualmente conosciuta in Svizzera.
48 (!) in tutto il Ticino, fra cui quelle di Ludiano e di Sorengo si sono guadagnate visibilità nella guida grazie alla loro particolare accuratezza architettonica. Sulle solide fondamenta delle infrastrutture, si costruisce poi la storia delle fabbriche e delle aree industriali. Dai mulini e dalle manifatture della civiltà agricola all’industria di oggi, la cosiddetta industria 4.0. Nelle schede dettagliate e contestualizzate si approfondiscono le conoscenze di oggetti noti, già al centro di studi, di vicende di cronaca o di riconversioni in anni più o meno recenti, come il Mulino di Maroggia, la Filanda di Mendrisio o la Cima-Norma di Dangio-Torre. Mentre insediamenti industriali protagonisti
E a chi non si sentisse ancora appagato dalle decine di schede, di fotografie, di approfondimenti e di dettagli che illuminano il nostro panorama industriale, l’autrice suggerisce nella ricca appendice ulteriori percorsi di lettura e qualche puntuale documento audiovisivo scelto per animare la storia delle fabbriche: progetti di illustri architetti, ma anche ricordi di sigaraie e filandaie.
Informazioni
Ticino industriale. Una guida architettonica, a cura di Valeria Frei, fotografie di Tonatiuh Ambrosetti, edizioni Casagrande e Industriekultur Schweiz, 2024.
Il volume verrà presentato a Bellinzona, nell’Officina Nephos, il 24 settembre alle 18.00. Sabato 19 ottobre alle 17.00 la Galleria Consarc di Chiasso ospiterà una discussione sul tema «Fotografia e architettura industriale».
La piattaforma industriekultur. ch raccoglie un inventario del patrimonio industriale svizzero.
Matilde Fontana
Una limited edition a firma Julian Zigerli
Novità ◆ Micasa lancia l’originale collezione MI CASA ES SU CASA in collaborazione con un noto e talentuoso designer svizzero
La nuova collezione di arredi unici di design a prezzi particolarmente abbordabili non passa certo inosservata. Sviluppata in collaborazione con Julian Zigerli, offre una cinquantina di articoli d’arredo ispirati alle montagne svizzere, con motivi alpini tradizionali ed elementi tipici cari all’artista, come capre e faccine, per dei momenti colorati all’insegna del divertimento, della spensieratezza e delle positività. La collezione MI CASA ES SU CASA si compone di accessori per la casa, mobili e tessili, tra cui ad esempio poggiapiedi, pol-
Su Julian Zigerli
Il designer svizzero Julian Zigerli crea una moda di alta qualità, moderna, semplice, senza tempo e al contempo funzionale. Noto per la sua collaborazione con diversi artisti, si muove tra l’arte e la moda dove i valori chiave delle sue creazioni sono amore, colore, umorismo e positività.
trone a sacco, brocche, tazze, bicchieri, specchi, ciotole, borse della spesa, coperte, tovaglioli, accappatoi, cuscini, grembiuli, canovacci, asciugamani e tappeti, come pure un portauovo e degli zerbini. La linea è disponibile in esclusiva nei negozi e nell’online di Micasa per un periodo limitato e sarà presentata in occasione delle Zurich Design Weeks. Inoltre, per il periodo natalizio, saranno disponibili altri articoli disegnati da Julian Zigerli, tra cui addobbi, carta regalo e formine per biscotti. Dopo la collaborazione con FFS e il Museo für Gestaltung di Zurigo con PICTO e lo studio di design SULA, questa è la terza collezione sviluppata insieme a designer svizzeri di talento.
L’alternativa vegetariana dal 1997
Attualità ◆ La marca Cornatur della Migros da oltre 25 anni propone diverse gustose alternative alla carne Questa settimana potete tra l’altro approfittare di un’offerta speciale su tutto l’assortimento
E se stasera mangiassimo vegetariano? Nessun problema, con i prodotti Cornatur si può diversificare il proprio menu nell’ambito di un’alimentazione equilibrata, nutriente e sostenibile. Questi alimenti sono realizzati con ingredienti a base vegetale, come tofu, verdure, quorn e proteine di soia e frumento. L’assortimento comprende una trentina di prodotti per ogni gusto e preferenza, sia vegetariani sia vegani, in grado di accontentare ogni palato. Inoltre, rappresentano una buona fonte di proteine e fibre. Che ne direste per
Nuggets Cornatur 225 g Fr. 3.15*invece di 3.95, da 2 pezzi
esempio dei ribs o spiedini per arricchire una bella grigliata, oppure dei burger e degli hot dog in perfetto stile americano? Chi ama la pasta, con la macinata potrà deliziarsi con una bolognese senza carne, mentre con l’affettato a base di quorn il saporito panino imbottito per la pausa pranzo è assicurato. Infine, sapevate quali sono i cinque prodotti Cornatur preferiti dalla clientela Migros? In ordine di rango, le scaloppine al pepe e al limone, i nuggets, l’affettato, il cordon bleu vegetariano e le scaloppine alla mozzarella e pesto.
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altro must-have è il mascara Like A Pro Waterproof a tenuta estrema e prestazioni professionali. Regala un risultato di ciglia effetto extension istantaneo, a prova di sbavatura, super volume e lunghezza per una durata fino a 36 ore. Garantisce un nero intenso, resistente all’acqua, ideale per ogni momento della giornata. Lo scovolino ad alta precisione assicura un’applicazione precisa e impeccabile. Il design inconfondibile di colore blu mare richiama subito alla performance a prova di acqua.
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Siamo veramente soli nell’universo?
Pubblicazioni ◆ Alla ricerca delle specie aliene, sulla Terra e nello spazio, con il nuovo
scientifica Sabrina Mugnos
Stefania Prandi
Il titolo poetico, L’universo che sussurra, non deve trarre in inganno: l’ultimo libro di Sabrina Mugnos, divulgatrice scientifica, saggista e docente, è un viaggio rigoroso attraverso la scienza della Terra e dell’universo. «Siamo figli delle stelle», scrive l’autrice come prima frase, per ricordarci che ogni fiore, roccia, frammento di cui siamo fatti e che ci circonda ha avuto origine «all’interno delle fornaci che decorano il nostro firmamento». Il sottotitolo del volume, appena pubblicato da Il Saggiatore, riempie di curiosità: «Come cercare la vita aliena sulla Terra». In effetti, la maggior parte di questa ricerca la facciamo da Terra, racconta Mugnos. «Studiamo gli organismi estremofili, in grado cioè di resistere a condizioni estreme, che abitano nel nostro mondo, per comprendere se possano trovarsi in altri ambienti planetari. Inoltre, esaminiamo le onde elettromagnetiche raccolte dai radiotelescopi nella speranza di cogliere un qualche segnale intelligente dallo Spazio». Da sempre, gli esseri umani si interrogano sulla presenza di forme di vita aliena. E mentre le risposte tardano ad arrivare, gli studi e le ipotesi per svelare l’arcano si moltiplicano e appassionano astronomi, astrofisici, ingegneri e geologi. Niente a che fare con l’ufologia, ci tiene a precisare
Mugnos. «Indaghiamo ciò che conosciamo; quindi, cerchiamo gli organismi con una chimica del carbonio simile alla nostra. Soffriamo il limite dell’antropocentrismo. Come potremmo vedere e rilevare frequenze o manifestazioni che andassero al di là dei nostri cinque sensi? Ci muoviamo su binari abbastanza angusti, insomma, pur continuando a restare affascinati dai passi in avanti che compiamo».
Diffondiamo costantemente nel cosmo onde radio e riceviamo imma-
gini da luoghi sempre più distanti. Le sonde spaziali Voyager e Pioneer sono in viaggio nello spazio interstellare da decenni, e ormai hanno superato i confini del sistema solare. Resta indimenticabile – infatti non manca nel libro – uno dei falsi allarmi più iconici della storia: il cosiddetto Segnale Wow rilevato dall’astronomo Jerry Ehman nel 1977, mentre lavorava al progetto di ricerca di vita extraterrestre SETI (Search for Extraterrestrial Intelligence) con il radiotelescopio Big Ear dell’Università statale
dell’Ohio. Purtroppo, il segnale fu ricevuto una sola volta ed ebbe la durata di una manciata di secondi. «Troppo poco per riuscire ad arrivare a conclusioni sensate».
Un’altra domanda alla quale non è semplice rispondere è come sia nata la vita sulla Terra. Si è passati dal brodo primordiale alle prime cellule e, poi, alla vita intelligente? Oppure è possibile che sia arrivata dallo spazio? Una teoria nata sul finire del secolo scorso ipotizza che la vita sia approdata preconfezionata a bordo di ciò che cade
regolarmente sul nostro pianeta, come ad esempio comete, asteroidi, meteoriti oppure anche la semplice polvere interstellare. In questo senso, gli organismi estremofili potrebbero essere «specie aliene» capaci di attraversare l’atmosfera senza bruciarsi. L’idea che i virus ci siano caduti in testa dallo spazio è tutt’altro che astrusa, a quanto pare. È stata usata per ipotizzare una delle più grandi pandemie della storia, spiega Mugnos, la Spagnola, all’inizio del secolo scorso. L’epidemia che mieté milioni di morti si diffuse nel giro di brevissimo tempo da una parte all’altra del pianeta, quando ancora la velocità dei trasporti non era quella di oggi. Il problema di queste teorie è la mancanza di prove concrete, ci tiene a precisare Mugnos: «Non abbiamo mai aperto un meteorite e scoperto un microrganismo vivo o morto. Abbiamo trovato altri elementi interessanti come gli amminoacidi, ma non è abbastanza per speculazioni più articolate». Sicuramente, risulta strano che dopo appena ottocento milioni di anni dalla formazione della Terra, la vita risultò già presente: un battito di ciglia in termini geologici, aggiunge Mugnos. I suoi argomenti appassionano anche i profani che, infatti, numerosi la seguono su Instagram e le inviano le loro foto. «Una dimostrazione di interesse che mi fa piacere».
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Contro il lupo, un collare da ottimizzare
Mondoanimale ◆ Il progetto pilota sperimentale avviato in primavera non soddisfa ancora gli allevatori, ma la fiducia resta alta: va solo perfezionato il principio ideato per salvare le greggi dagli attacchi del predatore sugli alpeggi
Maria Grazia Buletti
«Non vogliamo mollare e abbiamo deciso di sostenere il progetto pilota per tentare di proteggere le greggi applicando a un migliaio di capi dei collari che rilasciano feromoni; testeremo lo strumento su un migliaio di individui per capire se è efficace contro le predazioni». Questa, a inizio aprile, la decisione dell’Associazione per la protezione del territorio dai grandi predatori per voce del presidente Armando Donati, che oggi traccia un primo bilancio intermedio in merito ai risultati. Si tratta di un sostegno al progetto del biologo Federico Tettamanti, al quale si associano pure l’Unione contadini ticinesi, la Società agricola valmaggese e la Federazione ticinese consorzi allevamento caprino e ovino.
I risultati dei primi mesi in cui le greggi sono andate agli alpeggi, in verità, non sembra essere molto soddisfacente, come spiega Donati: «In questo progetto abbiamo riposto molte speranze, sebbene, ad oggi, dobbiamo dire che abbiamo avuto predazioni in diversi alpeggi nei quali c’erano dei capi con il collare. Ad esempio, già a giugno sull’Alpe Grossalp è arrivato un branco di lupi che ha aggredito il gregge: cinque pecore sbranate e una dozzina disperse che hanno fatto decidere l’allevatore di scaricare l’alpe. Una storia analoga si è consumata sull’alpe Sfille dove il gestore si è visto
sbranare quattro capre già la seconda sera di alpeggio…». Malgrado la piena solidarietà a questi allevatori, Donati chiede di non cadere in spicciole e veloci conclusioni: «Statisticamente non possiamo ancora dire molto: innanzitutto si è trattato di branchi di lupi (forse i feromoni di un lupo solo rendono il branco più combattivo per scacciarlo?) e non di individui singoli che, presumibilmente, si sarebbero allontanati per non invadere il territorio di un consimile».
Ricordiamo che la scelta dei citati sodalizi di fare quadrato attorno agli allevatori ticinesi è conseguente alla decisione del Cantone dopo che il Consiglio di Stato aveva deciso di attendere «indizi concreti» sull’efficacia del collare a feromoni per proteggere le greggi dalle predazioni del lupo. Una decisione che non teneva conto del fatto che da lì a poche settimane le bestie sarebbero uscite dalle stalle: «Occorreva rassicurare gli allevatori, preoccupati per la presenza del lupo», precisa Donati. Così, i sostenitori del progetto pilota si sono subito detti convinti che sarebbe valsa la pena provare il funzionamento del collare con l’obiettivo, se non di azzerare le predazioni, per lo meno di riuscire a ridurre il più possibile le perdite.
Malgrado qualche legittima perplessità, la fiducia in questo progetto
ancora in divenire di fatto non è scalfita ed egli ribadisce: «Eravamo coscienti del fatto che ci sarebbero stati ugualmente casi di attacco alle greggi, malgrado qualche collare applicato ai capi di bestiame, e l’impressione è che – come detto – il branco abbia aggredito sentendo i feromoni di un lupo da solo, marcando quindi in forze il territorio».
Dal canto suo, il biologo Federico Tettamanti ricorda che «la tecnologia è sperimentale e ciò significa che ci vuole del tempo». Un tempo che, viste le predazioni, pare non si abbia più a disposizione, obiettiamo. Ed egli annuisce: «Il problema si è acutizzato in una ventina d’anni e oggi non c’è molto margine per attendere di trovare una misura efficace. D’altronde, quale altra strada potremmo percorrere?». Il nostro interlocutore ricorda inoltre che ogni progetto pilota necessita di fondi e di tempo per raccogliere tutte le informazioni e i dati che permetteranno di «confezionare» una soluzione ottimale: «Ci stiamo lavorando da più di tre anni e mezzo e stiamo svolgendo nuovi test e nuovi esperimenti con il lupo, collare GPS, fototrappole che ci permettono di monitorare da diversi anni il comportamento di un branco in Italia».
Il principio di questo collare è presto spiegato: «Per prima cosa, noi ab-
I nostri medici salvano vite.
biamo proposto a tutti gli allevatori di marcare dall’80 al 100 per cento di capi; è comprensibile che i costi relativi all’alto numero di animali domestici di un medesimo proprietario abbiano limitato il numero di collari per gregge, malgrado noi lo abbiamo messo a loro disposizione praticamente a prezzo di costo. Più che scacciare il lupo, le sostanze che rilascia fungono da barriera, come una frontiera, e questo lo abbiamo osservato con GPS, video e fototrappole che mostrano che quando il lupo passa davanti ai feromoni si arresta immediatamente e mostra un atteggiamento di paura, malgrado si trovi sul proprio territorio. C’è da capire nel dettaglio quanto influisca l’aspetto dell’animale domestico che ha addosso il collare coi feromoni». Il biologo comprende appieno la
delusione degli allevatori che hanno avuto perdite, ma invita ad avere una visione di insieme del progetto che, in quanto tale, necessita di diversi tentativi e aggiustamenti per giungere a una soluzione ottimale. E, ribadisce, abbisogna di tempo: «Stiamo testando nuovi sistemi di rilascio dei feromoni; così, tutto è in evoluzione». Certo è che se il lupo ha fame, attacca: «Quindi, riteniamo che l’effetto massa sia decisivo nella protezione: più individui col collare abbiamo nel gregge, più consideriamo alta la possibilità di protezione. Tutti i test che stiamo effettuando in natura ci stanno dando interessanti indicazioni su come sviluppare ulteriormente la tecnologia». Non si tratta dunque di una soluzione che si trova dietro l’angolo, ma d’altronde, conclude Tettamanti: «Fra qualche anno potremmo aver trovato una soluzione davvero soddisfacente». Nel frattempo, alla fine del 2024, i dati raccolti in Ticino, in Svizzera e all’estero (in Italia) permetteranno al biologo Tettamanti di stilare un’ampia statistica sull’efficacia del collare e, allo stesso tempo, di «aggiustare il tiro» del progetto, in modo da renderlo il più efficace possibile. Studio che verrà trasmesso all’Ufficio federale dell’ambiente nelle cui mani sarà la decisione di un finanziamento su più ampia scala.
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I giovani vogliono più vita collettiva
Associazioni ◆ Lo scorso maggio è nata Realtà Giovanili, molte le iniziative che promuove, tra queste c’è una petizione che sottolinea la necessità di spazi dedicati ai ragazzi; ne parliamo con Laura Guscetti
Valentina Grignoli
Una scintilla, l’idea, che scaturisce da una sensibilità condivisa e poi, attraverso una ricerca sul terreno, la conferma: i giovani hanno bisogno di stare insieme, di avere luoghi di aggregazione dedicati a loro, sentirsi liberi di muoversi ovunque, per stare meglio. Hanno paura del futuro e temono le molestie. Chi si è mosso per raccogliere questi dati è altrettanto giovane, forse ha meno paura del proprio futuro ma di sicuro ha a cuore quello che accade alla sua generazione. Laura Guscetti, parte del comitato Gioventù socialista in Ticino, è al primo anno bachelor di storia e filosofia a Losanna e tra i promotori della neonata Associazione Realtà Giovanili. Un’Associazione nata dalla necessità di venire incontro ai molti giovani (a oggi i membri sono più di 300), che hanno voglia di far sentire la propria voce, seguendo un approccio tra pari e in maniera efficace. «L’associazione si mobilita in vari ambiti essenziali e ha come obiettivo quello di rendere il Ticino più vivo e giovanile, affinché la vita collettiva possa migliorare. Attraverso l’attivismo organizzato e la politica istituzionale, intende ottenere dei risultati nel breve termine» si legge in un comunicato.
Ma cosa muove questi ragazzi, al punto di voler creare una nuova Associazione, e cosa ha di diverso rispetto a quanto, a livello associativo, già esiste sul nostro territorio?
Laura ci racconta che l’idea era quella di fare qualcosa a livello istituzionale e al contempo tra pari, la comunicazione è così molto più facile. Sono partiti da un sondaggio inviato attraverso i propri contatti in rubrica, che poi via via è arrivato fino a 800 ragazzi: «con tutte queste risposte abbiamo potuto constatare che le necessità sono ancora molte, che il disagio giovanile è presente in maniera forte, è legato alla salute mentale, al sessismo, alla necessità di spazi e di trasporti più accessibili». Aspetti che se posti l’uno accanto all’altro necessariamente si collegano per consequenzialità.
Viale dei ciliegi
Claudia Fachinetti
Lasciami andare
Piemme Il Battello a Vapore (Da 11 anni)
Il titolo dice già molto sul tema cardine di questo romanzo, che racconta l’importanza (e la fatica) di accettare la perdita, o in senso più lato le difficoltà della vita. Racconta l’importanza di lasciare andare ciò che non può essere trattenuto, affidandosi alla propria forza interiore, e andare avanti, in mare aperto, seguendo la propria rotta o i propri sogni, come accade alle orche avvistate a Genova, e come accade ad Alaska, la ragazza che dal porto ne segue con trepidazione le mosse. Un gioco di specchi tra le orche e la ragazza, protagoniste entrambe, animali umani e non umani, di questa storia che s’impernia su una vicenda vera: la presenza inusuale di un gruppo di orche, nel dicembre del 2019, in prossimità del porto di Genova.
L’orca non è tra le specie di cetacei regolarmente presenti nel Mediterraneo, per cui questo avvistamento creò scalpore tra la gente, e preoccupazio-
Gruppi di lavoro e aree tematiche
Il gruppo decide di iniziare la propria attività concentrandosi sulla questione spazi, e lo fa creando una rete attraverso un gruppo WhatsApp che funziona molto bene e che permette loro di intercettare le esigenze, attraverso un linguaggio diretto e che gli appartiene. Poi «abbiamo percepito la necessità di strutturarci, organizzarci per promuovere delle proposte concrete». Il 19 maggio fondano quindi l’associazione con un comitato di 10 giovani (con Laura, Yannick Demaria, Alexander Fiocchetta, André Gomez, Jonas Stuppia, Ettore Forte, Rosa Gallmann, Leila Falconi, Aida Demaria e Davide Barro). Ci sono gruppi di lavoro, una trentina di persone, suddivisi per aree tematiche legate alla cultura come «arte, cinema, scrittura, musica e sport. Promuoviamo in questo momento una petizione che sottolinea la necessità di spazi dedicati ai giovani, occupandoci così della parte istituzionale».
Come diversi suoi colleghi, Laura Guscetti è legata al mondo della politica, ma sottolinea che questo «è un movimento apartitico. Certo, l’idea di lanciare il sondaggio è nata in seno ai giovani verdi ma poi ci siamo accorti che si trattava di necessità che toccano tutti i giovani del nostro Cantone e che quindi l’attività andava estesa, sia a livello ideologico sia territoriale».
Da un sondaggio all’azione concreta
«Il passaparola ha portato lontanissimo il sondaggio. Anche la pagina Instagram ha contribuito a diffondere la community». Un sondaggio che ruota intorno a temi cari alla realtà dei ragazzi, come il costo dei trasporti pubblici, la salute mentale e le discriminazioni sessiste. Che dati avete raccolto? «L’87% denuncia la
mancanza di luoghi di aggregazione, la stessa percentuale denuncia costi troppo elevati dei trasporti. Abbiamo posto poi domande come “Hai paura per il tuo futuro?”, e il 70% su una scala da 1 a 5 si situa tra il 4 e il 5. Per quanto riguarda le molestie, il 71% ha dichiarato di averne subite. Di questi, il 21% erano uomini».
L’obiettivo è tematizzare i singoli aspetti. «I giovani vogliono e possono organizzarsi e mobilitarsi per portare avanti proposte ma gran parte del lavoro deve essere fatta dalla politica che deve mettere in atto le nostre richieste. C’è un gruppo all’interno della nostra rete di giovani che fa parte delle istituzioni, che lavora nei comuni per esempio, o è attiva in politica o in qualche commissione. Anche attraverso di loro vorremmo facilitare il contatto con le istituzioni e rendere più concreta l’azione».
All’interno dell’Associazione si stanno organizzando a poco a poco i gruppi tematici, con il gruppo scrittura c’è stato un evento il 6 luglio all’Arte del caffè di Bellinzona. Ne sono seguiti altri dedicati alla poesia, e poi il gruppo cinema organizza regolarmente proiezioni allo Spazio Volta a Locarno, lo ha fat-
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ne tra i ricercatori, in quanto questa permanenza di cinque individui (un grande maschio adulto, una femmina con un piccolo e due altri esemplari giovani) in un’area di grande traffico navale sembrava dovuta al fatto che gli animali fossero in difficoltà. In effetti poi si evinse che il cucciolo, già sofferente, era morto, ma la madre lo teneva sopra di sé, senza abbandonarlo alle onde.
Questo colpisce intensamente Alaska, che da Milano era arrivata a Genova, dalla nonna, proprio per vedere da vicino le orche, sua grande passione, e anche per trovare una tregua dal dolore che con il papà viveva a Milano: la mamma da tempo in coma forse irreversibile, una mamma amatissima, fonte di forza e ispirazione, anche in quanto studiosa proprio dei mammiferi marini. Il viaggio a Genova sarà per Alaska un profondo viaggio di formazione, nel quale, grazie a incontri importanti, ma soprattutto grazie all’insegnamento delle orche e alle sue risorse interiori, riuscirà a lasciare andare il dolore e ad avere fiducia nella vita, trovando anche lei, come i cetacei, la propria rotta.
Claudia Fachinetti è biologa marina e giornalista scientifica, si occupa di divulgazione e di narrativa, e in questo libro compone armonicamente le sue passioni: una storia vera su cui innesta una vicenda romanzata, intervallata da capitoli di approfondimento scientifico sui cetacei e sulla vita marina.
Einat Tsarfati
Il castello di sabbia
Il Castoro (Da 4 anni)
«Castello di sabbia» è una locuzione che immediatamente ci porta a ricordi d’estate, d’infanzia, di luminosa precarietà. Come se con la sabbia si potessero fare prevalentemente castelli. Eppure è così, chi non ha fatto, o aiutato a fare, castelli fatti con secchielli rovesciati e guglie impastate con acqua e fatte colare sui torrioni, o con conchiglie a decorare il tutto?
Poi arriva l’onda, o il piede di un passante distratto, e il castello è distrutto, ma se ne farà un altro, e un altro ancora, meravigliosa metafora di fragilità.
Ma vi siete mai chiesti cosa c’è dentro un castello di sabbia? Avrà pu-
to anche durante il Film Festival. La community Realtà giovanili è, insomma, molto vivace. «I nostri eventi sono aperti a tutti, basta iscriversi al gruppo. Per ufficializzare l’iscrizione è richiesta la compilazione di un formulario. All’assemblea siamo già più di 50 persone, e sempre più persone sono interessate al progetto. La tassa sociale è di 5 franchi». Dai 12 ai 30 anni, secondo la definizione dei giovani che dà il Cantone, c’è molta diversità, sia d’intenti che di direzioni: «Ci sono differenze, ma il confronto nasce da queste. In generale il pubblico è eterogeneo, come abbiamo potuto constatare nel sondaggio, anche se la maggior parte finora proviene da licei o scuole di commercio».
Un’associazione fatta di più voci
Ma con tutte le associazioni già presenti sul territorio, cosa apporta questa in più? «Il nostro obiettivo è raggruppare tutte queste associazioni – risponde Laura Guscetti – possiamo raccogliere idee e proposte dai ragazzi stessi e dai singoli gruppi come
re, come ogni castello, sale e saloni, scale e scaloni, cortili e giardini. La bimba protagonista di questo albo se lo chiede, se lo immagina, e nel suo gioco di costruire un castello di sabbia in riva al mare lo fa immaginare anche a noi. Ecco allora, grazie alle vivide illustrazioni brulicanti di dettagli di Einat Tsarfati, artista israeliana (di cui già avevamo apprezzato l’albo I miei vicini, che condivide con questo alcuni personaggi), gli interni fantasmagorici di questo castello,
per esempio gli scout, l’atletica, la filarmonica, il calcio, e includerle nei nostri programmi, condividere conoscenze e abilità, renderle accessibili a tutti. Insomma, mettere in contatto, collegare tutte le associazioni e gruppi in Ticino per i giovani per portare avanti un cambiamento che vada a beneficio delle attività proposte loro». Un progetto che sembra un unicum in Svizzera, anche perché il nostro territorio si caratterizza in maniera diversa rispetto ad altri cantoni. «La situazione qui è diversa, il Ticino è un territorio molto ampio con tanti piccoli agglomerati». Le città non sono così grandi come Zurigo e Losanna, centri dove si fa già molto per i giovani, in Ticino sembra mancare la forza. «Certo il tema del disagio è presente in tutta la Svizzera, ma da quanto abbiamo riscontrato non ci sono associazioni come la nostra che si riuniscono su larga scala».
Informazioni
Per informazioni e adesioni, basta scrivere all’indirizzo realtagiovanili@gmail.com, oppure seguire l’associazione su Instagram e iscriversi alla newsletter.
popolato di re, regine e vari mirabolanti personaggi, intenti a ballare, a mangiare, a festeggiare, fino a rendersi conto ahimè che un castello di sabbia è fatto di sabbia, e che può essere disagevole trovare della sabbia nel cibo, nelle armature, negli oggetti! Poco male, il bello dell’effimero sabbiesco è questo: si può aspettare che il mare porti via tutto e rifarne un altro, di castello, con altra sabbia, altra luce del giorno, altri giochi immaginari.
di Letizia
Bolzani
L’assemblea del 19 maggio scorso durante la quale un gruppo di giovani ha dato vita all’Associazione Realtà Giovanili
L’altropologo
Un monaco titanico
Finalmente in porto a Marina di Ravenna dopo un navigazione un po’ ballerina, il vostro Altropologo preferito volge lo sguardo verso Sud dove i temporali fuggono veloci al di là degli Appennini: laggiù, a 50 chilometri, si staglia contro un cielo plumbeo lo sperone del Monte Titano. Rocca Guaita, Torre Fratta e Torre Montale ne coronano le tre cime. Insieme contribuiscono a formare quell’«azzurra vision di San Marino» – la seconda i della visione rigorosamente pronunciata con la dieresi, sennò la Maestra che ci faceva recitare Romagna di Giovanni Pascoli si arrabbiava molto. Per i bambini della mia generazione la Repubblica di San Marino era un mito. Emetteva i francobolli più belli del mondo: le serie degli uccelli (Il Fagiano da 60 lire del 1960 era per me settenne una meraviglia!), delle farfalle e dei dinosauri hanno segnato un’età di sogni che i vi-
deogiochi di oggi invidiano. San Marino sarebbe poi stato per anni e anni l’unico paese estero visitato da noi adolescenti squattrinati figli della piccola borghesia urbana in gita scolastica. La Repubblica più antica del mondo – o così si dice – incastrata senza sbocco al mare dentro al territorio che ha visto succedersi i regimi politici, le forme di governo e misgoverno ad altissimo quoziente di mortalità (e spesso incompetenza) ricoperte dai soggetti più improbabili e strampalati. E San Marino sempre lì, arroccato, aggrappato, radicato. Imprendibile. La sua vicenda dà la misura di quanto la Storia sia carica di ironia e paradossi. Non fosse stato per i pirati Liburni che dalle coste dalmate attraversarono l’Adriatico per andare a saccheggiare Rimini, San Marino non sarebbe mai stato Stato. Invece alla ricostruzione della città si presentò un certo Marinus. Era costui
La stanza del dialogo
un muratore specializzato nella lavorazione della pietra proveniente dall’attuale isola di Rab, in Croazia. La leggenda vuole che fosse nato nel 275 e che abbia deciso di fuggire da Rimini sul Monte Titano nel 301 per sfuggire – lui, cristiano – alle persecuzioni di Diocleziano. Con lui l’amico Leo, assieme al quale stabilì la sua eremitica residenza il 3 settembre di quell’Anno Domini. Le prime testimonianze certe dell’esistenza di una comunità monastica sul Monte Titano risalgono al V o VI secolo, quando un certo monaco Eugippo scrive che un altro monaco viveva in un monastero nella zona del Titano. A partire del 1291 i monaci sanmarinesi cominciano a giostrare coi Signori della zona per sottrarsi al pagamento di decime e balzelli riaffermando così la loro autonomia. Prima il vescovo aretino Aldobrandino ne difende i diritti contro i Montefeltro che
I giovani di fronte alla relazione tra i sessi
Cara Silvia, la chiamo così perché la considero una maestra prima, una collega poi. Ho studiato sui suoi libri, seguito le sue conferenze, letto i suoi articoli e ora sono qui per chiederle un aiuto. Mi è stato chiesto dalla dirigente di un Liceo classico di parlare a studenti e studentesse della difficoltà di rapportarsi tra di loro. In particolare dovrei affrontare un argomento scottante: il senso di colpa che turba i maschi in quanto tali, per le indiscriminate accuse di violenza rivolte dai mass media al genere maschile quando avvengono abusi o delitti contro le donne. E dall’altro lato, la paura che avvertono tutte, di qualsiasi età, per la loro incolumità.
So che dovrei rassicurare i giovani che mi preparo a incontrare, prospettare loro orizzonti di fiducia, di speranza, e di amore. Ma non sono sicura di riuscirci. Mi scriva, la prego, qualche suggerimento./ A lessandra
Cara Alessandra, le relazioni tra i sessi non sono mai state facili, ma un tempo erano gestite dalla famiglia e dalla società attraverso una fitta rete di precetti morali, divieti e controlli che ora consideriamo insopportabili. Quella situazione, definita «patriarcale», costringeva le donne a transitare da due rapporti di sottomissione: dal padre al marito. Ma, nel giro di mezzo secolo, dagli anni 70, tutto è cambiato. La minaccia di gravidanze indesiderate è stata superata da metodi contraccettivi piuttosto sicuri, mentre le lotte di emancipazione e le rivendicazioni del Femminismo hanno permesso alle donne la gestione autonoma dei loro corpi e delle loro vite. Mutamenti così radicali sono però accaduti talmente in fretta che la nostra mente è rimasta spaesata e confusa. Il padre di famiglia, da figura centrale è diventato marginale e le famiglie
La nutrizionista
Cari lettori, questo mese non risponderò alle vostre domande, perché desidero commentare un’usanza sempre più in voga, a giudicare da quanto ho avuto modo di notare durante queste vacanze estive: se prima bastava avere il telefonino accanto al bicchiere per rassicurarci, quasi come una copertina di Linus, oggi a tavola sono comparsi persino i tablet. Che siano bambini o adulti, ho visto che è sempre più comune accendere lo schermo e mangiare distratti dalla propria serie preferita. Spero si tratti di una piccola parentesi vacanziera e non di un’abitudine radicata nel quotidiano perché, se così non fosse, le conseguenze sul nostro modo di mangiare e sulla nostra salute potrebbero essere anche pericolose. Mangiare davanti a uno schermo ci impedisce di concentrarci sui segnali di sazietà e questo può portare a un aumento dell’assunzione di cibo e al sovrappeso. Come funziona a livello neurologico, è stato studiato da un
team di ricercatori di tre diverse università olandesi che ha esaminato i meccanismi neurocognitivi connessi al modo di mangiare «distratto». Per farlo ha coinvolto 41 adulti normopeso e in salute, durante due sedute distinte: ai soggetti è stata somministrata una bevanda dolce oppure una meno dolce a base di latte e cioccolato che però apportavano le stesse calorie, oppure una soluzione insapore, definita control test, nel corso di attività più o meno distraenti a seconda delle sedute. Per «standardizzare» la fame, tutti dovevano astenersi dal mangiare cibi solidi e bere bevande zuccherate nelle sei ore antecedenti il test, mentre era richiesto di consumare una specifica bevanda a base di yogurt tre ore prima. Durante il test, i soggetti sono stati monitorati tramite risonanza magnetica funzionale (fMRI). Al termine è stato chiesto loro di visionare un documentario per circa trenta minuti, dopodiché avrebbero potuto consumare uno
ci riproveranno al tempo di Bonifacio VIII senza venire a capo di niente. Fiutata l’aria, le comunità di Faetano, Serravalle, Chiesanuova, Fiorentino e Montegiardino chiesero ed ottennero l’annessione fra il 1320 e il 1463: da allora i confini della Repubblica non sono più cambiati. Oggi, 35’000 sanmarinesi godono il 44esimo reddito procapite più alto del mondo. Ci provarono peraltro anche Cesare Borgia e Fabiano di San Savino, entrambi senza esito. Nel 1739 il Cardinale Giulio Alberoni, legato pontificio di Ravenna, annesse San Marino per una manciata di mesi, ma Papa Clemente XII restaurò l’antica autonomia il 5 febbraio del 1740. Stesso risultato coi francesi di Napoleone, ai quali i sanmarinesi riuscirono addirittura a far firmare una sorta di franchigia diffidando in perpetuo chiunque ad annettersi la Repubblica. Così furono dribblati anche
gli Austriaci affannati all’inseguimento di Garibaldi in fuga con la moglie Anita con la famosa beffa di Cesenatico. Fino alla firma di un trattato di sempiterna amicizia con lo Stato Italiano Unitario nel 1860. Allineatosi poi in qualche camaleontico modo al ventennio fascista, con la fine della guerra nella quale era riuscito a restare neutrale, San Marino fu – udite udite – il primo stato occidentale democratico a essere governato da una coalizione di Comunisti e Socialisti che ne avviarono la ricostruzione fra il 1945 e il 1957. Finì, pare, tutto bene. Aveva dunque ragione il Presidente Abraham Lincoln. Al momento di divenire cittadino onorario di San Marino ebbe a dire «un governo fondato su principi repubblicano è in grado di essere amministrato in modo da essere tanto sicuro quanto duraturo»: buon compleanno, azzurro San Marino!
attuali ruotano piuttosto intorno alla madre. Di conseguenza i figli, privi di figure maschili di riferimento, non sanno più chi sono e che cosa vogliono. Nel rapporto con le coetanee, spesso più brave a scuola, più sicure di sé, più capaci di fare gruppo tra loro, si sentono goffi e impacciati. In questa condizione di disagio, l’accusa generica di atti di violenza contro le donne, che i social rivolgono indiscriminatamente a tutti i giovani maschi, non fa che aggravare la loro crisi d’identità inducendoli a rinunciare all’innamoramento, una passione che ha sempre avuto un effetto strutturante ed evolutivo, anche a costo di suscitare grandi infelicità. Dal versante femminile le ragazze, spaventate da frequenti episodi di abusi e violenza da parte di coetanei, preferiscono non impegnarsi in un relazione costruttiva, rinviare la decisione impegnativa di «metter-
si in coppia» preferendo sostare più a lungo nel gruppo adolescenziale delle amiche.
Una riflessione collettiva s’impone perché la relazione tra i sessi è il motore della crescita personale e dell’evoluzione sociale. Ma non è facile affrontarla in quanto, mentre nell’infanzia si possono promuovere tra bambini e bambine interazioni di amicizia, solidarietà e collaborazione, con la pubertà subentrano impulsi e desideri erotici difficili da esprimere, condividere e governare. Soprattutto per generazioni cresciute secondo il «Principio di piacere»: voglio tutto subito. Un’economia, quella del piacere, che giustifica rapporti sessuali casuali e superficiali, lasciando insoddisfatta la necessità di dar senso e valore alla propria vita, di delineare un futuro condivisibile e desiderabile. Abbiamo messo maschi e femmine negli stes-
si banchi ma ci siamo dimenticati di insegnargli che sono uguali e diversi e che, per vivere insieme, devono trasformare la differenza in reciprocità. Ma non è mai troppo tardi per impostare programmi educativi all’altezza dei tempi, tanto più che le nuove generazioni si aspettano dagli adulti attenzione, ascolto, senso di responsabilità, non solo dichiarati ma testimoniati. Una risposta che nel suo caso non mancherà. Grazie per la fiducia che mi dimostra e che estendo a tutti i lettori attendendo il loro parere.
Informazioni
Inviate le vostre domande o riflessioni
a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6901 Lugano; oppure a info@azione.ch (oggetto «La stanza del dialogo»)
snack «fino a sazietà». La distrazione è risultata ridurre i processi neuronali associati all’elaborazione del gusto a livello dell’insula, diminuzione che porta a consumare più cibo nella fase successiva. Non essere coscienti di quello che mangiamo quindi ci porta a non godere del pasto e a mangiare di più. A maggior ragione nei più piccoli: ricordo che i bambini devono ancora esplorare e conoscere i vari gusti e le consistenze del cibo, se sono distratti rischiano di non pensare e di non familiarizzare con gli alimenti, ciò che impedisce di sviluppare una relazione, un’accettazione o un godimento del pasto. Oltretutto il corpo di un bambino si autoregola benissimo ascoltando lo stimolo della fame e della sazietà ma, se è distratto, non riesce a capirlo e mangia sempre di più aumentando il volume dello stomaco, che crea un automatico aumento della necessità di cibo per riempirlo. Il pasto è anche un momento di so-
cializzazione e in vacanza finalmente si può stare a tavola tutti assieme e chiacchierare: perché nascondersi dietro a uno schermo e non comunicare? Non fraintendetemi, sono genitore e capisco che se poi le cose vanno per le lunghe e si desidera proseguire il pasto in pace, con i bambini che hanno invece già finito e non riescono più a stare tranquilli a tavola, un modo per non far «impazzire» nessuno si deve trovare. Come? Io, per esempio, cerco ristoranti con parco giochi annesso oppure porto dei libri da leggere o colorare e, se niente funziona perché a volte è così, concedo eventualmente lo schermo quando hanno finito di mangiare, ma non durante il pasto.
Anche per gli adulti in vacanza è bello scoprire nuovi cibi o gustare quelle specialità che troviamo solo in determinati posti: se siamo soli, scegliamo un ristorante che ci ispiri, magari con una bella vista, e godiamoci il pasto con calma lasciando vagare
lo sguardo sul bello e… sul buono. Un ultimo consiglio: se l’abitudine di mangiare davanti allo schermo l’abbiamo anche a casa, potremmo mettere in pausa la tv, sederci a tavola in modo da non vedere lo schermo, e tornare sul divano solo dopo il pasto; oppure al posto di sgranocchiare nel dopocena, davanti alla tv, si può cercare di tenere le mani occupate con qualche gioco antistress oppure lavoro a maglia o uncinetto o, ancora, si potrebbe invitare un amico a cena col quale guardare il programma assieme. Insomma, godere di un buon cibo e trasmettere a tutti il piacere di gustarlo serenamente, è un grande toccasana!
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Avete domande su alimentazione e nutrizione? Laura Botticelli, dietista ASDD, vi risponderà. Scrivete a info@azione.ch (oggetto «La nutrizionista»)
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Sport, storia e vita
Novità editoriale a firma di Libano
Zanolari, per decenni giornalista e commentatore sportivo per RSI
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Delizioso ragù per tagliatelle
Spezzatino di manzo e maiale tagliato a dadini e cotto nel vino con verdure da minestra e pelati
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Nei panni del Senzaluce
Dopo oltre due anni, i giocatori possono tornare ad esplorare la Terra delle ombre oggi espansa
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Manuela Schär, atleta paralimpica in carrozzella
Altri campioni ◆ Parigi 2024 sarà l’ultima apparizione su pista per la talentuosa sportiva svizzera
Manuela Schär, nella sua carriera sportiva, ha vinto di tutto nell’atletica: a soli 19 anni prende parte alle Paralimpiadi di Atene 2004 e conquista la medaglia di bronzo nei 100 metri, l’argento nei 200 metri e il sesto posto nei 400 metri. Quattro anni più tardi si presenta a Pechino e si mette al collo un’altra medaglia di bronzo nei 200 metri. Sale sul podio ai Mondiali paralimpici di Christchurch e primeggia anche ai Giochi paralimpici di Londra. Nel 2013 inizia a gareggiare anche su distanze più lunghe. Lo fa ai Campionati mondiali paralimpici di Lione, dove mette al collo la medaglia d’oro nella maratona e l’argento nei 400, 800 e 5000 metri. Vince numerose maratone in tutto il mondo e alla sua ultima Paralimpiade a Tokyo, nel 2021, conquista la medaglia d’oro (stabilendo il record paralimpico) negli 800 e 400 e argento nei 1500, 5000 metri e nella maratona.
Un palmarès impressionante. Eppure, Manuela ha sempre mantenuto una grandissima umiltà. Si presenta alla nostra chiacchierata mostrando un’accogliente disponibilità. E prende tutto il tempo necessario per raccontarsi. Ha un carattere in apparenza chiuso, o forse, semplicemente, non sente la necessità di mettersi in mostra. Ma in un ambiente riservato, già dai primi minuti di intervista, si percepisce tutto l’entusiasmo e il cuore che mette in quello che fa. E il suo racconto diventa musica.
«Sono sempre stata una grande appassionata di sport» dice Manuela. «Da piccolina ho praticato ginnastica agli attrezzi e anche atletica. In tanti dicevano ai miei genitori che avevo un grande talento, ero veloce, scattante, performante. Insomma, avevo un buon motore».
Poi però le cose sono cambiate. Siamo nel 1993 e Manuela è una bambina di otto anni. Durante una festa in un parco giochi si diverte come tutte le sue compagne dondolandosi su un’altalena. Improvvisamente l’impalcatura cede e le cade addosso. «Come tutti i bambini di quell’età, sentivo una grande voglia di muovermi. Ho continuato a praticare sport da subito, dopo l’incidente, ma in carrozzella», aggiunge Manuela.
La fortuna nella sfortuna. Manuela vive a Lucerna, a pochi chilometri quindi dal Centro paraplegici di Nottwil. Partecipa a varie attività proposte ai bambini, tra cui ad esempio il Kids Camp, ovvero una due giorni di sport specificatamente indirizzati ai bambini e alle bambine in carrozzella. Con l’Associazione Svizzera dei Paraplegici ha la possibilità di imparare a sciare con il monosci. Prova numerosi sport in carrozzella, ma la sua passione rimane l’atletica leggera. «Alla fine degli anni Novanta c’era molto fermento. Un grande tra-
scinatore per me è stato Heinz Frei, che non ha bisogno di presentazioni», spiega Manuela. Per chi non è così vicino al mondo paralimpico, ricordiamo che Heinz Frei, tanto per dare una cifra, nella sua lunga carriera ha vinto 14 medaglie d’oro ai Giochi paralimpici, 6 argenti e 6 bronzi. E aggiungiamo che lo stesso Frei ha vinto la medaglia di argento nella handbike agli ultimi Giochi paralimpici, all’età di 63 anni. «Sono molto riconoscente anche al mio primo allenatore, Erwin Zemp, che ricordo con tanto piacere, e al mio attuale coach Claudio Perret, con il quale abbiamo preparato que-
sta Paralimpiade in terra francese». Parigi 2024 sarà la sua ultima Paralimpiade su pista. Manuela si presenterà nelle discipline di media e lunga distanza. «Se da un lato sono forse diventata un pochino più lenta nello scatto, dall’altra, grazie alla mia esperienza, riesco quasi sempre a classificarmi tra le migliori. Una maratona è tutt’altro che una corsa a mono-ritmo e mono-velocità. Il percorso va studiato, va letto. Ed è importante capire quanto spingere in quale frangente; quando e quanto invece rallentare e prendere fiato. E qui, spesso, vengo premiata dalla mia esperienza».
Nella nostra chiacchierata parliamo anche di materiale. «Il nostro sport è diventato sempre più inclusivo. Partecipiamo ai Meeting di atletica leggera per normodotati, in categorie specifiche. L’atletica in carrozzella, soprattutto negli ultimi anni, è diventata uno sport molto conosciuto al pubblico e di riflesso attrattivo per gli sponsor. Tra questi ci sono anche alcune ditte automobilistiche, le quali hanno investito e stanno continuamente investendo nello sviluppo delle carrozzelle, per renderle più veloci e performanti». E, di fatto, anche Manuela corre con una carrozzella studiata nei minimi dettagli da una nota casa automobilistica giapponese. Carrozzelle quindi molto performanti, ma anche molto costose. Per dare una cifra, quella utilizzata da Manuela si aggira sui 25mila franchi. «Questi costi molto elevati stanno trasformando l’atletica leggera in uno sport elitario, in cui pochi possono permettersi un’attrezzatura competitiva. Questo in un certo senso è il retro della medaglia. O il prezzo da pagare. Peccato». Manuela continua a raccontarsi.
Ci dice che tre giorni prima di questo nostro incontro, Swiss Paralympic ha presentato in una conferenza stampa la Delegazione paralimpica di Pari-
gi 2024. «Come riferito ai giornalisti, questa è la mia ultima edizione su pista. Per quanto riguarda invece le maratone, rimango aperta». Manuela ha 40 anni e sente il desiderio di fare anche altro nella vita. Oltre il lavoro presso l’Associazione Svizzera dei Paraplegici nell’ambito dell’organizzazione di viaggi per persone in carrozzella, Manuela ha una grande passione per i cani: «Lo scorso anno, navigando sui social, ho scoperto un’associazione in Thailandia che si occupa di cani paralizzati. Attraverso una sorta di carrello fissato all’altezza del bacino, i cani riescono di nuovo a muoversi in modo autonomo. In Thailandia i cani sono liberi di muoversi nelle strade. E purtroppo spesso finiscono vittime di incidenti stradali. L’associazione The Man that Rescues Dogs Sanctuary, che ospita circa 700 cani, li recupera e li istruisce a muoversi attraverso le ruote al posto delle zampe posteriori», spiega Manuela. Questa è lei. Riservata e determinata. Una campionessa di grande successo. Ma allo stesso tempo una donna che con la sua calma e determinazione porterà avanti progetti anche in futuro. E lascia intendere che nella sua testa ce ne sono molti. Ma non ne parla. Vorrà dire che ci lasceremo sorprendere, ancora una volta.
Associazione Svizzera dei
Paraplegici
Davide Bogiani
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L’isola di San Pietro tra bellezza, storia e leggende
Itinerario ◆ Situato nella parte sudoccidentale della Sardegna, il coumune di Carloforte fu
Giovanni Medolago, testo e foto
Passeggiando sul lungomare o tra le crêuza de mä (viottoli o mulattiere) di Carloforte, nell’estremo sud/occidentale della Sardegna, non vi sfuggirà lo spiccato accento ligure nella parlata dei suoi abitanti. Meta prediletta dai velisti di mezza Europa, l’Isola di San Pietro (parte del comune, con altre isolette) ha una storia particolare. Anzi delle storie invero singolari, dove talvolta la realtà trascende nella leggenda.
Chiamata dapprima Isola degli Sparvieri da fenici, greci e romani (restano vestigia di queste civiltà), l’isola prese poi il nome di San Pietro. Sembra infatti che il Santo, nel suo viaggio verso Roma, dove poi pose «la prima pietra» del Cristianesimo, fece tappa su quest’isoletta nel 46 d.C.. Passò da Cagliari e da lì risalì l’intera Sardegna. A piedi o più probabilmente su un’imbarcazione? Non si sa.
Nel XVI secolo, l’isola venne progressivamente abbandonata e in pochi anni divenne disabitata. In quel periodo, dall’altra parte del Mediterraneo, un folto gruppo di pescatori e commercianti provenienti da Pegli (a pochi chilometri da Genova) si era stabilito sull’isola tunisina di Tabarka.
Nel 1738 l’isola rimase disabitata. A ripopolarla ci pensò re Carlo Emanuele III di Savoia che la trasformò poi in un centro fortificato, al riparo dai pirati
«Nel 1700 – racconta la giornalista freelance Emanuela Mortari – gli affari cominciarono ad andare meno bene, e i rapporti con i tunisini ancora peggio. Orde di pirati cominciarono a taglieggiare i pescherecci e a compiere qualche scorribanda sulla terra ferma. Si dice che i corsari fossero fiancheggiati dai bey di Tunisi e pure di Algeri».
Il bey, chi era costui? In pratica un re, seduto sul trono di una di queste due capitali; un titolo poi abolito dalla Repubblica turca che designava i sovrani di Stati all’epoca vassalli all’Impero Ottomano. Fatto sta che nel 1738 alcuni tabarchini (così sono nominati gli abitanti del posto) ricevettero dal re Carlo Emanuele III di Savoia un luogo per continuare in tranquillità i loro commerci: l’isola di San Pietro, appunto.
«Era completamente disabitata –continua la Mortari – e il re voleva ri/ popolarla e trasformarla in un centro fortificato, al riparo dai pirati. Ecco l’accordo: mediante una regolare infeudazione, l’isola di San Pietro venne colonizzata dai primi 462 abitanti riscattati con una somma notevole di denaro, in gran parte provenienti da Tabarka, ma originari di Pegli (ndr: quartiere del ponente genovese; comune autonomo fino al 1926)» .
Costruire una cittadina dal nulla non fu facile, però la prospettiva di tornare a Tabarka in schiavitù e soprattutto l’operosità ligure permisero ai primi 462 abitanti di compiere l’impresa: terrazzamenti per le coltivazioni, case, strade e infrastrutture importanti come il porto realizzate a tempo di record. In onore del re fu eretta una statua nella piazza principale del paese, unico insediamento umano sull’isola che venne denominato Carloforte (Forte di Carlo; nella foto, la piazza del paese).
La proverbiale abilità commerciale ligure favorì poi una discreta cre-
scita economica, grazie soprattutto alla pesca dei tonni e alle saline. Oggi le saline sono anch’esse abbandonate, fanno però ancora bella mostra di sé sulle strade che portano alle spiagge: è altresì facile scorgervi stormi di eleganti fenicotteri rosa, col collo perennemente piegato su quei pochi centimetri d’acqua. La pesca e poi la trasformazione industriale del tonno – unitamente a quelle parallele del corallo, che danno lavoro a parecchi artigiani – sono invece ancora oggi, accanto al turismo, una voce importantissima dell’economia locale.
Numerosi i negozi e i ristoranti dalle insegne che annunciano: «Qui il miglior tonno dell’uiza (isola)».
Solo due infelici avvenimenti turbarono la quiete di Carloforte: nel gennaio 1793 fu invasa dalle truppe napoleoniche (e la statua di re Carlo venne amputata di un braccio!); nel settembre 1798 i corsari tunisini depredarono la cittadina, portandosi poi via oltre 900 malcapitati, donne e bambini compresi, costretti in schiavitù per cinque lunghi anni.
Che cosa c’è dietro la storia del dodicenne che guidó molti ragazzi verso la Terra Santa?
Un ulteriore insediamento di coloni provenienti da Tabarka arrivò nel 1770 e rimase nella vicina isola di Sant’Antioco, dove fu fondato il paese di Calasetta e dove ancora è possibile trovare chi parla un dialetto con inflessioni liguri, sebbene con qualche differenza rispetto ai carlofortini/ tabarchini.
Infine, ecco la cosiddetta leggenda della Crociata dei fanciulli: la versione tradizionale afferma che nel maggio del 1212 un pastorello francese dodicenne di nome Stefano si presentò alla corte del re di Francia Filippo II, affermando che Gesù in persona gli era apparso mentre pascolava le sue pecore e gli aveva ordinato di raccogliere fedeli per un’altra crociata, consegnando al sovrano la lettera che diceva essergli stata affidata brevi manu dal Figlio di Dio. Filippo II passò la missiva ai teologi parigini, i quali la considerarono un falso. Ordinò quindi al fanciullo di tornarsene a casa, ma questi non si
lasciò scoraggiare e iniziò a predicare in pubblico sulla porta dell’abbazia di Saint-Denis. Prometteva a quelli che si sarebbero uniti a lui che i mari si sarebbero aperti davanti a loro, come aveva fatto il Mar Rosso con Mosè,
e che sarebbero così arrivati a piedi fino alla Terra Santa. Il ragazzo iniziò a viaggiare per la Francia, raccogliendo proseliti e facendosi aiutare nella predicazione dai suoi convertiti. Alla fine, la Crociata partì verso
Marsiglia. I piccoli crociati si precipitarono al porto per vedere il mare aprirsi. Poiché il miracolo non avveniva, alcuni si rivoltarono contro Stefano accusandolo di averli ingannati, e presero la via del ritorno. Molti rimasero in riva al mare, ad aspettare il miracolo ancora per alcuni giorni, finché due mercanti marsigliesi offrirono ai fanciulli un passaggio gratis. Stefano accettò e così partirono sette navi con a bordo l’intero contingente di bambini. L’epilogo fu tragico: due delle sette navi affondarono per una tempesta al largo dell’isola dei Ratti, vicina a San Pietro, e molti degli occupanti morirono affogati. I fanciulli superstiti furono consegnati dai mercanti di Marsiglia ad alcuni musulmani che li vendettero come schiavi.
Secondo altri studi più recenti, l’espressione Crociata dei fanciulli deriverebbe dal fatto che nei documenti ritrovati e inerenti a quello strano movimento del 1212 si usa il termine latino puer (fanciullo) intendendo in realtà pauper (povero). A quanto pare i documenti dell’epoca insistono sulla miseria dei pellegrini piuttosto che sulla loro età. Non si esclude inoltre che la vicenda abbia suggerito ai Fratelli Grimm la loro fiaba Il pifferaio magico
Magiche, quasi superfluo sottolinearlo, sono certamente alcune spiagge dell’isola, tutte baciate da un mare cristallino.
Dai il via alla croccantezza!
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Salame e funghi
Prepara i funghi e tagliali a pezzettini. Falli rosolare in un po’ di olio per 3-4 minuti e aggiungi del sale. Guarnisci i cracker con il salame e i funghi.
Pomodori e rosmarino
Taglia i pomodori a pezzettini. Trita il rosmarino, uniscilo ai pomodori, mescola e aggiungi del sale. Guarnisci i cracker.
Mozzarella e peperoncino
Taglia la mozzarella a cubetti. Trita il peperoncino e grattugia finemente la scorza di limone. Mescola il tutto con un po’ di olio. Guarnisci i cracker.
Ricotta e fragole
Mescola la ricotta con il miele e un pizzico di pepe. Spalmala sui cracker e guarnisci con fettine di fragole.
Tapenade di olive e acciughe
Spalma la tapenade sui cracker e guarnisci con filetti di acciughe.
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Quando lo sport si mescola alla vita
Editoria ◆ Dopo 36 anni in giro per il globo da inviato RSI e dopo altri 16 anni da pensionato, Libano Zanolari apre il libro
Giancarlo Dionisio
Lo sport è spesso un pretesto. Non lo è per i ragazzini, che ne assaporano liberamente l’aspetto ludico. Lo è, ne sono convinto, per molti adulti. Per gli Stati, lo è in quanto mezzo utile a ribadire la loro supremazia sugli altri, e per celebrare la loro grandeur, come si prefissò, ad esempio, Vladimir Putin quando nel 2014 a Sochi mandò in scena l’edizione più faraonica dei Giochi Olimpici. È un pretesto per il mondo dell’economia e della finanza, che lo spreme per fare soldi. Mentre per gli atleti di punta, lo è in quanto grazie a esso ingigantiscono la loro aura e il loro gruzzolo. E infine lo sport è un pretesto anche per i tifosi, che sulla scia di valori fatui, si sentono autorizzati a manifestare i loro sentimenti: quelli positivi di gioia e di condivisione, e quelli negativi di aggressività e di violenza. Paradossalmente, coloro che lo sport lo prendono in modo meno pretestuoso, sono i giornalisti del settore. Per loro, è competizione, emozione, rivalità, pathos, lotta per una supremazia che non necessariamente sconfina nella politica e nella sociologia. Tuttavia, qualcuno sfugge a questa logica. Sono persone, colleghi, che da sempre hanno saputo scavare oltre il mero fatto sportivo. Fra questi inserisco, senza ombra di dubbio, Libano Zanolari, per decenni, giornalista e commentatore RSI, soprattutto sul fronte dell’atletica leggera, dello sci alpino e del calcio.
La sua recente pubblicazione La vita, lo sport e il mondo ne è la più nitida testimonianza. Anzitutto è un volume bello da prendere fra le mani. Trecento pagine, per la collana Memoranda delle Edizioni Ulivo di Balerna, impreziosite ulteriormente dalla prefazione di Fabio Pusterla e dalla postfazione di Ennio Emanuele Galanga.
Zanolari parte dagli anni della sua adolescenza in cui, giovane ragazzo di montagna nato e cresciuto a Zalende, minuscola frazione di Brusio in Valposchiavo, si vede aperta, dapprima la via verso Coira, dove fre-
quenterà la Scuola Commerciale, in seguito quella che conduce a Lugano dove gli verrà proposto uno stage biennale presso l’allora RTSI. Fu l’inizio di un percorso che lo distolse da una possibile carriera di atleta di punta. A 16 anni saltava 6 metri e 38 in lungo. Allora era una prestazione notevole. Alcune circostanze fortuite lo accompagnarono comunque verso la redazione sportiva, che non lasciò fino al pensionamento, nel 2008.
Zanolari racconta la vita di un uomo curioso, attento, entusiasta, ma critico. I numerosi eventi sportivi da lui commentati si dissolvono in filigrana. Al nostro occhio si presenta tutto il resto, come la bellezza, ma anche il degrado, dei paesaggi. La forza evocativa dei luoghi è onnipresente. Così, la Bruxelles del Mémorial Ivo Van Damme, diventa un pretesto per ripercorrere le orme «di Grand Jacques, di quel Brel che assieme a Bob Dylan e Fabrizio De André è “lo mio maestro e ´l mio autore”».
Zanolari compone sapientemente il mosaico della sua esistenza, e lo pone in relazione con i fatti del mondo. Prima ancora che lui diventasse un autorevole giornalista, il ’68 gli si palesa con tutta la sua irruenza, come una sorta di tenzone tra macro e micro. «Nell’anno in cui le vicende personali hanno scarso diritto di cittadinanza», la Primavera di Praga e le Rivolte studentesche si intrecciano con la salute del fratello Duilio, il cui «male oscuro è dovuto a una valvola dell’aorta che non regola il flusso del sangue». Sarà il professore svedese Ake Senning a operarlo. Secondo solo al sudafricano Chris Barnard, che da poco aveva effettuato con successo il primo trapianto cardiaco. Libano e Duilio erano consapevoli della delicatezza della situazione. I genitori no. Per il babbo, non si trattava del primo viaggio a Zurigo ad accompagnare un figlio in ospedale. Era già capitato parecchi anni prima con il piccolo Libano, ricoverato al Kinderspital per una grave for-
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ma di gastroenterite. Guido Fanconi, poschiavino, allora uno dei massimi pediatri al mondo, lo guarì con una dieta che comprendeva anche le banane, le quali producono un effetto benefico sulla mucosa gastrica. «Non a caso, ricorda nel suo testo Zanolari, l’unico cibo che Federer & Co. possono assumere sotto sforzo».
In caso di domande puoi contattare l’Infoline Cumulus: 0848 85 0848
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La prima partecipazione in qualità di inviato ai Giochi Olimpici, nel 1972 a Monaco di Baviera, è un assist formidabile per approfondire una delle grandi passioni dell’autore: la storia, quella della mitologia greca in particolare.
Tuttavia gli eroi del passato, così come quelli del presente, il missile sovietico Valerij Borzov, il capo tribù ugandese John Akii-Bua, lo statuario discobolo cecoslovacco Ludvík Daněk, Ulisse approdato sull’isola dei Feaci, e la sedicenne Ulrike Meyfarth, sono costretti a cedere il proscenio alla politica. Quella che avrebbe voluto essere l’edizione della leggerezza e della spensieratezza, per lasciarsi alle spalle l’esclusione della Germania per indegnità nel 1920, 1924 e 1948, e per dimenticare le olimpiadi naziste del 1936, sarà un’edizione con una presenza volutamente limitata della polizia. Gli organizzatori non avevano fatto i conti con un manipolo di Fedayyìn palestinesi, che penetrarono nel villaggio olimpico e assaltarono la sede della
delegazione israeliana, dalla quale prelevarono alcuni atleti torturandoli prima di ucciderli. Il bilancio fu pesantissimo. Dieci vittime fra cui un poliziotto.
Il presidente del CIO, Avery Brundage, al termine della commovente cerimonia funebre, pronunciò la storica frase: «The Games must go on». Quindi si continua, ma Zanolari chiosa: «Io i giochi li avrei chiusi». Non è che uno dei numerosi intrecci tra sport e società rivissuti dall’autore.
La vita, lo sport e il mondo non è un’autobiografia, non è un romanzo, non è un saggio di storia antica e moderna, non è un trattato di sociologia, men che meno un pamphlet. È una miscela sapientemente shakerata e dosata di tutto ciò. Si presenta al lettore con gusto e aroma che stuzzicano il palato e la mente.
Bibliografia
Libano Zanolari, La vita, lo sport e il mondo Ulivo Edizioni, Balerna, 2024
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Nel sito della RSI si trova ancora qualche filmato commentato da Libano Zanolari; qui, alcuni atleti sono impegnati agli anelli, a Lugano il 16 giugno del 1969, in occasione del centenario dell’Associazione Cantonale Ticinese di Ginnastica. (RSI)
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Ricetta della settimana - Tagliatelle al ragù
Ingredienti
Ingredienti per 4 persone
600 g di spezzatino di manzo e maiale
100 g di pancetta da cuocere
400 g di verdura per minestra (cipolla, carota, sedano)
4 c d’olio d’oliva sale
pepe
2 c di concentrato di pomodoro
1 cc di erbe secche all’italiana
1 dl di vino rosso
5 dl di brodo di manzo
1 scatola di pelati da 400 g
500 g di tagliatelle
o pappardelle
80 g di parmigiano in un pezzo
Preparazione
1. Riducete la carne a dadini di circa 2 cm.
2. Tagliate la pancetta a striscioline.
3. Tritate la cipolla, e tagliate a dadini sedano e carota.
4. Rosolate bene la carne nell’olio. Quindi aggiungete la pancetta e rosolatela con la carne. Unite le verdure e continuate la rosolatura per circa 3 minuti.
5. Condite con sale e pepe. Poi aggiungete il concentrato di pomodoro e le erbe secche.
6. Sfumate con il vino, e aggiungete il brodo e i pelati, mettete il coperchio e lasciate stufare a fuoco basso per 2–3 ore, finché la carne risulta bella tenera.
7. Cuocete la pasta al dente in abbondante acqua salata.
8. Mescolate la pasta con il ragù e un po’ d’acqua di cottura della pasta. Servite con parmigiano grattugiato.
Consigli utili
Preparate una quantità doppia di ragù e congelate quello avanzato. In congelatore il ragù si conserva per almeno tre mesi.
Preparazione
Circa 30 minuti; cottura: 2-3 ore
Per persona 65 g di proteine, 37g di grassi, 99 g di carboidrati, 1010 kcal
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Shadow of the Erdtree, nato per stupire
Videogioco ◆ La nuova espansione creata da FromSoftware con George R. R. Martin amplia la Terra delle Ombre e invita i giocatori a scoprire tutti i suoi segreti nascosti
Kevin Smeraldi
Elden Ring – Shadow of the Erdtree, sviluppato da FromSoftware, è la nuova espansione del celebre Elden Ring, fantasy RPG creato con George R. R. Martin. Uscito a febbraio 2022, il titolo ha già venduto oltre 25 milioni di copie e oggi, dopo oltre due anni, potremo tornare a vestire i panni del Senzaluce e tornare in sella al nostro fidato Torrente.
Shadow of the Erdtree ci porta oltre i confini dell’Interregno, nella Terra delle Ombre. La trama non segue gli eventi del gioco originale (anche perché sono presenti sei finali diversi), questa espansione svela di più sulla Dea Marika e il viaggio di Miquella. Come in ogni opera di FromSoftware, la «lore» (vale a dire la «costruzione del mondo» di fantasia) è sussurrata, celata nelle descrizioni di oggetti, armi e incantesimi, le cut-scene e i dialoghi sono sempre ridotti al minimo. La direzione artistica è estremamente ispirata: da cimiteri con tombe di luce a boschi ricoperti di foglie e vermi luminosi, paludi selvatiche e castelli labirintici. Ogni area è caratterizzata da ambientazioni e nemici unici. La vastità delle terre oscure è supportata da molte ricompense e nemici temibili che terranno alto l’interesse dei giocatori, garantendo una continua scoperta.
Trattandosi di un’espansione, Shadow of the Erdtree mantiene le mec-
caniche del gioco originale ampliandole con nuovi oggetti, incantesimi e abilità: 70 armi, 10 scudi, 39 talismani, 14 magie, 28 incantesimi, 25 ceneri di guerra e 30 set di armature. Un armamentario che arricchisce enormemente la componente RPG (gioco di ruolo), offrendo ai giocatori molte possibilità per sperimentare nuove build
L’espansione è pensata per chi ha completato il gioco originale, infatti, per poter accedere ai nuovi contenuti è necessario aver sconfitto Radahn e Mohg. Solo dopo aver battuto quest’ultimo, si potrà accedere alla Terra delle Ombre parlando con la cavaliera Leda, che chiederà assistenza per ripercorrere le orme di Miquella: una volta esaurito il dialogo verrete teletrasportati nella nuova mappa.
Il gioco è impegnativo ma non impossibile: noi consigliamo di affrontare il DLC (contenuti extra) almeno a livello 150. Nella mappa si trovano frammenti di albero ombra, che introducono un nuovo sistema di livellamento esclusivo per le terre oscure, aumentando attacco e difesa e rendendo l’esperienza più accessibile. Le boss fight sono tra le migliori viste: ogni nemico ha un moveset nuovo e unico, che mette a dura prova i riflessi. Come ogni «soul» (ndr: a indicare tutti i giochi di FromSoftware), Shadow of the Erdtree è ricco di attività secondarie,
Giochi e passatempi
Cruciverba
Forse non tutti sanno che il pipistrello è l’unico…
Trova il resto della frase risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere evidenziate
(Frase: 9, 6, 2, 6)
ORIZZONTALI
1. Chiamo zia quella di mio cugino
5. Numero
10. Nella mitologia erano dei semidei
11. Parte del fiore
12. Labbro inglese
13. Si indossa in spiaggia
14. Pronome personale
15. È simile alla quercia
16. È la fine del mondo!
17. Nome maschile
18. Gode di grande notorietà
19. Ha un proprio servizio
20. Umilia il portiere
21. Tutt’atro che profana
22. Prefisso che viene dopo il «bi»
24. Uno in tedesco
25. Stato francese
26. Due vocali
VERTICALI
1. Fanghiglia, mota
2. Satellite di Uranio
3. Attrezzo per pulire il pavimento
4. Lettera dell’alfabeto greco
5. Gran… nel cielo
6. Parte dell’intestino tenue
dungeon (ambientazione), mini-boss e misteri che terranno impegnati per molte ore, offrendo sempre nuove sfide e ricompense.
L’espansione non porta miglioramenti grafici rispetto al gioco originale: le texture hanno la stessa qualità visiva. Tuttavia, FromSoftware si supera dal punto di vista artistico, amalgamando pulp e arte religiosa, con stranezze alla Hieronymus Bosch, in combattimenti con mostri deformi e luoghi tetri e gotici.
La colonna sonora mantiene l’atmosfera epica tipica della serie, con elementi orchestrali, corali e sonorità oscure che amplificano l’esperienza di gioco. Il doppiaggio è solo in inglese con sottotitoli in italiano, ma i dialoghi sono pochi; quindi, l’assenza del doppiaggio in italiano non intacca l’esperienza di gioco. L’audio ambientale contribuisce a creare una sensazione di immersione totale, con effetti sonori accurati e una colonna sonora che accompagna perfettamente le varie fasi del gioco, esaltando ogni momento chiave.
Le ore necessarie per completare i contenuti extra variano: solo per la campagna principale servono 15-20 ore, mentre per trovare tutti gli oggetti e upgrade ne servono oltre 40. Il sistema di crescita del personaggio permette di sperimentare diverse build e strategie.
La community online è attiva e offre spunti per rendere il personaggio una vera macchina da guerra. La varietà di contenuti secondari e delle sfide opzionali garantisce che ogni sessione di gioco sia diversa e appagante, permettendo ai giocatori di esplorare a fondo ogni angolo della Terra delle Ombre e scoprire tutti i segreti nascosti.
FromSoftware con Shadow of the Erdtree si riconferma maestro del genere, offrendo un’espansione che rapisce fin dai primi minuti e tiene incollati per ore. Mantiene il buono del
gioco originale ed espande ulteriormente le possibilità di sviluppo del personaggio, regalando ai giocatori infinite possibilità e abilità, molte delle quali omaggiano direttamente altre opere della casa come Dark Souls, Sekiro e Bloodborne. Elden Ring – Shadow of the Erdtree racchiude il meglio del genere RPG: l’eccellente combinazione di gameplay, storia, atmosfera e durata rende questa espansione una delle migliori esperienze disponibili nel mondo dei videogiochi. Un must per gli amanti dei giochi di ruolo. Voto: 9.5
7. Lo paga il reo
8. Le iniziali dello stilista Cavalli
9. Una sua parte è la carlinga
11. Le causano l’abuso di dolci
13. Schiacciate, frantumate
15. Comando Supremo
16. Rimborsi forfettari
sulle trasferte
18. Si spiega cantando
20. Il pianista e compositore Allevi (Iniz.)
21. Esprime concessione
23. Un Ricky regista (Iniz.)
Soluzione della settimana precedente Oggi ho chiesto a mio figlio di passarmi il giornale e lui: «Non sei al passo con i tempi, sei vecchio!» E mi ha passato il suo tablet, in breve… LA MOSCA È MORTA E IL TABLET DISTRUTTO
Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario
cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi,
intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento
in Svizzera. Sudoku Scoprite i 3 numeri corretti
Vinci una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una carta regalo da 50 franchi con il sudoku
ATTUALITÀ
Scenari di guerra
L’Ucraina di Zelensky continua a spiazzare la Russia di Putin attaccandola in casa
Pagina 27
I talebani ignorano gli accordi assunti al momento del loro ritorno a Kabul e si rafforzano in Pakistan
Pagina 29 Afghanistan
Pagina 31 Germania
Ardue prospettive per il Governo tedesco mentre cominciano i voti per le regionali di settembre
Maduro ha vinto le elezioni in odore di brogli e fa amministrare il potere ai militari corrotti
Pagina 35 Venezuela
La Cina fa paura anche a Putin, ecco perché
Geopolitica ◆ La guerra contro l’Ucraina ha aumentato la dipendenza di Mosca da Pechino che teme l’egemonia cinese Lucio Caracciolo
In Russia si è avviata sottotraccia una riflessione strategica sui caratteri dello Stato e sul suo ruolo nel mondo. Si cerca un’idea di futuro per l’impero. La guerra di Ucraina è un acceleratore. Obbliga a pensarsi nel dopoguerra che molti considerano tutt’altro che prossimo, ma la dimensione del problema eccede la tragedia ucraina. Né si tratta solamente di immaginare il dopo-Putin, che prima o poi scatterà fosse solo per ragioni di età. Il punto è capire quale Russia in quale mondo, dopodomani.
La caratteristica storica delle Russie – zarista, bolscevica, postsovietica (putiniana) – è la coincidenza di Stato e regime. L’uno e l’altro sono talmente intrecciati da rendere improbabile qualsiasi tentativo di distinguerli. Quando cambia il regime cambia lo Stato, e viceversa. Così nel 1917, quando l’ultimo zar abdica e subentrano i comunisti; nel 1991, con le dimissioni di Gorbaciov conseguenti alla fine dell’Urss per iniziativa russa (Eltsin) ucraina e bielorussa; probabile che accada lo stesso allo scadere dell’attuale regime. Ogni volta, tra l’altro, la Russia ha cambiato nome e soprattutto
spazio. L’attuale impero interno è meno esteso di quello di Pietro il Grande. È la più piccola delle Russie moderne. La consustanzialità Stato/regime deve far riflettere anche i sostenitori occidentali del cosiddetto regime change. Obiettivo coltivato in America dai neoconservatori, in Europa soprattutto dai Paesi del Nord e dell’Est, scandinavi, baltici e polacchi in testa. Durante questa guerra si sono attivate alcune lobby transnazionali, protette e finanziate da strutture americane, britanniche e dei citati Paesi europei, che mirano alla «decolonizzazione» della Federazione Russa in seguito alla vittoria dell’Ucraina, o al cedimento dei vincoli interni allo Stato putiniano. In termini pratici, se è vero quanto osservato, si tratterebbe di State change. La carta dell’Eurasia sarebbe ridisegnata, con dozzine di staterelli più o meno impotenti. Non ci stupiremmo se per eterogenesi dei fini ad avvantaggiarsene, molto più degli occidentali, fosse la Cina.
Ed è sulla questione cinese che si concentra oggi il dibattito interno russo, in cui è coinvolto il vertice politico come lo Stato profondo, ma si dif-
fonde anche nell’opinione pubblica. Se osserviamo la traiettoria di Mosca dall’Unione Sovietica a oggi colpisce il grado di influenza acquisito dalla Repubblica Popolare Cinese nei suoi affari. Tanto che oggi nella guerra di Ucraina il Cremlino deve affidarsi largamente al sostegno economico, diplomatico (cauto), in parte militare, di Pechino. La cooperazione sino-russa va molto al di là del fronte ucraino e investe gli assi geopolitici e geoeconomici su cui Putin ha imperniato il suo Stato/regime. Il timore di molti russi, e di Putin, è che la presenza cinese in Russia e nel suo «estero vicino» – lo spazio postsovietico – diventi troppo pervasiva. Stiamo assistendo alla penetrazione cinese in Asia Centrale, specie in Kazakistan. Area considerata fino a ieri riserva russa. Pechino si fa sentire anche nell’Estremo Oriente siberiano. Per esempio a Vladivostok, massimo porto russo sul Pacifico, semiappaltato ai cinesi. Per tacere della oggettiva pressione sinica sulla Siberia, pressoché disabitata. L’incubo di una strategia demografica che porterà nei prossimi decenni alla sinizzazio-
ne di parte degli spazi siberiani, specie quelli un tempo pertinenti all’impero dei Qing poi persi con i «trattati ineguali» del secondo Ottocento, agita le notti dell’élite ma anche della opinione russa, più influente di quanto tendiamo a immaginare.
La guerra in Ucraina potrebbe sfociare, nel medio periodo, nell’asiatizzazione non solo economica della Russia. Di fatto junior partner della Cina, strettamente legata all’India sotto il profilo energetico e militare, persino alla Corea del Nord. Il tono europeo che ha sempre distinto gran parte delle élite russe starebbe già evaporando, a vantaggio dell’astro nascente cinese. Non dobbiamo dimenticare che la coppia russo-cinese non è spontanea né casuale. Non spontanea perché si tratta di due civiltà aliene, che non si sono mai affiatate e spesso si sono combattute, anche quando professavano la stessa ideologia. Non casuale perché nasce in seguito alla sconfitta politica russa in Ucraina, nel 2014, culminata nella fuga da Kiev del presidente Janukovic, considerato filo-Putin. Contro il parere di buona parte del gruppo dirigente, il presidente
russo considerò chiuso il tentativo di aggancio all’Occidente, perseguito fin dal 2000 con la richiesta informale di ammissione alla Nato. L’unica alternativa era legarsi a Pechino. Così è stato e continua a essere.
Oggi il rischio per Putin è che la soggezione a XiJinping diventi eccessiva, fino a ridurre Mosca sotto l’egemonia cinese. Perdita della sovranità, stella polare dell’ideologia di Stato russa. Ma quale sarebbe l’alternativa?
Diversi esponenti russi sarebbero più che interessati a riannodare i fili con noi occidentali. Troppo veleno sta però scorrendo in seguito all’invasione dell’Ucraina per rendere plausibile un compromesso strategico fra Russia, America e Stati europei. Anche in chiave anticinese. Ma in una prospettiva di parecchi anni, non è impossibile. In fondo, quella di Ucraina è l’ultima guerra della guerra fredda. Purtroppo fisica e non virtuale. Quando sarà chiusa con una pace più o meno sporca potremo tutti buttare via gli attrezzi ereditati da quel mezzo secolo di pace chiamato guerra fredda. Siamo entrati in un altro mondo. I russi lo hanno stabilito prima e meglio di noi.
Il presidente cinese Xi Jinping, a sinistra, riceve
il presidente russo Vladimir Putin durante
la visita ufficiale di quest’ultimo a Pechino lo scorso 16 maggio. (Keystone)
Fogli di carta compostabili 1
Mosca ancora spiazzata dal colpo di scena ucraino
Il punto ◆ La conquista di territori russi da parte di Kiev rompe l’idea
Anna Zafesova
«La situazione nelle zone frontaliere delle regioni di Kursk, Belgorod e Bryansk». Nei documenti e nelle comunicazioni ufficiali del Cremlino si chiama così, e perfino Vladimir Putin nelle sue videoconferenze con ministri e generali al massimo parla di «provocazione». Un eufemismo per un’operazione che comincia ad avere dei numeri di tutto rispetto: più di 1200 chilometri quadrati di territorio, un centinaio di centri abitati tra cui la cittadina di Sudzha, almeno 120mila civili in fuga da tre regioni e centinaia di soldati russi catturati. Ma soprattutto, l’operazione dell’esercito di Kiev ha ribaltato il quadro politico e mediatico di una guerra che ormai quasi tutti gli osservatori internazionali definivano come uno «stallo»: da un mese ormai un pezzo del territorio della Federazione Russa è stato invaso e occupato dai militari ucraini. La sortita iniziata dall’Ucraina ai primi di agosto ha colto di sorpresa non soltanto il Cremlino, ma anche molti alleati occidentali, e diverse testate americane hanno raccolto indiscrezioni secondo le quali Volodymyr Zelensky avrebbe preparato lo sfondamento della frontiera in grande segreto. Secondo Vladimir Putin, il tempo lavorava per lui: le risorse russe sarebbero bastate a durare più a lungo degli ucraini, e l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca avrebbe interrotto gli aiuti occidentali.
Uno scenario ribaltato in poche settimane: mentre la vittoria del candidato repubblicano appare sempre meno scontata, l’Ucraina è riuscita a rompere, almeno a livello mediatico, l’immagine di un Paese condannato al martirio, a meno di non concedere all’invasore i territori già occupati.
Ora, anche la Russia possiede territori occupati, e la facilità con la quale gli ucraini li hanno conquistati pone inevitabili interrogativi sulle strategie del comando militare russo, e sul modo in cui sono stati spesi i miliardi di rubli per fortificare la frontiera.
Putin ufficialmente minimizza ma non sembra avere ancora deciso come rispondere all’avanzata dei nemici a Kursk
Interrogativi che potrebbero alla lunga rivelarsi più pericolosi per il Cremlino dei carri ucraini che scorrazzano per i villaggi russi. Carri che tra l’altro hanno schiacciato anche le «linee rosse» minacciate a più riprese da Mosca: un’operazione militare in territorio russo, con armi fornite dai Paesi occidentali, non ha prodotto almeno per il momento nessuna escalation da parte dei russi. La pioggia di missili e droni rovesciata su Kiev e altre città, in una rappresaglia soprattutto contro le centrali elettriche, è stata pesan-
tissima, ma non ha aggiunto nulla di qualitativamente nuovo ai metodi della guerra di Putin. Mentre il successivo appello del capo della diplomazia Ue Josep Borrell a cancellare ogni restrizione per l’utilizzo delle armi occidentali fornite agli ucraini – già revocata da diversi governi europei – fa pensare che questo passo degli alleati sia ormai inevitabile.
Zelensky ora promette di presentare a Joe Biden un «piano di vittoria» che dovrebbe affiancare all’offensiva a Kursk misure di tipo economico contro la Russia, e un’iniziativa diplomatica, presumibilmente la prosecuzione della conferenza di pace in Svizzera nel giugno scorso. Una delle ipotesi più ovvie è quella secondo la quale Kiev proporrà a Mosca uno scambio di territori occupati, e l’insistenza con la quale Putin vuole avanzare nel Donbas, invece di spostare le truppe a difendere Kursk, potrebbe confermarla. Il dittatore russo vorrebbe conservare un vantaggio sul campo, ma se l’Ucraina si è ormai abituata a perdere territori, per i russi l’ingresso del nemico nel suo territorio risveglia la fobia storica dell’invasione da Ovest, sulla quale Putin aveva scommesso molto nella sua propaganda. Motivo per il quale ora, che l’incubo è realtà, lo declassa a «situazione frontaliera»: l’alternativa è una chiamata alle armi, visto che il Cremlino non dispone di un numero sufficiente di soldati per
allargare il fronte. Mobilitare i russi al grido di «respingiamo l’invasore» potrebbe mobilitare il sentimento nazionale, ma anche far nascere interrogativi inevitabili sul senso di una guerra che, due anni e mezzo dopo che era stata lanciata dal presidente come «operazione militare speciale» in territorio ucraino, rischia di entrare nelle case dei russi.
Dilemmi ai quali il Cremlino per ora non ha una risposta pronta, e il consigliere per gli affari internazionali di Putin, Yuri Ushakov, rilascia dichiarazioni contraddittorie, sostenendo – come dice anche il suo principale – che «non è questo il momento
per parlare di un negoziato», ma nello stesso tempo sostiene che le proposte di compromesso a Kiev «non sono state annullate». Difficile che l’Ucraina accetti, ora più che mai, la proposta di sottomissione a Mosca, con cessione di territori. Ed è altrettanto difficile che Putin ridimensioni le sue pretese, anche perché per ora conta che le sue truppe – fondamentalmente soldati di leva, secondo alcune indiscrezioni –caccino gli ucraini da Kursk e dintorni entro ottobre. Se lo faranno con gli stessi metodi devastanti che l’esercito di Mosca utilizza in Ucraina, la «zona frontaliera» verrà ridotta in macerie, ma stavolta sarà territorio russo.
DOPO 10
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Abitanti di Kursk
lasciano le loro case colpite dagli attacchi ucraini nei giorni scorsi. (Keystone)
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«E le donne non parlino in pubblico...»
Afghanistan ◆ A tre anni dal loro rientro a Kabul, i talebani continuano a farsi beffe dei cosiddetti «accordi di pace»
Francesca Marino
A tre anni dal loro rientro a Kabul propiziato dalla vergognosa ritirata americana travestita da «accordi di pace», i talebani si fanno ancora una volta beffe degli «accordi» in questione organizzando nella base militare di Bagram una trionfale sfilata di mezzi militari abbandonati dalle truppe Usa. Il governo degli integralisti islamici, i cui capi fanno ancora parte della lista di terroristi delle Nazioni Unite e dei Paesi di mezzo mondo, ribadisce ancora una volta che il «governo transitorio» di cui si parlava negli accordi intende rimanere al potere a oltranza: la democrazia è un concetto occidentale e sopravvalutato e come tale non applicabile all’Afghanistan o ad alcun Paese timorato di Dio. D’altra parte, anche se nessun Paese ha formalmente riconosciuto il governo di Kabul, i terroristi al potere si sentono in una botte di ferro.
Nessun Paese ha formalmente riconosciuto il governo dei talebani ma i terroristi sono in una botte di ferro
Gli Stati Uniti, a partire dal momento in cui si sono ritirati, hanno fornito 17,9 miliardi di dollari per «aiuti umanitari» all’Afghanistan: di cui, denuncia con tanto di prove l’organizzazione Sigar (Special Inspector General for Afghanistan Reconstruction) almeno 293 milioni sono finiti dritti nelle tasche dei talebani. Che, riconoscimento ufficiale o no, se la passano piuttosto bene. A Bagram, ad applaudire carrarmati, elicotteri ed armi del valore di più di cinque miliardi di dollari, si trovavano diplomatici iraniani e cinesi, e il governo di Kabul ha appena chiuso un miliardario accordo commerciale con l’Uzbekistan. A gennaio, un inviato dei talebani ha presentato le proprie credenziali diplomatiche a Pechino: che, anche se non ha ancora ufficialmente riconosciuto il governo talebano, ha mantenuto un canale diplomatico aperto con Kabul cercando di proteggere i suoi interessi strategici nella regione, anche agendo attraverso il vicino Pakistan. Una riunione ad alto livello a Islamabad, presieduta dal premier Shehbaz Sharif ha dato difatti il via libera all’operazione «Azm-e-Istehkam», o «Resolve for Stability»: per «combattere le minacce dell’estremismo e del terrorismo in modo completo e decisivo» a livello sia diplomatico che militare, ufficialmente. Ma soprattutto, dicono, per convincere i cinesi, preoccupati per i numerosi attacchi contro cittadini e infrastrutture cinesi avvenuti nei mesi scorsi in Pakistan, che l’esercito e la politica prendono sul serio la sicurezza dei cittadini del Sol Levante e dei progetti legati al China-Pakistan Economic Corridor. E in effetti, secondo dati del South Asia Terrorism Portal, le vittime legate al terrorismo sono state nella prima metà del 2024 circa trecento. Islamabad attribuisce la responsabilità dell’aumento degli attacchi terroristici al Tehrik-e-Taliban Pakistan, che secondo Islamabad possiede le sue basi nel vicino Afghanistan. E, come nel 2009, concentra le sue operazioni nelle provincie di confine: aree tribali, Waziristan, Khyber-Pakhtunkwa.
Esattamente come nel 2009, però, a parlare con gli abitanti della zona che da mesi scendono in piazza con dimostrazioni pacifiche di migliaia e migliaia di persone costan-
temente e scientemente ignorate dai media, le cose non stanno proprio come il Governo le dipinge. Da anni ormai gli abitanti della zona protestano contro Islamabad e vengono regolarmente ammazzati, fatti scomparire o arrestati senza accuse formali e senza alcun processo. Da tempo ormai i cittadini denunciano la presenza di comandanti talebani in Waziristan: secondo gli abitanti del luogo, i talebani hanno ricevuto terre e a volte interi distretti. Amministrano la giustizia secondo la sharia e sono stati messi a capo delle cosiddette «Commissioni di pace», volte a risanare i rapporti con i cittadini comuni che li odiano. Uno dei primi atti della Commissione di pace è stato quello di bruciare vivi cinque abitanti di un villaggio.
Il movimento jihadista si sta rafforzando con violenza anche in Pakistan, nonostante le proteste degli abitanti
I cittadini, stretti tra le angherie dei militari e quelle dei capi talebani (che in molti casi dividono fraternamente il quartier generale), non vedono via d’uscita: le estorsioni e le minacce sono all’ordine del giorno, così come le rappresaglie ai danni di chi si rifiuta di cooperare. Non solo: sono apparsi ovunque manifesti che vietano le solite buone, vecchie cose a cui il regime talebano ci ha abituato: le donne non possono uscire da sole, gli uomini non possono tagliarsi la barba, le persone non possono ascoltare musica e così via.
Non deve sorprendere quindi che nei mesi scorsi in Pakistan, nelle aree di influenza di questi tristi figuri, un certo numero di scuole femminili sia stato attaccato: alcune scuole sono state date alle fiamme, alcune bombardate con granate e molotov, altre rese inagibili da atti vandalici di vario genere. Risultato: le bambine rimangono a casa, esattamente come dall’altra parte del confine, in Afghanistan. Tanto, l’oltraggio di intellettuali e benpensanti dura appena un paio di giorni ed è, purtroppo, largamente di facciata. Come quello del resto del mondo, d’altra parte. Infatti, le Nazioni Unite hanno permesso ai talebani di partecipare al terzo incontro di Doha sull’Afghanistan accettando
le loro condizioni: a condizione, cioè, che al meeting non partecipassero donne o rappresentanti della società civile afghana.
Dall’epoca dello sciagurato trattato di Doha, le Nazioni Unite si affannano a unirsi al coro scellerato di coloro che chiedevano (e chiedono) di dare una
La condizione femminile continua a peggiorare non solo in Afghanistan, ma anche nel vicino Pakistan. A lato: donne in burka a Kandahar. (Keystone)
possibilità a un branco di assassini prezzolati che violano ogni norma di civiltà: negli ultimi giorni, un ragazzo colpevole di aver parlato al telefono con una ragazzina è stato preso, torturato e stuprato mentre i suoi torturatori riprendevano il tutto e lo pubblicavano in rete. Un rapporto di una
Novità: latte corpo per un’idratazione intensa e duratura
Ong appena pubblicato sullo Spectator inglese documenta stupri e violenze di ogni genere ai danni delle donne nelle prigioni afghane: le Nazioni Unite esprimono la loro preoccupazione e la volontà di investigare, ma continuano a trattare i talebani come fossero un normale governo, nonostante il loro ultimo editto, emanato dopo la trionfale sfilata di Bagram, vieti formalmente alle donne non solo di mostrare un qualunque centimetro di pelle, mani incluse, ma anche di leggere o parlare in pubblico: anche la voce di una donna, secondo i pii assassini di Kabul, può suscitare pensieri peccaminosi. Mentre a giornali e televisioni viene vietato, oltre a tutto il resto, di pubblicare immagini di esseri umani o di animali. D’altra parte, come si dice, gli affari sono affari. Si dice anche che l’Iran, non proprio un bastione dei diritti umani e della democrazia, sia pronto a riconoscere ufficialmente i tagliagole di Kabul. In cambio, si dice, di un sostanzioso invio di truppe talebane nel caso di una guerra vera e propria con Hezbollah per difendere e sostenere i fratelli di Hamas. Mentre il Pakistan, che di Hamas è paladino e sostenitore, benedice da lontano continuando a giocare al buon vecchio gioco dei terroristi buoni contro terroristi cattivi: che sono semplicemente quelli, come il mostro di Frankenstein, sfuggiti al controllo del loro creatore.
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Una nuova geometria politica in Germania?
Berlino ◆ Le regionali di settembre potrebbero inaugurare una sempre più bizzarra «alchimia» di partiti al potere
Stefano Vastano
Per la Spd del cancelliere Olaf Scholz le tre elezioni regionali di questo periodo all’Est del Paese – il primo settembre in Sassonia e Turingia, e il 22 nel Brandeburgo – si riveleranno un incubo? Anche per i Verdi, così come per i liberali della Fdp, guidati dal ministro delle finanze Christian Lindner, il voto nei Länder dell’Est sarà una pura catastrofe? Alla vigilia del voto, tanto i liberali che i Grünen rischiavano di non oltrepassare nei tre appuntamenti la soglia minima, quella del 5% dei voti. In tutti i sondaggi la Spd del Kanzler Scholz collassa, in Sassonia come in Turingia, a minimi storici: al 6 o 7 per cento dei voti, superando di un filo la clausola di sbarramento. «Queste elezioni cambieranno nel profondo il profilo della politica in Germania», ha titolato «Bild» e, per una volta, il tabloid berlinese non sembra esagerare. In effetti, il risultato dei test elettorali di settembre non rischia di essere solo una sonora batosta per tutti e tre i partiti dell’«Ampel-Regierung», della coalizione cioè di Spd, Grünen e Fdp al governo. Ma porrà anche un grave problema di «governabilità» nei tre Länder dell’Est visto che, alla possibile Caporetto dei tradizionali partiti popolari, dovrebbe corrispondere alle prossime regionali una sorta di trionfo di due partiti radicali.
Il governo di Scholz è in crisi e a guadagnare saranno l’Afd e la neonata Bsw
Della Afd prima di tutto, partito d’estrema destra, che in Sassonia (con il 32% dei consensi) come in Turingia (con oltre il 30%) dovrebbe attestarsi come il primo partito. Più sorprendente ancora del trionfo della Afd potrebbe essere quello della Bsw, la «Alleanza Sahra Wagenknecht», il partito di estrema sinistra fondato dalla ex deputata de «Die Linke». Specie nella ricca Sassonia, la regione di Dresda, della stupenda Firenze sull’Elba, il successo di Afd significherebbe uno smacco epocale per la Cdu: è dal lontano 1990 infatti che la Sassonia è governata dalla Cdu. «La Cdu, ha detto il suo presidente Friedrich Merz, non è disposta a lasciare questa regione a gente che vuole un’altra Germania, e un’altra società non democratica». Non per niente Michael Kretschmer, attuale premier della Cdu in Sassonia, ha già definito il voto del primo settembre «un’elezione del destino». Certo, negli ultimi anni al potere della Merkel, la Cdu ha
sempre rifiutato ogni tipo di compromesso con la Afd. Ma i tempi cambiano, anche per i duri e puri della Cdu; tanto che in un recente sondaggio dell’istituto Forsa, il 45 per cento dei membri della Cdu non escludeva più coalizioni con gli estremisti di Afd, «almeno a livello regionale e comunale in Germania est».
In ogni caso, se non con gli estremisti di destra della Afd è difficile che sia la Cdu che la Spd escludano a priori, da settembre in poi, delle coalizioni con la nuova «Bsw». Ossia con quella «Alleanza» che Sahra Wagenknecht ha fondato appena 7 mesi fa, ma che a dar retta ai sondaggi dovrebbe conquistare sin dalla prima prova, in Sassonia, sino al 15 per cento dei consensi, arrivando a raccogliere in Turingia anche oltre al 20 per cento dei voti. In Turingia, dunque, l’attuale Bodo Ramelow («Die Linke»), potrebbe uscire con appena il 14 per cento dei voti, dalle elezioni dello scorso weekend (mentre scriviamo ancora non conosciamo i risultati del voto). Come i Verdi e i liberali d’altronde, che con un magro 3 per cento, dovrebbero restare fuori dal prossimo governo della regione di Erfurt. Anche nel Brandeburgo, dove si andrà al voto il 22 settembre, l’elezione rischia di essere un profondo trauma per una Spd che, dal 2013, è al potere nella regione di Potsdam con l’attuale premier Dietmar Woidke. Pure nel Brandeburgo è prevista a fine settembre la scalata al primo posto, con il 24%, della Afd; mentre la Spd dovrebbe scivolare quest’anno, dopo circa il 27% del 2019, sulla soglia del 20%. Anche nel Brandeburgo gli estremisti di Bsw e alla loro prima tornata elettorale potrebbero ritrovarsi, con oltre il 17% dei voti, alle calcagna dei socialdemocratici.
La ricetta della Wagenknecht
Come avrà fatto la Wagenknecht a conquistarsi in pochi mesi, e in tutti i Länder dell’Est, ormai roccaforti della Afd, tanta fiducia? Semplice, anche lei ha battuto molto sulla grancassa della sicurezza e dello stop ai migranti su cui da sempre insiste la Afd. In più, Wagenknecht ha aggiunto al suo «menù elettorale» dure critiche all’ecologismo dei Grünen,
accusati di idealismo; e soprattutto il suo radicale «Nein» alla Nato e al sostegno dell’Ucraina, per rivendicare quindi posizioni pro-Putin. Un mix micidiale di motivi demagogici che ha concesso all’ex star de Die Linke non solo di raccogliere al volo, e a
mani basse, ampi consensi nei Länder dell’Est. Con la sua nuova creatura della Bsw inoltre, capace di risucchiare voti sia alla Afd che a Die Linke, Wagenknecht si è già trasformata nel classico ago della bilancia della politica tedesca, almeno all’Est
del Paese. «Qui nel Brandeburgo, ha anticipato il premier socialdemocratico Woidek, posso immaginarmi una colazione fra Spd e Bsw». E anche in Sassonia, pur se battuto dall’eclatante 32% incassato della Afd, il premier della Cdu Michael Kretschmer potrebbe restare comodamente al governo. Come? Unendosi anche lui alle truppe di Bsw, lì guidate da Sabine Zimmermann. In Turingia poi, dove Die Linke del premier Bodo Ramelow passerà ai banchi dell’opposizione, potrebbe formarsi un’inedita coalizione tra la Cdu, la Bsw della Wagenknecht e, come partner minore, una Spd lì ridotta al 7% dei consensi.
A partire da settembre dunque, per ora ovviamente solo a livello regionale, la Germania sperimenterà una nuova geometria politica, testando nei Parlamenti regionali una sempre più bizzarra «alchimia» di partiti al potere. In Sassonia, ad esempio, tra le varie ipotesi di governo non è nemmeno esclusa una «coalizione-Kenia», formata cioè dalla Cdu, dalla Spd e dai Verdi. Dopo le prossime elezioni all’Est insomma, solo una combinazione di colori sembra essere esclusa dalle preferenze dei tedeschi: una coalizione rosso, verde e gialla come quella «semaforo» al governo di Berlino. Segno inequivocabile della grave crisi che attraversa il governo del socialdemocratico Olaf Scholz.
A Dresda due passanti osservano il manifesto elettorale di Sahra Wagenknecht, che appena 7 mesi fa ha fondato il partito Bsw che secondo i sondaggi mieterà enormi successi. (Keystone)
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GUSTO
Uva, che bontà!
È una vera e propria trasformista. È buona sia fredda sia calda, in ricette dolci e salate. Dai un’occhiata
Camembert al forno con uva
Uva, olive, noci e miele arricchiscono il camembert e lo trasformano in una delizia ideale per accompagnare l’aperitivo o da servire come piccolo pasto.
Alla ricetta
Quiche alla zucca con topping all’uva
Piatto principale per ca. 6 pezzi per 1 tortiera di ca. 28 cm Ø
1 pasta per crostate rotonda già spianata di 270 g
500 g di zucca, pesata mondata, ad es. Butternut o Hokkaido
2,5 dl di panna semigrassa
1 uovo grande
120 g di gruyère grattugiato ½ cucchiaino di noce moscata macinata ca. 2 cucchiaini di sale ca. ½ cucchiaino di pepe
8 fette di pancetta
1 mini lattuga romana di ca 80 g 40 g di cavolo bianco
100 g d’uva
2 cucchiai di senape granulosa
1 cucchiaio d’olio di semi di zucca
2 cucchiai d’olio di girasole
4 cucchiai d’aceto di mele
1. Scalda il forno statico a 200 °C. Disponi la pasta con la carta da forno nella tortiera. Ripiega verso l’interno la pasta che fuoriesce dal bordo. Bucherella il fondo con una forchetta. Taglia la zucca a fettine sottili con una mandolina. Mescola la panna con l’uovo, il formaggio, la noce moscata, il sale, il pepe e la zucca e distribuisci tutto sulla pasta. Cuoci nella metà inferiore per ca. 50 minuti. Sforna la quiche e lasciala intiepidire.
2. Rosola la pancetta a fuoco medio senza aggiungere grassi, poi falla sgocciolare su carta da cucina. Spezzetta alcune foglie della lattuga, taglia il resto a striscioline insieme con il cavolo bianco. Dimezza gli acini d’uva. Per il condimento dell’insalata, mescola la senape con entrambi i due tipi d’olio e l’aceto. Condisci con sale e pepe e mescola tutto con l’insalata. Servi l’insalata con la pancetta sulla quiche alla zucca tiepida o fredda.
Ricetta
Un dessert veloce che fa comunque una gran figura: doppia panna con composta d’uva, preferibilmente con un mix di acini bianchi, neri e magari anche rosa.
Alla ricetta
Focaccia
all’uva e all’aglio
La focaccia è un finger food ideale da gustare con l’aperitivo. Questa versione ben lievitata della focaccia ligure si arricchisce d’aglio e acini d’uva.
Ecco
le
informazioni
più importanti sull’uva
Come riconosco l’uva matura?
La maturazione si riconosce dagli acini sodi, lisci e senza macchie. L’uva, come i limoni, i fichi o le ciliegie, rientra tra i frutti non climaterici: non matura più dopo la raccolta. Qual è il modo migliore per conservare l’uva?
Budino di semolino con insalata d’ananas e uva
Questo budino vanigliato servito in vasetti e accompagnato con una macedonia di ananas e uva è un dessert da leccarsi i baffi.
Alla ricetta
L’uva si deteriora rapidamente, soprattutto in presenza di temperature calde. Il luogo migliore per conservarla affinché rimanga fresca per qualche giorno in più è lo scomparto delle verdure del frigorifero. I grappoli vanno adagiati preferibilmente su un foglio di carta da cucina che assorba l’umidità. Come si lava correttamente l’uva?
L’ideale sarebbe lavare l’uva appena prima di consumarla. Occorre eliminare gli acini danneggiati o ammuffiti, quindi sciacquarli sotto l’acqua corrente e strofinarli accuratamente. In alternativa puoi anche immergere l’uva in acqua con un po’ di aceto e sciacquarla dopo circa 10-15 minuti. L’aceto aiuta a rimuovere pesticidi e batteri. Infine, non ti resta che asciugarla attentamente. Come posso eliminare i semi? A seconda dell’uso che se ne intende fare, è opportuno togliere prima i semi dall’uva. A tal fine basta tagliare gli acini a metà e rimuovere i semi con la punta di un coltello. Questa operazione è più facile se i chicchi tagliati a metà sono stati congelati in precedenza. In alternativa puoi utilizzare anche uva senza semi: si tratta di varietà i cui semi non crescono.
Ricetta
Zuppa
di mandorle all’aglio con uva
Antipasto per 4 persone
4 fette di pane per toast
150 g di mandorle spellate
2,5 dl di latte
2,5 dl d’acqua
4 spicchi d’aglio
1 cucchiaino di sale
7 cucchiai d’olio d’oliva
3 cucchiai d’aceto, ad es. aceto di sherry
pepe dal macinapepe
150 g d’uva bianca senza semi
1. Spezzetta il pane e tostalo con le mandorle in una padella, senza aggiungere grassi, finché le mandorle e il pane assumono un bel colore dorato. Frulla il latte con l’acqua, l’aglio, il sale, il pane tostato e le mandorle. Incorpora l’olio e l’aceto e condisci con il pepe. Se necessario, aggiungi un poco d’acqua. Metti la zuppa in frigo per ca. 15 minuti. Dimezza gli acini d’uva e servili con la zuppa. Ottima con dei grissini.
Alla ricetta
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Il Venezuela nelle mani dei militari corrotti
America Latina ◆ La vittoria in odore di brogli di Maduro commentata dagli esperti Duran Barba e Roland Denis Boulton Angela Nocioni
Duran Barba, 74 anni, è un guru della comunicazione politica in America Latina. Nato in Ecuador, è stato il responsabile della campagna elettorale dell’ex presidente argentino Mauricio Macri, di quella di Alvaro Noboa per le presidenziali in Ecuador e il capo comunicazione di politici brasiliani. Nella crisi venezuelana esplosa con il fortissimo sospetto di frode da parte del regime alle elezioni presidenziali del 28 luglio – in cui il presidente Nicolas Maduro è stato proclamato vincitore dalla Corte suprema sua «amica», con 9 punti di vantaggio, inspiegabili ore di ritardo e senza presentare gli atti elettorali, i documenti di seggio, senza permettere controlli terzi – individua come unica via d’uscita possibile il sostegno incondizionato a Maria Corina Machado, la leader dell’opposizione sostituita in corsa dal candidato Edmundo Gonzales, 74 anni, perché resa incandidabile da una trappola del regime.
Le strane idee di Maduro
Del presidente venezuelano Nicolás Maduro Duran Barba dice: «Quando Chávez stava per morire voleva controllare la situazione e impose un cattolico militante, sincretico animista, che invoca permanentemente la religione. All’inizio, Maduro parlava con gli uccelli che credeva incarnazione del leader supremo. Nella sua prima campagna elettorale ha girato il Paese con un uccello di plastica legato alla testa. Diceva che quello era il cellulare con cui comunicava con l’aldilà. Diceva che dormiva accanto alla bara di Chávez per ricevere le sue istruzioni. Quando la stampa gli ha chiesto di questi costumi, ha risposto che non si doveva scherzare con le sue convinzioni. E ha ricordato che a comandare in Venezuela sono comunque le forze armate. Ha dodici ministri militari, nove in servizio attivo e tre in pensione. La maggior parte degli stati del Paese sono governati da militari, che gestiscono anche le casse del Governo. La ricchezza è andata nelle mani della casta militare e dei suoi parenti». Su questo concorda pienamente Roland Denis Boulton, di tutt’altra collocazione politica, leader della grande rivolta popolare del Caracazo nel 1989 e intellettuale anarchico, profondo conoscitore della società venezuelana e dei movimenti
di base che da sinistra si sono opposti alla deriva dittatoriale del chavismo: «Al Governo a Caracas ci sono dei gangster – dice – che mantengono un equilibrio interno negli affari della casta militare che s’è presa tutto lo Stato. Le risorse di questo Paese, ricchissimo e con un sottosuolo di infinite possibilità, è tutto nelle mani di militari. Sono loro a controllare i rubinetti di dollari dell’import export perché loro sono a capo delle società alle quali il Governo dà l’esclusiva della gestione dell’importazione e dell’esportazione. Rubano tutto. Un solo esempio: l’oro. Nessuno sa quanto oro si stia producendo in Venezuela al momento. Perché? Perché il business è tutto in mano a militari e varie bande di trafficanti».
Occhio anche alla destra
Di Maria Corina Machado Roland Denis Boulton dice: «Non è affidabile, è portavoce della oligarchia venezuelana classica, quella radicata a Caracas est e che è da sempre di un estremismo di destra inaudito. La sua famiglia è legata al clan Bush e lei è sostenuta dalla destra del partito repubblicano negli Stati Uniti. Se la destra anti-chavista avesse dato retta alla parte meno radicale, nelle sue file sarebbe stato possibile arrivare a una mediazione con i movimenti anti-chavisti di sinistra, che esistono e sono completamente silenziati dal regime. Avrebbero potuto trovare insieme una candidatura sulla quale far convergere dei voti. Ma Maria Corina Machado no, è destra totale. La solita terribile ed estrema destra venezuelana».
Roland Denis Boulton e Duran Barba concordano però sul fatto che in Venezuela si ripete il dramma degli stipendi cartastraccia, problema identico a quello cubano. A Caracas i salari non valgono nulla, esattamente come all’Avana. «Un operaio – dice Roland Denis – qui guadagna al mese intorno agli 8 dollari, un medico forse 20, un professore universitario altrettanti. E i prezzi sono quelli di New York: una baguette costa l’equivalente di un dollaro. I prezzi degli alimenti sono dollarizzati di fatto, nessuno può fare la spesa contando su quel che guadagna lavorando. Stanno rubando tutto da decenni, hanno tradito l’idea di rivoluzione e hanno instaurato un narco-stato. Del quale Maduro
è complice e prigioniero perché la sua unica possibilità di salvarsi, crede lui, è rimanere attaccato al potere. Perso quello va in galera». Secondo Maduro non c’è carenza di cibo nei supermercati al momento. «Vero. Oggi non c’è scarsezza di prodotti, in passato è accaduto spesso che nell’acuirsi delle crisi politiche non arrivassero cibo e prodotti necessari, ma non sta succedendo questo adesso, gli scaffali sono pieni. Probabile che la distribuzione dei prodotti verrà usata presto come strumento di pressione politica. Riguardo alla spesa di base, ai prodotti di prima necessità distribuiti gratis dal Governo, va chiarito che sono di minimo aiuto per i più poveri. Non ci arrivano certo a fine mese. Qui gli apparati di regime si sono ingrassati con una ingordigia da nuovi ricchi spietati a spese del popolo».
Il tesoro del dittatore
Duran Barba fa dei numeri: «La figlia di Hugo Chávez, María Gabriela, ha dichiarato che quando suo padre è morto aveva 4197 milioni di dollari in conti ad Andorra e negli Stati Uniti. In quel momento era la persona più ricca del Venezuela grazie alle vendita di cosmetici a domicilio. Forbes ha recentemente pubblicato che il suo patrimonio è di 3500 milioni di dollari. Altri papaveri della cerchia ristretta a capo del regime si concedono lus-
si analoghi. Maduro e suo figlio sono stati protagonisti di scandali per l’ostentazione della loro ricchezza e delle loro spese. Da quando gli Stati Uniti hanno permesso il ritorno di Chevron nel Paese, sono apparsi dollari che sono spesi da militari e affaristi vari chavisti in una zona esclusiva di Caracas, piena di negozi di lusso e ristoranti assai costosi. C’è un concessionario Ferrari, magazzini che vendono televisori da 115 mila dollari. È un commercio di super lusso rivolto a un settore della popolazione, legato al Governo, mentre la maggior parte vive nella miseria e guadagna in bolivar». Aggiunge: «Quando Chávez ha vinto le elezioni, ha cominciato a distribuire denaro. Le risorse del Venezuela hanno finanziato gruppi e candidati di sinistra in diversi Paesi della regione. Come caricatura dell’Urss, questo sogno imperiale lillipuziano li ha portati alla rovina. Per le elezioni arrivarono in Argentina valigie piene di biglietti. Hanno anche finanziato piccoli gruppi rivoluzionari. Nel 2004 Hugo Chávez e Fidel Castro hanno fondato l’Alternativa Bolivariana per l’America Latina (Alba), per affrontare l’Alca, l’altra alleanza economica promossa dagli Stati Uniti. Ai fondatori, Cuba e Venezuela, si sono aggiunti Nicaragua, Bolivia e diversi microstati, che sono isole, isolotti o atolli dei Caraibi, come Dominica, Antigua e Barbuda, Saint Vincent e Grenadine, Santa Lucia, Granada, Saint Kitts
e Nevis. Iran e Siria si sono integrati come osservatori dell’Alba. Che senso ha mantenere un’associazione di Paesi che, in alcuni casi, hanno forze armate minuscole? Il Venezuela ha consegnato loro benzina gratuita o sovvenzionata. Il progetto ha portato Caracas a un’ecatombe economica, ma sono stati in grado di mettere insieme una rete per contrabbandare droga negli Stati Uniti. È un business gigantesco che i chavisti coinvolti non lasceranno. Per Cuba, poi, è vitale il carburante che gli regala il Venezuela». Spiega Roland Denis Boulton: «I cubani hanno in mano i servizi segreti venezuelani, sono loro a gestire la sicurezza interna. La repressione è affidata alla polizia. I militari – i vertici delle forze armate e dei generali con truppe, non la cerchia ristretta di Maduro intenta a fare affari – al momento tacciono, stanno fermi e zitti. Maduro li teme. Il numero due del regime, Diosdado Cabello ha una relazione diretta con parte della casta militare ma, politicamente, Maduro è molto meno incapace di quanto si pensi, è al palazzo presidenziale dal 2013, dove ha saputo circondarsi di uomini fidati che controllano parte delle forze armate». Roland Denis, che a Caracas vive, la descrive così: «Al momento in una calma apparente, tesissima, può saltare tutto come una polveriera anche domattina, basta un attimo, noi siamo seduti su un arsenale, il rischio per i civili è altissimo».
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Un soldato sorveglia un seggio elettorale in una scuola con gli occhi del defunto presidente Hugo Chavez dipinti sul muro alle sue spalle. La scritta «Vera democrazia» sembra una beffa. (Keystone)
ATTUALITÀ
Iniziativa sulla diversità
70%
ritiene che prospettive ed esperienze di vita diversificate consentano di prendere decisioni migliori.
Quanta diversità vive la Svizzera
Cosa pensano anziani e giovani, poveri e ricchi, abitanti della città e della campagna e viceversa? Un grande studio commissionato dal Percento culturale Migros tasta il polso alla popolazione svizzera
Testo: Jörg Marquardt
Le differenze sono un arricchimento o no?
Per la maggior parte delle persone intervistate, la diversità è una cosa positiva: il 70% ritiene che prospettive ed esperienze di vita diversificate consentano di prendere decisioni migliori. Il 5% dissente da questa affermazione, nella quota restante le opinioni si dividono. Nonostante le differenze, il 63% delle persone intervistate rileva molti tratti in comune tra la maggior parte delle persone. L’8% non condivide questa opinione.
La diversità è parte della Svizzera?
«Per me è la diversità a rappresentare la Svizzera»: questa affermazione è condivisa dalla metà delle persone intervistate. Il 32% è parzialmente d’accordo, il 16% ne dissente. Guardando al passato, il 52% considera positivo l’aumento della diversità negli ultimi decenni. Tuttavia, solo il 35% delle persone intervistate auspica una maggiore diversità in Svizzera, mentre il 27% è contrario.
Le persone di destra sono più scettiche
Chi ha posizioni politiche di destra, tende ad avere un atteggiamento più critico verso la diversità rispetto a chi ha posizioni politiche di sinistra: solo il 35% dell’elettorato dell’UDC considera la diversità un tratto distintivo della Svizzera. Tra i simpatizzanti e le simpatizzanti di PS e Verdi, il 66% condivide questa opinione.
L’eccessiva diversità fa paura?
L’immigrazione e le nuove forme di identità di genere stanno rendendo la società più diversificata. Però, un quarto delle persone intervistate ritiene che le eccessive differenze tra le persone mettano a rischio la coesione. Poco meno di un terzo è d’accordo, almeno in parte. Le riserve sulla «troppa diversità» si riflettono anche in un’altra affermazione: il 44% ritiene che le minoranze ricevano troppa attenzione, specificando che prima ci si dovrebbe occupare del benessere della maggioranza. Anche in questo caso, un terzo delle persone intervistate è parzialmente d’accordo.
In Svizzera le minoranze sono svantaggiate?
Il 42% delle persone intervistate ne è convinto, il 31% vede una discriminazione almeno parziale. Circa un quarto non condivide questa opinione. In ogni caso la metà delle persone intervistate ritiene che ci si debba impegnare per una maggiore visibilità e un maggior riconoscimento sul piano legale delle minoranze; solo il 14% dissente.
Quote? Meglio di no!
Solo il 36% delle persone intervistate considera le quote per le donne e per le minoranze un mezzo legittimo per contrastare le ingiustizie. Ancora più basso (28%) è il consenso alla partecipazione politica a livello comunale delle persone senza passaporto svizzero. Questa rivendicazione è stata respinta dal 45% degli intervistati.
Che vicini preferiresti avere?
Una persona nuova si trasferisce nella casa accanto. Con quanta apertura viene accolta, dipende anche dalla sua appartenenza a un qualche gruppo. Nell’esperimento mentale proposto dal sondaggio, chi viene dalla campagna si posiziona al primo posto nella scala di apprezzamento: il 34% delle persone intervistate ha sentimenti positivi nei suoi confronti. Seguono i e le ticinesi (33%) e le persone con un livello di istruzione elevato (29%). Un terzo delle persone intervistate nutre sentimenti negativi nei confronti dei e delle simpatizzanti dell’UDC, gruppo seguito a ruota dalle persone con status di rifugiato (32%) e dalle persone di fede musulmana (29%). La grande maggioranza delle
ATTUALITÀ
Iniziativa sulla diversità
Solo il 36%
delle persone intervistate considera le quote per le donne e per le minoranze un mezzo legittimo per contrastare le ingiustizie.
«La diversità appartiene al DNA della Svizzera»
Ganga Jey Aratnam
persone intervistate ha comunque un atteggiamento neutro nei confronti di tutti i gruppi oggetto della domanda.
Le opinioni politiche sono un fattore di divisione Nessuna caratteristica divide le persone più degli atteggiamenti politici. La maggioranza di coloro che hanno posizioni politiche vicine al PS o ai Verdi ha sentimenti negativi o piuttosto negativi nei confronti dei potenziali vicini o vicine di destra (64%). Al contrario, le persone intervistate che si collocano continua alla pagina successiva
Su commissione del Percento culturale Migros, l’Istituto Gottlieb Duttweiler (GDI) ha interpellato sul tema della diversità 3500 persone di età compresa tra i 16 e gli 80 anni e provenienti da tutta la Svizzera. Lo studio rappresentativo «Insieme nella diversità?» esamina la diversità in base a varie caratteristiche come l’origine, l’identità di genere, l’età, le regioni linguistiche, il patrimonio, l’istruzione o l’orientamento politico. È il primo studio completo di questo tipo condotto in Svizzera. Il sondaggio online è stato integrato da interviste con persone appartenenti a gruppi differenti.
Lo studio segna l’inizio dell’#iniziativadiversita del Percento culturale Migros. L’iniziativa si propone di incoraggiare la popolazione a creare nuovi stimoli od opportunità di incontro nella vita quotidiana. Perché la coesione sociale ha bisogno di persone che si impegnino per la convivenza dei differenti gruppi della popolazione.
Maggiori informazioni sul sito: Lo studio
nel campo di destra hanno un risentimento leggermente inferiore nei confronti delle persone potenzialmente di sinistra (49%). Si registra anche una maggiore divisione tra ricchi e poveri, con un’avversione del 20% da entrambe le parti.
I giovani sono più critici nei confronti di singoli gruppi
I giovani hanno più sentimenti negativi verso i singoli gruppi rispetto alle persone intervistate più anziane. Questo vale anche per argomenti per i quali ci si aspetterebbe una maggiore apertura, come transessualità, veganismo o omosessualità. Qui il dato sorprendente è che i giovani sono fortemente polarizzati. Quasi un quarto delle persone intervistate che dichiara di avere una fede religiosa ha un atteggiamento negativo nei confronti delle questioni relative alla sessualità e all’identità di genere.
I contatti tra i diversi schieramenti sono scarsi
La Svizzera non è certo frammentata in schieramenti, tuttavia le persone rimangono spesso tra chi è loro simile. Il contatto tra poveri e ricchi è minimo: quasi due terzi non conoscono nessuno o solo poche persone dell’altro gruppo. Il divario tra persone con un alto livello di istruzione e meno istruite è altrettanto ampio. Circa la metà delle persone di destra e di sinistra non conosce nessuno o conosce solo poche persone dell’altro «schieramento». Il principale motivo addotto per la scarsità di contatti è la mancanza di opportunità di incontrare persone.
Ampio divario tra le regioni linguistiche
Tre quarti degli svizzeri tedeschi hanno pochi o nessun contatto con persone della Svizzera romanda o italiana. Al contrario, i romandi e i ticinesi conoscono un numero leggermente superiore di persone provenienti dalle altre regioni linguistiche.
Come gli altri cambiano il nostro atteggiamento
Le persone che conoscono qualcuno di un altro gruppo sociale tendono ad avere un’opinione più positiva di tale gruppo. Così, nei non vegani la frequenza dei sentimenti ne-
ATTUALITÀ
Iniziativa sulla diversità
«Oggi in oltre la metà di tutti i matrimoni vi è almeno una persona che non ha il passaporto svizzero. Questo porta diversità anche nel piatto»
Ganga Jey Aratnam
gativi nei confronti dei vegani è solo la metà mentre quella dei sentimenti positivi è più del doppio quando essi stessi hanno persone vegane nella propria cerchia di conoscenze. Questo effetto può essere osservato anche tra membri di altri gruppi.
Dove ci incontriamo più spesso La cerchia di amicizie è il più comune veicolo di contatto tra membri di gruppi differenti, soprattutto se hanno pochi sentimenti negativi gli uni verso gli altri. Questo vale, ad esempio, per le persone di città e di campagna, per i poveri e per i ricchi, per le persone istruite e per quelle meno istruite. Il luogo di lavoro e il vicinato sono gli ambiti di incontro più comuni tra gruppi tra i quali si riscontra il maggior risentimento reciproco. In questi ambiti i contatti tra svizzeri e migranti sono talvolta più numerosi di quelli che avvengono nelle cerchie di amicizie o nelle associazioni.
«Dobbiamo
conservare una certa serenità quando ci confrontiamo con opinioni contrapposte»
La nostra società si sta aprendo con estrema rapidità, tanto che a volte ci possiamo sentire sopraffatti. Il sociologo Ganga Jey Aratnam ci illustra lo studio GDI sulla diversità
Jörg Marquardt
Oggi la parola diversità è sulla bocca di tutti. Cosa intende lei per diversità?
Con diversità si intende lo sforzo di guardare con altri occhi le differenze nella nostra società. La distinzione in gruppi va spesso di pari passo con la denigrazione di un gruppo. Comprendere l’idea di diversità aiuta ad accomunare le differenze considerandole su un altro piano, a prescindere da ciò che le divide.
Può fare un esempio?
Un tempo le persone con i capelli rossi erano fortemente discriminate. Oggigiorno il colore dei capelli non fa più testo. Il giorno in cui sarà così anche per la provenienza, la religione o l'orientamento sessuale avremo fatto un bel passo avanti.
Quanto è diversificata la Svizzera oggi?
Viviamo in un Paese che ha conosciuto, e continua a conoscere, una forte evoluzione in fatto di diversità. Questo riguarda non solo l'immigrazione di persone da tutto il mondo, ma anche conquiste sociali come l'emancipazione delle donne o il matrimonio per tutti. Dagli anni Novanta la società ha dato prova di grande apertura mentale.
Cosa glielo fa pensare?
Nel 52% dei nuovi matrimoni, per esempio, almeno una persona non ha il passaporto svizzero. Ciò significa che la diversità è arrivata in molte famiglie e anche in tavola! Mia suocera, che appunto è svizzera, è un esempio lampante.
In che senso?
Adesso quando facciamo un pranzo di famiglia evita di mangiare la pancetta perché mio cognato ha sposato un’afghana e io sono vegetariano. (ride)
Stando ai dati dello studio
GDI, due terzi degli intervistati afferma che la maggior parte delle persone ha molto in comune, nonostante le differenze. La diversità è insita nel DNA della Svizzera?
Sì, la diversità linguistica, culturale e religiosa è un principio fondante della Confederazione sin dalla sua nascita. Ne scaturisce la volontà di accorpare le differenze. Inoltre, la Svizzera ha sempre tutelato le minoranze.
Tuttavia, la crescente diversità è anche causa di tensioni. In passato la diversità stava nella coesistenza. Oggi dobbiamo puntare al sentirci comunità nella diversità. Alcuni temono la perdita di diritti già acquisiti, come l'uguaglianza per le donne. Dobbiamo rinegoziare chi siamo.
Può anche esserci «troppa» diversità?
I cambiamenti veloci possono essere difficili da sopportare. Per la coesione sociale è pertanto importante che tutti, compresi gli immigrati provenienti da altre culture, tengano bene a mente i diritti umani universali. Al contempo dobbiamo sensibilizzare la popolazione alla protezione delle minoranze, ad esempio per l'accessibilità delle sedie a rotelle sui trasporti pubblici.
Cosa bisogna fare per far sì che la diversità non venga percepita come un'imposizione?
La Svizzera ha imparato a considerare la diversità come un'opportunità. Altrimenti non saremmo il primo Paese per innovazione. Dobbiamo conservare tuttavia una certa serenità quando ci confrontiamo con opinioni divergenti. Dallo studio GDI emerge che una piccola percentuale della popolazione rifiuta l'omosessualità. Dobbiamo accettarla. L'importante è che tutti partecipino attivamente alla democrazia.
L’intervistato in breve
Ganga Jey Aratnam (51 anni) è sociologo specializzato nella ricerca su migrazione e ricchezza. Negli ultimi anni è stato docente all’Università di Basilea. Dal 2023 lavora per una grande società di consulenza.
Doppia festa per Casagrande
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In difesa di una memoria collettiva È stata Inarrestabile come il suo titolo la 24esima edizione del Festival di narrazione di Arzo tenutosi dal 22 al 25 agosto
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La fulminea traiettoria artistica di Pino Pascali
Mostre ◆ Alla Fondazione Prada di Milano il curatore inglese Mark Godfrey celebra l’artista italiano prematuramente scomparso
Elio Schenini
Nel variegato e sempre attualissimo programma espositivo della Fondazione fondata e diretta da Miuccia Prada, una delle poche realtà dedicate all’arte contemporanea assieme all’Hangar Bicocca che permette a Milano di tenere il passo delle principali città europee (e questo la dice lunga sulla perdurante fragilità delle istituzioni culturali in Italia), le presenze italiane sono sempre state centellinate con estrema parsimonia.
Anche dopo la morte nel 2020 di Germano Celant, che fin dagli inizi, alla metà degli anni Novanta, ne aveva assunto la guida, la Fondazione ha continuato sulla linea internazionalista voluta dalla sua fondatrice per evitare di incagliarla nelle secche del provincialismo e nelle logiche da strapaese che – lo dimostrano anche le recenti vicende legate alla gestione della cultura da parte del governo Meloni – continuamente riaffiorano nella vicina Penisola come desolanti manifestazioni d’inadeguatezza rispetto al grande passato che l’Italia ha alle spalle.
Le sporadiche presenze di artisti italiani nel programma della Fondazione si iscrivono quasi tutte – a parte quelle plurime di Francesco Vezzoli, artista prediletto di Miuccia Prada – in quella che è stata l’ultima grande stagione dell’arte italiana: quella compresa tra i primi anni Cinquanta e la fine degli anni Settanta. Una stagione in cui l’Italia è riuscita a inserirsi, con originalità di accenti e qualità di proposte, nel vivo del dibattito internazionale, non solo grazie ad alcuni artisti di grande valore ma anche a una nutrita schiera di critici attenti e informati su quanto accadeva nel resto del mondo, quali Alberto Boatto, Germano Celant, Carla Lonzi, Maurizio Calvesi, Filiberto Menna, Achille Bonito Oliva e Lea Vergine.
Tra gli artisti di quel periodo che hanno goduto e continuano a godere di un ampio riconoscimento al di fuori dei confini italiani, figura – a dispetto dell’esiguità della sua produzione, quantomeno per le logiche del mercato – anche Pino Pascali, artista nato a Bari nel 1935 e prematuramente scomparso nel 1968. Il 30 agosto di quell’anno, proprio nel momento in cui la sua opera cominciava ad attrarre l’attenzione della critica internazionale anche per la sua presenza alla Biennale di Venezia, Pascali si schiantò infatti con la sua moto contro un’automobile che stava compiendo un’inversione a U nel sottopassaggio di Corso d’Italia a Roma. L’11 settembre, dopo dodici giorni di coma durante i quali amici e conoscenti accorsero al suo capezzale pronti a donare il proprio sangue per le continue trasfusioni che si rendevano ne-
cessarie, Pascali moriva a soli 33 anni, interrompendo bruscamente una carriera che nel giro di pochi anni l’aveva portato a figurare tra i principali protagonisti del rinnovamento dell’arte italiana.
Per raccontare questa folgorante anche se fulminea traiettoria artistica, tutta racchiusa nei quattro anni che vanno dalla prima personale del 1965 al Gran premio internazionale per la scultura assegnatogli postumo alla già ricordata Biennale del 1968, la Fondazione Prada ha chiamato il curatore inglese Mark Godfrey, il quale ha immaginato un percorso espositivo diviso in quattro sezioni che si presentano come altrettante mostre distinte.
Nella prima di queste sezioni vengono ricostruite con grande acribia filologica (al punto che sono state replicate anche le dimensioni degli spazi originari) le principali esposizioni personali che Pascali realizzò in vita. Partendo dalla mostra alla Galleria La Tartaruga nel 1965, con le sue tele centinate che, se da un lato ancora risentono dell’influenza della Pop Art
americana, dall’altro già manifestano il gusto per l’ironia e il gioco che caratterizzeranno tutto il suo lavoro, si arriva poi a quella, ormai mitica, dei «cannoni» alla Galleria Sperone di Torino nel 1966. Disponendo nello spazio una serie di armamenti militari a grandezza naturale, ottenuti assemblando e dipingendo di verde ingranaggi di motori e pezzi di lamiera e di legno, Pascali metteva in discussione con grande leggerezza ma anche con estrema sottigliezza la nozione di rappresentazione e di scultura. Un tema, quest’ultimo, che si ritrova anche nella mostra presentata, sempre nel 1966, alla Galleria l’Attico di Roma; in questo caso però dai pavimenti e dai muri della galleria sembravano affiorare frammenti di misteriosi animali preistorici e di enormi animali marini realizzati con tele bianche sagomate. Nella successiva esposizione personale presentata sempre all’Attico nel 1968, il linguaggio è ancora una volta completamente mutato, in quell’occasione l’artista utilizzò una grande quantità di pagliette di ferro unite fra di loro per dar vita a struttu-
re sospese che ricordavano ponti fatti di corde e trappole per animali. In quella che sarà la sua ultima personale, la sala alla Biennale di Venezia del 1968, a fare la sua comparsa fu invece la pelliccia sintetica, altro materiale tipico di quel periodo, con cui Pascali realizzò alcune delle sue sculture più note, come La vedova blu (nella foto). La centralità dei materiali e l’abilità con cui l’artista riusciva a trasformare in maniera sorprendente gli elementi presenti nella quotidianità della società dei consumi – basti pensare a quella straordinaria invenzione che sono i Bachi da setola – e il modo con cui Pascali utilizzava la fotografia per mettersi in scena a fianco delle proprie opere, così da offrirne nuove letture, sono affrontati nelle due sezioni successive che indagano il peculiare arcaismo con cui l’artista si contrapponeva al mondo plasmato dal design industriale.
Il percorso espositivo si chiude con un’operazione di contestualizzazione in cui le opere di Pascali sono affiancate a quelle di artisti con cui aveva partecipato ad alcune del-
le mostre collettive più significative di quegli anni che segnarono la nascita dell’Arte Povera, movimento di cui è considerato oggi uno dei principali esponenti. Amante del teatro, della metafora e dell’illusione più che della tautologia, non a caso si era diplomato in scenografia, Pascali rifuggiva tuttavia da ogni identità fossilizzata perché, come aveva affermato in un’intervista con Carla Lonzi «l’importante è fare sempre delle cose nuove, non nuove per gli altri, ma nuove per sé stessi». Verrebbe allora da dire che l’arte di Pascali è troppo «ricca» per essere riassunta nell’etichetta poverista. Ricca di invenzioni, di materiali, di ironia, di leggerezza e anche di contraddizioni, ma forse è proprio per questo che ci appare ancora oggi così affascinante e fresca.
Dove e quando Pino Pascali, Fondazione Prada, Milano, fino al 23 settembre. Orari: lu-do 10.00-19.00; chiuso il martedì. www.fondazioneprada.org
Roberto Marossi, Courtesy Fondazione Prada
Edizioni libere e indipendenti che
Editoria ◆ La libreria e la casa editrice Casagrande tagliano due
Natascha Fioretti
Un secolo della libreria bellinzonese e settantacinque delle Edizioni Casagrande. Un traguardo importante la cui genesi viene raccontata nel libretto fresco di stampa Cent’anni di libri e di libertà: «Nel 1924 il mio prozio Marino Casagrande apriva a Bellinzona una libreria (quella nella foto, si trovava in via Codeborgo, ndr). Da allora sono passati cent’anni e sotto varie insegne si è sempre tenuto vivo questo luogo d’incontro tra autori, editori e lettori». Di alcuni di loro è stata raccolta la testimonianza. Per Sandro Bianconi le Edizioni Casagrande sono «una pietra miliare, irrepetibile, nella storia culturale di questo Cantone». Paolo Di Stefano ricorda la figura di Libero Casagrande (Bibi per gli amici), come «uno di quegli editori protagonisti che amano più il lavoro del retrobottega che non le vetrine mondane della cultura» (è ritratto nella foto sotto a destra con il figlio Fabio Casagrande) .
Prima di tuffarci nella storia insieme all’editore Fabio Casagrande vogliamo partire dall’attualità ripensando alla recente presentazione del libro di Dick Marty Verità irriverenti nella hall gremita del LAC. Quella serata ha avuto un enorme successo...
Quella serata è stata certamente indimenticabile sia per la carica e la schiettezza di Dick Marty nell’affrontare i problemi dell’attualità politica e della democrazia, sia per la bravura del moderatore Roberto Antonini nel sollecitarlo. Ed è stata emozionante per l’abbraccio corale delle quasi 500 persone presenti. Marty ci aveva affidato il testo definitivo a fine agosto dicendoci apertamente della malattia implacabile che stava affrontando e della necessità di uscire col libro in breve tempo. Il grande rispetto e la stima per lui ci hanno spronati a farcela. La sera di quella prima presentazione Marty ha firmato copie per più di un’ora. Il libro in Ticino è stato il bestseller dell’anno.
Qual è stata la ricetta del successo di questa pubblicazione e più in generale qual è per l’editore Casagrande la ricetta di un libro di successo per un mercato innanzitutto ticinese e poi italofono?
Nel caso di Marty, del quale avevamo già pubblicato nel 2019 Una certa idea di giustizia, ha contato certamente la statura del personaggio, cui si aggiunge la sua grande capacità di parlare a tutti, e in particolare ai giovani. Mia figlia, ad esempio, allora non ancora ventenne, ha letto il libro tutto d’un fiato, trovando in quelle Verità irriverenti una chiave di lettura per affrontare il complesso mondo in cui viviamo: fatto anche di guerre, pandemie e ingiustizie che solo uno stato di diritto credibile e una demo-
crazia viva possono risolvere o perlomeno contenere. Più in generale, per i successi che comunque abbastanza regolarmente riusciamo ad ottenere una ricetta vera e propria non c’ è Cerchiamo sempre di pubblicare buoni libri, e se l’alchimia del momento è buona è possibile che la risposta del pubblico sia positiva. Ma c’ è sempre qualcosa di imponderabile in tutto questo.
Ricordo quando in occasioni importanti come quella del Salone del libro di Torino molti nomi importanti dell’editoria italiana, molti intellettuali e scrittori venivano a salutare Libero Casagrande. Cosa ha imparato da suo padre sul lavoro
e nella vita di tutti i giorni? E non ha mai sentito il peso – nel rapporto con gli altri – del confronto con la sua figura?
Credo di aver imparato ad ascoltare gli altri, che siano lettori, collaboratori o le personalità importanti che nel nostro lavoro talvolta si incontrano. Come abbiamo cercato di dire nel nostro libro, il nostro mestiere coinvolge tante persone, sia gli autori, i giornalisti, i professori, sia chi al libro lavora, dal magazziniere al libraio – tutti con percezioni e umori diversi. Come tutti i figli, anch’io mi sono confrontato con la figura di mio padre, che però non è mai stato ingombrante in casa editrice: lasciava fare a me e al mio collega Matteo Terzaghi molto libe-
ramente, fiducioso che avremmo fatto bene il nostro lavoro.
Guardando alle diverse collane, quella più importante è senz’altro «Scrittori», e proprio di questa fa parte Infanzia e bestiario il libro di Claudia Quadri che ha vinto il Premio svizzero di letteratura 2024, premio che aveva ricevuto anche nel 2015 con Suona, Nora Blume, sempre uscito per Casagrande. Quanto conta per un editore vedere insignite le proprie opere di importanti premi e riconoscimenti letterari? Il premio è per l’autore e riconosce la qualità letteraria della sua opera. Per l’editore c’ è la soddisfazione di veder confermate le sue scelte da altri lettori qualificati. I premi aiutano inoltre, dando una grande visibilità ai libri, a rilanciare un titolo che magari non tutti avevano notato; di solito apponiamo sul volume una fascetta con la distinzione, che aiuta certamente i librai a presentarlo ai lettori.
Quanto conta invece la collaborazione e la presenza ai festival letterari? Penso a Babel che tra pochi giorni inaugura la sua nuova edizione.
Come si sa l’idea di un festival letterario a Bellinzona è nata in casa editrice, poi ci ha pensato Vanni Bianconi, allora redattore da Casagrande, a immaginarlo (e a decidere di mettere l’accento sulla traduzione) e l’associa-
zione fondata dall’avv. Paolo Agustoni a concretizzarlo. Un po’ come i premi, i festival aiutano a dare o ridare visibilità ai libri e soprattutto agli autori che affrontano il pubblico. Quest’anno Babel dedicherà una serata ai 75 anni della casa editrice, cosa che ci fa molto onore. Ci saranno letture e interventi dei nostri autori Alberto Saibene, Fabio Pusterla, Claudia Quadri, Maurizia Balmelli e Michael Fehr, e tutti sono invitati ad assistere. (v. programma sul sito di Babel: www.babelfestival.com)
Pensando alla pluralità linguistica della Svizzera, uno dei grandi impegni della vostra casa editrice sin dagli anni Settanta è quello della traduzione. In passato, correva l’anno 2010, avete pubblicato Arno Camenisch con la sua opera prima Sez Ner, di recente è uscito Grit e le sue figlie di Noëmi Lerch ma penso anche a Leta Semadeni con Tamangur o a Peter Stamm ( Andarsene, 2022; La dolce indifferenza del mondo, 2020). Nel catalogo complessivo quale rilevanza hanno le voci letterarie e narrative del resto della Svizzera?
Crediamo fortemente nell’importanza di proporre in italiano voci letterarie provenienti da altre regioni linguistiche. La collana Ch, con cui collaboriamo fin dalla sua nascita, cinquant’anni fa, è stata certamente uno stimolo importante: si tratta di
Ti-Press / Francesca Agosta
Archivi Casagrande
guardano al futuro
che ripercorriamo con l’editore Fabio Casagrande discutendo delle sfide presenti
un progetto che incentiva le traduzioni di opere svizzere tra le regioni linguistiche. Noi ne abbiamo beneficiato sia perché abbiamo ricevuto tramite la collana proposte di libri da tradurre, sia perché nostri libri sono stati tradotti grazie a questa collaborazione in tedesco, francese e romancio. Da questo primo stimolo, le traduzioni letterarie non ci hanno più abbandonato, e oggi rappresentano una parte importante del nostro catalogo. Sfogliandolo si può facilmente individuare il grande peso dato alla traduzione, non solo letteraria ma anche saggistica. Nei prossimi giorni uscirà sia la traduzione dal tedesco della raccolta di racconti di Michael Fehr Hotel Bella Speranza, curata da Alessia Ballinari e pubblicata proprio con il sostegno della Collana Ch, sia il saggio di Pietro Boschetti, L’affare del secolo. Il secondo pilastro e gli assicuratori, tradotto da Marco Marcacci.
Nell’introduzione al libretto commemorativo, un passaggio sottolinea la bella collaborazione con Matteo Terzaghi e menziona la linea editoriale. Come si riflette nelle varie collane?
La linea editoriale è disegnata dalle nostre collane nel loro farsi nel tempo. La nostra idea è sempre stata quella di fare buoni libri che possano incontrare tanti lettori e soprattutto durare nel tempo. Ogni proposta viene valutata per il valore letterario, per la qualità della scrittura o per la rilevanza del tema che propone. In redazione c’ è un continuo confronto sul senso dei titoli da pubblicare nelle nostre collane, in cui coinvolgiamo anche, per alcuni casi, collaboratori esterni vicini alla casa editrice.
Tornando alla hall del LAC da cui eravamo partiti, i libri e gli autori Casagrande – ma non solo – sono un po’ di casa grazie alla libreria che dal 2015 lei gestisce. Perché questo interesse e quasi un decennio dopo come valuta questa esperienza? Abbiamo creduto da subito in questo grande progetto di apertura culturale per Lugano e la Svizzera italiana in un momento in cui le critiche erano molto forti e le incognite ancora molte – tanto che, quando ci siamo candidati al bando per la gestione del bookshop, eravamo i soli partecipanti. C’ è stato poi un gran lavoro di impostazione, di correzione del tiro, di dialogo costruttivo con i referenti del LAC, e ora credo proprio che il bookshop si sia rivelato un valore aggiunto per tutto il centro culturale. Il grande merito va dato a Luca Pascoletti, un bravo e colto libraio con esperienza nelle librerie Feltrinelli di Roma, che abbiamo assunto per questo progetto: è riuscito a creare una vera libreria, con un accento particolare sull’arte, la fotografia e il teatro, ma anche sulla letteratura di qualità (anche in inglese, tedesco e francese) e su una saggistica selezionata. La libreria è molto apprezzata dai visitatori (turisti e locali) ed è ormai un punto di riferimento imprescindibile per i cultori d’arte. Questo ha permesso anche alla casa editrice di lavorare alle pubblicazioni del MASI, accrescere il nostro catalogo di libri d’arte e le collaborazioni con altri musei, artisti ed editori.
Pensando alla filiera del libro, ai vari processi e passaggi, e pensan-
do al mondo di oggi fatto in larga parte di comunicazione e immagine e per fortuna anche di incontri, quanto conta promuovere i libri con degli eventi e degli incontri pubblici? Quanto conta per la sua casa editrice?
Fare arrivare i libri, anche i migliori libri, nelle mani dei lettori non è un’impresa evidente. La comunicazione e la promozione editoriali oggi sono basilari, ma non bastano. Il libro è un concentrato di informazioni organizzato con un’architettura grafica e redazionale che segue dei canoni secolari. Oggi questi ingredienti detti anche metadati (titolo, copertina, risvolti, argomenti, descrizione, rassegna stampa, biografia dell’autore, indici, peso, numero di pagine) sono catalogati in banche dati bibliografiche che servono a tutta la filiera del libro. Ci vuole però anche un’organizzazione logistica (distribuzione) per raggiungere le librerie e i lettori. La presentazione pubblica di un libro rappresenta solitamente una piccola festa che conclude un lavoro sempre intenso, ma è anche occasione per ricevere un primo riscontro da parte del pubblico: gli apprezzamenti riguardo alla copertina, i commenti sulle tesi o la trama ecc. È qualcosa di importante perché da qui può nascere il passaparola sul valore e l’interesse di un libro. E il passaparola oggi, anche grazie ai social, può essere determinante per il successo di una pubblicazione.
Fabio Casagrande lei siede anche nel comitato di Alesi, l’Associazione librai e editori della Svizzera italiana. A marzo di quest’anno Alesi, insieme a sbvv e Livresuisse, ha redatto un documento programmatico che chiede un maggiore sostegno all’editoria: la Svizzera non fa abbastanza per i suoi editori?
Nelle prossime settimane il Parlamento si chinerà sul Messaggio Cultura 2025-28 che determinerà la politica culturale della Svizzera nel prossimo quadriennio. Dal 2016, fra le varie misure figura anche il Sostegno all’editoria, che da parte nostra è certamente visto positivamente, ma che è valutato come troppo esiguo. Finora i contributi della Confederazione per tutti gli editori della Svizzera ammontavano a 1,6 milioni di franchi annui (ca. 200’000 franchi per il Ticino). Quello che si chiede ai parlamentari è di accrescerlo a 2,8 milioni con questi argomenti: difendere la promozione di una Svizzera multilingue e culturalmente aperta; diffondere la conoscenza attraverso l’editoria per formare cittadini informati, istruiti e alfabetizzati; contribuire a migliorare la reputazione della Svizzera nel mondo attraverso l’editoria; sostenere gli editori per far fronte alla pressione economica e alle sfide della digitalizzazione; ridurre il divario che attualmente si registra tra il sostegno all’editoria e quello riservato ad altri settori culturali, anche in confronto a quanto avviene nei Paesi limitrofi. In giugno una piccola delegazione di editori ha potuto incontrare a Palazzo federale, in uno spazio conviviale, vari parlamentari ticinesi e ha discusso con loro dei nostri problemi. Nonostante la situazione finanziaria della Confederazione non sia proprio rosea anche loro hanno convenuto che l’aiuto attuale all’editoria, rispetto a quello ri-
servato ad altri settori, è decisamente esiguo. Speriamo che abbiano la lungimiranza di sostenerci al momento del voto.
A questo proposito penso al Rotpunktverlag che esiste da molto meno tempo, dal 1976, ma che di recente, a causa delle sue difficoltà finanziarie, ha chiesto aiuto ai suoi lettori tramite una campagna crowdfunding (136mila franchi raccolti grazie a 682 sostenitori). Come curate il rapporto con i vostri lettori? Il problema delle risorse finanziarie per affrontare le grandi sfide che abbiamo davanti è di tutte le case editrici. Mi fa piacere che l’iniziativa di crowdfunding di Rotpunkt abbia avuto successo ma credo che nella Svizzera tedesca lo spirito dell’auto-aiuto abbia più presa che da noi. Noi coltiviamo il rapporto con lettori e lettrici cercando sempre di proporre loro libri in cui crediamo e di presentarglieli al meglio tramite i nostri vari canali di comunicazione, dalla quarta di copertina alle newsletter alle presentazioni pubbliche, fino al servizio fornito nella Libreria Casagrande e nel Bookshop del LAC.
Se l’esperienza del Bookshop del LAC è segno dei tempi moderni è vero, come dice lei nell’edizione che festeggia il doppio anniversario, che bisogna ricordarsi del lavoro, e della lungimiranza di chi ci ha preceduti. Quando ha capito per la prima volta che avrebbe seguito le orme di suo padre Libero in casa editrice?
La trappola è forse stata così ben congegnata che non me ne sono ancora accorto. È stato naturale aiutarlo nell’attività aziendale: assieme si analizzavano gli investimenti e le questioni operative e organizzative e lui decideva. Abbiamo discusso molto di lavoro anche a pranzo (mia madre è stata una vera santa a sopportarci). Talvolta avevamo idee contrastanti, ma lo spirito è sempre stato buono e siamo sempre riusciti a mantenere il buon umore anche nei momenti difficili. Il libro che presentiamo è dedicato a mio padre.
Suo padre Libero le ha lasciato una grande eredità umana e professionale. Nel libretto dice che anche sua figlia sembra voler raccogliere il testimone: a lei e ai giovani lettori quale messaggio vuole dare?
Negli ultimi anni abbiamo accolto in casa editrice parecchi giovani stagisti redattori e notiamo un certo ricambio generazionale anche fra i lettori: lo si percepisce soprattutto alle fiere. Il libro ha certamente un futuro davanti a sé. Da figlio di Libero che ero, oggi sono ormai il più vecchio in azienda, ed è normale che si guardi avanti. Mia figlia è ancora ventenne e studia all’università. Qui c’ è una bella professione da portare avanti con nuovi strumenti e nuove idee. Vedremo.
A proposito del titolo: perché cent’anni di libertà? In che cosa siete stati e vi sentite liberi? La libertà di pensiero è sempre stata un valore, sia in famiglia sia in azienda. Leggere libri permette di confrontarsi con altre idee e farsi le proprie liberamente. Inoltre mio padre è stato chiamato Libero, e Libero lo è sempre stato – anche nel modo di pensare. Su questa strada vogliamo continuare noi, liberi e indipendenti.
Il piacere di cercare
Editoria – 2 ◆ Parla il libraio Luca Pascoletti
Natascha Fioretti
Casagrande non significa solo Bellinzona e Sopraceneri. Lo attesta la quasi decennale esperienza luganese della libreria curata da Casagrande al LAC: dopo aver parlato della storia della casa editrice, partiamo dal presente e dal Sottoceneri e guardiamo al futuro. Nel nome è un Bookshop, nel cuore è una libreria dalle tante anime. A dargli impulso e a farlo battere all’interno del LAC dal 2015 è Luca Pascoletti che definisce la libreria «internazionale, selezionata e ben radicata nel territorio». Ma anche il fulcro attorno al quale ruotano le programmazioni del LAC che dal 2020 ne ha spostato gli spazi dal sottoscala della hall all’ala dedicata, più spaziosa e in vista, alle spalle della biglietteria. «È stato un bel riconoscimento per il nostro lavoro e per la libreria che non viene percepita come un accessorio, ma come un fiore all’occhiello» dice Luca Pascoletti. Sin dagli esordi la sfida è stata quella di ben rappresentare le varie anime del LAC – da quella museale a quella teatrale a quella musicale - seguendo i vari cartelloni e senza però dimenticare la parte letteraria e saggistica. E se da una parte il lavoro del libraio, come dice Luca Pascoletti, «per definizione è invisibile», dall’altra è anche un mestiere alimentato da una grande passione. «Il lavoro di selezione del catalogo può sembrare poca cosa, ma in realtà è il fiore all’occhiello della libreria e ti prende tutto il tempo della vita. Quando di giorno sfogli un giornale, navighi in rete o leggi un libro per conto tuo, ogni volta valuti se quel testo può rientrare nel tuo assortimento. I libri sono fondamentali, è bello condividerli e sei contento quando i lettori attenti riconoscono il tuo lavoro. Una libreria deve avere una sua personalità con la quale chi sceglie di frequentarla si sente affine». Chi frequenta la libreria del LAC (nella foto) avrà notato che per la letteratura nelle tre diverse lingue francese, tedesco e inglese ci sono delle sezioni dedicate che negli anni si sono arricchite di molti titoli. «Il nostro è un pubblico ampio e diversificato. È anche un pubblico che muta nel corso delle stagioni o dei giorni della settimana. Ma nel corso degli ultimi anni, in particolare dopo la pandemia, il pubblico si è sempre più internazionalizzato. Avevamo già nel 2017 una piccola sezione di libri in francese, inglese e tedesco che ora però abbiamo ampliato. A volte ci piace fare “i testi a fronte” – come li chiamiamo noi. Quando esce un libro importante in italiano, particolarmente valido sul piano letterario, ci piace avere l’originale ed esporlo vicino di modo che il lettore possa scegliere la versione che preferisce».
Un assortimento dunque che non segue la regola del bestseller o dei più letti in classifica ma che vuole ispirare i lettori. «Chi viene da noi viene per scoprire cose che non conosce o di cui ha
sentito dire ma che non trova facilmente in altre librerie». Non mancano naturalmente le edizioni ticinesi, in particolare quelle di Casagrande. «Sarebbe assurdo che una libreria guardasse tanto lontano e poi non guardasse sotto casa. Una libreria ha bisogno di avere le proprie radici ben piantate nel territorio in cui opera e poi deve avere i suoi rami quanto più lontano possibile per poter anche sorprendere i propri lettori». A proposito delle Edizioni Casagrande, con l’editore nell’intervista qui accanto abbiamo ricordato il successo del volume di Dick Marty. Se volessimo menzionarne uno sempre recente ma più letterario, quale sceglie Luca Pascoletti? «Nell’ultimo anno c’ è stato un grande revival del Fondo del sacco di Plinio Martini, un libro che dal punto di vista letterario e linguistico sento affine al Pavese de La luna e i falò. Le due edizioni pubblicate da Casagrande – quella normale con una nuova copertina e quella commentata – ci hanno permesso di fare conoscere l’opera anche agli italiani e a chi – tra i ticinesi – non aveva ancora avuto modo di leggerlo. E grazie alla traduzione uscita per il Limmat Verlag lo abbiamo fatto conoscere al pubblico di lingua tedesca».
E il futuro? C’ è chi parla di librerie immersive sempre più tecnologiche o simili a dei pop-up store. Riusciamo a fare una previsione per il prossimo decennio? «I cambiamenti sono talmente rapidi che è impossibile fare previsioni. Di certo le librerie oggi non sono malate, anzi ci sono librerie che prosperano, Paesi come l’Irlanda in cui la loro presenza aumenta. Se poi vogliamo parlare di forme ibride di libreria io sono sempre a favore. C’ è chi storce il naso davanti ai ristoranti libreria RED di Feltrinelli, io l’ho sempre trovata una bella idea perché è un modo di attirare un pubblico differente in un contesto fatto di libri. Mi viene in mente quel libretto pubblicato anni fa da Laterza L’ignoto ignoto. Le librerie e il piacere di non trovare quello che cercavi di Mark Forsyth che ci parla di quello che non sappiamo di non sapere. La libreria, la biblioteca, il museo, sono tutti luoghi di stimoli differenti che inaspettatamente ci aprono nuovi orizzonti. E questo è importante perché la cultura non è la conoscenza ma la curiosità di conoscenza e se tu quella curiosità non la stimoli perdi cultura». La curiosità spinge a guardarsi intorno e ad essere pronti a meravigliarsi ogni volta come se fosse la prima. Vale per i lettori ma vale anche per i librai come Luca Pascoletti: «Quasi un decennio dopo, lavorare qui continua ad essere un’esperienza stimolante e bellissima alimentata continuamente dalle diverse stagioni artistiche. È come stare su una nave e approdare ogni volta in un porto diverso che apre nuovi scenari di conoscenza e arricchimento anche personale».
Archivi
Casagrande
ATTUALITÀ
Pulizie estive
Pulire il pavimento del balcone
Prima che torni il freddo dovresti pulire a fondo il pavimento della terrazza o del balcone. «Di solito basta del sapone normale o del sapone molle», spiega Sibylle Wegmann, insegnante specializzata presso il centro di competenza zurighese Strickhof per l'agricoltura, l'alimentazione e l'economia domestica. Per tutti i pavimenti e le ringhiere di metallo è molto utile anche l'idropulitrice. Anche dopo un'accurata pulizia del pavimento, dovresti eliminare occasionalmente le foglie e lo sporco per evitare l'incrostazione di macchie.
Riporre la griglia durante l’inverno
Ormai anche la stagione della griglia sta volgendo al termine. Prima di riporre il griglia per la pausa invernale, dovresti però pulirla a fondo. «Accendi la griglia a vuoto con il coperchio per breve tempo per bruciare tutte le particelle di grasso», spiega l’esperta di economia domestica. Lascialo quindi raffreddare, poi spazzola via bene lo sporco. Non usare spazzole dure in caso di rivestimento aderente in quanto potresti danneggiarlo. Usa piuttosto un panno morbido. Spruzza la griglia con un apposito detergente e lascia agire. Poi sciacqua e asciuga a fondo per evitare che si formi la ruggine. Svuota anche la vaschetta raccogligrasso e strofina bene la griglia. Se hai una griglia a gas, riponi la bombola come indicato dal fabbricante. Copri la griglia.
Addio estate!
Dalla griglia al pavimento del balcone, via via fino al soggiorno outdoor: cosa dovresti pulire prima che venga l’autunno
Testo: Barbara Scherer
Coprire le piante
Prima che geli dovresti portare in casa le piante sensibili al freddo. Anche le varietà resistenti devono però essere protette dal ghiaccio e dal freddo. Per questo motivo sposta i vasi vicino al muro della casa, dove la temperatura è di qualche grado superiore, e coprili con un telo protettivo di iuta o un telo da giardino. Non coprire la terra per evitare la formazione di muffa. Se durante l’estate i vasi hanno lasciato l’impronta sul pavimento, prova a eliminarla. L’esperta però avverte: «Se i vasi sono rimasti nello stesso posto a lungo, può essersi formato un ristagno d’acqua. Queste macchie sono difficili da rimuovere in seguito. Ecco perché consiglio di spostare regolarmente i vasi dall’inizio della primavera all’autunno».
Riporre i mobili da giardino
Alla fine dell’estate dovresti pulire i mobili che hai in giardino o in terrazza e riporli in seguito in un luogo al riparo dalle intemperie. Se sui mobili ci sono dei cuscini, dovresti lavarli a mano o in lavatrice e lasciarli asciugare bene. «È meglio pulire subito le macchie prima che s’incrostino», raccomanda l’esperta di economia domestica Sibylle Wegmann. I mobili di rattan possono essere puliti con una spazzola morbida e acqua tiepida o, in alternativa, con un apposito detergente per intrecci sintetici. Per i mobili in legno è meglio usare del sapone di Marsiglia o del detersivo per stoviglie. I mobili di materia sintetica si puliscono invece con un detergente multiuso o a base di aceto. Usa un panno morbido o un panno di microfibra umido. «Con le spugne rischi di graffiare la plastica», spiega la signora Wegmann. Quando i mobili sono ben puliti e asciutti, riponili nella casetta da giardino o coprili bene con un telo protettivo.
Chiudere i rubinetti esterni Se hai dei rubinetti dell’acqua in giardino o in balcone, dovresti chiuderli per l’inverno. Chiudi l’acqua al più tardi prima del primo gelo. Altrimenti l’acqua si congela nei tubi causandone l’espansione e nel peggiore dei casi la rottura. Anche la canna da giardino va riposta: «Non solo può congelarsi, ma i germi possono proliferare al suo interno. È bene quindi sciacquarla, staccarla e metterla via», spiega l’esperta di economia domestica.
Pulizia impeccabile
Detergente
Panni di microfibra 32 x 32 cm, 10 pezzi Fr. 5.–
Paletta e scopino
bambù Fr. 7.95
Una terrazza ben ordinata invita a stare all’aperto anche d’autunno.
Da Ascona a Lugano a suon di classica
Musica ◆ Si inaugurano in questi giorni Le settimane Musicali di Ascona e Lugano Musica; un’anticipazione dei cartelloni
Enrico Parola
La Svizzera non è bagnata dal mare, ma le più grandi orchestre del mondo, quando approdano sul suolo elvetico, lo fanno sempre sbarcando sulle rive di un lago. Senza contare le tante formazioni svizzere la cui attività si specchia nelle acque dolci lacustri. Il crocevia più noto a livello internazionale è Lucerna col suo Festival, ma il rilievo vale perfettamente anche per il Ticino. Grazie alle due rassegne che, a pochi giorni di distanza, si inaugurano l’una sul Lago Maggiore e l’altra sul Ceresio. Storica, di antichissima e gloriosa tradizione la prima: l’edizione delle Settimane Musicali di Ascona che si aprirà mercoledì è la settantanovesima. Ben più recente è la storia di Lugano Musica, la cui decima stagione verrà inaugurata il 12 settembre; seppur più breve è ormai ugualmente prestigiosa e d’eccellenza assoluta, non solo e non tanto perché nata come prosecuzione naturale dalla Primavera concertistica di Lugano, quanto soprattutto perché lo scopo dichiarato della nuova realtà era quello di «riempire» il nuovo LAC col meglio della classica mondiale. Obiettivo conseguito, come va riconosciuto a Etienne Reymond, che ne è stato direttore artistico dall’inizio fino a pochi giorni fa, e artefice anche del cartellone 2024-25. Da questo mese gli è subentrato Andrea Amarante, negli ultimi otto anni coordinatore artistico e tour manager della Luzerner Simphonieorchester. Un percorso curiosamente parallelo a quello del festival che ha come sue sedi il Collegio Papio di Ascona e la chiesa di San Francesco a Locarno. Francesco Piemontesi, locarnese, ha annunciato il suo addio alla direzione artistica per dedicarsi interamente alla carriera concertistica (già pupillo di Martha Argerich, è acclamato pianista), e dall’autunno 2025 gli succederà Christoph Müller, oggi alla guida del Festival Menuhin di Gstaad. Similitudini, parallelismi, ma anche, per fortuna, complementarietà: seppur involontariamente, i due cartelloni comprendono orchestre diverse tra
loro (con un’unica, significativa eccezione), così da offrire ai tanti appassionati l’offerta più ampia e variegata possibile.
Settimane musicali di Ascona
Si parte dunque con le Settimane Musicali: a Locarno, mercoledì, sbarca una delle nobili corazzate britanniche, la londinese Philharmonia Orchestra, diretta da Daniele Rustioni (Best Conductor of the Year nel 2022) nell’Eroica di Beethoven e nel secondo Concerto di Rachmaninov; solista sarà Yulianna Adveeva, assurta a stella di prima grandezza nel firmamento musicale classico quando, era il 2010, vinse il concorso Chopin di Varsavia: quarta donna assoluta a 45 anni dall’ultima ad esservi riuscita, Martha Argerich, e quarta assoluta considerando l’ex aequo del 1949 tra Bella Davidovic e Halina Czerny-Stefanska. Venerdì Francesca Dego, moglie di Rustioni e violinista sempre più lanciata, sarà accompagnata da Jader Bignamini e dall’OSI nel raro Concerto di Busoni, preceduto dall’ouverture del Guglielmo Tell rossiniano. La formazione ticinese chiuderà la rassegna il 4 ottobre, guidata da Markus Poschner nella quarta sinfonia di Mahler, mentre una settimana prima Renaud Capuçon sarà direttore e solista dell’Orchestre de Chambre de Lausanne. Altre due formazioni di prestigio assoluto completano il cartellone sinfonico: la Rundfunk-Sinfonieorchester di Berlino, diretta da Vladimir Jurowski in Brahms e nel Concerto per violino di Mendelssohn (solista Augustin Hadelich) il 13, e il 16 la romana Accademia Nazionale di Santa Cecilia, che Gianandrea Noseda condurrà nella quinta sinfonia di Beethoven e nel Concerto per due pianoforti di Mozart, solisti Jan Lisiecki e lo stesso Piemontesi, che sulle note degli amici Brahms e Schumann duetterà col violinista Leonidas Kavakos nel ciclo cameristico che an-
novera anche il Quartetto Gringolts, il pianista Marc-André Hamelin e l’ensemble Mala Punica, impegnato nella musica del Trecento e in particolare nei mottetti del fiammingo Johannes Ciconia.
Lugano Musica
Se concentrate in un mese esatto sono le Settimane Musicali, Lugano Musica ha ormai assunto le dimensioni di una stagione: il gran finale vedrà protagonista, il 16 giugno, proprio la Philharmonia Orchestra che inaugura Locarno; una sorta di «chiusura del cerchio» ideale, col ritorno al punto, qui all’orchestra, da cui tutto ora si inizia. Tra dieci mesi Santtu-Matias Rouvali la dirigerà in Ravel, nei Pini di Roma di Respighi e, ulteriore trait d’union tra le due rassegne, nel terzo Concerto di Rachmaninov, interpretato da Nikolaj Luganskij. L’apertura è illuminata
da un’eccellenza elvetica: l’orchestra della Tonhalle di Zurigo sarà diretta da Paavo Järvi nel Titano di Mahler e accompagnerà nel primo concerto per violoncello di Shostakovich il giovane astro Sheku Kanneh-Mason. Tripudio brahmsiano con Iván Fischer e la sua Budapest Festival Orchestra, che accosteranno la prima sinfonia al Concerto per pianoforte in re minore, solista Kirill Gerstein. Il quarto Concerto di Beethoven vedrà la leggendaria pianista Maria João Pires accompagnata dal Festival Strings Lucerne, mentre al piano e alla direzione si cimenterà Lahav Shani (nella foto), atteso con la Israel Philharmonic nei Quadri di un’esposizione di Musorgskij e nel secondo Concerto di Shostakovich. Protagonista svariate volte dei concerti di Pasqua con l’orchestra Mozart, e atteso come successore di Riccardo Chailly alla Scala, tornerà al LAC Daniele Gatti. In questi anni sta concentrandosi sull’integrale sinfonico beetho-
In primavera si schiereranno nella sala grande del LAC i giovani e giovanissimi strumentisti della Superar Suisse. Ugualmente sfavillante di stelle è il cartellone cameristico: i pianisti Beatrice Rana e Alexandre Tharaud, i violinisti Leonidas Kavakos col suo sodale Enrico Pace e Janine Jansen accompagnata da Sunwook Kim nelle Sonate di Brahms e nelle Romanze di Clara Schumann.
Dove e quando
Settimane Musicali Ascona fino all’8 ottobre.
Lugano Musica al LAC Stagione 2024/25 al via il 12 settembre. Informazioni www.settimane-musicali.ch www.luganolac.ch
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veniano e stavolta lo farà (con l’Eroica accostata al concerto per violino, all’archetto Christian Tetzlaff) con l’Orchestre de la Suisse Romande, altra formazione elvetica di levatura internazionale.
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Storia ed emozioni teatrali in difesa di una memoria collettiva
Spettacoli ◆ Inarrestabile la 24esima edizione del Festival di narrazione
Giorgio Thoeni
Inarrestabile è la notte: il titolo della 24esima edizione del Festival internazionale di narrazione di Arzo accoglie come un mantra unendo lungo un suo filo contenuti e riflessioni che hanno accompagnato le proposte del suo cartellone dal 22 al 25 agosto, in particolare quelle destinate a un pubblico adulto.
La manifestazione, da poco conclusasi con successo, quest’anno ha voluto rinsaldare i rapporti con il pubblico degli esordi, concentrando la sua offerta nelle corti e nelle vie del villaggio in cui è nata e sul parco allestito nel giardino del Castello con una programmazione orientata a orari tardo-pomeridiani e serali. Un modo per evitare le roventi temperature agostane ma anche, pensiamo noi, per razionalizzare l’offerta in tempi finanziariamente non facili per chi fa cultura in modo originale come il Festival di Arzo: un esempio da salvaguardare.
Ne hanno approfittato le famiglie con i bambini (piccoli e piccolissimi) riuniti numerosi per assistere a storie narrate da valenti raccontatori, ma ne ha anche approfittato il pubblico che conosce la spinta della manifestazione su tematiche importanti e sempre attuali che ci portano a un presente immerso in problematiche complesse, difficili, sensibili o drammatiche, unite dalla Storia – con la S maiuscola – quella che non si deve dimenticare, quella che non ha confini geografici ma che subiamo comunque di riflesso.
È la garanzia subliminale di un Festival che a ogni ripresa ospita sul palco personaggi e spettacoli che non sempre vengono inseriti nei circuiti ufficiali. Talvolta sono espressioni marginali che però rappresentano il ruolo civile del teatro, un atto politico nel suo significato più alto e nobile che aiuta a comprendere le dinamiche sociali vincendo l’oblio e contrastando la banalità.
Dunque, anche quest’anno la festa teatrale nei pomeriggi di Arzo si è arricchita di folletti mangioni, fantasmi, pirati, streghe, castori ma anche con le fiabe a colori dell’effervescente Monica Morini, mentre all’imbrunire si liberavano tematiche impegnate, alcune forse dimenticate o troppo distanti, altre finite nel vortice della ricorren-
za mediatica che porta all’indifferenza verso l’emigrazione, la diversità, il lavoro, l’emarginazione, l’ingiustizia.
Ne è meritoriamente consapevole il comitato del Festival, a partire dal suo instancabile presidente Marco Mona con il direttore artistico Natalia Lepori insieme con i giovani volontari che ogni anno contribuiscono alla riuscita di quattro intense giornate in un piacevole clima di famigliare accoglienza.
È la garanzia subliminale di un Festival che a ogni ripresa ospita sul palco personaggi e spettacoli che non sempre vengono inseriti nei circuiti ufficiali
Fra gli spettacoli che hanno illuminato le notti inarrestabili di Arzo scegliamo dapprima quello che ha inaugurato il Festival con il ritorno del Premio Ubu Mario Perrotta con Come una specie di vertigine. Il nano, Calvino, la libertà: un fiume vorticoso di parole, quasi uno stordimento. Ma che bravura e che capolavoro sulla parola. Perrotta prende le mosse da La giornata di uno scrutatore, un romanzo breve di Italo Calvino che racconta l’esperienza vissuta dall’autore come scrutatore al seggio elettorale creato presso il Cottolengo di Torino, un universo di umanità sofferente e degradata, anime prigioniere di malformazioni e gravi disabilità. Un’osservazione che, da grande ammiratore dell’Illuminismo, lo porta a sconfessare la razionalità dell’uomo protagonista del proprio destino in un inno alla libertà, ciò nonostante la tragica e beffarda alterità del personaggio, un nano storpio e afasico che Perrotta fa dialogare con i protagonisti dei romanzi del Calvino Italo: così lo chiama. Come nella fuga sull’albero di Cosimo de Il barone rampante, come nelle osservazioni sul mondo avide di conoscenza di Palomar, quel nano non è lo storpio immobile nella sua disgrazia, bensì un guerriero della libertà. Perrotta ne cesella la lingua, la trasforma in endecasillabi tra rap e trap in un gioco di rime sull’eco del teatro-canzone o seguendo un costrutto semantico libero, frutto di un
rigoroso esercizio. Il cuore del nano batte per una libertà sognata, incastonata fra le note de Il mondo di Jimmy Fontana che siglano lo spettacolo. Quella di Perrotta fa il paio con un’altra teatralità originale, quella di Lei Lear di e con Chiara Fenizi e Julietta Marocco, fra le più efficaci proposte di questa edizione del Festival. Vincitore del Premio PimOFF per il teatro contemporaneo 2021, lo spettacolo vede in scena le due autrici-interpreti (nella foto) in un duetto recitato interamente all’unisono, da loro definito cacofonico, sulla domanda di fondo: che cosa potrebbe succedere se due personaggi shakespeariani fossero condotti nell’universo assurdo di Beckett? Le sorelle Goneril e Reagan sono le figlie malvagie di Re Lear. Pettegole, ambiziose, misteriose, assurde. Come gemelle siamesi parlano e si muovono a specchio attorno al nonsense, al paradosso, a una cattiveria costruita e dilatata. Se alla lunga ci si attende che accada un coup de théâtre loro persistono fino all’ultimo con la loro scelta stilistica: eccellente, decisamente particolare e difficile.
Si ride un po’ meno con Oscar De Summa per L’ultima eredità, il racconto di un ritorno a casa per l’ultimo saluto al padre morente. Un’opera di scavo nel labirinto della coscienza di un figlio che riscopre l’amore verso il padre fra ricordi scoprendo una consapevolezza inedita, quella che solo la morte di una persona vicina può sprigionare mentre prima era solo latente in un passato avvolto da ingombrante normalità. De Summa è bravo ed efficace, riesce a passare da un registro leggero fino a suscitare le emozioni più intime e profonde.
Il Festival ha affrontato anche temi come l’emigrazione, la politica, la storia. Come con il teatro di Giuseppe Carullo con Umanità Nuova, il racconto di una cellula anarchica calabrese attraverso i moti di Reggio e all’ombra dell’eversione fascista italiana sul finire degli anni Sessanta. O come con Ilva Footbal Club, la storia delle acciaierie Ilva di Taranto nel dramma della diossina: sessant’anni di un avvelenamento collettivo programmato all’insegna del profitto di privati con la vergognosa complicità dello Stato.
A ività di movimento e corsi
Da se embre riprendono le a ività di movimento e i corsi in tu o il Cantone e nel Moesano, come ad esempio: –ginnastica in palestra –ginnastica dolce –acqua-fitness –danza popolare –nordic walking –ginnastica all’aperto –Yoga, Pilates, Tai Chi o corsi di formazione di diverso tipo.
Le proposte sportive, di formazione e conviviali mensili nei Centri diurni socio-assistenziali sono consultabili anche a raverso il motore di ricerca dei corsi sul nostro sito internet.
Per informazioni o ricevere il programma cartaceo: Creativ Center – Telefono 091 912 17 17
Quando qualcuno ti dice che tu sei il suo sostegno, un aiuto indispensabile, è una grande soddisfazione!
Cerchiamo volontari in diversi ambiti della nostra Fondazione, non esitate a conta arci per maggiori informazioni.
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Pro Senectute Ticino e Moesano Via Chiosso 17, 6948 Porza Tel. 091 912 17 17 – info@prosenectute.org www.prosenectute.org Seguiteci anche su Facebook
Festival Internazionale di narrazione
QUANDO ARRIVATEAVALLE PRIMADELLABICI.
In fin della fiera
Il Drone è diventato uno di famiglia
«Tema: Elogio del Drone». Svolgimento: Vi ricordate com’era squallida e insignificante la nostra vita quotidiana quando ancora i Droni non avevano iniziato a volare sulle nostre teste? Quando ancora esistevano eventi segreti senza la possibilità di sorvegliarli dall’alto? Non dobbiamo sederci sugli allori, sono ancora vive le forze dell’oscurantismo che congiurano contro il Progresso. Si segnala qui una notizia apparsa sul «Washington Post» e ignorata dai giornali italiani tutti presi da questioni banali e noiose come le guerre in corso. Nel civile Canada una squadra femminile di calcio è stata squalificata perché con un Drone riprendeva gli allenamenti della squadra rivale.
In breve tempo il Drone è diventato uno di famiglia, un amico fedele e sempre pronto ad accontentare i nostri desideri. I nostri nipoti non riescono a immaginare come si viveva nei tempi bui quando il Drone era di là da ve-
Voti d’aria
Pieni di rabbia
Che rabbia. La rabbia è un sentimento dei nostri giorni. Ondate di rabbia sociale in Inghilterra; Hamas ha invitato a una «giornata di rabbia» in Cisgiordania contro i coloni; in Israele si scende nelle strade per urlare la rabbia contro Netanyahu; dopo l’attentato di Solingen, il cancelliere Scholz ha espresso la rabbia del popolo tedesco contro gli islamisti; gli antagonisti americani scendono in piazza per protestare con rabbia contro le forniture di armi a Israele; ogni giorno la malasanità fa arrabbiare i cittadini italiani e quasi ogni giorno i penitenziari esplodono di rabbia per il sovraffollamento; la lunga crisi politica francese favorisce la rabbia della «gauche». E si potrebbe continuare. Guai a non prenderla sul serio, questa rabbia montante ovunque contro qualcuno o qualcosa. E gli adolescenti? «Vorrei che non ci
nire. Quante volte ci rendeva tristi il sapere che due eventi, svolgendosi in contemporanea, ci obbligavano prima a sceglierne uno e poi a pentirsi di non essere andati all’altro. È il caso dei due picnic programmati nelle stesse ore ma in due luoghi diversi e lontani uno dall’altro. Conosco l’obiezione: c’erano già i cellulari in grado di fotografare ogni vivanda e inviare la relativa immagine agli amici lontani che ricambiavano la cortesia con la visione di quello che estraevano dagli zaini, suscitando la felice sorpresa si scoprire che – guarda un po’ – entrambi i gruppi avevano portato al picnic le medesime frittate. È già un progresso rispetto al passato ma non suscita la stessa emozione. Con i reciproci Droni abbiamo il controllo totale di ciò che succede nell’altra location. E loro altrettanto. Posso osservare mio cugino Ettore mentre allunga la mano sul sedere della fidanzata di suo fratello mentre lei lo lascia fare.
È necessario esercitare un grande sforzo di memoria per riuscire a ricordare com’erano i film e i documentari senza riprese fatte con i Droni. Nel 2019 è andata in onda su Rai Uno la serie di telefilm Imma Tataranni Sostituto Procuratore ambientata nella città di Matera. Questa Imma, interpretata da Vanessa Scalera, ha una mamma che per ogni episodio, quando è sola perché la figlia lavora, se ne esce e inizia a camminare per la città. Imma, tornata a casa e scoprendola vuota, si mette in affanno a cercare una mamma che sarà pure un po’ fuori di melone ma sceglie sempre per i suoi vagabondaggi i luoghi più suggestivi di Matera. È una sequenza che non ha niente a che vedere con l’indagine poliziesca, ma offre a noi spettatori l’occasione di ammirare dall’alto, grazie a un provvidenziale Drone, il meraviglioso e unico assetto urbano di una città che ci proponiamo di visitare.
Lombardia ed Emilia ospitano il mag-
di Bruno Gambarotta
gior numero di fabbriche di Droni e un’area al confine fra le due regioni ospiterà la prima edizione del Festival del Drone. Per il giorno dell’inaugurazione è prevista l’esecuzione del capolavoro di Karlheinz Stockhausen, l’Helikopter Quartet per un quartetto d’archi (violini e viole) e 4 elicotteri. Su ogni elicottero Blackhawk volava uno degli esecutori, imbracato, microfonato e con le cuffie alle orecchie per andare in sincrono con gli altri tre. Era il 25 agosto 2003 e i fortunati presenti ricordano che il rumore delle pale degli elicotteri era molto presente. Ora al loro posto voleranno 4 Droni silenziosi ciascuno dei quali diffonderà la musica di uno strumento eseguita a terra. La prossima edizione delle Olimpiadi, Los Angeles 2028, vedrà il debutto di due nuovi sport. Dopo il tiro a segno con pistole ad aria compressa ci sarà il tiro a segno con pistole ad acqua e due gare riservate ai Droni. La prima premierà la precisione: sul pra-
to dello stadio saranno collocati dei dischetti grandi come dei CD e vincerà chi riuscirà nel minor tempo a inquadrarli tutti in sequenza. Nell’altra gara i concorrenti dovranno compiere ardite evoluzioni infilandosi in spazi sempre più ristretti di ostacoli collocati sul prato e dimostrare di sapersi infilare in stanze d’albergo e di uscirne dopo aver ripreso uno a uno tutti i presenti. È già iniziato lo sfruttamento commerciale del Drone.
Corre voce che i titolari di alberghi a ore per coppie clandestine offrano come servizio extra il Drone che dal soffitto riprende e registra le effusioni dei clienti. Come si chiamano i virtuosi atleti del nuovo sport? Si è convenuto di definirli «Dronisti», devoti al Drone, sono i fanatici praticanti di una nuova religione, il «Dronismo». Che avrà tra pochi giorni il suo organo: «Il Drone d’Oro», per il momento mensile ma che ben presto diventerà settimanale.
fosse età di mezzo fra i dieci e i ventitré anni, o che la gioventù dormisse per tutto questo intervallo; poiché non c’è nulla in cotesto tempo se non ingravidare ragazze, vilipendere gli anziani, rubare e darsi legnate». Così diceva un vecchio pastore nel Racconto d’inverno di Shakespeare (6 di stima) Tutti i genitori sottoscriverebbero e ne approfitterebbero per dormire anche loro almeno per un po’. Il fatto è che l’affermazione del pastore shakespeariano non basta a contenere l’universo degli adolescenti d’oggi e l’avvilimento speculare dei genitori. Intanto, perché si trattava decisamente di un punto di vista maschile, che prendeva in considerazione solo i ragazzi (ingravidatori) tralasciando le ragazze (ingravidate). E poi perché la rabbia giovanile dei nostri tempi comprende non solo la violenza e la trasgressione ma anche
A video spento
Non c’è energia sufficiente per
Il futuro sarà dell’Intelligenza Artificiale (IA). Lo dicono in molti: studiosi, istituzioni, industrie. Fra i maggiori benefici dell’IA, i più degni di nota sono sicuramente la velocità e il conseguente risparmio di tempo soprattutto nello svolgere delle mansioni che non prevendono né il guizzo né l’ingegno ma la semplice, tediante e meticolosa ripetizione di un processo. Ma la velocità e il risparmio di tempo non sono gli unici vantaggi dell’intelligenza artificiale.
I sistemi di IA possono apprendere e migliorarsi nel tempo attraverso l’analisi di grandi quantità di dati e l’esperienza acquisita, portando a miglioramenti costanti nelle prestazioni. L’IA può effettuare analisi complesse e fornire risultati accurati e precisi, riducendo al minimo gli errori umani e migliorando la qualità delle decisioni (il settore della Sanità è quello che ne trarrebbe maggiori vantaggi). L’IA può elaborare grandi quantità di da-
ti in tempi molto brevi, consentendo analisi rapide e supportando decisioni immediate basate sui dati. L’IA favorisce l’innovazione in vari settori, contribuendo allo sviluppo di nuove tecnologie, prodotti e servizi che possono migliorare la vita delle persone e stimolare la crescita economica. Non tutto, però, è rosa e fiori. L’uso diffuso dell’IA può comportare rischi per la sicurezza dei dati, specialmente se non gestito in modo appropriato, con il rischio di violazioni della privacy e accessi non autorizzati (fake news e furti d’identità). I suoi algoritmi possono incorporare i pregiudizi presenti nei dati su cui vengono addestrati, portando a discriminazioni e disparità in base a razza, genere, età e altre caratteristiche. Gli algoritmi di IA spesso operano in modo complesso e non sempre è possibile comprendere completamente le decisioni che prendono, sollevando preoccupazioni riguardo alla trasparenza e all’accountability
la fragilità, l’iperattività, la vergogna e la tristezza depressiva: il che complica tutto. E come se non bastasse, l’altra complicazione è che alla fragilità dei figli si aggiunge la fragilità dei genitori, sicché la rabbia viene per lo più repressa e non si traduce in ribellione ma in reciproca dipendenza, spesso frustrante al punto da diventare patologica. Ce lo spiega molto bene (5+) Alfio Maggiolini in Pieni di rabbia (Franco Angeli editore).
Un servizio di Marco Archetti sul «Foglio» del 27 agosto fa un catalogo dell’ira d’autore, soffermandosi sulle lettere di Dostoevskij e di Beckett. In realtà, se ne deduce che per troppi autori, almeno nel privato, la rabbia diventa lagna e lamento. «Lamentodromo e grande cerimonia querimoniale, ogni epistolario è un capitolo della lagnanza d’autore in tutte le sue forme»
l’IA
Ma il vero problema che l’IA dovrà risolvere è un altro: dove reperire tutta quell’energia che brucia in quantità mastodontiche? Sulla rivista «Il Mulino», ha sollevato il problema il prof. Pierluigi Cantucci che insegna Fisica matematica all’Università di Bologna: «Circa cinque anni fa, quando l’Intelligenza artificiale ci aveva già impressionati con il riconoscimento delle immagini, le traduzioni di testi e altre sue meraviglie, i più accreditati think thank di ricerca e analisi avevano previsto che, coi dati di crescita osservati, nel 2050 questa tecnologia avrebbe consumato la metà dell’energia che abbiamo a disposizione. Quella previsione, lontana e con grandi margini di incertezza, era stata frettolosamente ignorata, esorcizzata e liquidata con indifferenza… Da allora OpenAI, la società proprietaria della chat e le altre in concorrenza stanno crescendo a ritmi impressionanti. Con un bacino attuale di centinaia di milioni di utenti,
(4- alla lagnanza d’autore). Contro di sé e contro gli altri. Un esempio deleterio (per quanto sincero) di affrontare da padre la rabbia propria e del figlio, ce lo offre proprio Dostoevskij, quando scrive a Pavel: «Ti penso e sono così in apprensione che non so dove mettere le mani. Avveleni la mia vita con la tua disobbedienza e mi impedisci di vivere. Tu te ne infischi della mia angoscia». Beckett se la prendeva con i colleghi scrittori. Per esempio, con Proust, del quale non sopportava il «lacrimoso gloglottio con dentiera di un ventre colicoso che evacua», precisando che «contemplare le sue sedute al cesso per sedici volumi» non era proprio il massimo. Stessa bile contro Balzac. Rabbie d’artista indubbiamente originali. C’è la rabbia distruttiva e quella costruttiva. Si incontra molta rabbia (civile) in Grido, non serenata. Poesie di
lotta e resistenza, una bella antologia a cura di Erri De Luca (Crocetti editore, 5+ all’antologia, dove si fanno molte scoperte; 6 all’editore, resistente pure lui come i suoi poeti). «Vecchio mondo, come un cane tignoso / stenditi che ti abbatto!» scrive nel 1918 il poeta di San Pietroburgo Aleksandr Blok. «Noi siamo gli ultimi del mondo. – Ma questo mondo non ci avrà» è Franco Fortini che riscrive l’Internazionale nel 1968. «D’un tratto gridò / che non era il destino se il mondo soffriva, / se la luce del giorno strappava bestemmie» è il fumatore di carta cantato da Cesare Pavese. «Non c’è che un milione di fabbri / che fabbricano catene per i bambini del futuro» è l’urlo di Federico García Lorca. È passato quasi un secolo, ma potrebbe essere un allarme per i bambini di oggi. E per i loro genitori.
gli investitori si mettono in fila per salire in quel treno».
Secondo quanto dichiarato dalle stesse aziende, nel 2023 Microsoft e Google hanno consumato, rispettivamente, 24 e 25 TWh (una lampadina consuma 100 watt circa).
Questi livelli si spiegano con gli enormi calcoli a cui sono sottoposti i data center sparsi in giro per il mondo che, tutti insieme, secondo l’Agenzia internazionale per l’energia consumano circa 460 TWh (nel 2022), cifra destinata ad arrivare fino a mille entro il 2026. Ma si comprendono soprattutto con gli sforzi (energetici e non) che si sono moltiplicati per l’incredibile sviluppo in questi anni dell’intelligenza artificiale generativa, fortemente energivora, in particolare nelle fasi d’addestramento.
Sperare che fonti energetiche alternative possano soddisfare questo grande bisogno di energia è pura utopia. Anche per questo da più parti ci si sta
muovendo per individuare nuove fonti di energia, guardando innanzitutto a quella nucleare. Microsoft, ad esempio, ha stretto una partnership con Helion, che entro il 2028 dovrebbe iniziare a produrre energia tramite fusione nucleare.
Come osserva il prof. Cantucci, «il concatenarsi di singole azioni fatte in buona fede, razionali e moralmente accettabili può talvolta condurre a risultati che nel loro insieme risultano dannosi. È stato così con gli effetti dell’inquinamento e del cambiamento climatico indotti dalla prima rivoluzione industriale. Dovremmo imparare dai nostri errori, trarne un insegnamento prezioso e agire di conseguenza con la rivoluzione in corso costruendo insieme le regole giuste, quelle alte, senza imporre vincoli che imbrigliano le azioni concrete e la crescita e diventano inutili nel poco tempo che impiega la tecnologia a diventare obsoleta».
di Aldo Grasso
di Paolo Di Stefano
3. 9 – 9. 9. 2024
2.70
Settimana Migros Risparmiare con Miggy
1.30 invece di 2.20 Carne di manzo macinata M-Classic in conf. speciale, per 100 g 40%
11.95 invece di 19.95
2 + 1
21.90 invece di 32.85 Caffè in chicchi Boncampo Classico in conf. multipla, 3 x 1 kg, (100 g = 0.73), 2 + 1 gratis
Salmone affumicato dell'Atlantico ASC d'allevamento, Norvegia, in conf. speciale, 300 g, (100 g = 3.98)
Uva Italia Italia, al kg 40%
2.70 invece di 4.50
di pentole Basic Kitchen & Co. per es. padella a bordo basso, Ø 20 cm, il pezzo, 8.95 invece di 14.95
Settimane del risparmio?
5.40 invece di 9.–Prosciutto affettato finemente IP-SUISSE 2 x 120 g, (100 g = 2.25)
9.70
invece di 19.40
2.15 invece di 3.65 Carote Migros Bio Svizzera, sacchetto da 1 kg 41%
10.50 invece di 21.–
Sminuzzato di petto di pollo M-Classic prodotto surgelato, in conf. multipla, 2 x 500 g, (100 g = 1.05), 1 + 1 gratis 1 + 1
2.25 invece di 4.50
Hamburger M-Classic prodotto surgelato, in conf. speciale, 12 x 90 g, (100 g = 0.90) 50% Sofficini M-Classic surgelati, al formaggio, agli spinaci, ai funghi, 8 pezzi, 480 g, 4.– invece di 5.95, (100 g = 0.83) a partire da 3 pezzi 33%
Fichi blu Turchia, vaschetta da 500 g, (100 g = 0.45) 50%
6.95 invece di 13.90 Filets Gourmet à la Provençale Pelican, MSC prodotto surgelato, 2 x 400 g, (100 g = 0.87) conf. da 2 50%
Un pranzo veloce e conveniente per tutta la famiglia
Pasta ripiena Anna's Best tortellini tricolore al basilico, tortelloni ricotta e spinaci o tortelloni di manzo, per es. tricolore al basilico, 2 x 500 g, 6.95 invece di 11.60, (100 g = 0.70) conf. da 2 40%
Tutte le mozzarelle Alfredo per es. pallina, 150 g, 1.– invece di 1.65, (100 g = 0.66) a partire da 2 pezzi 40%
1.30 invece di 2.20
Le Gruyère piccante AOP per 100 g, prodotto confezionato 40%
Tutti i tipi di Orangina, Oasis e Gatorade per es. Orangina Original, 1,5 litri, 1.40 invece di 2.35, (100 ml = 0.09) 40% 7.–invece di 10.50
Rösti XL M-Classic in conf. multipla, 3 x 750 g, (100 g = 0.31), 2 + 1 gratis 2 + 1
5.90
invece di 8.85
Grana Padano grattugiato Da Emilio in conf. multipla, 3 x 120 g, (100 g = 1.64), 2 + 1 gratis 2 + 1
3.90 invece di 6.55 Chips M-Classic, in conf. XL al naturale o alla paprica, in conf. speciale, 400 g, (100 g = 0.98) 40%
9.–
Ancor più risparmio
50%
Detersivo per bucato Persil per es. Universal Kraft-Gel, 0,9 litri, 6.50 invece di 12.95, (1 l = 7.19)
Due li paghi e il terzo è gratis
2 + 1
7.–
invece di 10.50
Sfere profumate per ambienti o mini spray per ambienti, Migros Fresh in conf. multipla, per es. sfere profumate Lemon Lime, 2 + 1 gratis
Tutti i pannolini Rascal + Friends (confezioni multiple escluse), per es. Newborn 1, 23 pezzi, 5.35 invece di 7.95, (1 pz. = 0.23) a partire da 3 pezzi 33%
15.50 invece di 25.85
Carta per uso domestico Plenty, FSC® Original, 1/2 strappo o Fun Design, in confezioni speciali, per es. 1/2 strappo, 16 rotoli 40%
Tutto l'assortimento Handymatic Supreme (sale rigeneratore escluso), per es. All in 1 in polvere, 800 g, 5.– invece di 9.95, (100 g = 0.62) a partire da 2 pezzi 50%
Tutto l'assortimento Sheba e Dreamies disponibile in diverse varietà, per es. composizione in salsa Sheba Fresh & Fine, 6 x 50 g, 3.– invece di 4.95, (100 g = 0.99) a partire da 3 pezzi 40%
LO SAPEVI?
Per non perderti nessuna offerta puoi abbonarti gratuitamente alle azioni Migros su WhatsApp. Per abbonarti, scansiona il codice QR e accederai direttamente alla chat WhatsApp della Migros, inserisci l'NPA e conferma di voler ricevere i messaggi. Per disdire l'abbonamento basta scrivere «Stopp» nella chat.
a partire da 2 pezzi
L’autunno si avvicina
Foglie particolarmente tenere
3.60
Insalata novella Migros Bio 180 g, (100 g = 2.00)
8.95
invece di 12.35 Gallinacci
da 500 g, (100 g = 1.79) 27%
4.40 invece di 5.60 Pomodoro Cuore di bue Ticino, al kg, (100 g = 0.44) 21%
3.40
Italia, 500 g, confezionate, (100 g = 0.68) 27%
invece di 4.70
Prugne Migros Bio
30%
2.50 invece di 3.60
Zucchine Migros Bio
Ticino, 500 g, (100 g = 0.50)
Migros Ticino
Grandi bontà a piccoli prezzi
9.55
1.75
Migros Ticino
Tutto l’assortimento Cornatur in confezioni singole, per es. affettato ai peperoni, 100 g, 2.80 invece di 3.50
Cornatur nuggets o scaloppine mozzarella e pesto, per es. nuggets, 2 x 225 g, 6.30 invece di 7.90, (100 g = 1.40)
Migros Ticino
Variazioni da gustare
Il nostro pane della settimana è aromatico, vanta un intenso sapore di cereali e si mantiene fresco a lungo.
3.50
6.50 Profiteroles al cacao
Farina bianca M-Classic, IP-SUISSE 1 kg e 4 x 1 kg, per es. 1 kg, 1.45 invece di 2.10, (100 g = 0.15) 30%
3.95
invece di 5.15
Biscotti prussiani M-Classic in conf. speciale, 516 g, (100 g = 0.77) 23%
Pane campagnolo integrale IP-SUISSE
400 g, prodotto confezionato, (100 g = 0.88)
2 pezzi, 104 g, prodotto confezionato, in vendita nelle maggiori filiali, (100 g = 6.25)
Millefoglie in conf. speciale, 6 pezzi, 471 g, (100 g = 1.15) 30%
5.40 invece di 7.80
Biscotti freschi
discoletti, nidi alle nocciole o biscotti al cocco, per es. discoletti, 3 x 207 g, 6.60 invece di 9.90, (100 g = 1.06)
Voglia di salmone & Co?
Tutto il pesce bio in vendita al banco per es. filetti di salmone con pelle Migros Bio, d’allevamento, Norvegia, per 100 g, 4.80 invece di 6.–20%
11.50 invece di 15.50
Filetti di trota salmonata con pelle M-Classic, ASC d'allevamento, Norvegia, in conf. speciale, 380 g, (100 g = 3.03) 25%
In vendita ora al bancone
Pistacchi Party tostati e salati
250 g e 500 g, per es. 250 g, 3.45 invece di 4.30, (100 g = 1.38)
IDEALE CON
La crème de la crème
1.90 invece di 2.40
2.50
da 2
Philadelphia Original, Balance o alle erbe, per es. Original, 2 x 200 g, 4.40 invece di 5.50, (100 g = 1.10)
2.20 invece di 2.80 Furmagèla (formaggella della Leventina) per 100 g 20%
6.80 invece di 8.55 Mini Babybel rete da 18 x 22 g, (100 g = 1.72)
Philadelphia disponibile in diverse varietà, (confezioni multiple escluse), per es. Original, 200 g, 2.20 invece di 2.75, (100 g = 1.10)
invece di 3.20 Sole del Ticino per 100 g, confezionato
da 2
Prodotti freschi e pronti
Tutte le insalate e le creme da spalmare, Neni (Daily by Neni escl.), per es. insalata di pasta alla mediterranea, 200 g, 3.95 invece di 4.95, (100 g = 1.98) 20%
4.50
20x CUMULUS Novità 4.–
Insalata di patate con salmone Anna's Best, ASC 200 g, (100 g = 2.25)
Torta salata al rösti Anna's Best Limited Edition, 200 g, prodotto confezionato, in vendita nelle maggiori filiali, (100 g = 2.00) 20x CUMULUS Novità
Bontà da gustare a casa in tutta comodità
Dolci momenti da condividere
Rocher o Choco Carré, M-Classic per es. Choco Carré, 3 x 100 g, 7.40 invece di 11.10, (100 g = 2.47)
30% Tutte le bevande Biotta, non refrigerate per es. mirtilli rossi Plus, 500 ml, 3.95 invece di 4.95, (100 ml = 0.79) 20%
5.70 invece di 8.25
a partire da 2 pezzi 20%
Tutte le tavolette di cioccolato Lindt per es. al latte con nocciole, 100 g, 2.10 invece di 2.60
Oreo Original, Double Cream o Golden, per es. Original, 3 x 154 g, (100 g = 1.23)
Tutti i biscotti Tradition per es. Petit Gâteau al limone, 150 g, 3.60 invece di 4.20, (100 g = 2.40) –.60 di riduzione
conf. da 6 40%
Pepsi
Regular, Zero, Cherry Zero o decaffeinata, per es. Regular, 6 x 1,5 litri, 7.50 invece di 12.50, (100 ml = 0.08)
Tutto l'assortimento Bundaberg in confezioni singole e multiple, per es. Ginger Beer, 4 x 375 ml, 11.70 invece di 15.60, (100 ml = 0.78) 25%
Schoko-Bons Kinder in conf. speciale, 500 g, (100 g = 1.78) 10%
8.90 invece di 9.90
le birre analcoliche
Wellness a casa propria
Prodotti per l'igiene orale Candida in confezioni multiple, per es. collutorio Parodin, 2 x 400 ml, 6.75 invece di 9.–, (100 ml = 0.85) conf. da 2 25%
7.50 Gocce Sanactiv zenzero o curcuma, 20 ml, (10 ml = 3.75)
Tutto l'assortimento di prodotti a base di ovatta Primella e bio (confezioni multiple e da viaggio escluse), per es. dischetti d'ovatta Primella, 80 pezzi, 1.60 invece di 1.95
6.95
Lacca per capelli Elnett L'Oréal Paris extra forte, anti-giallo o senza profumi, 300 ml, (100 ml = 2.32)
Gel doccia e deodoranti, L'Oréal Paris Men Expert per es. gel doccia Barber Club, 250 ml, 2.65, (100 ml = 1.06) 20x CUMULUS
8.90
invece di 11.90
20x CUMULUS Novità
Deodoranti Borotalco per es. roll-on Original, 2 x 50 ml, (100 ml = 8.90)
8.50
Gel doccia So Natürlich disponibile in diverse profumazioni, per es. eucalipto, 200 ml, (100 ml = 4.25)
Anche per pelli sensibili
20x CUMULUS Novità
17.90
Latte per il corpo Bi-Oil 175 ml, (100 ml = 10.23)
20x
4.95
20x CUMULUS Novità
Prodotti per la cura dei capelli all'acqua di riso Ultra Doux shampoo o balsamo, per es. shampoo, 300 ml, (100 ml = 1.65)
5.95 Struccante per occhi Nivea creamy o trattante, 125 ml, (100 ml = 4.76)
Prodotti per la cura del viso
Garnier Skin Active
Glow Booster Cream Cleanser Vitamin C e maschera in tessuto con pro-retinolo, per es. Glow Booster Cream Cleanser Vitamin C, 250 ml, 8.50, (100 ml = 3.40) 20x CUMULUS
Acid
20 ml, (10 ml = 8.98)
9.95
Calze da uomo in bambù Essentials disponibili in blu o verde oliva, numeri 39–42 o 43–46
Calze da donna Essentials disponibili in blu o verde, n. 35–38 e 39–42
da uomo Essentials disponibile in oliva, tg. S–XXL, il
39.95
Piumino smanicato da uomo Essentials disponibile in blu o verde oliva, tg. S–XXL, il pezzo
39.95
Piumino smanicato da donna Essentials disponibile in azzurro o nero, taglie S–XXL, il pezzo
Ecco la squadra di pulizia per un autunno brillante
Questo lavapavimenti è adatto per la pulizia a umido senza sforzo fin in ogni angolo. Grazie al secchio pieghevole occupa pochissimo spazio nell'armadio. Lo straccio piatto si aggancia al manico flessibile con un semplice «clic» e il sistema di strizzatura sul secchio facilita il lavaggio e l'asciugatura.
Pratici per la casa
Detersivi Total in confezioni speciali XXL, per es. Color, 6,36 kg, 23.45 invece di 46.95, (1 kg = 3.69) 50%
Detersivo Perwoll in conf. speciale, 2.6 litri, per es. detersivo per capi delicati, (1 l = 6.13) 30%
15.95 invece di 23.–
da
Trolley
viaggio a guscio rigido disponibile in verde, rosso o blu notte, misura L, il pezzo
99.95 Set con gasatore Duo Soda Stream con 2 caraffe, in nero o in bianco, il set
24.95
12.95 Confezione di pennarelli fini Paper & Co. larghezza della linea 1 mm, 75 pezzi, il set
Tutto l'assortimento di lettiere per gatti Fatto per es. Plus, 10 litri, 6.– invece di 7.50, (1 l = 0.60) 20%
Bottiglie Soda Stream Limited Edition, 2 x 1 litro
9.95
Rose Grande Fairtrade disponibili in diversi colori, mazzo da 10, lunghezza dello stelo 50 cm, il mazzo
Tutti gli snack, i dessert e i succhi, Mibébé per es. flip di mais, 90 mg, 1.85 invece di 2.75, (10 g = 0.20) a partire da 3 pezzi
Assortimento di alimenti per gatti Mio Natural Taste disponibile in diverse varietà, per es. menu paté con vitello e agnello, 4 x 85 g, 2.70, (100 g = 0.79)
Prezzi imbattibili del weekend
da questo giovedì a domenica
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Fagiolini
Svizzera, in sacchetto da 750 g, (100 g = 0.51), offerta valida dal 5.9 all'8.9.2024
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Prosciutto crudo Emilia Romagna
Italia, per 100 g, in self-service, offerta valida dal 5.9 all'8.9.2024
Tutto l'assortimento di barrette ai cereali Farmer (barrette singole Farmer Nuts escluse), per es. Soft Choc alla mela, 288 g, 2.80 invece di 4.60, (100 g = 0.96), offerta valida dal 5.9 all'8.9.2024 a partire da 2 pezzi 40%