Azione 37 del 13 settembre 2021

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Cooperativa Migros Ticino

Società e territorio Intervista a Ottavia Bosello coordinatrice del Masterplan Centovalli

Ambiente e Benessere L’E-Ceresio, prima motonave a propulsione totalmente elettrica sui laghi svizzeri, prende il largo domani, martedì 14 settembre dando il via al progetto «Venti-35»

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXIV 13 settembre 2021

Azione 37 Politica e economia Una cricca di terroristi al potere in Afghanistan e l’Occidente resta con le mani in mano

cultura e Spettacoli Un ricordo di Daniele Del Giudice, fine intellettuale e pensatore

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Shutterstock

Moebius, 25 anni di tecnologia

di Alessandro Zanoli pagina 3

la tolleranza vinca sull’intolleranza di Peter Schiesser Dunque, dopo un iniziale tergiversare, il Consiglio federale ha imposto un’estensione dell’obbligo del certificato Covid: da oggi possono entrare in bar, ristoranti, cinema, teatri, eventi pubblici al chiuso, nei centri fitness, persino negli zoo (e in tanti altri luoghi) solo le persone vaccinate, guarite o che esibiscono un test negativo valido. Lascia inoltre ad atenei e datori di lavoro la decisione se imporlo a loro volta. La limitazione vale per chi ha più di 16 anni e ha per ora una durata fino al 24 gennaio. In compenso, in tutti questi luoghi decade l’obbligo di portare una mascherina, ciò che restituisce ulteriormente un senso di normalità. Con un certo ritardo, per alleggerire il sistema sanitario di nuovo vicino ai suoi limiti (prima ancora dell’autunno), la Svizzera segue l’esempio dei paesi confinanti, dove però, in particolare in Italia, si sta addirittura andando verso un obbligo di vaccinarsi. Una via che il governo svizzero non vuole imboccare, poiché acuirebbe le tensioni sociali, già molto presenti. Anche nelle cerchie di amici, nelle famiglie, si percepisce una tensione montante, un’aggressività

e un’intolleranza che stanno lasciando un brutto segno. Uno stato di cose che l’esteso obbligo di un certificato Covid renderà ancora più acuto, poiché si introduce una discriminazione nei confronti di chi non è vaccinato o guarito, peggiorata dal fatto che dal 1. ottobre i test saranno a pagamento. È comprensibile che il governo prenda delle misure per spingere più persone possibile a vaccinarsi, ma lo fa al prezzo della coesione sociale, che è il fondamento di una coesistenza serena. Forse è necessario rendere a pagamento i test (che costeranno decine di franchi), ma è anche giusto? I Verdi sono contrari, e anche la Commissione etica nazionale la giudica una decisione problematica. La sua presidente Andrea Büchler, in un’intervista al «Tages Anzeiger» (28 agosto 2021), ritiene che se i test debbano essere una reale alternativa alla vaccinazione il certificato deve essere alla portata di tutti, anche per chi ha pochi soldi. Sono costi, certo, ma non lo sono anche le spese ospedaliere per i malati di Covid, oggi quasi tutti persone non vaccinate? Se la società accetta di pagare le cure per i non vaccinati, perché non pagare anche i test, che permettono di condurre una vita sociale normale? Come compromesso si potrebbe chiedere una partecipazione alle spese.

Resto convinto che la via per uscire dalla pandemia è di avere un altissimo numero di vaccinati ma, come dice Andrea Büchler, un obbligo di vaccinazione non deve esserci, benché esista un obbligo morale nei confronti della collettività. E allora, se non si intende, o se non si ha il coraggio di introdurre un obbligo dichiarato, diventa delicato imporlo in modo indiretto, rendendo difficile una vita sociale a chi non vuole vaccinarsi. Non dimentichiamo che c’è un importante numero di cittadini che non possono farlo perché il loro sistema immunitario non lo permette (ho letto la cifra di 200mila persone). Molti no vax respingono anche l’idea del test, e allora saranno responsabili del loro isolamento sociale, ma perché non permettere una vita il più normale possibile a chi almeno decide di farsi un tampone, gratuitamente o a prezzi accessibili? Tensioni, litigi, offese, persino odio sono visibili (ne fa esperienza anche chi scrive): non vogliamo provare a disinnescare quell’«uno contro l’altro» che le emozioni ci stanno portando a creare? Trovo grave quanto facilmente possano circolare le fake news sui vaccini e sul Covid, ma da qualche parte bisogna pur cominciare per riempire il fossato che divide la società. Affinché la tolleranza vinca sull’intolleranza.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 settembre 2021 • N. 37

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Società e territorio torna Space Jam, ed è un po’ ticinese Nei nostri cinema sta per arrivare il film di animazione SPACE JAM: NEW LEGENDS. Abbiamo intervistato Amos Sussigan, locarnese che ha partecipato alla sua realizzazione pagina 6

«Alzi» ruba i ricordi al nonno Un libro per l’infanzia scritto da Moira Frapolli spiega ai più piccoli la malattia di Alzheimer attraverso il legame che la piccola Léonie ha con suo nonno Arthur pagina 9

Un lavoro tra progettualità e concretezza centovalli Ottavia Bosello è la giovane

coordinatrice del Masterplan della regione, sulla sua scrivania sono numerosi i progetti pensati per lo sviluppo del comprensorio tenendo conto di economia e qualità di vita

Nicola Mazzi «La passione per la natura, lo sport e la fotografia si sono sviluppati negli anni tra il Ticino e i Grigioni», ci racconta Ottavia Bosello, 28enne originaria del Mendrisiotto, da un anno e mezzo coordinatrice del Masterplan delle Centovalli. Lei, dopo gli studi di bachelor in geografia e antropologia a Friborgo, ha conseguito il Master all’Università di Zurigo in geografia umana, durante quel periodo ha pure lavorato per l’ateneo zurighese proprio sullo sviluppo regionale ed è tornata in Ticino in seguito alla nomina come coordinatrice. È stata scelta tra una quarantina di candidati e ha iniziato il suo lavoro nel marzo del 2020, un paio di settimane prima del lockdown. Il Masterplan è un documento strategico «figlio» dalla politica economica regionale ed è già stato implementato in diverse regioni del Ticino. Per esempio, se pensiamo al solo Locarnese, nella Valle Onsernone (dove si è concluso), in Alta Vallemaggia e nella Valle Verzasca. E, appunto da un anno e mezzo, anche nelle Centovalli. «In sostanza, è un documento strategico all’interno del quale sono presentati dei progetti che puntano allo sviluppo regionale socio-economico con una visione sul lungo termine, in ottica 2030», sottolinea la nostra interlocutrice. Gli obiettivi da perseguire definiti dal Masterplan Centovalli hanno dato forma a quattro assi di sviluppo. In primo luogo, si pensa al miglioramento delle condizioni quadro e quindi ai progetti d’importanza regionale. In secondo luogo, ci si rivolge al turismo. Un terzo asse strategico è quello della vita quotidiana nelle Centovalli e quindi della regione come luogo di residenza e di lavoro e infine si pensa al territorio e all’agricoltura. «Il mio compito è quello di accompagnare i progetti nella loro realizzazione, mettere in rete e aiutare

i promotori a concretizzarli attraverso, ad esempio, la ricerca di fondi, la creazione di un business plan, ecc.». L’obiettivo è proprio quello di concretizzarne il maggior numero possibile. Come rileva Ottavia Bosello nel documento sopracitato, sono presenti una trentina di progetti distribuiti nella regione e di varia entità, ma – visto che è possibile proporre anche nuovi progetti – l’importante è che rispecchino gli obbiettivi del Masterplan – in questi mesi ne stanno arrivando diversi altri (di natura, dimensione e scopo diverso e proposti da privati o enti pubblici) che sono in corso o addirittura terminati. «Malgrado la pandemia, ho ricevuto molti riscontri positivi e ho trovato una bella progettualità da parte della popolazione. Dispiace solo, in questo periodo, non poter organizzare eventi, che sono sicuramente dei momenti d’incontro molto importanti per tutta la regione». Veniamo ai progetti in corso d’opera. In primis saranno rinnovate, in aprile, le due funivie: la Verdasio-Rasa e la Intragna-Pila-Costa. Verranno effettuati anche importanti interventi alla stazione di Intragna con lo scopo di aggiungere un terzo binario che permetterà di potenziare i collegamenti con Locarno grazie alla cadenza semi-oraria. Con l’OTR «verranno risistemati alcuni sentieri e con i diversi partner si sta riflettendo su progetti attrattivi con attività da implementare o già presenti e quindi da potenziare». Nei mesi scorsi è stata per esempio (ri-)attivata la navetta che porta gli ospiti di alcune strutture alberghiere del Locarnese a Porera, ai monti di Ronco s.Ascona, da cui si parte per una serie di escursioni con un bellissimo panorama e soprattutto si può arrivare nelle Centovalli, a Rasa, per poi prendere la funivia e la Centovallina per tornare all’albergo. «È un anno di prova, ma si sta già lavorando per allargare il servizio e creare nuovi punti di raccolta oltre agli alberghi e ai campeggi».

Il bel nucleo di Rasa raggiungibile da Verdasio con la funivia che in aprile sarà rinnovata. (Ti-Press)

È stato anche attivato, su invito della popolazione, il servizio per ora solo a Palagnedra, delle panchine condivise. Una è stata posata alla diga e un’altra all’inizio del paese. «In base ai feedback che arriveranno valuteremo l’espansione del servizio, perché la mobilità interna delle Centovalli è importante ed è anche un buon servizio per promuovere la socialità della Regione». Sono pure state posate due nuove altalene Swing The World, ai monti Aula, sopra Comino, e a Costa, che si aggiungono a quella di Rasa (prima realizzata in Ticino). «Ovviamente c’è stato un ragionamento a 360 gradi sul luogo adeguato in cui posare queste altalene. Sono state messe laddove oltre a un panorama mozzafiato sono presenti punti di ristoro e una funivia». È anche stata portata in Consiglio comunale una mozione che chiede lo

studio di fattibilità per la creazione di una zip-line (una tirolese). «La sua realizzazione permetterebbe alle Centovalli di essere molto attrattive. Un progetto di questo calibro rappresenterebbe sicuramente un nuovo tassello dello sviluppo regionale. Posarla tra Verdasio e Rasa potrebbe essere interessante in quanto raggiungibile con i soli mezzi pubblici, non influendo sul traffico o sui parcheggi». C’è poi il progetto regionale per la posa di colonnine di ricarica per le e-bike, nei luoghi strategici adatti e vicini a punti di ristoro. «Inoltre, proprio in questi giorni, è stata lanciata la nuova Agenda condivisa online (www. agendaeventi.ch) nella quale inserire i vari appuntamenti e gli eventi delle Centovalli, delle Terre di Pedemonte e della Valle Onsernone. Saranno anche presentate le sale conferenze e i

capannoni della regione». Il progetto, promosso dalla Pro Centovalli e Pedemonte e dalla Pro Onsernone, è stato realizzato dalla stessa Ottavia Bosello e si è avvalso del supporto dell’Antenna subregionale ERS-COP. «Nella nostra intenzione l’Agenda vorrebbe diventare un punto di riferimento per l’intera regione», conclude. Informazioni

Consultare il sito web https://www. masterplancentovalli.ch/ e la pagina Instagram (https://www.instagram. com/centovalli.swiss/) che oltre a riportare informazioni utili alla popolazione e testimoniare la realizzazione dei vari progetti, presenta gli scatti centovallini condivisi dagli utenti stessi (@centovalli.swiss / #centovalliswitzerland).


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 settembre 2021 • N. 37

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Un osservatorio privilegiato sulle nuove tecnologie

Intervista Il 15 e 16 ottobre prossimi la Fondazione Möbius propone allo Studio 2

della RSI la 25ma edizione delle sue giornate dedicate all’innovazione e alla riflessione sui temi del mondo digitale. Ne abbiamo parlato con il suo direttore Alessio Petralli Alessandro Zanoli Alessio Petralli, 25 anni sono tanti cronologicamente, ma osservati dal punto di vista dello sviluppo tecnologico sono più di un secolo.

Certo, dal 1996 è successo di tutto, anzi di più. È interessante notare che quando siamo partiti al centro della nostra riflessione c’era l’oggetto CD-ROM, un supporto che sembrava decisivo per il mondo dell’editoria. In effetti c’è chi con il CD-ROM ha fatto anche affari d’oro: si sono venduti con profitto libri, vocabolari, enciclopedie, anche come supplementi di vari giornali. Quando nel 1996 abbiamo messo in piedi la prima edizione del Premio per il 1997 non sapevamo chi fra gli editori sarebbe venuto da noi a presentare i suoi migliori CD-ROM: Lugano non è comunque al centro dell’editoria in lingua italiana. Eppure alla fine hanno dato seguito al bando più di 100 editori con circa 160 opere! Mi ricordo che un comitato di sei specialisti aveva passato tre giorni di lavoro per selezionare tutti i prodotti in concorso. Il CD-ROM, che sembrava il «nuovo papiro», segnava una nuova frontiera e noi eravamo partiti molto bene. la grande popolarità di Internet ha poi annullato quel mercato.

Nella seconda metà degli anni 90 la rete cominciava ad entrare nelle case anche della gente comune. Ci sono voluti diversi anni per carburare e per capire che il CD-ROM cominciava ad avere sempre meno senso, perché i suoi contenuti potevano essere proposti in rete e quindi diventare ancora più comodamente fruibili.

oggi come allora siete attenti alla ricerca e allo sviluppo di nuovi prodotti tecnologici ma volete anche fornire spunti di riflessione teorica attorno ai temi della tecnologia.

Lo facevamo già dall’inizio, ma il secondo è un aspetto che si è esteso in particolare da quando nel 2015 è nata la Fondazione Möbius. Con la Fondazione è tra l’altro iniziato un ciclo di incontri che si intitola «Il futuro digitale prossimo e venturo», proposto insieme al Sistema bibliotecario ticinese, a Coscienza Svizzera e al CERDD (Centro di risorse didattiche e digitali). Ricordo che il 23 settembre presenteremo alla Biblioteca cantonale di Lugano un bel libro che si intitola La pandemia dei dati. Ecco il vaccino (Mondadori, 2020), di Antonietta Mira e Armando Massarenti. Cerchiamo sempre di mettere a tema ciò di cui si discute molto e che va approfondito in maniera il più possibile efficacemente divulgativa. Lo avevamo fatto ad esempio nel febbraio del 2020 poco prima della pandemia, in un dibattito sul 5G con Fulvio Caccia e Graziano Martignoni. Se vogliamo, lo scopo principale del Möbius, oltre alla tradizionale valorizzazione dei migliori prodotti digitali attraverso i suoi premi, è proprio divulgare al meglio la cultura digitale.

la tecnologia, che ora usiamo quasi senza accorgercene, ha preso spazi della nostra vita...

C’è bisogno davvero di riflessione, anche per andare oltre certi luoghi comuni come l’idea che esistano i «nativi digitali» con una consapevolezza e conoscenza delle tecnologie quasi

Marco Borradori, presidente della Fondazione recentemente scomparso, e Alessio Petralli al Möbius 2017.

infuse. In realtà esiste un grande analfabetismo digitale trasversale a tutte le generazioni. Ma per tornare al discorso sul settore dell’editoria, da anni ormai noi stiamo premiando quella che chiamiamo «l’editoria mutante». Dopo il CD-ROM il premio è stato dedicato per alcuni anni all’editoria in transizione, una sorta di salvagente lanciato agli editori che erano in difficoltà di fronte al cambiamento tecnologico.

l’«editoria mutante» mostra che stanno diventando editori enti che con l’editoria hanno poco a che fare.

Due anni fa ci siamo occupati di esposizioni immersive, l’anno scorso di formazione immersiva, Quest’anno ci dedicheremo alle fiere e ai congressi immersivi. Quello che sta succedendo in questo settore è molto interessante. Tempo fa era di moda un fenomeno che sembrava dovesse modificare certi modi di interazione tra le persone portandole in un mondo virtuale: si chiamava Second Life. Un progetto che non ha avuto il successo previsto, anche perché l’hardware dell’epoca non riusciva a sfruttarne appieno le potenzialità. Ecco che ora nascono queste fiere virtuali, che hanno ricreato (anche attraverso l’immaginario dei videogiochi) ambienti virtuali dove si possono tenere congressi e fiere. La domanda è che cosa capiterà davvero alle fiere e ai congressi classici. È un discorso estremamente attuale se si pensa che per esempio a Lugano uno dei nuovi progetti determinanti del futuro della città sarà il nuovo polo turistico e congressuale: queste nuove scelte tecnologiche potrebbero almeno in parte modificare il senso di questi progetti. Aggiungo che quest’anno il Grand Prix Möbius Suisse, in collaborazione con la Fondazione Agire, metterà sotto la lente progetti che riguardano «digitale, eventi e spettacoli». riflettere sulla tecnologia vuol anche dire fare da sentinella tra realtà e virtualità, tra tecnica e filosofia...

Sì, questa è un po’ la nostra ambizione. E quest’anno per festeggiare il 25º ci siamo detti sì guardiamo pure un po’ indietro alle «ere geologiche» che sono trascorse, però facciamolo per poi spiccare un bel balzo in avanti. In questo senso abbiamo pensato a un simposio sul tema dell’intelligenza artificiale,

che è un motore di cambiamento fondamentale, da tenere d’occhio e da «sorvegliare». Abbiamo la fortuna di avere a Lugano l’istituto Dalle Molle, con cui pure collaboriamo, che se ne occupa da tanto tempo. Ma poi ci sono molte altre storie bellissime. Sempre in occasione del nostro 25º assegneremo due premi speciali: uno all’applicazione che in Ticino molti conoscono e che si chiama OASI, Osservatorio ambientale della Svizzera italiana, che esiste da quasi vent’anni ed è un modello in Svizzera. È un’applicazione che permette di vedere in tempo reale una grande quantità di dati sullo stato dell’ambiente e sulla qualità dell’aria, ma non solo. L’altro premio speciale andrà a Gain Therapeutics, un’iniziativa straordinaria che potremmo richiamare con il titolo «Da Manno al Nasdaq»: si tratta di un’azienda che è partita nel 2017 con un paio di scrivanie qui da noi per poi arrivare in pochi anni al Nasdaq a farsi quotare. Detto un po’ grossolanamente, la loro squadra (fra Lugano, dove c’è la sede principale con una decina di scienziati, e Barcellona) si occupa della lotta a malattie rare e a malattie neurodegenerative come il Parkinson e la sclerosi multipla, grazie a una tecnologia basata su un algoritmo in grado di analizzare in maniera completamente virtuale molecole malfunzionanti o dannose. Ecco, con i nostri premi speciali quest’anno vogliamo raccontare due belle storie digitali di successo e di ampio respiro del nostro territorio. In questo senso continua anche la vostra collaborazione con le nostre scuole?

Da tempo collaboriamo con il Corso di comunicazione visiva della SUPSI, i cui studenti cercheranno di valorizzare in rete su diversi canali social alcune lettere dell’epistolario di Vincenzo Vela, appena pubblicato. E poi proponiamo il MöbiusLab Giovani per la terza volta, che quest’anno verrà dedicato al futuro della scuola. È un lavoro interessante perché alcuni giovani del Liceo di Lugano 1 hanno già cominciato a prepararsi e a interagire con Gino Roncaglia per una riflessione su questo tema che muove dal suo libro L’età della frammentazione. Cultura del libro e scuola digitale (Laterza, 2020). Coinvolgere i liceali è una scelta che abbiamo

compiuto ormai da tre anni, perché ci sembra importante stimolare anche studenti più giovani a certe riflessioni critiche.

Il simbolo del nastro di Möbius dà l’idea di questo lavoro infinito da fare: un lavoro che non finirà mai perché bisogna sempre mettersi in gioco e vedere nuovi percorsi futuri possibili.

Lo spirito dovrebbe essere veramente questo: siamo piccoli ma abbiamo il vantaggio di aver creato nel tempo una cospicua e prestigiosa rete di contatti, amici che cercano di coinvolgerne altri, discutendo in maniera approfondita, ma non pedante se possibile, di tutti questi temi che possono essere di una complessità spaventosa. Le nostre stelle polari sono due: valorizzare la qualità andando a cercarla (tenendo presente anche l’altra faccia della medaglia, che è quella dei pericoli legati alla tecnologia) e divulgare con rigore, se possibile in maniera accattivante, i temi salienti del mondo digitale. tornando all’edizione del 25mo...

Il titolo che abbiamo dato alla manifestazione di quest’anno (il 15 e 16 ottobre allo Studio 2 della RSI a Lugano-Besso) è «La trasformazione digitale delle culture». «Culture» però è un termine che qui non va inteso in senso antropologico o etnologico, Pensiamo piuttosto a una visione del digitale al centro di tante «sfere culturali», quali possono essere ad esempio l’editoria, i media, l’ambiente, la scienza, le arti e gli spettacoli, proiettati verso il futuro. Voglio sottolineare poi la presenza di due personalità di spicco che tornano al Möbius dopo qualche anno dalla loro ultima partecipazione, Mario Botta e Dick Marty, con due interventi che vanno sotto il titolo «Una certa idea di...». Abbiamo voluto così richiamare il titolo del bellissimo libro di Dick Marty Una certa idea di giustizia, ma questa volta Marty verrà a parlarci della sua idea di democrazia, oggi in grave difficoltà, mentre Mario Botta parlerà di «una certa idea di città», cioè del modo con cui lui vede la qualità e lo sviluppo del tessuto urbano. Che non è certo la smart city con una presenza digitale pervasiva, ma una città vivibile a misura d’uomo, che affonda e rimodella nel tempo le sue radici identitarie.

I prossimi appuntamenti di Forum elle calendario 2021 Il

programma prevede assemblea e visita al Planetario Dopo il successo della visita alla mostra Le donne, l’arte e il Gran Tour alla Pinacoteca Zuest di Rancate, il programma di Forum elle, l’organizzazione femminile di Migros, propone alle sue socie e ai simpatizzanti l’annuale appuntamento con l’assemblea che si terrà venerdì 17 settembre 2021 alle ore 16.30 nella Sala multiuso «Le tre vele» della Fondazione OTAF di Sorengo. All’assemblea sarà presente, in qualità di ospite, Luca Corti, Responsabile Servizio Comunicazione e cultura di Migros Ticino. Alla discussione assembleare seguirà un incontro con Andrea Porrini, collaboratore scientifico di AARDT (Associazione Archivi Riuniti delle Donne Ticino) che presenterà la nuova pubblicazione Finalmente cittadine – la conquista dei diritti delle donne in Ticino (1969-1971), curata da Susanna Castelletti e Marika Congestrì ed edita da AARDT in occasione dell’anniversario del diritto di voto e di eleggibilità delle donne svizzere. Il volume mira a colmare una lacuna storiografica importante proponendo nuove piste di studio e chiavi di lettura inedite sulla storia del suffragio femminile in Ticino. La successiva proposta alle socie di Forum elle sarà una visita al Planetario dell’ideatorio dell’USI, incontro scaglionato su due date, mercoledì 22 settembre 2021 ore 14.30 e mercoledì 13 ottobre 2021 alla stessa ora. Aperto nel mese di settembre del 2019, il Planetario ha come scopo di offrire ai suoi visitatori un volo nel cosmo, dal sistema solare alle profondità dell’Universo. Grazie al moderno planetario digitale de L’ideatorio, infatti, potremo sognare di viaggiare nello spazio, oltre i limiti del nostro sistema solare. Un viaggio per musica e immagini, con affascinanti proiezioni immersive che ci porteranno dagli austeri panorami di Marte ai suggestivi anelli di Saturno, fino alle nebulose e alle galassie più remote. Invitiamo le e i partecipanti a volersi presentare con la mascherina, obbligatoria, per una miglior protezione. L’accesso al Planetario, a partire dai 16 anni compiuti, è consentito solo se in possesso di un certificato di vaccinazione anti COVID-19 (in formato cartaceo o elettronico). I tagliandi per l’iscrizione alle attività sono come sempre scaricabili dal sito web www.forum-elle.ch (sezione Ticino).

Viaggiare nello spazio al Planetario dell’Ideatorio USI.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 settembre 2021 • N. 37

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Idee e acquisti per la settimana

Pasta Belticino: ottant’anni di tradizione e qualità ticinesi

Attualità Il Pastificio Simona di Quartino produce per Migros Ticino una ventina di formati diversi di pasta

*Tutta la pasta Bel Ticino da 250 g e 500 g

–.20 di riduzione

LA RICETTA

Penne rigate con peperoni grigliati

dal 14 al 20.09.2021

Ingredienti per 4 persone

Belticino Penne rigate 500 g Fr. 1.30* invece di 1.50 Belticino eliche 500 g Fr. 1.30* invece di 1.50 Belticino Alfabeto 250 g Fr. –.90* invece di 1.10

Una fase di produzione degli spaghetti BelTicino.

Prodotta con la migliore semola di grano duro e acqua di sorgente del Monte Tamaro, la pasta BelTicino soddisfa le esigenze di tutti gli amanti della pietanza per eccellenza della grande tradizione italiana. Oltre alle varietà più classiche quali spaghetti, penne rigate, linguine, conchiglie, eliche e tortiglioni, l’assortimento presente sugli scaffali di Migros Ticino conta anche diversi tipi di pastine, perfette per le minestrine tanto

apprezzate dai bambini, nelle forme più disparate quali stelline, alfabeto, tempestina, semi di melone e anellini. La pasta BelTicino viene lavorata in modo particolarmente delicato al fine di preservare al meglio tutte le proprietà organolettiche e nutrizionali della semola di grano duro. «Il nostro modo di usare gli impianti senza volerne mai raggiungere il massimo rendimento quantitativo

ci permette di evitare dannosi surriscaldamenti», spiega il titolare Alberto Simona. «Otteniamo così un risultato dal gusto inconfondibile con un’ottima tenuta alla cottura. La serietà e i controlli continui di un’organizzazione interna efficiente (certificazione FSSC 22000), sono la garanzia per il consumatore di un prodotto sicuro e genuino». Il Pastificio Simona nasce nel 1938 ad Ascona ed è ancora oggi gestito

dall’omonima famiglia. Nel 1993 l’azienda si trasferisce nell’attuale sede di Quartino dove procede al rinnovamento e potenziamento degli impianti. «I continui investimenti di questi ultimi trent’anni si sono per lo più incentrati sull’aumento della capacità produttiva e sull’automazione dei vari processi senza mai scostarci dai principi che hanno sempre guidato la nostra passione», conclude Alberto Simona.

• 3 peperoni colorati, ad es. giallo, arancione e rosso • 3 cucchiai d’olio d’oliva • sale • pepe • ½ mazzetto di prezzemolo • 400 g di penne rigate Preparazione Scaldate il forno a 220 °C. Dimezzate i peperoni, privateli dei semi e accomodateli in una teglia foderata con carta da forno con la superficie di taglio rivolta verso il basso. Arrostite i peperoni sotto il grill per ca. 10 minuti, finché sulla pelle non compaiono macchie scure. Sfornateli, metteteli in un sacchetto per surgelati e lasciateli riposare per ca. 10 minuti. Spellate i peperoni, tagliateli a pezzetti e mescolateli con l’olio. Condite con sale e pepe. Tritate grossolanamente il prezzemolo. Lessate la pasta al dente in abbondante acqua salata. Scolate la pasta e conditela con i peperoni. Distribuite il prezzemolo e servite.

Sapori di mare

Attualità Approfittate questa settimana

dell’offerta speciale su cozze e vongole ai banchi del pesce fresco Grazie al loro sapore delicato e caratteristico, le cozze e le vongole sono tra i molluschi più diffusi e consumati nella tradizione gastronomica mediterranea. Dal punto di vista nutrizionale, sono ricche di proteine, sali minerali e vitamine, ma povere di grassi. Prima del consumo, è tuttavia importante seguire alcuni accorgimenti di igiene e pulizia. Buttate assolutamente i molluschi che si presentano aperti o rovinati da crudi e non si aprono da cotti. Le cozze devono essere lavate sotto l’acqua corrente per eliminare sabbia e fango presenti sul guscio, quindi raschiate con una spazzola dura. Eliminate anche il bisso, quella specie di barbetta che spunta dalle valve. Le vongole vanno dapprima lasciate a bagno in acqua fredda e sale per mezz’ora affinché spurghino, eliminando la sabbia e altre impurità presenti all’interno. Quindi scolatele, spazzolatele e sciacquatele sotto l’acqua corrente. Per qualsiasi consiglio o dubbio sulla preparazione, non esitate a rivolgervi

agli addetti dei banchi del pesce fresco Migros. Una delle preparazioni più conosciute e facili da cucinare della cucina napoletana è senza dubbio l’impepata di cozze. Per 4 persone servono 2 kg di cozze ben pulite. Mettetele in una pentola su fuoco vivo con l’aggiunta di un mestolo d’acqua. Quando cominciano ad aprirsi cospargetele di abbondante pepe nero macinato di fresco e cuocetele coperte per 3-4 minuti (buttate le cozze non aperte). A fine cottura cospargetele a piacimento con del prezzemolo tritato e succo di limone e servite. Buon appetito! vongole veraci Italia, per 100 g Fr. 2.55* invece di 3.20 vongole MSc Mar Mediterraneo per 100 g Fr. 2.20* invece di 2.80 cozze Mar Mediterraneo al kg Fr. 8.–* invece di 10.– *Azione 20% dal 16 al 18.09.2021


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Idee e acquisti per la settimana

consegna serale della spesa

novità I clienti del Luganese possono

farsi consegnare la spesa Migros fino alle ore 21.00 tramite Smood.ch

Il servizio Smood.ch di consegna a domicilio della spesa Migros offre ora la possibilità alla clientela della regione di Lugano di ricevere comodamente a casa il proprio ordine oltre l’orario di chiusura dei negozi. Questo servizio speciale, attivo dal lunedì al sabato, è rivolto a coloro che abitano entro un raggio di 12 km dalla filiale Migros di Pregassona e che acquistano nella fascia oraria serale, ovvero tra le ore 19.00 e le 21.00. Un servizio apprezzato

A quasi un anno dall’inizio della collaborazione con Migros Ticino, Smood.ch ha saputo convincere un numero sempre maggiore di utenti. Particolarmente apprezzate sono la comodità della spesa online e la possibilità di consegna a domicilio entro un’ora o a una data e un orario definiti dal cliente stesso.

Il servizio è attualmente attivo su gran parte del territorio ticinese e permette di scegliere tra oltre 6000 prodotti Migros del settore alimentare e non, tra cui numerose specialità dei Nostrani del Ticino, oltre ad offrire una selezione di articoli delle enoteche Vinarte. Ma non finisce qui: il portale propone pure alcune bellissime composizioni floreali dei reparti Florissimo, con la possibilità di allegare un biglietto d’auguri con testo personalizzato. Oltre alla consegna a domicilio, è attiva anche la modalità Click & Collect, che prevede l’ordinazione online e il ritiro in filiale, senza spese aggiuntive. Smood.ch è fruibile sia online, sia sull’omonima app gratuita scaricabile dagli store Apple e Google. Smood.ch Annuncio pubblicitario

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Società e territorio

Una sfida spaziale tra leggende

l’educazione attiva in un villaggio 50 anni I Cemea

Anteprima Arriva nei cinema ticinesi dal prossimo 23 settembre il film

di animazione SPACE JAM: NEW LEGENDS. Abbiamo intervistato Amos Sussigan, ticinese che ha partecipato alla sua realizzazione

Ticino festeggiano ad Arzo Il prologo era stata l’edizione lo scorso settembre di un cofanetto con nove libricini nei quali brevi racconti e immagini veicolavano i principi sui quali si fonda l’impegno di Cemea (Centri di esercitazione ai metodi dell’educazione attiva) nella formazione di chi lavora in ambito educativo con bambini, ragazzi e giovani. L’occasione sono i 50 anni dei Cemea Ticino e i 100 anni dell’Educazione Nuova che ora potranno essere festeggiati anche dal vivo nel Villaggio dell’educazione attiva che verrà allestito i giorni 17-1819 settembre alla Casa La Perfetta di Arzo. Venerdì 17 settembre Cemea Ticino in collaborazione con la Supsi propone anche un’importante conferenza del prof. Philippe Meirieu intitolata «L’éducation nouvelle est-elle toujours d’actualité? Pour une pédagogie plus

Ha 32 anni e un Bachelor of Fine Arts in Animazione.

stick-usb come dita. Oltre a questo, in altre parti del film ho avuto la possibilità di creare molti oggetti e di riconcettualizzare la Batmobile per adattarla al personaggio di Bugs Bunny. In quel caso occorre reinterpretare un oggetto conosciuto aggiungendo caratteristiche che si abbinino al nuovo personaggio». Parlare con Amos ci permette di dare un’occhiata dietro le quinte di una produzione estremamente complessa come quella di un film di animazione. «Come artista concettuale, in pratica prendo le pagine della sceneggiatura e trasformo ciò che è scritto in immagini. In effetti ci sono un sacco di opzioni, che si cerca di sviluppare in vari bozzetti, i quali poi vengono presentati al regista e lui mano a mano decide dove andare». Fare la regia di un film di animazione è diverso dal lavoro di un regista «normale». «Quando parlo con i miei colleghi che fanno film chiedo loro quante volte hanno dovuto scegliere il colore delle scarpe e o dei vestiti delle loro comparse. Io devo farlo sempre: in cartone devi scegliere tutti gli elementi e creare un mondo completo, da zero». Il lavoro è suddiviso in molte fasi, in cui viene creata la storia vera e propria: «Ho avuto la fortuna di essere stato “preso in prestito” nella sezione di sviluppo. È il settore in cui si creano letteralmente dei disegni dal nulla, in cui si immaginano le scene, se ne fanno anche venti versioni diverse. Sono disegni che poi saranno passati a coloro che creano il vero story board. Mi è capitato tra l’altro di creare l’immagine che il protagonista LeBron James ha usato per annunciare su Instagram la sua presenza nel film, quale successore di Michael Jordan».

In rapporto alla sua esperienza sul set di SPACE JAM: NEW LEGENDS Amos è estremamente soddisfatto: «Sono contento perché ho potuto

Azione

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch

editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11

Settimanale edito da Migros ticino Fondato nel 1938 redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Romina Borla, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

© 2021 Warner Bros. Ent. All Rights Reserved

Quando i cartoni Warner Brothers entrano in campo nel mondo del basket, succede qualcosa di spaziale. Era stato il caso, tanti anni fa con Space Jam 1. Correva il 1996 e il film con Michael Jordan si era inserito con successo in un filone innovativo, il «mix» tra attori in carne ed ossa e personaggi disegnati, inaugurato dal celebre Chi ha incastrato Roger Rabbit. Quell’esperienza di successo si ripete oggi con una nuova puntata «spaziale». SPACE JAM: NEW LEGENDS, 25 anni dopo, ripropone una storia analoga ma completamente diversa. Oltretutto per noi ticinesi il film ha un motivo di interesse in più: nel cast dei moltissimi artisti che l’hanno realizzato c’è anche un locarnese, Amos Sussigan. «Ho 32 anni e sono negli Usa da 12 anni» ci ha raccontato. Era molto piccolo quindi quando era uscito il primo Space Jam, ma se lo ricorda... «Sì, certo me lo ricordo molto bene, avevo cinque anni. Per quello che mi riguarda ho iniziato come graphic designer, per potermi finanziare gli studi. Dopodiché ho conseguito un Bachelor of Fine Arts in Animazione, dove mi sono specializzato in regia, direzione artistica e produzione». Nel nuovo SPACE JAM: NEW LEGENDS si è occupato di disegnare i fondali di varie scene, ma anche di dare forma a uno dei «cattivi» tra protagonisti. «Mi hanno proposto di provare a inventare la spalla destra del cattivo del film. Io ero un po’ restio: come base di partenza c’era solo lo schizzo di un cattivo dalle braccia lunghe: ho fatto una trentina di disegni, il regista ne ha scelti otto, li ho ripuliti e ne ha scelti tre. Poi in fase finale abbiamo perfezionato la tridimensionalità, inserito degli elementi in più, degli

occuparmi di vari settori, un po’ fuori dallo specifico del mio lavoro. In particolare con il direttore artistico abbiamo curato tutte le immagini per i credits finali e ho disegnato la copertina di un periodico di spettacolo, “Entertainment weekly”, che lanciava il film» (vedi foto). Amos insiste nel sottolineare l’originalità della pellicola a cui ha collaborato: «Mi preme dire che questo Space jam non è un sequel: la storia è simile ma è diversa, non si può considerare il secondo episodio, anche se ci sono scene che volutamente richiamano il primo film. Ed è importante dire che SPACE JAM: NEW LEGENDS ha in fondo l’obiettivo di richiamare l’attenzione delle giovani generazioni sui classici personaggi della Warner Brothers, messi però in un contesto diverso e con effetti speciali più sofisticati e super complicati, adatti ai giovani spettatori che oggi sono abituati a vedere animazioni in 3d». /AZ

Biglietti in palio La Warner Bros. Entertainment e Migros Ticino invitano i lettori di «Azione» a partecipare al concorso dedicato a SPACE JAM: NEW LEGENDS. In palio alcuni biglietti del concorso validi per l’anteprima di mercoledi 22 settembre al Palacinema di Locarno. I vincitori si dovranno presentare alle casse del Palacinema la sera stessa. Saranno sulla lista degli invitati. Per partecipare all’estrazione dei biglietti seguire le istruzioni contenute nella pagina internet www.azione.ch/ concorsi.

Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31

Programma Anteprima

20.30 aperitivo 21.00 presentazione e inizio film – alla presenza di Amos Sussigan, Concept Artist Warner Animation Group Seguirà un momento di discussione con il pubblico. Amos Sussigan animerà anche una masterclass organizzata dal CISA al Palacinema martedì 21 settembre dalle 17 alle 20.00 aperta al pubblico (entrata gratuita). Iscrizione via email entro il 20.09 a info@cisaonline.ch. tiratura 101’262 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch

Philippe Meirieu. (recherche.univ-lyon2.fr)

solidaire et une éducation toujours plus émancipatrice!» (l’appuntamento è alle 18.00 nell’aula magna del Centro Studi di Trevano). Meirieu oltre ad essere presidente dei Cemea francesi, professore di Scienze dell’educazione all’Università di Lione, è autore di numerosi libri tradotti in tutto il mondo e ha partecipato all’elaborazione di importanti riforme scolastiche in Francia. Lo si potrà ascoltare anche sabato 18 al Villaggio dell’educazione attiva dove alle 13.30 parlerà su «L’éducation Active, c’est pas seulement à l’école… c’est partout. En famille, dans la ville, en colo…» (entrambi gli incontri saranno in francese). Ma ad Arzo ci sarà molto altro e le botteghe aperte permetteranno di vivere e scoprire i principi, la storia e le attività che da 50 anni animano i Cemea Ticino. Inoltre sabato mattina alle 10 si potrà assistere agli «Esercizi di fantastica», spettacolo di teatro-danza della compagnia Sosta Palmizi ispirato a Gianni Rodari, mentre domenica alle 15.00 si scopriranno «Colori Emozioni Misteri E Amori», parole e storie di e con Luca Chiericato. La manifestazione si svolgerà nel rispetto delle norme di protezione vigenti, il programma completo è consultabile sul sito cemea.ch/villaggio dove è possibile anche iscriversi. / Red. Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 settembre 2021 • N. 37

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Società e territorio

Alzi, il ladro che ruba i ricordi

Pubblicazioni Un libro per l’infanzia scritto da Moira Frapolli racconta il legame fra una nipotina

e suo nonno, affetto da Alzheimer Stefania Hubmann La nonna o il nonno sembrano smemorati o si comportano in modo strano? Forse è Alzi che ha rubato loro i ricordi, ma l’amore reciproco con i nipoti non è in discussione. La relazione è più profonda, riguarda le emozioni, per cui prosegue con i secondi in grado di risvegliare nei primi ricordi più lontani, legati ai momenti belli e importanti della vita. Ad offrire un messaggio di speranza e consolazione a tutti coloro che affrontano la malattia di Alzheimer – ai bambini in primis, ma anche ai loro genitori – è un nuovo libro per l’infanzia, Il ladro di ricordi, firmato dalla studentessa Moira Frapolli per le edizioni Salvioni. Alzi è il ladro di ricordi, ma la protagonista è la piccola Léonie il cui legame con nonno Arthur si rivela più forte della malattia che l’ha colpito. Sostenuta da Alzheimer Ticino, la pubblicazione sarà presentata in occasione della Settimana Café Alzheimer che prenderà il via martedì 21 settembre, giornata mondiale dedicata a questa forma di demenza. Le cifre riguardanti la demenza in Svizzera sono sempre più preoccupanti essendo l’età il maggiore fattore di rischio del deterioramento cognitivo. L’invecchiamento della popolazione fa prevedere che si passerà da circa 140mila persone affette oggi a oltre 300mila nel 2050. In Ticino attualmente i malati sono circa 7700. A fronte di queste cifre allarmanti, le strategie per affrontare questa patologia offrono spiragli di luce, come è il caso della storia scritta da Moira Frapolli. Il libro è destinato a un pubblico più vasto delle bambine e dei bambini di scuola elementare per i quali è stato concepito. Pubblico che negli anni a venire sarà sempre più coinvolto nell’assistenza a una persona cara con diagnosi di Alzheimer. Con questo termine si definisce la forma più comune di demenza associandola al suo scopritore, Alois Alzheimer, che la descrisse per la prima volta nel lontano 1906. Dopo oltre un secolo,

non solo non si è riusciti a trovare una cura per questa patologia, ma purtroppo in determinati contesti si fatica ancora ad affrontarla apertamente e a individuare come accompagnare nel miglior modo possibile le persone malate. Moira Frapolli, riprendendo il nome Alzheimer, trasforma Alzi in un elfo furfante che ruba i ricordi soprattutto agli anziani. Nel magico mondo di questa tenera e profonda storia tutta da scoprire prevalgono però il coraggio della piccola Léonie, il suo amore per il nonno e la sua spontaneità. Certo, i ricordi di nonno Arthur e dei suoi viaggi che tanto affascinavano la nipotina non torneranno più, ma saranno compensati da altre forme di memoria legate all’infanzia dell’anziano signore. Così è capitato anche a Moira che ha vissuto in prima persona l’esperienza di essere vicina al nonno colpito dalla medesima malattia. Spiega l’autrice: «Da bambina avevo notato come a volte bastasse un bicchiere di vino o una fotografia per risvegliare in mio nonno ricordi lontani. Ricordi belli che offrono momenti piacevoli alla persona malata e ai suoi familiari». Appassionata di scrittura, la giovane ticinese frequenta l’ultimo anno di formazione all’Alta Scuola pedagogica di Coira per diventare insegnante di scuola elementare. Lì ha potuto sviluppare il progetto di questa storia che si conclude con un messaggio di speranza. La magia della storia è amplificata dalle illustrazioni, opera di un’altra giovane ticinese: Lucrezia Marnoni di Vaglio. Diplomata al CSIA nel 2014 è oggi iscritta all’Università di Firenze. Nel caso di Moira la famiglia ha giocato un ruolo non solo nell’ispirazione iniziale, ma pure nel sostegno ricevuto e nel confronto con i professionisti che si occupano dei malati di Alzheimer. Il padre Danilo Frapolli è infatti direttore della residenza per anziani Ca’ Rezzonico di Lugano, dotata di un centro terapeutico per le persone affette da disturbi cognitivi. Determinante per il buon esito di que-

La pubblicazione del libro Il ladro di ricordi è sostenuta da Alzheimer Ticino. (Illustrazioni di Lucrezia Marnoni)

sta sua prima pubblicazione – racconta Moira Frapolli – anche «l’appoggio dell’insegnante e scrittore Vincenzo Todisco. Con lui ho frequentato un primo corso di scrittura creativa e poi un corso di letteratura per l’infanzia. Il libro rappresenta il lavoro conclusivo di quest’ultimo ciclo nel quale il tema Alzheimer è stato trattato a livello di gruppo con due compagne». Seguendo la sua passione per la scrittura, Moira è riuscita a realizzare un progetto che, come spiega lei stessa, le sarà utile anche nel suo futuro professionale. Il ladro di ricordi è infatti un valido strumento per affrontare questo tema con i bambini. Simona Mazzagatti, rappresentante di Alzheimer Ticino, lo conferma precisando che il libro ha già suscitato interesse anche oltre i confini cantonali. L’associazione nazionale intende infatti tradurlo in francese e tedesco. Aggiunge la portavoce dell’associazione: «Moira lo presenterà durante i Café Alzheimer organizzati martedì 21 settembre a Lugano e venerdì 24 a Locarno. È importante poter riprendere questi appuntamenti pomeridiani, per-

ché sono molto mancati ai nostri soci durante la pandemia. Per sottolineare la giornata mondiale, abbiamo pensato di organizzarne sei su tutto il territorio. Oltre a Lugano, Bellinzona e Locarno, sono previsti incontri al Museo Vincenzo Vela di Ligornetto per il Mendrisiotto, ad Airolo e a Ponte Tresa. Café Alzheimer Malcantone è una novità che sarà riproposta ogni terzo mercoledì del mese per facilitare i residenti di una zona un po’ discosta». Da segnalare inoltre, il 18 ottobre presso la Sala Aragonite a Manno dalle 16, la presentazione del docufilm Carpe Diem – un approccio di cura portato in Ticino dall’infermiera Joséphine Marrocco – prevista l’anno scorso (vedi «Azione» del 9 marzo 2020), ma sospesa a causa dell’emergenza sanitaria. Fondata nel 1992, Alzheimer Ticino si è sviluppata fino a realizzare, unitamente a Pro Senectute, un centro di competenza per le diverse forme di demenza, punto di riferimento per i malati e le loro famiglie. L’associazione propone molteplici forme di sostegno che spaziano dai gruppi di Auto Aiuto a quelli destinati a chi deve affrontare

una diagnosi di demenza in fase iniziale (TIncontro), dai citati Café alle vacanze, dai gruppi di attivazione cognitiva al sostegno ai familiari curanti a domicilio, questi ultimi in collaborazione con Pro Senectute. Al centro di questi interventi vi è sempre la persona piuttosto che la malattia. «A lei e ai suoi familiari – conclude Simona Mazzagatti – va dimostrata pazienza, sensibilità e solidarietà. Si tratta per tutti di riuscire ad entrare nel mondo della persona malata e non di attendersi il contrario. Se ha nipoti, questo legame è essenziale anche quando cambiano i codici sui quali si basa la relazione. Con il libro Il ladro di ricordi desideriamo incoraggiare le famiglie ad affrontare la malattia senza paura favorendo questo rapporto facilitato dalla spontaneità dei più piccoli». Proprio come nella storia ideata da Moira Frapolli le diverse generazioni di una famiglia possono riunirsi attorno ad un ricordo condividendo la serenità che ne deriva. Informazioni

www.alz.ch/ti – Tel. 091 912 17 07

Femminile non è (solo) donna

Pubblicazioni Lina Bertola nel suo ultimo libro riflette sul tema del «femminile» inteso come una forma

di approccio alla vita che riconnette uomini e donne alla propria voce interiore Laura Di Corcia Una foto di una bambina in braccio ad un uomo alto e robusto: questa la copertina del libro della filosofa Lina Bertola, Kill Venus! Liberare il femminile tradito negli uomini e nelle donne (Armando Dadò editore). Scopo del testo è raccontare come il tema del «femminile» sia vilipeso nella nostra cultura di matrice occidentale, che, arroccata sul «Logos» e su ciò che è ben visibile, quantificabile e dimostrabile, ha dimenticato o posto in secondo piano le radici del sentire (e forse dell’essere?). Inizio subito con il dire che il titolo di questo libro mi ha creato qualche titubanza: il termine «femminile» – lo ammetto – non è fra i miei preferiti. Lina Bertola non è certo una sprovveduta e sa che nell’ampio contesto del femminismo ci sono correnti contrapposte, ovvero quella di chi vede nelle donne una differenza che va sottolineata e alla quale va dato spazio nella società e, d’altro canto, quella di chi invece ritiene che questa differenza sia frutto di un costrutto culturale, non tanto di questioni legate alla biologia e ad una diversità quasi naturale fra uomini e donne. Ma la filosofa sottolinea subito, a inizio libro, quanto sia fuorviante associare «la parola femminile all’es-

sere donna». Cito ancora dal primo capitolo: «Femminile non è parola che qualifichi in modo specifico l’essere della donna. (…) Il termine femina ha la stessa radice di fe, di fetus, ma anche di felix e ferax, attributi della terra quando è generosa e feconda. Il termine si riferisce dunque alla donna nella sua specifica natura biologica ma rinvia, allo

stesso tempo, anche al legame di amore e di intimità con la vita. Il significato si estende dunque oltre la biologia e indica in ciò che chiamiamo femminile una forma di approccio alla vita». Questo approccio, che si dipana per gli altri capitoli, non riguarda quindi solo le donne, ma anche gli uomini. Non è un caso che la copertina del libro, come anticipato, ritragga un uomo con una bambina, lei e il padre, ovvero l’uomo che ha insegnato a Lina Bertola che cosa significhi femminile. «Nel contatto fisico con il corpo possente di mio padre – si legge nel primo capitolo – ho imparato a riconoscerne la voce e a farla risuonare nel mio corpo di bambina. In quei momenti, lo capii dopo, avevo incontrato il femminile senza ancora conoscere questo suo nome (…). Per questo motivo ho ritenuto bello dedicare l’immagine di copertina a questa scoperta. Non avevo ancora un anno e mio padre scelse di portarmi in spalla giù per le ripide curve del Passo del San Gottardo. Venti chilometri di amore per evitarmi il mal d’auto». Coltivare il femminile significa quindi, secondo l’accezione data al termine dalla filosofa, connettersi con il sentire, con la cura, sconfiggere le modalità egotiche del patriarcato, che possono prendere spazio e albergare in

uomini e donne, imparare a scavare nei propri spazi interiori per cercare e magari anche trovare un modo più sano e vitale di stare al mondo, a contatto con i ritmi naturali e biologici, che riesca a mettere fra parentesi il grande sogno dell’umanità fin dal principio: dominare la natura. Può non essere tutto questo più che condivisibile? D’altra parte Ivan Jablonka, in un recente saggio citato da Bertola nel suo libro, scrive che «ci sono molti modi di essere uomini. Si può concepire un uomo femminista, ma anche un uomo che accetta la sua parte di femminile, un uomo che considera repellenti la violenza e la misoginia, un uomo che abbandona i ruoli che gli hanno cucito addosso, un uomo senza l’autorità, l’arroganza, il privilegio la pretesa di tutta l’umanità». Sono assunti che, per fortuna, iniziano a circolare. Non a caso il libro della filosofa ticinese mi ha riportato alla mente un bellissimo documentario che fino a un anno fa si poteva trovare sulla piattaforma Netflix, intitolato The mask you live in, che mostrava come gli stereotipi sulla virilità e sulla mascolinità creino un vissuto difficile, prima che alle donne, agli uomini stessi, costretti per retaggio culturale a indossare una maschera che avrebbe a che fare con una virilità intesa in maniera retrograda.

Non piangere, non esprimere le proprie emozioni, essere sempre sorridenti e mostrare una felicità e un successo fasulli portano lontano dalla verità del corpo, oggi più che mai, in un’epoca dove il virtuale punta in direzione di una smaterializzazione non certo spirituale. La via del femminile indicataci da Lina Bertola è una via di ritorno all’ascolto del corpo, della voce interiore, una via silenziosa che mette fine al chiacchiericcio, all’opinionismo frettoloso e superficiale. Chiudo con le parole del libro: «Riuscire a percepire la felicità come presenza e insieme come guida del nostro vivere significa riuscire a sentire la vita nella sua pienezza, leggervi l’unicità del suo cammino, i colori, le sfumature, le ombre e a volte il buio, che la accompagnano, giorno dopo giorno. Significa sentirla anche nel corpo, nel tempo della cura, prestando attenzione ad ogni dettaglio della sua delicata presenza/assenza». Informazioni

Il 5 ottobre alle 18.00 Lina Bertola presenterà il suo libro Kill Venus! presso la biblioteca Cantonale di Lugano, dialogheranno con lei Fabio Merlini e Stefano Vassere.


©Tdh/M.-L. Dumauthioz

Il futuro è nelle mani dei bambini. Fate un gesto lodevole sostenendo le generazioni di domani. Contemplate la Fondazione Terre des hommes nel vostro testamento. Desidero ordinare la documentazione gratuita sui lasciti e le eredità. Desidero essere contattato/a per un colloquio personale e confidenziale. Cognome e nome: Indirizzo: Tel.: E-mail: Vogliate rispedire la presente polizza di versamento tramite posta o rispondere via e-mail. I vostri dati personali saranno trattati in modo confidenziale.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 settembre 2021 • N. 37

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Società e territorio Rubriche

Approdi e derive di Lina Bertola Il potere di Amore e l’amore per il potere Il filosofo Empedocle, nel V secolo a.C., descrive Amore come un principio cosmico di armonia e di unificazione di tutti gli elementi naturali. Amore è una forza di pace e di coesione che alimenta il perenne divenire dell’universo. È un principio vitale che si contrappone all’odio, alla forza distruttiva del conflitto e della disgregazione ed è quindi sempre esposto alla minaccia di un caos primordiale. Amore esprime il senso di tutto ciò che esiste in una prospettiva cosmica. Custodisce e nutre il valore della vita. Di una vita che desidera sempre riaffermare sé stessa, contro ogni minaccia di distruzione. È un valore che deve dire in continuazione di sì a sé stesso perché la vita del cosmo, e dell’umanità che lo abita, è sempre vulnerabile nelle sue fragilità. Questa vulnerabilità, nel racconto platonico della nascita di Eros, diventa umana mancanza, privazione che si trasforma nel costante desiderio di superarla. Eros, val la pena ricordarlo

brevemente, concepito tra libagioni ed ebrezze durante una festa in onore della dea della bellezza Afrodite, è figlio di Povertà e di Espediente. Eros è brutto ma ama la bellezza, quella bellezza morale che coincide con ciò che è buono e vero. La visione cosmica di Amore, proposta da Empedocle, si trasforma così in archetipo e metafora delle inquietudini che appartengono al destino umano e diventa simbolo forte di un luminoso progetto di umanità. In queste rappresentazioni inaugurali, l’amore si presenta a noi in tutta la sua potenza. È la prima forma di potere: il potere dell’amore, appunto. Non si tratta solo dell’amore che ciascuno di noi può sentire e coltivare nel proprio intimo giardino mentre cerca di fare, della propria vita, una vita buona. Qui si tratta di quel valore universale, tanto cosmico quanto esistenziale, raffigurato fin dai racconti del mito e coltivato dal pensiero come principio generativo che dà forma a tutto ciò che

esiste e che lega gli uomini in un destino di comune appartenenza. Un principio che ha ricevuto nel tempo tanti nomi: benevolenza, carità, accoglienza, compassione, attenzione, cura, fratellanza. Sia chiaro, questo principio di Amore universale probabilmente non è mai stato visto all’opera nel nostro mondo reale. Dentro al dipanarsi della storia ha però sempre mantenuto un posto importante come progetto, come idea limite, come approdo ideale. Un invito e insieme una promessa, un dover essere morale a cui si pensava sarebbe stato possibile, un giorno, dare voce e cittadinanza. Ho voluto richiamare questi simboli perché spesso tornano a trovarci nel desiderio di bellezza e di armonia. Un desiderio che tuttavia, nel nostro abitare il mondo, si fa spesso nostalgia per una meta percepita come inarrivabile e forse, proprio per questo, un desiderio che a volte arriva a perdersi nel disincanto. Io stessa mi guardo attorno e mi domando: che fine ha fatto

il potere di Amore? Guardo questa nostra umanità trafitta, ferita, divenuta incapace perfino di pensarsi come umanità: una parola che sopravvive solo per raccontare tragedie. Tragedie umanitarie, appunto. Per chi queste tragedie le lascia sullo sfondo del proprio sguardo, per chi non le vede, o non vuole vederle, umanità è solo un nome, senza un gran significato. Anche la parola amore sembra abbia avuto, in un certo senso, lo stesso destino. Come ben sappiamo, ben presto Amore è stato identificato con l’amore per la conoscenza. Bellissima cosa, fonte di progresso per l’umanità. Peccato però che in questo progresso dell’umanità, compiuto attraverso la conoscenza, non abbia trovato un posto anche la conoscenza di Amore. La conoscenza di tutto quello che questa parola evoca e custodisce e che sentiamo, certo, ma che non siamo mai riusciti ad accogliere nella nostra casa comune e nei suoi racconti. Così, anche questa parola

sarebbe potuta diventare un nome senza un gran significato, e invece no, non è stata buttata via. Ce lo ricorda ogni giorno l’amore per il potere. Questo tradimento del potere di amore, consegnato all’amore per il potere, è solo una possibile interpretazione delle derive della nostra civiltà. Un’interpretazione che consente però di immaginare un ulteriore movimento, una possibilità di andare oltre. Lo sappiamo bene per esperienza diretta: coltivare l’amore nel nostro mondo interiore aiuta a cogliere il senso della vita e la sua verità, la verità degli altri e la nostra intima verità. È possibile, mi chiedo, ripartire da qui? È possibile immaginare nuovi approdi proprio a partire dal nostro personale sentimento di amore, dal dialogo con l’altro, dal desiderio di pace e armonia e bellezza che nasce dalle nostre solitudini? Ovvio che non ho risposte, ma credo che questa sia la questione etica più urgente.

spogliatoi. Mi fanno venire in mente, forse per via degli archi gotici, ripresi qui come finestre, o a causa dello spazio ristretto con panca, un confessionale. In realtà, il luogo si presta a tutt’altro. Oltre agli incontri amorosi o le prime sigarette fumate di nascosto, questo ex «bagnetto romano», nascosto alla vista dai frassini alle sue spalle, in direzione di Moosseedorf, nel corso degli anni ha ospitato concerti, spettacoli teatrali, messe. Riparo sicuro per la pioggia, ha una porta laterale ad arco gotico che sommato alle quattro finestre senza vetri degli spogliatoi, più gli altri sotto il tetto, diventa il ventesimo arco gotico. Ora regna un gioco di ombre che rigano, ritmate a dovere, il pavimento. Una composizione creata dalle colonne, colpite in pieno dal sole quasi verso sera in settembre. Rientro negli spogliatoi dove tra le fessure sbircia l’edera e la finestra ad arco incornicia il paesaggio agricolo fino a una fattoria. Qui, in questa zona tra Münchenbuchsee – tra l’altro oltre a una delle piscine più antiche d’Europa questo comu-

ne detiene il primato del più antico (1955) tempio mormone europeo – e Moosseedorf, s’incontrano fattorie e vecchie case in legno con un curiosissimo taglio circolare del tetto. Sara senza acca è scarabocchiato sulle assi, un mozzicone per terra. E così, seduto sulla minipanca, guardo fuori e penso alle lezioni di nuoto svolte qui secoli fa. Il bacino, ho letto da qualche parte ma non mi ricordo più dove, era alimentato da una sorgente proveniente dal Moossee, un lago laggiù dove si può fare il bagno ma non invoglia tanto. E se si guarda con attenzione la litografia dell’insegnante di disegno dal 1824 al 1835 dell’avanguardistico Hofwyler Institut, conservata alla Burgerbibliothek di Berna al sessantatré della Münstergasse, si scopre che lì in mezzo, c’era anche uno zampillo fontanesco. Inevitabile, oggi, verso sera, dopo aver studiato veloce, dal vivo, come un vero topo da biblioteca, la superficie acquea dell’ex bagno di Hofwil ritratta nel 1824 con cinque alunni natanti e due su una barchetta, un tuffo nell’Aare.

condensare in concetti chiave i temi di una serie di saggi che potessero essere consumati in 15 minuti e invogliare così le persone a fare della lettura e dell’apprendimento un’attività quotidiana. I contenuti si possono leggere o ascoltare in podcast e se i testi condensati risvegliano l’interesse dell’utente si può accedere alla versione integrale del testo in questione. Ma l’idea non è solo quella di facilitare la lettura, per Holger Seim è importante creare un’abitudine virtuosa nelle persone e in questo anche la scelta del libro giusto conta. Le strade che Blinkist percorre per diffondere informazione, conoscenza ed educazione sono tre: estrapolazione delle idee chiave, cura del catalogo di volumi disponibili da parte di esperti selezionati che redigono raccomandazioni personalizzate, creazione di podcast brevi. Si accede scaricando l’app e pagando un abbonamento mensile di 12.99 dollari.

Se volete prima testare il prodotto e farvi un giro tra gli oltre quattromila volumi disponibili in tedesco e in inglese è possibile fare un periodo di prova di una settimana. Il team editoriale è composto di un’ottantina di collaboratori di diverse parti del mondo, con diversi background e competenze e più della metà sono donne. Vanessa Gibbs è un’autrice freelance londinese, Annett Stiller insegna letteratura e grammatica tedesca in un liceo di Berlino, Beth Kempton è l’autrice di Wabi sabi. La via giapponese a una vita perfettamente imperfetta, Natalie Lue è l’autrice inglese del podcast settimanale di grande successo The Baggage Reclaim Sessions disponibile in versione breve su Blinkist. Il tempo di un battito di ciglia e qualche dollaro da spendere è tutto ciò che occorre per fruire i contenuti di un’app che non promette effetti speciali ma cibo per la mente.

Passeggiate svizzere di Oliver Scharpf l’ex piscina di Hofwil Pensavo di fare prima, passando attraverso il campo da golf, invece mi sa che mi sono perso. Perdipiù ci sono dei cartelli ricorrenti riguardo il pericolo di palle volanti. C’è mica tanto da bighellonare, come credevo, alla ricerca della prima piscina della Svizzera. Mi guardo intorno di continuo controllando i diversi giocatori che pascolano, con la testa in aria magari, accelero il passo, prendo un sentiero che taglia in mezzo ai campi di barbabietole da zucchero. Cumulonembi fiamminghi nel cielo, stagni distanti, e un fievole sottofondo autostradale, completano il quadro del mio peregrinare tardo pomeridiano nove chilometri e mezzo fuori Berna. Insperata, proprio a ridosso del campo da golf e in fondo al campo di Beta vulgaris var. saccharifera, eccola laggiù la mia preda: un pavillon balneare biedermeier goticizzante. Idea di Philipp Emanuel von Fellenberg (1771-1844) – pedagogo svizzero con testa a pera, agronomo, filantropo – quella di far nuotare i ragazzi del collegio sperimentale istituito sui suoi possedimenti

nel comune di Münchenbuchsee. Una grande proprietà, all’origine costituita da un castello e una fattoria, chiamata un tempo Wylhof, ribattezzata, da von Fellenberg, Hofwyl. Facendogli così fare un testacoda al microtoponimo, scritto oggi senza ypsilon. D’influsso pestalozziano, la sua scuola, oltre il pionieristico spazio per il nuoto, aveva posto per ballo, musica, equitazione, legatoria, panetteria, pollaio, porcile, ricchi e poveri. Non per niente, a quanto sembra, è fonte d’ispirazione per la famosa «provincia pedagogica» che appare protagonista tra le pagine di un libro di Goethe: Gli anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister (1821). Prosciugata nel 1971, l’ex piscina di Hofwil (561 m) è un bacino circolare che ricorda oggi un po’, in scala molto ridotta, quegli anfiteatri romani visitati a stento e lasciati al loro destino. Riparato da una gradevole e religiosa siepe di biancospino, l’ex bagno vonfellenberghiano risalente al 1822, conta otto gradini che scendono sullo spiazzo erboso al centro, dove s’individuano

resti di fuoco. Il rosa farfallesco dei fiori della cicerchia selvatica, accende un po’ il clima desolato che scaturisce sempre da uno specchio d’acqua scomparso. I quindici archi gotici però, che partono dalle sedici colonne in legno color carbone che poggiano su altrettanti zoccoli in candida pietra calcarea, movimentando tutto il padiglione di legno color meringa, rimpiazzano il bagno perduto. Tre ragazzi, in procinto di tuffarsi da lì, su in cima, al centro, si notano nella graziosa litografia acquarellata di Johann Heinrich Triner (1796-1873), Kleinmeister misconosciuto e insegnante di disegno all’Istituto di Hofwil, che immortala questo bagno agreste – noto anche negli anni venti come Römerbädli – all’apice del suo splendore balneabile. Risalgo gli spalti in beton. Per risparmiare, in occasione del restauro del 1991, questo materiale ha sostituito l’arenaria. E perlustro come si deve la struttura balneare sperduta tra un campo di golf e un campo di barbabietole dell’altipiano bernese. Alle due estremità, ci sono gli

la società connessa di Natascha Fioretti Blinkist, grandi idee in un piccolo formato Un tempo per prepararci in fretta prima di un esame o per ripassare i punti salienti di un libro c’era il bigino, oggi c’è Blinkist, un’applicazione da venti milioni di utenti in tutto il mondo. Fondata nel 2012 a Berlino da Holger Seim, Sebastian Klein, Tobias Balling e Niklas Jansen è considerata tra le start up europee più originali e di maggior successo. Proprio in queste settimane in vista delle elezioni tedesche l’app è tornata a far parlare di sé per la sua nuova iniziativa. In un frangente importante in cui le informazioni si moltiplicano e il tempo spesso non è sufficiente per approfondire i temi chiave dell’agenda elettorale, Blinkist vuole aiutare gli elettori a formarsi la loro opinione e ad avere le idee chiare sulla scelta da fare il prossimo 26 settembre. In queste settimane di avvicinamento all’appuntamento elettorale l’app mette dunque a disposizione gratuitamente

quei testi che trattano i temi e gli argomenti dell’agenda politica. Settanta saggi che spaziano dall’economia al lavoro alla migrazione alla salvaguardia dell’ambiente alla digitalizzazione senza dimenticare tasse e finanze. L’idea è che anche i cittadini e i lettori senza un dottorato possano approfondire e capire i temi su cui i partiti e i politici si confrontano. Per fare degli esempi concreti tra le proposte in catalogo troviamo Gli ipocriti firmato dall’economista e politica tedesca Sahra Wagenknecht, considerata tra le personalità politiche più brillanti a livello europeo, oppure Caduta del potere, il testo del giornalista e autore tedesco Robin Alexander che racconta gli ultimi anni dell’era Merkel, dunque dal 2017 quando la Cancelliera decise di ricandidarsi per l’ultima volta. Una parabola che il giornalista della «Welt» nel libro descrive così: «l’ultima tappa del suo mandato ha avuto inizio alla

Casa Bianca e termina nella casa dei puffi». Insomma nella vita frenetica di oggi tra un appuntamento e l’altro, tra una corsa in ufficio e una in palestra, se vogliamo prendere fiato e concentrarci su qualcosa che possa arricchire la nostra giornata, una lettura su Blinkist può fare al caso nostro. In fondo cosa sono quindici minuti della nostra giornata? Il progetto è nato quando Holger Seim, co-fondatore e CEO dell’azienda dal fatturato di 20 milioni di euro, si è reso conto che le persone hanno sempre meno tempo di sedersi e leggere un libro mentre le distrazioni digitali aumentano a ritmi vertiginosi. Lui stesso ha smesso di usare i social media: «Mi stavano rubando il tempo svuotandolo di valore e significato». Così è nata l’idea di aiutare le persone a spendere meglio il loro tempo sui cellulari e tablet, a dargli maggior senso. Il principio sin da subito è stato quello di


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senza carne Cornatur Quorn. Essi non solo convincono grazie alle loro proprietà nutrizionali, ma anche perché sono facili e veloci da preparare, contribuendo così ogni giorno a mettere sul piatto più vegetali e meno carne. La perfetta combinazione: molte proteine e preziose fibre Cornatur Quorn dimostra che possono essere prodotti alimenti a base di micoproteine. La micoproteina è ricca di proteine e povera di acidi grassi saturi. La particolarità di Quorn, rispetto ai prodotti di soia o alla carne, è che grazie alla struttura cellulare naturale dei funghi Quorn è ricco di preziose fibre alimentari. E quest’ultime sono importanti per un’alimentazione equilibrata.

*Fonte: 1- Quorn Footprint Comparision Report, in collaborazione con Carbon Trust, 2021

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 settembre 2021 • N. 37

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Ambiente e Benessere la città sommersa È una delle più antiche del pianeta e si trova in Grecia: il suo nome è Pavlopetri

Prima di potersi fare una tisana Raccogliere, essiccare e conservare parti di piante non è semplice come potrebbe sembrare a chi non è pratico

Gt 63 S e Performance Mercedes: in arrivo una otto cilindri a V biturbo che garantisce grandi prestazioni pagina 18

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Una cultura da tutelare Torna in Ticino, sabato 23 ottobre, la giornata dedicata al cavallo

pagina 23 La «Ceresio» prima del lifting elettrificante. (Società di Navigazione del Lago di Lugano)

ceresio dal cuore verde

Sostenibilità L’inaugurazione della motonave eco-vintage è la prima tappa del piano di elettrificazione

della flotta della Società di Navigazione del Lago di Lugano Matilde Fontana A guardarlo dai pontili del cantiere della Società di Navigazione del Lago di Lugano, il Ceresio è una prateria a perdita d’occhio. Il verde acceso delle sue acque, che lo scorso anno aveva fatto il giro del mondo sui social, in questi giorni si è ripresentato quasi a voler tenere a battesimo l’omonimo battello dal cuore green: l’E-Ceresio, prima motonave a propulsione totalmente elettrica sui laghi svizzeri capace di garantire un servizio quotidiano a emissioni zero. L’inaugurazione di domani, martedì 14 settembre, della E-Ceresio è il primo passo di un progetto ben più ambizioso. La visione ultradecennale del presidente della Società Navigazione Lago di Lugano Agostino Ferrazzini è quella di un lago elettrico entro il 2035. Il progetto «Venti-35», sostenuto dalla Città di Lugano, prevede infatti l’elettrificazione dell’intera flotta di battelli in 15 anni, mirando allo stesso tempo a trasformare il cantiere e l’azienda in un centro di competenza tecnologico e formativo nella navigazione verde. L’operazione di «lifting tecnolo-

gico» sul battello datato 1931 è stata curata da due giovani progettisti, Gabriel Ramos, ingegnere aeronautico, e Francesco Musto, ingegnere navale, che hanno trasformato l’antico cantiere aziendale di Cassarate in un laboratorio di refitting, letteralmente rimontaggio di un’imbarcazione. Negli ultimi mesi, le maestranze della SNL e i tecnici del gruppo tedesco Baumüller, specializzato nell’elettrificazione dei sistemi di propulsione navale, hanno lavorato gomito a gomito con i due progettisti alla ricerca delle soluzioni adatte al delicato intervento di trapianto del motore nuovo, adeguando la motonave a tutte le più moderne normative di sicurezza e di comfort. «Il progetto “Venti-35” – spiega l’ingegnere Ramos – prevede la progressiva rimotorizzazione di tutti i battelli della flotta. Gli attuali motori a gasolio saranno sostituiti da motori elettrici alimentati da batterie, in modo tale da ridurre a zero le emissioni inquinanti che derivano dalla combustione del gasolio. Il rimpiazzo dei motori a combustione interna eliminerà anche la necessità di utilizzare lubrificanti deri-

vati dal petrolio, con un’ulteriore riduzione dell’impatto ambientale». «Con la Ceresio elettrificata – continua l’ingegnere Musto – il Lago di Lugano si dota del primo battello di linea full-electric a ricarica rapida della Svizzera, capace di operare alla medesima velocità di esercizio dei battelli a gasolio ossia fino a 24km/h in funzione del carico e con il medesimo range operativo giornaliero». Praticamente, nella sostituzione della propulsione diesel della motonave Ceresio con quella elettrica, si è trattato di risolvere il problema di alloggiare nella pancia del battello non tanto il motore, quanto le relative 6,5 tonnellate di batterie. Per dare un’idea è come se sul «nuovo» battello ci fossero le batterie di 1700 e-bike! «Anche gli impianti ausiliari – aggiunge Ramos – costituiscono un punto di sfida, in quanto tutti i componenti devono lavorare all’unisono con un obiettivo comune: la massima riduzione dei consumi elettrici, mantenendo contemporaneamente alti livelli di comfort e sicurezza a bordo per passeggeri ed equipaggio».

Chiuso con la «pompa» di gasolio, si è trattato di approntare una rete di ricarica. Così come le auto o le biciclette elettriche necessitano di un «distributore per fare il pieno», anche i battelli elettrici hanno bisogno di ricaricare le loro tonnellate di batterie. Per la E-Ceresio è già pronta una colonnina al pontile del cantiere per la ricarica lenta (notturna, per evitare picchi di tensione), mentre al debarcadero centrale sarà realizzata un’infrastruttura per la ricarica rapida (mezz’ora circa). È un mondo nuovo che si è aperto anche per i piloti dei battelli, istruiti a gestire la propulsione elettrica in tutti i suoi aspetti, dalla ricarica alla cabina di guida computerizzata, dove di storico è rimasto solo il timone. «Per quanto riguarda il restauro della E-Ceresio 1931 – spiega Musto – si è cercato di mantenere quanto più possibile gli aspetti originali degli anni Trenta del Novecento, apportando in maniera non invasiva tutte le modifiche necessarie al rispetto delle moderne normative di sicurezza». Un esercizio di equilibrismo non

indifferente. Di fatto l’acquisto di un battello elettrico nuovo sarebbe stato meno laborioso e forse anche meno dispendioso, ma la filosofia aziendale promossa dal presidente Agostino Ferrazzini mira a coniugare l’innovazione con la tradizione: un’avventura navale lunga oltre 170 anni è uno straordinario valore aggiunto. È il fascino di una storia da raccontare, come quella della Ceresio, che nel 1931 lasciava il cantiere di Cassarate con un moderno motore diesel alimentato a nafta: allora tramontava l’era del vapore, con i mucchi di carbone e gli alti comignoli, neri di fuliggine. Dal medesimo cantiere esce dopo 90 anni la Ceresio elettrica: oggi tramonta l’era del motore rumoroso e della puzza di gasolio. Una storia elettrica della navigazione sul Lago di Lugano che avevamo iniziato a raccontare su queste pagine con la Vedetta 1908, il primo battellino eco-vintage della SNL che scivola a emissioni zero sulle acque estive del Golfo di Lugano dal 2016, collegando silenziosamente il centro città con Cassarate e Castagnola.


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Ambiente e Benessere

corsari, pirati e la città sommersa di Pavlopetri

reportage Un viaggio all’isola di Elafonisos per navigare nelle acque di una storia molto lontana

e in parte avventurosa

Simona Dalla Valle La vita si muove a un ritmo diverso, a Elafonisos. Spiagge esotiche con sabbia bianca e acque turchesi offrono un ambiente idilliaco ai circa cinquemila visitatori che sbarcano ogni estate con le loro auto. La piccola isola tra il Peloponneso e l’isola di Citera, al largo del Capo Malea, è attualmente l’unica isola abitata della regione greca. La storia navale della zona, la sua relazione con la pirateria e i contatti con la mitologia, così come i frequenti riferimenti a Elafonisos nella letteratura internazionale testimoniano l’esistenza di forme di vita e cultura fin da tempi molto antichi.

L’intera zona offrì rifugio ai feroci ciliciani, saraceni, turchi, barbari, maltesi, inglesi, francesi e pirati del Mani La storia di Elafonisos è strettamente legata a quella di Pavlopetri, una città sommersa tra l’omonimo isolotto e la spiaggia di Pounta, a circa 600 metri a nord dal porto di Elafonisos. L’antico insediamento «Pavlos Petri» fu menzionato già nel 1904 dal geologo e presidente dell’Accademia di Atene Fokion Negri e studiato più in profondità alla fine degli anni Sessanta dall’oceanografo Nicholas Flemming nell’ambito di studi condotti dall’Università di Southampton. L’équipe di Flemming visitò Pavlopetri trovando tracce di un’antica città sommersa a una profondità di trequattro metri, la quale fu mappata e datata sulla base dei reperti di superficie. Inizialmente si stimava che la città fosse stata costruita nel corso del II secolo a.C., ma il ritrovamento di alcuni

Il lungomare del paese di Elafonisos al tramonto, con le taverne di pesce. Su www.azione. ch si trova una più ampia galleria fotografica. (Simona Dalla Valle)

oggetti risalenti a periodi più antichi rivelò che la città era abitata prima del 2800 a.C., all’inizio dell’età del bronzo. Sulla base dei risultati degli scavi, il team dell’Università di Cambridge ipotizzò tuttavia che gli edifici e le strade di Pavlopetri risalissero al periodo miceneo (1680-1180 a.C.). Nella zona furono raccolti reperti in argilla, ossidiana e calcare come lame, cilindri e statuette oltre che calici e tazze.

un’iniziativa indipendente dedicata a salvare i luoghi preziosi del mondo. Lungo la porzione di costa che si affaccia sullo stretto di Elafonisos e che collega la laguna di Strongyli (un luogo di nidificazione per uccelli, tartarughe, rane e decine di altre specie) con il mare, a poca distanza dalla città sommersa, vi sono i resti di un cimitero risalente a quattro-cinquemila anni or sono composto da circa sessanta tombe, tra cui due tombe a camera e oltre trenta tombe a fossa, alcune delle quali sotto il livello del mare e collegate da strade rettangolari. Gli studi di Flemming furono fondamentali, perché consentirono di scoprire che l’area dove si trova oggi Elafonisos non costituiva un’isola ma una penisola, formatasi a seguito del devastante terremoto del 375 d.C., che divise Elafonisos dal resto del Peloponneso e distrusse la città di Pavlopetri. La penisola portava il nome di Όνου Γνάθος, mascella d’asino, come riportato fin da Pausania nel II secolo d.C., forse a causa della sua conformazione. Il nome attuale di Elafonisos la lega a un altro animale, il cervo, in greco ελάφι. Il riferimento è probabilmente dovuto alla prosperità della pra-

Resti delle antiche mura nei pressi della spiaggia di Pounta. (Simona Dalla Valle)

L’insediamento sembra essere stato abbandonato e parti di esso abitate o utilizzate durante il periodo ellenistico, romano e bizantino. La pianta della città è atipica, quasi unica nella Grecia continentale. Gli edifici identificati furono quindici. Un’indagine del 2009 ha ricreato in 3D la città, che si estende per oltre otto ettari, e la ricerca ha potuto dimostrare che la città era il centro di una fiorente industria tessile. Inoltre, nella zona sono state trovate molte giare della Creta minoica – utilizzate per lo stoccaggio e il trasporto di prodotti come olio, vino, vernici e profumi – testimonianza dell’importanza commerciale della località, probabilmente un satellite della civiltà minoica. Tale era l’interesse internazionale per Pavlopetri, che il lavoro della squadra archeologica britannica del 2009 è stato presentato in un documentario della BBC intitolato The city under the waves. Minacciata dall’inquinamento delle grandi navi che ancorano nella baia di Vatika e dell’assenza di protezione fisica del sito, che lo espone a saccheggi e danni strutturali, nell’ottobre del 2015 la città sommersa è stata inserita nel World Monuments Watch,

Cimitero di Pavlopetri. (Simona Dalla Valle)

Ricostruzione in 3D di una casa di Pavlopetri nel documentario della BBC. (BBC)

tica della caccia nella regione durante l’antichità, come testimoniato dallo stesso Pausania con il riferimento alla presenza in loco di una statua di Artemide, la dea della caccia. Ripercorrendo la storia dell’intera Grecia nel VI e VII secolo, si può notare quanto fosse proficua l’attività dei pirati saraceni, che successivamente si espansero anche in Sud Italia, Nord Africa e in Sardegna. Con il termine saraceni, i greci si riferivano a tutti i musulmani arabi; il sostantivo deriva dal termine «sarkegin», che significa «est» in arabo. I saraceni, si racconta, ormeggiavano le loro navi nelle grotte intorno al mare per essere protetti dalle onde e dal vento, mentre dormivano nelle nicchie rocciose vicino alla riva. Ciò che rimane oggi dell’attività dei pirati è il nome «Sarakiniko» che caratterizza molte località greche, delle quali forse la più famosa è la spiaggia di Sarakiniko a Milos – ma vi sono spiagge omonime anche a Parga ed Evia. E una Sarakiniko (Tseratsiniko per i locali) si trova anche a Elafonisos, nota pure con il nome di Megalos Simos, spiaggia gemella della «piccola» Mikros Simos. L’intera zona offrì rifugio ai feroci ciliciani, saraceni, turchi, barbari, maltesi, inglesi, francesi e pirati del Mani. I primi abitanti si stabilirono a Elafonisos nel 1850 dopo lo sradicamento della pirateria nell’Egeo. Oggi diverse centinaia di persone vivono nel piccolo villaggio di pescatori che si è sviluppato intorno al piccolo porto, a 570 metri dalla terraferma e dalla spiaggia di Pounta, una distanza coperta in una decina di minuti da frequenti traghetti. Una curiosità: nelle acque di Elafonisos ha inizio un celebre poema epico di Omero, l’Odissea. Nel suo viaggio di ritorno a Itaca Ulisse raggiunse il capo Malea, dove fu sconfitto dagli elementi della natura. Dopo aver tentato, senza successo, di entrare nello stretto di Elafonisos, l’eroe approdò nella terra dei Ciclopi.


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Ambiente e Benessere

raccolta, essiccazione, conservazione

Fitoterapia Non basta conoscere le proprietà delle piante, per usufruirne è necessario riconoscerle

Eliana Bernasconi Presto compariranno brillanti bacche rosse che coloreranno l’autunno e anche l’inverno, e che potranno essere raccolte per le loro notevoli proprietà calmanti, sedative, antispasmodiche e curative delle palpitazioni. Parliamo delle bacche del Biancospino, il cui impianto può avvenire da ottobre in poi, fino a marzo, anche perché poco dopo, da aprile-maggio, si farà ammirare e riconoscere per i suoi bei fiori bianchi a cinque petali, che altrettanto potranno essere raccolti freschi o addirittura ancora in bocciolo, per poterli poi essiccare, ma attenzione: sarà bene aver cura di proteggere le dita dalle tante spine nascoste di cui sono ricchi i rami. Le operazioni di raccolta, essiccazione, conservazione delle piante in apparenza sembrano semplici e alla portata di tutti, ma occorre procedere con un minimo di conoscenza. Fin dall’antichità i naturalisti hanno tentato di classificare le specie viventi.

Linneo, medico e botanico svedese del XVIII secolo definì le nozioni fondamentali di specie e di genere che sono valide ancora oggi: il genere è composto da numerose specie che possiedono caratteristiche comuni; i generi vicini si raggruppano in famiglie che a loro volta sono raggruppate in ordini, e gli ordini in classi, le classi in sottodivisioni e divisioni. Difficile? No, se si desidera constatare in natura basta armarsi di un buon manuale di botanica e tenerlo stretto quando si passeggia nel verde. Leggiamo in Segreti e virtù delle piante medicinali, edito da «Selezione del Reader’s Digest»: «…la lingua universalmente adottata per la nomenclatura delle piante è il latino, perché non essendo una lingua parlata non corre il rischio di degenerare. Ogni pianta ha un proprio nome scientifico, forse un po’ freddo ma ben più preciso dei nomi dialettali in uso nelle diverse regioni: Arctostaphylos uva-ursi (L.), oppure Taraxacum officinale Web sono denominazioni che lasciano perplessi tutti

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Data d’inizio Da convenire

Mansioni È co-responsabile del raggiungimento obiettivi relativi alle filiali a lui attribuite; Gestisce e collabora direttamente con un gruppo gerenti di filiale svolgendo attività di coaching, definizione concordata di obiettivi, supervisione di processi e conducendo regolari colloqui; Verifica, sviluppa e valuta annualmente le prestazioni dei gerenti; Monitora ed analizza la contabilità e gli indicatori principali; Interpreta i risultati, preparando periodici report sulla propria attività e dell’area di responsabilità; Funge da persona di riferimento tra centrale e filiali per tutti i dipartimenti aziendali; Partecipa, come project leader o membro di team, a progetti aziendali; Rappresenta l’azienda in gruppi di lavoro nazionali o all’esterno, su richiesta dei superiori. Competenze professionali Formazione accademica in ambito economico o equivalente da dirigente con specializzazione come «Capo Vendite» o «Specialista nel commercio al dettaglio»; Almeno 5 anni in ruolo direttivo nel commercio al dettaglio; Ottime conoscenze dell’italiano e tedesco, buone del francese; Spiccate competenze informatiche; Conoscenza della Legge sul Lavoro, Sicurezza sul Lavoro e igiene (HACCP); Mentalità analitica e buone doti matematiche.

coloro che chiamano queste piante rispettivamente Uva ursina e Dente di leone, ma questi nomi non vanno oltre i confini, mentre Taraxacum è comprensibile in tutto il mondo». Espressivi e commoventi rimangono pur sempre i nomi comuni popolari o derivati dal dialetto che variano da regione a regione. Le proprietà medicinali di piante ed erbe possono trovarsi nel fiore, nelle foglie, nello stelo, nelle radici, nei semi. Di alcune piante, come il Ginepro, si usano solo le bacche, della Piantaggine solo le foglie, della Rosa canina i petali. Ad esempio a maggio fiorisce il Sambuco con quel suo profumo di mandorla amara: esiste una pianta più generosa? Anche in questo caso se ne utilizzano i fiori e le bacche, ma anche le foglie e la corteccia. I primi, i fiori bianchi raggruppati a ombrello, li troviamo a ondeggiare al vento, con grazia e leggerezza durante la stagione della fioritura al margine dei boschi. Le proprietà dei fiori di Sambuco sono molte: è sudorifero, depurativo, diuretico, emolliente, benefico per le vie respiratorie, e lo si può anche cucinare in deliziose pastelle. Raccogliere delicatamente i candidi fiori per conservarli durante l’anno non è difficile, ma nemmeno facilissimo. «Innanzitutto – si legge ancora su Segreti e virtù delle piante medicinali – occorre sapere quali piante medicinali vogliamo raccogliere – la scelta di molte persone cade su quelle utili alle necessità familiari – tenendo presente che alcune non si conservano a lungo: ogni anno si raccoglie solo la quantità utilizzabile nel successivo inverno, eliminando gli avanzi dall’anno precedente. Durante le vacanze l’area delle ricerche si allarga: trovata e identificata con certezza la pianta spontanea che cerchiamo occorre adottare delle precauzioni; in fitoterapia gli errori si pagano». Mai raccogliere piante in prossimità di autostrade, strade a grande traffico, impianti industriali e campi trattati chimicamente. Per evitare il rischio che le erbe marciscano, raccoglierle solo in giorno di bel tempo, quando la rugiada è dissolta e i fiori si aprono alla luce del sole, verso le 9 e le 10 del mattino, oppure verso sera. Ricordiamo che le piante sono strettamente legate al loro ambiente vitale, cioè al loro biotopo, sfruttano le risorse naturali del terreno con le radici e quelle dell’aria con il fusto e i fiori. Nel ciclo vegetativo di ogni pianta vi è un periodo, più o meno preciso, in cui ciascuna delle sue parti contiene i principi attivi in dose ottimale. Per cui, generalmente i fusti si rac-

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e seguire i corretti procedimenti per renderle utili al loro impiego

colgono in autunno e le gemme a inizio primavera; le foglie nel periodo precedente la fioritura, i fiori e le sommità fiorite all’inizio dello sbocciamento, prima che i petali appassiscano e l’ovario dia origine al frutto; frutti secchi e carnosi si raccolgono a maturazione, i semi quando la pianta si secca, le radici si estraggono dal terreno nell’epoca di piena maturazione della pianta, in autunno e primavera, la corteccia si preleva quasi tutto l’anno. Il periodo della fioritura varia sensibilmente secondo la specie, l’altitudine e la latitudine della regione in cui ci si trova, individuata la pianta non ci si può sbagliare nella scelta della parte da utilizzare: talvolta è la pianta intera, o spesso una sola parte, come radice, fusto, foglie o fiori. Occorre partire per la ricerca preferibilmente con un coltello in acciaio, un paio di piccole cesoie, e un cestino di vimini dove riporre i mazzetti di piante e coprirli con un panno (non usare sacchetti di plastica). Più veloce è l’appassimento, più si evita il rischio della fermentazione delle erbe che vanno dunque esposte rapi-

Competenze sociali Spirito innovativo e propensione a generare nuove idee; Forte leadership nel coordinamento di gruppi di lavoro; Proprietà dialettiche e disinvoltura nell’esprimersi; Capacità di operare scelte efficaci, assumendosene le responsabilità; Elevate capacità di mediazione; Resistenza a importanti picchi di lavoro e rispetto delle scadenze. Offriamo attività lavorativa interessante e variegata, prestazioni contrattuali all’avanguardia, ambiente di lavoro dinamico. Candidature da inoltrare collegandosi al sito www.migrosticino.ch, sezione «Lavora con noi» – «posizioni disponibili» includendo la scansione dei certificati d’uso.

damente a essiccare in un luogo aerato all’ombra: l’azione del sole, pur preziosa, all’inizio è da evitarsi perché le piante ricche di essenze volatili esposte a lungo perderebbero i loro principi attivi. L’essiccazione va a eliminare la componente acquosa delle erbe: per impedire la fermentazione, la componente idrica deve ridursi del 60 per cento, e il contenuto di acqua non superare il 15 per cento. Questa disidratazione blocca i processi metabolici ed enzimatici che porterebbero alterazione. Piante delicate, come Melissa, Camomilla o Basilico vanno distese in strati sottili. Per i fiori, ad esempio si può utilizzare una rete o un graticcio, mentre per piccoli raccolti di specie aromatiche come Origano, Maggiorana, Iperico o Melissa l’essiccazione può farsi in piccoli mazzetti o ghirlande da appendere a un filo, ad esempio all’ombra di una tettoia, o, in autunno e inverno, in un ambiente protetto che funzioni da serra. È difficile prevedere i tempi di essiccazione: nelle migliori condizioni occorrono sei giorni, più spesso da dieci a dodici, contano il periodo dell’anno e la variabilità del clima. In merito alle stagioni migliori per la raccolta, portiamo qualche esempio: boccioli di Rosa canina, fiori di Acacia, Biancospino, Sambuco, Lavanda, Primula, Viola mammola si raccolgono a Primavera; le radici di Angelica, le sommità fiorite e i semi di Achillea, Luppolo, Quercia, Cumino, le bacche di Alloro e Biancospino si raccolgono in autunno; per tutto l’anno si possono poi raccogliere il Faggio, l’Abete bianco, il Pino marittimo, e il Pino silvestre, mentre difficili da essiccare sono le radici di Angelica, la Malva, i Fiori d’arancio, l’Echinacea e la Bardana.

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Bibliografia

AA.VV., Segreti e virtù delle piante medicinali, Selezione dal Reader’s Digest, 1980.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 settembre 2021 • N. 37

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Ambiente e Benessere

l’auto di serie più potente della stella a tre punte

Motori In arrivo la prima ibrida della Mercedes-AMG, si chiama GT 63 S E Performance

Mario Alberto Cuccchi Anche nel mondo dell’automobile i numeri sono il modo più semplice per valutare i prodotti. Ecco allora che leggendo 843 cavalli e soprattutto 1400 Newton metro di coppia massima si può rimanere solo a bocca aperta e ipotizzare un errore di stampa. E invece no, è tutto vero. Si chiama Mercedes-AMG GT 63 S E Performance ed è l’auto di serie più potente prodotta ad Affalterbach, il comune tedesco di 4485 abitanti, situato nello Stato del Baden-Württemberg, dove ha sede la divisione AMG. Si tratta della prima ibrida Performance della Casa tedesca e adotta un potente motore termico alimentato a benzina e posto sotto il cofano anteriore, abbinato a un propulsore elettrico posizionato posteriormente insieme alle batterie. L’otto cilindri a V biturbo è da solo garanzia di prestazioni entusiasmanti che diventano di assoluto riferimento con l’integrazione della parte elettrica. Ecco allora che interpretare i numeri traducendoli in sensazioni diventa fondamentale per comprenderli. Ma cosa è il Newton metro? La coppia è una grandezza fisica che indica la capacità di ripresa di un motore. L’unità fisica che si utilizza per misurarla è il Newton metro (Nm). La coppia è quella che ci permette di effettuare un sorpasso

più velocemente e di salire senza sforzo sui passi alpini. Ma è anche quella che ci attacca al sedile come su una vettura da corsa quando si decide di accelerare a fondo. Come si fa ad avere una buona coppia? Di solito con propulsori di elevata cubatura oppure con l’utilizzo del turbocompressore, e infine anche grazie all’abbinamento con l’elettrico che assicura coppia istantanea sin dai giri bassi. Tutti ingredienti presenti su Mercedes AMG GT 63 S E Performance che adotta tecnologie derivate dalle competizioni. «Fin dall’inizio della fase di sviluppo della nostra nuova strategia ibrida “E Performance” avevamo ben chiara la volontà di seguire per i modelli AMG un concept indipendente, capace di legare i valori centrali del nostro marchio a un alto livello di efficienza. Il layout con motore a combustione interna anteriore associato all’Electric Drive Unit sull’asse posteriore comporta numerosi vantaggi. La ripartizione del peso ottimizzata, il migliore sfruttamento della coppia o anche l’erogazione di potenza estremamente spontanea. A ciò si aggiunge la batteria High Performance sviluppata internamente, che presenta una densità di potenza raddoppiata rispetto alle batterie per autotrazione tradizionali e che, come molti altri componenti, si ispira alla tecnologia di Formula 1», ha dichiarato Jochen

Hermann, Chief Technical Officer di Mercedes-AMG GmbH. Come nella Formula 1, la batteria è dimensionata per erogare e accumulare potenza in tempi rapidi. I 12 chilometri di autonomia elettrica concedono un’utile libertà di movimento, ad esempio

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in città o nelle zone residenziali. Non troppo distanti da una vettura da Gran Premio anche le prestazioni: l’auto accelera da 0 a 100 km/h in soli 2,9 secondi, arriva ai 200 km/h in meno di dieci e continua la progressione finché non tocca i 316 km/h. «La nuova Mercedes-

AMG GT 63 S E Performance è l’auto con cui proiettiamo il nostro DNA nel futuro elettrificato», ha dichiarato Philipp Schiemer, Presidente del Consiglio di amministrazione di Mercedes-AMG GmbH. A vedere questa GT sembrerebbe un futuro interessante.

Il blu elettrico delle Alpi

Mondoverde Le genziane non si trovano

solo sui pendii delle nostre montagne ma anche in Cina e Nord America

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Le genziane, con i suoi fiori tubolari dal bel blu deciso, ci portano subito a ricordare paesaggi montani, come accade con le stelle alpine. Dal nome scientifico Gentiana, sono piccole piante erbacee tipiche per l’appunto degli habitat alpini e la loro diffusione non riguarda solo le montagne europee, bensì sono presenti, con altre specie e varietà, anche in Cina e Nord America. La Gentiana sino-ornata, ad esempio, venne scoperta nello Sichuan, in Cina, all’inizio del 1900 e spedita sotto forma di seme dallo stesso scopritore, il botanico e cacciatore di piante Alan Forrest, al giardino botanico di Edimburgo. Qui nel 1912 sbocciò la prima pianta e da essa, grazie al lavoro degli ibridatori, si sono sviluppate molte varietà, tutte caratterizzate dalla striatura bicolore lungo il tubo corollino che caratterizza il fiore. Le due strisce vanno ammirate da vicino per poter vedere l’ennesimo regalo che la natura ci offre: azzurre e bianche o celeste e verde acido, come nella varietà «Brin Form» o ancora, bianco latte e verde prato nella «Weisser Traum», un bell’esemplare bianco. Le varietà originate dalla G. sinoornata sbocciano prevalentemente da settembre in poi e non tollerano minimamente i terreni o le acque con calcare, mentre quelle a fioritura primaverile-estiva, da maggio a luglio, derivano da un’altra specie, la Gentiana acaulis, chiamata anche genzianella.

Esemplari di Gentiana sino ornata sulla Chomo Lari in Bhutan. (Marco Koomen)

Non più alte di venti centimetri, hanno la classica rosetta di foglie con margine dentellato e sono le tipiche genziane che si trovano facendo una passeggiata in alta montagna. È possibile coltivare queste piante anche in vaso o in giardino, sebbene le loro esigenze siano molte: il terreno deve essere acido, con terriccio sempre fresco, anche in estate, visto che non sopportano periodi di aridità, ma hanno bisogno di luce per poter fiorire. L’ideale è piantarle sotto la chioma di alberi decidui o anche accanto a cespugli in grado di fargli ombra nelle ore più calde dei pomeriggi estivi. Al momento della messa a dimora non va rotto il pane di terra poiché le genziane hanno radici molto delicate e se tenute in vaso è bene rinvasarle ogni anno, dividendole quando hanno raggiunto i dieci-dodici centimetri di diametro del cespo. In questo modo si mantengono sempre giovani e vengono stimolate a produrre nuovi fiori.


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Ambiente e Benessere

tra i vigneti del lazio

Scelto per voi

Bacco giramondo Oggi questa regione italiana produce circa 1,5 milioni di ettolitri di vino

su una superficie di circa 24mila ettari, per quasi la metà in provincia di Roma Davide Comoli Le immagini di una Roma godereccia e dall’animo pagano, affidate all’arte e alla letteratura, richiamano velocemente alla mente, quando si parla di un vino laziale, le antiche feste coronate da solenni bevute, con le quali innaffiare i piatti di fettuccine, porchetta e abbacchio. Le zone del Lazio più vocate alla viticoltura sono quelle alle pendici dei rilievi di origine vulcanica che grazie ai terreni lavico-tufacei danno un ottimo nutrimento alle viti. Va inoltre ricordato che molta della storia della coltura della vite e della produzione del vino nel bacino del Mediterraneo, si svolge nel Lazio e si lega in modo stretto a quella della Grecia e della Magna Grecia! La storia del Lazio vitivinicolo si caratterizza per gli alti e bassi nel corso dei secoli, attraversata da momenti più fiorenti alternati a momenti meno felici. A partire dagli anni Novanta l’enologia laziale, grazie alla riqualificazione della piattaforma ampelografica e alla riduzione delle rese per ettaro, ha fatto un grande salto di qualità. Oggi il Lazio produce circa 1,5 milioni di ettolitri di vino su una superficie di circa 24mila ettari, per quasi la metà in provincia di Roma; i vitigni a bacca bianca occupano quasi il 75 per cento del vigneto laziale. Molto merito di questo balzo qualitativo va all’ARSIAL (Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltura), con la ricerca e sperimentazione dei cloni di vitigni autoctoni come l’Angelica, l’Albarosa e il Cesanese di Castelfranco, e il recupero di varietà tipiche

di zone specifiche come la Malvasia del Lazio e i suoi cloni: il Bombino Bianco, il Bellone e il Cacchione. La base ampelografica dei vini bianchi di tutto il Lazio è data dalle Malvasie e dai Trebbiani. Tra i vitigni a bacca rossa, oltre al Ciliegiolo, Montepulciano, Merlot, Cabernet, vicino ad Anagni con il Barbera, troviamo il Cesanese, il più coltivato tra i 200-600 m s.l.m. tra le falde del Monte Scalambra e Valle del Sacco. I Trebbiani di maggior interesse per la viticoltura locale sono quello Toscano, Romano e quello Giallo. Tra le Malvasie le più interessanti sono quelle Bianca di Candia e quella del Lazio o Puntinata, così chiamata per le chiazze grigio-marrone presenti sugli acini. Un altro fattore importante per la viticoltura regionale è dato dalla produzione di pregiate uve da tavola coltivate nelle zone pianeggianti. Scendendo da Pitigliano in Toscana si entra nella zona dei Monti Vulsini, dove incontriamo il villaggio di Gradoli, patria del dolce Aleatico, prodotto anche nella versione liquoroso, un rosso dal profumo di rose rosse e frutti di bosco; ne acquistiamo qualche bottiglia per le serate con gli amici. Scendendo verso la Bolsena e il suo lago, troviamo filari di Malvasie e Trebbiani, sfioriamo le vigne di Grechetto che danno origine alla D.O.C. interregionale Orvieto e non possiamo fare a meno di salire a Bagnoregio, arroccato su un colle in perenne erosione. Il nostro viaggio prosegue verso Montefiascone nel cuore dei vigneti che producono l’apprezzato Est, Est, Est che abbiamo sorseggiato con dei ravioli ai

«Interno di una locanda romana», dipinto di Bartolomeo Pinelli, 1817 in grafite e acquerello. (Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma)

carciofi. Nella parte bassa della cittadina si erge la chiesa di S. Flaviano, ove è custodita la pietra tombale del prelato tedesco Giovanni Defuk, al quale il vino locale deve la sua internazionale fama. Prendendo la direzione di Roma, lunghe distese di vigne accompagnano il Tevere verso la capitale, a est i Monti Cimini e il Lago di Vico, a ovest la D.O.C. Vignanello che produce vini soprattutto a base di uvaggi, vini di media struttura, ottimo il Greco Bianco vinificato in purezza. La strada che ci porta a Cerveteri costeggia il Lago di Bracciano, celebre anche per la sua «anguilla alla brace», bagnata da un robusto rosso a base di Canaiolo e Barbera. Costeggiamo la fascia costiera verso Fiumicino, zona che vanta un’antica vocazione enologica: qui abbiamo trovato vini bianchi di moderata alcolicità da uve Trebbiano, Bellone, Verdicchio e rossi prodotti con Sangiovese e Montepulciano; grande il Merlot D.O.C. Cerveteri, gustato con uno «scottadito d’agnello». A sud-est di Roma, l’amico Guido, profondo conoscitore della zona, ci farà da cicerone, visitando le numerose denominazioni. I Colli Albani occupano un gruppo montuoso disposto a cerchio, il cui perimetro costituisce l’antica cresta di un immenso cratere, costellato da crateri secondari, sul fondo dei quali si sono formati dei laghi. I pendii sono ricoperti da uliveti e un’infinita estensione di vigneti. Dapprima roccaforti di alcune famiglie nobili, dal Seicento i tredici villaggi Albano, Ariccia, Castel Gandolfo, Colonna, Frascati, Genzano, Grottaferrata, Marino, Nemi, Montecompatri, Monte Porzio Catone, Rocca di Papa e Rocca Priora, con le loro splendide residenze, hanno assunto un carattere spiccatamente ozioso, fascinoso luogo di vacanze. Celebre per il suo vino bianco, il Frascati nella sua versione Superiore e Cannellino, ci ha conquistato, nonostante rimanga nell’immaginario di molti il vino da gustare nelle Osterie sparse qua e là. Marino, pure, ci ha incantati con il suo Bombino Bianco dai delicati sentori di fiori bianchi e frutta fresca, dalla cui fontana dei Quattro Mori sgorga a fiumi il vino durante la festa della vendemmia. Ad Albano Laziale (la mitica

Alba-Longa), abbiamo sorseggiato una profumatissima Malvasia di Candia, all’ombra delle mura fatte costruire nel 192 d.C. da Settimio Severo. Attraverso un mare di vigne arriviamo ad Ariccia, dove ci attende una meritata sosta gastronomica, siamo nella capitale della «porchetta» e con Guido e altri amici diamo vita a una di quelle «ottobrate» disegnate dal Pinelli (1701-1835), dove il Bombino Bianco e il Bombino Rosso, rallegrano i cuori e le anime. Non potevamo proseguire il viaggio senza scendere la tortuosa strada che porta al Lago di Nemi (lo specchio di Diana), un paesaggio campestre che ci ricorda le Odi di Virgilio e patria di deliziose fragoline di bosco. Adagiata sul versante sud del cratere dei Monti Albani, Velletri è il centro più grande dei Castelli Romani, si trova al centro di una regione coltivata a vigneto, tra le uve coltivate spiccano: il Sangiovese, il Ciliegiolo, il Merlot, il Montepulciano, che danno vini molto intensi e sottoposti ad evoluzione in legno. Più ad est, verso Frosinone, dove inizia la Ciociaria, troviamo l’importante area dell’autoctono Cesanese con le due D.O.C. Cesanese di Affile, Cesanese di Olevano Romano e la D.O.C.G. Cesanese del Piglio. Sono vini con note spesso rustiche, ma che li rende unici e riconoscibili, abbinati ai piatti della tradizione contadina. Verso il mare si apre l’Agro Pontino, le vigne qui erano già citate da Orazio e da Plinio. Tra Terracina e Anzio, con i suoi 5400 ettari questa zona in provincia di Latina è la seconda per produzione nella regione. Dopo la bonifica delle paludi negli anni 30, oggi si stanno producendo alcuni vini interessanti come il Trebbiano, il Merlot, il Sangiovese, che ricordano un po’ i vini delle regioni da cui sono provenuti i coloni che bonificarono questi luoghi. Ospiti di Mauro e Maria Rita nella loro casa immersa tra la vegetazione mediterranea, a due passi dal mare di Lavinio, gustiamo, preparati dal «patron», dei «bucatini cacio e pepe» accompagnati da un bianco prodotto con uve Viognier e Malvasia del Lazio e un’indimenticabile «coda alla vaccinara» maritata ad un ottimo Nero Buono prodotto a Cori.

Fumin ottin

Il Fumin è stato in passato uno dei vitigni più coltivati dell’Alta Valle d’Aosta. In seguito, è stato però dimenticato, per difficoltà riscontrate in vigna. Oggi è in netta ripresa per la qualità dei vini che se ne possono ottenere. Per la rubrica di questo numero abbiamo scelto il Fumin di Elio Ottin (frazione Porossan-Neyves, Aosta). Prodotto nella cantina di impronta famigliare, è un vino in cui si riscontrano le caratteristiche del terroir valdostano. Questo vino matura in legno da 20 e 30 hl per 12 mesi, il colore è un rosso porpora intenso e quello che ci colpisce sono i profumi: all’inizio forti note di frutti selvatici, more, marasche, mirtilli uniti a sentori speziati, tabacco, vaniglia, chicchi di garofano; è intenso, dai tannini morbidi e di buona persistenza. È un vino da abbinare a piatti ricchi, selvaggina, polenta concia, costoletta alla valdostana. Eccelso il Fumin provato con la tipica «Carbonade». / DC Trovate questo vino nei negozi Vinarte al prezzo di Fr. 17.60. Annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere

Insalata olivier, o della capitale Nel 2005, in uno dei miei primi articoli su «Azione», vi parlai di un piatto da me amato: l’insalata russa. Approfondiamo. Fermo restando che i miei piatti del cuore sono a base di carne di manzo o riso, l’insalata russa si avvicina a esserlo. Non so bene perché. Da piccolo, in casa piaceva a tutti, ma proprio a tutti, grandi e piccini, quindi veniva preparata spesso. Certo, un’insalata russa è un piatto ben nutriente, più che mai se seguito da un primo di pasta e riso, da un secondo e poi da un dolce anche se leggero: ma all’epoca si mangiava di più e quindi andava bene. D’estate soprattutto, al mare, in dosi gigantesche – e con la maionese rigidamente in barattolo – veniva spazzolata.

Olivier era il nome del cuoco belga, patron a Mosca attorno al 1860 del celebre ristorante Hérmitage È un piatto dalla storia curiosa: lo sono (quasi) tutte le storie dei piatti, ma alcune di più. Anni or sono, un luogo comune della cucina voleva che fosse un piatto bizzarro perché in Italia si chiamava russa, in Russia italiana, mentre era un piatto… francese. Ma allora queste storie di primogenitura e di semantica dei nomi dei piatti non mi interessavano. A vent’anni, in vacanza a Mosca, eravamo sei amici, la cercai. Anche tenuto conto che nei pochi ristoranti per stranieri l’inglese era lingua ignota, solo elencando gli ingredienti utilizzati, qualcuno disse: ah, l’Olivier, ma non compariva nei menù. Solo in un ristorante dissero: ah, la stolichny salad! Ma nessuno la conosceva come russa. Pazienza, mangiai la stolichny – ma quella di casa era più buona. La spiegazione: Olivier era il nome

del cuoco belga patron a Mosca attorno al 1860 di un celebre e ricco ristorante, che si chiamava Hérmitage. Lui la inventò. La versione primigenia fu a base di grouse (gallo cedrone), – anche se a volte utilizzava pernice, testina o nervetti – gamberi, patate, cetrioli, lattuga, capperi, olive e maionese, fatta con olio di Provenza. Ebbe un successo immane, e in poco tempo tutti i buoni ristoranti russi la proposero, cambiando a piacere gli ingredienti; solo la maionese alla fine era canonica. Dopo la rivoluzione continuò ad essere preparata, ma per evitare di chiamarla con il nome Olivier, che a quel punto era troppo compromettente, la ribattezzarono salat (in russo è maschile) stolichny – vuol dire della capitale, capitolino. Oggi non so come è chiamata. La faccio spesso, sempre per una versione semplificata e la chiamo Olivier. Ah, in linea di massima, utilizzo maionese in barattolo, come da tradizione famigliare. Permettetemi di condividere la ricetta con voi. Insalata Olivier detta russa (con ingredienti per 6 persone). Ammorbidite 6 filetti di aringa salata in 2 dl di latte per 1 ora, sgocciolateli e asciugateli bene. Pelate 1 mela, tagliatela a cubetti e irrorateli con poco succo di limone. Cuocete a vapore 300 g di patate, levatele, spellatele e tagliatele a dadi. Sbollentate 200 g di pisellini sgranati, 150 g di carote mondate e tagliate a dadini e 150 g di fagiolini spuntati e tagliati a pezzi, fermandone la cottura in acqua e ghiaccio, così da conservare il colore. Emulsionate 12 cucchiai di maionese industriale con 1 cucchiaio di senape: ma se volete farla voi nel frullatore, nessun problema, che sia però bella densa e senapata. Mescolate le verdure con la maionese, unite 2 cucchiai di capperini dissalati, 150 g di funghetti sott’olio ben scolati e divisi a metà, i cubetti di mela e i filetti di aringa a pezzettini. Coprite con pellicola e tenete in frigorifero per almeno 24 ore. Servitela dopo averla riportata a temperatura ambiente per 30 minuti.

cSF (come si fa)

José Nicdao

Allan Bay

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Gastronomia Nota da noi con il nome di insalata russa, ognuno la fa un po’ come gli viene, basta ci sia la maionese

Come la volta scorsa, due poke a base non di riso ma di altri cereali. Vediamo come si fanno. Poke di orzo con manzo al miele (con ingredienti per 4 persone). Tagliate 500 g di filetto di manzo a cubetti e irroratelo con olio e 1 cucchiaio di salsa di soia. Unite 1 cucchiaio di miele e 1 cucchiaino di aceto di mele, mescola-

te, coprite e lasciate marinare a temperatura ambiente per 1 ora. Tagliate 2 cipolle al velo e stufatele in una padella per 10 minuti con poca acqua, poi fate intiepidire. Scolate i cubi di manzo dalla marinata, asciugateli e scottateli sulla griglia ben calda su tutti i lati. Metteteli su un largo piatto, copriteli con pellicola ben tesa e lasciateli riposare per 10 minuti. Nel frattempo, mescolate 120 g di pomodorini tagliati in 4, 1 cetriolo tagliato a rondelle e 2 peperoni gialli tagliati a julienne. Unite le cipolle e condite con un filo di olio, regolate di sale. Componete le ciotole mettendo sul fondo 300 g di orzo lessato, scolato, intiepidito e condito con olio e pepe. E sopra, alternate la carne e le verdure. Preparate un’emulsione con 2 cucchiai di salsa di soia, 1 cucchiaio di miele, 2 cucchiai di olio e il

succo di 1 limone spremuto e distribuitela sui poke. Poke di cuscus, vitello e verdure (per 4 persone). Tagliate 500 g di vitello a straccetti. Disponetelo in un piatto e conditelo con olio, sale e pepe. Pulite 120 g di carote, altrettante zucchine, 80 g di pomodori datterini e tagliate le carote e le zucchine a bastoncino e i pomodori a metà: condite con olio, sale e aceto di mele. Mescolate con una forchetta 300 g di cuscus precotto con il doppio in peso di brodo vegetale caldo; lasciate che assorba tutto il brodo mescolando ogni tanto. Conditelo con olio e pepe e sgranatelo al meglio. Componete le ciotole, strofinate con aglio se volete, mettendo sul fondo il cuscus e alternando gli straccetti di vitello e le verdure. Servite i poke con salsa tartara a parte.

Ballando coi gusti Oggi, due polpette: le prime a base dell’onnipresente merluzzo, le seconde di «spirito» asiatico.

Polpette di merluzzo con maionese

Polpette di maiale all’asiatica

Ingredienti per 4 persone: 250 g di polpa di merluzzo · 150 g di mollica di pane · maionese · 1 uovo · foglie di salvia · un cucchiaio di prezzemolo tritato · un pizzico di noce moscata · 1 bicchiere di latte tiepido · 50 g di burro morbido · olio per friggere · sale e pepe.

Ingredienti per 4 persone: 200 g di salsiccia di maiale sbriciolata · 150 g di patate

Spezzettate il pane e mettetelo in una ciotola. Versate il latte tiepido e lasciate che il pane lo assorba. Mettete in una casseruola 2 dita di acqua leggermente salata e acidulata con poco succo di limone. Cuocete il pesce per 4 minuti e raffreddatelo leggermente. Nel bicchiere del frullatore mettete la polpa di pesce lessata, il pane ben strizzato e il burro morbido. Frullate a intermittenza. Versate il composto nella ciotola e unite una buona presa di sale, il prezzemolo, l’uovo leggermente battuto e la noce moscata. Impastate: se l’impasto dovesse risultare troppo morbido unitevi poca farina bianca. Modellate le polpette di forma ovale e schiacciatele leggermente. In una padella scaldate l’olio, mettetevi le polpette e fatele dorare su entrambi i lati. Ponetele su un piatto da portata caldo e servitele immediatamente, nappate con la maionese. Accompagnate con patate novelle cotte a vapore.

dolci lessate · 50 g di mollica di pane bagnata in acqua bollente e strizzata · 1 gambo di sedano · 2 cipollotti · 1 cucchiaio di zenzero fresco tritato · semi di sesamo nero · burro · 3 cucchiai di salsa di soia · sale. Per la salsa di accompagnamento: 150 g di maionese · 1 cucchiaino di vermut · 1 punta di wasab. Pulite i cipollotti e il gambo di sedano e tritateli. Versateli in una padella con 20 g di burro e rosolateli. Aggiungete la salsiccia sbriciolata e la salsa di soia. Cuocete per 5 minuti mescolando. Fuori dal fuoco unite la mollica di pane, l’uovo e la polpa di patata dolce frantumata e lo zenzero. Regolate di sale e pepe e mescolate fino a formare un composto omogeneo. Con l’aiuto di due cucchiai formate le polpette, bagnatele leggermente e ricopritele di semi di sesamo. Disponetele sulla carta da forno leggermente unta di burro. Cuocete in forno a 160° per 20 minuti. Mescolate gli ingredienti per la salsa e trasferitela in ciotoline. Servite le polpette calde con la salsa a parte.


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Idee e acquisti per la settimana

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Tutti i cerotti M-Plast Comfort aderiscono bene, sono traspiranti e sono comodi da portare. Ciò è dovuto al materiale morbido e flessibile utilizzato. I cerotti sono senza lattice, elastici e non si attaccano alla ferita.

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Ambiente e Benessere

Cavallo: una cultura da conservare e tutelare

Mondoanimale Al via la decima edizione di una festa dedicata ai cavalli ticinesi

Maria Grazia Buletti «Cavallo: una cultura da conservare e tutelare», questo è il motto della decima edizione della Giornata cantonale del cavallo in calendario sabato 23 ottobre 2021. Questo particolare e «ingombrante» animale esercita da sempre un fascino indescrivibile sull’essere umano. Suo compagno e grande amico in una relazione che affonda le proprie radici nella notte dei tempi, esso lo ha affiancato nella vita quotidiana, nel lavoro agricolo, nella caccia, ha servito negli eserciti, è stato impiegato come mezzo di trasporto e, in tempi più recenti, è stato promosso a compagno del tempo libero. «Negli ultimi cinquemila anni questo maestoso animale ha avuto un ruolo di vitale importanza nell’evoluzione della società umana. Oggi è apprezzato a livello planetario soprattutto per il suo impiego nello sport e nel tempo libero, ma il suo fascino misterioso continua a sedurre l’uomo che tuttavia è andato man mano perdendo quella conoscenza della specie equina che gli era del tutto palese sino agli inizi del Novecento». A parlare è la presidente della Federazione ticinese sport equestri (Ftse), Ester Camponovo, che sottolinea come questo sapere sia andato scemando negli anni, complici lo sviluppo della tecnica e il progresso nella meccanizzazione.

«Possiamo dire che si tratta di un vero e proprio patrimonio dell’umanità che per non andare disperso merita di essere protetto al pari di ogni altro bene culturale», afferma Camponovo che per questo dice di poter definire a pieno titolo il cavallo come «una cultura da tutelare»: «Stiamo parlando di un animale che nel sangue, nel cuore e nella mente ha sconfinate praterie, che necessita di muoversi in continuazione e che, nonostante ciò, ha sempre dimostrato grande spirito di adattamento accanto all’uomo che lo ha traghettato nelle sue evoluzioni socioculturali». Sappiamo che oggi la pratica dell’equitazione non si arresta alle porte della scuderia, ma si estende al territorio circostante e in particolare alla campagna cui questo animale appartiene per natura: «Il suo suolo naturale è il terreno che più si addice all’anatomia e alle andature dell’animale stesso. Un terreno che è attraversato da ostacoli artificiali sempre maggiori. Pensiamo all’asfalto, alle barriere architettoniche, al traffico stradale e ai divieti di circolazione che si aggiungono agli ostacoli naturali come frane e piante sradicate che si possono incontrare cavalcando sui sentieri». Proprio il territorio pare essere il centro del problema da considerare in merito alla sopravvivenza stessa del cavallo, territorio che nel nostro Cantone è relativamente ristretto: «Le aree riservate allo svago e al tempo libero

Gerard ter Borch, Horse Stable (circa 1652-54), olio su pannello. (Getty Centre, Los Angeles)

sono frequentate e condivise da diverse utenze, delle quali quella equestre è una categoria di relativa minoranza». Malgrado questa realtà, la Ftse auspica e mantiene vivo un dialogo con tutti i fruitori del territorio, promuovendo un inserimento armonioso e costruttivo del cavallo nel contesto: «Pensiamo ai cacciatori, pescatori, ciclisti, escursionisti, persone che passeggiano sole o con i propri cani: tutti sono parte a buon diritto delle preziose risorse territoriali e naturalistiche che la nostra regione offre e con tutti è possibile la reciproca convivenza». La Ftse invita dunque alla reciproca conoscenza, al dialogo e al raggiun-

gimento di soluzioni condivise, per una convivenza felice fra tutte le persone e le categorie che occupano spazi comuni sempre più esigui a causa dell’urbanizzazione incombente. Insieme al comitato del sodalizio che si premura di diffondere la conoscenza di questo particolare mondo, oggi a torto ritenuto di nicchia, la presidente Camponovo vede comunque il bicchiere mezzo pieno: «L’invito al dialogo, per conoscere e integrare meglio le esigenze del cavallo sul nostro territorio, è pure stato raccolto dalla politica che pare rispondere a un bisogno della popolazione sul tema specifico e, di conseguenza, dimostra una crescente sensibilità».

Si tratta di portare avanti con particolare cura questo dialogo con le autorità: «È essenziale per rapporto alla necessità di sviluppare una strategia territoriale che tenga conto delle necessità del transito equestre». La Ftse auspica quindi che si prenda sempre più coscienza di una problematica che oggi non è più sottovalutabile, nella visione d’insieme della pianificazione della rete escursionistica. Parimenti, per voce della sua presidente, la Ftse dice: «Confidiamo nell’intensificazione del dialogo con la classe politica che ci rappresenta, e con le autorità preposte cui la cittadinanza ha affidato i compiti di pianificazione e gestione del territorio». Una regione, il Ticino, che dunque appartiene pure al cavallo che la abita da sempre, come ci è stato più volte ribadito. Per dare risonanza al tema del cavallo come cultura da conservare e tutelare, la Ftse propone per il decimo anno una giornata dedicata: «Sabato 23 ottobre si potranno visitare parecchie strutture equestri di tutto il canton Ticino, scuderie dove si potrà conoscere questa realtà nell’ambito di una giornata conviviale e bucolica». Informazioni

La manifestazione avrà luogo con qualsiasi condizione meteo e la lista delle strutture aderenti è consultabile sul sito www.equiticino.ch.

Giochi

vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku

Cruciverba Se un animale è xilofago… Termina la frase leggendo, a cruciverba risolto, le lettere evidenziate. (Frase: 4, 4, 3, 6, 2, 5)

orIZZontAlI 2. Aggettivo possessivo 5. Nome femminile 10. Le iniziali dell’attore Roncato 12. Epoche della Terra 14. Complesso polifonico 15. Esprime dubbio 17. Inizia a giugno 19. Il noto Della Vigna 21. Sacri nell’antico Egitto 23. Ambiente buio e tetro 25. Le iniziali dell’attore Oldman 26. Fanno rima ... con ma 27. Prima moglie di Giacobbe 29. Una fase del sonno 30. Un articolo 31. Barra meccanica 32. Per l’appunto! 33. Figlio di Anchise e Afrodite 34. Di nove... vocali verticali 1. Arrossamento improvviso del volto 3. Le iniziali dello scrittore Eco 4. Le figlie di Zeus 6. Suo padre costruì un famoso labirinto 7. Elargite dalla natura 8. Desinenza verbale 9. Due vocali 11. Pioggia a Londra 13. Si distingue all’alba 16. Esso in olandese 18. I romani la indossavano sopra la tunica 20. Iniziali del 40° presidente USA 22. Spiegare senza parlare 24. Verdi anche se mature 26. Abbreviazione ecclesiastica 28. Lo... spagnolo 29. Satellite di Saturno 31. Nome femminile 32. In genere... sono estremi

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regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

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I premi, cinque carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.

Partecipazione online: inserire la

soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la

Sudoku Soluzione:

Scoprire i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.

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Soluzione della settimana precedente

BUONO A SAPERSI – Il miele è uno dei pochissimi… Resto della frase: …ALIMENTI CHE NON SCADE MAI. A L T I G E N O F C T E L O Z A N E I N E D O R E M E N R I

M A T I R H E R O N E R D C A T O R I N E C O

E N S O N E D D O O C A R V A T I

soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 6315, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza

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sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 settembre 2021 • N. 37

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Politica e economia l’America divisa sull’aborto La legge contraria alla pratica varata dal Texas è l’ultima tappa di un conflitto infinito pagina 27

le guerre per l’acqua Le Nazioni unite stimano che attorno a laghi e fiumi transfrontalieri siano sorti oltre duecento contenziosi

la strana «storia» di Putin Il presidente, trasfigurando il passato, mira a ricreare il mito di una Russia forte e gloriosa

costi fuori controllo Nell’Amministrazione federale cresce il numero dei dipendenti e pure i salari aumentano

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pagina 31 Khalil Haqqani (al centro), il nuovo ministro dei Rifugiati talebano, è nella lista dei terroristi internazionali dell’Onu, visto che è il referente di Al Qaeda all’interno dell’organizzazione. E non è il solo. (Shutterstock)

Uno schiaffo all’occidente

Afghanistan Il nuovo Governo talebano è una cricca di terroristi legata a doppio filo al Pakistan e alla Cina.

Mentre il mondo resta a guardare, nuvole sempre più dense oscurano le prospettive future Francesca Marino Il dado è tratto. E, data la sua particolare conformazione fisica, è come tutti i dadi particolarmente difficili da mandare giù. I talebani, la nuova, riformata e amichevole versione 2.0 delle feroci «bestie» degli anni Novanta, ha annunciato finalmente la formazione del nuovo Governo. Che, sorpresa, è esattamente identico a quello dei vecchi talebani. Anzi, è composto per buona parte da vecchi combattenti dei bei tempi in cui regnava il mullah Omar (amico di Osama Bin Laden). E per intero da terroristi. A partire dal primo ministro, il mullah Hassan Akhund, vecchio compagno di merende del mullah Omar che è da anni sulla lista dei terroristi degli Stati uniti e dell’Onu. Così come il nuovissimo ministro degli Interni, Sirajuddin Haqqani, su cui pende una taglia di 5 milioni di dollari della Cia. Per intenderci, Akhund è il signore che ha ordinato, tra le altre cose, la distruzione dei Buddha di Bamiyan, mentre Sirajuddin Haqqani, promosso a editorialista dal «New York Times», è a capo della rete più efferata e mercenaria di attentatori suicidi di cui si abbia notizia. Lo zio di Sirajuddin, Khalil Haqqani, è stato promosso a ministro dei Rifugiati: inutile dire che anche Khalil, come Sirajuddin, trova posto

nella lista dei terroristi internazionali delle Nazioni unite visto che è il referente di Al Qaeda all’interno dell’organizzazione. Legato agli Haqqani è anche il vice-capo dell’intelligence, che dirigeva il «Kabul attack network»: un’organizzazione composta da membri di varie organizzazioni jihadiste che avevano il compito di effettuare attentati nella capitale afghana. Tra i ministri anche il figlio e il fratello del mullah Omar, rispettivamente alla Difesa e ai Lavori pubblici, e Abdul Haq Wasiq, che sotto i «vecchi» talebani dirigeva il coordinamento dei campi di addestramento di Al Qaeda e degli stessi talebani. Particolari interessanti: una manciata dei nuovi ministri è stata a lungo ospite delle patrie galere, 17 dei nuovi ministri sono tra i terroristi designati dall’Onu, un paio hanno soggiornato a Guantanamo. Mentre almeno 6 dei ministri del nuovo Governo afghano hanno studiato in Pakistan, nella famigerata madrasa Jamia Haqqania, la madrasa di Peshawar dove, tanto per capirci, si è laureato il fior fiore della jihad afghana e dove i talebani hanno mosso i loro primi passi di «studenti di teologia». Non è un caso, difatti, che sia stato il ministro degli Interni pakistano, e non un portavoce dei talebani, ad annunciare giorni fa l’imminente formazione del nuovo Governo. E che

il Governo in questione sia stato formato soltanto dopo che il generale Faiz Hameed, capo dell’Inter service intelligence (i servizi segreti pakistani), era arrivato a Kabul. Installandosi all’Hotel Serena, da dove diffondeva immagini sorridenti mentre beveva una tazza di tè in compagnia di diplomatici vari. E da dove ha diretto le trattative che negoziavano un ruolo di rilievo per gli Haqqani nel nuovo Governo. Un Governo che sembra accuratamente formato per dare un ulteriore schiaffo morale allo sconfitto Occidente e per tutelare gli interessi geostrategici di Islamabad e della Cina. I cosiddetti moderati, come Baradar (cognato del mullah Omar), hanno ottenuto posti di relativo secondo piano mentre il bottino è andato tutto ai talebani duri e puri, a quelli cioè con legami più stretti con l’Isi di cui sopra. Con buona pace di tutti i sostenitori del mito dei «nuovi» talebani e del principio secondo il quale bisognerebbe giudicare dai fatti i nuovi/vecchi padroni dell’Afghanistan. I fatti sono davanti agli occhi di tutti, così come le implicazioni a dir poco surreali del nuovo Governo afghano. Sarà disposta la Cia, nel quadro della famosa lotta al terrorismo, a condividere informazioni di intelligence con Sirajuddin Haqqani su cui pende una taglia della stessa agen-

zia? E che dire di un vertice tra lo stesso Haqqani e la sua controparte americana Blinken? O di Akhund che prende posto all’Onu? Le domande sul tappeto sono molte e tutte inquietanti. C’è stato un accordo tra Usa e Pakistan perché fosse lasciata mano libera ai servizi pakistani? Visto che, dall’Hotel Serena, Faiz Hameed dirigeva e coordinava anche l’avanzata dei talebani verso il Panjshir. Dall’arrivo dell’ineffabile generale, infatti, il bastione di resistenza di Ahmad Massud e di Amirullah Saleh è stato attaccato con tutta la forza degli equipaggiamenti lasciati dagli americani ai talebani. A bloccare l’accesso alla valle è stato inviato il reparto speciale di quei Badr 313 equipaggiati come i militari statunitensi. Pochi si ricordano che la brigata speciale è figlia di quella Brigata 313 comandata da Ilyas Kashmiri. Una brigata d’assalto che raccoglieva il meglio di talebani, Al Qaeda e di vari gruppi terroristici pakistani. Denominatore comune? Tutti gestiti dall’Isi. Al Panjshir sono stati bloccati gli approvvigionamenti di viveri e medicine, gli abitanti sono stati uccisi a sangue freddo, i villaggi rasi al suolo. Con l’aiuto, messo in evidenza da svariate fonti sul campo e alla fine confermato da una fonte di Centcom (il comando centrale delle forze armate degli Stati uniti) a «Fox News», di eli-

cotteri e droni delle Forze speciali pakistane. Che del doppio e triplo gioco con salto mortale carpiato hanno fatto, sin dai bei tempi di Hamid Gul e dopo di Musharraf, la loro cifra stilistica. L’Occidente continua a far finta di nulla, ostinandosi a credere allo spauracchio del nucleare pakistano che potrebbe finire in mano ai terroristi. Senza prendere atto della circostanza che la bomba pakistana è già in mano alla più grossa organizzazione terroristica del mondo: l’Isi. Che della creazione e gestione di gruppi terroristici ha fatto, fin dalla nascita del Pakistan, il suo mezzo privilegiato di politica estera. E che ora, secondo gli afgani che da giorni protestano in piazza contro Islamabad, ha di fatto completato con successo l’invasione dell’Afghanistan per mezzo dei talebani. Mentre, a livello diplomatico, porta avanti l’abituale narrativa: bisogna sostenere Islamabad, dando denaro al Governo, perché accolga i rifugiati. Denaro che finirà, come è successo in tutti questi anni, dritto nelle tasche dei generali che sono ormai padroni della maggior parte dei terreni edificabili al confine con l’Afghanistan (in combutta con i cinesi) e che estenderanno il loro business anche dall’altra parte del confine. Sotto l’egida sinistra del China Pakistan economic corridor già benedetto dai talebani.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 settembre 2021 • N. 37

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Aborto: la guerra infinita Usa La recente legge contraria alla pratica varata dal Texas, che altri Stati vogliono imitare,

è l’ultima tappa di un conflitto combattuto da due Americhe con idee sempre più distanti Federico Rampini La guerra sull’aborto è molto più antica della guerra in Afghanistan. La recente legge anti-abortista varata dal Texas – che altri Stati governati dai repubblicani vogliono imitare – è solo l’ultima battaglia di un conflitto senza fine. Per capirlo consiglio un serie televisiva di qualità, Mrs America. Cate Blanchett vi interpreta il ruolo di una celebre donna di destra che guidò la battaglia contro l’Emendamento sulla parità dei diritti. È una storia vera, ambientata negli anni Settanta. L’America era rivoluzionata da tanti movimenti nuovi, il femminismo era uno di questi. Un’altra America si sentiva minacciata nei suoi valori fondamentali, a cominciare dalla religione e dal sistema di valori morali tradizionali. L’aborto era già allora uno dei terreni di scontro più esplosivi. È passato mezzo secolo, le due Americhe continuano a combattersi, ogni tanto una parte segna una vittoria mentre l’altra soffre, insorge e prepara la rivincita. I rapporti di forze sono cambiati, ma meno di quanto si creda. Una maggioranza di americani oggi vede con favore il diritto delle donne all’interruzione di gravidanza, però questa maggioranza schiacciante in alcune parti del Paese diventa minoranza in altre. C’è stato un revival religioso tra i giovani. Le donne rimangono divise e c’è tra loro una robusta percentuale di credenti, convinte che l’aborto sia l’assassinio di un essere vivente. Le frontiere cambiano anche a seconda di come si pone la domanda. Le versioni estreme della crociata anti-abortista – quelle che impongono, per esempio, di portare a termine la gravidanza anche in caso di stupro o incesto – hanno il sostegno solo di una minoranza fanatica (ma militante). Lo stesso vale per le punte più radicali del femminismo, quelle che sostengono che solo le donne possono decidere, e che un aborto dev’essere legale anche fino alla vigilia del parto.

Intanto affluiscono donazioni per consentire alle cliniche del Texas di continuare a praticare aborti e affrontare cause La guerra infinita è complicata dalle peculiarità del sistema politico. Il federalismo consente alle due Americhe di allontanarsi sempre più l’una dall’altra, anche su leggi fondamentali che regolano il vivere civile. Il ruolo dei

Proteste a Houston, Texas: «Non è proprietà dello Stato (il mio corpo)», «Tieni i tuoi rosari lontani dalle mie ovaie». (Shutterstock)

tribunali, in particolare del più potente che è la Corte suprema, accentua anche la politicizzazione delle nomine giudiziarie. L’ultimo capitolo di questa storia, quindi, ci consente una sola certezza: non sarà l’ultimo. La Corte suprema – attaccata duramente da Joe Biden – non ha voluto bloccare una nuova legge del Texas, che pertanto è entrata in vigore: vieta l’interruzione di gravidanza nella stragrande maggioranza dei casi dopo la sesta settimana dal concepimento. È la norma più restrittiva, da quando nel 1973 la stessa Corte suprema affermò il diritto costituzionale delle donne all’aborto. Altri Stati del sud, come Georgia e Mississippi, avevano già regole molto dissuasive ma il Texas le supera tutte e ora diventa «il modello da imitare», a destra. L’interruzione di gravidanza diventa impossibile non appena è percepibile un’attività cardiaca dell’embrione, prima ancora che questo sia un feto. Tra le rarissime eccezioni non figurano i casi di stupro o incesto; sono esentate solo madri che rischiano la vita o danni irreparabili alla salute qualora portino a termine la gravidanza. Tra le obiezioni – che non vengono solo dal fronte abortista più intransigente – ce n’è una di buonsenso: alla sesta settimana molte donne non sanno neppure di essere incinte. La conseguenza pratica di

questa norma texana è che molte donne di quello Stato dovranno cercare in altre parti degli Stati uniti cliniche per gli aborti; oppure cercheranno soluzioni «fai-da-te» acquistando farmaci online. Come sempre queste restrizioni finiscono per pesare in modo sproporzionato sulle donne più povere. La costituzionalità della legge del Texas è dubbia e la Corte suprema non ha ancora detto l’ultima parola in proposito: per ora il massimo tribunale d’America ha evitato d’intervenire d’urgenza bloccandone l’entrata in vigore, è su questo che Biden l’ha attaccata. Il precedente della sentenza «Roe vs Wade» del 1973 è importante, non sarà facile per il massimo organo costituzionale rinnegare se stesso avallando un ritorno indietro di mezzo secolo. Però i legislatori repubblicani del Texas hanno costruito la nuova legge in modo abile per tentare di schivare la bocciatura per incostituzionalità. Hanno infatti evitato di attribuire qualsiasi ruolo anti-abortista allo Stato locale o a esponenti dell’Amministrazione pubblica. La legge attribuisce invece ad ogni privato cittadino il diritto di fare causa: chiunque in Texas, animato dalle proprie convinzioni morali e religiose, può trascinare in tribunale un medico abortista, il personale infermieristico che lo assiste, perfino il tassista che trasporta la donna in cli-

Donne punite con il carcere dal Messico a San Marino L’aborto non fa discutere solo negli Stati uniti. Un punto a favore della pratica, della dignità e libertà delle donne è stato segnato in Messico martedì scorso. La Corte suprema del Paese latinoamericano ha infatti decretato che criminalizzare l’interruzione di gravidanza è un atto incostituzionale. Ma facciamo un passo indietro. In ventotto dei 32 Stati messicani sono ancora in vigore norme che puniscono l’aborto. La Corte suprema è stata chiamata a riunirsi per valutare la costituzionalità dell’articolo del Codice penale dello Stato di Coahuila de Zaragoza, nel nord del Messico, il quale condanna le donne che decidono di abortire (e chi le aiuta) con pene fino a tre anni di reclusione. L’articolo, come detto, è stato bocciato all’unanimità dai giudici. E la sentenza ha portata nazionale poiché non invalida sola-

mente il Codice penale dello Stato in questione, Coahuila, ma crea un precedente vincolante per tutti i tribunali messicani. La decisione stabilisce infatti dei «criteri obbligatori per tutti i giudici del Paese», costringendoli ad agire allo stesso modo in casi simili, come ha affermato il presidente dell’Alta corte Arturo Zaldivar. L’aborto è un reato punibile con il carcere (dai 3 ai 6 anni) anche a San Marino, un micro-Stato all’interno del territorio italiano. Non importa quale sia il motivo della decisione della donna (stupro, malformazioni del feto oppure pericolo di morte compresi quindi). Ma la situazione potrebbe cambiare, grazie a un referendum promosso dal comitato Unione donne sammarinesi (Uds). La popolazione (circa 33’600 anime) è chiamata ad esprimersi in merito il prossimo 26 settembre. Gli

articoli del Codice penale che di fatto mettono fuori legge l’interruzione di gravidanza (153 e 154) risalgono al 1865, sottolinea l’Uds. Sono stati confermati in epoca fascista, come in Italia è stato confermato il Codice Rocco (Codice penale italiano) e riconfermati nel 1974. Poi Roma nel 1978 ha regolamentato l’aborto (Legge 194) e San Marino – dove le correnti e le forze politiche di stampo conservatore e cattolico sono molto forti per tradizione – si è girato dall’altra parte: le norme restrittive sono rimaste pur senza portare a condanne, di cui non si ha memoria recente. Speriamo in un cambiamento di rotta. Intanto l’ Unione donne sammarinesi ha spiegato di aver scelto la strada del referendum dopo diciotto anni di tentativi falliti per depenalizzare la pratica. / Romina Borla

nica, e chiedergli diecimila dollari di danni. Le cause anti-abortiste vengono privatizzate e così il Texas spera di sottrarle alla Corte suprema. Questa peculiarità della legge ha consentito anche una controffensiva della sinistra: dalle zone ricche e democratiche (California, New York) affluiscono donazioni per consentire alle cliniche del Texas di continuare a praticare aborti e di affrontare le inevitabili cause. Il vero terreno di scontro è la Corte suprema, che dovrà pronunciarsi sulla sostanza. Il tribunale costituzionale è molto spostato a destra, grazie alle ultime nomine effettuate da Donald Trump, e i repubblicani vi godono di una maggioranza netta. I giudici designati da Trump avevano in passato preso posizioni che lasciano ben sperare il movimento anti-abortista. Biden, pur cattolico praticante e legato a papa Francesco, ha preso una posizione netta di condanna della legge del Texas. Questa vicenda aiuta a capire la sintonia dei fondamentalisti protestanti con Trump, un presidente al quale chiedevano quasi una sola cosa: nominare i giudici «giusti» all’Alta corte. La guerra infinita tra le due Americhe è andata in scena anche in un rovente scambio di battute fra la portavoce di Biden e un giornalista. «Lo so che lei non ha mai dovuto fare quelle scelte. Lei non è mai stato incinta. Ma per le donne, che devono affrontare queste scelte, è una prova difficile». Così Jen Psaki, direttrice della comunicazione della Casa bianca, ha zittito il giornalista Owen Jensen della Tv cattolica Ewtn che durante la conferenza stampa aveva contestato la posizione del presidente sull’aborto. «Perché il presidente sostiene l’aborto – aveva detto il reporter – mentre la sua stessa fede cattolica insegna che è moralmente sbagliato?» La risposta di Psaki è stata sferzante. Nella sostanza: sei un uomo quindi non puoi capire, e noi donne siamo stufe di sentirci dare lezioni di morale, di religione, da chi non affronta mai le stesse prove. Psaki è una veterana nel mestiere della comunicazione politica alla Casa bianca; ebbe diversi incarichi simili nelle due presidenze di Barack Obama. Nella biografia che lei stessa ha messo sui social media si descrive come «mamma-lavoratrice di due piccoli esseri umani». Non tutti i democratici hanno apprezzato il suo intervento: se solo le donne possono pronunciarsi sull’aborto, anche a papa Francesco verrebbe tolta la parola.

Politica e economia Fra i libri di Paolo A. Dossena GIorGIo GAllI, Le ribelli della storia. Baccanti, gnostici e streghe: i vinti della storia e la loro eredità, Shake edizioni, versione kindle, 2021 Di queste misteriose donne, Giorgio Galli ed io parlammo anche nel Natale del 2020. Il grande politologo italiano voleva informazioni su Laura Eisenhower, nota anche come alchimista e «storica galattica». Galli scomparve due giorni dopo, ma chi fossero queste donne – le grandi sconfitte della storia – il professore me lo aveva spiegato bene, al punto che su questi temi avevamo scritto insieme anche un saggiointervista. Tornando a Le ribelli della storia, si tratta della versione digitale, supportata da kindle, aggiornata e riveduta di Occidente misterioso (1987), ripubblicato nel 1995 come Cromwell e Afrodite. Dunque Le ribelli della storia vengono da lontano e trovano un contraltare in un altro libro del professor Galli: Hitler e il nazismo magico, uno studio speculare a quello delle culture alternative femminili. Galli così spiegò questa dicotomia: «La rivoluzione scientifica e il razionalismo illuminista hanno schiacciato ed emarginato modi di conoscenza che hanno antiche radici nella storia umana e che sono state di volta in volta variamente definite come magia, stregoneria, occultismo, esoterismo, ermetismo, astrologia, alchimia. Espressioni di modi di essere e di tentativi di approccio alla realtà che hanno caratteristiche differenziate, ma che la cultura egemone classifica sotto il comune denominatore dell’irrazionalità». Queste culture tentano costantemente di riemergere. Quelle volte a far acquistare un’eccezionale potenza e a stabilire ferree gerarchie riappaiono come componenti di quel complesso e variegato fenomeno che è il nazismo. Quelle libertarie ed egualitarie si sono manifestate anche con Le ribelli della storia del mondo delle origini. Galli ipotizzò, infatti, l’esistenza di un matriarcato preistorico, che cominciò ad essere emarginato con la Grecia della democrazia ellenica. Atene democratica trionfò, con l’affermarsi di una cultura artigiana e mercantile improntata a principi di razionalità, sconfiggendo «l’irrazionale», in questo caso reincarnatosi in amazzoni e baccanti. La stessa battaglia si ripresentò nell’Europa cristiana, che si scontrò con lo gnosticismo, in parte intrecciato coi movimenti ereticali. La vittoria sullo gnosticismo origina la grande Chiesa di Roma, religione senza sacerdotesse. La Riforma prima (1517) e lo Stato moderno poi (XV-XVII secolo), sono ulteriori risposte istituzionali al risorgere delle culture alternative, che Roma non è più in grado di contenere. Così, Bodin e Hobbes, teorici della sovranità dello Stato moderno, temono le guerre di religione e raccomandano tolleranza per tutti, mantenendo però la ferma condanna delle streghe (che vengono messe sul rogo). La rivoluzione scientifica e politica del XVII secolo (Newton e Locke) e l’illuminismo razionalista ed enciclopedico del XVIII secolo emarginarono definitivamente il cosmo ancestrale delle origini, rafforzando ulteriormente l’egemonia maschile. Galli si definiva un «illuminista aggiornato» (posizione che spiegò nel suo saggio Illuminismo magico) cioè come uno che abbraccia l’illuminismo depurandolo dai suoi dogmi laici. Non era dunque un complottista o un nemico delle vaccinazioni, bensì un uomo di carattere che aveva formulato una sua complessa interpretazione della storia, la cui costante, riteneva, era l’emarginazione e la demonizzazione della donna.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 settembre 2021 • N. 37

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Politica e economia

Quando i lupi bramano l’acqua

Il punto L’Onu calcola che attorno a laghi e fiumi transfrontalieri sono sorti oltre 200 contenziosi, alcuni dei quali

rischiano di trasformarsi in conflitti armati. I casi più gravi riguardano India-Pakistan ed Etiopia-Sudan-Egitto

Alfredo Venturi Sfogliando un atlante geografico la differenza appare evidente: le carte politiche sono una ragnatela di frontiere, quelle fisiche raffigurano invece la libera espressione dei fenomeni naturali, che delle frontiere se ne infischiano e segnano il paesaggio con i loro connotati primordiali. C’è in particolare un universo liquido che ignora la frammentazione artificiale violando i confini fra gli Stati: è la rivincita, se vogliamo, della natura sulla cultura. La storia insegna e la cronaca ci ricorda che attorno al controllo delle acque la politica non ha saputo elaborare una prassi gestionale condivisa. I fiumi che scorrono da un Paese all’altro troppo spesso determinano aspri conflitti, a volte si ricorre alle armi. Anche per questo il grande problema dell’acqua è destinato a dominare l’agenda internazionale. Gli analisti delle Nazioni unite calcolano che attorno ai laghi e ai fiumi transfrontalieri sono sorti più di 200 contenziosi, alcuni rischiano seriamente di trasformarsi in conflitti armati. La crescita demografica, che implica l’aumento dei fabbisogni idrici, unitamente alle conseguenze del degrado climatico, ha complicato le cose. L’acqua sta diventando inattingibile per troppa parte dell’umanità, le statistiche del 2020 (Unicef e Oms) ci dicono che oltre due miliardi di persone, oltre un quarto della popolazione mondiale, non hanno accesso ad acque pulite, e che circa 700 bambini muoiono ogni giorno uccisi da malattie connesse con la penuria d’acqua e di servizi igienicosanitari. Quando un fiume attraversa una frontiera trasferendosi da uno Stato a un altro, determina un’asimmetria fra chi sta a monte e chi a valle. Infatti qualsiasi intervento che modifichi il corso delle acque compiuto a monte produce effetti anche a valle. Accade da sempre, non a caso Fedro compose una ventina di secoli fa la sua più celebre fiaba: «Spinti dalla sete, un lupo e un agnello andarono allo stesso ruscello...». Il lupo si trova a monte e pretende di saziare, oltre alla sete, anche la fame, e quale migliore opportunità di quell’agnello a portata di fauci? Per questo lo provoca: mi intorbidi l’acqua! Ma come è possibile, risponde la vittima designata, scorre da te verso di me! Nella realtà accade qualcosa di simile: il potere è a monte, dove si attinge tutta l’acqua che serve, a valle ci si accontenti di ciò che resta! Prendiamo il caso del Giordano. Il

Vista aerea della Grand ethiopian renaissance dam sul Nilo Azzurro, nella regione di BenishangulGumuz in Etiopia. (Keystone)

fiume biblico dovrebbe servire quattro Paesi: Israele, Siria, Libano, Giordania, oltre alla Cisgiordania. In realtà secondo i vicini arabi è Israele a fare la parte del leone, anzi del lupo per rimanere nel mondo poetico di Fedro. La gestione delle acque del Giordano non è certo secondaria nel contenzioso più volte sfociato nelle più cruente fra le guerre mediorientali. Ogni volta che israeliani e palestinesi riaprono, finalmente disposti a trattare, il loro spinoso dossier, la questione dell’acqua si colloca fra gli argomenti in primissimo piano. E che dire del Tigri e dell’Eufrate, i grandi fiumi mesopotamici che nascono in territorio turco? Avrebbero ben altra portata se la Turchia avesse concordato con i Paesi a valle la gestione delle dighe per la produzione di energia elettrica e delle captazioni per alimentare l’agricoltura e dissetare le città. Ankara ha fatto tutto da sola, contribuendo secondo Baghdad alla desertificazione dell’Iraq. Un appunto analogo riguarda la Siria, che ha sempre usato a discrezione le acque dell’Eufrate senza curarsi delle conseguenze a valle. Ma i casi più gravi, e più facilmente suscettibili di sviluppi bellici, riguardano in Asia l’India e il Pakistan,

in Africa l’Etiopia, il Sudan e l’Egitto. Poco dopo l’indipendenza dell’India e del Pakistan fu negoziato un trattato che distribuiva fra i due Paesi le risorse del bacino dell’Indo. Esattamente come la controversa definizione della frontiera comune, l’attuazione di quel trattato è fonte di profondi attriti fra Nuova Delhi e Islamabad. Quando l’India decide di costruire a poca distanza dal territorio pakistano una diga sul fiume Ravi, affluente del Chenab che a sua volta sbocca nell’Indo, il Governo pakistano protesta, i toni si fanno sempre più duri, le minacce reciproche sempre più esplicite. Si profila così sull’inquieto orizzonte del mondo la sinistra prospettiva di una nuova guerra fra due potenze che dispongono di armi atomiche. Quanto all’Etiopia e ai suoi vicini, il conflitto nasce dalla costruzione della più imponente diga del mondo, denominata Gerd (Great ethiopian renaissance dam). Sbarra a poca distanza dal confine sudanese il corso del Nilo Azzurro, che confluendo a Khartum col Nilo Bianco contribuisce a formare il grande fiume che da sempre alimenta l’Egitto. Realizzata da un’impresa italiana, la diga è alta 170 metri e lunga quasi due chilometri. La centrale costerà sei miliardi di dollari, a cose fatte

permetterà di sviluppare una potenza superiore ai sei gigawatt, produrrà dunque energia per le esigenze etiopiche e per l’esportazione. Il problema ha due facce: c’è una prospettiva a lungo termine di riduzione della portata del Nilo, che il Sudan e l’Egitto sono disposti ad accettare in cambio di energia elettrica. L’altro aspetto del problema è al centro del dissidio: prima che la Gerd vada a regime bisogna riempire un invaso artificiale di quasi duemila chilometri quadrati, un lago cinque volte più grande del Garda. Ci vogliono settantaquattro miliardi di metri cubi d’acqua, l’operazione durerà alcuni anni: quindici o venti chiedono al Cairo, cinque secondo Addis Abeba. Ma un riempimento così rapido avrebbe l’effetto di minimizzare a lungo la portata del Nilo proprio mentre la popolazione egiziana cresce a ritmi altissimi: ha superato ormai i cento milioni. E poi che ne sarebbe dell’agricoltura sudanese, dei raccolti di cotone e caffè? Il fatto è che l’Etiopia, dissanguata dai disastri naturali e dalla guerra del Tigrai, ha un disperato bisogno di risorse, per questo ha fretta. Al Cairo s’invoca una gestione regionale delle risorse idriche, che superando gli egoismi della sovranità potrebbe appiana-

re questo e altri conflitti. Ma l’Etiopia non vuole sentire ragioni, esasperata da toni nazionalistici la disputa degenera in veri e propri preparativi di guerra. Quando il presidente etiopico Abiy Ahmed Ali annuncia un’accelerazione del progetto, egiziani e sudanesi inscenano una manovra militare congiunta a ridosso della frontiera, denominata Guardiani del Nilo. Il rais egiziano Abdel al Sisi rincara la dose: noi non minacciamo nessuno ma nessuno è al riparo dalle nostre forze armate! Meno esplosivi ma non meno aspri i conflitti che si registrano all’interno di singoli Stati. Come quello che nei primi decenni del Novecento contrappose la città di Los Angeles agli abitanti della valle dell’Owens. Il caso è anomalo, perché stavolta il potere era a valle, era il potere politico e amministrativo di una città in impetuosa crescita. Per dissetare Los Angeles si deviò il corso del fiume prosciugando l’omonimo lago. Gli agricoltori e gli allevatori della valle ricorsero al sabotaggio e si arrivò ad atti di violenza, poi fu chiamata in causa l’autorità federale che dispose adeguati risarcimenti. Ma il lago Owens rimase all’asciutto, il suo recupero è tuttora fra gli obiettivi degli ambientalisti californiani. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 settembre 2021 • N. 37

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Politica e economia

«Ivan il terribile? Un bravo ragazzo» Prospettive Il revisionismo storico di Vladimir Putin mira a ricreare il mito di una Russia forte e gloriosa.

In un Paese dal presente tormentato, il potere cerca di legittimarsi attraverso il passato anche in vista delle elezioni Anna Zafesova La Russia ha un nuovo eroe. Ha un nome da romanzo russo, Nikanor Tolstykh, i capelli biondi a spazzola, gli occhi azzurri e un faccino pulito da primo della classe quale è. Il diciasettenne di Vorkuta è diventato famoso dopo aver fatto notare in diretta Tv un madornale errore di storia commesso da Vladimir Putin. Lo stesso presidente russo, e il suo portavoce, hanno tranquillizzato in più occasioni l’opinione pubblica, rassicurando che il ragazzino non avrebbe patito conseguenze per aver ridicolizzato il capo dello Stato. L’errore in effetti è stato colossale: per il primo giorno di scuola, Putin ha parlato con enfasi agli scolari di tutta la Russia dell’importanza di studiare la storia, confondendo la Guerra dei sette anni con la Guerra del nord. Ha sbagliato non solo nome, ma anche periodo, parti in causa e territorio conteso, come gli ha fatto notare con un certo imbarazzo il secchione Nikanor.

Vladimir Putin ha confuso la Guerra dei sette anni con la Guerra del nord e un 17.enne glielo ha fatto notare Un incidente che può capitare a tutti, ma se i social hanno già incoronato Nikanor come la riedizione del bambino della fiaba il quale denuncia che «il re è nudo», o scherzano sulla possibilità che il Cremlino gli faccia pagare l’impertinenza, è perché non si è trattato di una semplice gaffe. Putin è sempre più attratto dalla storia e da quelle che considera sue «falsificazioni». Si è già improvvisato storico nel tentativo di dare una versione «definitiva» della Seconda guerra mondiale, scrivendo l’anno

scorso un saggio che fondamentalmente ribadiva la versione della storiografia sovietica e negava la complicità dell’Unione sovietica di Stalin nella spartizione dell’Europa dell’est con i nazisti grazie al patto Molotov-Ribbentrop. Quest’anno il presidente si è dedicato al tema della «unità storica» tra russi e ucraini, cercando di dimostrare in un nuovo saggio che si tratta dello stesso popolo: un tentativo che perfino gli storici più leali al regime hanno qualificato come «disinvolto» nel manipolare fatti e concetti. Anche il discorso corretto da Nikanor era legato all’Ucraina: Putin si era infervorato sulla Guerra del nord (che chiamava la Guerra dei sette anni) come un esempio del «grande gioco» che l’Europa avrebbe condotto contro la Russia nei secoli, cercando di sottrarle i territori, in primo luogo l’Ucraina, alla quale Mosca ha già strappato la Crimea e il Donbass. La storia, e la sua strumentalizzazione ai fini dell’attualità politica, è diventata il trend dominante della propaganda e l’oppositore Alexey Navalny ha raccontato in un’intervista dal carcere al «New York Times» che i detenuti vengono costretti a sorbirsi ore e ore di trasmissioni, film che decantano i successi militari o sportivi del glorioso passato russo. In un Paese dal presente tormentato e da un futuro di cui al Cremlino si ha paura (non a caso la trasmissione di Navalny su YouTube si intitolava La splendida Russia del futuro), il passato è un’ossessione e una ricerca di legittimazione. La Commissione contro le falsificazioni storiche del Governo, defunta dopo qualche anno di sostanziale inattività, è stata sostituita ora da un nuovo organismo, forte dell’inserimento nella Costituzione di un principio che obbliga a «tutelare la verità storica sulla Seconda guerra mondiale». Qualunque tentativo di discutere la guerra contro la Germania in toni meno che esaltati viene ormai qualificato come

L’Urss non avrebbe patteggiato con Hitler. (Shutterstock)

«insulto ai veterani», un reato che una legge di qualche mese fa ha reso penale. Il Cremlino ha fatto suo il principio totalitario descritto da George Orwell in 1984, «chi controlla il passato controlla il futuro, e chi controlla il presente controlla il passato», costruendo per i suoi cittadini una narrazione che mischia zar e cosmonauti, santi e generali, in un pantheon nazionalista più che comunista che vorrebbe venire incontro alle preferenze dell’elettorato putiniano, in maggioranza composto da anziani nostalgici. In vista delle elezioni parlamentari russe del 17-19 settembre, le esplorazioni della storia del Cremlino si sono intensificate, dando origine a diverse polemiche. Prima il ministro degli Esteri, Sergey Lavrov, ha cercato di riabilitare Stalin, sostenendo che «denigrarlo come il male assoluto è un attacco al nostro passato (...) per indebolire la Russia». La popolarità di Stalin è

raddoppiata nei sondaggi negli ultimi anni, complice anche una propaganda delle glorie del passato sovietico e dell’idea di una Russia assediata da nemici esterni e interni, ma da Lavrov – diplomatico di lungo corso e numero due del partito putiniano Russia unita alle elezioni – era difficile aspettarsi una dichiarazione così revisionista. Il giorno dopo è stato il turno dello stesso Putin di introdurre innovazioni storiografiche, mettendo in dubbio un omicidio politico ordinato da Ivan il Terribile, un altro personaggio sanguinario del passato che sta vivendo un revival nell’iconografia ufficiale (come era già successo in epoca staliniana). Poi è arrivata la gaffe sulla Guerra dei sette anni contestata da Nikanor, ma il padrone del Cremlino non si è fatto intimidire ed è tornato a evocare le glorie passate della Russia e a rimpiangere i fasti imperiali. Secondo il presidente russo, il suo Paese sta pagando anco-

ra il prezzo del collasso dell’impero dei Romanov e poi quello dell’Urss. «Altrimenti avremmo a quest’ora una popolazione di 500 milioni di unità», si è lamentato, evocando la perdita della Polonia e della Finlandia nel 1917, quella dell’Ucraina, dei Paesi Baltici, del Caucaso e dell’Asia Centrale nel 1991. Un calcolo molto discutibile, al quale si potrebbe obiettare che la popolazione russa sarebbe stata molto più numerosa degli attuali 145 milioni senza le purghe staliniane, Gulag, le carestie degli anni ’20-’30, senza le guerre e le numerose ondate di emigrazione. Ma soprattutto è rivelatore del fatto che al Cremlino si trova un leader che ha una visione quantitativa della realtà, più che qualitativa, e che ritiene che l’equazione «più popolazione, più potenza» passi dalle conquiste dei territori: un campanello d’allarme che i vicini della Russia sentono ormai da anni.

vaccini, chi non li ha li vuole

America latina Le dosi non arrivano, aumentano contagi e decessi mentre ci sono Governi che negano il problema.

Tra le categorie più in difficoltà troviamo gli anziani: in moltissimi non hanno accesso alle cure e soffrono la fame Angela Nocioni In America latina, continente più funestato di altri nel mondo dall’epidemia di Covid-19, la polemica no vax non prende quota. Troppo difficile è ancora l’accesso alla possibilità di vaccinarsi. Più dei due terzi delle persone che vivono lì non sono ancora immunizzate e la parte maggioritaria di chi è vaccinato ha ricevuto solo la prima dose. Riuscire a farsi la prima iniezione è un obiettivo irraggiungibile per moltissime persone. Non ci sono abbastanza dosi per tutti. Chissà sia questa la ragione per cui il 70% della popolazione, stando ai dati di un’inchiesta appena realizzata dal Centro di statistiche sociali dell’Università del Maryland, vuole a tutti i costi vaccinarsi. L’esportazione degli argomenti usati in Europa dai contrari al vaccino è risultata difficoltosa a chi, soprattutto via social, l’ha tentata. È talmente complicata la realizzazione completa di una campagna di vaccinazione di massa che non risulta avere molto ossigeno la polemica che la demonizza. Il vaccino non arriva, ne arrivano poche dosi e in pochi Paesi. Solo pochi Governi sono riusciti a procurarsi in tempo contratti per forniture abbondanti quando ancora l’offerta era scarsa. Honduras, Bolivia e Guatemala non riescono ad assicurarsi una fornitura regolare e sufficiente nemmeno a ini-

Ci si vaccina per strada a San Paolo, Brasile. (Shutterstock)

ziare una efficace campagna sanitaria di immunizzazione. Secondo i dati ufficiali, il Brasile di Bolsonaro continua a essere il Paese con il più alto numero di casi di contagio sintomatico registrato. Più di ventun milioni di casi confermati. L’Argentina è al secondo posto, con oltre 5 milioni di infettati e oltre centomila morti accertati. Messico al terzo con tre milioni e duecentomila casi. Seguono Colombia con cinque milioni di casi secondo i dati aggiornati al primo fine settimana di settembre. Poi Perù, Cile ed Ecuador. Le cifre sono, come sempre, da prendere con le pinze perché i sistemi sanitari sono così diversi l’uno dall’altro e l’accesso alle cure me-

diche così diseguale che è impossibile stabilire se i numeri relativamente bassi di contagi di alcuni Paesi sono tali perché davvero i casi sono pochi o se sono tali perché l’estensione dell’epidemia non è stata ben monitorata. La scorsa settimana, ad esempio, l’ong Medici uniti del Venezuela (Muv) ha denunciato l’enorme rischio che lì la variante Delta del virus mieta moltissimi morti perché, assicurano i medici del Muv, «meno del 3% della popolazione è vaccinata». Non esistono dati attendibili in Nicaragua, dove la dittatura di fatto del presidente Daniel Ortega nega semplicemente l’esistenza del virus nel Paese e le morti in ospedale non sono mai rite-

nute causate dal Coronavirus, non ufficialmente perlomeno. Un’indagine condotta in cinque Paesi dell’America latina dall’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati, e da Helpage international, un gruppo di organizzazioni che assistono gli anziani, racconta come la pandemia stia peggiorando la situazione degli sfollati anziani, rendendo ancora più difficile per loro soddisfare i bisogni più elementari. «Le persone anziane costrette a fuggire si trovano di fronte a sistemi di assistenza assolutamente insufficienti», ha detto José Samaniego, direttore dell’ufficio regionale dell’Unhcr per le Americhe, che ha realizzato l’indagine in Colombia, Ecuador, El Salvador, Honduras e Perù. «La piena inclusione dei vecchi nelle risposte nazionali alla pandemia è fondamentale per salvaguardare la loro dignità e i loro diritti». Circa il 64% degli intervistati ha riferito che non aveva una fonte stabile di reddito prima della pandemia e che il Coronavirus ha ulteriormente aggravato le loro difficoltà economiche, lasciando disoccupati la metà di coloro che avevano un lavoro nella regione andina, mentre un terzo degli intervistati precedentemente occupati in Honduras ed El Salvador sono rimasti senza lavoro a causa dei lockdown. Un intervistato su quattro ha detto che doveva saltare i pasti già prima della pandemia, ma il 41%

degli intervistati ha riferito di aver dovuto ridurre ulteriormente l’assunzione giornaliera di cibo nell’ultimo anno. La pandemia ha anche inciso sulla capacità dei rifugiati e dei migranti più anziani di ricevere l’assistenza sanitaria di cui hanno bisogno. Il 42% degli intervistati ha dichiarato di non ricevere cure per malattie preesistenti. Il Coronavirus ha anche avuto conseguenze sulla salute mentale degli anziani. Solo il 26 per cento degli intervistati ha riferito di essere in contatto quotidiano con i membri della famiglia il che ha, a sua volta, portato a un aumento significativo della sensazione di isolamento e solitudine. Secondo un’informativa del Fondo globale, la pandemia di Covid ha causato un rallentamento fortissimo nella cura e nella diagnosi di casi di infezione da Hiv, malaria e tubercolosi, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo e anche in America latina. Dice Peter Sands, direttore esecutivo dell’organizzazione che è l’organismo principale di finanziamento delle campagne sanitarie contro queste tre malattie: «La pandemia è stata nell’ultimo anno il peggior ostacolo contro la cura di queste infezioni perché ha enormemente aumentato le disparità sociali e la possibilità di avere accesso alle cure, perché ha attratto i finanziamenti e ha aumentato la percentuale di rischio per le persone vulnerabili».


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Politica e economia

l’avverbio malandrino lasciamolo dov’è

Media e diritto Una modifica del Codice di diritto processuale introdotta finora solo dal Consiglio degli Stati

lo scorso giugno apre un dibattito in merito alla libertà dei giornalisti Enrico Morresi Sarà stata la vicinanza delle ferie estive, sarà che la questione deve passare ancora all’esame del Consiglio nazionale: di fatto ha suscitato poco interesse anche nei media la decisione adottata dal Consiglio degli Stati il 16 giugno di modificare l’articolo 266 del Codice di diritto processuale civile: un articolo che consente al giudice di bloccare un prodotto di stampa o un programma radiotelevisivo potenzialmente lesivo dei diritti di qualcuno prima che sia pubblicato o mandato in onda. Già nel 1985, all’epoca della sua introduzione nel codice, la possibilità di un simile intervento era stata denunciata come censura, in contraddizione con l’art. 17 cpv. 3 della Costituzione federale (per il dibattito sulla questione rimando al mio L’onore della cronaca, Casagrande 2008, pp. 66ss). Le prime applicazioni erano state di fatto tali da destare serie preoccupazioni. Alla Televisione della Svizzera italiana, per esempio, fu impedito di diffondere la presentazione del processo al re del contrabbando di droga Escobar senza che il giudice neppure avesse visionato il servizio. Dopo quelle incertezze iniziali, però, l’articolo del Codice (ora «di procedura civile») è stato applicato in modo tutto sommato accettabile. Vi fu un solo caso veramente clamoroso di conflitto tra stampa e magistratura, con la decisione della Televisione romanda di passare oltre l’ingiunzione del magistrato nel famoso «caso Tornare» (sul quale il Consiglio della stampa pubblicò una presa di posizione che fa ancora testo sui rapporti stampa-magistratura, 1/1994). L’occasione di riportare alla ribalta il problema è attualmente fornita dalla discussione di un disegno di legge proposto dal Consiglio federale, inteso all’aggiornamento di tutto il codice di procedura: niente di sostanziale, una discussione piuttosto tecnica. In un contesto così «innocente», una modifica redazionale davvero minima dell’art. 266, accettata durante la discussione commissionale, pote-

va passare inosservata. Fu l’avvocato Matthias Schwaibold, legale dell’editore Ringier, a denunciarla con un articolo veemente (Ein Attentat auf die Meinungsfreiheit, Medialex 3/2021), cui hanno fatto eco immediata le prese di posizione delle associazioni degli editori e dei giornalisti. Perché? L’art. 266 ora in vigore, intitolato «Misure nei confronti dei mass media», offre la possibilità al giudice di ordinare un provvedimento «cautelare» bloccando un prodotto mediatico se (a) «l’incombente lesione dei diritti dell’istante è tale da potergli causare un pregiudizio particolarmente grave, (b) manifestamente non vi è alcun motivo che giustifichi la lesione, (c) il provvedimento non appare sproporzionato». Sufficienti queste precauzioni per tenere lontana la minaccia della censura? Finora la risposta dei giuristi (ma anche dei giornalisti) è sempre stata positiva. Ma cancellando alla lettera (a) l’avverbio particolarmente il rischio della censura sarebbe ancora tenuto lontano? La cancellazione dell’avverbio non era prevista nel progetto del Consiglio federale. Fu il «senatore» di Zugo Peter Hefti a proporla in commissione e poi a rilanciarla in aula. Karin Keller Sutter ribadì, a nome dell’Esecutivo, di ritenerla inutile. Ma il 16 giugno la proposta Hefti è stata accettata dal Plenum del Consiglio degli Stati, con 20 voti contro 13. Il disegno di legge è ora trasmesso all’altra camera, il Consiglio nazionale, che lo discuterà in autunno. Come motiva, il «senatore» Hefti, la sua proposta? La possibilità che il giudice intervenga decretando la sospensione provvisoria dell’articolo o del servizio è a suo avviso frenata da una tale somma di condizioni, da chiedersi (è il suo parere) se le parti siano davvero uguali davanti alla legge. La soppressione dell’avverbio «particolarmente» tende secondo lui a ristabilire l’equilibrio. Che dire? Davvero l’applicazione dell’articolo approvato nel 1985 ha dato luogo allo squilibrio denunciato da Hefti? Scrivessimo per una rivista

Karin KellerSutter, il 16 giugno al Consiglio degli Stati: la cancellazione dell’avverbio è inutile. (Keystone)

di diritto, a questo punto citeremmo le sentenze dei tribunali, soprattutto quelle del Tribunale federale, per verificare se davvero quella precauzione sia stata mai criticata come eccessiva o discriminatoria (è appena uscito dall’editrice Schulthess un volume di proporzioni terrificanti: Handkommentar zur Schweizerischen Ziviliprozessordnung, Art. 1-408 ZPO, in cui credo si possa trovare tutto, o quasi tutto). Io credo di potermi fidare del «senatore» Carlo Sommaruga – intervenuto per contrastare la proposta Hefti – quando dice che mai, né dal Tribunale federale né da tribunali cantonali, è stata sollevata un’obiezione o è stata sollecitata la politica a modificare testo e applicazione dell’art. 266. Aggiungo che sul versante deontologico, che conosco meglio, un’esperienza positiva è stata fatta con l’adozione del principio: audiatur et altera pars. La direttiva del Consiglio della stampa lo esplicita così al punto 3.8: «Dal principio di equità e dalla regola etica che prescrive di ascoltare anche

l’altra parte deriva il dovere del giornalista, prima della pubblicazione di addebiti gravi, di sentire gli interessati», nonché di tenerne conto nel servizio. La legge e la deontologia sono dunque concordanti. O no? La resistenza all’ingiunzione del giudice, da parte del giornalista, potrebbe essere difesa come un atto di obiezione di coscienza? Anche questa possibilità il Consiglio della stampa l’ha scartata (si tratta dopotutto di misure provvisionali), dando torto alla Televisione romanda che aveva trasmesso un servizio malgrado l’ingiunzione del pretore (è il «caso Tornare» descritto nella Presa di posizione 1/1994) (*). Ma è possibile seguire anche un’altra strada: chi scrive l’ha sperimentata da capo-servizio alla TSI, la sera in cui era si stava per mandare in onda un servizio critico per la polizia: si concordò di premettere alla messa in onda un intervento in voce che desse conto anche delle ragioni della parte criticata. L’Autorità indipendente di

ricorso in materia di radio e televisione ha contribuito per parte sua a risolvere alcuni casi critici sollevati dal pubblico. La mia opinione, per concludere, è che l’abolizione dell’ormai famoso avverbio («particolarmente») non si giustifichi. Anche Pierre Tercier, ispiratore degli articoli del Codice civile attualmente vigenti, la ritiene «un segnale pericoloso». Capisco chi, come l’ex collega Edy Salmina, ritiene che il potere reale sia troppo squilibrato in favore dei media. Ma vi si rimedia cancellando un avverbio? Temo che la maggioranza del Consiglio degli Stati (non il Consiglio federale, però) abbia solo, emotivamente, ceduto alla retorica antimedia coltivata da una parte dell’opinione pubblica e dei politici. Perciò al Consiglio nazionale auguro di riaggiustare il tiro. nota *

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 settembre 2021 • N. 37

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Politica e economia

Il personale aumenta, i salari pure

Amministrazione pubblica I freni all’indebitamento e alle spese non sembrano sufficienti per bloccare l’aumento

dei costi per il personale della Confederazione, che sfuggono a un controllo democratico Ignazio Bonoli Che gli enti pubblici svizzeri, a tutti i livelli, stiano aumentando costantemente il proprio personale è evidente. Basta esaminare i dati a tempo pieno delle persone a disposizione per rendersi conto di questa tendenza. È però sempre più frequente anche l’impiego a tempo parziale e questo attenua un po’ il dato delle persone occupate a tempo pieno. Il fenomeno avviene a tutti i livelli: Confederazione, cantoni, comuni di una certa importanza. Dedichiamoci però oggi ai dati della Confederazione. Nel 2020, il numero di posti di lavoro nell’amministrazione era di 167’000: un terzo di più di 20 anni prima. Si potrebbe pensare che l’aumento di questi posti di lavoro sia in rapporto con l’aumento della popolazione attiva, ma non è così: la statistica dell’occupazione mostra, infatti, che questo aumento è superiore a quello della popolazione (20%) e anche a quello dell’occupazione (23%), con un rallentamento nel secondo decennio. Accanto al numero di dipendenti è però necessario considerare anche l’aumento della massa salariale. Dal 2000 le spese per il personale, nell’amministrazione della Confederazione, sono aumentate del 50%. Questo perché il salario medio è salito da 109’337 franchi nel 2000 a 125’618 franchi nel 2020, con una crescita nominale del 15%. I salari maggiori sono quelli del Dipartimento degli affari esteri e quelli del Dipartimento dell’ambiente, traffico,

La tendenza all’aumento della massa salariale è cresciuta dal 2017. (Keystone)

energia e comunicazione, con una media di 144’000 franchi per occupazione a tempo pieno. Così, si può dire che i salari della Confederazione sono all’altezza di quelli delle banche, il cui salario medio, nel 2018, era di 9921 franchi mensili. La tendenza all’aumento della massa salariale nella Confederazione si è accentuata negli ultimi anni. Dal 2017 è stato anche adottato un nuovo sistema. Chi ottiene buone note da un superiore può contare su un aumento tra l’1,5 e il 2,5%. Se il giudizio è «molto buono» si può contare su aumenti tra il 3 e il 4%. Risultato: nel 2020 il 78% dei dipendenti aveva un giudizio «buono» e il 18,5% «molto buono».

In sostanza, un impiego federale non solo è remunerato sopra la media, ma crea anche la quasi certezza di costanti aumenti di stipendio. Con queste prestazioni la Confederazione ha un peso determinante sul mercato del lavoro, dove anche le imprese cercano personale specializzato ed efficiente. Problema che potrebbe accentuarsi con l’invecchiamento della popolazione. In questo contesto anche gli ambienti politici si pongono il problema di come frenare questo drenaggio di specialisti verso l’ente pubblico. In concreto, sul piano finanziario, la Confederazione applica già il freno all’indebitamento, che deve portare al pareggio

del bilancio nell’ambito di un ciclo congiunturale. Questo dovrebbe frenare la tendenza alla spesa facile anche in tempi buoni. Indirettamente dovrebbe anche significare un freno all’aumento del personale. Cosa che però non si vede, nemmeno con il noto freno alla spesa, che si applica a spese uniche sopra i 20 milioni di franchi e a spese ricorrenti sopra i 2 milioni e che esige il voto della maggioranza dei membri delle Camere. Accettato nel 1995, con l’83% dei consensi, non sembra aver avuto gli effetti sperati. Il Consiglio federale gli attribuisce invero un «effetto preventivo», che viene tenuto in considerazione già al momento del varo di nuove leggi.

Tuttavia, proprio per le nuove leggi, si trovano sempre argomenti convincenti, anche al di là degli aspetti finanziari. Attualmente si sta anche discutendo di un «freno regolatore», basato sempre sul consenso della maggioranza dei membri delle Camere (101 al Nazionale, 24 agli Stati) da applicare a spese che superano i 10’000 franchi e, cumulate, i 100 milioni di franchi. Il controllo democratico della spesa pubblica non è però garantito. Il Consiglio federale può sottoporre a referendum facoltativo talune spese importanti. Non c’è però il voto popolare sistematico oltre determinati limiti di spesa. Recentemente si è parlato di referendum sistematico (obbligatorio), ma la proposta è stata respinta. Alcuni cantoni lo applicano già e altri (compreso il Ticino) ne stanno parlando. A livello federale, un referendum finanziario potrebbe impedire che costosi progetti di prestigio vengano accettati da maggioranze pre-costituite. E altri progetti, come l’attuale finanziamento dei nuovi aerei da combattimento, andrebbero incontro a dibattiti e referendum popolari. Vi sono però anche argomenti contrari: per esempio l’allungamento dei tempi di realizzazione, oppure il rischio che spese importanti per il paese diano luogo a dibattiti passionali, più che ragionati. Oggi le Camere ritengono sufficienti le pressioni politiche, con i mezzi a disposizione, per tenere le spese entro limiti accettabili. Ma quelle per il personale sembrano sfuggire alla regola. Annuncio pubblicitario

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Politica e economia

la dinamica di crescita sta rallentando la consulenza della Banca Migros

Thomas Pentsy

notevoli progressi delle quotazioni sui mercati azionari (Indicizzato: 1.1.21 = 100)

125 120 115 110 105 100 95 01.2021

04.2021 S&P 500

de che la crescita continuerà a essere sostenuta. Considerati i tassi di crescita storicamente elevati e l’esaurimento degli stimoli congiunturali, un certo rallentamento è inevitabile. Tuttavia, a causa delle preoccupazioni legate alla crescita, le borse valori sono diventate molto

07.2021 SPI

Euro Stoxx 50

più vulnerabili alle oscillazioni, mentre i rendimenti sui mercati obbligazionari sono scesi. Per i mercati finanziari il rischio principale si trova soprattutto nei mesi invernali. Molti investitori temono infatti che la variante Delta possa provocare una nuova ondata di limitazioni alla mobilità.

Fonte: Bloomberg (al 24.08.2021)

Thomas Pentsy è analista di mercato presso la Banca Migros

Gli investitori sono sempre più preoccupati per il futuro ritmo di crescita dell’economia mondiale, e questo perché la variante Delta del coronavirus si sta diffondendo rapidamente, offuscando le prospettive congiunturali globali. Molti Paesi stanno nuovamente combattendo contro tassi di contagi in forte aumento, in particolare i Paesi asiatici, attori importanti nelle catene di approvvigionamento globali. Ciò si ripercuote pesantemente sulla fiducia delle imprese e dei consumatori. Recentemente, nelle principali economie i dati congiunturali sono stati disomogenei. A luglio, ad esempio, le vendite al dettaglio negli USA hanno registrato un andamento più debole del previsto. In Cina la dinamica congiunturale ha inaspettatamente subito una pesante frenata. Allo stesso tempo, il governo sta adottando una dura politica di regolamentazione nei confronti del settore tecnologico del Paese che vale miliardi, creando ulteriore incertezza tra gli investitori internazionali. Nell’eurozona gli indici dei direttori degli acquisti per l’industria manifatturiera in agosto sono risultati inferiori alle aspettative. Per i prossimi mesi, tuttavia, si preve-

La Banca Migros non prevede restrizioni altrettanto drastiche come in primavera. Ma anche nei prossimi mesi la variante Delta (ed eventualmente addirittura nuove mutazioni del virus) rimarrà un tema importante sui mercati finanziari, che continuerà a generare incertezza. Annuncio pubblicitario

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Politica e economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Assicurare la confederazione? Di quello che avverrà in futuro sappiamo poco. Le nostre conoscenze attuali sono però tali da farci percepire che sul futuro del nostro paese pendono rischi considerabili e non solo a causa del cambio climatico. Si capisce allora perché sta cominciando ad essere discussa, per lo meno sui media confederati, l’idea di utilizzare i guadagni che, anno sì, anno no, vengono conseguiti dalla Banca Nazionale per creare un fondo da utilizzare, il come resta da stabilire, per finanziare misure, opere e progetti di interesse pubblico che potrebbero servire a evitare tali rischi o, per lo meno, ad aiutare a contenerne le conseguenze negative. Precisiamo subito che se la Svizzera dovesse dotarsi di un simile fondo non sarebbe la prima nazione a farlo. Nel corso degli ultimi decenni la Norvegia ha accumulato

un fondo nazionale per le pensioni, accantonando parte dei profitti e delle royalties provenienti dall’estrazione del petrolio, che potrebbe venir utilizzato per diversi scopi quando le riserve di petrolio norvegesi saranno prosciugate. Insomma l’idea che sta dietro la costituzione di un fondo in favore di una determinata nazione è simile, in un certo senso, a quella che ha portato, una cinquantina di anni fa ad istituire anche in Svizzera l’obbligo dell’assicurazione contro la disoccupazione. Per far fronte alle incertezze che sembrano gravare sul futuro del nostro paese si chiede alle nostre autorità di mettere da parte una quota dei profitti che realizza la Banca nazionale. Osserviamo che questi guadagni sono assai meno sicuri di quelli che la Norvegia continuerà a realizzare nell’estrazione del petrolio ancora

per qualche decennio. Tuttavia, se guardiamo ai risultati conseguiti dalla nostra Banca nazionale negli ultimi decenni dobbiamo pur ammettere che gli anni delle vacche grasse sono stati assai più numerosi di quelli delle vacche magre. Ma anche se l’idea di assicurare la Confederazione contro i rischi che potrebbero manifestarsi in futuro, creando una specie di fondo di riserva, potrebbe sembrare buona, è difficile che il progetto possa passare lo scoglio delle deliberazioni politiche. Gli argomenti degli oppositori sono molti e non sono per niente trascurabili. All’idea di creare un fondo per far fronte a grossi rischi e alle loro imprevedibili conseguenze nessuno è contrario anche se, fin qui, la linea seguita dagli esperti della finanza pubblica è sempre stata quella di raccomandare proprio il contrario, ossia di non costi-

tuire fondi nella gestione del patrimonio degli enti pubblici. L’emergenza climatica sembra però aver modificato il pensiero tradizionale cosicché l’idea di assicurare lo Stato contro i rischi di possibili catastrofi dovute al cambio climatico o ad altre cause sembra oggi non trovare più oppositori. Molto meno condivisa è invece la proposta che a finanziare il fondo siano i guadagni della Banca nazionale. Le critiche, specie quelle degli economisti sono note. Si teme che la possibilità di poter far ricorso a risorse finanziarie gratuite quale quelle di questo fondo ne possa incoraggiare lo spreco e l’uso inefficiente. Gli avversari del progetto poi temono che la necessità di dover finanziare il fondo possa minacciare l’indipendenza del nostro massimo istituto finanziario e il modo nel quale lo stesso potrebbe condurre la sua po-

litica monetaria. Chiaramente questi pericoli non possono essere sottovalutati ma, guardando alle esperienze di altri paesi, dovrebbe essere comunque possibile limitarli precisando gli obiettivi e il modo di funzionamento del fondo. Infine, gli oppositori all’idea del fondo alimentato dalla Banca nazionale fanno valere che le variazioni dei cambi in una situazione come l’attuale nella quale la BNS ha accumulato un montante molto elevato di divise la obbligano ad aumentare le riserve e quindi anche il suo capitale proprio. Per la BNS potrebbe quindi essere difficile conciliare la necessità di tener conto delle proprie esigenze finanziarie con quella di dover finanziare un fondo anti-rischi per la Confederazione. La discussione non fa che cominciare. Sarà interessante vedere come si sviluppa.

va per il dopo 2023 (non credo che in Italia si voterebbe già l’anno prossimo, neppure nell’ipotesi, secondo me probabile, che al Quirinale andasse davvero Draghi) è di un Governo di destra-destra, con il partito di Giorgia Meloni, o di un’alleanza più vasta ancorata al centro? A quel punto la Lega potrebbe entrare nel partito popolare europeo, come fece a suo tempo Forza Italia. Sarebbe uno sbocco naturale; anche perché ho la sensazione che la principale alleata di Salvini in Europa, Marine Le Pen, abbia esaurito la sua forza propulsiva. Poi c’è il caso Milano. La città in questi anni è stata amministrata abbastanza bene, prima dalla destra – Formentini, Albertini, Moratti – poi dalla sinistra: prima Pisapia, poi Sala. Beppe Sala ora punta alla riconferma e dovrebbe riuscirci. La sua è una figura centrista. Era stato il city-manager della giunta di destra di Letizia Moratti. È stato l’uomo dell’Expo (era il 2015, al Governo nazionale c’era Matteo Renzi e l’Esposizione universale fu un indubbio successo, per la città e per il Paese). In questi anni Sala ha mostrato molta attenzione ai temi dell’ambiente e delle

donne, senza per questo prendere posizioni troppo marcatamente di sinistra che gli avrebbero alienato gli elettori moderati. Il suo competitor, Bernardo, il «pediatra con la pistola» come è stato definito, non è certo un peso massimo della politica. Tuttavia la corsa di Sala verso la riconferma è frenata da alcune difficoltà. Non tutte le scelte ambientaliste del sindaco sono state apprezzate dai milanesi. Ad esempio la viabilità è risultata sconvolta, il fiorire delle piste ciclabili ha reso la vita più complicata gli automobilisti e pure ai pedoni. Anche attraversare la strada diventa un problema (a tutto questo si è aggiunta la piaga dei monopattini elettrici, che non è certo un’esclusiva milanese, ma che nelle viuzze e sui marciapiedi del centro storico di Milano diventa un’insidia particolarmente pericolosa). Ma la vera questione che incombe su Milano è la pandemia, con le sue ricadute sull’economia cittadina. La metropoli dei commerci e dei servizi, dei grandi progetti immobiliari, dei trasporti e delle università è stata messa in ginocchio dal Coronavirus molto più di Roma, che campa per metà di soldi pubblici. Sala non ha azzeccato

tutte le mosse. All’inizio ha sposato la logica «Milano non si ferma», prima che il Governo centrale fosse costretto a chiudere tutto. Lo smart working per l’economia milanese è un disastro, significa bar e ristoranti chiusi o a mezzo servizio, e pure appartamenti vuoti. La vita ora sta ricominciando, con la riapertura delle scuole; ma tutti sappiamo che la ripresa rischia di essere interrotta da nuove chiusure. Sarà un autunno difficile. Tutto questo ovviamente sorvola le responsabilità di un sindaco, che ha margini di manovra limitati. Ma il timore è che la grande stagione di Milano sia alle spalle, che davanti ci siano prospettive non dico oscure ma meno brillanti di quelle che tutti sognavamo e che la città meriterebbe. E quando le cose si fanno difficili c’è sempre un prezzo da pagare per i politici e gli amministratori che hanno responsabilità di governo. C’è da scommettere, vista la centralità di Roma nel dibattito politico italiano, che nei prossimi mesi si parlerà soprattutto della corsa al Campidoglio. Ma Milano resta, come cantava Lucio Dalla, la città «vicina all’Europa». E il futuro della modernità si gioca lì.

Scompensi a parte, l’incremento delle vie di comunicazione, su ferro e su gomma, ha comunque permesso al cantone di rimanere agganciato alla linea ascendente dei paesi che lo circondano. Uno sviluppo economico-commerciale, in primo luogo, ma anche demografico, sociale e culturale, che sarebbe rimasto allo stato rachitico se le autorità del tempo avessero tentennato o procrastinato le scelte. Privi di un’ossatura stradale e ferroviaria efficiente, i borghi del cantone non sarebbero mai assurti alla dignità di città in grado di competere, per mezzo delle loro offerte ricreative e culturali, con agglomerati urbani di ben altro blasone. È bene tuttavia precisare che la costante e capillare espansione delle infrastrutture viarie non ha sempre innescato un parallelo progresso negli altri campi. In primis in quello demografico, argomento oggi al centro del dibattito. La questione del calo delle nascite e della

stagnazione afflisse il cantone già dopo la prima guerra mondiale. Nella terza edizione (1938) del loro testo-atlante La Svizzera destinato alle scuole maggiori e ginnasiali, Giacomo Gemnetti (professore di geografia alla Commercio di Bellinzona) e Achille Pedroli (docente di didattica alla Normale di Locarno) osservarono, allarmati, il calo delle nascite: «La diminuzione delle natalità è molto accentuata in Isvizzera. In Europa, solo la Francia, l’Inghilterra ed il Belgio accusano questo fenomeno in misura eguale alla nostra, e la cosa è più triste, in quanto la Svizzera è sempre stato un paese di forte natalità. Questa piaga veramente moderna si manifesta particolarmente nelle regioni industriali e nelle città. Nel mentre, per esempio nel 1901 si registravano 29 nascite per ogni mille abitanti, nel 1936 se ne registrarono solo 15,6». Allora gli autori addossarono la colpa alla modernità, in particolare ai pro-

cessi di inurbamento delle popolazioni rurali. Oggi gli studiosi pongono l’accento su una molteplicità di concause, che considera, accanto alle motivazioni classiche (livello retributivo, possibilità di carriera, riconoscimento delle proprie capacità), anche elementi extra-economici, come la formazione plurilingue dei figli o l’opportunità di usufruire di una più vasta proposta culturale (teatro musei concerti cinema). Nonostante gli enormi passi compiuti negli ultimi decenni, specie nel settore della formazione con in testa il sistema USI-SUPSI, il Ticino è reputato da molti giovani ancora troppo chiuso e meschino, ancora troppo condizionato dalle appartenenze ai partiti e alle «grandi famiglie». Ritengono insomma di poter respirare un’aria più libera altrove, non inquinata da logiche estranee all’unica categoria che a loro giudizio conta davvero, quella del merito.

In&outlet di Aldo Cazzullo Milano brillerà meno del previsto La politica italiana è immersa in una campagna elettorale permanente. Mentre Mario Draghi governa, i capi partito che hanno delegato le questioni cruciali all’ex presidente della Banca centrale europea tentano di distinguersi gli uni dagli altri, nella speranza di guadagnare qualche punto nei sondaggi e di spostare qualche voto in vista delle prossime Amministrative. Ovviamente le elezioni di ottobre

La pandemia ha colpito più Milano che Roma. (Shutterstock)

saranno importanti per decidere i sindaci delle grandi città, a cominciare da Milano. Ma non credo che saranno indicative per il futuro della politica italiana. Nel 1993 la sinistra vinse a Roma, Torino, Napoli, e l’anno dopo perse rovinosamente le Politiche. Anche stavolta potrebbe finire allo stesso modo. I candidati della destra – a parte Torino, che potrebbe essere espugnata per la prima volta – mi sembrano un po’ debolucci. Tuttavia non mi stupirei se all’indomani delle prossime Politiche Salvini e Meloni si ritrovassero a guidare i primi due partiti italiani. A quel punto si aprirebbe la vera partita. La pandemia ha segnato un ritorno all’ordine, dopo la stagione del populismo (Brexit, Trump, Bolsonaro). Salvini l’ha capito ed è passato dall’euroscetticismo lepenista al sostegno a un Governo guidato da un europeista convinto come Draghi. Ma qual è il vero Salvini? E la vera Lega, è quella di Giorgetti o quella di Borghi? Quella che sta al Governo con una logica quasi democristiana di prudenza e di inclusione, o quella che vota insieme con la destra meloniana contro l’estensione dell’uso del green pass? La prospetti-

cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Se le gallerie non bastano Proliferano gli interventi e le iniziative – conferenze, convegni, servizi giornalistici – sul volto che sta assumendo il cantone dopo l’apertura della galleria ferroviaria di base del Ceneri, snodo della «città Ticino», nel triangolo Locarno-Bellinzona-Lugano e da qui verso il vertice Mendrisio-Chiasso, porta d’accesso all’area metropolitana lombarda. La riflessione ruota intorno all’accelerazione che la rete TiLo ha reso possibile, abbattendo i tempi di percorrenza tra i poli suddetti. Benché ancora incompleta e qui e là smagliata, specie dopo la stazione luganese, la rete permette di catapultare il cantone nell’era dell’interconnessioni veloci, abolendo tempi morti, ritardi e snervanti incolonnamenti. Ma tutto questo non è una semplice rivoluzione dei trasporti. Ogni innovazione, ogni trasformazione delle infrastrutture materiali genera infatti una serie di onde sismiche destinate ad

investire tutti i gangli della società, a partire, ovviamente, dall’organizzazione territoriale e insediativa. Simili processi maturano lentamente, ma in parte sono già visibili. D’altronde possiamo rifarci ai precedenti storici. Pensiamo al ruolo svolto dalla Ferrovia del Gottardo, sul finire dell’Ottocento, nel ridare ossigeno all’asfittica economia cantonale, rinchiusa tra due barriere, quella fisica a nord e quella politica a sud. Sorse in quell’epoca l’«industria dei forestieri», con i suoi grandi alberghi, le linee tranviarie, le funicolari, la navigazione sul Ceresio e il Verbano. Meno lineari furono invece, un secolo dopo, le ripercussioni dell’autostrada, che – certo – hanno favorito la mobilità interna, ma anche ridotto la regione a corridoio di transito dell’autotrasporto europeo. Disagi e situazioni prossime al collasso sono ormai all’ordine del giorno nelle zone più popolate o attraversate dalle principali arterie.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 settembre 2021 • N. 37

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Idee e acquisti per la settimana

BIAncHerIA PUlItA Per SentIrSI A ProPrIo AGIo A quale temperatura impostare il ciclo di bucato?

Come lavare le camicie bianche, mantenere soffice un maglione di lana e lavare i panni usati per le pulizie in modo igienico, senza inquinare inutilmente l’ambiente? Di seguito alcuni utili consigli

Nel caso di capi normalmente sporchi, una temperatura tra i 30 e i 40 gradi è sufficiente. I panni per le pulizie o la biancheria che necessita di un maggiore livello di igiene vanno invece lavati a 60 gradi.

È necessario un addolcitore dell’acqua?

Foto: Getty Images

La maggior parte dei detersivi contiene un addolcitore efficace con acque la cui durezza non supera il grado 30. Un addolcitore supplementare è necessario solo se si vive in una regione in cui l’acqua è particolarmente dura.

Quale detersivo usare per i differenti tipi di bucato? I detersivi completi vanno bene per i capi bianchi e per quelli chiari facili da trattare; per i tessuti colorati scegliere un detersivo specifico. Per i tessuti più sensibili va utilizzato un detersivo per capi delicati.

Quanto detersivo è necessario per un ciclo di lavaggio completo? Sul retro delle confezioni dei prodotti Migros Plus sono riportate le informazioni sul dosaggio, classificate in base al grado di sporco. Attenersi il più possibile alle informazioni riportate.

come fare il bucato nel modo più sostenibile possibile? Quando utilizzare prodotti ausiliari per il bucato I prodotti ausiliari completano l’efficacia dei normali detersivi. SI tratta in particolare di smacchiatori, ammorbidenti, sbiancanti e igienizzanti per bucato.

Basse temperature e un corretto dosaggio dei detersivi sono alla base di un lavaggio ecologico. I detersivi Migros Plus sono stati sviluppati per temperature di lavaggio a partire dai 15 gradi. È tuttavia importante prestare attenzione alle note informative sul dosaggio riportate sul retro della confezione, che tengono conto della durezza dell’acqua.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 settembre 2021 • N. 37

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cultura e Spettacoli nel mondo di Party L’artista svizzero Nicolas Party invita alla scoperta di un mondo magico sui generis

Femminista ante litteram La figura della carismatica femminista Iris von Roten al centro di un incontro al Parco Ciani di Lugano pagina 43

Quel che resta di venezia Grandi nomi ma non solo: si è conclusa la Mostra del Cinema in Laguna, un bilancio pagina 45

pagina 41

Doppio tenore Esattamente cento anni or sono nascevano due grandi tenori: un ricordo di Corelli e Di Stefano

pagina 47 Daniele Del Giudice in un’immagine scattata a Venezia nei primi anni 2000. (Shutterstock)

Del Giudice, il volo della vita

In memoriam Un ricordo dell’intellettuale Daniele Del Giudice, scomparso lo scorso 2 settembre

Paolo Di Stefano Nei suoi ricordi editoriali, Giulio Einaudi raccontò di essere rimasto sorpreso quando il «giovane autore» Daniele Del Giudice, al suo secondo romanzo, Atlante occidentale, riuscì a imporre la fotografia in copertina: il modellino di un locomotore elettrico. Era rarissimo che l’editore torinese non avesse l’ultima parola sulla scelta dell’immagine. Fatto sta che Del Giudice si proponeva già allora, nel 1985, con un’autorevolezza che altri suoi coetanei non avevano. Basti dire che due anni prima ebbe, per il suo libro d’esordio, Lo stadio di Wimbledon, una quarta di copertina firmata da Italo Calvino e chiusa da domande che già contenevano delle risposte: «Cosa ci annuncia questo insolito libro? La ripresa d’un romanzo d’iniziazione d’un giovane scrittore? O un nuovo approccio alla rappresentazione, al racconto, secondo un nuovo sistema di coordinate?». Erano domande retoriche, dove l’insistenza sull’aggettivo «nuovo» la diceva lunga sulla considerazione che Calvino aveva per quel giovane amico. Del resto, nella prima intervista, apparsa su «Paese Sera» nel 1978, il giornalista trentenne Del Giudice dava

già disinvoltamente del tu a Calvino. Del Giudice era per metà svizzero, nato a Roma nel 1949 da un padre grigionese scomparso quando Daniele era bambino. Con il secondo matrimonio della madre, dopo gli studi in collegio, si iscrisse in università senza mai raggiungere la laurea anche perché molto presto cominciò a lavorare come redattore (e come critico) alla pagina culturale di «Paese Sera», giornale romano del Partito comunista, ma più popolare dell’«Unità», pur vantando firme illustri come Gianni Rodari, Norberto Bobbio, Umberto Eco. Raccontava Del Giudice di aver vissuto l’infanzia come in un mondo parallelo, diviso tra la lettura vorace e la passione per la tecnica (fu bocciato in seconda media perché non faceva altro che giocare con i trenini elettrici). «Prima di morire, – ricordava – mio padre mi fece due regali: uno era una macchina da scrivere, una enorme Underwood americana con la tastiera italiana; l’altro era una Bianchi 28, una bicicletta. Invece di andare a scuola, andavo con la bicicletta sulla statale Appia, e giravo i colli attorno a Roma. Tornavo a casa, e di pomeriggio mi mettevo la custodia della Underwood sotto il culo, e scrivevo con due dita (come faccio tuttora)».

Il talento per l’osservazione delle cose, l’ossessione per l’esattezza definitoria e l’interesse per la scienza sono i tratti fondamentali della sua narrativa, quelli che lo avvicinano di più al suo «maestro» Calvino. La leggerezza di cui si è detto tanto è in fondo solo un cliché retorico, perché la prosa di Del Giudice è tutt’altro che leggera se per leggerezza si intende sottrazione di peso tout court, levità semplificata o trasparenza priva di malinconie. Anzi, nel presentare i suoi Racconti, Tiziano Scarpa ha parlato giustamente di «utopia malinconica». È impressionante, in Del Giudice, come il massimo di precisione dello stile, della lingua e dello sguardo piuttosto che produrre un eccesso di «freddezza intelligente» (l’accusa che più spesso gli veniva rivolta), sia capace di realizzare una pienezza conoscitiva e dunque una profondità nell’indagine dei sentimenti. La descrizione contiene in sé un pesante e pensante valore etico, e Del Giudice è uno scrittore che non si limita a narrare ma scrivendo pesa e pensa. Anche qui, appunto, come Calvino. E come per Calvino, ha subito il destino paradossale di morire per un tradimento del cervello: non però per un ictus, ma per una lenta, sfibrante, decennale malattia cognitiva che gli ha fatto

perdere la nozione del mondo, fino alla fine avvenuta il 2 settembre scorso in un istituto di Venezia, diventata da molti anni la sua città, dove ha insegnato e diretto con generosità e intelligenza il festival «Fondamenta». La tendenza autoriflessiva era già presente sin dagli inizi, ma si è andata complicando nel passaggio dal romanzo (i primi due libri) alle misure più brevi del racconto, dove la materia e gli intrecci si fanno più compressi, oltre che più complessi anche nella sintassi. Non a caso, le due fasi di Del Giudice hanno sempre creato un divario di gusto tra i suoi lettori: chi predilige la prima, chi la seconda, che si inaugura con Staccando l’ombra da terra nel 1994 e prosegue con Mania nel 1997, mentre Nel museo di Reims (splendida parabola di una angosciosa ossessione visiva, 1988) rimane a metà strada, essendo più un racconto lungo che un romanzo. Dal viaggio d’esordio sulle tracce dell’enigmatico Roberto Bazlen e del suo mistero (si tratta dello stesso Bobi, fondatore di Adelphi, a cui Calasso ha dedicato il suo ultimo libro), si passa nel 1985, con Atlante occidentale, all’incontro tra due amici appassionati del volo, un anziano scrittore in odore di Nobel e un giovane scienziato, che si confronta-

no sulle nuove prospettive anche filosofico-letterarie aperte dalle avveniristiche frontiere tecnologiche (quelle legate al grande acceleratore nucleare del Cern di Ginevra). I progressi impensabili della scienza riconducono alla riflessione sulla vita, sulla percezione, sulla moralità, sul tempo che muta (altro rovello della scrittura di Del Giudice). Tutti temi che si ripresentano in Staccando l’ombra da terra, dove il Leitmotiv, quello del volo, viene sviscerato dal pilota dilettante Del Giudice con un supplemento di partecipazione sentimentale in qualunque chiave venga declinato. Che si tratti della caduta di un aereo nuovissimo per via del gelo o che si tratti della tragedia dell’Itavia a Ustica, resa attraverso i drammatici dialoghi del «voice recorder», la grammatica del volo diventa grammatica esistenziale, dialogo tra allievo e maestro, sintesi etica, esigenza di equilibrio tra istinto e competenza tecnica, sguardo dall’alto sulle cose e sul territorio, controllo della mente e dominio del tempo e della narrazione. E così anche i racconti di Mania si spingono fino al limite estremo in cui l’immaginazione si fa corpo, «secondo un nuovo sistema di coordinate», avrebbe detto, sempre, Calvino.


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cultura e Spettacoli

nell’ambiente immersivo di Party Mostre Lugano ospita una grande mostra monografica dell’artista svizzero

Alessia Brughera Forme accuratamente definite, un’esuberante gamma cromatica, un’equilibrio compositivo studiato nei minimi dettagli e la capacità di rappresentare ogni soggetto in una modalità inedita che ne rafforza la risonanza fisica ed emotiva. A osservare le sue opere ci si accorge subito di come Nicolas Party, nato a Losanna nel 1980, sia un artista innovativo e tradizionale insieme. Innovativo perché ha riscosso un grande successo di pubblico e di critica sfidando le convenzioni della pittura figurativa attraverso la creazione di un linguaggio peculiare in cui l’immagine effigiata diventa una sorta di molla per catapultare l’osservatore in un universo straniante ed enigmatico. Ben consapevole dell’originalità della sua arte, Party ne conserva l’apparente ingenuità con un lavoro meticoloso. Il lavoro di chi non segue altre regole se non le proprie, riuscendo a trasformare le opere in micromondi dagli accenti onirici.

Nicolas Party è capace di muoversi in modo sapiente tra la tradizione e una certa forma di provocazione Tradizionale perché quella stessa pittura che l’artista ama provocare viene anche ostinatamente celebrata: Party rimane, nonostante tutto, un pittore ben radicato nella figurazione. Vero è che i suoi dipinti non riproducono la realtà così come appare, ma altrettanto vero è che non si distaccano mai completamente da essa. La sua arte prende vita da un dato reale che viene interiorizzato, manipolato dall’immaginazione e infine riproposto secondo canoni diversi. È così che con l’affascinante atmosfera fuori dal tempo e dallo spazio che caratterizza le sue opere, Party elabora una sintassi nuova trascrivendo una rappresentazione mentale affran-

cata da vincoli e convenzioni ma pur sempre riconducibile a un’entità esistente. Quanto l’artista svizzero sia legato alla tradizione lo dimostra anche il fatto che alla base della sua pittura ci sia un costante dialogo con la storia dell’arte, con le correnti e con i grandi maestri del passato e della contemporaneità da cui si lascia liberamente ispirare per dare vita a continue connessioni tra le differenti epoche. Nei lavori di Party c’è molto della pittura surrealista nel condurre lo spettatore al di là di ciò che l’occhio vede, in un mondo ineffabile come il sogno; c’è il vibrante, impetuoso cromatismo dei Fauves nell’arbitrario accostamento dei colori che segue una coerenza insita esclusivamente nell’armonia della composizione; c’è l’approccio nitido e minuzioso alla descrizione dei dettagli tipico dell’arte olandese del Seicento; c’è tanta suggestione simbolista nella trasfigurazione poetica della realtà; c’è uno sguardo attento anche alla pittura elvetica, quella di Félix Vallotton, ad esempio, con i suoi intensi dipinti privi di profondità, o quella di Ferdinand Hodler, con le sue opere dal tratto forte ed espressivo. E poi ci sono gli stimoli provenienti da donne dell’arte come Rosalba Carriera, la signora del pastello, o come Georgia O’Keeffe, maestra della dilatazione delle forme sui primi piani. Assiduo sperimentatore di molteplici tecniche, dalla pittura alla scultura, fino all’installazione, Party inizia la sua carriera negli anni Novanta con la realizzazione di graffiti e murales, un’esperienza, questa, che ancora oggi influenza in maniera determinante il suo lavoro, soprattutto nella modalità di presentazione delle sue opere. È abitudine dell’artista, infatti, modificare gli spazi che ospitano le sue esposizioni attraverso interventi pittorici e variazioni di ordine architettonico che hanno l’obiettivo di stravolgere la percezione del luogo costruendo un’ambientazione ad hoc, unica ed effimera, per lo spettatore. Questo è ciò che accade anche nella rassegna allestita presso il Museo

d’arte della Svizzera italiana, la prima importante mostra monografica dedicata a Party in ambito europeo, dove ad accogliere i pezzi selezionati per documentare i diversi aspetti della propria attività l’artista ha trasformato in maniera radicale la grande sala situata al piano interrato. Per l’occasione Party ha ideato una struttura architettonica a pianta centrale che nell’armoniosa disposizione delle stanze evoca gli edifici del passato e che nelle ampie campiture di colori contrastanti nonché nelle decorazioni di marmi policromi trompe l’œil (eseguiti insieme a Sarah Margnetti) riesce a raggiungere pienamente quell’effetto scenografico di totale coinvolgimento a lui tanto caro. In questo spazio dalla simmetria rinascimentale vengono presentati una trentina di dipinti a pastello e qualche lavoro scultoreo, tutti realizzati dal 2013 a oggi. Il percorso espositivo procede per tematiche, focalizzando quindi l’attenzione sui soggetti che ricorrono con frequenza nel mondo figurativo dell’artista. Se il ventaglio di colori vivaci, le campiture piatte, la semplificazione formale e l’illusione tridimensionale tradiscono il suo apprendistato da graffitaro, risulta interessante scoprire che la tecnica pressoché esclusiva con cui Party crea le sue opere è il pastello morbido, una scelta che può apparire desueta e controcorrente nel XXI secolo (e qui torna ancora il legame con la tradizione), ma che l’artista porta avanti con decisione per gli alti livelli di intensità e fluidità che può raggiungere grazie al fatto che il pastello è puro pigmento in polvere e proprio questa purezza rende il risultato finale più vibrante e luminoso. Nella mostra sfilano vedute boschive dall’impronta simbolista, paesaggi in cui viene completamente bandita la presenza umana e dove in taluni casi, come nel dipinto Landscape del 2014, appare più evidente un accento naïf, alla Rousseau. Ci sono i ritratti dal cromatismo acceso, con sguardi immobili quasi ipnotizzanti, e le desolate grotte ora infiammate di luce ora più

Nicolas Party, Rocks, 2014. Pastello morbido su tela. (Collezione Donald Porteous Foto: Michael Wolchover © Nicolas Party)

cupe, a ricordare gli arcani antri leonardeschi. Le vivide composizioni di rocce, poi, hanno grandi massi colorati che paiono tutt’altro che statici, mentre nelle nature morte, dal magnetismo surrealista e dall’impeccabile equilibrio d’insieme, le forme si fanno molli e cedevoli, plasmando la loro sagoma nell’addossarsi l’una all’altra. All’esterno della struttura che raduna le opere, Party ha realizzato quattro ampi dipinti murali a pastello ispirati ad altrettante tele di Arnold Böcklin raffiguranti cupe vedute di ruderi in bianco e nero, scenari mesti e misteriosi che nel netto contrasto con i colori squillanti degli spazi interni non fanno altro che dare maggiore enfasi ai lavori esposti. Al centro di ogni dipinto murale l’artista ha poi collocato un’opera della serie Creases che ritrae dettagli di corpi tratti da alcuni disegni di Bronzino, uno dei più raffinati pittori del Manierismo: questi nudi monchi e deformati su cui si posano insetti di

ogni sorta, definiti con una precisione iperrealista, rimandano, come le rappresentazioni böckliniane, a un’idea di decadenza, di disfacimento, di rovina. Proprio il concetto di rovina diventa così la chiave di lettura dell’intero progetto luganese di Nicolas Party. Al senso di decadenza e di precarietà (fugace è la natura stessa dei dipinti murali, che verranno distrutti al termine della rassegna), l’artista oppone però la convinzione che il declino porti con sé il seme di una rinascita. Che la transizione, e in questi tempi il messaggio arriva più forte che mai, sia anche e soprattutto un proiettarsi verso un nuovo inizio. Dove e quando

Nicolas Party. Rovine. Museo d’arte della Svizzera italiana, Lugano. Fino al 9 gennaio 2022. L’orario di apertura è consultabile direttamente sul sito del Museo. www.masilugano.ch

Party e il lavoro sull’ambiente

Incontri A colloquio con il giovane artista svizzero, che è legato in modo particolare al nostro Cantone Ada Cattaneo Per questa mostra gli spazi sotterranei del MASI sono stati completamente ripensati. non si è trattato solo di appendere dei quadri nel modo più opportuno, ma di creare un concetto inedito, realizzato per il museo di lugano. Potrebbe raccontarci il processo teorico e pratico che ha permesso questo risultato?

Quando sono invitato a fare una mostra mi piace molto lavorare sullo spazio stesso. Voglio creare il mio ambiente, dove esporrò i diversi dipinti e le sculture. Concepisco quella componente della mostra come se fosse un set, progettato in risposta allo spazio esistente. Al MASI, la sala che mi è stata proposta è un immenso rettangolo vuoto. Sembrava una grande tela bianca con cui giocare. Ho lavorato

Nicolas Party nel suo atelier. (Foto: Alex Dupeux, Courtesy l’artista e Hauser & Wirth © Nicolas Party)

con un modello dello spazio dal mio studio di New York nel corso di quasi due anni per trovare il modo giusto di creare il mio spazio. Quando sono arrivato a Lugano il piccolo modello creato in America era stato interamente realizzato in scala reale. È stato davvero impressionante vederlo con quelle dimensioni, specialmente per quanto riguarda i tre grandi archi che creano la prospettiva centrale.

Il pastello non è una tecnica molto diffusa quando si tratta di realizzare opere di grani dimensioni. Perché lo utilizza e che cosa comporta nella realizzazione di un’opera?

Sì, il pastello non è fatto per essere utilizzato sui muri. Per molto tempo è stato usato solo in formati piuttosto piccoli. La ragione non sta tanto nel mezzo in sé, ma piuttosto nel fatto che la dimensione del vetro usato per incorniciare il lavoro ne limitava le dimensioni. (In passato le lastre di vetro erano prodotte solo in dimensioni ridotte, ndr) Mi è sempre piaciuto lavorare sui muri e ho provato molte tecniche diverse: vernice spray, carboncino, olio e vernice acrilica. Così quando ho iniziato a usare il pastello a gesso ho subito voluto provarlo sui muri. Per usare il pastello su un muro è necessario cambiarne la superficie di modo che il colore steso si conservi. La

prima cosa che faccio è spruzzare una miscela di vernice e segatura sul muro. Dopo di che, la superficie assomiglia alla carta vetrata. L’altra questione importante è la protezione dello spazio circostante: il pastello crea una grande quantità di polvere, quindi è importante circoscrivere tutta l’area attorno a dove dipingo.

Mi è sembrato di cogliere dei riferimenti piuttosto manifesti ad alcuni artisti moderni e contemporanei. chi sono stati i più rilevanti per l’elaborazione delle opere esposte a lugano?

L’artista svizzero del XIX secolo Arnold Böcklin è una figura determinate per la mostra. Ho sviluppato i miei quattro murales a pastello a partire dai suoi dipinti. Böcklin è noto per essere una figura chiave del movimento del Simbolismo in Europa. Il suo dipinto Isola dei morti ha influenzato molti artisti. Ha anche ispirato un altro pittore svizzero che io personalmente amo molto, Hans Emmenegger, e che mi ha a sua volta ispirato. Ha scelto di coinvolgere alcuni giovani artisti ticinesi nella realizzazione della mostra. Qual è la sua opinione sulla nuova generazione di artisti svizzeri?

La Svizzera offre un enorme sostegno ai giovani artisti attraverso residenze,

premi e borse di studio. Ci sono anche splendidi musei e spazi che offrono agli artisti opportunità di mostrare e vedere arte. Penso che la qualità delle scuole d’arte svizzere sia fantastica. Forse a causa dell’insularità della Svizzera, credo che sia però anche importante per gli artisti vivere in altri paesi in modo da arricchire la propria sensibilità e la propria cultura. Ha trascorso un periodo piuttosto lungo in ticino e forse l’ha anche visitato quando viveva ancora a losanna. Qual è la sua opinione su questo luogo?

Ricordo di essere venuto in Ticino con i miei genitori quando avevo otto anni. Siamo stati con alcuni amici in una vecchia casa di pietra senza elettricità. È stato un momento importante della mia infanzia. Mi sentivo molto libero e avventuroso. Ricordo anche un bel weekend in Ticino quando avevo ventun anni. Con mio fratello e un altro amico venni in occasione del festival di Locarno, dormendo all’aperto o addirittura in un teatro alla fine di una festa. Anche quello fu un fine settimana magico. È stato fantastico essere a Lugano per un mese quest’estate per seguire l’installazione della mostra. Il museo è di fronte al lago e ogni giorno finivamo la giornata di lavoro andando a nuotare.


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cultura e Spettacoli

Iris von roten la visionaria Incontri A colloquio con Hortensia von Roten, la cui madre Iris nel 1958 scrisse

uno dei primi manifesti femministi creando grande scandalo e finendo nel dimenticatoio

due bambinaie meravigliose ad attendermi alle quali mi affezionai molto.

Natascha Fioretti Quante cose oggi sarebbero diverse se il manifesto femminista di Iris von Roten Frauen im Laufgitter pubblicato per la prima volta nel 1958 avesse ricevuto le giuste attenzioni e acclamazioni. Se fosse stato subito tradotto in inglese, francese e italiano. Se il mondo politico e la società civile si fossero confrontati con le sue analisi e le sue proposte. Se, almeno, fosse stato capito. Sicuramente non avremmo avuto bisogno del movimento #MeToo per denunciare le ingiustizie e le molestie sul lavoro e oggi la parità tra uomini e donne sarebbe ampiamente raggiunta, per lo meno in Svizzera. Invece l’opera di Iris von Roten è stata dapprima messa ferocemente alla gogna e in un secondo momento nascosta sotto un tappeto perché tutti dimenticassero alla svelta. A 50 anni dal voto alle donne la sua figura rivoluzionaria e innovatrice viene riportata in auge insieme al suo manifesto che proprio in questi giorni è uscito in francese per le Editions Antipodes con il titolo Femmes sous surveillance. Giurista, giornalista e intellettuale, Iris von Roten non solo evidenziò le discriminazioni professionali, giuridiche e politiche ma fu audace e controcorrente nel definire la maternità un fardello senza dignità e le faccende domestiche un giogo per le donne. Rivendicò l’amore libero e l’autodeterminazione sessuale in un cantone conservatore e cattolico come quello vallesano e in un paese che per altri 13 anni avrebbe negato alle donne il diritto di voto. L’11 settembre del 1990 si tolse la vita. Per conoscerla più da vicino abbiamo fatto qualche domanda alla figlia Hortensia von Roten, storica e numismatica, che domani 14 settembre alle 18.00 sarà ospite dell’evento «Per i diritti delle donne: la vita, l’amore e le lotte di Iris e Peter von Roten». Con lei al Boschetto Ciani ci sarà anche lo storico Wilfried Meichtry. Wilfried Meichtry nella sua biografia Verliebte Feinde (2012) mette a fuoco con grande intensità e dovizia di particolari la straordinaria storia d’amore tra Iris e Peter von roten. tra le principali fonti a cui attinge ci sono le loro lettere che lei ha messo a disposizione. come reagì quando Meichtry le raccontò del progetto?

Questo è il punto, Meichtry non mi ha mai detto del suo progetto. In realtà ho avuto modo di conoscerlo grazie al suo primo romanzo su una famiglia patrizia vallesana simile alla nostra. Andai alla presentazione del libro e ne rimasi affascinata per il semplice fatto che chi ambisce a fare carriera non si mette a scrivere una biografia su una famiglia patrizia cattolica. Da storica mi incuriosì la sua scelta. In quest’occasione il giovane Meichtry venne da me dicendomi di essere un grande ammiratore di mio padre, Peter von Roten. Uomo politico e giornalista, per mezzo secolo tenne una rubrica sul «Walliser Bote», fu consigliere vallesano nazionale per il

nel 1993, dopo la nascita di sua figlia, iniziò a lavorare a tempo pieno come curatrice della collezione di monete e sigilli del Museo nazionale svizzero di Zurigo. come mai questa scelta?

Un anno prima di rimanere incinta lavoravo a metà tempo e si aprì la possibilità di incrementare questa posizione al 100%. Mi candidai e la selezione andò per le lunghe. Ero quasi al termine della gravidanza quando mi comunicarono che il posto era mio. Si trattava di un’opportunità unica e accettai prendendomi i mesi di maternità che mi spettavano. Una scelta che non ho mai rimpianto. Cercai subito un asilo nido e contai sull’aiuto del mio compagno che ci sapeva fare con i bambini e adorava stare con loro. A casa ci dividevamo i compiti, la sera se uno di noi due aveva un impegno, l’altro stava con la bambina. Se si vuole fare carriera si dà priorità alla professione.

Iris von Roten nacque a Basilea nel 1917. (Keystone)

PPD e contemporaneamente si espose a favore dell’aborto e contro il militare. Il giovane Meichtry attratto da questa combinazione mi disse di voler scrivere di lui. Gli chiesi se conosceva mia madre. «Mai sentita», mi rispose. Uno storico attraverso le sue ricerche riesce talvolta a scoprire cose inedite, è un arricchimento per chi è coinvolto in prima persona?

Molte delle cose che ha scoperto mi affascinano ancora adesso. Ad esempio il racconto del poeta vallesano Maurice Chappaz, intimo amico di Iris e Peter. Quando Meichtry lo intervistò gli disse di una passeggiata che fece con Iris in una meravigliosa giornata di sole. Donna incredibilmente brillante, energica e bella, così la descrisse, a un certo punto si volse indietro e gli disse che tra i 65 e i 75 anni bisognava poter porre fine alla propria vita. Capisce, io sono cresciuta con questa idea, mia madre l’ha sempre sostenuta, ma dopo la sua morte, quando tutti mi chiedevano se non era stata un’esperienza terribile, non era facile spiegare che quello del suicidio in casa mia era da sempre stato un tema affrontato senza tragedia. Bisogna poter decidere della propria vita, avere questa libertà, diceva mia madre. Molte persone non lo capivano, pensavano che la nostra famiglia fosse travolta dal senso di colpa per ciò che era accaduto. È stata una rivelazione sentire Maurice Chappaz rievocare questa parole pronunciate da mia madre a 29 anni. Frauen im Laufgitter uscì che lei era ancora una bambina. Si è sentita orgogliosa di sua madre quando lo ha letto per la prima volta?

Ero già una donna adulta e conoscevo ogni parola di quel libro, anche i toni erano i medesimi che ero solita ascoltare in casa ogni giorno. Ho ammirato mia madre nelle lettere d’amore scorgendone l’intensità dei

discorsi, scoprendo come queste due persone avessero così tanta voglia l’una dell’altra, provassero una così forte attrazione sessuale. Ho ammirato la capacità di mia madre di confrontarsi costantemente con i temi più difficili, non temeva mai il confronto anche se sapeva che dall’altra parte non avrebbe trovato consenso. Quale fortuna ebbe nell’incontrare mio padre, uomo dalla stessa caratura intellettuale, anche lui abile scrittore ma di animo così differente. Peter von Roten era uno spirito libero e riusciva a riunire molte cose sotto lo stesso cappello, mentre mia madre vedeva tutto in una linea retta. Eppure per tutta la loro vita il coraggio e la voglia di stare insieme non sono mai venuti meno.

Il potente e coraggioso testo di Iris von Roten, giudicato indecente, è stato ignorato per anni, perfino dalle femministe Iris von roten scandalizzò l’opinione pubblica per la sua idea di maternità. Sosteneva che il modello classico del ruolo materno non rappresentasse un modello di vita soddisfacente. Quando lei aveva pochi mesi, per riprendersi dagli strapazzi del parto, partì per alcune settimane in Spagna e in Italia. lei fu affidata a un orfanotrofio per neonati. Guardando indietro cosa ne pensa?

Avevo sei settimane di vita. Bisogna immaginarsi che in un istituto del genere ci sono puericultrici altamente qualificate, molto più esperte di una madre quarantenne alle prime armi. Quando mi portarono a casa c’erano

oggi per i 50 anni di voto alle donne si torna a parlare di Iris von roten e del suo manifesto femminista, ma in tutti questi anni entrambi sono passati nel dimenticatoio. Perché?

Lasciandomi i diritti del suo libro mia madre mi ha investita di una grossa responsabilità. Ho sempre pensato che se non avessi fatto la cosa giusta di notte mi sarebbe apparsa in sogno. La verità è che il libro è stato messo a tacere. Diverso tempo fa mi sono imbattuta nella bibliografia di una dissertazione del 1960 sulla letteratura femminista svizzera in cui veniva citato ogni più insignificante testo apparso sul tema in improbabili riviste. Solo Frauen im Laufgitter mancava all’appello. Ma questo era lo spirito del tempo. Il libro venne fatto a pezzi e tacciato di pornografia, non ci fu un vero dibattito sulla sostanza dei contenuti. Si costruirono dei pettegolezzi per poi apostrofarlo come un testo indecente. Poi arrivarono le giovani femministe di sinistra che non vollero avere nulla a che fare con la borghese Iris von Roten. Poco è cambiato se guardiamo Alice Schwarzer, icona del femminismo tedesco, che per altro ammiro molto. Non ha voluto condividere la notorietà con chi prima di lei ha scritto la prima opera esaustiva sulla condizione femminile. Eppure mia madre nel suo libro si occupa di tutte le donne, dalla viziata donna altoborghese alla donna delle pulizie. Al di là delle sue idee, era proprio la figura della giurista Iris von Roten a dare fastidio. I suoi modi diretti non piacevano. Mia madre era un’individualista con un grosso ego che metteva sul piatto le sue rivendicazioni dicendo «io voglio ciò che mi spetta di diritto» e non giocava a fare la vittima. Anche per questo risultava scomoda.

Il teatro del tempo invita a fermarsi Festival È partita

la 17esima edizione della Via Lattea Gabriel Fauré (1845-1924) non è stato solamente uno dei maggiori compositori francesi a cavallo tra Otto e Novecento, ma ebbe anche un rapporto speciale con il Ticino, e più in particolare Lugano, città in cui soggiornò per ben cinque estati consecutive, dal 1909 al 1913. Fauré risiedeva all’Hotel Métropole, da dove quasi ogni giorno partiva una lettera indirizzata alla moglie Marie Frémiet a Parigi, in cui le raccontava del proprio lavoro e della permanenza nella città sul lago. Proprio queste lettere sono lo spunto di partenza per un viaggio di ricognizione che porterà l’affezionato pubblico della rassegna culturale La Via Lattea, organizzata dal Teatro del Tempo, nel cuore di Lugano. Come annunciato nel programma, l’edizione 2021 seguirà tre piste: le composizioni scritte da Fauré a Lugano, le composizioni meno note e quelle rilette da due fra i maggiori compositori del nostro tempo, Gérard Pesson e Johannes Schöllhorn. La rassegna, che si è inaugurata il 12 settembre con una densa giornata contrassegnata da alcune esecuzioni sul battello in un tour che ha toccato anche Castagnola, proseguirà con una serie di Déjeuner quotidiani, dalle 12:30 alle 13.30 a Palazzo Civico. Per l’occasione saranno eseguiti i Préludes 4, 5, 6, 7, nonché la Barcarolle n. 10. Il Terzo Movimento, nominato anche Gran Gala Fauré, avrà luogo sabato 18 settembre dal tardo pomeriggio fino a sera e prevederà, dopo alcuni concerti a Palazzo Civico, lo spostamento all’Auditorio RSI. Sarà invece un omaggio alla Belle Epoque l’appuntamento conclusivo di domenica 19 settembre dove, in un percorso coinvolgente, partendo dall’Auditorio della RSI si passerà alla Hall del LAC, per poi spostarsi sul lungolago (dove ci sarà un intervento dell’architetto Guido De Sigis), alla Torretta del Parco Tassino e infine ritornare all’Auditorio della RSI. Dove e quando

Per informazioni e programma dettagliato: www.teatrodeltempo.ch In collaborazione con

Dove e quando

Per i diritti delle donne, Lugano, Longlake Festival, Boschetto Parco Ciani, ore 18.00. Per info: longlake.ch

Gabriel Fauré mentre compone all’hotel Métropole di Lugano. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 settembre 2021 • N. 37

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Poca voglia di (sor)ridere

cultura e Spettacoli

cinema A Venezia si sono date appuntamento le stelle internazionali del cinema per presentare

una serie di film intensi e profondi, seppur spesso contraddistinti da un’aria sombre Nicola Falcinella Si è chiusa sabato sera con un buon bilancio la 78esima Mostra d’arte cinematografica di Venezia. La più antica manifestazione del cinema ha presentato, come già il recente Festival di Cannes, moltissimi titoli, poiché il fermo delle sale e degli eventi ha creato un tappo, con tante produzioni rimaste in attesa di presentare al pubblico i loro lavori. Salvo pochi più leggeri, sono stati ricorrenti i temi cupi, con frequenti scene violente e torture e sadismo che tornavano in parecchie storie, dal presente degli Stati Uniti (nel carcere di Abu Ghraib), del Messico o dell’Ucraina al passato dell’Unione sovietica. Opere mediamente tutte stimolanti provenienti soprattutto dall’Europa e dal continente americano, poco presente invece l’Asia e soprattutto l’Estremo Oriente, spesso terra di grandi film e proposte originali. Ne è uscito un concorso con ben 23 concorrenti e di livello abbastanza buono. Senza un netto favorito, il Leone d’oro (quelli alla carriera sono stati consegnati a Roberto Benigni e Jamie Lee Curtis) potrebbe essere rimasto in Europa, magari a est con un trittico di film molto forti, con la padrona di casa Italia con buone possibilità con i suoi cinque titoli in gara. In buona posizione anche un gruppo di pellicole di Francia e Spagna, senza dimenticare gli americani: Il collezionista di carte di Paul Schrader, forse il migliore del lotto ma sempre trascurato nei festival, Mona Lisa and the Blood Moon di Ana Lily Amirpour, quasi un horror con una psicopatica giustiziera (sarebbe un bis per un film di genere ed eccentrico dopo Titane, Palma d’oro a Cannes), mentre Spencer di Pablo Larrain su Lady Diana è stato accolto in maniera molto contrastata.

Poco spazio per la leggerezza a Venezia: molti i film crudi e cupi, forse segno del nostro tempo Il lavoro più singolare tra gli italiani, che allineavano i quotati È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino e Qui rido io di Mario Martone, è Il buco di Michelangelo Frammartino. Il regista milanese autore di soli tre film in vent’anni (Il dono del 2003 e Le quattro volte del 2010) è tornato in Calabria per un’opera di grande suggestione e difficile da incasellare, tra fiction e documentario. Ricostruisce, facendo parlare solo le immagini e senza dialoghi, come nel 1961 una spedizione speleologica partita da una Milano in fermento arrivò nel sud Italia che cominciava ad essere abbandonato per esplorare una cavità tra le montagne del Pollino. Il gruppo attraversa paesi dove la vita segue ancora i ritmi del passato dell’artigianato e della pastorizia, mentre le immagini del Pirellone appena terminato arrivano attraverso la televisione con un bellissimo spezzone d’archivio in bianco e nero. Alla metropoli del nord che cresce verso l’alto si contrappone un sud quasi immobile e tutto da esplorare, scendendo verso il basso. I giovani speleologi si calano nell’abisso del Bifurto fino a 683 metri di profondità, al limite di un’ampia conca erbosa dove pascolano mucche e cavalli. Fogli di carta incendiati buttati nel vuoto servono a vedere lo sviluppo della cavità che si illumina all’improvviso con immagini spettacolari, intanto, fuori, un anziano pastore si sente male. Il regista, con il suo tocco poetico unico, assiste,

Dal trailer di Il buco, di Michelangelo Frammartino. (YouTube)

partecipa, si stupisce e non calca mai la mano. Ci sono poche parole, si resta a guardare la vita e la sua fine, le fasi dell’esistenza, le meraviglie della natura e la ricerca di nuovi limiti da parte dell’uomo. Le splendide immagini, tra il chiuso e gli spazi aperti, tra la luce e il buio, sono del grande direttore ticinese della fotografia Renato Berta. Completamente diverso Illusioni perdute di Xavier Giannoli, ottimo adattamento del capolavoro di Honoré de Balzac. Il regista francese di Marguerite e L’apparizione torna a Venezia e non illustra ma rende vivo un mondo non così distante dal nostro. La voce off del narratore ci accompagna efficacemente a seguire il giovane e ambizioso Lucien che lascia la natale Angoulême per Parigi in compagnia della bella e nobile Louise, inseguendo sogni di scalata sociale e gloria letteraria. Si troverà immerso nel fermento della Francia della Restaurazione, in mezzo a tanti giovani e letterati senza scrupoli, terreno fertile per far nascere nuove riviste. Tutto sembra a portata di mano, basta essere pronti a giocare pesante: notizie false create ad arte, opinioni vendute al miglior offerente, idee cambiate per opportunismo, claque che decretano il successo o il fallimento degli spettacoli. Lo schema di ascesa e caduta è quello che Balzac contribuì a rendere classico e che Giannoli riesce a far diventare vivo e attuale, con una bella ricostruzione d’epoca che però non pesa: pare di assistere a un film tumultuoso ambientato ai giorni nostri e non due secoli fa, il mercanteggiamento diffuso accomuna il giornalismo vecchio stampo al mondo dominato dai social. Rivelatosi due anni fa con Atlantis, l’ucraino Valentyn Vasyanovych torna in Reflections a parlare della guerra che lacera il suo Paese. Siamo nel 2014 e il chirurgo Serhij è fatto prigioniero e torturato dai filorussi. Riuscito a sopravvivere assiste alle morti di altri malcapitati per il sadismo di questi soldati: i cadaveri vengono eliminati dentro un forno crematorio mobile nascosto in un camion di aiuti umanitari. Molto duro è pure il polacco Leave no Traces di Jan P. Matuszynski, ambientato nel 1983. Grzegorz, un giovane maturando, è arrestato e picchiato a morte dalla polizia, che però non ha lasciato traccia di botte sul cadavere. L’amico Jurem ha assistito e testimonia contro gli agenti, sostenuto da Barbara, madre dell’ucciso e poetessa vicina a

Solidarnosc e a padre Popieluszko, che sarà a sua volta assassinato. Un film teso che ispeziona ogni aspetto della vicenda, come si accusarono gli infermieri che invece soccorsero o le pres-

sioni sul padre del testimone per convincerlo a cambiare idea. Unica commedia in gara il riuscito Competizione ufficiale del duo argentino Gaston Duprat e Mariano Cohn

già apprezzato per Il cittadino illustre (2016). Penelope Cruz e Antonio Banderas, con l’aggiunta di Oscar Martinez, regalano momenti esilaranti e autoironici. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 13 settembre 2021 • N. 37

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cultura e Spettacoli

Un anno cruciale per i tenori

Musica Nel 1921 il mondo della musica classica vide la morte di Caruso e la nascita di Corelli e Di Stefano

Giovanni Gavazzeni 1921, anno quanto mai turbolento per la Penisola italiana, investita da violenze sanguinarie non domabili dal dieci volte Presidente del Consiglio, il liberale Giovanni Giolitti. È l’anno in cui Gabriele D’Annunzio lascia l’impresa di Fiume, dopo aver governato la città istriana con il celebre colpo di mano di cui ha parlato tutto il mondo. Arturo Toscanini gli ha reso omaggio musicale portando fra i legionari fiumani la neo-rifondata Orchestra della Scala («la Legione Orfica», secondo l’Immaginifico ComandantePoeta), prima di trionfare nelle tournée in America e in ogni teatro d’Italia. Il 2 agosto muore a Napoli, a soli 48 anni, il tenore che ha incarnato il mito moderno del canto italiano, Enrico Caruso. Con lui Toscanini ha tenuto a battesimo il simbolo del teatro verista, Pagliacci di Leoncavallo e l’opera che Puccini scrisse per la Metropolitan Opera di New York: La Fanciulla del West. Nello stesso fatidico ’21 nascono due futuri astri della chiave di tenore: l’8 aprile ad Ancona, Franco Corelli; il 24 luglio a Motta sant’Anastasia nell’agro di Catania, Giuseppe Di Stefano. Entrambi diverranno beniamini del pubblico mondiale, partendo dai successi che colgono sul temuto palcoscenico del Teatro alla Scala, in cui si passano il testimone in leggendarie serate d’inaugurazione. Corelli e Di Stefano hanno personalità opposte. Il primo è riservato, oculato, parco. Gira il mondo con la

Enrico Caruso nel film My Cousin, 2018. (Shutterstock)

fedele moglie-consigliera Loretta Di Lelio. Veste con sobria eleganza. Ha un fisico prestante non da tenore ma da attore di film peplum (eccellerà anche in opere togate, Norma, Vestale, Poliuto, Giulio Cesare). Leggendaria in un artista con una voce così possente e squillante la paura del palcoscenico che lo torturava dal momento in cui si svegliava a quando doveva andare in scena. Si ritirò dalle scene con ampio anticipo, tormentato sempre dal non sentirsi in condizioni ottimali. Al contrario Di Stefano era estro-

Un ricordo per il «Patriarca»

Mostre Fino al 25 settembre la Biblioteca

cantonale di Lugano omaggia Eros Bellinelli

verso, guascone, prodigo fino all’autolesionismo. Alla sua voce calda e sensuale bastavano due parole per sedurre la sala intera. Esordì come tenore lirico e si spinse in ruoli più drammatici senza risparmiarsi anche nelle tessiture più pesanti di Puccini (Tosca) e Mascagni (Iris e Cavalleria). Il celebre Pippo volava in scena in qualunque condizione, dopo aver passato nottate al casinò o viaggiato su fuoriserie decappottabili, incurante di malanni e conseguenze. Turbolento nella vita privata: due matrimoni e innumerevoli flirt, proseguì

a cantare fino quando ebbe un filo di voce. Fu l’unico capace di convincere la storica partner di entrambi, Maria Callas, a tornare a cantare per i «concerti d’addio», che in coppia tennero per il mondo nel 1973, dopo il devastante naufragio della relazione fra la Diva e il miliardario greco Onassis. Corelli e Di Stefano, come Caruso, diverranno popolari nel mondo attraverso le registrazioni discografiche, entrambi sotto contratto con la Voce del Padrone. Con la Callas, Di Stefano incise memorabili opere complete; Corelli

solo Norma, proseguendo a incidere i suoi ruoli indimenticabili di tenore romantico disperato ed eroico, con altre grandi soprano: Radamès (Aida) e Turandot (Calàf) accanto a Birgit Nilsson, Trovatore con Gabriella Tucci, Andrea Chénier con Antonietta Stella, Roméo con Mirella Freni, Don José con Leontyne Price. Le loro vite parallele si potrebbero raccontare come in una celebre serie televisiva degli anni 70, Attenti a quei due. Corelli nella parte di Roger Moore, il britannico composto ed elegante; Di Stefano in quella di Tony Curtis, l’americano ricco e un po’ esibizionista. Intanto per ascoltarli e vederli conviene approfittare di una mostra «interattiva», curata da Mattia Palma, visitabile sul sito del Teatro alla Scala (www. teatroallascala.org). Caruso, fondatore della leggenda aurea del tenore italiano moderno, idolatrato dalle folle, strapagato per recital e incisioni discografiche, è una leggenda italiana proseguita da Beniamino Gigli, Mario Del Monaco, Carlo Bergonzi e Luciano Pavarotti, stelle che vanteranno numerosi tentativi di imitazione. Invece di ricordare i pallidi emuli di quel ricco firmamento vocale, non dimentichiamo i «rincalzi» di quei super divi, la cosiddetta «seconda fila», dove trovarono spazio interpreti più limitati vocalmente, ma dotati di personalità e strumenti di spicco come Cesare Valletti, Ferruccio Tagliavini, Gianni Raimondi, Giuseppe Campora, Bruno Prevedi, Flaviano Labò, Gianfranco Cecchele. Annuncio pubblicitario

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Giovanni Medolago Dopo quello a Bixio Candolfi, la Biblioteca Cantonale di Lugano rende un altro omaggio a un intellettuale che rivestì ruoli importanti non solo per la RSI, bensì per l’intera società civile ticinese: Eros Bellinelli. Un patriarca, così lo definisce Enrico Morresi, che nella sua lunga vita (98 anni e 133 giorni) si è instancabilmente impegnato per la crescita culturale – soprattutto ma non solo – della Svizzera italiana. Un impegno sempre volto verso «l’irraggiungibile traguardo di farsi capire da tutti». Nato a Bodio nel 1920 da una famiglia d’origine ferrarese che aveva il concetto di solidarietà nel DNA, Bellinelli si diplomò alla Scuola cantonale superiore di Commercio di Bellinzona. Alle cifre e al business, tuttavia, preferì sempre le lettere e la cultura in senso lato. Ancora ventenne fece una prima fugace «apparizione» a Radio Monteceneri, all’epoca rifugio di numerosi intellettuali italiani in fuga dalla morsa nazifascista che attanagliava l’Europa, che dal Campo Marzio potevano ancora far sentire la loro voce. Giornalisticamente parlando, si fece le ossa nella redazione di «Libera Stampa», quotidiano socialista. Entrò ufficialmente alla RSI nel 1946, affascinato dalle potenzialità della radio, in grado di raggiungere una moltitudine di persone. Propose e realizzò una miriade di programmi, di cui molti nostri lettori (quelli d’una certa età) conservano certo memoria: Radiogioventù, Cantiamo sottovoce, La bricolla («contrabbando di incontri scherzosi e positivi, di ricerca dell’allegria e di iniziative per gli altri»). Quegli altri

e re nità , s a l e c s i r F av o è p r o v a t o!

Il percorso esistenziale di Eros Bellinelli ricordato a Lugano.

che, negli Anni 60, erano soprattutto i Gastarbeiter ai quali propose Per i lavoratori italiani in Svizzera, programma quotidiano diffuso dalle tre reti nazionali. Mediatore culturale instancabile, fu cofondatore delle Edizioni Pantarei (cui si deve la monografia Oltre confini e frontiere, curata come la mostra dai figli Luca e Matteo), ed ebbe pure un ruolo importante nella nascita del Premio Libera Stampa, attribuito a personalità quali Vasco Pratolini, Vittorio Sereni, Nelo Risi e tra gli altri Leonardo Sciascia. Non va dimenticato il suo amore per l’arte, che lo portò a scrivere decine di saggi critici. Infine, una curiosità: Bellinelli fu anche un talent scout. Nel 1958 volle alla «sua» radio una sconosciuta Ornella Vanoni, per diffondere le Canzoni della mala.

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Croccanti novità della settimana ti de l c affè: n a m a i r e v i Pe r tà se nza la nuov a v arieiunti e a zucc he ri ag g di g rassi to basso c onte nu

lla e d e n a p o Il nost r : c on una se t t imana ale di noc e n n o t a a u t u n a i s e mi g razie o st a r c a l l u s a di zucc mpast o e ne l l ' i

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Grande Caffè Zero 270 ml

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Twister con semi di zucca dal forno di pietra, IP-SUISSE Limited Edition, 400 g, confezionato

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Pasta frolla o pasta sfoglia M-Classic per es. pasta sfoglia, 2 x 270 g, 1.80 invece di 2.70

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Tutti i prodotti Thomy in tubetto, vasetto e flacone squeezer per es. maionese à la française, 265 g, 2.25 invece di 2.80

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surgelati, per es. al formaggio, 8 pezzi, 480 g, 3.60 invece di 5.20

prosciutto & mascarpone o mini prosciutto, in confezioni multiple, per es. prosciutto & mascarpone, 2 x 420 g, 9.65 invece di 13.80

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Zuppa di patate dolci e pastinaca Bon Chef bio in busta da 60 g

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Minestrone Bon Chef in busta da 86 g

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Caffè istantaneo Starbucks, in chicchi e in capsule per es. Macchiato Madagascar Vanilla, 12 capsule, adatte al sistema Nescafé®* Dolce Gusto®*, 3.95 invece di 5.60, in vendita nelle maggiori filiali. * Questa marca appartiene a terzi che non sono in alcun modo legati alla Delica AG.

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Müesli Farmer Croc disponibile in diverse varietà, per es. bacche di bosco, 2 x 500 g, 5.90 invece di 7.40

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Tutta la frutta secca e le noci (articoli Alnatura, Demeter, Sélection, Sun Queen Premium Nuts e sfusi esclusi), per es. spicchi di mango Sun Queen, 200 g, 3.30 invece di 4.10

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Tutto l’assortimento Nissin, Chop Stick, Namaste India e Al Fez per es. Nissin Soba Classic, in bustina da 109 g, 1.40 invece di 1.80

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Knorr Noodles pomodoro e paprica in sacchetto da 63 g

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Mix per wok M-Classic

Knorr Noodles formaggio ed erbe aromatiche

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Tutto l'assortimento di confetture Favorit per es. alle bacche di bosco, 350 g, 2.95 invece di 3.70

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disponibili in diverse varietà, per es. Soft Lampone, 2 x 234 g, 7.– invece di 8.80

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in confezioni speciali, per es. Maltesers, 400 g, 5.90 invece di 7.60

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Prodotti per la doccia o lozioni per il corpo Kneipp in confezioni multiple, per es. lozione per il corpo ai fiori di mandorlo, 2 x 200 ml, 17.70 invece di 23.60

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