Azione 37 del 9 settembre 2024

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edizione

MONDO MIGROS

Pagine 2 / 4 – 5

SOCIETÀ Pagina 3

Medicina di genere: le giovani donne sono più colpite da disturbi psichici rispetto agli uomini

Le polemiche, di cui John Belushi fu oggetto dopo la sua morte, ce lo hanno fatto (quasi) dimenticare

TEMPO LIBERO Pagina 13

Nei suoi primi venti mesi in Governo Albert Rösti è riuscito a imporre la propria agenda

ATTUALITÀ Pagina 19

Le relazioni affettive non hanno età

Intervista al Premio svizzero di letteratura Michael Fehr ospite di Babel dal 13 al 15 settembre

CULTURA Pagina 31

La fame dei bambini di Gaza

C’è un argomento scandalosamente inoppugnabile per dire basta alla guerra di Israele a Gaza. Questo argomento sono i bambini. Anche noi ci sentiamo indignati dopo la scoperta dei cadaveri di sei ostaggi innocenti, giustiziati nei tunnel da Hamas. Senza che si possa imputare loro nessuna colpa se non quella di essere ebrei, sono stati assassinati dopo avere vissuto come un incubo gli ultimi mesi delle loro vite. Stando al «Times of Israel» nelle mani dei terroristi a inizio settembre c’erano ancora 97 dei 251 rapiti il 7 ottobre scorso. Trentatré sono stati uccisi nei mesi di prigionia, altri 35 sono stati trasportati morti a Gaza dai militanti di Hamas e secondo il Governo israeliano quelli ancora in vita sarebbero solo 64: 52 uomini, 19 donne e 2 minorenni. I terroristi che comandano a Gaza sono cinici, brutali e vigliacchi. Non solo usano gli ostaggi come merce simbolica di scambio nel mercato delle trattative (che non sembrano mirare a una

vera pace, da una parte e dall’altra), ma continuano a giocare sporco anche nei confronti dei «fratelli» palestinesi, andandosi a nascondere in mezzo ai civili, rendendoli bersagli dell’artiglieria nemica. Trasformandoli, di fatto, anche loro in ostaggi della violenza nemica. Cinico brutale e vigliacco è però anche il Governo israeliano che non persegue l’obiettivo di salvare i propri connazionali (e infatti i parenti degli ostaggi non lo sopportano più) ma sembra girare intorno al progetto neanche tanto occulto di eliminare tutti i palestinesi di Gaza, buoni e cattivi, se così si può dire. Altrimenti non si spiegherebbe la totale assenza di «precauzioni» per risparmiare i più innocenti tra gli innocenti. Sapevate che i bambini morti nei bombardamenti dall’inizio delle ostilità sarebbero almeno 14mila (stima dell’Unicef)? Migliaia di altri minori sono rimasti feriti e siccome non esistono, laggiù, oasi di salvezza o aree di sicurezza da-

gli attacchi che possono arrivare ovunque, anche nelle scuole o negli ospedali, e in qualsiasi momento, i bambini si nutrono di paura, violenza e morte. E poi c’è il flagello per certi versi più subdolo, perché invisibile e incalcolabile, che è quello della fame vera. Nessun rapporto recensisce, purtroppo, il numero complessivo delle giovanissime vittime di malnutrizione e disidratazione a Gaza. Filtra qualche testimonianza medica dagli ospedali. Uno sconvolgente reportage pubblicato da «Le Monde» il 27 agosto riferisce ad esempio che il dipartimento pediatrico dell’ospedale Kamal-Adwan ha registrato recentemente la morte di 37 minori sottonutriti e disidratati. «Al momento del decesso», scrive il quotidiano, «c’erano neonati che pesavano solo 1,3 kg». L’Unicef conferma l’emergenza: «Oltre 50 mila bambini con meno di 5 anni nella Striscia di Gaza hanno bisogno di trattamenti urgenti contro la malnu-

trizione acuta». E l’Ong Médecins du Monde spiega che a Gaza la mancanza di cibo, la restrizione di aiuti umanitari e l’assenza quasi totale di multivitaminici toccano direttamente le madri e i loro bébé. Mamme senza cibo per sé stesse, per i loro bambini, ergo senza latte, oltre che senza l’intimità e la tranquillità minime sindacali per svezzare i propri piccoli.

È la guerra, si dirà. Ma che attenuante è? Non è lecito affamare la popolazione per costringerla a ribellarsi ai terroristi. Non è lecito che Israele riduca al minimo i passaggi di aiuti dal corridoio di Netzarim, in un territorio che già prima del 7 ottobre dipendeva per l’80% dagli aiuti esterni. È indegno di una democrazia che il terminal di Kerem Shalom sia l’unica porta d’entrata per viveri e farmaci che, tra l’altro, vi restano bloccati a tempo indeterminato. Se non volete fermare le armi, almeno date da mangiare ai bambini e curateli.

Stefania Hubmann Pagina 7
Carlo Silini

Verde è il colore della speranza

Società ◆ Attribuito mercoledì

a Greenhope il 41esimo Premio della Fondazione Adele Duttweiler

I negozi aprono alla musica

Verde è il colore della speranza, anche quando le nubi della vita sembrano oscurare tutto. Greenhope, cioè letteralmente speranza verde, è il nome della Fondazione ticinese che dal 2011 organizza eventi spensierati per i bambini malati di cancro e per le loro famiglie e a cui mercoledì scorso è stato attribuito il 41esimo Premio della Fondazione Adele Duttweiler per un valore di 100 mila franchi. «Wow, mai ricevuto una donazione simile» ha commentato radioso, nella sede dell’istituto Duttweiler a Rüschlikon, il presidente del Consiglio di Fondazione di Greenhope – Sport against Cancer, Luca Cereghetti. «Avevamo già avuto riscontri molto positivi alle nostre iniziative dalle famiglie, dai bambini e dagli sportivi, ma quello ricevuto oggi da Migros per noi è un riconoscimento istituzionale esterno d’altissimo livello, fondamentale dal punto di vista sia motivazionale sia finanziario. Diciamo che per noi è una specie di Oscar alla carriera. Dedico questo premio a chi ha creduto nel nostro progetto, ai partner, ai volontari ma soprattutto alle famiglie e ai bambini che hanno approfittato di quello che abbiamo fatto in questi anni». Suo fratello Mattia ha dal canto suo sottolineato che Greenhope non entra negli ospedali ma collabora molto proficuamente con i genitori dei bambini ospedalizzati e non, andandoli a prendere su e giù per la Svizzera con grande impegno ed entusiasmo, come ha testimoniato anche Jeannette Tornare, segretaria generale dell’associazione romanda dei genitori di bambini malati di cancro Arfec.

Da Migros 100 mila franchi alla fondazione che crea eventi per bambini toccati dal cancro e per le loro famiglie

Ognuna delle dieci cooperative Migros nazionali ha contribuito a finanziare il prestigioso riconoscimento con 10 mila franchi, per un totale di 100 mila franchi, appunto. La donazione sarà utilizzata per sviluppare nuove attività.

Commosse le parole dello sportivo Raphäel Berger nome eccellente dell’hockey elvetico ed ex direttore generale dell’HC Fribourg Gottéron, che ha ricordato nella sua laudatio che il «verde» di Greenhope non riguarda solo il concetto di speranza, ma anche quello del coraggio, dell’umiltà di accettare che tutto può capitare, della creatività, della combattività, della positività di utilizzare le difficoltà per trarne qualcosa di buono». Qualcosa che fa battere il cuore e brillare gli occhi dei bambini e delle famiglie che partecipano alle iniziative di Greenhope.

Molto soddisfatto anche il direttore di Migros Ticino, Mattia Keller, promotore per la propria cooperativa della candidatura ticinese al premio. «Greenhope va a braccetto con la storia di Migros e la sua sensibilità

per le questioni sociali. Oggi vediamo davvero che la speranza che dà Greenhope ai bambini e a chi vuole intraprendere una carriera sportiva è un valore irrinunciabile per poter guardare al futuro con positività». La festa è stata accompagnata da un paio di interventi della rock band Golden

Vultures, sulle cui note hanno ballato proprio tutti. Greenhope è nata nel 2011 su impulso di Luca Cereghetti e di Claudio Andenmatten riprendendo un team di mountain bike di giovani talenti del panorama svizzero. Entrambi toccati nella propria cerchia

Eventi ◆ Un percorso di suoni a Lugano

I premiati tra il direttore di Migros Ticino Mattia Keller, a sinistra, e Jean Marc Bovay, presidente del consiglio d’amministrazione della fondazione Adele Duttweiler; sotto: Luca Cereghetti con Bovay; la presidente dell’Amministrazione di Migros Ursula Nold, Luca Cereghetti e il Presidente della direzione generale di Migros Mario Irminger. (Foto Migros/Nik Hunger)

famigliare dalla malattia, i due decidono di attribuire un senso sociale al team con l’obiettivo di lottare contro il cancro. Nasce così il progetto «biking against cancer», che nel 2015 si trasforma in una fondazione vera e propria adottando il motto «sports against cancer». L’iniziativa è subito appoggiata da Lara Gut e Ralph Naef, seguiti nel tempo da altri atleti di grande livello, come Beatrice Lundmark, Jarno Trulli, Kubilay Türkyilmaz, Michael Fora e del sostegno di squadre come l’Hockey Club Ambrì Piotta giovani, il Football Club Lugano, l’Hockey Club Davos Nachwuchs e il Friboug-Gottéron Young Dragons; club con i quali si organizzano anche dei charity games.

L’idea originaria è stata quella di promuovere lo sport in una piattaforma di azione positiva, dando prova di grande creatività, con l’obiettivo di lottare attivamente contro il cancro dei bambini e sviluppare giovani talenti sportivi. Tra le altre cose Greenhope, che – ricordiamo – è una fondazione senza scopo di lucro attiva in Svizzera ma anche all’estero, ha organizzato eventi come i laboratori di street art in cui i bimbi creano opere d’arte che poi servono da ispirazione ad artisti che le realizzano in dipinti di grandi dimensioni, le giornate con i comici dove sempre i piccoli diventano protagonisti preparando degli spettacoli, gite al circo (Knie, beninteso) e gare di go-kart (vedi il sito www.greenhope.ch).

Oggi Greenhope sostiene finanziariamente una dozzina di giovani sportivi e squadre junior e organizza fino a una ventina di manifestazioni all’anno per le famiglie con un figlio toccato dal tumore. Una parte dei doni raccolti quest’anno ha permesso di offrire un weekend in Svizzera centrale a una decina di famiglie. / C.S.

Metti un sabato qualunque di metà settembre; metti le incombenze spesso legate a questo giorno della settimana, per la maggior parte delle persone corrispondente a una giornata libera, e metti infine una spesa in centro a Lugano, a spasso tra negozi e supermercati. E sarà proprio quel sabato, a trasformare una normale giornata di spesa in un momento di ascolto, aggregazione, e perché no, di poesia musicale. La Società dei Commercianti di Lugano e la Fondazione Conservatorio della Svizzera italiana, infatti, il 14 settembre propongono per la seconda volta la manifestazione Negozi in musica: gran parte della giornata sarà dedicata alla musica da camera con concerti gratuiti nel cuore della zona pedonale di Lugano. Per l’occasione, quaranta negozi e attività commerciali del centro città si trasformeranno in autentiche stazioni musicali, offrendo un’esperienza unica che si snoderà tra via Nassa, via Luvini, via Pessina, corso Pestalozzi e via Pretorio, dando così vita a un’affascinante passeggiata musicale nel centro cittadino. Protagonisti di questo evento saranno 28 giovani musicisti del Conservatorio della Svizzera italiana (CSI), provenienti dai dipartimenti di Scuola di Musica, Pre-College e Scuola Universitaria, che si esibiranno in formazioni che spaziano dal solista fino al quintetto. I concerti, della durata di 20–25 minuti ciascuno, si svolgeranno all’interno e all’esterno dei negozi, a orari scaglionati, permettendo al pubblico di apprezzare le diverse proposte musicali che, in un percorso tanto ardito quanto interessante, passeranno da Mozart a Piazzolla, toccando Bach ed Edith Piaf, senza tralasciare Debussy, i Coldplay e i migliori standard jazz. Anche la filiale Migros di Lugano Centro (Via Pretorio), diretta da Metikos Sinisa, parteciperà all’evento con la soprano Elisa Prosperi (ore 12.00) che in programma porterà: John Cage, Experiences no.2; Mauricio Kagel, da Der Turm zu Babel Portoghese; Sofia Gubaidulina, Aus den Visionen der Hildegard von Bingen; Niccolò Castiglioni, Così parlò Baldassarre. La giornata si concluderà con una performance d’ensemble in piazza Dante alle ore 17.30.

Informazioni

SOCIETÀ

Le relazioni nella terza età Lo spettacolo teatrale L’ultima sciances affronta il tema dell’affettività e della sessualità nelle persone anziane

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La biblioteca universale digitale Internet Archive, organizzazione no profit fondata da Brewster Kahle nel 1996, digitalizza circa un milione di volumi all’anno

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Pressioni sociali e giovani in crisi

Sempre meno adozioni

Diminuisce il numero di bambini adottati da Paesi esteri: ci spiega le cause Sabina Beffa dell’Ufficio dell’aiuto e della protezione

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Ricerca ◆ Uno studio commissionato da Promozione Salute Svizzera rileva importanti differenze di genere: le donne sono più colpite dai disturbi psichici rispetto agli uomini

Nel periodo che va dal 2020 al 2021 i disturbi psichici e comportamentali hanno subìto un aumento delle ospedalizzazioni senza precedenti delle giovani (ragazze e donne) tra i 10 e i 24 anni. È quanto emerge dai dati dell’Ufficio federale di statistica (Ust) che, nel biennio citato, attesta un aumento di ospedalizzazioni delle giovani donne del 4% nel 2020 e del 17% nel 2021, a fronte del 6% per i coetanei di sesso maschile. Un incremento preoccupante che merita di essere approfondito in quanto, a titolo di paragone, tra il 2012 e il 2019 l’aumento annuo medio si attestava al 3.4%.

Dal canto suo, l’Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp) già nel 2021 aveva riconosciuto il dilemma crescente dei problemi di salute mentale tra i giovani, dichiarando a suo tempo che a breve sarebbe stato pubblicato un rapporto dettagliato per delineare le misure atte a migliorare i servizi di assistenza alla salute mentale, «con particolare attenzione ai bambini e agli adolescenti».

Le ospedalizzazioni delle giovani donne di età comprese tra i 10/15 e 24 anni sono aumentate del 4% nel 2020 e del 17% nel 2021, a fronte del 6% per i coetanei di sesso maschile

Un ambito, quello della prevenzione della salute mentale, nel quale Promozione Salute Svizzera non è certo stata a guardare: quella «degli adolescenti e dei giovani adulti sta ricevendo sempre più attenzione nei dibattiti pubblici in tutto il mondo, non da ultimo a causa del suo profondo impatto sugli individui e la società nel suo complesso. Il genere svolge un ruolo centrale nel benessere mentale, in quanto le ripercussioni sono maggiori tra le giovani donne che tra i giovani uomini». Questa la considerazione della fondazione il cui incarico conferito dalla Confederazione è di avviare, coordinare e valutare misure atte alla promozione della salute e alla prevenzione delle malattie, per rafforzare il benessere dell’intera popolazione svizzera. Missione che il sodalizio espleta sostenendo gli sforzi degli attori che operano in questo campo, affinché un numero possibilmente alto di persone e organizzazioni riescano ad adottare un comportamento idoneo, creando altresì un ambiente favorevole alla cura della salute.

A tale scopo, la fondazione ha commissionato uno studio esplorativo della letteratura sul tema della salute mentale all’Interdisziplinäres Zentrum für Geschlechterforschung (ndr: Centro interdisciplinare per gli

studi di genere) dell’Università di Berna. Proprio sulla base dei risultati di questa ricerca, Promozione Salute Svizzera ha potuto dedurre i principali fattori di influenza e ideare le misure di promozione della salute che si concentreranno ora proprio sulla salute mentale delle giovani donne. È necessario ridurre le cause delle disuguaglianze e decostruire i ruoli tossici di genere

Dall’analisi della situazione nel mondo, e in Svizzera, è emerso che: «Gli adolescenti e i giovani adulti sono esposti a un ambiente sociale, culturale ed economico sempre più complesso, che li pone di fronte a sfide crescenti». D’altronde, anche l’UNICEF (da: Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, 2013) parla da tempo di «un’era globale di crisi multiple (ndr : ad esempio crisi climatiche ed energetiche, guerre) che hanno un impatto sul benessere e sulla salute mentale di bambini, adolescenti e giovani

adulti». Un contesto difficile di lungo termine che si è manifestato dunque già prima della pandemia di Covid-19 e che sta continuando, la cui tendenza, dati alla mano, si certifica in modo preponderante, come detto, nelle giovani donne di età comprese tra i 10/15 e 24 anni.

Il dato di genere ha portato Promozione Salute Svizzera a ulteriori analisi: «Le norme e le disuguaglianze di genere sono fattori importanti per la salute e il benessere che devono essere integrati nelle misure di promozione della salute, il cui approccio è volto a integrare e trasformare la prospettiva di genere in modo più efficace; serve in pratica una linea che sappia integrare e mettere in discussione le relazioni di genere, mirando a ridurre le cause delle disuguaglianze e a decostruire i ruoli tossici di genere».

Le interviste con gli esperti (parti integranti dello studio) hanno evidenziato che la salute mentale delle giovani donne in Svizzera è influenzata principalmente da tre fattori: la

pressione e lo stress delle prestazioni, l’influenza dei social media, nonché i ruoli di genere. Inoltre, viene citato lo studio di Campbell et al. (2021) che rivela come, quando si tratta di salute mentale, le differenze di genere sono più pronunciate nei Paesi con un alto grado di uguaglianza di genere.

I risultati ottenuti dalla ricerca riflettono dunque anche la complessità, fino a poco tempo fa sconosciuta, delle differenze di genere nella salute mentale. Ciononostante, pur riconoscendo la necessità di misure specifiche per genere (come la creazione di spazi sicuri), gli esperti non hanno espresso opinioni nette sul fatto che i progetti di promozione della salute attuati debbano essere distinti essenzialmente per genere: «I progetti dovrebbero concentrarsi su temi specifici (ad esempio l’auto efficacia), ma il genere dovrebbe essere integrato come tema trasversale».

Dall’analisi accurata di quanto emerso dallo studio commissionato da Promozione Salute Svizzera all’Interdisziplinäres Zentrum für

Geschlechterforschung dell’Università di Berna, questo è quanto si può riassumere: «La salute mentale degli adolescenti e dei giovani sta diventando sempre più importante in tutto il mondo, data l’influenza centrale che ha sugli individui e sulla società in generale». Situazione che ha portato a dedurre utili misure di intervento, appoggiandosi su quattro distinti livelli di intervento: «Politica, networking, informazione pubblica e sensibilizzazione che possono essere definiti per i programmi di azione cantonali e possono essere adattati per la promozione della salute mentale degli adolescenti e delle adolescenti in generale, indipendentemente dal sesso». Emerge, infine, anche l’invito alle autorità cantonali a contribuire all’attuazione delle misure proposte: «Sapendo che queste devono essere sostenute da altri attori cantonali e nazionali». A questo proposito, conclude la fondazione: «Non bisogna dimenticare che la collaborazione intersettoriale svolge un ruolo fondamentale».

Maria Grazia Buletti
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Il nuovo look dei Nostrani del Ticino

Attualità ◆ Sono sempre di più i prodotti regionali che sfoggiano la nuova veste

Il nuovo ed elegante logo dei Nostrani del Ticino con il caratteristico bacio che rappresenta l’amore per il nostro territorio sta prendendo sempre più piede nei supermercati Migros. Il processo di conversione delle confezioni dal vecchio al nuovo design, infatti, procede regolarmente e secondo programma e i prodotti con il design rivisitato presenti sugli scaffali continuano a crescere. Stiamo lavorando a stretto contatto con i nostri produttori affinché questo processo di transizione avvenga in modo regolare e continuo. Naturalmente, ciò non influisce sulla qualità dei prodotti, che rimane quella apprezzata da sempre dall’affezionata clientela. In questa pagina vi illustriamo alcuni articoli che sono già disponibili con il nuovo brand.

Per il fornitore Paolo Bassetti la valorizzazione di due prodotti simbolo del nostro territorio – il mais e le castagne – è un criterio irrinunciabile. Oltre alle sue differenti farine per polenta e alla farina di castagne già presenti nei negozi Migros, quest’anno ha lanciato una novità particolarmente interessante, le chips di mais, realizzate al 100% con mais ticinese. Una vera bontà perfetta da servire come aperitivo per sorprendere e deliziare i propri ospiti.

Sono diversi i formaggi freschi di produzione regionale ottenibili alla Migros, tra cui per esempio i formaggini senza lattosio del Monte Lema, una specialità prodotta artigianalmente nell’Alto Malcantone dall’azienda agricola di Marco e Isa Scoglio. L’azienda è attiva da oltre due decenni e oggi alleva una settantina di bovini da latte di razza Brown Swiss. Gli animali possono pascolare liberamente nei prati nutrendosi di buona erba fresca e altre piante, producendo un latte ricco di sapori di montagna. Subito dopo la mungitura, il pregiato latte viene trasformato nel caseificio aziendale.

Questa saporita e delicata formaggella, prodotta in Valle di Blenio dal Caseificio del Sole di Aquila, viene commercializzata dopo un periodo di stagionatura di una trentina di giorni. È un formaggio aromatico a pasta bianca morbida, prodotto con latte vaccino dell’azienda stessa seguendo ancora oggi un’antica ricetta della regione. Oltre alla formaggella, Severino Rigozzi – titolare del Caseificio del Sole – in estate produce pure l’aromatico formaggio Alpe Camadra DOP sull’omonimo alpeggio. Una vera delicatezza stagionata per almeno sessanta giorni in quota.

L’azienda Quarta Gamma SA di Riazzino produce per Migros Ticino diverse insalate fresche pronte al consumo di provenienza ticinese, come p.es. cicorietta, filante, iceberg, rucola, formentino, spinacino, carote julienne, cabis bianco e rosso e delle insalate festive stagionali. Le verdure sono coltivate nel rispetto dell’ambiente e lavorate entro poche ore dalla raccolta. I prodotti vengono accuratamente selezionati e lavati seguendo scrupolose norme igienico sanitarie e sono costantemente controllati attraverso delle analisi a campione. Grazie a questi rigorosi standard, tutte le specialità sono pronte per essere servite in tavola e consumate senza problemi.

Le settimane dei Nostrani del Ticino fino al 23 settembre 2024

Proveniente al 100% da grani biologici coltivati sul Piano di Magadino, la farina integrale di frumento è una farina scura, ottenuta dalla macinazione del chicco intero. Ricca di fibre, è particolarmente indicata per la preparazione di pani, pani in cassetta, cracker, grissini, panini e focacce. Può essere utilizzata anche mischiata ad altre farine, in modo da conferire alle preparazioni non solo maggior sapore, ma anche un apporto di importanti fibre. La farina integrale bio è un prodotto del Mulino Maroggia.

I fagioli borlotti sono tra i legumi più amati grazie al loro sapore dolce, leggermente nocciolato, alla consistenza cremosa e alla versatilità culinaria. Anche in Ticino un’azienda agricola si è lanciata con successo nella coltivazione di questa varietà di fagiolo, la Agrotomato SA di Giubiasco. I legumi vengono seminati nel mese di maggio e raccolti a settembre. Una volta fatti essiccare, vengono puliti, confezionati e subito forniti ai supermercati Migros.

Impossibile resistere alla tentazione di un buon bicchiere di gazosa, una delle bevande più rappresentative del nostro territorio. La bevanda è stata lanciata nei negozi Migros oltre vent’anni fa ed è ancora oggi prodotta dalla Sicas SA di Chiasso ispirandosi a un’antica ricetta del Mendrisiotto. Da sempre gli ingredienti impiegati sono di origine naturale e non si ricorre all’utilizzo di conservanti, edulcoranti o aromi artificiali.

Tra i fornitori di uova biologiche di Migros Ticino, troviamo anche l’azienda agricola Gigi’s Ranch di Bironico. L’azienda è gestita da Margherita Manetti e alleva ca. 2000 galline ovaiole. Gli animali possono scegliere liberamente se razzolare all’aperto nel prato o rifugiarsi nell’ampio giardino d’inverno. L’alimentazione è costituita da una miscela equilibrata e ricca di nutrienti di cereali certificati bio.

Da più di vent’anni il pane Val Morobbia conquista ogni giorno i ticinesi che lo scelgono per accompagnare i pasti della loro giornata. Versatile e saporito, è facile finire la pagnotta prima del calare del sole. A colazione tostato si abbina perfettamente a un buon Amér da castégna e téi, un miele di castagno e tiglio 100% ticinese; a pranzo o a cena accompagna perfettamente qualsiasi piatto, come una fresca insalata e una buona luganiga oppure un formaggino senza lattosio della linea nostrani del Ticino.

Il pane Val Morobbia è diventato un grande classico della nostra regione

Dal 2002 il Pane Val Morobbia è una tra le specialità più apprezzate dai nostri clienti. Oggi prodotto in esclusiva per Migros nella sede di S. Antonino della Fresh Food & Beverage Group, con cereali coltivati esclusivamente nel nostro Cantone secondo i criteri IP-SUISSE, il Valle Morobbia nacque dall’esigenza di sostenere i produttori locali, promuovendo e valorizzando dei nuovi prodotti nostrani. Intuizione felice, quella di un ex responsabile delle vendite di Jowa

Tutto il sapore dei grani ticinesi

Attualità ◆ Pane Valle Morobbia, un successo che parla di

Luisa Jane Rusconi

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che viveva proprio in Valle Morobbia e che dalle abitudini della vita dei contadini di un tempo prese spunto per questo pane dal sapore antico. Una miscela di acqua, farina di segale e farina bigia, il cui sapore è arricchito dalla presenza di pasta madre (detta anche pasta acida) essiccata, farina di malto d’orzo e sale. Le farine, che sono poco raffinate, non solo conferiscono un sapore rustico al pane, ma contengono entrambe importanti sostanze nutritive.

L’impasto, lavorato da mani sapienti, acquisisce poi parte delle note gustative che lo contraddistinguono anche grazie alla presenza del lievito naturale. La ricetta del Pane Valle Morobbia è stata studiata per replicare alla perfezione il pane cotto a legna seppure venga cotto in forni convenzionali. La sua crosta infatti è scura e saporita, spessa e croccante. La mollica morbida di questo pane ne permette una lunga conservazione e i crostini di Valle Morobbia tostati o grigliati sono croccantissimi. Il Pane Valle Morobbia lo trovi alla Migros in tre formati: maxi pagnotta da 1,4 kg, la classica da 550 grammi e la piccola da 320 grammi. Come gustarlo?

Per le ultime calde giornate d’estate ti diamo tre spunti di ricette freschissime: panzanella, gazpacho, bruschette. E per la stagione fredda? Niente

paura il Valle Morobbia si sposa perfettamente con pietanze nostrane come il minestrone, la zuppa di zucca, ma anche piatti di carne come brasati, stufati e arrosti. Tutte ricette che trovi facilmente su Migusto. Alcune richiedono l’utilizzo del pane del giorno prima, ma data la sua lunga conservazione è difficile resistere alla tentazione di finire la pagnotta. E allora: «domani…è un altro Pane Val Morobbia!».

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Dove i laghi baciano le montagne e il verde è più intenso nascono sapori genuini e autentici.

La vita affettiva non va in pensione

Terza età ◆ Esordirà mercoledì 18 settembre lo spettacolo teatrale L’ultima sciances interpretato da Rosy Nervi e Flavio Sala che con un approccio comico ma non banale affronta il tema dell’affettività e della sessualità delle persone anziane

«L’amore non ha età» recita un vecchio adagio, eppure affettività e sessualità legate alle persone anziane sono ancora in gran parte un tabù. Per contribuire a sfatarlo con il sorriso e con il garbo che questa sfera intima merita, sei organizzazioni attive in Ticino a favore delle persone della terza età propongono uno spettacolo teatrale in dialetto interpretato da Rosy Nervi e Flavio Sala. I protagonisti de L’ultima sciances dimostrano che non è mai troppo tardi per innamorarsi e per iniziare una nuova relazione. Il loro incontro casuale evolve infatti oltre l’amicizia con la pièce che termina in modo originale. Appositamente ideato su richiesta degli enti promotori, lo spettacolo ha beneficiato della consulenza della psicologa Francesca Ravera di Pro Senectute Ticino e Moesano. Sarà rappresentato in sette occasioni sul territorio cantonale a partire da mercoledì 18 settembre fino alla primavera dell’anno prossimo.

Il progetto voluto da sei enti nasce dalle esigenze espresse dai diretti interessati e si avvale della consulenza della psicologa Francesca Ravera

Un approccio comico ma non banale è quindi la via scelta per affrontare un tema che emerge in molte situazioni all’interno delle sei organizzazioni soprattutto in relazione a chi soffre di solitudine, fenomeno che peggiora la qualità di vita e la salute. Pro Senectute Ticino e Moesano, AILA –OIL, GenerazionePiù, ATTE, Opera Prima e Generazioni & Sinergie, si confrontano con il fenomeno dai rispettivi osservatori e campi di intervento, come pure assieme grazie alla piattaforma che è stata istituita dal Cantone durante l’emergenza pandemica del 2020. «I rappresentanti dei sei enti si riuniscono mensilmente – spiega Laura Tarchini di Pro Senectute Ticino e Moesano – dando vita a riflessioni comuni e relativi progetti. Dopo aver organizzato ad esempio gli incontri sulle truffe agli anziani e sulla mobilità lenta, è emersa l’importanza di questo ambito della vita. Molti anziani vivono soli, sovente perché vedovi. Per alcuni di loro incontrare qualcuno a scopo di amicizia o per una relazione è un aspetto rilevante, così come ci sono aspettative e desideri riguardo al poter vivere serenamente la sessualità». Il progetto parte quindi da queste esigenze raccolte dai diretti interessati – uomini e donne – per portare alla luce il tema attraverso un evento culturale spensierato, seguito da una breve riflessione alla quale i presenti possono partecipare e da un momento conviviale. Il pubblico può immedesimarsi con facilità nella storia essendo il punto di partenza una scena di vita quotidiana. Il progetto, per il quale i promotori hanno lanciato una raccolta fondi (lo sponsor principale è BancaStato) in modo da limitare il contributo per la visione, ha richiesto un anno di preparazione. Lo strumento del teatro per affrontare temi importanti è già stato collaudato da Pro Senectute in altri ambiti. Con L’ultima sciances ci si rivolge direttamente alla popolazione anche per capire in quale misura l’interesse per la tematica sia diffuso. Ciò potrà magari permettere di offrire in futuro altre risposte innovative. Laura

Tarchini spiega che in alcuni cantoni

Pro Senectute è già attiva nell’organizzazione di brevi incontri mirati – i cosiddetti speed-date – che riscuotono un ottimo successo, perché i partecipanti sanno di essere tutti nella stessa situazione per cui il contatto risulta facilitato. Valutare questa opzione, come pure l’eventuale coinvolgimento dei centri diurni, potrà rappresentare un ulteriore sviluppo del progetto. Il tema è d’altronde già una realtà nella formazione dei professionisti che si prendono cura degli anziani, siano questi ultimi ancora residenti al domicilio oppure in un istituto. La psicologa Francesca Ravera del Ser-

vizio Promozione qualità di vita di Pro Senectute Ticino e Moesano precisa al riguardo che «nelle scuole socio-sanitarie la tematica non è nuova, perché riflette una dimensione esistenziale presente quindi anche negli anziani. Per garantire il loro benessere, oltre ai bisogni primari, è necessario tenere in considerazione aspettative più complesse come appunto quelle affettive e sessuali. Formazione e sensibilizzazione vanno di pari passo per raggiungere questo obiettivo».

Dopo aver affiancato la Compagnia Teatrale Flavio Sala nella riflessione iniziale sullo spettacolo, Francesca Ravera animerà al termi-

Il calendario delle rappresentazioni

Massagno – 18 settembre, 15.00, Cinema LUX

Mendrisio – 25 settembre, 15.00, Centro scolastico Canavée

Bellinzona – 10 ottobre, 15.00, Spazio Aperto

Muralto – 19 novembre, 15.30, Sala congressi

Acquarossa – 16 gennaio 2025, 15.00, Cinema Blenio

Faido – 11 marzo 2025, 15.00, Palestra Scuola

Moghegno (Maggia) – primavera 2025 (data da definire), Sala teatro

Iscrizioni allo 091 910 20 21 (Generazione Più)

ne di ogni rappresentazione una discussione con il pubblico. «Il teatro – aggiunge la psicologa – è il luogo dei possibili dove i presenti possono immedesimarsi nella storia provando empatia per i protagonisti.

«Le consulenze ai familiari evidenziano sovente la loro difficoltà nel riconoscere il bisogno del parente anziano di rifarsi una vita con un nuovo partner»

Questo approccio offre la possibilità di affrontare un tema delicato e intimo quale è la relazione di coppia senza doversi esporre in prima persona. La riflessione su sé stessi avviene attraverso la storia di altri nel quadro di uno spettacolo leggero, volutamente in dialetto per essere il più vicino possibile all’odierna generazione di anziani». Un altro punto centrale per la nostra interlocutrice è «la necessità di contrastare un’idea diffusa che rende l’affettività e la sessualità appannaggio della gioventù. Il corpo sano, l’energia e il tempo della fertilità riflettono questa fase della vita, ma la tematica in questione è trasversale a tutte le fasce di età. Eventuali limitazioni possono subentrare a causa dello stato di salute o per altri motivi. Con il passare del tempo entrambi gli aspetti evolvono, magari assumendo un significato e una centralità diversi, ma rimanendo sempre un filo con-

duttore della vita. L’età non è pertanto la variabile principale ed è questo il concetto che si cerca di trasmettere ai curanti e in questo caso al pubblico». L’esperienza della rappresentante di Pro Senectute tocca anche i familiari coinvolti nelle storie d’amore che nascono nella terza età. Francesca Ravera: «Le consulenze ai familiari evidenziano sovente la loro difficoltà nel riconoscere il bisogno del parente anziano di rifarsi una vita con un nuovo partner. Questa attitudine è strettamente legata al diritto all’autodeterminazione della persona anziana. Anche in quest’ottica la sensibilizzazione svolge quindi un ruolo importante. Lo spettacolo L’ultima sciances stimola gli anziani ad autodeterminarsi così da subire meno il condizionamento delle persone vicine. Non bisogna dimenticare che la speranza di vita si è notevolmente allungata, permettendo di immaginare anche dopo i 65 anni una vita lunga e ricca di esperienze». In maniera generale il nuovo spettacolo promosso da sei importanti organizzazioni attive in Ticino a favore degli anziani stimola questi ultimi a non soffocare i propri desideri e a non farsi condizionare dai pregiudizi legati all’età. Attraverso L’ultima sciances si propone di dialogare sulla vita affettiva e sessuale con serenità in quanto fonte di gioia e piacere da condividere.

Informazioni www.prosenectute.org

Con la partecipazione di Francesca Ravera, psicologa

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Quel sogno di una biblioteca universale

Guida dilettevole per il passeggiatore digitale – 3 ◆ Insieme all’informatico Davide Semenzin scopriamo Internet Archive, l’organizzazione no profit fondata da Brewster Kahle nel 1996, che riesce a digitalizzare circa un milione di volumi all’anno

«La Biblioteca perdurerà: illuminata, solitaria, infinita, perfettamente immobile, armata di volumi preziosi, inutile, incorruttibile, segreta». Nel suo racconto La biblioteca di Babele, Jorge Luis Borges descriveva un mondo fatto di scaffali interminabili: era il 1941 e Internet era ancora di là da venire, così come la possibilità di un archivio digitale che potesse contenere tutti i libri del mondo.

Se oggi Internet Archive (archive.org), un’organizzazione non profit fondata da Brewster Kahle nel 1996 a San Francisco (USA), riesce a digitalizzare circa un milione di volumi all’anno, è anche grazie alla passione di un giovane informatico innamorato di Borges, di libri e di razzi spaziali.

Il libro più impegnativo da scansionare? «Un volume intitolato Spaghetti Book, le cui copertine anteriore e posteriore sono due pochette che contengono una salsa per condire la pasta» (archive.org/details/spaghettibook0000dotb). Parlare con Davide Semenzin, informatico veneto dalla formazione classica, è come tuffarsi in un mondo di carta infinitamente vario. «Una delle cose belle del libro è che è un concetto, un artefatto che appare con forme e colori di tutti i tipi. È una rappresentazione della creatività umana. Nel momento in cui tu cerchi di ridurlo a una certa forma o dimensione, immediatamente ne trovi uno che contraddice questa definizione».

E a lui, arrivato a San Francisco dopo un percorso di studi specialistici prima in Italia e poi in Olanda, di libri ne sono passati tra le mani migliaia, di ogni genere e fattura. Per sei anni, infatti, si è occupato del rilancio del progetto di biblioteca universale di Internet Archive, mettendo a punto i programmi informatici e le macchine che hanno permesso di dare corpo al sogno di Brewster Kahle: l’accesso universale alla conoscenza umana. Oggi i volumi scansionati sono già 44 milioni.

«Mi sono accorto che quello che stavo facendo era importante quando abbiamo cominciato a digitalizzare una collezione di volumi di cremazione thailandesi conservati all’Università di Thammasat. Si tratta di piccoli libri che vengono scritti in occasione del funerale di una persona e contengono poesie e dediche. Tra questi abbiamo trovato il libro dedicato a un parente del mio migliore amico, che è thailandese».

Ora questa collezione così particolare è disponibile online su Internet Archive (archive.org/details/thaicremationcopy) e la sua importanza ri-

siede nel fatto che in quei piccoli libri si trova spesso l’unica traccia biografica lasciata dalle persone. «Un’altra collezione interessantissima che ho collaborato a digitalizzare – racconta l’informatico – è stata quella dei manoscritti su foglie di palma, un medium molto comune nel Sud Est asiatico. Il problema per noi è stato quello di adattare un sistema fatto per digitalizzare libri a questo genere di artefatto, molto più delicato». Così, una meravigliosa collezione di antichi scritti religiosi, medici e sapienziali tramandati per secoli sull’isola di Bali, ora è consultabile liberamente su Internet Archive (archive.org/details/palmleafmanuscripts), secondo il principio «accessibility drives preservation», cioè l’accessibilità spinge alla conservazione. «Se un libro non è accessibile, perché magari ce n’è una copia soltanto in uno scantinato in Giappone, è come se non esistesse. E se non esiste non puoi preservarlo», spiega Davide Semenzin. Il quale dopo l’esperienza con Internet Archive,

Sede centrale di Internet Archive al 300 di Funston Ave, San Francisco (per gentile concessione di Internet Archive); sotto: Lan Zhu, tecnica di scansione, digitalizza un manoscritto presso l’Internet Archive. (www. archive.org)

non ha smesso di inseguire le sue altre passioni: il volo e l’esplorazione spaziale. Oggi lavora come ingegnere informatico presso l’azienda californiana ABL Space Systems, che produce razzi orbitali.

«Da avido aviatore quale sono, sono stato affascinato dal classico Staccando l’ombra da terra di Daniele Del Giudice. Ho cercato di comprare questo libro in ogni modo, ma ne ho trovata solo una copia su Archive» (archive. org/details/staccandolombrad00delg).

Il libro di Del Giudice, come tanti altri, può essere preso a prestito gratuitamente: basta iscriversi con email e password sul sito di Internet Archive, dove gli aspiranti aviatori possono trovare anche il volume del 1944 dal titolo Stick and rudder: an explanation of the art of flying (archive.org/details/stickrudderexp00lang). È questo, secondo Semenzin, «il libro più illuminante che io abbia mai letto per quanto riguarda l’arte di pilotare un aeroplano».

La lista dei «preferiti» che la no-

stra guida ha salvato sul suo navigatore e che condivide con noi non contiene però solo libri. Internet Archive conserva infatti anche musica, pagine web, video, immagini e software. Tra questi ce n’è uno che i possessori di Commodore64 forse ricorderanno: Oregon Trail, gioco creato per insegnare agli studenti USA la realtà della vita dei pionieri che migravano per colonizzare il West. Oggi Internet Archive non solo conserva il gioco, ma permette addirittura di giocarci grazie a un emulatore che si attiva direttamente nella pagina del browser (https://archive.org/details/ oregon-trail-the-1990_202208). E poi c’è un’altra intuizione che rende Internet Archive un progetto archivistico unico: «Una pagina web –spiega Semenzin – se non la salvi dura in media 100 giorni e poi sparisce per sempre». È da questa constatazione che è nata la «Wayback Machine», una macchina del tempo che permette di risalire ai vecchi siti internet, alcuni dei quali ormai scomparsi: attualmente sono registrati 860 bilioni di pagine web. Potrete per esempio vedere come era fatta la home page del sito istituzionale del Canton Ticino in un’istantanea del 29 giugno 1998 o leggere l’articolo di apertura sul sito di «Azione» del 30 settembre 2007. Basta inserire l’indirizzo web o una parola chiave nel motore di ricerca e il viaggio può iniziare. Internet Archive è nato agli albori della Rete, quando si pensava che questa sarebbe stata uno strumento di comunicazione e condivisione che avrebbe fatto crescere la società umana. «Le persone che sono passate da Internet Archive sono quelle che ancora oggi credono a un sistema di comunicazione aperto. E continuo a crederci anch’io», conclude Davide Semenzin. Non infinita, non inutile, non segreta: la biblioteca di Internet Archive è lì per tutte e tutti, un monumento alla creatività umana. Libera e gratuita.

Grazie all’energia solare, Derartu Shuwe, 24 anni, può aiutare il doppio delle persone nel centro di assistenza sanitaria Bulle Korma in Etiopia.

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Le adozioni sono in calo, molte le cause

Socialità ◆ La diminuzione del numero di bambini adottati da Paesi esteri è un fenomeno di portata generale, ne abbiamo parlato con Sabina Beffa, capo dell’Ufficio dell’aiuto e della protezione del Canton Ticino

L’adozione di un bambino è un gesto di profonda generosità e amore, che richiede grande forza e vera motivazione, anche perché il percorso per arrivarvi comporta una fatica spesso non del tutto immaginata né compresa.

Purtroppo però, da ormai oltre un decennio, in Ticino come nel resto della Svizzera e nei Paesi per tradizione aperti ad accogliere bambini bisognosi di una famiglia, le adozioni internazionali sono in calo. «Si tratta di un calo progressivo e inevitabile. A livello svizzero, secondo i dati dell’autorità centrale federale, siamo passati dalle 275 adozioni del 2008 alle 30 del 2023; a livello ticinese, dai 24 minori giunti nel 2008 ai 7 dello scorso anno», illustra Sabina Beffa, a capo dell’Ufficio dell’aiuto e della protezione.

A livello svizzero si è passati dalle 275 adozioni del 2008 alle 30 del 2023; a livello ticinese, dai 24 minori giunti nel 2008 ai 7 dello scorso anno

Il fatto che la situazione nel nostro Cantone appaia migliore in confronto a quella della media nazionale può spiegarsi con la presenza, sul territorio, di due intermediari molto attivi, degli enti privati che fungono cioè da «ponte» tra i candidati all’adozione e i Paesi d’origine, rendendo per i primi un po’ più semplice e incentivante il processo. L’Associazione Chaba Adozioni è stata fondata nel 2008 con lo scopo di sostenere e accompagnare coppie e famiglie residenti in Svizzera che decidono di presentare una domanda di adozione in Thailandia; dal 2021 però l’assunzione di nuovi incarichi è temporaneamente sospesa, mentre rimane garantita l’attività nel sostegno delle famiglie impegnate nel percorso adottivo. L’Associazione Mani per l’infanzia, costituita nel 2006, ha invece iniziato una collaborazione con l’Etiopia nel 2008, cui si è aggiunta quella con Haiti. Attualmente è aperta a Burkina Faso, Repubblica Dominicana, Perù e Colombia. «Per ogni nuovo canale che si apre, si pongono specifiche condizioni ai Paesi disposti ad adottare, per esempio la richiesta di un periodo di avvicinamento molto lungo oppure la messa in adozione soltanto di bambini già grandi», commenta Sabina Beffa.

La Convenzione dell’Aja dal 2003

In generale, la Convenzione dell’Aja sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale, entrata in vigore in Svizzera nel 2003, può essere considerata una prima ragione del calo delle adozioni internazionali. La Convenzione, come scrive Sabina Beffa nell’articolo Calo delle adozioni internazionali: un fenomeno di portata generale, pubblicato sul Notiziario statistico 2024-22 dell’Ufficio cantonale di statistica, «si fonda sul principio della sussidiarietà dell’adozione internazionale, che può avere luogo soltanto se nel Paese d’origine sono fallite tutte le misure atte a permettere al minore di restare nella sua famiglia o se non è stato possibile trovarne una d’accoglienza idonea. Fra i suoi lodevoli obiettivi, vi è quello di stabilire del-

le garanzie affinché le adozioni internazionali si facciano nell’interesse del minore e per impedire la vendita e la tratta di minori, così come quello di instaurare un sistema di cooperazione fra gli stati contraenti al fine di assicurare il rispetto di queste garanzie». Ponendo tali paletti a tutela della protezione del minore e della correttezza dell’esecuzione della procedura di adozione, la Convenzione ha fatto sì che queste ultime diventassero più restrittive. Oltre a ciò, essa si traduce nel fatto che sempre meno nazioni sono aperte all’adozione internazionale, con la conseguente significativa diminuzione del numero dei bambini adottabili.

Paesi d’origine instabili

Sul calo delle adozioni internazionali giocano poi un ruolo le fluttuazioni geopolitiche dei Paesi d’origine. «L’ultimo esempio è Haiti, uno dei canali più recenti aperti per l’adozione, dove dal 1° giugno 2023 la Svizzera ha introdotto una moratoria considerando troppo elevato il rischio causato dalle tensioni sociali e politiche che affliggono il Paese – spiega Sabina Beffa – prima c’era stato il caso dell’Etiopia, uno dei Paesi che maggiormente collaborava con la Svizzera e che dal 2018 ha deciso di abolire l’adozione internazionale, preferendo le soluzioni interne».

Pure la pandemia ha comportato, tra le altre cose, un ulteriore rallentamento alle procedure di adozione, cui hanno contribuito anche i progressi della medicina nell’ambito dell’infertilità.

«Dal punto di vista delle domande di adozione si nota effettivamente un calo», afferma Sabina Beffa. Uno de-

gli elementi che maggiormente scoraggia i potenziali genitori è l’età del bambino da adottare. Il bebè – il sogno dei più – è ormai l’eccezione piuttosto che la regola. «Sempre più Paesi chiedono poi la disponibilità ad adottare minori con “special needs”, bisogni speciali in termini di salute o di background, per i quali più difficilmente si trova una soluzione in patria», aggiunge la responsabile dell’Ufficio dell’aiuto e della protezione. «Tornando all’età, se il desiderio – tendenzialmente – è quello crescere un bambino dalla primissima infanzia, diverso è accoglierne uno che ha già un suo carattere e un vissuto più importante – commenta Beffa – rispetto alla genitorialità naturale, quella adottiva presuppone infatti un lavoro supplementare per poter creare un legame di attaccamento, tenendo conto dell’età, delle esperienze e della storia del bambino, fatti, inevitabilmente, di traumi ma anche di rapporti precedenti».

Tempi lunghi e qualche novità

Altri elementi che possono demotivare i genitori ad arrivare in fondo all’iter che porta all’adozione sono le difficoltà della procedura, i tempi lunghi e il rischio di non riuscirci proprio. «Effettivamente la certezza non c’è, come testimonia l’esempio dei genitori che si erano candidati per Haiti», afferma Sabina Beffa.

Il Settore affidamenti famigliari e adozioni propone ai genitori interessati al progetto adottivo una consulenza approfondita, in cui viene spiegato tutto ciò che riguarda il processo di adozione. «Se i candidati decidono di proseguire, il percorso di valutazione di idoneità dura indicativa-

mente sei mesi; dopodiché bisogna preparare il dossier da presentare al paese d’origine e possono passare dai tre ai cinque anni», continua l’esperta. Nonostante le difficoltà, di famiglie in attesa ce ne sono sempre: «Nel 2023 erano 37 le famiglie che attendevano l’arrivo di un bambino, mentre 7 sono stati quelli effettivamente giunti; l’anno precedente le famiglie in attesa erano 44 e i bambini arrivati nel nostro Paese nel corso dell’anno 9», esemplifica Sabina Beffa. Tra le famiglie in attesa dal luglio del 2022 possono figurare pure coppie dello stesso sesso. «Con il matrimonio gay si è aperta l’adozione alle coppie omogenitoriali e qualche richiesta effettivamente c’è stata», precisa Sabina Beffa.

Restando in tema legislativo, cambiamenti significativi ce li riserva, probabilmente, il futuro; nel nostro Paese sono infatti state poste le basi affinché il diritto in materia di adozioni internazionali venga rivisto, con conseguenze nella pratica dell’adozione nei prossimi anni. «A seguito dello scandalo delle adozioni illegali dallo Sri Lanka negli anni Ottanta-Novanta, e in altri Paesi come confermato da studi, il Consiglio Federale – riconoscendo e condannando il fatto che le autorità elvetiche non abbiano adottato adeguate misure di contrasto – ha demandato approfondimenti a un gruppo di esperti; il rapporto è atteso entro la fine del 2024», spiega il capoufficio.

Adozioni nazionali e affido

Abbiamo fin qui parlato delle adozioni internazionali, ma di quelle nazionali ve ne sono? «Pochissime; si contano sulle dita di una mano e

anche su più anni, nel senso che non tutti gli anni ne abbiamo – ci spiega Sabina Beffa – questa situazione è legata ad un aspetto culturale svizzero, il quale fa sì che nel nostro Paese si prediliga l’affido familiare». L’adozione in Svizzera è infatti completa, il che significa che prevede la rescissione di tutti i legami di sangue. «Prima che un genitore naturale arrivi a rinunciare completamente al proprio figlio davanti a un’autorità e prima che quest’autorità chieda di farlo viene preferito un altro tipo di soluzione, nello specifico il collocamento in una famiglia affidataria oppure in una struttura, come un centro educativo o un foyer», afferma Sabina Beffa, che precisa: «Nel 2018 è stata introdotta una modifica del codice civile la quale prevede, a determinate condizioni, che i legami di sangue tra i genitori e il minore vengano mantenuti ma, a dire il vero, non l’ho ancora vista applicata nel nostro Cantone».

Quello che invece può succedere – anche se non accade spesso – è che nel caso di un affido familiare si presentino a un certo punto le condizioni affinché la famiglia affidataria possa adottare il minore che aveva accolto in affido.

Di famiglie affidatarie in Ticino, comunque, c’è sempre bisogno. «Abbiamo avuto una contrazione, che abbiamo collegato alla pandemia e alla recessione economica, e ora, per fortuna, si nota qualche segno di ripresa», commenta il capo dell’Ufficio dell’aiuto e della protezione. Se adottare – come visto – non è facile, c’è quindi un’altra via che può essere presa in considerazione, non esente, ovviamente, neppure questa da difficoltà, ma per percorrere la quale ci sono sicuramente più possibilità.

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Quattro risotti per un gastronomo

Le ricette descritte richiedono tutte un poco di attenzione, ma neanche tanta: quel che conta è ottenere i brodi giusti, belli saporiti

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John Belushi, il dimenticato Ospite d’America

Vite da ridere (o quasi) ◆ Negli anni Ottanta «fratello Joliet» era il volto più popolare d’America. Il processo di demolizione di cui è stato oggetto dopo la sua morte, oggi lo ha fatto (pressoché) dimenticare

«Belushi chi? Ah, Jim, quello de La vita secondo Jim! Bella serie. No? John? Ah, sì, il drogato con gli occhiali da sole…». Questo, in sintesi, è il posto che occupa il (fu) mitico John Belushi, alias Joliet Blues, alias Bluto, nella memoria collettiva: il fratello drogato di un popolare attore di sitcom. Come siamo arrivati a tutto questo? Ma soprattutto, chi è stato invece John Belushi? Per dare un’idea dell’enormità del «fenomeno John Belushi» possono bastare tre dati: nel 1979 in America, all’età di soli 30 anni era contemporaneamente il volto della commedia più vista nella storia del Paese (il Bluto di Animal House), quello della trasmissione televisiva più vista e più cool del momento (il Saturday Night Live) e quello dell’album musicale più venduto, il primo dei Blues Brothers, ovvero John Belushi in coppia con Dan Aykroyd. Quali sono allora le ragioni per cui il suo ricordo si è disperso così repentinamente?

Non siamo lontani dal vero se riconduciamo il tutto al puritanesimo dell’America, tanto vivo oggi come ieri, e al nome di un «colpevole», nientemeno che il premio Pulitzer Bob Woodward, assurto a fama mondiale per aver firmato gli articoli sul Watergate insieme a Carl Bernstein, che portarono alle dimissioni del presidente americano Richard Nixon. Cosa c’entra il vecchio Bob? Ebbene il campione della stampa liberal d’America – anch’egli di Wheaton, Illinois, come Belushi – era stato chiamato proprio dalla vedova di John (che purtroppo ci ha lasciati questa estate dopo una lunga malattia), per provare a contrastare il mare di fango generato dai numerosi articoli della stampa americana usciti immediatamente dopo la morte di John per overdose avvenuta il 5 marzo 1982. Judith chiese al compaesano Woodward di scrivere una serie di articoli che, senza nascondere alcunché, potessero però non trascurare l’aspetto più importante, ovvero che John era stato un grande artista e una persona difficile, ma estremamente buona e generosa. Quando Woodward le comunicò non solo che, anziché una serie di articoli, avrebbe scritto un libro, ma anche che il titolo sarebbe stato Wired («Fatto»), Judith comprese che era stata completamente tradita. Come lo furono, a loro detta, tantissimi amici di John che si aprirono con il grande giornalista solo per ritrovare i loro ricordi travisati nelle pagine di quella che rimase per decenni l’unica biografia scritta su John. Ovvio, pertanto, che se un tale nume tutelare della stampa liberal realizza un ritratto approfondito di chicchessia, il lettore tende a ritenerlo attendibi-

le. Grazie a Woodward, pertanto, di John non rimase che il ricordo di un celebre drogato morto di overdose. Il grande giornalista investigativo, però, non aveva assolutamente inquadrato né l’uomo né tantomeno l’artista Belushi, che, invece, Judith, molti anni dopo, ci ha restituito nei suoi libri, raccogliendo anche le testimonianze di tutti coloro che lo avevano conosciuto, come quella del suo fratello di sangue Dan Aykroyd: «Per John, la lealtà e il legame che lo univa ai suoi amici erano la cosa più importante. Non gli importava affatto dei soldi, e infatti non aveva mai più di una manciata di banconote spiegazzate in tasca; non portava mai con sé un portafoglio e nemmeno un documento di identità, perché non gli servivano: bastava la sua parola. […] Per guadagnarsi la sua amicizia, che era straordinaria una volta che lo avevi conquistato, John doveva innanzitutto rispettarti: per questo, dovevi possedere un talento o un’abilità per i quali lui provasse affinità, oppure dovevi fargli sentire di essere una persona autentica e generosa».

Nelle pagine di Woodward, la grande umanità e l’immenso talento

di John cedono il passo alla pruriginosa cronaca della sua discesa all’inferno, trascurando del tutto il contesto e il fatto che negli anni Settanta la cocaina – di cui si ignorava praticamente tutto: non si credeva né che potesse portare alla dipendenza, né tantomeno alla morte – era il simbolo culturale più rappresentativo della California del Sud e dello showbusiness, a tal punto che la droga veniva distribuita anche sui set, come le brioche e il succo d’arancia. Il fatto che a quei tempi fosse morto Belushi e non una qualunque altra star era da ascriversi solo al caso. Si può anche dire di più: il suo involontario sacrificio, paradossalmente, aiutò a salvare molte vite («Se anche un superuomo come Belushi è morto, allora potrei morire anch’io!»), come quelle dei suoi compagni di bagordi, da Robin Williams a Richard Pryor, come ebbero a dichiarare loro stessi. Per «spiegare» John, invece, dobbiamo tornare alla sua generosità come uomo, una generosità che ha sempre riversato nel suo lavoro e che, grazie a un talento e a un carisma senza pari, hanno fatto sì che quando morì, giovanissimo, era già l’at-

tore comico più famoso del mondo. Se la sua popolarità negli USA, grazie alla TV, è in qualche modo comprensibile, quella all’estero dipendeva solo dalla sua carriera cinematografica. Ebbene, al momento della sua morte, questa comprende solo sette film, di cui solo due da co-protagonista a fianco di Dan Aykroyd (The Blues Brothers, I vicini di casa) e uno solo da protagonista assoluto (Chiamami aquila, quello che lui amò di più e il pubblico di meno, secondo solo a I vicini di casa). In tutti gli altri casi la sua partecipazione fu spesso poco più che un cameo, ma tale era la sua personalità che il film diventava davvero un «suo» film a prescindere dal minutaggio concesso al suo personaggio. In quest’ottica, particolarmente significativo è il suo personaggio Bluto in Animal House, come ricordò John Landis: «Tutta la trama del film è incentrata su Tom Hulce e Stephen Furst che interpretano Pinto e Sogliola. Sono loro che reggono la storia, ma John è il personaggio che tutti ricordano. Il copione non prevedeva che Bluto bucasse lo schermo. Fu John a farlo». E lo fece, a mio parere, non solo perché la sceneggia-

tura gli offriva delle uscite grandiose, rese ancora più grandiose dal suo carisma, ma perché forse Bluto «era John». Non nel senso che anche Belushi andava in giro in toga o a spaccare chitarre, ma perché Bluto era, come John, un grande amico, una persona «giusta con i giusti» ed era una forza della natura.

Una forza a cui nessuno riusciva a dire di no, tanto che fu oggetto nientemeno che di uno sketch del Saturday Night Live, La cosa che non voleva andarsene: «La cosa che non voleva andarsene – ricordò una delle autrici dello show, Anne Beats – era John. Si presentava all’improvviso in casa tua, ti svuotava il frigorifero, faceva telefonate interurbane, e così via». Incursioni che John faceva anche nelle case di estranei, come testimoniò esterrefatto ancora Dan Aykroyd: «Poteva entrare nelle case di persone completamente estranee, […] andare in cucina, aprire il frigorifero, prendersi un sandwich, accendere la TV e mettersi a dormire sul divano, mentre i fortunati padroni di casa osservavano, sorpresi e deliziati. Una volta gli dissi, e gli piacque molto, che lui era l’Ospite d’America».

Carlo Amatetti
John Belushi in Animal House (1978). (Illustrazione realizzata da Leonardo Rodríguez)

Il risotto più buono, che di più non ce n’è

Gastronomia ◆ Quattro ricette per variare il piatto preferito dal gastronomo autore

Per me, il risotto è «il» piatto più buono che c’è: un critico dovrebbe sempre essere obbiettivo ed «ecumenico», ma per il risotto faccio eccezione. Negli anni vi ho dato molte ricette, queste di oggi sono accumunate dal fatto che… mi piacciono molto. Richiedono tutte un poco di attenzione, ma neanche tanta. È più che fondamentale però avere i brodi giusti, che siano belli saporiti. La quantità degli ingredienti elencata è per 4 persone. Risotto con ostriche. Aprite 16 ostriche ed estraetele dalla valva conservandone l’acqua. Frullate, ma solo per poco: 8 ostriche con 1 mestolino di brodo di pesce, l’acqua delle ostriche e 4 cucchiai di soffritto di scalogno. Tostate 320 g di riso, sfumatelo con vino bianco e procedete comme d’habitude, aggiungendo mestolo dopo mestolo. Subito dopo il primo mestolo aggiungete il condimento frullato. 2’ prima che sia pronto aggiungete le altre 8 ostriche tagliate a pezzetti. Regolate di sale e di pepe, spegnete. Mantecate con buon burro, fate riposare coperto per 2’, poi impiattate. Potete, se volete, guarnire il piatto con petali di oro commestibile, che costano meno di un buon zafferano… Risotto con granseola e asparagi. Lavate 1 granseola, tuffatela in acqua bollente per 20’, poi scolatela, sgusciatela con pazienza e spolpatela. Raccogliete la polpa e le parti cremose, quindi conditele con un filo d’olio. Preparate un fumetto cuocendo per 1 ora gli scarti della granseola con brodo di pesce, poi filtrate. Separate le punte dai gambi di 8 asparagi medi, pelate i gambi, cuoceteli a vapore per 15’ poi frullateli, unendo poca acqua se necessario. Sbollentate le punte per 2’, scolatele e dividetele in 4 per il lungo. Tostate 320 g di riso, sfumatelo con vino bianco e procedete comme d’habitude col fumetto, mestolo dopo mestolo. Subito dopo il primo mestolo aggiungete i gambi frul-

lati e 4 cucchiai di soffritto. 1’ prima che sia pronto aggiungete la granseola, le punte degli asparagi e il prezzemolo tritato, quindi mescolate. Regolate di sale e di pepe; spegnete. Mantecate con burro, fate riposare coperto per 2’, poi impiattate. Risotto con rigaglie di pollo e funghi porcini. Mondate 150 g di durelli di pollo, eliminando la pellicina bianca, e altrettanti fegatini, poi immergeteli in acqua gasata fredda per 10’. Scolateli, tagliate i durelli e i fegatini a fettine. Mondate i cuori di pollo e tagliateli a fettine. Cuocete cuori e durelli in padella con burro per 5’, bagnando con vino bianco; unite i fegatini e cuocete ancora per 10’ o poco più. Affettate 4 porcini e saltateli in padella per pochi minuti. Tostate 320 g di riso, sfumatelo con vino bianco e procedete comme d’habitude con brodo di pollo, mestolo dopo mestolo. Subito dopo il primo mestolo, unite 4 cucchiai di soffritto di cipolle. 2’ prima che sia pronto aggiungete i fegatini, i cuori e i durelli. Mescolate, regolate di sale, di pepe e di noce moscata; spegnete. Mantecate con burro e panna, aggiungete grana grattugiato. Fate riposare coperto per 2’, poi impiattate guarnendo col solito prezzemolo tritato.

Risotto con mascarpone e fragole. Mondate e frullate 120 g di fragole con un cucchiaino di aceto. Lavate e tagliuzzate poca menta. Amalgamate 100 g di mascarpone con 2 cucchiai di grana grattugiato. Tostate 320 g di riso, sfumatelo con vino bianco e procedete comme d’habitude con brodo vegetale mestolo dopo mestolo. Subito dopo il primo mestolo, aggiungete 4 cucchiai di soffritto. Portate a cottura, regolate di sale, di pepe e di cannella; quindi spegnete. Mantecate con il mascarpone e fate riposare coperto per 2’, poi impiattate deponendo sul risotto la salsa di fragole e la menta tritata.

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Oggi vediamo con si fanno due frittate con patate, non del tutto classiche.

Frittata 1 (ingredienti per 4 persone). Rompete 6 uova in una ciotola, sbattetele con 1 pizzichino di sale e di pepe, quindi amalgamatevi 2 cucchiai di soffritto di cipolle. Pelate 400 g di

Ballando coi gusti

Oggi due ricette: una salsa dolce al curry, universale e orientaleggiante, e un classicone provenzale ma con curry

patate, lavatele, asciugatele e tagliatele a fette molto sottili. In una padella antiaderente scaldate 1 filo di olio e versatevi dentro le fettine di patate. Coprite la padella con un coperchio e lasciate cuocere mescolando di tanto in tanto per evitare che le fette attacchino permettendo comunque la formazione di una crosticina. Quando le patate saranno quasi cotte, spezzettatele con un cucchiaio di legno e versateci sopra le uova sbattute. Mescolate le uova con le patate, coprite la padella con il coperchio e lasciate gonfiare a fuoco dolce. Mettete la padella in forno a 200° e completate la cottura per pochi minuti, fino a quando la superficie sarà marroncina.

Frittata 2. Cuocete a vapore per 40 minuti 400 g di patate, quindi sbucciatele e passatele nello schiacciapatate. Insaporite con sale e pepe. In una padella fate rosolare 80 g di pancetta a dadini in 1 filo d’olio. Rompete 6 uova in una ciotola, sbattetele con 1 pizzichino di sale e amalgamatevi 2 cucchiai di soffritto di cipolle. Unite le patate passate e la pancetta, quindi mescolate bene, regolando di sale e di pepe. Ungete di olio una teglia antiaderente o usa-e-getta e spolverizzatela di pangrattato leggermente tostato. Unite il composto, livellatelo, spolverizzate ancora con pangrattato e cuocete in forno a 200° fino a quando la superficie sarà marroncina.

Chutney di frutti al curry Tian (gratin di verdure) di zucca e patate

Ingredienti per un barattolone: 100 g di ananas – 100 g di kiwi – 100 g di pera – 250 g di zucchero di canna – 30 g di burro – 1 bicchierino di rum – 1 cucchiaio di succo di limone – 1 cucchiaino di curry in polvere – 1 pizzico di sale

Lavate la frutta e tagliatela a pezzetti. In una casseruola sciogliere il burro e unitevi la frutta, rosolatela poi copritela con lo zucchero e il rum. Cuocete per 30 minuti a fuoco dolcissimo, o fino a quando la frutta avrà assunto la consistenza di una marmellata densa. Salate a metà cottura e unite il curry alla fine. Servitela tiepida o fredda per accompagnare gelato, budini, pancake o waffle.

Ingredienti per 4 persone: 400 g di zucca – 300 g di patate – 200 g di un formaggio tipo pecorino dolce – 1 spicchio di aglio spelato – 1 bicchiere di brodo vegetale – 1 cucchiaino di curry – pane grattugiato, olio di oliva, sale

Sbucciate la zucca, toglietele i semi e tagliatela sottile. Sbucciate le patate e tagliatele a fette. Togliete la crosta al formaggio e riducetelo a fettine. In una padella scaldate 1 filo di olio e rosolatevi l’aglio. Unite la zucca e le patate e saltatele per 5 minuti. Bagnate col brodo vegetale e cuocete per 10 minuti. Unite il curry, regolate di sale. Ungete una pirofila con un filo di olio. Sistemate sul fondo un primo strato di zucca e patate. Coprite con il formaggio a fette. Ultimate con uno strato di verdure. Irrorate con il fondo di cottura delle verdure e spolverate con poco pane grattugiato. Cuocete in forno a 200° per 20 minuti e fino a doratura. Servite il tian tiepido.

173mila metri cubi di costruzioni diroccate

Urbex ◆ Una passeggiata a Napoli nella ex fabbrica del signor Corradini, «lo svizzero» che alla fine dell’Ottocento si trasferì sulla costa in Campania

Mario Messina, testo e foto

«Ecco, quello che senti è il suono tipico dell’Urbex». Anna Ciriello ha appena calpestato pezzi di vetro in frantumi. «Il rumore di vetro, plastica o altro materiale che si rompe sotto i piedi è una costante nelle nostre spedizioni».

Anna è una appassionata di Urbex (crasi dei termini inglesi urban ed exploration) cioè di «esplorazione urbana» in luoghi abbandonati. Insieme a lei, a Giovanni Rossi Filangieri (fondatori del gruppo facebook Urbex Campania e del blog Essere altrove) e a Marco Ferruzzi ci troviamo a San Giovanni a Teduccio, periferia est di Napoli, all’interno del sito industriale abbandonato conosciuto come «ex-Corradini», dal nome dell’industriale svizzero che lo fondò.

A guardare oggi i ruderi di quella fabbrica – coi tetti scoperchiati, le pietre crollate in qualche punto e stanze enormi a volte vuote e a volte riempite di rifiuti – si stenta a credere che fino a pochi decenni or sono si trattava di uno degli opifici siderurgici più importanti del Meridione d’Italia.

L’ingresso è sbarrato ma quella che fu una delle aziende più importanti di Napoli nasce a pochissimi passi dal mare...

Marco Ferruzzi è nato e cresciuto da queste parti. «La prima volta che entrai in questi ruderi ero ragazzino. Poi ci sono venuto altre decine di volte. Ogni volta la trovo diversa in qualche aspetto. Ogni volta trovo qualcosa di nuovo». E non deve essere difficile se si considera che stiamo parlando di un sito industriale che, al momento della sua dismissione, contava 53 unità immobiliari per un totale di 173mila metri cubi di costruzioni.

Entrare nella «ex-Corradini» non è semplice. L’ingresso ufficiale è sbarrato ma quella che fu una delle aziende più importanti di Napoli nasce a pochissimi passi dal mare quindi per arrivarci basta (si fa per dire) camminare su un muro che costeggia il mare per qualche centinaio di metri e giungere lì dove si erge ancora oggi la canna fumaria.

A differenza di Marco, per Anna e Giovanni è la prima volta in questo luogo. «Sono tante le cose che adoro dell’urbex – dice Anna – ma ciò che amo di più è fermarmi a riflettere sulle vite legate a questi luoghi ormai abbandonati. Sulle persone che li hanno abitati. Sui tanti operai, ad esempio, che ogni giorno venivano qui a lavorare».

Erano almeno 500 gli operai e le operaie che ogni mattina varcavano la porta della Corradini, almeno nel suo momento di massima espansione, negli anni immediatamente successivi alla fondazione da parte di Giacomo Corradini. Nato a Sent nella Bassa Engadina nel 1844, Giacomo era figlio di Chasper Conradin (il cognome fu italianizzato solo successivamente).

Dopo qualche anno di permanenza a Livorno, Giacomo decise di trasferirsi a Napoli insieme alla moglie, l’argoviese Alice Bally. Qui incontrò Jon Mathieau che dai Grigioni si era spostato all’ombra del Vesuvio anni prima. Grazie a questa conoscenza, nel 1881 decise di acquistare i locali di un’azienda fondata circa dieci anni

prima da un gruppo di francesi. Fu lì – sulla costa di San Giovanni a Teduccio – che nacque la Società Metallurgica Giacomo Corradini. I grandi spazi che un tempo ospitavano centinaia di operai e decine di macchine all’avanguardia, ora sono riempiti di rifiuti portati qui prima che le porte d’ingresso fossero sbarrate. Marco Ferruzzi ci indica una carcassa di lamiere. È ciò che resta di un’automobile. «Chissà come ce l’hanno portata», si chiede Giovanni. «E chissà che storia c’è dietro», gli fa eco Anna. Le storie degli uomini e delle donne restano al centro di questa esplorazione urbana.

Oggi è difficile riuscire a trovare in quel cumulo di pietre e cemento un elemento che ci riporti alle vite di chi quei luoghi li ha vissuti. Ma dai documenti dell’archivio aziendale sappiamo che le cose alla «Giacomo Corradini» andarono bene tanto che l’azienda negli anni successivi si ampliò inglobando strutture di al-

tre industrie. Giacomo e la sua famiglia vivevano qui, in una villetta che l’engadinese si fece costruire affianco all’opificio.

Qui nacquero i figli: Andrea, classe 1875, studiò ingegneria al Politecnico Federale di Zurigo; Margherita, di 5 anni più piccola, scelse la strada artistica divenendo una pittrice. Nel 1899 Andrea Corradini entrerà a far parte della società che poco dopo fu chiamato a dirigere.

Giacomo Corradini, figlio di Chasper Conradin, nacque nel 1844 a Sent, Bassa Engadina, dove tornò a morire nel 1920

Il padre, ormai anziano, decise di ritirarsi in Engadina dove morì nel 1920. Quelli successivi furono anni turbolenti. Per quanto perfettamente integrati nel tessuto sociale e culturale della città, i Corradini restavano

«gli svizzeri» e nell’Italia fascista lo straniero non era visto di buon occhio. Eppure la Corradini fece la sua parte negli anni della Grande Guerra quando la fabbrica fu convertita per fini bellici per poi ritrovare successivamente la sua vocazione naturale.

A decretare la fine dell’impianto fu la Seconda guerra mondiale. Quasi totalmente distrutta dai bombardamenti, l’azienda cessò definitivamente l’attività nel 1949. Da allora il fabbricato che copre quasi un chilometro della costa campana fu prima acquistato dal Consorzio Agrario Italiano e poi, nel 1999, fu acquisito dal comune di Napoli. «Con l’acquisizione pubblica, il ministero della cultura italiano decise di porre un vincolo sull’opificio a cui fu riconosciuto un interesse storico e culturale in quanto sito di archeologia industriale di rilievo», spiega Marco Ferruzzi. «Questo vincolo avrebbe dovuto imporre al Comune di Napoli la tutela, la conservazione e

la cura del patrimonio per evitare che si arrivasse alle condizioni in cui versa oggi», spiega ancora. Oggi esiste un progetto di riqualificazione dell’area e l’amministrazione comunale sta cercando i fondi necessari. «In questo luogo si potrebbero fare centinaia di cose ma speriamo che si preservi il più possibile quello che è rimasto in piedi», riflette ad alta voce Giovanni. Il sole sta per calare, è il momento di andar via. Intanto Anna e Giovanni si guardano intorno ancora una volta. Forse stanno immaginando gli operai napoletani al lavoro nella fonderia, o il signor Corradini, «lo svizzero», che passeggia nella strada che costeggia le costruzioni. Vite legate a una fabbrica che oggi è fatta solo di pietre, tetti crollati, immondizia e ricordi.

Informazioni

Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica.

Le bambole da vestire, un gioco intramontabile

Crea con noi ◆ Realizziamo una custodia con stendino, cesto dei panni e armadio per i vestiti delle bamboline in gomma crepla

Questo tutorial si ispira a un gioco del passato, le bamboline di carta da vestire. La confezione di bamboline in gomma crepla, disponibile nei reparti bricolage della vostra filiale Migros Ticino è perfetta per creare una mappetta gioco con pagine interattive. Tra queste troverai uno stendino per i vestiti e un armadio apribile, ricreando così un gioco che ha appassionato i bambini di diverse generazioni. Questo progetto permette al bambino di giocare in autonomia, allenando al contempo la motricità fine.

Procedimento

Pagina 1

Sul primo cartoncino celeste, create la copertina del vostro gioco. Ritagliate una striscia verde con il bordo superiore ondulato per simulare un prato e incollatela sulla parte inferiore del cartoncino celeste. Aggiungete due strisce lunghe e sottili in cartoncino marrone per creare i pali dello stendino e con l’ago inserite il filo a cui appendere le mollette e i vestiti. Aggiungete delle nuvole nel cielo e una cesta da bucato posizionata sul prato.

Giochi e passatempi

Cruciverba

La donna ha il cuore che batte più velocemente…

Trova il resto della frase risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere evidenziate (Frase: 8, 4, 6)

ORIZZONTALI

1. Piccola cavità in anatomia

7. Una sezione dell’intestino

8. Ripido, scosceso

9. A capo del nazismo

10. Pari in trino

11. Questi a Parigi

12. Antica lingua provenzale

13. Ristorata, serena

18. La Scala dei parigini

20. Non cambia mai strada

22. Nonna d’altri tempi

24. Articolo per studenti

25. Noto Woody dello schermo

27. Aggettivo possessivo

29. La Golda israeliana

30. C’è anche quello da vasaio

VERTICALI

1. Un condimento

2. Un componimento poetico cantato

3. Interdetto

4. Ninfa greca della montagna

5. Un risultato calcistico

6. Detto anche «centopelle»

9. Stato asiatico

11. Piccolo affluente della Garonna

13. Sognare a Parigi

14. Le iniziali della conduttrice Toffanin

15. Un gas raro

16. Il signor dei tali

17. Chimicamente analogo allo zucchero

19. Ai lati di Donnarumma

21. Correlativo di quam

23. Fiume del Piceno

26. In fondo al cortile

28. La patria di Abramo

Pagine 2-3

Preparate ora le due pagine interne del gioco. Sui cartoncini celesti, applicate il prato, assicurandovi che coincida perfettamente quando le due pagine sono affiancate. Per la pagina 2, seguendo il cartamodello (che trovate sul sito www.azione.ch), ritagliate e incollate l’armadio, con le ante che si possano aprire verso l’esterno decorate con 2 bottoncini. Nella pagina a destra applicate due bamboline da vestire e per decorare la scena aggiungete un aquilone.

Con un ago grosso passate 3 fili attraverso l’interno dell’armadio, partendo dal retro del foglio per nascondere i nodi. Aggiungete mini mollette ai fili e appendete i vestiti.

Pagina 4

Sul quarto cartoncino celeste applicate due buste che serviranno per riporre tutti i vestiti di ricambio.

Base della mappetta

Ritagliate una striscia di cartoncino di 29,7 cm per 10 cm e utilizzatela per unire i due cartoni grigi A4 che faranno da base alla mappetta. Incollate la striscia tra i due cartoni, lasciando qualche millimetro di spazio tra di essi per permettere alle pagine di aprirsi e chiudersi agevolmente.

Incollate sulla base le 4 pagine preparate in precedenza. Le pagine 1-2 sul primo cartone e le pagine 3-4 sul secondo. La vostra mappetta gioco è pronta.

Materiale

• Confezione bamboline in gomma crepla

• 2 cartoni spessi formato A4

• 4 cartoncini celesti A4

• Cartoncini colorati

• 2 buste colorate

• Filato azzurro

• Mollette in legno mini

• Forbici, taglierino

• Bastoncino di colla o colla a caldo

• Stampante per il cartamodello

(I materiali li potete trovare presso la vostra filiale Migros con reparto Bricolage o Migros do-it)

Buon divertimento!

Tutorial completo azione.ch/tempo-libero/passatempi

Sudoku Scoprite i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.

della settimana precedente

Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell ’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano . Non

intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un

esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.

Vinci una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una carta regalo da 50 franchi con il sudoku

Viaggiatori d’Occidente

In marcia coi facchini di Santa Rosa

Viterbo, un giorno d’agosto. A Porta romana la Macchina di Santa Rosa riverbera nel sole del tardo pomeriggio. È difficile descrivere questo oggetto meraviglioso e imponente. Immaginate una torre alta trenta metri e pesante cinque tonnellate, decorata con statue, luci e simboli religiosi (croci, angeli eccetera). Santa Rosa è la patrona di Viterbo, morta a soli 18 anni il 6 marzo 1251, indossando l’abito dei terziari francescani. Di lei si tramandano gesta bellicose e miracoli; la sua figura oscilla tra la giovane innamorata di Dio e una Giovanna d’Arco della Tuscia, schierata in difesa del papato contro ghibellini e catari. Sepolta senza bara nella chiesa di Santa Maria in Poggio, un anno e mezzo più tardi il suo corpo fu recuperato incorrotto (si dice) e portato in processione nella Chiesa a lei dedicata. Quell’evento è rievocato ogni 3 settembre in un corteo che si sno-

da per oltre un chilometro attraverso le vie della città: il Trasporto della Macchina di Santa Rosa. Anche se la canonizzazione tarda (per ora Rosa è solo beata) i viterbesi l’amano con intensità e trasporto (appunto).

Meglio è andata alla Macchina, che dieci anni fa è stata riconosciuta Patrimonio immateriale dell’umanità Unesco. Col tempo il baldacchino con la statua della santa ha assunto forme sempre più ardite ed elaborate. Inoltre viene regolarmente rinnovato, come mi racconta l’architetto Raffaele Ascenzi, il progettista della nuova macchina che farà il suo esordio nel 2025 e verrà poi utilizzata per i prossimi anni. È la terza volta che Raffaele vince la gara pubblica per questo ambitissimo incarico e a Viterbo è ormai una star. La sua creatura è una strana mescolanza di modernità e tradizione. La statua della santa, colta in diversi momenti della

Passeggiate svizzere

L’hotel Rosenlaui

Pezzo storico della collezione permanente del Musée cantonal des Beaux-Arts di Losanna, Le glacier du Rosenlaui (1841) si trova al primo piano, seconda sala, della nuova sede accanto ai binari. Subito a sinistra, a fianco l’entrata, oltre a colpire per le sue dimensioni teatrali, attira per il suo stato in tormenta. Lo scorcio di paesaggio dell’Oberland bernese, esempio ideale del sublime teorizzato da Burke nel 1757, dove è raffigurato il Wellhorn con il ghiacciaio del Rosenlaui a fianco, è romanticizzato ancora di più dalle nubi minacciose, l’abete divelto, il torrente impazzito. Mi ricordo anche, nel dipinto di François Diday (1802-1877) visto l’inverno scorso, quattro capre indomite, su un masso della sponda sinistra del Rychenbach. A fianco del quale, sulla sponda opposta, cammino sul sentiero che costeggia un bosco di abeti. Di colpo, un bel mattino di fine agosto, si

spalanca davanti il paesaggio dipinto da Diday. La località del punto di vista del pittore ginevrino specialista del genere alpestre e maestro di Calame, si chiama Gschwantenmad. Sorprende la lingua di ghiacciaio con i rifessi bluastri e i seracchi bene in vista, pensavo più sulla via del tramonto. Nevai, invece, dall’altra parte, si accordano alle forme delle nuvolette. Sono però le cime degli abeti bianchi secolari, credo, a dare il tocco fiabesco a questo scorcio che supera, dal vivo, in questo caso, la pittura. Dal posto del dipinto all’hotel d’epoca, meta del mio ultimo viaggio in Svizzera, ci metto, a passo molto distratto, trentadue minuti. Sul percorso, poco prima di arrivarci, scopro scolpiti nella pietra, i nomi di Diday e Calame. Il canton Berna, anni fa, ha fatto porre, nei pressi dell’hotel, a fianco della strada che da Meiringen porta a

Sport in Azione

sua vita, è ripetuta tre volte a differenti altezze. Come ricorda con orgoglio, prima di diventare progettista Raffaele è stato un semplice facchino, come testimoniano gli avambracci muscolosi sotto la maglietta. Si chiamano Facchini di Santa Rosa, i cento uomini che portano a spalla la Macchina lungo il percorso che attraversa il centro storico di Viterbo, sfiorando case e chiese. Per essere scelto, ciascun facchino deve riuscire a sollevare e trasportare un peso di un quintale e mezzo senza smorfie di fatica. Sulla carta basterebbe mezzo quintale, tuttavia nei diversi momenti del tragitto il peso della gigantesca macchina non è distribuito proporzionalmente, ma grava in misura maggiore o minore sui singoli facchini. Già di suo, il trasporto della santa è molto impegnativo e richiede forza, coordinazione, spirito di squadra; ma nei momenti più diffi-

cili, quando ti sembra che tutto il peso gravi sulle tue spalle, soccorre solo una profonda devozione per la santa. Il trasporto inizia un’ora dopo il tramonto della vigilia della festa di Santa Rosa. I facchini ricevono dal vescovo la benedizione in articulo mortis («sul punto di morte»), poi s’infilano sotto la gigantesca struttura e la sollevano con uno strappo nella mossa. Le luci della città si spengono e la macchina, illuminata da centinaia di fiaccole, avanza fendendo il buio, mentre la folla applaude e incoraggia. Durante il trasporto si effettuano cinque fermate e girate, per mostrare meglio la macchina. L’ultimo tratto consiste in una via in salita, affrontata a passo sostenuto. Infine, con uno sforzo finale, la Macchina viene sollevata e depositata davanti al santuario.

Nella settimana precedente il trasporto, la vita di Viterbo gravita interamente intorno alla santa. In città

non si parla d’altro, tra preparativi e pronostici, e anche i viterbesi emigrati cercano di tornare per l’occasione. Nessuno bada ai forestieri, che pure accorrono numerosi attratti dallo spettacolo barocco e inconsueto. Il turista, abituato a essere al centro della scena in altri momenti dell’anno, diventa un’ombra sfuggente. Qualcosa di simile ‒ una benevola tolleranza e un sostanziale disinteresse ‒ l’ho sperimentato anche in occasione del Palio di Siena. Eppure, non ho sofferto ritrovandomi nel ruolo di puro spettatore. Mi è sembrata anzi la garanzia dell’autenticità dello spettacolo, laddove spesso mi propongono banali messe in scena. Quando ci si preoccupa troppo dei turisti ‒ penso tra me e me ‒ la vita locale perde freschezza e spontaneità, diventa un prodotto da consumare. Molto meglio allora questa passione fanatica e disinteressata per la santa ragazzina.

Grindelwald, una lastra commemorativa ora pervasa da un lichene rosso, in ricordo dei due « Alpenmalern». Partiamo bene: la torta di albicocche, all’ombra degli aceri fuori l’hotel Rosenlaui (1328 m) – le cui prime tracce, dopo la scoperta di una fonte termale, risalgono al 1771 – è abbastanza straordinaria. La camera dieci non è da meno. Sul balcone, innanzitutto, mi ritrovo davanti il Wellhorn in tutta la sua movimentata bellezza. Si aggiunge poi la carrellata degli Engelhörner aspri e aguzzi. Il panorama, così, ondeggia e mi fa venire in mente i paesaggi storti di Soutine. Metto la sedia di legno sul balcone e in boxer prendo il sole. Oltre al potere lenitivo delle conifere prevalenti, va annotata, qui, l’importanza degli aceri campestri che attenuano un po’ la troppa alpitudine mai andata tanto a genio.

Trovo un fiore sull’inferriata jugend-

Il derby più lungo è in rampa di lancio

Per gli appassionati ticinesi di hockey su ghiaccio, il campionato si conclude a marzo o ad aprile. Dipende dalla data in cui escono di scena Ambrì-Piotta e Lugano. Tutto il resto è considerato una sorta di appendice, un optional riservato ai «fini intenditori». Unica eccezione alla visione ticinocentrica della disciplina, lo è, forse, il Mondiale, che si gioca quasi a ridosso dell’estate. Ma a condizione che la Nazionale rossocrociata lo sappia interpretare da grande protagonista, come è capitato quest’anno. Altrimenti scivola via quasi inosservato. Lo scorso mese di marzo, i biancoblù, dopo una stagione gagliarda e incoraggiante, hanno fallito l’assalto ai play off, eliminati dal Bienne. Poche settimane dopo, i bianconeri, autori di un finale in crescendo, nei quarti non sono stati capaci di superare l’ostacolo Fribourg Gottéron. Col disco riposto in magazzino, in

entrambe le curve, su entrambe le tribune, ad Ambrì e a Lugano, il ritornello era lo stesso: «Cavoli, mancano sei mesi alla ripresa del campionato. Riusciremo a sopravvivere?». Quasi come se il fidanzato, o la fidanzata, partisse oltre Oceano per uno stage di lavoro e si cominciasse a fare il conto alla rovescia in attesa del suo ritorno. Per fortuna la tecnologia ci consente di dialogare a distanza, di vederci, scambiarci effusioni come se fossimo in presenza. Per fortuna, in estate c’è l’hockey-mercato, con le sue certezze, le sue speranze, le sue voci di corridoio, il più delle volte disattese o smentite. Poi c’è la presentazione della nuova squadra, di regola verso fine luglio. In entrambi i casi è un bagno di folla, manco fosse un concerto dei Pink Floyd. Occasione imperdibile per riabbracciare i vecchi amori, e per accogliere e scoprire quelli

nuovi. Infine, in agosto, le prime sfide amichevoli, pure ben frequentate, per capire dove si andrà a finire. In Valle si spera nei play off, ma non si ha il coraggio di dirlo ad alta voce. In Città si vorrebbe un percorso che faccia riaffiorare i fasti del passato, ma anche lì, per scaramanzia, la voce rimane strozzata in gola. A fungere da collante, fra le varie fasi dell’attesa, ci sono i siti specializzati che cavalcano l’hockey 365 giorni all’anno. E i blog, in cui i tifosi più viscerali scaldano i motori in vista di nuove sfide sul ghiaccio, e di nuove battaglie a suon di slogan e sfottò da riproporre in curva. È il ritratto di un Ticino che esorcizza tutte le sue criticità con un lunghissimo, eterno derby. Forse sbaglio, o forse dal mio personale osservatorio non sono in grado di cogliere le varie sfaccettature della nostra realtà cantonale, tuttavia questa

stil del parapetto e qualche guizzo floreale sul fermapersiane. Una persiana è azzurra, l’altra verde. Mi sporgo e questa anomalia non è presente in tutte le camere di questo edificio risalente al 1905. Non ha nessuna importanza ma questa asimmetria cromatica mi consola. Mentre colgo con lo sguardo, dentro, diverse margherite di ferro avvinghiarsi intorno al tronco di un memorabile appendiabiti amatoriale. Il Rychenbach, con il suo scorrere potenziato da un ruscelletto laterale all’altezza del ponticello, entra nella stanza. Noto anche come Reichenbach, forma più a valle, sopra Meiringen, le cascate dove Conan Doyle ha cercato, invano, di liberarsi del suo eroe e questo scenario è stato il motivo mancato – sostituito da uno dei tre salotti di Sherlock Holmes esistenti al mondo – della prima tappa del mio tour de Suisse. Ritrovo, del tutto per caso, per la scale, la

carta da parati floreale vittoriana. Il motivo: peonie. La zuppiera portata in tavola con cui io e gli altri quarantaquattro ospiti ci serviamo della zuppa di piselli e menta, per iniziare la cena, è degna di nota. Non mancano le candele, vietati i telefonini e in questo hotel più che d’epoca non ci sono televisori né internet, nessuna camera con bagno. Prima dell’alba, dopo una ronfata ancestrale, alla luce degli abat-jour, nella sala di lettura-giochi – scacchi e Monopoly in giro sembrano fantascienza – butto un occhio alla biblioteca. A proposito dell’hotel Rosenlaui, in una guida intitolata Switzerland’s Mountain Inns (1998) di una coppia di americani, spunta l’aggettivo «inusuale». La treccia fatta in casa, a colazione, mi lascia senza parole. Dopo, trovo la fontana di acqua sulfurea, tenuta quasi segreta al pari dell’incredibile cascata nascosta.

sensazione di crisi d’astinenza non riesco a percepirla nei confronti di altre manifestazioni di massa. Né col Film Festival di Locarno, né col Rabadan, né con le varie sagre della costina, peraltro sempre più travestite da modaiole serate di Street Food. L’hockey su ghiaccio, dalle nostre parti, è quasi una religione. Parafrasando Karl Marx, potremmo quindi definirlo come una sorta di «oppio dei popoli». Non saprei. Non giudico. È fuori di dubbio che non stiamo vivendo il più roseo – a livello sportivo – dei periodi della storia. Siamo confrontati con la crisi climatica, di cui non si percepiscono le estreme conseguenze, con guerre che preoccupano e che incombono, con migrazioni inevitabili che inquietano, col mercato del lavoro sempre più esiguo e sempre più vittima del dumping salariale, con l’aumento costante del costo della vita, tra energia, assicura-

zione malattia, affitti, beni di prima necessità, e mi fermo qui. Insomma, c’è poco da stare allegri. Il campionato di hockey riesce tuttavia a donare a Derbylandia una goccia di serenità, il cui effetto durerà sei mesi. Da ambo le parti si spera qualche settimana in più rispetto alla scorsa stagione. Martedì 17 settembre scoccherà l’ora X. L’Ambrì-Piotta ospiterà il Rapperswil in una Gottardo Arena verosimilmente gremita. Il Lugano sarà di scena a Zugo, per poi ritrovare il suo pubblico giovedì 19, quando alla Cornèr Arena scenderà il Davos. I diecimila ticinesi che, con largo anticipo, hanno acquistato l’abbonamento stagionale potranno lasciarsi alle spalle un estenuante semestre di hockey virtuale, per tornare nuovamente a vibrare con quello vero, fatto di sudore, di lotta alle assi, di reti segnate, reti fallite, bagarre, coreografie, canti, birra, Bratwurst, lacrime e sorrisi.

di Giancarlo Dionisio
di Oliver Scharpf

ATTUALITÀ

Valore locativo e tassazione individuale

Focus su due questioni fiscali importanti che stanno per giungere al dibattito finale nel Parlamento federale

Pagina 21

Il lavoro che manca

La preoccupante piaga della disoccupazione giovanile e i suoi paradossi: uno sguardo su Asia, Europa e Stati Uniti

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La rivincita di Albert Rösti

Quel matrimonio da favola

La sfarzosa cerimonia che ha visto come protagonista il rampollo di una delle dinastie industriali più famose dell’India, gli Ambani

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Berna ◆ Nei suoi primi venti mesi in Governo il consigliere federale bernese è riuscito a imporre una propria agenda, a partire dal tema controverso del ritorno all’energia atomica

Per capire la parabola politica di Albert Rösti (nella foto) val la pena di tornare alla fine del 2019, quando l’allora presidente dell’UDC decise di lasciare la guida del suo partito. Fu probabilmente quello il periodo più tormentato della sua carriera. Prima di allora, Rösti era stato alla guida dell’Unione democratica di centro per quattro anni, ma non era riuscito a garantire al suo partito un’ulteriore crescita alle federali di quel 2019. Un’elezione che vide l’UDC perdere quasi il 4% dei voti e ben dodici seggi al Consiglio nazionale, pur mantenendo il primato tra i partiti svizzeri. Per Rösti fu una sconfitta di peso, dovuta in particolare all’onda verde che segnò quell’appuntamento elettorale. Uno smacco che andò ad aggiungersi ad altri insuccessi in diverse elezioni cantonali di quella legislatura, in particolare in Romandia ma anche a Zurigo, che per l’UDC blocheriana è pur sempre il cantone di riferimento. In quella fine del 2019, Rösti tornava così ad essere un consigliere nazionale come gli altri, con il rischio concreto di scivolare nell’anonimato. L’etichetta del perdente era lì a pesare come un macigno, anche sui suoi tanti mandati da lobbista, in particolare in difesa del nucleare e degli automobilisti.

Il ministro ha permesso ai singoli Cantoni di abbattere preventivamente anche interi branchi di lupi, una strage per alcuni, una misura necessaria per altri

Due anni più tardi, nel giugno del 2021, l’UDC, con Rösti a condurre la campagna in prima linea, riuscì però a vincere il referendum contro la nuova legge sul CO2, che tra l’altro prevedeva un aumento tutto sommato moderato del prezzo della benzina. Quella fu forse la votazione più importante della legislatura, visto il colpo inferto all’onda verde con cui quel quadriennio era iniziato. Per il deputato bernese quella vittoria rappresentò l’inizio di una risalita che alla fine del 2022 lo porterà all’elezione in Consiglio federale, alla guida di uno dei dipartimenti più importanti, il DATEC, che si occupa di trasporti, energia e comunicazioni. I verdi capiscono che il vento sta cambiando, aprono persino un blog per sorvegliare la politica dell’ex presidente UDC. E non hanno torto. Nei suoi primi venti mesi in Governo, Rösti è riuscito a imporre una propria agenda. La mossa di maggior rilievo è senza dubbio quella che mira a riaprire le porte all’energia atomica, che nel 2017 il popolo elvetico aveva deciso di

archiviare, con a termine la chiusura delle quattro centrali ancora in attività. Luce verde al nucleare di nuova generazione, dice Rösti, perché non produce CO2 e perché non va esclusa nessuna fonte di energia che possa permettere al nostro Paese di azzerare entro il 2050 le sue emissioni nette di gas serra. Una visione che ha fatto subito insorgere sinistra e ambientalisti, pronti a lanciare un referendum. Per Rösti il suo controprogetto è anche un modo per frenare l’iniziativa popolare a trazione UDC che chiede di inserire nella Costituzione il ritorno all’energia nucleare. Un’iniziativa che deve ora però anche fare i conti con l’ombra della falsificazione delle firme. Il ritorno del nucleare si trova infatti nel gruppo delle dodici iniziative su cui c’è il forte sospetto di abusi sistemici nella raccolta delle firme, con l’apertura di un’inchiesta penale da parte del Ministero pubblico della Confederazione. Rösti, che nel giugno scorso è dal canto suo riuscito a vincere, anche contro il suo partito, la votazione popolare sulle rinnovabili,

con la possibilità ora di accrescere la produzione di energia verde. Il ministro bernese ha aperto comunque diversi altri cantieri. Quello del lupo, ad esempio. Attraverso un’ordinanza ha permesso ai singoli Cantoni di abbattere preventivamente anche interi branchi. «Una strage» per i difensori del lupo, una misura più che necessaria per gli allevatori di montagna. Sta di fatto che si tratta di un netto cambiamento di rotta, che allontana Berna dalla Convenzione internazionale, sottoscritta anche dal nostro Paese, che garantisce al lupo una «protezione assoluta». Rösti sta mettendo mano anche al canone radio-televisivo, anche qui con un’ordinanza, senza dunque dover interpellare il Parlamento. Il canone verrà presto portato a 300 franchi, un provvedimento che obbliga la SSR a impostare un piano di ulteriori risparmi, con inevitabili licenziamenti. Per Rösti si tratta di una contromisura per ostacolare l’iniziativa «200 franchi bastano», che lui stesso aveva sostenuto quando era parla-

mentare e che ora da ministro considera eccessiva. Nuovi progetti anche per la Posta; qui il ministro bernese è pronto a rivedere il concetto di servizio pubblico offerto finora dal gigante giallo, che ad esempio potrà essere un po’ meno puntuale nella consegna delle lettere e che non dovrà più raggiungere gli abitati più isolati, mentre si discute dell’ulteriore chiusura di uffici postali. Un tema che verrà affrontato proprio questa settimana dal Consiglio nazionale. Per Rösti all’orizzonte c’è anche la votazione popolare per il potenziamento delle strade nazionali, prevista il prossimo 24 novembre. E qui il ministro, già lobbista dell’automobile, si spenderà in difesa dell’allargamento a sei corsie di diversi tratti autostradali, con il supporto del Parlamento e del Governo. Un Consiglio federale in cui il ministro bernese riesce spesso a trovare una maggioranza, sostenuto oltre che dall’altro UDC Guy Parmelin anche dalla coppia PLR formata da Karin Keller Sutter e da Ignazio Cassis, a cui si aggiun-

ge volentieri anche la centrista Viola Amherd. Una maggioranza che gli ha anche permesso, una decina di giorni fa, di respingere al mittente la sentenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo (CEDU) che considera lacunosa la politica climatica del nostro Paese. Per il nostro Governo, invece, la Svizzera non ha nulla di cui rimproverarsi.

Un tema su cui in precedenza c’era stato anche un diverbio pubblico con il ministro di giustizia, il socialista Beat Jans. In un suo discorso Jans ha ribadito di difendere quella sentenza e di «non volere ulteriormente salare i rösti di chi critica la CEDU» con un’ironica illusione al suo collega di Governo. Aggiungendo anche di dover tener sotto controllo quello che «fanno quei cinque», in riferimento al fronte borghese in Governo. Fronte che però continuerà molto spesso ad avere una solida maggioranza, con Rösti sempre più pronto ad approfittarne. E così solo il popolo potrà forse mettergli ogni tanto i bastoni tra le ruote.

Keystone
Roberto Porta

Valore locativo e tassazione individuale

Confederazione ◆ Focus su due questioni fiscali importanti che stanno per giungere al dibattito finale nel Parlamento federale

Due temi fiscali importanti stanno per giungere al dibattito finale nel Parlamento federale: la questione del valore locativo da un lato e la tassazione individuale dall’altro. Tematiche che sono in discussione da tempo e di cui abbiamo riferito più volte in queste pagine. Per valore locativo si intende l’imposta che il proprietario di una casa abitata in proprio deve pagare in aggiunta alle imposte sul reddito. In realtà si tratta di un reddito fittizio, che viene calcolato in base al valore dell’abitazione e degli affitti pagati per abitazioni analoghe nella stessa regione. Il concetto si estende anche ad eventuali case di vacanza usate dal proprietario.

Nei due rami del Parlamento vi sarebbe la maggioranza necessaria per abolire questo balzello, ma l’accordo non è ancora stato trovato sul come procedere. In particolare due aspetti sono fonte di disaccordo: si deve considerare solo l’abitazione primaria o anche quella di vacanza? E in quale misura si possono ammettere le deduzioni degli interessi sul debito ipotecario, una volta soppresso il valore locativo?

Il tema tornerà in discussione per la terza volta in Consiglio nazionale, dopo che la Commissione dell’economia ha trovato un compromesso sulla deduzione degli interessi ipotecari. In sostanza, la Commissione chiede di abolire la possibilità di dedurre questi interessi e soprattutto vuole abolire la possibilità di effettuare anche altre deduzioni da interessi e dividendi tassabili. Finora gli interessi debitori sono deducibili fino al totale dei redditi della sostanza imponibile più 50’000 franchi. Il Nazionale aveva proposto una deduzione massima del 40% della sostanza imponibile, ma gli Stati preferivano il 70%. Le due Camere volevano inoltre una deduzione speciale limitata nel tempo in occasione della prima acquisizione di una casa abitata in proprio.

Come sempre, in questi casi soprattutto, si guarda anche alle conseguenze finanziarie. Le stime per la prima versione del Nazionale parlano di 1,4 miliardi di franchi di perdite fiscali con un tasso ipotecario del 2%. Con un tasso ipotecario del 3,2% la

Il valore locativo viene calcolato in base al valore dell’abitazione e degli affitti pagati per abitazioni analoghe nella stessa regione. Un’istantanea da Flerden, Grigioni. (Keystone)

riforma avrebbe effetti quasi neutri.

Più il tasso ipotecario è alto e più il fisco guadagna, a causa del limite massimo di deduzione.

Per valore locativo si intende l’imposta che il proprietario di una casa deve pagare in aggiunta alle imposte sul reddito

Il tasso ipotecario medio è oggi sotto il 2%, tanto per le ipoteche esistenti, quanto per quelle nuove. La Commissione ha però elaborato un nuovo concetto (e una nuova complicazione): tener conto della quota di sostanza data in affitto nel totale della sostanza. Se tutta la sostanza è data in affitto, si può dedurre il totale degli interessi. La Commissione spera così di ridurre al minimo le perdite fiscali. La sostanza mobile e il suo reddito non vengono più tenuti in considerazione. Si potreb-

be così anche migliorare l’attrattività dell’investimento immobiliare. Il problema è ora nel campo degli accordi politici. Una riduzione della possibilità di dedurre costi dal reddito immobiliare potrebbe concorrere a ottenere una maggioranza in Consiglio nazionale. Agli Stati la situazione potrebbe però essere diversa. Qui la versione del 2023, con un interesse ipotecario tra l’1,5 e il 2%, provocherebbe perdite fiscali tra 1,6 e 2 miliardi di franchi. Non solo, ma la riforma non tiene conto dei piccoli proprietari e delle zone turistiche. Si potrebbe formare una maggioranza contraria addirittura all’abolizione del valore locativo e soprattutto di quello sulle case di vacanza. Una soluzione potrebbe consistere nel sostituire il valore locativo con un’imposta speciale sulle case secondarie. È però necessaria una base legale nella Costituzione federale, il che riaprirebbe tutta la discussione sul tema.

Un altro argomento scottante a livello federale è quello della tassazione individuale per sopprimere l’attuale svantaggio delle copie sposate. La Commissione del Nazionale sembra aver trovato un accordo sul progetto del Consiglio federale. In pratica un controprogetto all’iniziativa che andrà in votazione popolare. La maggioranza è però risicata e anche questa iniziativa provocherebbe minori entrate per circa un miliardo di franchi. Il Consiglio federale ammette la sostituzione della tassazione delle coppie sposate con la tassazione individuale. La discussione verte ora su quale tassazione individuale si dovrà applicare (leggi Azione del 4 marzo 2024).

Nell’articolo citato mettevamo in evidenza alcune conseguenze della riforma per i vari livelli di reddito. Secondo il Consiglio federale, il 53% dei contribuenti pagherebbe meno imposte, mentre l’11% ne pagherebbe

Desideriamo cedere la casa ai nostri figli. Di cosa dobbiamo tenere conto?

di più. Le situazioni famigliari sono oggi molto diversificate e in tutte le classi di reddito vi sarebbero vantaggi e svantaggi. Importante – e non solo per l’iniziativa – è che venga soppressa quella che è stata definita la «penalizzazione del matrimonio». Anche a livello cantonale sono in vigore leggi diverse su questo tema. Ora la Confederazione vorrebbe introdurre un nuovo sistema, ma molti Cantoni hanno già manifestato il loro malcontento. Il progetto incontra però anche l’opposizione di coloro che vorrebbero un sistema di «splitting» invece della tassazione individuale, che favorirebbe solo i doppi redditi. Il messaggio del Consiglio federale concerne solo l’iniziativa «per la giustizia fiscale» inoltrata nel 2022 dalle Donne liberali radicali. Il Centro ha però pronta una nuova iniziativa sullo stesso tema, ma che propone un calcolo alternativo delle imposte delle coppie.

La consulenza della Banca Migros ◆ Le soluzioni praticabili sono queste tre: la vendita, l’anticipo sull’eredità e la donazione

Per trasferire un immobile alla generazione successiva quando si è ancora in vita vi sono tre possibilità: vendita, anticipo sull’eredità e donazione. Con la vendita potete consolidare la vostra situazione finanziaria e provvedere per il futuro, ad esempio per una struttura residenziale e assistenziale adeguata alla vostra età. Inoltre, in caso di trasferimento ai discendenti, decadono i costi di commercializzazione e, a seconda del Cantone, anche l’imposta sul trapasso di proprietà. Spesso il prezzo al quale si cede l’immobile a un discendente è inferiore all’attuale prezzo di mercato, cosicché l’acquisto della casa dei genitori diventa interessante per i figli. In caso di anticipo sull’eredità, la

casa viene ceduta ai figli senza alcuna contropartita finanziaria oppure a un prezzo inferiore al valore commerciale: la differenza rispetto al valore commerciale è considerata anticipo sull’eredità e tale importo si detrae dall’importo della successione. Ecco perché sussiste un obbligo di compensazione nei confronti dei restanti fratelli e sorelle. È consigliabile fissare l’accordo per iscritto.

Obbligo di compensazione in caso di donazione

Con una donazione si cede l’immobile senza una contropartita finanziaria. Esiste poi un caso particolare, che è la donazione mista. In questo caso,

si cede la casa a un prezzo inferiore al valore di mercato. Come per l’anticipo ereditario, in caso di donazione (o di donazione mista) sussiste un obbligo di compensazione nei confronti degli altri figli. Inoltre, anche se in alcuni Cantoni è prevista un’imposta sulle donazioni, viene tassata solo la differenza tra il valore commerciale della casa e il prezzo di acquisto. Nella maggior parte dei Cantoni le donazioni ai figli sono esenti da imposte. Una donazione in vita non impedisce che, in caso di bisogno, la casa possa essere utilizzata per finanziare il ricovero in una casa di cura. Inoltre, dopo il decesso, le persone aventi diritto all’eredità devono rimborsare dall’eredità tutte le prestazioni complementari maturate nei dieci anni

precedenti che superano la franchigia di 40’000 franchi.

Attenzione: che si tratti di un anticipo ereditario o di una donazione, se intendete cedere la vostra casa senza contropartita finanziaria dovreste disporre di sufficienti risorse finanziarie destinate alla previdenza per la vecchiaia. In caso contrario potreste diventare finanziariamente dipendenti dai figli. Se avete intenzione di continuare a vivere nella casa, dovreste definire contrattualmente il diritto di abitazione o l’usufrutto.

Consiglio Poiché trasferire un immobile è una questione complessa, vi raccomandiamo vivamente di consultare uno o una specialista.

Gerhard Buri, consulente alla clientela presso la Banca Migros ed esperto in previdenza.

Varietà di mele: le differenze

Attualmente vengono raccolte in ogni angolo della Svizzera. Ti illustriamo le varietà principali e ti spieghiamo come utilizzarle.

Testo: Angela Obrist

Pink Lady

Come suggerisce il nome, questa mela incanta per la sua buccia rosa brillante e non passa inosservata in macedonie e insalate. La polpa soda e succosa vanta un sapore asprigno e dolce al tempo stesso. Questa varietà di mela viene raccolta in Svizzera solo verso la fine di ottobre, per questo motivo proviene spesso dal soleggiato Vallese. In vendita da fine ottobre.

Gala

Questa mela dolce è deliziosa da sola e nelle ricette di ogni genere. La sua polpa soda non si sfalda ed è pertanto ideale da cuocere in padella o al forno. Si tratta di una varietà nata in Nuova Zelanda nel 1934 e diventata oggi la mela più diffusa in Svizzera. Nel 2023 la Migros ne ha vendute 7000 tonnellate.

Gugelhopf alle mele

Torta di compleanno, dolce per il tè o per rallegrare le giornate: il gugelhopf alle mele incanta con il suo gusto fruttato e la sua pasta soffice.

Braeburn

La varietà Braeburn è originaria della Nuova Zelanda. Questa mela vanta un sapore dolce e asprigno al tempo stesso. Quando la si taglia, la polpa annerisce molto lentamente. È quindi perfetta da usare cruda nelle pietanze, ad esempio nelle insalate o nelle macedonie. Nel 2023 la Migros ne ha vendute circa 3200 tonnellate, piazzandosi così al secondo posto in classifica tra le varietà di mele preferite dalla clientela Migros. In vendita da fine ottobre.

Gravensteiner

Presenta un sapore rinfrescante e acidulo e si sfalda alla cottura. Una caratteristica perfetta, questa, per preparare purea, mosto o succo di mele. Si tratta della varietà più antica di mele in vendita alla Migros. Fu scoperta in Danimarca nel 1669 e ancora oggi porta il nome di un villaggio di questo Paese. In Danimarca è anche conosciuta come «mela nazionale».

Sweet Tango

La polpa particolarmente croccante e succosa della mela Sweet Tango ricorda quasi quella di un'anguria. Si tratta di una varietà nata in Minnesota, nel nord degli Stati Uniti, da un incrocio naturale tra due varietà di mele. Oggi viene coltivata anche in Svizzera. È disponibile solo per un breve periodo dell'anno, ovvero da metà agosto a metà ottobre circa.

Golden Delicious

Questa mela giallo oro dal sapore dolce e zuccherino è deliziosa come dessert, nelle crostate di frutta o sotto forma di purea o composta. Questa varietà era stata scoperta negli Stati Uniti nel 1890 e anche oggi continua a essere la più conosciuta nel mondo.

Ricetta

Quando un lavoro non si trova

Economia ◆ Un’analisi della disoccupazione giovanile nel mondo – specie in Asia, Europa, America – e le sue implicazioni

La disoccupazione giovanile è una «malattia eurasiatica»? Per l’Europa del sud nessuna sorpresa, purtroppo. Paesi come Italia, Spagna, Grecia hanno avuto da sempre questo problema, con tassi di disoccupazione giovanile che a seconda dei periodi e delle metodologie di misurazione possono superare il 20%. La novità più recente è che lo stesso fenomeno oggi sia tipico di economie che siamo soliti considerare dinamiche, i «dragoni» o le «tigri» dell’Asia. Con sistemi economici assai diversi tra loro – e diversi dai nostri – come lo sono quello cinese o indiano, però accomunati dalla difficoltà a creare posti di lavoro per i giovani. Soprattutto se questi giovani sono laureati. Il problema rischia di creare tensioni sociali, com’è già accaduto in Bangladesh dove proprio le violente proteste studentesche hanno portato alla caduta di un Governo e a un golpe militare, sia pure «addolcito» dalla nomina del Premio Nobel Muhammad Yunus come primo ministro.

Il Bangladesh è un caso singolare perché negli ultimi dieci anni era stato considerato come un modello di crescita economica, con un aumento medio del Pil pari al 6,5% annuo. Era diventato la nuova meta per le delocalizzazioni industriali, in particolare nel settore del tessile –abbigliamento e calzaturiero, grazie a costi del lavoro inferiori a quelli della Cina. Di fatto perfino grandi aziende cinesi del settore avevano spostato una parte della loro produzione in Bangladesh, che tra l’altro non viene considerato come un potenziale bersaglio del protezionismo americano. Ma il forte tasso di crescita economica non ha impedito che la disoccupazione giovanile salisse al 16%.

Il forte tasso di crescita non ha impedito che la disoccupazione giovanile salisse al 16% in Bangladesh

Una cifra alta, eppure tutt’altro che anomala in quell’area del mondo. L’India ha una percentuale simile di giovani senza lavoro. L’Indonesia soffre di una disoccupazione giovanile al 14%, la Malesia al 12,5% secondo i dati dell’International Labor Organization. In quanto alla Cina, ha deciso di cancellare le statistiche sulla sua disoccupazione giovanile, dopo che aveva raggiunto il livello record del 21%. L’Europa meridionale ha livelli paragonabili, ma è raro che il Mezzogiorno italiano o la Grecia si vedano affiancati alle potenze emergenti dell’Asia, i cui tassi di crescita economica sono ben superiori. Il problema asiatico si concentra sulla cosiddetta disoccupazione intel-

Dati in Svizzera

Nel mese di agosto 2024 il numero dei disoccupati è aumentato di 3638 unità (+3,4%) rispetto al mese precedente, per un totale di 111’354 persone. Lo ha annunciato settimana scorsa la Segreteria di Stato dell’economia (Seco). Rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, il numero dei disoccupati è aumentato di 21’473 unità (+23,9%). Nel mese di agosto 2024 il tasso di disoccupazione è aumentato di 0,1 punti percentuali rispet-

In Cina gli stessi genitori a volte incoraggiano i figli a restare a loro carico in attesa di trovare un posto all’altezza delle loro aspettative, anziché subire l’umiliazione di «tornare in fabbrica». (Pixabay)

lettuale e quindi sulla difficoltà a creare lavoro per laureati. Il caso dell’India lo conferma: la disoccupazione raggiunge un massimo del 40% tra i giovani sotto i 25 anni che hanno conseguito una laurea, mentre è dell’11% tra i loro coetanei che hanno fatto solo la scuola elementare. In Cina, nonostante la censura sulle statistiche, è noto che il problema è identico. In tutti questi Paesi, quindi, la crescita economica dinamica ha continuato a creare posti di lavoro operai nel settore manifatturiero, mentre non è stata capace di assorbire una generazione di laureati. Le spiegazioni sono tante dal lato della domanda aziendale: dall’insufficiente riconversione verso le attività più qualificate, all’avanzata dell’automazione. Per quanto riguarda l’offerta di forza lavoro, c’è una rigidità nelle aspettative. Giovani che hanno conseguito una laurea – spesso grazie a pesanti sacrifici economici dei genitori per finanziare i loro studi – non accettano lavori che per loro rappresentano un declassamento. In Cina gli stessi genitori a volte incoraggiano i figli a restare a loro carico e a vivere in casa nell’attesa di trovare un posto all’altezza delle loro aspettative, anziché subire l’umiliazione di «tornare in fabbrica» cioè accettare lo stesso status sociale della generazione precedente.

Di fronte al «male eurasiatico» che è la disoccupazione intellettuale delle nuove generazioni, c’è poi il paradosso americano. Gli Stati Uniti ignorano cosa sia la disoccupazione giovanile, sia i laureati sia i non laureati delle ultime leve godono di una

to al mese precedente, pari al 2,4%.

Sempre la Seco afferma: «Da luglio 2024 a agosto 2024 il numero di disoccupati giovani (15-24 anni) è aumentato di 2004 unità (+20,2%), per un totale di 11’905 persone. Rispetto allo stesso mese dell’anno precedente ciò corrisponde a un aumento di 2’093 persone (+21,3%). Nel mese di agosto 2024 il tasso di disoccupazione giovanile è aumentato di 0,5 punti percentuali rispetto al mese precedente, pari al 2,7%».

situazione molto vicina al pieno impiego. Eppure sono a maggioranza scontenti, depressi, preoccupati per le loro prospettive economiche. L’ultima indagine demoscopica NORC rivela che il «sogno americano» ai loro occhi sembra sempre meno realizzabile. Accesso alla casa e speranza di una pensione futura sono due temi ricorrenti. L’89% degli intervistati considera essenziale o importante comprare una casa per avere sicurezza in futuro, ma solo il 10% pensa che questo acquisto sia alla sua portata. La sicurezza finanziaria e una pensione dignitosa sono giudicate essenziali dal 95%, ma solo il 9% pensa che riuscirà facilmente a ottenerle. Lo stesso sondaggio dava risultati molto più ottimisti un decennio fa. Altri indicatori sembrano confermare che il pessimismo dei giovani americani è fondato. Tra coloro che nacquero subito dopo la Seconda guerra mondiale, il 90% finì per stare meglio dei genitori; invece tra coloro che nacquero dopo il 1980 solo la metà ha superato le condizioni socio-economiche dei genitori. È un tema che sicuramente avrà un impatto anche in questa elezione. Uno degli slogan di Kamala Harris è «creare un’economia delle opportunità».

Ad aggravare le prospettive della disoccupazione giovanile «eurasiatica» c’è il problema cinese. La Repubblica Popolare, lungi dall’essere un motore per la crescita economica mondiale, è un fattore frenante. Punta all’autosufficienza in ogni settore, e ambisce a un dominio planetario in quasi tutte le produzioni. L’intera organizzazione della sua economia è basata su questo principio. A cominciare dal persistente sacrificio dei consumatori cinesi, le cui spese rimangono sottodimensionate, per favorire gli investimenti e le esportazioni. Il funzionamento generale dell’economia cinese si capisce partendo da questo: nelle altre grandi economie i consumi assorbono dal 50% al 75% del Pil, in Cina sono molto sotto, appena il 40% del Pil. Tutto lo spazio lasciato libero dai consumi deboli viene riservato a investimenti ed esportazioni. L’avanzo commerciale della Repubblica Popolare ha raggiunto i 900 miliardi di dollari annui. Dal 2019 a oggi l’avanzo con gli Stati Uniti è aumen-

sto del mondo la Cina ha un avanzo di 240 miliardi. Ciò che i consumatori cinesi non comprano deve essere venduto all’estero: è questa la logica implacabile per cui il sotto-consumo interno accentua ed esaspera la pressione competitiva con cui l’industria cinese invade gli altri mercati. Si è imposto il dogma di Xi Jinping: il consumismo è decadente, lasciamolo agli occidentali, noi invadiamo i loro mercati

tato di 49 miliardi di dollari, ma ancor più è cresciuto quello con l’Unione europea (+72 miliardi) e quello con il Giappone e le altre economie asiatiche (+74 miliardi). Con tutto il re

Le ragioni per cui la popolazione cinese consuma troppo poco sono molteplici: vanno dai salari ancora troppo bassi, all’assenza di un vero welfare, più altre caratteristiche del sistema fiscale. Sopra tutto c’è l’ideologia. Mentre ancora dieci anni fa alcuni tecnocrati a Pechino riconoscevano apertamente la necessità di riorganizzare l’economia per dare più spazio ai consumi, in seguito si è imposto il dogma di Xi Jinping: il consumismo è decadente, lasciamolo agli occidentali, noi continuiamo invece a invadere i loro mercati e a renderli dipendenti dalla nostra industria. La disoccupazione dei giovani neolaureati cinesi, e quella di altre parti del mondo, è aggravata anche da questo squilibrio

Responsabile Servizio Manutenzione

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Da concordare

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Gestisce direttamente il team di manutentori (elettricisti) al fine di:

- garantire l’efficienza degli impianti (elettrici, refrigerazione RVCS,...) delle infrastrutture, dell’arredo, ecc...

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Offriamo Lavoro interessante e variato alla conduzione di un team di professionisti; Coperture assicurative (LPP, IPG) e salario attrattivi; Minimo 5 settimane di vacanza pianificabili nell’arco dell’anno; Candidatura Da inoltrare collegandosi al sito www.migrosticino.ch, sezione «Lavora con noi» - «Posizioni disponibili».

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Il più grande spettacolo del mondo

Fili di seta ◆ Il matrimonio del rampollo di una delle dinastie industriali più famose dell’India, la classe media rampante e

Da questa estate sono moglie e marito, possiamo tirare un sospiro di sollievo e smetterla di farci venire un attacco di nervi guardando la collezione di gioielli antichi (gioielli che risalgono ai tempi dei Moghul, con pietre delle dimensioni di una noce) di Nita Ambani, la madre dello sposo. Il matrimonio di Anant Ambani, rampollo di una delle dinastie industriali più famose dell’India, e di Radhika Merchant ha tenuto banco per mesi sulle pagine dei giornali di mezzo mondo, scatenato polemiche (e invidia) a non finire e polverizzato ogni precedente record di spesa: in confronto, i 163 milioni di sterline spesi nel 1981 per far convolare a nozze Carlo d’Inghilterra e Diana Spencer sembrano noccioline. Agli eventi che hanno preceduto le nozze vere e proprie erano presenti le Kardashian paludate in abiti tradizionali indiani, Justin Bieber e Rihanna, che ha deliziato gli sposi e i loro invitati con un concerto privato.

È cominciato tutto nella tarda primavera scorsa, quando gli Ambani hanno organizzato grandi feste per il figlio e la sua fidanzata sia a Londra sia su una nave da crociera che navigava nel Mediterraneo: Palermo, Portofino e infine Roma, rallegrati da Kate Perry e dai Backstreet Boys. Gli abitanti di Portofino non si sono ancora ripresi dagli schiamazzi durati tutta la notte, ma va bene così. Dopo mesi di feste, le nozze vere e proprie si sono ce-

lebrate in India alla presenza di circa duemila inviati tra cui Tony Blair, Nick Jonas e Priyanka Chopra, la crème de la crème di Bollywood, molte facce di Hollywood e qualche centinaio di giornalisti.

Alla cerimonia del bharat, l’arrivo dello sposo, c’erano centinaia di cantanti e musicisti a intrattenere gli ospiti e migliaia di fiori: oltre sessanta sculture floreali di animali tra cui scimmie, elefanti e tigri. Secondo le stime, per ognuna di esse sono stati necessari oltre 100’000 fiori. Agli ospiti più importanti e agli amici più stretti sono stati distribuiti come bomboniera orologi da polso da qualche centinaio di migliaia di franchi, borse di Louis Vuitton, scarpe firmate e collane d’oro.

D’altra parte Mukesh Ambani, il padre dello sposo, non è mai stato noto per raffinatezza e basso profilo. Anni fa, nel 2007, era finito su tutti i giornali per via della modesta magione costruita a Bombay. Voleva vedere il mare da casa sua e così aveva costruito un grattacielo di ventisette piani. Fin qui niente di strano, ovviamente. In fondo è quello che fanno i miliardari di tutto il mondo, pare. Mukesh, però, non è un miliardario qualunque. Così, aveva annunciato di non avere alcuna intenzione di affittare o vendere i rimanenti ventisei piani del «suo» grattacielo, che sono invece tutti adibiti a residenza privata della famiglia. Sei piani per parcheggiare le auto, un pa-

io adibiti a fitness center, qualcun altro per alloggiare le seicento persone che compongono lo staff che provvede alle necessità dei membri del clan. I piani superiori, destinati ad alloggiare Mukesh, sua moglie Nita e i loro tre figli oltre naturalmente all’adorata e onnipresente «regina madre» degli Ambani, comprendono un eliporto, un certo numero di piscine e indispensabili amenità varie, sale cinematografiche, giardini pensili e, si dice, perfino un teatro. Altro che il castello di Windsor o la reggia di Caserta… D’altra parte, Ambani deve pure impiegare in qualche modo il denaro di famiglia ereditato da un padre geniale, l’uomo che ha introdotto in India le

fibre sintetiche cambiando per sempre il modo di vestire della povera gente: tanto che, nel linguaggio comune, per dire che un tessuto è di seta artificiale, si dice che è di «seta Reliance». Reliance, infatti, è il nome dell’impero fondato dal nulla da Ambani senior. Impero diviso alla sua morte tra i due fratelli Mukesh e Anil, che hanno ferocemente lottato per il controllo del gruppo. La lotta era stata risolta soltanto con l’intervento della madre, che aveva assegnato il settore petrolchimico e tessile a Mukesh e le finanziarie e il settore telecomunicazioni ad Anil. Il boom economico e la congiuntura favorevole hanno portato i due fratelli a scalare le classifiche dei miliarda-

ri indiani e hanno portato Mukesh, il più estroverso dei due, a finire spesso e volentieri sui media e a essere criticato per la sua stravaganza, per la mancanza di buon gusto e, soprattutto, per la sua vera o presunta vicinanza al premier Narendra Modi. Causa principale, dicono i bene informati, del diluvio di critiche piovuto addosso agli sposi e ai loro genitori da parte della scandalizzata stampa internazionale, che celebrava incantata il matrimonio del principe Harry e di Megan ma che, quando si tratta di indiani, si risveglia al solito austera e moralista. E soprattutto si dimentica di citare l’indotto economico del faraonico matrimonio, celebrato in gran parte in India, e le migliaia di posti di lavoro creati alla bisogna, oppure la mensa aperta per i bisognosi durante tutto il tempo delle celebrazioni, mensa che ha sfamato, dicono fonti ufficiose, cinquemila persone al giorno e in cui i pasti erano serviti occasionalmente da celebrità e artisti famosi.

E mentre i nostalgici dei miliardari del buon tempo andato, a Delhi, Bombay e dintorni, celebrano l’epoca in cui i ricchi andavano in Ambassador mentre i poveri morivano di stenti nella «città della gioia», Calcutta, l’India diventa sempre più come il resto del mondo: coi suoi miliardari cafoni, la classe media rampante, gli invidiosi, gli ammirati, i siti di gossip e gli/le influencer.

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Mukesh Ambani (a destra) con il figlio Anant. (Keystone)

Il Mercato e la Piazza

Invecchiamento e calo di produttività

Una delle questioni che gli economisti discutono dalla fine del secolo scorso è perché la produttività delle economie europee, intesa come valore aggiunto per posto o ora di lavoro, ristagna. Mentre nei primi decenni che hanno seguito la Seconda guerra mondiale la produttività di queste economie, Svizzera compresa, cresceva a tassi superiori al 2% annuale, oggi, salvo eccezioni come il 2021, anno di ripresa dopo la pandemia, la produttività non cresce più che a tassi inferiori all’1%, quando non diminuisce. I fattori che possono influenzare l’evoluzione della produttività nel lungo termine sono numerosi e il loro influsso varia da un’economia all’altra. A noi interessa oggi considerarne uno che, nel corso degli ultimi anni, è stato oggetto di più ricerche empiriche anche in Europa. Si tratta dell’invecchiamento della popolazione e quindi anche della popolazione attiva, ossia della parte

In&Outlet

della popolazione in grado di lavorare. In tutti i Paesi d’Europa si constata, da almeno 50 anni, un calo progressivo dei tassi di natalità e una stabilizzazione di quelli di mortalità. La popolazione dunque invecchia. Se la popolazione invecchia salirà anche l’età media della popolazione che lavora. Stando all’Ufficio federale di statistica, in Svizzera la quota delle persone occupate con più di 50 anni è oggi superiore a un terzo del totale. Nel 1991 questa quota rappresentava invece solo un quarto del totale dell’occupazione. Osserviamo che la velocità con la quale la popolazione che lavora invecchia viene frenata, nel caso elvetico, dalla continua immigrazione di una popolazione relativamente giovane (lavoratori stranieri). Nonostante l’immigrazione, però, il grado di invecchiamento della popolazione che lavora continua ad aumentare. Ma perché un effettivo di lavoratori e lavoratrici più anziano dovrebbe avere una

produttività minore di un effettivo più giovane? Le ricerche propongono due tipi di risposta. Dapprima esse mettono in evidenza che, grazie all’accumularsi dell’esperienza al posto di lavoro, il contributo del lavoratore o della lavoratrice alla produttività tenderebbe a crescere – non a diminuire – con l’età. Un effettivo di manodopera anziano potrebbe quindi essere più produttivo di uno in giovane età. Tuttavia, sottolineano i ricercatori, il tasso di aumento della produttività per lavoratore diminuisce con l’avanzare dell’età. E questo perché una quota crescente di lavoratori e lavoratrici sceglie la pensione anticipata. In una popolazione di lavoratori e lavoratrici che invecchia l’effetto complessivo sull’evoluzione della produttività sarà quindi negativo, o positivo, a seconda della portata del fenomeno del pensionamento anticipato. In secondo luogo, i ricercatori rilevano che l’evo-

Il richiamo della foresta populista

Tra le cose che mi ha raccontato Tony Blair in una recente intervista, ce n’è una che mi ha colpito in particolare. Blair è l’unico leader progressista ad aver vinto tre elezioni consecutive nel dopoguerra. Ha potuto farlo perché ha rinnegato lo statalismo, il socialismo vecchio stampo, la visione per cui più è grande lo Stato, più è giusta la società, e il business è un nemico. Mi ha detto Blair: oggi esiste un populismo di sinistra e anche un populismo di destra. I conservatori sono diventati populisti. Il patriottismo diventa nazionalismo, diventa il rifiuto di qualsiasi istituzione sovranazionale, dall’Onu all’Ue, e il dovere di governare bene diventa rigetto delle élites. È quello che è accaduto alla destra francese e tedesca, in particolare nei Länder dell’est. In Francia la destra neogollista che conquistò l’Eliseo con Pompidou, Chirac, Sarkozy, quasi non esiste più. Al suo posto c’è la destra di

Marine Le Pen, che nasce dal rifiuto dell’immigrazione e dell’integrazione europea. Eppure Le Pen non ha vinto le elezioni legislative. Il suo partito è il primo di Francia, ma al secondo turno ha eletto meno deputati del Nuovo fronte popolare (Nfp) e dell’alleanza macroniana, e quindi non governerà il Paese. Il Nfp aveva proposto come prima ministra Lucie Castets, sconosciuta tecnocrate che per prima cosa vorrebbe abolire la riforma delle pensioni (Macron ha fatto sapere che non se ne parlava neanche). Alla fine a spuntarla è stato Michel Barnier, 73 anni, già negoziatore europeo per la Brexit nonché ex candidato alle presidenziali del 2022. Nel suo curriculum anche la vicepresidenza della Commissione europea. La nomina a premier di Barnier arriva a quasi due mesi e mezzo dalle elezioni. In ogni caso resta tanto da fare e non si capisce bene quale futuro attende il Paese. È probabile che nasca

Il presente come storia

Politica, sicurezza, confini

Scrivere la storia dell’umanità è anche scrivere la storia dei confini: quelli tracciati con mano militare e poi fissati nei trattati, e quelli invisibili, formatisi nel tempo per ragioni ideologiche, culturali, religiose, linguistiche. Il saggista inglese Jonn Elledge ha provato ad allestirne un inventario: I 47 confini che dividono il mondo, volume edito da Garzanti. C’è spazio anche per la Svizzera, Paese che più del Belgio «sfida la concezione europea tradizionale di “come funzionano le Nazioni”». Segno dei tempi: negli ultimi anni gli studi sulla questione «confini e frontiere» si sono infittiti, in parallelo con l’esigenza di ripristinare un ordine che la spinta alla globalizzazione mirava a disarticolare. L’abolizione dei controlli alla frontiera è stata una delle pietre angolari del progetto comunitario, con l’obiettivo di ridurre gli ostacoli alla libera circolazione di persone, merci, capitali e servizi. Il «vallo» andava perciò

spostato al perimetro esterno del grande mercato unico, a ridosso degli Stati che ancora non soddisfacevano i criteri per appartenere alla famiglia europea (Spazio Schengen). Ma sulla necessità e i limiti di questo ambizioso programma, l’accordo tra i ventisette Paesi membri è andato col tempo scemando. Anche nell’opinione pubblica l’allargamento verso l’est non è più ritenuto prioritario. «Voglia di confini» titolano ora i quotidiani dopo aver sondato gli umori della cittadinanza. Si invocano provvedimenti protettivi e rassicuranti; si chiede di reintrodurre muri e steccati. Quali? Certamente non quelli che hanno fatto la fortuna delle economie continentali, intensificato gli scambi di manufatti e capitali, e incrementato i viaggi per affari e per diporto. I confini in oggetto riguardano piuttosto la necessità di tener fuori dagli spazi nazionali tutto ciò che potrebbe nuocere o destabi-

luzione della produttività può essere influenzata anche dalla capacità di innovare. Da questo punto di vista è innegabile che la capacità innovativa di un effettivo di manodopera giovane sia superiore. Diverse ricerche hanno dimostrato che, con l’età, la capacità di produrre nuove idee dapprima tende a crescere, poi diminuisce abbastanza rapidamente. Questi studi confermano dunque l’opinione corrente stando alla quale le innovazioni sono generate da persone con meno di 40 anni. E siccome tra innovazione e produttività la correlazione è positiva, ecco dunque che un’economia con una popolazione attiva giovane conoscerà tassi di crescita della produttività più elevati di quelli che possono essere realizzati in un’economia con maestranze più anziane. Non solo. Sempre in materia di innovazione, un effetto negativo è costituito dal fatto che i lavoratori e le lavoratrici più anziani hanno maggio-

ri difficoltà ad adottare le innovazioni, in particolare quelle del progresso tecnico. Osserviamo infine che l’impatto dell’invecchiamento sulla produttività non varia solo nel corso del tempo, ma varia anche nello spazio, per esempio da una regione all’altra. Anche nel caso dei Cantoni svizzeri si può accertare che esiste un rapporto negativo tra invecchiamento della popolazione e produttività per posto di lavoro. La correlazione negativa è comunque tenue. Questo perché accanto a Cantoni giovani e con produttività elevata, come i Cantoni urbani (escluso il Canton Berna), vi sono anche Cantoni che hanno una produttività elevata malgrado una popolazione anziana. Una di queste eccezioni è rappresentata dal Ticino che, pur essendo il Cantone più invecchiato, gode di un livello di produttività elevato grazie anche, pensiamo, al contributo in esperienza e in capacità innovativa dei frontalieri!

un Governo in grado di costruire alleanze punto per punto, attorno ai grandi temi: Ucraina, Europa, legge di bilancio, Medio Oriente. Uno scenario che avrà bisogno di un atteggiamento benevolo sia del Rassemblement national di Marine Le Pen, sia della France Insoumise di Mélenchon, che sognano di sfidarsi al ballottaggio delle prossime presidenziali. Insomma, c’è grande confusione sotto il cielo di Francia. Ma la crisi tedesca sembra se possibile peggiore. In Turingia e in Sassonia i tre partiti di Governo – socialdemocratici, liberali, verdi – non arrivano al 15%. Vedere oltre il 30% un partito anti-antinazista come Alternative für Deuschtland (AfD) fa impressione. Finora la Germania era stata immune al virus del populismo di destra, il Paese era in salute, l’economia prosperava, l’egemonia sul resto d’Europa appariva indiscussa. Nel giro di pochi anni è cambiato tutto. L’eredità

di Angela Merkel non era così solida. Le sanzioni alla Russia hanno messo in crisi l’approvvigionamento energetico, troppo legato ai serbatoi di Putin. La Germania viene considerata un Paese analogico in piena era digitale, ancora troppo legato all’industria manifatturiera più che alla nuova economia immateriale della finanza, del green, dell’Ai. E i Länder dell’est sono ancora molto più poveri di quelli occidentali. Anche per questo gli elettori non si riconoscono nei «partiti dell’Ovest», con la parziale eccezione della Cdu. Il risultato è un’impasse della costruzione europea, con i capi di AfD che dicono: «L’Europa ha bisogno della Germania, ma la Germania non ha bisogno dell’Europa». Fino al 2022 i quattro grandi Paesi dell’Europa occidentale erano guidati da un Emmanuel Macron appena rieletto con ampio margine, da un Olaf Scholz che si era presentato come l’e-

rede di Angela Merkel, dal socialista Pedro Sànchez non ancora indebolito e dall’europeista Mario Draghi: tutti e quattro solidali con Zelensky e la causa dell’Ucraina, della Nato, dell’Occidente. Adesso Macron è un presidente dimezzato. Scholz ha visto l’Spd – il partito più vecchio d’Europa, sopravvissuto a due guerre mondali e al nazismo, portato al Governo da figure di immenso prestigio come Willy Brandt e Helmut Schmidt – superato e umiliato dagli anti-antinazisti dell’AfD alle elezioni europee. Sànchez ha perso terreno rispetto alle politiche, quando è riuscito ad abborracciare un Governo con un voto di maggioranza. E l’unico partito di opposizione al Governo Draghi sfiora il 30%. Lo guida Giorgia Meloni. Resta da capire se seguirà la rotta atlantista ed europeista, o sarà sensibile al richiamo della foresta populista. Anche nei confronti della guerra russo-ucraina.

lizzare la società, ovvero la criminalità, il lavoro irregolare, l’immigrazione, l’islamismo. Molti Stati vorrebbero ora imitare la Svizzera extra-Ue, con il suo rigido disciplinamento degli ingressi, fondato sull’espulsione di coloro che la legge considera clandestini o rifugiati per motivi economici. «C’è stato un tempo – osserva ancora Elledge nel suo libro – in cui quelle linee non esistevano; ne verrà uno in cui non esisteranno più». Decisamente ottimista. In realtà i confini si stanno moltiplicando ovunque, e sono sempre più alti, sorvegliati da occhi elettronici, resi impenetrabili da lunghissime spirali di filo spinato. Qualche studioso, preso atto della proliferazione in atto, sta cercando di censirli: ma è un’impresa le cui coordinate mutano ogni giorno. E questo perché ogni confine è la risultante di vari fattori: quelli strutturali, generati dalla morfologia dei territori e dall’evoluzione stori-

ca, e quelli sovrastrutturali, derivanti da contingenze politiche, ideologiche e simboliche. Si pensi alla volontà, sempre più insistente, di erigere barriere daziarie per proteggere i mercati dall’afflusso di prodotti cinesi, tra cui le temute vetture elettriche. Anche la propagazione di virus potenzialmente letali come il Covid-19 ha contribuito a fomentare sospetti e di conseguenza ad allungare le distanze tra i membri della comunità: un esperimento sociale che si è tradotto nella pratica del confinamento sistematico delle categorie ritenute a rischio, con in prima fila gli anziani e i fragili. Le ricadute sulla politica non si sono fatte attendere, come si è visto nelle ultime tornate elettorali. Il timore di rimanere travolti da una mareggiata di poli-contagi ha gonfiato le vele della destra sovranista, ossia di quei movimenti che individuano nelle politiche di apertura una minaccia esiziale, sia

economico-commerciale (perdita di posti di lavoro, delocalizzazione delle aziende, invasione di manufatti a basso costo dal sud-est asiatico), sia etnico-religiosa (sradicamento del ceppo giudaico-cristiano ad opera dell’islam). Sono formazioni che non sono interessate a stemperare le tensioni e a favorire percorsi d’integrazione, ma unicamente a gettare benzina sul fuoco, ad incamerare consensi prospettando un imminente e definitivo «tramonto dell’Occidente» di spengleriana memoria. Lo scorso giugno l’elettorato europeo è riuscito a contenere la progressione dei sovranisti, considerevole in Paesi come la Francia, la Germania, l’Austria, l’Italia e l’Olanda. Ma fra cinque anni le «porte tagliafuoco» che finora hanno retto l’urto potrebbero cedere, decretando la fine del sogno europeo cullato dai padri fondatori: Spinelli, De Gasperi, Adenauer, Schuman, Monnet.

di Angelo Rossi
di Aldo Cazzullo
di Orazio Martinetti

GUSTO Torte

Evviva le crostate!

Torta di formaggio alle pere e noci

Per 4 persone, per 1 tortiera di circa 28 cm di diametro

350 g Pasta per crostate Farina per spianare la pasta 50 g di noci

1 pera

3 dl di latte

3 uova

350 g di Gruyère grattugiato

Sale

Pepe Noce moscata grattugiata

1. Stendere la pasta su un po’ di farina formando un tondo di circa 4 mm di spessore. Foderare la tortiera e premere bene i bordi. Bucherellare il fondo della pasta con una forchetta.

2. Preriscaldare il forno a 180 °C, calore superiore e inferiore. Tritare grossolanamente le noci. Tagliare la pera non sbucciata con il torsolo a fette spesse circa 3 mm. Sbattere il latte con le uova. Unire il formaggio e condire con sale, pepe e noce moscata. Versare il composto di formaggio sul fondo di pasta. Distribuirvi sopra le fette di pera e le noci. Cuocere la torta al centro del forno per circa 40 minuti.

Ricetta
Testo: Claudia Schmidt; Ricetta
immagini: Migusto (4), Adobe Stock

Crostata di prugne

Una squisita torta di prugne che evoca l’infanzia: le prugne dolci e succose, la crema di panna, uova, zucchero e latte: una bontà. Non ce n’è mai abbastanza.

Alla ricetta

A ciascuno la sua preferita

I fondi di pasta possono essere guarniti con innumerevoli ingredienti, a seconda della propria tradizione. A volte il termine «crostata» è riferito a un fondo di pasta frolla, ma spesso è una denominazione usata correntemente anche per le torte alla frutta. In Svizzera vengono usati svariati nomi a seconda della regione, soprattutto nella Svizzera tedesca dove il termine «crostata» viene declinato in vari modi. Anche nei Grigioni la torta o la crostata portano nomi diversi in romancio come «turte» o «tuorta». In Francia c’è la «tarte», che di solito è dolce, e anche la «quiche», che prevede sempre un composto a base di uova. In Italia si usano comunemente entrambi i termini «crostata» e «torta».

Schlorzifladen del Toggenburgo

Dalla Svizzera orientale, la Schlorzifladen del Toggenburgo con ripieno di pan di pere e panna si gusta tiepida con la panna montata.

Alla ricetta

Torta di pasta lievitata con mele e more

La pasta lievitata farcita generosamente di mele grattugiate, more, panna, zucchero e mandorle dà vita a un dolce da gustare con un ciuffo di panna montata.

Alla ricetta

Torta di mele

Per 6 persone

4 mele, ad es. Golden Delicious, Gravensteiner

1 cucchiaio di burro

2 cucchiai di zucchero

2 cucchiai di miele liquido

Pasta

230 g di farina

120 g di zucchero

80 g di burro

3 cucchiai di quark

1 tuorlo

Farina

1. Per l’impasto versare la farina e lo zucchero in una ciotola. Unire il burro a fiocchetti. Sfregare il burro e la farina tra le mani fino a ottenere una consistenza friabile. Formare una cavità al centro e versarvi il quark e il tuorlo. Impastare rapidamente fino a ottenere una pasta. Lasciarla riposare al fresco per una trentina di minuti. Preriscaldare il forno a 190 °C, calore superiore e inferiore.

2. Per guarnire la torta sbucciare e dimezzare le mele e privarle del torsolo. Tagliare la mela in 8 spicchi. Stendere la pasta su un po’ di farina fino a raggiungere le dimensioni della tortiera. Accomodare

prima di fine cottura.

Alla ricetta

Ricetta
Più ricette per torte e crostate su migusto.ch

vive la sostenibilità

I prodotti igienici Kleenex offrono comfort e qualità – senza compromessi! Al contempo, però, cerchiamo il più possibile di garantire una fase di progettazione e produzione del prodotto sostenibile e rispettosa dell’ambiente.

Gli obiettivi raggiunti finora:

• 849 tonnellate di plastica risparmiate entro il 2023 = 132 milioni di bottiglie di plastica

• 35 % di riduzione di emissioni di CO2

• 28 % di consumo d’acqua in meno rispetto al 2015 = 263 piscine olimpioniche

• tutte le confezioni di fazzoletti tascabili contengono il 30 % di plastica riciclata

• tutte le scatole di fazzoletti sono realizzate in cartone riciclato e sono riciclabili al 100 %

I nostri obiettivi per il futuro:

• coprire il 90 % del consumo di elettricità dei nostri stabilimenti con energia solare ed eolica

• utilizzare il 100 % di fibre di eucalipto entro il 2040 (l’eucalipto cresce 8 volte più velocemente)

meno acqua in fase di produzione zero rifiuti

riduzione delle emissioni

meno plastica

fibre al 100 % sostenibili

lotta contro il riscaldamento globale

100 % reciclabile sviluppo sostenibile quotidiano

CULTURA

Passioni e altre catastrofi

Alessandra Cenni narra la vita romanzata di Cordula Poletti, donna anticonformista vissuta a cavallo tra Ottocento e Novecento

Pagina 31

Se in politica conta la musica

Kamala Harris cavalca la campagna elettorale sulle note di Beyoncé ma è forte dell’appoggio di altri numerosi artisti (al contrario di Trump)

Pagina 33

La magia della Via Lattea

Roberta Bruno racconta la 20esima edizione dedicata al compositore Giacomo Puccini che dal 1888 al 1892 soggiornò a Vacallo

Pagina 35

New York City, la babele delle lingue

Feuilleton ◆ Come si compone il paesaggio linguistico della capitale del mondo, tra codici dominanti e lingue emergenti

Mettiamo che vi troviate a girare in lungo e in largo per New York City in compagnia della vostra figlia più giovane – diciamo sui diciott’anni – e che quest’ultima sia di recente competente un po’ aristocratica della lingua locale. Dei cui particolari lessicali e formali si è dotata abbondantemente in quattro e quattr’otto, dando seguito a entusiasmi musicali e social e lasciando in un’indefinita salamoia codici più prossimi, tra cui un paio di lingue nazionali. Confinati come siete a portfolio linguistici più tradizionali, le proporrete un gioco: in occasione di incombenze turistiche banali come l’acquisto di una bibita o la richiesta di indicazioni stradali, la ragazza darà fiero fiato a sue dimestichezze della lingua del territorio mentre il genitore, forte di un approfondimento di tipo sociolinguistico, concretizzerà qualche sua antica conoscenza dello spagnolo.

Superate iniziali resistenze dovute al fatto che sulle prime la piccola anglofona decide di ridacchiare del carattere superfluo e inutile dell’esercizio, la gara pare subito molto serrata, soprattutto in certi quartieri: le due lingue si rivelano altrettanto comprensibili dagli interlocutori e lo spagnolo sembra giocarsela alla grande senza particolari crisi. L’inusuale gara ha il conforto dei dati. Secondo lo United States Census Bureau, nel 2022 nell’intera città, che conta quasi otto milioni di abitanti, una persona su due maggiore di cinque anni parlava in casa una lingua diversa dall’inglese, in un caso su quattro lo spagnolo.

Questo giocare con lingue planetarie, almeno nei numeri e nell’estensione dei propri domini geografici come spagnolo o cinese, merita l’attenzione del turista

Qualche anno prima, nel 2018, i dati per quartiere dicono che se da un lato la situazione dell’inglese è maggioritaria in alcuni distretti (parlava inglese a casa il 60% della popolazione di Manhattan, il 66% di quella di Staten Island e il 56% di quella di Brooklyn), nei quartieri del Bronx e del Queens la lingua dell’impero stava sotto il 50%; nel Bronx in particolare, che conta 1,3 milioni di abitanti, quasi il 60% della popolazione parlava a casa una lingua diversa dall’inglese e un 81% di questi, praticamente la metà della popolazione, parlava spagnolo. In concreto, se andate in qualsiasi posto del distretto, sia esso un bar, un chiosco, un negozio di vestiti o altro e parlate spagnolo, avete almeno una probabilità su due di essere capiti. Il dato sullo spagnolo al Bronx è

solo un segnale di quanto New York, cioè la residenza prima dell’imperialismo linguistico mondiale, non vada esente da ampie concessioni a lingue diverse dalla propria, in qualche caso lingue non certo di seconda fila. Ciò è prova di un coraggioso dinamismo linguistico, in quella che il presidente emerito dell’Accademia della Crusca Claudio Marazzini, parlando del linguista svizzero-americano Hermann Haller, non ha esitato a definire «la capitale del mondo». I dati statistici più aggiornati parlano chiaro: l’inglese da una parte e il gruppo delle altre lingue dall’altra si spartiscono a metà il repertorio della comunicazione in famiglia e dopo lo spagnolo (50% della categoria «altre lingue»), vengono il cinese (13%), il russo (5%), il bengalese (3%), yiddish, francese, haitiano, yoruba nigeriano, arabo e finalmente italiano, attestato attorno all’1,5% e con una punta del 5,5% a Staten Island. Tanta quantità statistica, dunque, ma anche qualità e costume linguistico.

L’appena citato Hermann Haller, che qui vive e lavora da molti decenni ormai, osserva che l’attuale realtà cittadina è molto attenta al verde pubblico dopo l’attiva reggenza del sindaco Bloomberg (2002-2013); i parchi, anche quelli piccoli, sono stati in genere rivitalizzati talora con formule di collaborazione con i residenti nelle vicinanze. È molto frequente che queste strutture siano dotate di cartelli che ne spiegano la storia e le modalità di accesso, ribadendo qualche semplice

regola. E riesce comunque a confortare che questi cartelli tengano conto del paesaggio linguistico circostante, con testi bilingui o trilingui; come nel caso del quartiere di Williamsburg Brooklyn, dove si usa scrivere in inglese, in cinese e in yiddish o ancora nel Bronx, con lo spagnolo ad accompagnare puntualmente l’inglese. La situazione appare improntata a un discreto dinamismo, anche se certo andrebbero presi in considerazione altri dati: le fasce d’età, la conoscenza dell’inglese nelle diverse comunità che parlano un’altra lingua e le abitudini linguistiche nella sfera pubblica, per strada e al lavoro. Per esempio, la comunità di chi parla spagnolo a casa rappresenta circa un quinto dei parlanti totali della città e circa la metà di essa dichiara di parlare inglese molto

bene, una quota che tende a crescere con il crescere dell’età; un po’ diverso è il caso della categoria «Asian and Pacific Island languages», cui appartiene anche il cinese, dove solo quattro cittadini su dieci parlano inglese molto bene e parla inglese «non molto bene» attorno alla metà della popolazione in età da lavoro tra i 18 e i 64 anni. Una delle lingue spesso coinvolte in pratiche culturali curiose è l’italiano. Le percentuali sono, come visto, estremamente basse, ma è soprattutto la tendenza a essere catastrofica: a New York City, dall’inizio del millennio l’italiano è la lingua che in percentuale ha perso più parlanti a casa, di fatto quasi la metà: erano circa un milione nel 2000, sono poco più di mezzo milione vent’anni dopo (dati del «Center for Immigration

Studies»). In questo contesto, il colore della nostra lingua pare comunque continuare a essere presente, seppure in un suo vestito più culturale che comunicativo.

Ancora Haller nota che non sembra calare, anzi, la storica presenza massiccia di ristorazione italiana in città: nomi di pizzerie e di piatti nei menu continuano a essere in italiano, un italiano autentico o uno pseudo-italiano del tipo stracchatella, panchetta, lambadina di vitello, scallapini. Lui li ha raccolti tutti, sistematicamente, in lavori solidi e divertenti. Sono piatti che assomigliano agli omologhi italiani, ma hanno una denominazione italiana dal valore più che altro simbolico: non manca praticamente mai una glossa in inglese con la descrizione del piatto e dei cibi. Una coloritura, un profumo di italiano, in un contesto che rimane linguisticamente inglese, a configurare quella che Haller chiama, con indovinata etichetta, l’«italianità senza lingua».

Insomma, la «capitale del mondo» è al centro di dinamiche linguistiche e culturali decisamente liquide: si è tentati di pensare che risulti agevole, e anche un po’ snob, concedere questi numeri e questi spazi ad altre lingue. «Facile, quando sei la lingua del globo a casa tua!». Questo giocare con lingue altrettanto planetarie, almeno nei numeri e nell’estensione dei propri domini geografici come spagnolo o cinese, merita però almeno l’attenzione del turista. Incuriosito dai fenomeni comunicativi, e venendo da una comunità storica ma minoritaria come quella degli italofoni, egli può permettersi di stare un po’ alla finestra, insistendo con lo spagnolo dove si compera la pizza per strada o al momento della richiesta della password WiFi nei bar, suprema cerimonia di qualsiasi sosta con adolescente in un luogo pubblico al coperto. Eppure, ci illudiamo per un attimo che il negozio del Bronx dove la ragazza è intenta a rimirarsi dentro pantaloni strani («Vuoi mettere, i jeans comprati nel Bronx!», sostiene Gaia), abbia un’insegna con il nome del luogo, Ban Bini, che ci sembra una raffinata allusione al Belpaese e alla sua lingua, perdente sui numeri, ma forse ancora a galla su simbologie e giochi di parole. Un negozio di vestiti per giovani intestato ai bambini in quel modo così bislacco chiede però un percorso di riferimenti semantici e culturali decisamente tortuoso, oltre che tanta e tanta fiducia nel potere culturale della nostra lingua; e l’interpretazione crolla subito di fronte al riferimento a un saluto di benvenuto nel papiamento di Aruba, l’Isola Felice. Tant’è: affrettiamoci alla cassa con i jeans e vediamo che lingua la spunta nel chiedere il conto.

Stefano Vassere

Che cosa fa esattamente il ginocchio?

Quando camminiamo, balliamo o prendiamo qualcosa da terra, il ginoc chio è il perno e il punto di rotazio ne. Si tratta di un cosiddetto giunto a cerniera. È possibile piegarlo e al lungarlo, ma anche muoverlo lateral mente e ruotarlo. Il ginocchio collega le due ossa più lunghe del corpo: il femore e la tibia. Dopo la spalla, il gi nocchio è l’articolazione più comples sa e instabile del nostro corpo ed è spesso colpito da lesioni.

Come posso proteggere il mio ginocchio?

Dei muscoli forti proteggono l’arti colazione e prevengono lesioni come strappi ai legamenti e piccoli ema tomi, che possono in seguito portare a danni alla cartilagine e all’artrosi. L’allenamento muscolare favorisce anche la densità ossea. Le persone non allenate dovrebbero rafforzare i muscoli delle gambe soprattutto pri ma di un esercizio fisico intenso, ad esempio prima di lunghe escursioni con discese ripide. Esistono eserci zi semplici, come salire le scale. Non bisogna spingere con il piede poste riore, come si fa nella vita quotidia na, ma usare solo la forza della gam ba anteriore per sollevarsi al gradino successivo.

Dopo la spalla, il ginocchio

VIVERE

è l’articolazione più complessa e instabile ed è spesso colpito da lesioni.

Ci sono cose da non fare nella vita quotidiana?

Fanno male le posizioni in cui le ginocchia sono fortemente compresse, come una posizione estrema a gambe incrociate. Questa esercita una pressione sullo spazio articolare interno e quindi sul menisco. Anche inginocchiarsi e accovacciarsi a lungo non va bene. In questo modo la rotula viene premuta contro la coscia, esercitando una forte pressione sull’osso e sollecitando la cartilagine.

Il valgismo e il varismo fanno male al ginocchio?

Sì, chi è affetto da valgismo o varismo ha maggiore probabilità di soffrire di artrosi. La pressione unilaterale logora la cartilagine. Il ginocchio gradisce una distribuzione uniforme del carico. Uno squilibrio grave dovrebbe eventualmente essere corretto con un intervento chirurgico.

Il ginocchio: perno e punto di rotazione

Ballare, correre, saltare: il ginocchio ha un ruolo centrale in tutto. Come prendersene cura.

Cosa fa l’attività fisica al ginocchio?

L’attività fisica regolare e moderata rafforza la cartilagine del ginocchio, che si nutre del liquido sinoviale. Il movimento favorisce questo processo. Anche le persone che già soffrono di artrosi possono ridurre il dolore. Si consigliano il nordic walking, le escursioni su terreni non troppo ripidi, il ciclismo e il nuoto. La corsa, invece, sollecita molto il ginocchio, poiché sulle superfici articolari grava un carico equivalente al peso corporeo moltiplicato. Chi ha già problemi alle ginocchia dovrebbe astenersi da questa disciplina.

3 consigli contro il dolore al ginocchio

1 Raffreddare

Se il ginocchio è caldo e gonfio, il raffreddamento di solito aiuta: avvolgi un panno freddo e umido intorno al ginocchio e cambialo non appena si riscalda. Consulta un medico se il problema non migliora o si ripete.

2 Esercizi

Il dolore in seguito a sollecitazioni spesso proviene dai muscoli. In tal caso, vale la pena fare esercizi con un rullo per fasce o applicare un automassaggio del ginocchio.

3 Movimento

Muoversi senza mettere il peso sul ginocchio spesso aiuta: mettiti in posizione seduta, posa un panno o un foglio di carta sul pavimento e spingilo avanti e indietro con il piede.

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L’attività fisica regolare
e moderata rafforza
la cartilagine del ginocchio e previene l’artrosi.
Il ginocchio collega le due ossa più lunghe del corpo: il femore e
Foto: Getty Images: Illustrazione: Adobe Stock

Hotel Bella Speranza e altre storie spirituali

Festival ◆ Intervista al Premio svizzero di letteratura Michael Fehr che sabato 14 settembre sarà ospite a Babel

«Un uomo semplice, che voleva solo andar per la sua strada, passando davanti all’ingresso di un hotel si sente rivolgere la parola da un valletto che, con disinvoltura un po’ ostentata, se ne sta lì, all’ingresso, su un tappeto dai disegni confusi. Il valletto gli assicura che qualcuno ha prenotato a suo nome una stanza speciale e ha già saldato il conto. (…) L’uomo semplice domanda: “Dice a me?”. Il valletto risponde: “Certo, quant’è vero che son qui su questo tappeto. Possiamo volare fin là. Salga a bordo”». Sarà per le atmosfere irreali che suscita, la storia che apre la raccolta e le dà anche il titolo mi ha fatto subito pensare all’architettura fantastica e ai colori pastello del Grand Budapest Hotel di Wes Anderson. In questo caso però si tratta dell’Hotel e della fervida, bizzarra immaginazione del bernese Michael Fehr, classe 1982, un narratore, come lui ama definirsi, che si diletta tanto nella prosa quanto nella poesia, canta persino ed è un abile performer. Similiberg (2015), la sua seconda pubblicazione, gli è valsa il Premio Klag (nell’ambito del Premio Ingeborg Bachmann 2014), mentre con Glanz und Schatten (2017) ha ricevuto il Premio svizzero di letteratura. Ora per le Edizioni Casagrande esce invece il suo più recente lavoro (è la sua prima traduzione in italiano) Hotel der Zuversicht (2022) che nell’edizione nostrana è diventato Hotel Bella Speranza Quel che è certo, al di là dei premi e dei riconoscimenti, è che Michael Fehr grazie alla musicalità della sua prosa, la stravaganza della sua immaginazione e l’originalità dei contenuti, da tempo si è fatto notare nel mondo letterario svizzero.

Se siete curiosi, oltre a leggere il libro, potrete ascoltare Michael Fehr dal vivo sabato prossimo a Babel, il Festival bellinzonese di letteratura e traduzione quest’anno dedicato alla Francia che si svolge dal 13 al 15 set-

tembre (per il programma completo: www.babelfestival.ch).

Fehr sarà impegnato in una performance musicale nell’ambito dell’incontro che vedrà ospiti Fabio Pusterla, Claudia Quadri, Alberto Saibene e Maurizia Balmelli e intende festeggiare gli anniversari delle Edizioni Casagrande (di cui abbiamo parlato nello scorso numero) e quello di Collana ch, progetto che promuove la traduzione di opere svizzere contemporanee in un’altra lingua nazionale, giunto quest’anno al suo primo mezzo secolo.

Della sua originalità nel panorama letterario svizzero contemporaneo Michael Fehr non solo è consapevole ma anche orgoglioso. Non a tutti in effetti verrebbe in mente di scrivere di un meteorologo di nome Lavanda Wellington che fa le previsioni del tempo con dei vasetti di marmellata fra i ghiacci e le nevi pe-

renni. O di una coppia di coiniugi ai quali la direttrice di un Grand Hotel vieta il soggiorno perché viaggiano su una Ferrari rossa e non su una Rolls-Royce blu notte che ben si intona con gli interni azzurri dell’albergo. Per capire l’essenza della scrittura di Michael Fehr bisogna partire da un dato biografico, come ci dice lui stesso. «Bisogna partire dal presupposto che le mie storie sono le storie di un cieco, di una persona gravemente ipovedente dalla nascita, per cui funzionano in modo diverso. Il mio mondo, il mondo che racconto è un universo interiore. Le mie storie, le mie immagini vengono da dentro, non sono il frutto di un’osservazione biografica e psicologica di quanto accade fuori».

C’è chi definisce «assurdi» i suoi mondi letterari e «stravaganti» e «dubbiose» le figure che animano le sue storie, ma Fehr è sicuro del suo sentire, del suo estro letterario. «Mol-

ti scrittori si limitano a scrivere ciò che vedono o si concentrano sulla loro vita. Le mie invece sono storie interiori, storie spirituali che nascono da immagini oniriche e portano con loro elementi surreali rendendole spesso enigmatiche. È anche vero che il lettore, nel leggerle, può avere la sensazione di essere abbondonato a se stesso perché i miei racconti, proprio come accade nei sogni, non forniscono soluzioni o finali rassicuranti. Questo può innervosire quei lettori che sono ancorati a un modo convenzionale di leggere e trovano criptica la mia scrittura. Io invece sono convinto che nel nutrirli, lasciandoli al contempo liberi di pensare, coltivo dei lettori felici». Le storie di Fehr non sono tutte a lieto fine, talvolta possono essere un po’ crude, ruvide e violente. «Ciò che a me interessa è andare al cuore della vita, della sua essenza. Anche nei testi

Cordula Poletti, femminista Don Giovanni

Biografia ◆ Vita romanzata di una donna anticonformista vissuta a cavallo tra Ottocento e Novecento

Passioni e altre catastrofi. Vita romanzata di Cordula Poletti è un testo che si inscrive in un filone interessante di questo periodo, quello delle biografie di donne che avrebbero meritato la fama già in vita e che sono state invece ignorate. Non tutte le biografie però sono uguali.

Alessandra Cenni ha deciso di ovviare alla difficoltà di reperire delle informazioni documentate su alcuni momenti della vita di Cordula Poletti ricorrendo all’invenzione. Nella prefazione avverte lettrici e lettori che nel testo ci sono parti che ha scritto come biografa pura, in terza persona, e altre che sono frutto della sua immaginazione. Il suo desiderio di mettersi nei panni di Cordula Poletti è, del resto, comprensibile: nata a Ravenna nel 1887 e morta nel 1971, animata da un’ambizione artistica che non ha mai dato frutti di alto valore letterario, Cordula detta Lina ha vissuto una vita piena di avventure in quel periodo storico fra la fine dell’800 e la prima metà del ’900 in cui i protagonisti della scena erano artisti che tutt’oggi veneriamo, da Picasso a Gertru-

de Stein, Rainer Maria Rilke, protagonisti anche di questa biografia. Ciò che la rende particolarmente famosa, però, è il fatto di essere stata la prima donna che in Italia ha fatto coming out, ha vissuto quindi la sua vita da omosessuale apertamente. Usava indossare abiti maschili e non nascondere la sua passione per le altre donne, seppure anche lei avesse dovuto venire a patti con le leggi del tempo, sposando un suo amico, il bibliotecario Santi Muratori, perché solo con un matrimonio regolare avrebbe potuto ereditare i beni del padre.

Le pagine dedicate alla relazione con Eleonora Duse sono sicuramente tra le più interessanti

Di recente, anche il testo della studiosa statunitense Selby Wynn Schwartz Le figlie di Saffo (Garzanti, 2024) tra le sue protagoniste annovera proprio Cordula Poletti. Del resto, la sua vita ha del meraviglioso. Da giovane aspirante scrittrice, Poletti incontrò Sibilla Aleramo, autrice del testo

famosissimo Una donna (1906) in un convegno a Roma e riuscì a sedurla. Poletti fu l’unico amore lesbico che Aleramo ebbe in tutta la sua vita. Il carteggio fra le due testimonia di un sentimento potentissimo e di una grande delusione. Cordula Poletti lasciò infatti Sibilla Aleramo disperata e si dedicò subito al corteggiamento di Eleonora Duse, l’attrice di teatro che aveva ispirato molte opere dello scrittore Gabriele D’Annunzio di cui era stata a lungo amante e che poi era stata lasciata dal Vate per donne decisamente più giovani. Le pagine dedicate alla relazione con Eleonora Duse sono sicuramente tra le più interessanti. È qui che Alessandra Cenni riesce a raccontare con una maggiore efficacia la complessità del carattere della sua musa ispiratrice. Le due erano amanti, ma Cordula era anche la dama di compagnia della Duse poi la mantenuta e avrebbe dovuto diventare soprattutto l’autrice del dramma che avrebbe riportato la Duse a risplendere sui palcoscenici di tutta Europa. Infatti quando l’attrice, dopo un anno di sodalizio, costringe

di Ovidio, che amo, c’è violenza ma ciò non toglie che i suoi testi sono un inno alla vita. A mio avviso la letteratura non può essere mera descrizione, riproduzione della realtà. La letteratura è trasformazione o, per dirla con Ovidio, la letteratura è metamorfosi». Non a caso l’edizione 2024 di Babel, dedicata alla Francia, va in cerca delle metamorfosi contemporanee, non solo letterarie, ma anche politiche e sociali.

Per leggere Michael Fehr bisogna dunque essere pronti a lasciare la riva e a varcare la soglia dell’irrazionale senza avere timore di confrontarsi con sensazioni forti e spiacevoli. Questo ci porta anche al titolo e al significato dell’opera. «In tedesco la parola Zuversicht ha una connotazione e una vibrazione chiara, dice l’autore. E se nella versione inglese si è trovato il corrispettivo Hotel of Confidence, in Italiano non c’è un equivalente traduzione letterale». Da qui la scelta Hotel Bella Speranza. «Una soluzione che mi piace perché non tradisce il senso originale, quello di dire che di fronte al destino non possiamo nulla se non serbare, in ultimo, una speranza». Possiamo essere efficienti e virtuosi quanto ci pare ma questo non vuol dire che tutto andrà bene. Resta che la parola tedesca Zuversicht è quella che in sé contiene tutto, anche una dimensione religiosa del credere, dell’essere fiduciosi. «La fiducia che intendo io, approfondisce Fehr, è quella che deriva dalla consapevolezza di far parte di qualcosa di più grande, per cui ognuno di noi è solo una piccola parte di un universo. La fiducia di cui parlo fa appello a un’entità che è più grande di me».

Dove e quando Sabato 14 settembre alle 21.00 nella Tenda Babel a Bellinzona. Per il programma del Festival del 13 al 15 settembre: www.babelfestival.com

Cordula a fare una lettura pubblica del suo testo L’Arianna, che genera noia e fastidio nel pubblico degli artisti e intellettuali di Venezia invitati a sentirla, decide di mandarla via e di chiudere ogni tipo di relazione con lei. Trovatasi a vagabondare per l’Italia, nonostante potesse tornare a casa di suo marito, sempre solidale, Cordula Poletti sfrutta ancora una volta la sua grande abilità seduttiva: non a caso, in questo testo viene definita una Don Giovanni. Riallaccia i rapporti con una sua amica d’infanzia, la con-

tessa Eugenia Rasponi, e fra le due si instaura una relazione d’amore e di amicizia che nel corso di quarant’anni di vita condivisa non esiteranno fra loro a definire matrimonio.

Il rapporto con Eugenia non inibisce la curiosità anche amorosa di Cordula che si recherà soprattutto a Parigi e in Grecia per viaggi e avventure che Alessandra Cenni racconta affascinata dalla figura di questa donna, che ha indubbiamente precorso i tempi. In effetti se questo testo ha un merito è proprio quello di farci riflettere sul concetto stesso di modernità che sembra a volte più adeguato ai costumi di un secolo fa che ai tempi attuali: «Tu hai incarnato a tuo modo quell’idea antichissima dell’androgino, un androgino femminilizzato e le hai amate mutando sesso per loro con la fluidità». (Nell’immagine il quadro di Gustav Klimt Le amiche, 1916-17).

Bibliografie

Alessandra Cenni, Passioni e altre catastrofi. Vita romanzata di Cordula Poletti Castelvecchi, Roma, 2024.

Laura Marzi
(Franco Tettamanti)

IL MIO TRATTAMENTO EXPRESS PER CAPELLI FORTI

Le colonne sonore della politica americana

Musica ◆ La candidata democratica Kamala Harris cavalca la campagna elettorale sulle note di Beyoncé

La campagna elettorale della candidata democratica alle elezioni presidenziali USA Kamala Harris è iniziata sulle note della canzone Freedom interpretata da Beyoncé con la partecipazione del rapper Kendrick Lamar. «I vincitori credono sempre in sé stessi», questo il messaggio del brano, pubblicato nel 2016 nell’album Lemonade e che già aveva visto un suo uso politico durante le proteste sociali del 2020 scatenate dall’uccisione di George Floyd. Nei due giorni successivi al lancio della corsa elettorale della Harris, le riproduzioni di Freedom sulle piattaforme di streaming sono salite del 1300%. Il successo di un brano può essere tradotto in voti.

La politica scopre la musica

Quello tra politica statunitense e musica è un connubio consolidato e ha una lunga storia. Se George Washington venne accompagnato nella sua elezione a primo presidente USA da God Save Great Washington, una rilettura di God Save the King, per trovare il primo esempio di una canzone che scandì una campagna elettorale bisogna arrivare al 1824 con The Hunters of Kentucky, ballata che celebrava Andrew Jackson e i suoi trionfi militari contro gli inglesi. Ma la prima vera campagna moderna, combattuta a colpi di note, pubblicità aggressive, stampa schierata e quelle che oggi definiremmo fake news avvenne nel 1840. Gli Stati Uniti erano ai tempi una federazione di 26 stati, c’era ancora la schiavitù e la guerra contro le popolazioni indiane era endemica. Il presidente democratico uscente Martin Van Buren fu sfidato dall’esponente del partito Whig William Henry Harrison. L’aspirante presidente Harrison accusato a 67 anni di essere troppo vecchio e buono solo per la pensione, offriva ai suoi comizi alcolici e gadget e la sua popolarità venne consolidata dal lancio della canzone Tippecanoe and Tyler Too. Il brano, oggi diventato una pietra miliare del folk americano, richiamava nel titolo la vittoria della battaglia di Tippecanoe del 1811, che Harrison, ai tempi generale, aveva vinto contro il fiero capo indiano Tecumseh. Harrison sconfisse anche Van Buren, ma la sua presidenza durò solamente 32 giorni. Nel 1860 la campagna di Abraham

Lincoln fu accompagnata da un intero canzoniere, The Republican campaign songster, che celebrava il candidato repubblicano come una figura quasi messianica a favore della libertà e contro lo schiavismo. La musica iniziò a scandire ogni appuntamento elettorale, a volte senza esclusione di colpi. Così accadde nel 1884 e nel 1888 quando rispettivamente James Blaine e Benjamin Harrison nella loro corsa alla Casa Bianca dileggiavano in entrambi i casi il rivale Grover Cleveland con i brani Ma! Ma! Where’s My Pa? e When Grover Goes Marching Home che alludevano a un figlio illegittimo del loro antagonista. All’inizio del XX secolo le canzoni politiche vennero contaminate dagli stili Ragtime e dalle varie tendenze imposte dall’industria musicale della Tin Pan Alley newyorkese. Ma fu l’avvento della radio a trasformare la natura dei brani musicali di propaganda. Le campagne iniziarono a utilizzare le star del vaudeville che alternavano canzoni politiche a motivi popolari dell’epoca e i candidati divennero prodotti commerciali da vendere agli elettori.

L’effetto della TV

La svolta definitiva si ebbe con la televisione, le canzoni elettorali si trasformarono in jingle pubblicitari veri e propri. Nel 1952 la campagna per il generale Dwight «Ike» Eisenhower fu scandita dallo slogan I Like Ike che era l’ossessivo ritornello della canzoncina di uno dei primi spot televisivi po-

litici della nuova era della comunicazione di massa. Nel 1960 la principale star musicale dell’epoca, Frank Sinatra, si schierò con John Fitzgerald “Jack” Kennedy. Gli dedicò High Hopes, un suo brano in cui il testo era stato cambiato per l’occasione: «Tutti votano Jack. Perché ha quello che agli altri manca».

La forza del rock e del pop

Un’ulteriore rivoluzione arrivò grazie alla stagione del rock e della pop music. A partire dagli anni 70, scomparvero progressivamente i brani scritti appositamente a favore dei candidati e le campagne iniziarono a utilizzare canzoni a tema che erano successi discografici in sintonia con i messaggi e gli scopi della campagna. L’abbassamento dell’età del voto dai 21 ai 18 anni contribuiva inoltre a svecchiare gli slogan e a cercare un maggior coinvolgimento del pubblico giovane. Questo sviluppo dell’uso della musica popolare fu altresì dovuto all’influenza della cultura degli anni Sessanta e all’impiego della musica per protestare contro la guerra del Vietnam e per sostenere il Movimento per i diritti civili.

Tuttavia le elezioni del ’68 e del ’72 videro trionfare un candidato non certo amato dai ragazzi, quel Richard Nixon che accolse goffamente nel 1970 alla Casa Bianca un Elvis Presley tornato da poco a calcare i palchi dopo anni di assenza dalle scene. Nel 1972 il candidato democratico Geor-

ge McGovern era stato invano sostenuto da un parterre eccezionale composto da Simon & Garfunkel, James Taylor, Quincy Jones e Carole King. Nel 1976 il democratico della Georgia Jimmy Carter capì che una campagna da outsider poteva essere vinta grazie al rock. Strinse una collaborazione con il discografico Phil Walden, ai tempi manager del gruppo southern rock Allman Brothers Band. I concerti della formazione divennero occasione per il lancio del suo programma a partire dalle primarie e per raccogliere fondi. Dirà poi il futuro Presidente: «Fu la Allman Brothers Band a portarmi alla Casa Bianca». Walden gli garantì l’appoggio di artisti quali Jimmy Buffett e Bob Dylan con cui Carter strinse una duratura amicizia. I quattro anni di presidenza Carter non furono fortunati e nel 1980 Ronald Reagan incarnò la rivincita dei conservatori. Frank Sinatra dimenticò i suoi trascorsi democratici e lo appoggiò, raccogliendo per la sua campagna 4 milioni di dollari. Per la sua vittoriosa competizione elettorale del 1992 Bill Clinton, un altro outsider come Carter, fu accompagnato da Don’t stop dei Fleetwood Mac. Al ballo inaugurale della Casa Bianca nel gennaio del ’93, la band che all’epoca si era sciolta, si riunì appositamente per cantare il brano. Nel 2000 George W. Bush scelse come suo inno I Won’t Back Down di Tom Petty, ma l’artista non gradì affatto e si rivolse agli avvocati. Petty era amico del rivale, l’ex vicepresidente Al Gore, e suonò per lui il giorno in cui il candidato democratico

L’omaggio alla bellezza di Sorrentino

Cinema ◆ Esce in questi giorni nelle nostre sale cinematografiche l’ultimo lavoro del regista napoletano

Nicola Mazzi

Non sono molti i registi che possiedono e trasmettono uno sguardo preciso e riconoscibile sul mondo. Paolo Sorrentino è tra questi. Il suo cinema può piacere o meno, lo si può trovare più o meno formale, ma l’immaginario che riesce a creare – scavando soprattutto nel proprio passato – è unico e solo suo. Anche l’ultimo film, che arriva in questi giorni nelle sale della Svizzera italiana, è un ulteriore tassello che si inserisce nel suo percorso creativo. L’opera è anzitutto un omaggio alla bellezza, della giovane protagonista (Parthenope) e di Napoli (del resto è anche l’antico nome della città). Siamo all’ombra del Vesuvio negli anni 50 e la ragazza (l’incantevole debuttante Celeste Della Porta, ritratta in foto), nata in una famiglia dell’alta

borghesia, è già molto conosciuta per le sue fattezze e per la carica erotica che emana. Ma, lei, da sempre attirata dalla cultura e dall’antropologia, ci bada poco e si concentra sugli studi. Il film segue la sua crescita; se all’inizio è una ragazza ingenua e innocente, nel prosieguo il suo l’approccio alle cose della vita diventa più disincantato e critico. «Nel medesimo tempo, tuttavia, è sempre più consapevole della propria libertà. Proprio come la città di Napoli si sente molto libera e priva di giudizi», ha precisato lo stesso Sorrentino alla presentazione del film, sulla Croisette.

Se al centro della narrazione c’è la giovane Parthenope, ai suoi lati abbiamo figure più mature e ben riconoscibili che hanno dei ruoli definiti e

limitati, ma comunque molto potenti. Tra questi, Stefania Sandrelli che interpreta Parthenope da adulta e soprattutto Gary Oldman che assume le sembianze dello scrittore John Cheever, uno dei tanti incontri che segneranno la vita e la crescita della ragazza. Figure adulte (insieme al personaggio del professore di antropologia interpretato da Silvio Orlando) che sono diventate mentori, dentro ma soprattutto fuori dal set, per la giovane attrice. Ed è interessante questa ambivalenza tra il piano cinematografico, finzionale, e quello reale. Una sovrapposizione che si osserva anche all’interno di un’opera in costante galleggiamento tra passato e presente, tra realtà e fantasia, tra vita e morte. Non è un film immediato, non è di

ammise la sconfitta attenuando la delusione con una grande festa. Il mondo del rock e del pop si mobilitò compatto in sostegno di Barack Obama. Il suo spot elettorale era scandito da Fake Empire dei The National. Il brano cardine della campagna fu Signed, Sealed, Delivered I’m Yours di Stevie Wonder. I discorsi del candidato divennero una canzone scritta da Will.i.am dei Black Eyed Peas. La sua elezione fu festeggiata con un grande concerto con artisti quali Beyoncé, Bon Jovi, John Legend, Springsteen, James Taylor, U2 e Stevie Wonder. Per la campagna del 2016 la prima candidata presidente donna, Hillary Clinton, scelse un repertorio tutto al femminile con i brani Fight Song di Rachel Platten, Roar di Kate Perry e Brave di Sara Bareilles. Donald Trump al contrario non ebbe alcun appoggio dal mondo musicale, le uniche rockstar che osarono sbilanciarsi in suo favore furono Kid Rock e Meat Loaf. All’evento inaugurale del gennaio 2017 quasi non si trovarono artisti disposti ad associarsi al neoeletto Presidente.

La campagna attuale

Kamala Harris non solo ha già un cavallo di battaglia con la hit di Beyoncé, ma ha anche ricevuto l’appoggio di numerosi artisti appartenenti a tutti i generi musicali quali Bon Iver, Stevie Wonder, Common, Jason Isbell, Ariana Grande, Cardi B, John Legend e Charli XCX. A favore di Trump per ora si sono spesi i musicisti country Billy Ray Cyrus e Jason Aldean e i controversi rapper DaBaby e Kanye West. The Donald è incappato anche in alcuni scivoloni legali e musicali, utilizzando nei suoi raduni, senza il permesso, canzoni di Adele, Abba, Foo Fighters e Celine Dion. Gli artisti hanno subito diffidato l’ex-Presidente. Ma qualcuno ha fatto notare anche l’infelice scelta tematica. La canzone di Celine Dion usata è stata quella della colonna sonora del film Titanic che rievoca una catastrofe; il brano dei Foo Fighters è Hero, non la celebrazione di un eroe come potrebbe sembrare dal titolo, ma una malinconica resa dei conti. Recita il brano: «Ecco il mio eroe, guardalo mentre se ne va». Scaramanzia o cattivo presagio? Lo scopriremo il prossimo 5 novembre.

quelli che uscendo dal cinema esclami «wow». È un lavoro che richiede calma, meditazione e anche di una seconda e magari una terza visione per

capirne le sfumature, che vanno oltre la splendida fotografia di Daria D’Antonio. Un tempo si parlava di «The Lubitsch Touch» in riferimento allo stile di quel meraviglioso regista che è stato Ernst Lubitsch. Oggi, chi vede un film di Paolo Sorrentino capisce subito che è unico grazie ad alcuni tratti formali (inquadrature simmetriche, personaggi solitari, un linguaggio antinaturalistico e musiche che interagiscono col racconto) e come tale va guardato. Parthenope è l’ultimo capitolo di questo viaggio intimo e personalissimo da assaporare come un Aglianico, il vino coltivato ai piedi del Vesuvio, che promette emozioni intense a chi avrà il tempo di aspettare per gustarselo con tranquillità.

Beyoncé sul palco mentre interpreta Freedom. (Wikipedia)

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