Azione 39 del 27 settembre 2021

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Cooperativa Migros Ticino

società e territorio «Non aiutiamoli troppo per farli crescere bene!», è l’esortazione che Paolo Crepet rivolge ai genitori

ambiente e Benessere Una conferenza «rosa» per parlare di prevenzione, presa a carico sempre più personalizzata e relative cure specialistiche interdisciplinari contro i tumori femminili

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXIV 27 settembre 2021

azione 39 Politica e economia L’Europa scopre in ritardo che è cambiato il posizionamento strategico degli Stati uniti

Cultura e spettacoli A Basilea si celebra Camille Pissarro, grande artista e uomo vicino al pensiero anarchico

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di Simona Sala pagina 55

Keystone

Così parlò endo anaconda

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squilibri cinesi di Peter Schiesser È raro che il rischio di fallimento di un colosso cinese scuota le borse mondiali. Con Evergrande, sviluppatore immobiliare di Shenzhen, con 300 miliardi di dollari di debito e grave carenza di liquidità, è successo. Dopo un giorno le borse si sono riprese: uno shock finanziario in Cina non avrebbe ripercussioni sul sistema finanziario mondiale, Evergrande non è la Lehman Brothers, il cui fallimento innescò la crisi dei subprime nel 2008. Il pericolo maggiore all’orizzonte è un freno della crescita economica cinese, e questo avrebbe sì ripercussioni a livello globale, vista l’interdipendenza delle economie, vuoi per le esportazioni (che calerebbero), vuoi per i prezzi delle materie prime (idem). Intanto, il caso Evergrande permette di mettere a fuoco alcuni squilibri economici presenti in Cina. La crescita cinese si basa in buona misura sui proventi delle esportazioni e sul credito facile. In un mercato dei capitali ancora poco aperto si è investito molto nel settore immobiliare, uno dei primi ad essere accessibile, in seguito alla privatizzazione della proprietà negli anni Novanta. Al punto che oggi l’immobiliare rappresenta

un quarto delle attività economiche. Come ha fatto Evergrande a diventare il numero due e ad avere 300 miliardi di dollari di debiti? Come tutti gli altri colossi immobiliaristi cinesi, ha acquistato terreni a destra e a manca con crediti ottenuti dalle banche (tutte statali), parallelamente vendeva gli alloggi prima ancora di costruirli, in un crescendo che da una parte ha fatto esplodere i debiti, dall’altra ha fatto di Evergrande un conglomerato di imprese (vende acque minerali, sta sviluppando auto elettriche, è attivo nel turismo soft) e del suo proprietario Xu Jiayin, alias Hui Ka Yan, il 122.esimo uomo più ricco al mondo, secondo «Forbes». L’iperattivismo immobiliare ha però generato una spinta verso l’alto dei prezzi, soprattutto a Pechino. Al punto che il presidente Xi Jinping è intervenuto. Ha promesso affitti accessibili anche ai cinesi meno abbienti e imposto restrizioni sui crediti al settore immobiliare. Di conseguenza, Evergrande non è più riuscito a raccogliere i capitali per completare gli alloggi già venduti, di 800 progetti immobiliari in corso in 234 città cinesi la metà è ferma. Questo crea malcontento e potrebbe scatenare proteste fra gli acquirenti, i fornitori, i dipendenti di Evergrande spinti ad investire nell’azienda.

Che Evergrande fallirà viene dato per certo, anche se a breve racimolasse qualche centinaio di milioni di dollari per onorare le prime scadenze. Si tratta di capire se si riuscirà a controllare le varie fasi del fallimento ed evitare contraccolpi eccessivi su tutta l’economia. In questo i capital-comunisti cinesi hanno poca esperienza, pur disponendo di diversi strumenti e leve per evitare un collasso. La cultura del debito (senza garanzie) resta però un problema di fondo. Riguarda le imprese private, le imprese di Stato (nel loro caso, spesso sovraproducono a costi eccessivi), ma anche la popolazione. Complessivamente, leggo in un’analisi del Ministero tedesco della sicurezza, che nel 2016 i cinesi erano indebitati per una somma pari al 235 per cento del Pil. E un’importante parte, si legge su altri fonti, è da ascrivere ai giovani, ammaliati dal consumismo. Ogni economia cresce sul credito, quindi sui debiti, ma ad un certo punto si supera un punto di «equilibrio» e il sistema crolla. I dirigenti cinesi si trovano di fronte al compito di frenare questa tendenza senza inimicarsi il popolo. Il patto fra governo e popolazione è sempre stato: comandiamo noi, ma voi avrete il benessere. Se il benessere diminuisse, il potere dei comunisti cinesi verrebbe messo alla prova.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 settembre 2021 • N. 39

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attualità Migros

accompagna la castagna!

Concorsi Migros Ticino sostiene un’iniziativa che intende valorizzare il patrimonio castanicolo del nostro cantone

Come ci racconta Paolo Bassetti, responsabile dei centri per la consegna delle castagne, l’attività di raccolta delle castagne su scala cantonale ha avuto inizio già negli anni 90 per iniziativa dell’Associazione dei Castanicoltori della Svizzera italiana. Bassetti ha raccolto il testimone e ha gestito la raccolta centralizzata dal 2006. I punti di raccolta sono quattro: Biasca, Cadenazzo, Vezia/Bioggio e Stabio. Le castagne consegnate qui vengono poi convogliate verso la sua azienda a Cadenazzo. L’iniziativa intende rilanciare nel nostro cantone l’immagine della castagna e della sua raccolta e valorizzare il patrimonio castanicolo ticinese. La popolazione è quindi invitata a impegnarsi nella raccolta dei frutti su tutto il territorio, frutti che possono essere poi consegnati a uno dei quattro punti di raccolta, in cambio di un compenso economico che varia a seconda del tipo di frutti raccolti. Raccogliere castagne è un’attività piacevole e divertente e già oggi molti la praticano in famiglia. A chi intendesse partecipare Paolo Bassetti consiglia sempre di valutare con attenzione i luoghi di raccolta. «Se ci si rende conto che il terreno attorno ai castagni è ben te-

Un bel momento da passare in famiglia... (Ti-Press)

nuto e che le piante sono curate, è molto probabile che si tratti di terreni privati, quindi prima di raccogliere è imperativo chiedere il permesso al proprietario del terreno. In Ticino inoltre possono esserci zone boschive di proprietà del

Come partecipare al concorso 1. Raccogli le castagne in giro per il Ticino dal 27 settembre al 3 novembre. 2. Consegnale entro il 3 novembre ai centri di raccolta di Cadenazzo, Stabio, Vezia o Biasca. 3. Ricevi in omaggio la comoda sacca Migros. 4. Compila la cartolina che trovi nei centri di raccolta, imbucala in una delle apposite urne, e partecipa all’estrazione dei premi. L’estrazione avverrà il 10 novembre 2021.

In palio

Primo premio: un soggiorno in Ticino da 500 franchi offerto da Interhome, Case di vacanza (www.interhome.ch)

Secondo premio: una carta regalo Migros da 200 franchi. Terzo premio: una carta regalo Migros da 100 franchi. Info e orari di apertura dei centri di raccolta: www.castanicoltori.ch

patriziato e anche in quel caso è opportuno informarsi in precedenza per sapere se la raccolta è permessa». Parlando delle edizioni della raccolta che si sono tenute fino ad oggi Paolo Bassetti ricorda che le persone che si presentano ai luoghi di raccolta fanno parte delle più varie categorie: «Arrivano bambini con i genitori che orgogliosi consegnano un sacchetto con 2 kg di castagne e che hanno le idee già ben in chiaro cosa vogliono fare con i soldini ricevuti, ma anche persone che portano 2-300 kg alla volta. Se l’affluenza presso il centro di raccolta lo permette, ci soffermiamo volentieri a scambiare qualche parola con i raccoglitori». Le castagne raccolte seguono ben precisi processi di lavorazione. «A quelle più grandi viene fatta la novena, la cernita, per levare le castagne bacate. Quelle scelte sono immesse sul mercato per le caldarroste» spiega Bassetti. «Le più piccole invece vengono seccate, con procedimenti tecnici simili a quelli della “grà” ma senza fumo, ossia depo-

ste in forni ad aria calda e poi in seguito sbucciate con appositi macchinari e cernite minuziosamente. Le castagne secche possono essere vendute come tali, oppure macinate in farina. Da questa produco anche fiocchi, simili nella forma e nell’utilizzo ai cornflakes». Riflettendo sul ruolo che la castagna gioca oggi sulle nostre tavole, Bassetti osserva: «È curioso vedere come la castagna nel passaggio dei decenni si sia trasformata da cibo povero, usato per sfamare la gente come sostituto del pane, a un prodotto pregiato, ricercato, usato per una cucina raffinata e ricca». Al di là dei suoi aspetti alimentari ed economici, comunque, per Bassetti l’obiettivo è di motivare la gente a partecipare a questa iniziativa e dare un contributo per valorizzare un bene del territorio, un prodotto tradizionale ed ecologico: «Convincere il maggior numero di famiglie ticinesi ad andar per castagne nel rispetto della natura e del territorio sarebbe una grande soddisfazione. Due anni fa ai centri di raccolta sono state consegnate quasi 60 tonnel-

late, ma, per fare un esempio estremo, se la metà dei ticinesi ci portasse anche solo un chilo di castagne, potremmo raggiungere una quantità incredibile». Per Paolo Bassetti la cultura della castagna è un patrimonio ecologico e storico che va conservato. «Come risulta dai commenti dei clienti il prodotto “castagna” più di qualsiasi altro prodotto è fortemente legato all’immagine del Ticino e alla sua cultura. Offrendo questi prodotti anche fuori Cantone contribuiamo così a sensibilizzare il consumatore e veicolare l’immagine del Ticino, con conseguenti ulteriori ricadute economiche indirette». «Raccogliere le castagne è un modo bello per stare insieme in famiglia e vivere il territorio» conclude Paolo Bassetti, «se riusciamo a valorizzare questa tradizione è un bene per tutti. Passare una giornata insieme nei boschi, riuscendo poi magari a raccogliere anche un po’ di spiccioli, mi sembra un bel pretesto per fare comunità, per far vivere e conservare il nostro paesaggio». / Red.

torna la ascona-locarno run

Podismo Dopo un anno di pausa, la competizione nelle città sul Verbano riprende il suo corso

Fervono i preparativi per la sesta edizione dell’Ascona-Locarno Run, manifestazione podistica organizzata da SP Locarnese, US Ascona, Virtus Locarno, tre società con vasta esperienza in eventi sportivi e accomunate da una grande passione per lo sport. Il 16 e 17 ottobre Piazza Grande a Locarno sarà il cuore pulsante della più bella corsa cittadina della Svizzera. Correre o cam-

Concorso «Azione» mette in palio tra i suoi lettori 5 pettorali gratuiti per partecipare alla Ascona-Locarno Run. Per prendere parte all’estrazione basta inviare una email all’indirizzo giochi@azione.ch, contenente nome, cognome, indirizzo, numero di telefono e percorso di gara prescelto entro il 30 settembre. Buona fortuna!

azione

settimanale edito da Migros ticino Fondato nel 1938 redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Romina Borla, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

minare nella regione della Dolce Vita è un’esperienza unica, lo garantisce il comitato organizzatore. Professionisti o neofiti, amanti dello sport e famiglie, qui troveranno la gara perfetta. L’edizione del 2021 vedrà alcune novità come l’introduzione della 10 km Walking & Nordic Walking, aperta anche alle famiglie, e lo Swiss Runners Ticket che consentirà a tutti gli iscritti alle competizioni di arrivare gratuitamente a Locarno da tutta la Svizzera con i mezzi di trasporto pubblici. Troverete ulteriori informazioni su www. ascona-locarno-run.ch/info/trasportogratuito. Ma le novità non finiscono qui, sono stati creati nuovi percorsi per la 10 km Run e la 21 km Half Marathon, gara che vedrà l’assegnazione del titolo di Campione Ticinese di corsa su strada. Inoltre ogni partecipante riceverà gratuitamente il filmato personalizzato dell’arrivo, scaricabile da www.migrosimpuls.ch/corse-popolari. sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

Piazza Grande di Locarno, il fulcro della manifestazione.

La manifestazione si svolgerà sull’arco di due giorni e il villaggio sarà allestito in Piazza Grande a Locarno, punto di partenza e di arrivo di tutte le competizioni. Durante la giornata di sabato 16 editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31

ottobre si terranno la Kids Run, competizione dedicata ai piccoli Speedy Gonzales che correranno all’interno della bellissima Piazza Grande di Locarno a partire dalle ore 16.00, e la 5 km Sunset Run alle 18.45, gara adatta a tutti i runner, da chi si è appena avvicinato al mondo della corsa agli agonisti, dove ciascuno potrà correre in base al proprio livello di allenamento. Domenica 17 ottobre si svolgeranno la 21 km Half Marathon, la 10 km Run e la 10 km Walking & Nordic Walking lungo un bellissimo percorso che prevede di passare davanti a paesaggi incantevoli, alternando tratti in città a tratti nella natura, dal Castello Visconteo al borgo di Ascona e al suo stupendo lungolago. I partecipanti alla 21 km Half Marathon godranno inoltre della bellezza del lungolago di Muralto e di Locarno e del delta della Maggia. Iscrivendosi entro il 10 ottobre su www.ascona-locarno-run.ch, viene ga-

rantito il pettorale personalizzato con il proprio nome. Gli iscritti hanno diritto a un viaggio di andata e ritorno gratuito con i mezzi pubblici da tutta la Svizzera. Per maggiori informazione potete consultare il sito: www.ascona-locarnorun.ch Attenzione: Il runner dovrà presentare il certificato COVID valido il giorno della gara, che attesti una delle seguenti condizioni: ■ Certificato di avvenuta vaccinazione con validità a partire da 15 giorni dopo la seconda dose; ■ Certificato di avvenuta guarigione da Covid valido il giorno della gara; ■ Test antigenico rapido negativo o test molecolare/PCR negativo effettuato in un centro certificato e valido il giorno della gara.

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abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch

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Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 settembre 2021 • N. 39

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società e territorio Incontra uno scrittore Sono aperte le iscrizioni per la nuova edizione dell’iniziativa che si rivolge agli allievi di ogni ordine di scuola e agli ospiti degli istituti per anziani e per ipovedenti

solidarietà L’associazione Lì&Là garantisce pasti pronti consegnati a casa alle famiglie che affrontano l’ospedalizzazione di un figlio. Ne abbiamo parlato con le tre co-fondatrici pagina 9

Bellezze da valorizzare È stata da poco pubblicata dall’associazione I Borghi più belli della Svizzera un’agile guida che permette di scoprire suggestive località del nostro Paese pagina 11

Shutterstock

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non aiutiamoli troppo

Il caffè delle mamme Lo psichiatra Paolo Crepet ci spiega il suo «metodo» per crescere figli autonomi e creativi

Simona Ravizza «Non aiutiamoli troppo per farli crescere bene!». Il caffè delle mamme di settembre, meglio dichiararlo subito, inizia con un proposito che fa un po’ male al cuore. Ma il suggerimento arriva da Paolo Crepet, tra gli psichiatri italiani più noti, oltre 3600 conferenze pubbliche in teatri e scuole, autore di libri come La gioia di educare, Impara a essere felice e Il coraggio, uno per intenderci abituato a prendere a pugni con le parole i genitori e a ricevere in cambio applausi. Perché, alla fine, tutti devono ammettere che, forse, ha ragione lui. Gli telefono in cerca di consigli da portare a Il caffè dopo avere visto su Facebook un suo video-intervento dello scorso gennaio che ha avuto 8 milioni di visualizzazioni e 100 mila like in pochi giorni e che ancora sta rimbalzando sui social: «Quando un genitore dice “io non ho mai fatto mancare niente a mio figlio esprime la sua totale idiozia” – scandisce Crepet –. Il compito di un genitore è fare mancare qualcosa».

Dalla nostra chiacchierata esce il «metodo Crepet» nell’allevare i figli su cui ciascun genitore deve, perlomeno, riflettere. Eccolo in cinque punti. Uno. L’obiettivo che dobbiamo darci è crescere bambini e adolescenti che abbiano autonomia, autostima e creatività. Come Crepet spiega ad «Azione», sono le tre chiavi da consegnare ai nostri figli per aprire loro le porte della vita. Due. Per riuscirci è meglio essere «mamme anatra» piuttosto che «mamme canguro». «Avete mai visto in uno stagno un’anatra? Gli anatroccoli dove stanno? – chiede Crepet –. Dietro». La considerazione successiva dello psichiatra è che le anatre sono intelligenti, mentre noi mamme e papà no perché i figli li mettiamo davanti! Oppure li teniamo appiccicati a noi, modello canguro. «Il compito di genitori è indicare la strada. Per poi lasciare che prendano il volo. L’amore è vederli volare in un mondo che non ti ha regalato nulla, ma dove quello che hai lo devi conquistare – sottolinea Crepet –. E non lo puoi fare

se cresci servito e riverito come un piccolo lord rimbecillito su un divano». Tre. La conseguenza? Per Crepet non c’è alcun dubbio: «Quando crediamo in un ragazzo non lo dobbiamo aiutare. Se è bravo ce la fa». Bisogna stimolare curiosità, ingegno e talento. Non fare i sindacalisti dei figli con gli insegnanti o stare seduti di fianco a loro per ore mentre fanno i compiti a casa. E neppure stargli addosso di continuo, chiedendo: «Ce la fai? Hai bisogno?». E, a proposito delle parole di Crepet che arrivano come pugni a genitori che talvolta si riducono a pugili suonati: «La verità è che vogliamo male a chi abbiamo messo al mondo. Già da quando gattonano risolviamo loro tutti i problemi. Vogliamo che se ne stiano con noi, anche se interconnessi». Meglio invece spingerli a uscire di casa e anche a sperimentare esperienze all’estero (al Caffè delle mamme, però, sottolineiamo che la cosa va fatta con la giusta prudenza): «Non diciamo più ai nostri figli che all’estero “c’è brutto tempo” e che “si mangia male”, perché

il meglio per i nostri figli non possono essere il meteo.it né tripadvidsor per le serate al ristorante». Non farli crescere iperprotetti e lasciarli vivere, vuol dire anche che devono sperimentare il dolore, le cadute, le delusioni, le frustrazioni. Quattro. In quest’ottica per Crepet educare è togliere: «Per una generazione che è cresciuta con tutto e quindi non conosce il desiderio, il coraggio è quello di togliere, non quello di aggiungere. È il nuovo verbo di una possibile rivoluzione culturale e antropologica. Perché se a un ragazzino dai tutto, gli hai fatto un danno gravissimo, gli hai tolto il desiderio. Come fai a desiderare quello che hai? Come fai a non crescere depresso? La vita va scoperta». Lo psichiatra è caustico: «La Costituzione obbliga i genitori a mantenere in vita i figli ma non li obbliga certo a regalare tutte quelle cose che ora, invece, vi apprestate a regalare a Natale, né li obbliga a dare i soldi al figliuolo per andare a Ibiza con gli amici mono-neuronici come lui, o per ubriacarsi di spritz la sera fino

a finire al pronto soccorso, né la Costituzione vieta ai genitori di togliere il telefonino e Internet quando non c’è reciprocità. E allora perché continuate a fare tutte queste cose? Io faccio una cosa per il ragazzo solo se il ragazzo fa qualcosa per sé». Cinque. E allora noi genitori, per il metodo Crepet, più che a un condono emotivo, dobbiamo puntare a lezioni di emozioni. Vivere infelici, parafrasando l’editore Leo Longanesi, può costare meno fatica: non si può stare fermi a compiangersi, ma bisogna reagire e inseguire i sogni. Nessun alibi, al diavolo la paura che immobilizza. Il riferimento è alle parole di Sant’Agostino: «La speranza ha due figli bellissimi: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose e il coraggio per cambiarle». Insomma, al Caffè delle mamme ci convinciamo che dobbiamo crescere i figli in modo che siano capaci anche di trovare dentro di sé la forza per cambiare anche quello che non gli piace. Ma saremo capaci?


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 settembre 2021 • N. 39

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Idee e acquisti per la settimana

Il succulento pollo svizzero attualità Le apprezzate e appetitose

specialità di pollame Optigal ora in azione

Il pollo è particolarmente apprezzato non solo per il fatto di essere più conveniente rispetto ad altri tipi di carne, ma anche per la sua straordinaria versatilità culinaria e il ridotto contenuto di grassi. Inoltre, esso può vantare un alto tenore di preziose proteine, vitamine, sali minerali e risulta facile da digerire anche per le persone più sensibili. Pollo svizzero di qualità

Sinonimo di elevata qualità svizzera, igiene e sicurezza, l’ampio assortimento di pollame Optigal viene prodotto e lavorato in Svizzera in conformità alle più severe direttive in materia di benessere animale. I polli sono allevati in ampi pollai - perlopiù da aziende a conduzione famigliare di piccole-medie dimensioni - con luce naturale ed hanno accesso a un giardino d’inverno all’esterno tutto l’anno. Aree di ritiro e superfici di riposo rialzate contribuiscono ulteriormente a migliorare il loro benessere. L’alimentazione è adeguata in base alla specie, all’età e al livello di sviluppo; ed è costituita da mangimi di origine unicamente vegetale. L’utilizzo di antibiotici avviene solo in casi eccezionali su prescrizione veterinaria e unicamente se gli animali sono veramente malati. Siccome tutte le fasi del processo produttivo avvengono nel nostro paese, la tracciabilità è totalmente garantita.

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Per tutti i gusti

Alla Migros la gamma di pollame Optigal è ampia e variata, in grado di soddisfare i gusti e le preferenze di ogni commensale. Oltre al classico pollo intero, la scelta include anche diversi tagli singoli apprezzati per la preparazione dei piatti più svariati, come cosce, ali, alette, fettine, tagliuzzato, mini filetti, macinata; senza dimenticare alcune proposte già pronte, tra cui burger e mini burger, pollo crispy, nuggets di pollo e polpettine. Consigli in cucina

Grazie alla sua versatilità, il pollo si può apprezzare in tutti i modi possibili, arrostito al forno, bollito, grigliato o in padella. Al fine di poter gustare le ottime specialità firmate Optigal in tutta tranquillità, è importante seguire alcuni utili accorgimenti di preparazione. Per il pollame crudo, utilizzate un tagliere e un coltello riservati a questo scopo e lavateli dopo il loro uso. Lavate bene le mani con del sapone dopo aver maneggiato del pollo crudo. Tenete separata la carne di pollo cruda dagli altri alimenti. Non è necessario lavare la carne, poiché la cottura uccide i batteri presenti. La carne di pollo deve sempre essere consumata ben cotta. La temperatura interna deve essere di almeno 80 gradi: misuratela con l’apposito termometro da carne, evitando di toccare l’osso. Buon appetito!

l’oro dei boschi

stagionalità Con l’autunno torna la voglia di funghi. Che ne direste

di provare i gallinacci? Questa settimana sono in offerta speciale nelle maggiori filiali Migros Non solo porcini, champignon bianchi e marroni, cardoncelli, shii take o pleurotus, nell’assortimento stagionale dei supermercati Migros gli amanti dei funghi trovano anche i delicati gallinacci. Conosciuti anche come cantarelli, finferli o gallucci, questi funghi molto comuni anche nostri boschi non possono essere coltivati. Si caratterizzano per il loro inconfondibile e intenso colore giallo dorato, le lamelle decorrenti a reticolo sul gambo e il cappello carnoso. Il sapore della loro carne è particolarmente gradevole e delicato, ideale da accostare a selvaggina, paste fresche, sughi di funghi misti, insalate e spätzli (vedi ricetta). I gallinacci si puliscono lavandoli velocemente sotto l’acqua corrente e asciugandoli subito con un telo da cucina. Se non sono troppo sporchi di terra è sufficiente spazzolarli delicatamente con un pennello da cucina.

LA RICETTA

spätzli ai gallinacci Ingredienti per 4 persone • 400 g di gallinacci • 300 g di verza • 2 cucchiai d’olio di colza HOLL • ½ limone • 1 kg di spätzli • 1 cucchiaio di burro • sale • pepe • 4 cucchiai di panna acidula semigrassa Preparazione Mondate i gallinacci e, a seconda delle dimensioni, dimezzateli. Tagliate la verza prima a metà, poi a striscioline sottili. Scaldate l’olio in una padella ampia e soffriggetevi brevemente la verza e i funghi. Unite la scorza di limone grattugiata finemente. Spremete il succo e aggiungetelo. Unite gli spätzli, rosolateli insieme con la verza e i gallinacci, finché si colorano leggermente. Affinate gli spätzli con un pezzetto di burro e regolate di sale e pepe. Servite con una cucchiaiata di panna semigrassa.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 settembre 2021 • N. 39

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Idee e acquisti per la settimana

trattamenti speciali anti-invecchiamento novità Nivea presenta tre innovativi prodotti per la pelle matura 1

Il siero di perle NIVEA Q10 Energy Anti-Rughe promette una pelle più radiosa e soda già dopo due settimane. La formula contiene tre3 antiossidanti: 100% Q10 identico alla pelle, vitamina C e vitamina E. Il siero di perle svolge un effetto anti-stanchezza e migliora la carnagione in 24 ore. Rende la pelle più liscia e l’aspetto più sano, attenuando la stanchezza e le prime rughe. Premendo l’erogatore, le sostanze antiossidanti vengono attivate sul momento e le perle si fondono in un siero altamente efficace. 2 nIVea Q10 energy anti-rughe Crema da giorno sPF 15 Fr. 17.10

La crema da giorno NIVEA Q10 Energy Anti-Rughe con fattore di protezione solare 15 cura la pelle con tre antiossidanti: 100% Q10 identico alla pelle, vitamina C e vitamina E. Migliora il metabolismo energetico naturale della pelle, protegge dallo stress ossidativo e riduce i radicali liberi che possono irritare la cute. Dona una sana luminosità e un’intensa idratazione per 24 ore.

Dopo due settimane il trattamento attenua le rughe e rende la pelle più soda dopo 4 settimane – i segni di stanchezza e di pallore si riducono sensibilmente. Il fresco profumo di arancia è ottenuto da estratto naturale di arance, mentre il fattore di protezione solare 15 contribuisce a prevenire la formazione delle rughe precoci causate dalla luce solare.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 settembre 2021 • N. 39

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società e territorio

stimolare lettura e curiosità

I fumetti dedicati ai matematici

Incontra uno scrittore L’iniziativa si rivolge agli allievi di ogni ordine di scuola

e agli ospiti degli istituti per anziani e per ipovedenti

Web Continuano

le avventure di Ellie Guido Grilli E se a un tratto alla cattedra, anziché il «prof» o la «soressa», comparisse uno scrittore? Oppure un attore, un critico o un giornalista? Nulla di improbabile. Già, perché l’idea è contenuta in un concreto progetto promosso dal DECS tramite la Divisione della cultura e degli studi universitari, in collaborazione con le Divisioni della scuola e della formazione professionale, e si rivolge alle sedi scolastiche interessate ad aderire nei mesi di ottobre e novembre (iscrizioni entro il 30 settembre) all’iniziativa denominata, «Incontra uno scrittore», che contempla fra gli invitati a tenere una lezione in classe non solo autori o poeti ma pure le altre figure appena citate sopra, affini al mondo della scrittura. La proposta s’inserisce nell’ambito dei programmi di promozione della lettura finanziati attraverso l’Aiuto federale per la lingua e la cultura italiana. La Divisione della cultura e degli studi universitari offre così alle sedi scolastiche quella che si configura come una bella opportunità per gli allievi di conoscere personalità stimolanti, di lingua italiana, in grado di trasmettere momenti di apprendimento specifici, in taluni casi persino unici se l’oratore o l’oratrice si mostrano capaci di stimolare la curiosità e le passioni degli allievi. Alla parola «scrittore» può aprirsi un universo senza confini che conduce alla scoperta di generi letterari, passan-

do inevitabilmente dalla citazione di nomi di maestri e «compagni di viaggio» importanti per la conoscenza di sé e del mondo. Lo stesso vale per attori o attrici che, con la loro personalità, possono affascinare gli studenti e renderli consci dell’importanza dell’uso della parola in scena, del teatro e della recitazione. Il settore della comunicazione o della critica possono infine proporsi alle classi e accompagnarsi alle innumerevoli tematiche legate all’informazione e all’attualità. Il progetto è coordinato anche in collaborazione con l’Ufficio degli anziani e delle cure a domicilio e con Unitas, Associazione ciechi e ipovedenti della Svizzera italiana; pertanto «Incontra uno scrittore» si rivolge quale valida proposta anche a queste istituzioni (case e centri diurni per anziani e Casa Andreina). Il budget per ogni sede, per uno o più appuntamenti, viene coperto fino a un massimo di mille franchi. I formulari sono reperibili sul sito del Decs e vanno inviati entro il 30 settembre all’indirizzo decs-sc@ti.ch. «L’iniziativa è alla sua quinta edizione e si indirizza, su base volontaria, a tutti gli ordini scolastici cantonali, dalle scuole per l’infanzia, alle elementari, medie, scuole professionali» – dichiara Paola Costantini, responsabile dell’Ufficio del sostegno alla cultura e coordinatrice del progetto. Che aggiunge: «Ogni sede ha una propria autonomia nella proposta che poi viene da noi valutata e accettata se risponde ai

Sul nostro sito è online da oggi la nuova puntata dei fumetti creati nell’ambito del progetto Matematicando del Centro competenze didattica della matematica del Dipartimento formazione e apprendimento della Supsi. Si tratta dei viaggi nel tempo che la giovane Ellie compie grazie agli occhiali virtuali costruiti in laboratorio dal geniale zio Angelo. Ellie incontra così i personaggi che nel passato hanno fatto la storia della matematica. Questa nuova puntata è dedicata a Pacioli. I fumetti si trovano sul sito www.azione.ch/societa, sezione «Vivere oggi» (oppure inserendo la parola «matematicando» nel campo di ricerca del sito). L’iniziativa s’inserisce nei programmi di promozione della lettura dell’Aiuto federale per la lingua e la cultura italiana. (Pixabay)

criteri del progetto». Qual è la tipologia delle presentazioni più diffuse? «Normalmente gli ospiti, parlo in questo caso degli allievi delle scuole primarie, sono autori per l’infanzia; altri invece si cimentano in qualcosa di più performativo, dove viene messa ad esempio in scena una narrazione. L’iniziativa raccoglie comunque soprattutto scrittori, narratori e anche illustratori di libri. Il numero delle sedi coinvolte è in costante crescita, abbiamo già raccolto le prime iscrizioni, finora siamo comunque sempre riusciti a rimanere nel budget. Per questa edizione è previ-

sto un contributo complessivo di circa trentamila franchi. Chi ha aderito al progetto di solito ripete l’esperienza. È comunque un impegno per i docenti, perché si tratta di un appuntamento che va pianificato e integrato nella loro attività didattica. L’evento risulta invece più flessibile e facile da gestire per quanto concerne le case per anziani e Unitas. Il bilancio del progetto? Assolutamente soddisfacente» – assicura Paola Costantini, che evidenzia una delle sue finalità: «Incentivare la lettura, che rappresenta uno dei mandati promossi dall’Ufficio federale della cultura». Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 settembre 2021 • N. 39

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società e territorio

Pasti di solidarietà

notizie brevi

associazioni Il ricovero in ospedale di un bambino mette a dura prova i genitori,

ora l’associazione Lì&Là con i suoi volontari garantisce i pasti pronti consegnati a casa. Un aiuto semplice e concreto nato da un’esperienza personale

Si può ricevere l’aiuto di Lì&Là durante il periodo di ospedalizzazione di un figlio ma anche dopo il rientro a casa. (Shutterstock)

Alessandra Ostini Sutto «Non si può pensare bene, amare bene, dormire bene se non si è mangiato bene», scriveva Virginia Woolf. Il pasto ha infatti più valenze: oltre a quella puramente nutritiva, è un momento in cui ci si ritrova, si condivide, ci si rilassa. Ed è proprio dal pasto che sono partite Sveva, Elisabetta e Cristina per dare un sostegno concreto alle famiglie confrontate col ricovero di un figlio. Ma andiamo con ordine; Sveva Croci, Elisabetta Bianchi e Cristina Pestoni-Ferrari sono delle mamme sulla trentina, amiche di lunga data. Una di loro, Sveva, ha dovuto affrontare, più volte, alcuni mesi di ricovero della propria bambina. Ed è da questa esperienza vissuta in prima persona che si sviluppa l’iniziativa messa in atto dalle tre amiche.

Ai volontari non sono richieste particolari competenze culinarie e l’impegno è limitato a uno o due pasti al mese «Ancor prima della nascita di Lyla, la bimba di Sveva e Maurizio, si sapeva che avrebbe avuto una cardiopatia piuttosto grave», spiega Elisabetta, che di professione fa l’operatrice socioassistenziale. Di conseguenza, i due neo genitori sono subito stati confrontati con un mondo fatto di ricoveri, interventi chirurgici e pesanti periodi post-operatori. La prima operazione è avvenuta nel luglio del 2019. «Dopo il primo intervento ci siamo trovate con Sveva e lei ci ha raccontato di come il fatto che sua zia le portasse ogni tanto dei pasti le facesse bene, soprattutto perché permetteva a lei e al marito di passare del tempo “sano” con la propria bimba, in un periodo difficile ed impegnativo – ricorda Elisabetta – tornata a casa sentivo una forte sensazione di voler fare qualcosa, anche perché poco tempo dopo avrebbero dovuto affrontare la seconda operazione, che sarebbe stata la più dura. Si avvicinava Natale e, conscia del fatto che entrambi hanno una famiglia unitissima e moltissimi amici, mi è venuta l’idea di organizzare un “calendario dell’avvento dei pasti”. I tempi erano stretti e questo mi metteva in agitazione. Ho subito contattato amici e parenti e in quarantott’ore tutti quelli che avevano risposto affermati-

vamente avevano scelto il loro giorno e sapevano che cosa dovevano fare». La piccola Lyla è stata operata a novembre e per tutto il mese di dicembre Sveva e Maurizio avevano ogni giorno qualcuno che portava loro qualcosa di pronto per pranzo e cena. «Quando Sveva e la sua famiglia erano in ospedale avrei voluto fare qualsiasi cosa per alleviare il loro vulcano di emozioni e alleggerire le loro giornate. La piccola grande idea di Betta mi ha dato la possibilità di farlo. Poter essere un sostegno in un momento di difficoltà mi ha riempito il cuore di gioia», aggiunge Cristina. Dopo il secondo, lungo, ricovero della bambina quest’idea dei pasti è andata avanti spontaneamente. Un sostegno, sia emotivo che materiale, nei momenti più delicati, che ha permesso alla famiglia di sentirsi meno sola e di avere più tempo da dedicare alla loro bambina. A volte, quando qualcuno vicino a noi vive un momento di difficoltà, lo si vorrebbe aiutare ma non si sa in che modo. Questa esperienza dimostra il valore dei gesti semplici e concreti. La preparazione di un pasto, per chi se ne occupa, non richiede un eccessivo impegno, ma per chi ne beneficia, si può rivelare un vero e proprio sostegno. «Sveva mi raccontava di come lei e il marito si siano resi conto di quanto fosse d’aiuto: permetteva loro di risparmiare il tempo, e l’energia, della spesa, dell’atto del cucinare, della successiva “sistemazione” ed usarlo per la famiglia», dice Elisabetta, «così, abbiamo pensato che sarebbe stato bello estendere questo tipo di aiuto ad altre famiglie che vivono una situazione difficile». L’idea di creare qualcosa che andasse in questa direzione è venuta a Sveva, la quale sentiva forte l’esigenza di trasformare quanto vissuto da lei e il marito in qualcosa di autentico e vero; qualcosa che oggi c’è e si chiama Lì&Là. «Sveva ci ha messaggiato – come spesso fa – di notte, dicendo che aveva l’idea di questa associazione e chiedendoci se fossimo interessate a partecipare – ricorda Elisabetta – diceva che per il nome le piaceva l’idea di giocare con i termini “lì” e “là”, perché richiamano gli spostamenti effettuati dai pasti. Casualità vuole che “lì” e “là” riprendano pure i nomi di tutte e tre le nostre bambine: il suono è infatti molto simile a Lyla, oltre a ciò ricordano Lia, nome della mia bambina, e infine, contengono le lettere di Ally, diminutivo di Allison, la bimba di Cristina». L’associazione Lì & Là è stata costituita il 13 giugno, con lo scopo di con-

Elisabetta Bianchi, Sveva Croci e Cristina Pestoni-Ferrari, le tre amiche cofondatrici dell’associazione. (Roberta Beffa)

segnare pasti caldi e gratuiti a casa delle famiglie che stanno attraversando un delicato momento grazie a volontari e ristoratori. L’intervento si focalizza inizialmente su Mendrisiotto e Basso Ceresio, con l’idea di espandersi in futuro. Per un sostegno alla loro attività, le tre amiche possono contare sull’appoggio del dottor Jacopo Calciolari, pediatra con studio a Mendrisio. Due sono le forme di aiuto proposte dall’associazione: durante e dopo il ricovero. Nel primo caso, durante l’ospedalizzazione (di almeno 10 giorni) di un figlio, è il genitore che resta a casa con gli eventuali fratelli che può ricevere i pasti a domicilio; nel secondo, il destinatario è l’intera famiglia, una volta rientrata a casa, e per la durata di un mese. «Un domani ci piacerebbe poter offrire delle soluzioni “su misura” alle famiglie con bambini malati oncologici, che alternano periodi a casa a periodi in ospedale – puntualizza Elisabetta – per la presa di contatti, per il momento ci siamo incentrate sui pediatri del Mendrisiotto e del Basso Ceresio, come pure degli ospedali ticinesi. Abbiamo inoltre mandato una lettera di presentazione ai principali ospedali pediatrici oltre Gottardo. Prossimamente è nostra intenzione contattare pure i ginecologi, inizialmente quelli della nostra regione, così che possano avvisare del nostro servizio i genitori che stanno per mettere al mondo un bambino prematuro, che avrà quindi bisogno di un ricovero di una certa durata». Oltre a questa presa di contatti con gli specialisti del caso, la neonata associazione conta di farsi conoscere con il passaparola, il sito internet e i social. «Abbiamo poi dei progetti cui stiamo

lavorando, ma di cui per ora è prematuro parlare», rivela Elisabetta. Attualmente l’associazione Lì & Là può contare sull’impegno di 40 volontari nel suo raggio d’azione. «Ci hanno scritto anche dal Luganese e dal Malcantone; abbiamo detto di mandare comunque il formulario, così che se ci dovesse contattare una famiglia da quelle zone avremmo già qualcuno su cui appoggiarci», precisa Elisabetta. I volontari sono, infatti, il motore del progetto: «Certe persone sono frenate perché pensano di dovere essere dei grandi chef oppure che si tratti di un impegno eccessivo. Su questi aspetti vogliamo rassicurare le persone interessate: per il primo, non sono richieste particolari competenze in cucina, per il secondo, noi puntiamo ad avere tanti volontari proprio per fare in modo che, in caso di necessità, l’impegno sia limitato a uno o due pasti al mese – puntualizza Elisabetta – l’associazione si impegna comunque a contattare i volontari con un certo preavviso ed essi, se dovesse essere il caso, hanno ovviamente la possibilità di dire di no». Sui formulari che si trovano sul sito dell’associazione (www. associazione-liela.ch) i candidati possono poi dare la propria disponibilità riguardo a pasti, luogo e periodo in cui desiderano aiutare. Per quel che riguarda invece i ristoratori, l’associazione prevede tre specifiche forme di aiuto: «Essi possono fornirci un tot di pasti gratuiti all’anno, con ritiro da parte della famiglia o con l’aiuto dei volontari per la consegna; come seconda possibilità, di questi pasti possono offrirne la metà, mentre il resto lo finanziamo con i nostri fondi. Infine, hanno la possibilità di far normalmente pagare il pasto, ma offrire ed occuparsi dell’asporto – spiega Elisabetta – anche su questo fronte qualcosa comincia a muoversi. Qualche ristoratore ha già aderito alla nostra iniziativa e altri ci hanno contattato per chiedere informazioni». Sia ai volontari che ai ristoratori, l’associazione Lì & Là fornisce dei box ecosostenibili per il trasporto dei pasti. Oltre a ciò, esiste un altro modo per sostenere l’associazione, e cioè attraverso l’acquisto di un ricettario realizzato dalle tre amiche, che contiene 20 ricette, di veloce e semplice esecuzione. «Con queste ricette abbiamo pensato alle famiglie che dopo una lunga ospedalizzazione tornano a casa e devono dedicare il proprio tempo al figlio in post-ricovero, ma in realtà vanno bene per tutti», concludono le fondatrici di Lì & Là.

Il suffragio in scena Saranno un pomeriggio e una serata all’insegna della riflessione, del confronto e… delle risate quelli proposti sabato 2 ottobre dall’Associazione Archivi Riuniti Donne Ticino, dall’associazione CH2021, dalla Commissione Cantonale Pari Opportunità e dalla Federazione Associazioni femminili Ticino Plus. Sul palco del teatro Sociale di Bellinzona a partire dalle 16.30 andranno in scena 50 anni di stereotipi di genere analizzati da diversi punti di vista di ricercatori e studiosi ma anche attraverso interventi dell’artista comica Orit Guttman e del videomaker Finestbakery. A introdurre il tema saranno la scrittrice e giornalista Virginia Helbling e la presidente dell’associazione CH2021 Zita Küng. Tre in seguito i relatori che si alterneranno sul palco: Susanna Castelletti, docente e membro di comitato dell’AARDT che parlerà di «Stereotipi e mentalità collettiva»; Andrea Pilotti, docente e ricercatore all’Università di Losanna, che si interrogherà su «Le donne nella politica ticinese: quale profilo dell’elettrice, della candidata e dell’eletta?»; Marialuisa Parodi, co-presidente FAFTPlus, che rifletterà su «Vibrazioni future: verso la sessione del 29-30 ottobre a Palazzo federale». La conclusione della giornata è affidata a Davina Fitas, presidente della Commissione consuntiva per le pari opportunità. Gli organizzatori ricordano che per partecipare all’evento è necessario il Certificato Covid e l’iscrizione. Informazioni: www.archividonneticino.ch, www.ti.ch/pariopportunita.

telethon torna a volare Dopo una prolungata assenza causata dalla pandemia, torna sabato 2 ottobre presso l’aeroporto cantonale di Locarno la manifestazione benefica Telethon Vola. Come da tradizione, il mattino diversi utenti dell’Associazione Malattie Genetiche Rare della Svizzera italiana avranno la possibilità di scoprire l’ebrezza del volo a bordo di aerei ed elicotteri. Questa opportunità sarà aperta a tutti gli interessati a partire dalle 11.30, quando la manifestazione apre al pubblico con gli intrattenimenti musicali i Corni delle Alpi, The Sweet8 e la Guggen Stracaganass e numerose possibilità per pranzare e stare in compagnia. Inoltre per questa attesa edizione sono molti gli espositori e coloro che offriranno interessanti spettacoli per grandi e piccoli. Per partecipare alla giornata è necessario presentare all’entrata il certificato COVID, ma vi sarà anche la possibilità di effettuare gratuitamente il tampone all’entrata presso il gazebo della Clinica S. Chiara. Tutto il ricavato della manifestazione va a beneficio di Telethon. Informazioni su www.telethon.ch e sulla pagina facebook Telethon Vola 2021.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 settembre 2021 • N. 39

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società e territorio

tutta la bellezza dei nostri borghi

Pubblicazioni La guida nata dal lavoro dell’omonima associazione «I Borghi più belli della Svizzera» ha riunito

43 località particolarmente vive, ricche di storia e preservate non solo dal punto di vista architettonico

Stefania Hubmann Per scoprire nel nostro Paese suggestive località in parte misconosciute basta sfogliare l’agile guida illustrata I Borghi più belli della Svizzera pubblicata di recente nelle tre lingue ufficiali dall’omonima associazione. Quest’ultima ha raggiunto in sei anni di attività una tappa essenziale nella realizzazione dei suoi intenti. Ha riunito 43 borghi distribuiti in quindici cantoni, includendone anche uno situato nel principato del Liechtenstein, sfruttando così la fama di quelli già apprezzati per il loro valore culturale, architettonico e paesaggistico per promuovere località altrettanto uniche rimaste finora nell’ombra. La rete è inserita nell’organizzazione internazionale «Les plus beaux villages de la Terre». L’obiettivo comune è di favorire la preservazione di questi insediamenti storici, valorizzandoli e appoggiandoli nello sviluppo di un turismo sostenibile.

L’associazione fondata nel 2015 è inserita nella rete internazionale «Les plus beaux villages de la Terre» Charme e genuinità sono solo due delle caratteristiche che accomunano i borghi della guida, selezionati sulla base di criteri restrittivi. «La scelta – tiene subito a precisare Kevin Quattropani, presidente e co-fondatore dell’associazione – è determinata dalla qualità. La guida presenta, suggerendo percorsi di scoperta, località vive, ricche di storia, preservate da ogni punto di vista. Hanno un potenziale che merita di essere sfruttato senza però intaccare la loro anima». Sulle motivazioni legate alla scelta del termine «borgo» il presidente spiega che «in italiano si è optato per questa denominazione, poiché più inclusiva rispetto a villaggio, utilizzato nelle edizioni in lingua francese e tedesca. La pubblicazione, curata nella versione italiana dall’Istituto Editoriale Ticinese e nelle altre due dalla casa editrice Favre, richiama a sua volta la

preesistente pubblicazione italiana alla quale ci siamo ispirati». Nel 2015 quando un insieme di stimoli e circostanze ha indotto Kevin Quattropani, assieme a Fiorenzo Pichler, a costituire l’associazione «I Borghi più belli della Svizzera», gli analoghi enti di Italia, Francia e Spagna erano già realtà affermate che hanno funto da modello. La Svizzera è però un insieme di culture diverse riunite in un piccolo territorio. Consolidare l’attività dell’associazione per poi dar vita alla guida cartacea – strumento sollecitato dai Comuni selezionati – ha pertanto richiesto un impegno differenziato nelle varie regioni linguistiche. Kevin Quattropani: «Partendo da Poschiavo, primo Comune interessato al progetto, abbiamo lavorato con un buon ritmo nella Svizzera italiana e in quella francese. Nella prima Comuni come Morcote o Ascona sono chiaramente borghi faro con una funzione attrattiva sia per l’associazione, sia per la rete turistica. Grazie anche ad Alain Saint-Sulpice, membro di comitato residente a Ginevra, si è invece avuto una via privilegiata per lo sviluppo in Romandia. Piano piano siamo poi riusciti a coinvolgere anche i Comuni della Svizzera tedesca giungendo a una buona ripartizione dei borghi sull’insieme del Paese». Da precisare che l’interlocutore dell’associazione è sempre l’entità comunale, mentre il borgo designato può anche essere costituito da una frazione. In cifre i limiti sono rappresentati da duemila abitanti per il nucleo tutelato e da diecimila a livello di Comune. La Svizzera italiana, oltre che dai citati Poschiavo, Morcote e Ascona, è rappresentata da Muggio, Soglio e Bosco Gurin, quest’ultimo il più piccolo della guida con 55 abitanti. Addentrandoci nel vivo della pubblicazione, «il borgo più grande è Aarbug con 8800 residenti, scelto anche per la copertina dell’edizione italiana in ragione dell’interesse suscitato all’estero in occasione di un convegno della federazione internazionale», prosegue il presidente. L’entusiasmo che ha motivato Kevin Quattropani all’inizio di questa avventura – portata avanti con diversi collaboratori fra i quali gli autori Alain Saint-Sulpice, Francesco Cerea

Poschiavo. (© Christian Guerra)

e Christian Guerra – è tuttora presente soprattutto quando evoca peculiarità e fascino di alcuni nuclei pregiati che si possono trovare sul nostro territorio, a volte non lontano da borghi famosi. Prosegue il nostro interlocutore: «Nella Svizzera italiana penso in questo senso a Soglio, che ha ispirato diversi artisti tanto da valergli l’appellativo di “soglia del paradiso”, o a Bosco Gurin, antico villaggio walser unito per origine ad altri borghi della guida. Ho nel cuore pure Tschlin, nella Bassa Engadina, la cui vista panoramica abbraccia ben tre nazioni: Svizzera, Austria e Italia. Per apprezzare la ricchezza di questi luoghi occorre dedicare loro del tempo. La nostra associazione promuove un turismo lento volto a vivere l’atmosfera del borgo, a visitare i suoi monumenti, a fermarsi per il pranzo o il pernottamento. A dipendenza dei propri interessi si possono identificare all’interno della guida più percorsi puntando sulle caratteristiche che accomunano alcuni borghi, per esempio la citata origine walser». Pubblicata la guida, l’associazione intende partire da questa preziosa raccolta di informazioni per sviluppare altri progetti. In particolare il presidente spera di poter organizzare

il prossimo anno «La notte romantica», caratterizzata da iniziative ad hoc sul tema dell’amore, come già avviene in altre nazioni della federazione. Magnifici borghi storici da vivere, quindi, anche al calar del sole. Se il loro numero non è destinato a crescere molto, poiché per garantire la qualità delle proposte si intende fermarsi a una cinquantina, la guida conoscerà invece un’evoluzione con successive edizioni a cadenza di qualche anno. L’impegno del comitato è notevole, anche perché le tre edizioni non sono il risultato di un semplice lavoro di traduzione. In pratica, sempre per garantire un elevato standard qualitativo, sono state concepite tre guide in sintonia con le rispettive esigenze delle lingue di pubblicazione. Diversa anche l’immagine di copertina che riporta pure il logo dell’associazione. Nella semplicità di pochi tratti esso racchiude tutti gli elementi del fascino dei borghi svizzeri più suggestivi, compresa la via lacustre sulle cui rive essi sono spesso adagiati. Altra caratteristica dell’operato dell’associazione è l’attività di tipo accademico, resa possibile dalla collaborazione con università e programmi internazionali di ricerca. Il direttore culturale Francesco Cerea, storico di

formazione, è infatti ricercatore associato al Laboratorio di Storia delle Alpi presso l’Accademia di architettura dell’Università della Svizzera italiana e docente all’Università Europea di Roma. L’associazione «I Borghi più belli della Svizzera» è così presente in pubblicazioni accademiche e convegni. Grazie agli incontri fra i rappresentanti delle diverse associazioni nazionali, la promozione della guida I Borghi più belli della Svizzera e delle località medesime potrà essere estesa a tutto il mondo, pandemia permettendo. Oltre quaranta località svizzere, unitamente a Triesenberg nel Principato del Liechtenstein, dispongono ora di un nuovo e prezioso veicolo promozionale che illustra la diversità racchiusa nella piccola Svizzera, fornendo indicazioni storiche, informazioni pratiche e, in evidenza, specifiche curiosità. Un vantaggio da sfruttare anche per creare circoli virtuosi a livello locale in modo che il turismo possa fungere da traino per iniziative a beneficio della popolazione nel rispetto di un equilibrio fra il primo e la seconda. Informazioni

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 settembre 2021 • N. 39

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società e territorio Rubriche

approdi e derive di Lina Bertola Quo vadis progresso? Mi è stato chiesto di approfondire l’idea di progresso nelle sue diverse accezioni, nelle sue luci e nelle sue ombre. Lo faccio volentieri anche perché ciò mi permette di rendere più esplicito il titolo di questa mia rubrica. «Approdi e derive»: tentare di leggere i problemi e le contraddizioni del presente come possibili derive rispetto agli approdi che hanno segnato la storia, approdi riusciti o anche solo pensati come mete possibili. Nelle contraddizioni del presente, e non solo nelle immani tragedie umanitarie, quante derive, quanti approdi mancati: situazioni che possiamo anche accettare, e perfino giustificare, con la grammatica della legalità o con le interpretazioni del mainstream, ma situazioni che sentiamo inopportune proprio perché hanno perso di vista il loro porto. Prestare attenzione alle scelte e alle rinunce che hanno segnato il cammino della nostra civiltà permette di osservare le forme del nostro stare al mondo

prendendo le distanze dallo stile di pensiero oggi dominante: un pensiero che descrive la realtà quasi fosse un dato di fatto, un’evidenza ineludibile su cui non abbiamo più alcuna presa. Considerare gli aspetti problematici del presente come derive che ci hanno allontanato e ci allontanano dalla meta è come imbarcarsi su un veliero di cui possiamo sempre correggere la rotta. Navigare tra approdi e derive permette di aprire uno spazio di resistenza al disincanto e alla rassegnazione; permette di ridare dignità e senso al futuro, ovvero ad un altrove possibile. Si tratta di una scelta etica non irrilevante perché oggi il futuro, con la sua carica di progettualità, sembra scomparso dalla scena, inghiottito da un presente che lo concepisce solo come continuo rinnovamento di sé, senza immaginare alcuna meta che ci porti da un’altra parte. Eppure, in epoca moderna il futuro è stato pensato come un altrove, come

un tempo altro verso cui tendere, come il luogo di un progetto nutrito dalla fiducia nella possibilità di incamminarci verso il meglio, sia come individui sia come società. Queste atmosfere, che culminano nella civiltà dei Lumi, alludono ad una evoluzione dell’uomo e della società in cui prende forma l’idea di progresso. Anche il linguaggio ce lo ricorda: fare progressi significa migliorare. Oggi, con il futuro imprigionato in una continua ripetizione del presente, questa idea di progresso perde la sua essenza. Il cosiddetto progresso tecnologico è in fatti solo un nome abusato con cui sdoganare felicemente il potenziamento dei suoi mezzi, condividendo, ancor più felicemente, il mantra dell’innovazione. Bloccati sul presunto valore di questi mezzi tecnologici, perdiamo contatto con il valore che nutre l’idea di progresso, ovvero con l’orizzonte dei fini, con le finalità del vivere e del convivere. Tutto ciò a me pare l’indizio potente di

una profonda deriva su cui vale la pena riflettere. E così, ancora una volta, mi chiedo: che cosa ne abbiamo fatto del nostro progetto di umanità? Proprio attorno a questa domanda sembrano infatti delinearsi ulteriori derive. In un recente saggio davvero illuminante, Marco Revelli ripercorre la storia del concetto di umanità fino a porci di fronte a quella che appare oggi come la sua ultima inquietante deriva, una vera e propria «frattura» in cui, del compito di migliorare l’umano, si impadronisce la tecnologia. È il progetto del cosiddetto trans-umanesimo, della sua ambizione trasformativa, in cui si esprime compiutamente la volontà di potenza dell’uomo. È l’ultima spiaggia di quell’antropocentrismo che fin dall’antichità ha segnato, nel bene e nel male, la nostra cultura. I primi segnali di questo «superomismo tecnologico» riguardano la missione della medicina: un sapere riparativo del

vivente danneggiato che si trasforma in tecnica, o insieme di tecniche, che mirano a potenziarlo. «Non più ripristino di un naturale sano – scrive Marco Revelli citando gli studi di Luc Ferry – ma metamorfosi verso un inedito ibrido, ottenuto inserendo nel corpo biologico umano componenti artificiali». E aggiunge: «non solo al fine di compensare mutilazioni o inabilità ma anche al fine di ottenere capacità superiori in termini di potenza fisica e mentale». In questo modo sparisce una soglia, e voilà: il «progresso» è servito! Poi però ci siamo noi, noi che andiamo a camminar nel bosco, noi che cresciamo i nostri figli, e lavoriamo, amiamo, soffriamo, qualche volta per fortuna sogniamo. E in tanti frammenti di umana quotidianità custodiamo, forse senza saperlo, un altro progetto. Maquantaforzahalanostravoce,il nostrosentimentodiinteriorità,perresistereallospiritodeltempo?Riprenderòla domanda,conqualchepossibilerisposta.

castello di Trevano». Lo zampillo è all’altezza di un luogo di memoria, che ricordi il sogno di quel castello e la vergogna di un cantone, la scultura di Nettuno però grida vendetta. La tocco per sapere di più, faccio pure toc toc, ma non riesco a capire bene. Ad ogni modo non ha più granché da dire con questa patina tremenda. Forse è una superficie protettiva, ma ben vengano le intemperie, la ruggine, la rovina del tempo, piuttosto che questa piatta patina patetica. Un mio amico antiquario, dall’occhio più esperto, a cui chiedo un parere, riconoscendo lo stesso problema di cui soffre un gatto di Remo Rossi, sospetta siano repliche. Comunque sia, mi sembra uno sberleffo ulteriore, dopo non essere andati tanto per il sottile con tutto il resto, oltre a costruire – dove sorgeva «una delle più belle residenze della Svizzera» come veniva descritta nelle guide turistiche – tre scuole una più orrenda dell’altra. Il piedistallo, in rocaille, almeno, conserva la sua anima. Lavoro della famiglia Schmid – artigiani di Vals venuti ad abitare al Sassello, quartiere di Lugano raso

al suolo tanto per cambiare – autori, pare, anche della fontana tutta in rocaille in piazza Manzoni. Di fronte al Nettuno, oltre la strada, la facciata trompe-l’œil stile chalet-isba, restaurata anni fa come si deve, ricorda che lì c’era l’ex villaggio del personale. Alle sue spalle, qui dietro, lo stravagante boschetto e i resti delle grotte di tufo. Saluto il Dio Pan, opera di Antoine Coysevox datata 1709 e nota come Berger flûteur o Faune jouant de la flûte, il cui originale, in marmo, dopo aver ornato il castello di Marly – saccheggiato durante la Rivoluzione francese – è esposta al Louvre. Facendo astrazione dalla patina sospetta, diverte, sul retro del fauno che suona il flauto a traverso, con in grembo una pelle di pecora e un flauto di pan a penzoloni, il piccolo satiro. Piedi caprini e faccia da putto, è rivolto al boschetto di pregio dimenticato da tutti, quasi a voler ridonare un’aria satiresca a quest’angolo di mondo. Rimane percepibile, al di là di tutto, il movimento del Nettuno che armeggia con il tridente, di certo non paragonabile alla forza e grazia di un Giambologna ma non privo di tenacia.

Passeggiate svizzere di Oliver Scharpf Il nettuno di trevano Non credevo ai miei occhi, l’altro giorno, correndo giù accanto al vigneto, alla vista dello zampillo. La fontana con il Nettuno – amaro rimasuglio scampato allo scempio cantonale della distruzione del castello di Trevano – vista vuota da sempre, era rinata. Ho corso fino a Gandria, come previsto, con più grinta e speranza, nonostante tutto, grazie a quello scroscio d’acqua quasi miracoloso, deciso a ritornarci, con più calma. Posteggio la vespa piùomeno dove la posteggiavo secoli fa, ai tempi del liceo. E così, uno dei primi mattini d’autunno, vado a trovare il Nettuno di Trevano (343 m), opera di Vital Gabriel Dubray (1813-1892), scultore parigino. Fusa in bronzo nel 1856 dalla celebre fonderia Ducel, nella dépendance di un antico castello a Pocé-sur-Cisse, villaggio nella Valle della Loira dove i castelli non mancano, eccola là, la statua di Nettuno, a vigilare di nuovo su uno specchio d’acqua. In pietra di Saltrio, dicono, è la fontana più grande del Ticino. Mi siedo sul bordo, la pietra grigiastra, chiazzata di bianco e nero, con qualche sottile crepa, racconta

dignitosa la sua storia. Ai miei tempi era vuota; in mezzo, posteggiati, i resti della fontana orientale: uno dentro l’altro, i due calici giganteschi facevano venire in mente dei tulipani fuori scala. Un piede in testa a un mostro marino, la divinità romana delle acque correnti – e dal 399 avanti Cristo, Dio del mare – mostra un polpaccio sportivo. Posizionato su un piedistallo in rocaille, l’atletico Nettuno di Trevano, ha però, per via del restauro, una patina un po’ così. Tipo plastilina, color vomito. Stessa sorte il Pan che gli tiene compagnia, lì sotto le fronde di un faggio pendulo. In origine dorato, come il Nettuno identico della fontana di Clermont-Ferrand, dove sono sopravvissuti due gettarelli d’acqua, sputati fuori dalla bocca dei due mostri simmetrici. Nessun gioco d’acqua qui, solo la presenza, più in là, di una Marianna senza naso. Di Nettuni neobarocchi così, firmati Dubray, ne trovate ancora altri a Pocésur-Cisse, Rio de Janeiro, Riobamba, La Jonchère-Saint-Maurice, LuxeuilLes-Bains, Le Havre, Arras, Cahors, Cerelles, Condécourt, Ghisoni, Sète,

Colonia, Magdeburgo, Montevideo, Lima, Città del Messico, Santiago del Cile, Valparaiso. Una costellazione di Nettuni che unisce tra loro questi luoghi. Come Trevano, frazione di Porza, dove nel 1871, il barone russo Paul von Derwies (1826-1881), imprenditore ferroviario e pianista, fa costruire la dimora dei suoi sogni definita da qualcuno, all’epoca, come «uno di quei palazzi fantastici che si dipingono sulle porcellane della Cina». Depredato per bene, il castello di Trevano – noto anche, dopo il periodo Lombard, come il Castello della Musica, con sala concerti senza eguali e teatro da lasciare a bocca aperta – assieme al suo parco con sette laghetti che richiamavano i sette mari eccetera, il trentuno ottobre del 1961, alle quattro e cinque del pomeriggio, per decisione del Canton Ticino (che aveva comprato il castello per duecentomila franchi), vengono fatti saltare in aria con duecentotrenta chili di altorfite. Cinquecentosettantamila franchi, il dodici giugno 2013, vengono concessi dal Dipartimento delle finanze, per il restauro della «Fontana Nettuno presso il parco ex

la società connessa di Natascha Fioretti Giornali, letteratura e visual data, niente di più bello Da qualche tempo vado in bicicletta. Qualsiasi momento libero, qualsiasi commissione in zona Camorino, salto sulla bici e vado. Per diversi motivi negli ultimi anni avevo dimenticato quanto fosse bello sentirsi pizzicare le guance dall’aria fresca mentre ti lanci in discesa o sentire il viso diventare rosso come una lanterna magica per lo sforzo di una salita. Pedalare mentre intorno scorrono alberi, fiori, cavalli, mucche e il fiume nel quale poi vai a rinfrescarti i piedi, è una sensazione di grande libertà. Non vi nascondo che in questo periodo dell’anno ci sono anche parecchi e fastidiosi moscerini che si infilano dappertutto. Negli occhi e nel naso soprattutto. Ma un po’ di sofferenza ci vuole, altrimenti che gusto c’è ad essere felici? Se anche voi siete stanchi delle conseguenze di una vita troppo sedentaria e non avete ancora

trovato un’attività o una palestra che fa al caso vostro, provate la bicicletta. Vi sembrerà banale ma nel mio caso ha fatto la differenza facendomi tornare il sorriso e rimettendo in carreggiata più di un neurone smarrito o assopito. Va bene, oggi l’ho presa larga e allora arrivo al punto: il sabato mattina è diventato un rito andare al mercato di Bellinzona in bici passando per il Parco di Magadino. Prima tappa: mettere i piedi nel fiume in zona SaleggiBoschetti dove è appena finita la riqualifica del Parco Fluviale. Seconda tappa: L’arte del caffè dove mi dedico alla lettura dei giornali bevendo un buonissimo cappuccino, di quelli con la schiuma densa e cremosa che ben si sposa con il caffè e non si sgonfia alla prima immersione del cucchiaino o dello zucchero. Due sabati fa nel bel mezzo del mio rito mattutino sfoglio

la «Lettura» del «Corriere della Sera» e mi imbatto in un lungo approfondimento su Italo Calvino e l’esplorazione della sua opera da più punti di vista. Chi di voi ha letto e conosce Calvino si starà chiedendo cosa c’è di nuovo. L’ho scoperto quando sono arrivata alle pagine sei e sette riempite da una gigantesca mappa fatta in visual data che potrebbe sembrare la bella copia di un accurato processo di brainstorming. La mappa fa parte del progetto di visual data Atlante Calvino ed è a cura dell’Unità di italiano dell’Università di Ginevra in collaborazione con il laboratorio DensityDesign del Politecnico di Milano. In alto sulla mappa cartacea è indicato il sito del progetto atlantecalvino.unige.ch che vi consiglio di andare a vedere. Esplorandolo mi ha fatto piacere scoprire che l’equipe letteraria ideatrice e curatrice del pro-

getto è fatta di donne e sono Francesca Serra, Valeria Cavalloro, Virginia Giustetto e Margherita Parigini tutte dell’Università di Ginevra. Equipe che ha lavorato in stretta sinergia con il laboratorio di ricerca DensityDesign che ha messo al servizio del progetto le proprie conoscenze maturate in ambito Digital Humanities come pure competenze legate alla rappresentazione, analisi e comunicazione dei dati. A spiegare natura e cuore del progetto è un video che subito presenta i tre itinerari principali: dubbio, spazio e forma strettamente connessi tra di loro. Il dubbio perché elevato da Calvino a strumento conoscitivo e narrativo fondamentale. Lo spazio perché àncora la scrittura alla realtà e insieme la sbalza nell’astrazione. Infine la forma che l’opera deve prendere. Insomma tra un sorso di cappuccino e l’altro,

il mio sguardo interessato viaggiava dal giornale cartaceo agli elementi grafici della mappa sul mio cellulare in una sorta di approfondimento nell’approfondimento, lettura nella lettura. Mentre il cartaceo raccontava l’itinerario sul dubbio, sulla versione digitale approfondivo quello dello spazio che come prima tappa prevede i luoghi. Calvino dava molto rilievo alla dimensione narrativa dello spazio e il progetto esplora il corpus dell’opera narrativa attraverso la mappatura di tutti i suoi luoghi, in questo caso quelli d’ambientazione, vale a dire i luoghi in cui si sviluppa l’azione, in presenza dei personaggi. Che bellezza! Un cappuccino da solo non è bastato ad una lettura e ad una navigazione così intense, ho dovuto fare il bis. E poi via in sella alla bicicletta.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 settembre 2021 • N. 39

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ambiente e Benessere Il foltovoltaico fai da te Interessante studio sui vantaggi economici per una comunità di autoconsumo

la Bulgaria su due ruote Strati di civiltà, stili di vita, lingue, scritture, architetture di un Paese da scoprire

nuvole artificiali In Cina continuano i test per fare piovere su terre aride oppure inquinate pagina 24

pagina 23

pagine 20-21

uno show della mobilità Pieno successo per lo IAA Mobility, primo salone dell’auto di Monaco di Baviera

pagina 27

Il potere rosa della conoscenza

tumori femminili È fondamentale informare

e sensibilizzare le donne sull’importanza di prevenzione, diagnosi e cure interdisciplinari

Maria Grazia Buletti Con il motto «L’informazione è potere e comunicare è la soluzione», lo scorso 20 settembre in Europa si è svolta la terza edizione della Giornata mondiale dei tumori ginecologici. Poi, con «Ottobre rosa» si promuove il mese dedicato alla prevenzione del tumore al seno. Così si vuole tenere alta l’attenzione sui tumori femminili, che sono tra i meno conosciuti, sebbene al mondo siano più di 3,5 milioni le donne colpite con più di 1 milione di diagnosi ogni anno. La Giornata mondiale ad essi dedicata è nata nel 2019 perché sono ancora troppo poche le donne che riconoscono i sintomi di un tumore ginecologico, che usufruiscono di tutte le opportunità di prevenzione disponibili o che conoscono gli specialisti a cui affidarsi per le cure. «Sono tumori che si sviluppano nell’utero, ovaie, tube, e più raramente vulva e vagina, la cui prognosi è migliorata significativamente nell’ultimo decennio grazie alle maggiori conoscenze di biologia molecolare, all’approccio multidisciplinare e all’impiego, concomitante o in sequenza, della chirurgia, della radioterapia e della terapia medica». A parlare è il professor Andrea Papadia, specialista in ginecologia oncologica e primario di ginecologia e ostetricia all’Ospedale Regionale di Lugano. Papadia afferma che oggi, per molte di queste neoplasie, «una diagnosi non rappresenta una condanna» a patto che si valorizzino prevenzione primaria e prevenzione secondaria. Semplice la pratica della prima: «La prevenzione primaria passa per un sano stile di vita che comprende la rinuncia al fumo, agli eccessi alimentari e a un consumo moderato di alcol; evitando la sedentarietà con almeno mezz’ora al giorno di movimento». Il professore sottolinea poi l’unicità delle neoplasie, per alcune delle quali esistono validi strumenti di prevenzione secondaria: «Ad esempio, il vaccino contro HPV, o lo screening del pap-test (eseguito a cadenza triennale o secondo indicazione medica) che è in grado di identificare i precursori del carcinoma della cervice prima che esso presenti le caratteristiche tumorali: un test banale che permette però di giungere a una diagnosi precoce, in grado di identificare una condizione precancerosa contrastabile con una semplice

terapia di prevenzione del cancro». Il dottor Papadia osserva che «queste misure di prevenzione hanno permesso di modificare l’impatto di questo tumore, rimasto fra i più comuni a livello mondiale tranne che nei Paesi in cui la prevenzione è effettuata». La natura individuale dei tumori femminili non permette uno screening per ciascuno di essi: «Per il tumore ovarico non esiste una metodica di screening di provata efficacia, contrariamente a quanto accade negli altri carcinomi (ndr: cervice e mammella per i quali è possibile la prevenzione secondaria attraverso lo screening)”. Non è possibile dunque identificarne uno stadio precanceroso e la diagnosi si pone in seguito alla comparsa di sintomi che bisognerebbe saper riconoscere per recarsi tempestivamente dal medico: «La sintomatologia si presenta solo quando la malattia è già avanzata, però possono esserci sintomi generici (come mal di pancia continui dei quali non si trovano altre cause) che meritano un’indagine specialistica ginecologica». Il tumore al seno è una neoplasia a sé stante: rappresenta un terzo dei nuovi casi di tumori femminili in Svizzera e comporta un rischio di mortalità di quattro donne su cento. Ne parliamo con il chirurgo senologo Francesco Meani, responsabile clinico del Centro di Senologia della Svizzera italiana dell’EOC che ribadisce come questa neoplasia sia un «problema di portata mondiale. In Europa sono 500mila le diagnosi annue, di cui 5mila in Svizzera e circa 330-350 in Ticino». Ciò significa che una donna su otto si ammala di tumore al seno nel corso della propria vita. Per questa neoplasia, dal 2015 il nostro Cantone propone la prevenzione secondaria attraverso l’offerta del Programma cantonale di screening mammografico come servizio pubblico alle donne tra i 50 e i 69 anni: «Ogni due anni la donna può sottoporsi a una mammografia gratuita nell’ambito di questo programma di alto livello qualitativo, raccomandato dalla federazione svizzera dei programmi di screening del cancro Swiss cancer screening, dalla Lega svizzera contro il cancro e dall’OMS». Un esame che rappresenta il «metodo scientificamente più appropriato per l’individualizzazione precoce del tumore al seno». La fascia d’età è identificata e scelta

Il professor Andrea Papadia, specialista in ginecologia oncologica, primario di ginecologia e ostetricia ORL e il dottor Francesco Meani, chirurgo senologo, responsabile clinico Centro Senologia SI dell’EOC (a destra). (Stefano Spinelli)

nella popolazione femminile considerata più a rischio: «Ma non andrebbe dimenticato che la percentuale di tumore mammario di tutte le altre donne con meno di 50 anni e più di 70 è ben più del 50% del totale». Lo screening mammario ha ridotto del 30% la mortalità dovuta al tumore del seno; per ogni donna vale comunque sempre l’autopalpazione consapevole onde arrivare a individuare più precocemente un eventuale sospetto di tumore: «Un’autopalpazione non scientifica ma regolare: basterebbe che la donna entrasse in confidenza con il proprio seno palpandosi sotto la doccia, consapevole che si tratta di un organo con morfologia irregolare che nelle donne giovani cambia nel corso del ciclo». Nel tempo, ciascuna saprà individuare un cambiamento sospetto e, nel

caso, dovrà rivolgersi al medico che stabilirà «se si tratta di una cisti o di un’innocua alterazione del tessuto ghiandolare». Per i tumori ginecologici e per il tumore al seno entrambi gli specialisti concordano sulla presa a carico sempre più individualizzata, «su misura», e altamente specialistica, con la partecipazione di differenti figure curanti che si uniscono «in rete» nel percorso terapeutico, a vantaggio della migliore prognosi possibile. A questo proposito, Meani spiega che «per il seno è determinante rivolgersi a un centro di senologia che sappia offrire un percorso altamente specializzato, individuale e multidisciplinare». Per i tumori femminili, conclude Papadia: «L’oncologia ginecologica si occupa di prevenzione, diagnosi, trattamento chirurgico e chemiotera-

pico delle neoplasie ginecologiche e integra le proprie competenze in modo multidisciplinare con quelle di radiologi, anatomo-patologi, radioterapisti, oncologi medici e ricercatori specificatamente dedicati a queste patologie». Giovedì 7 ottobre, alle 18.30 sarà possibile seguire una conferenza pubblica virtuale sul tema dei tumori femminili nella quale si potranno porre domande ai due specialisti, il professor Andrea Papadia e il dottor Francesco Meani (le coordinate per accedere al Webinar si trovano a seguendo questo link: https://bit.ly/3EBRu2E); mentre sabato 9 ottobre il Centro di senologia della Svizzera italiana organizza una giornata «In bicicletta nel Luganese, in movimento per la prevenzione del tumore al seno» (iscrizione al link: eventfrog.ch/pedalata).


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 settembre 2021 • N. 39

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ambiente e Benessere

autoproduzione fotovoltaica

PRO SENECTUTE

informa

Progetti Massimizzare il consumo proprio non si traduce

Si riparte!

automaticamente in una bolletta elettrica più bassa, sebbene la partecipazione comunitaria ripaghi i residenti

«Mi è mancato molto non poter andare a ginnastica a causa della pandemia, non appena ci siamo incontrate di nuovo è stata una grande emozione!» «C’è tanta voglia di partecipare nuovamente alle attività di gruppo!» Le persone che hanno partecipato alle nostre proposte estive di movimento all’aperto lo hanno fatto con grande entusiasmo e voglia di ripartire dopo un periodo difficile. Da metà settembre riprenderanno tutte le attività sportive e i corsi in tutto il Ticino e nel Moesano. – Programma corsi 2021-22 Il nuovo programma corsi è disponibile. Non è mai troppo tardi per iniziare a fare del movimento o iscriversi ad un corso, provate anche voi! Per informazioni o richiedere la copia cartacea telefonare al centralino 091 912 17 17. La versione on-line è leggibile sul nostro sito internet.

Fritz Lüpold è uno dei nuovi residenti del complesso residenziale di Möriken-Wildegg. (B. Vogel)

Benedikt Vogel*

Gambe forti per camminare sicuri Pro Senectute con il team di formatori di «Gambe forti per camminare sicuri» raccomanda a tutte le persone di fare movimento in maniera regolare: muoversi almeno mezz’ ora al giorno è importante per il benessere fisico e psichico. Maggiori informazioni sugli esercizi che possono essere eseguiti anche a casa sul sito: www.camminaresicuri.ch. È possibile richiedere l’opuscolo «I vostri esercizi per tutti i giorni» all’Associazione PIPA (pipa@ticino.com o Tel. 079 357 31 24)

Contatto: Pro Senectute Ticino e Moesano Via Vanoni 8/10, 6904 Lugano Tel. 091 912 17 17 – info@prosenectute.org Le nostre sedi regionali si trovano anche a: Balerna, Bellinzona, Biasca e Muralto

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La produzione autonoma di energia solare è una tendenza di grande attualità. Dal 2018, una nuova legislazione ha favorito la formazione di comunità di autoconsumo (Rcp) che permettono di condividere l’energia elettrica fotovoltaica autoprodotta tra più consumatori su un unico fondo o su fondi confinanti. Un progetto pilota sostenuto dall’Ufficio federale dell’energia ha ora analizzato più da vicino le conseguenze finanziarie di questo tipo di raggruppamento, arrivando a formulare le seguenti conclusioni: i partecipanti all’Rcp in esame beneficiano di elettricità solare a basso costo. Questo non significa tuttavia che massimizzare il consumo proprio si traduca automaticamente in una bolletta elettrica più bassa. Una mattina di sole a Möriken (AG). Fritz Lüpold esce di casa per lasciare lungo la strada due pacchi legati con spago per il servizio di raccolta della carta usata. È pensionato e vive nel nuovo complesso residenziale sul Grabenweg (vedi riquadro di testo). «Abbiamo venduto la nostra casa e ci siamo trasferiti qui, in parte perché qui possiamo usare l’energia fotovoltaica che produciamo», racconta Fritz Lüpold. I moduli fotovoltaici (FV) ricoprono non solo i tetti, ma anche il padiglione nel cortile interno, i davanzali degli attici e parte delle pareti del complesso. Ma non è tutto: «All’interno del nostro appartamento abbiamo un display», continua Lüpold, «su cui possiamo vedere quando il nostro sistema sta producendo energia fotovoltaica. Quando si accende una spia luminosa verde, è il segnale che possiamo accendere la lavastoviglie o la lavatrice: in questo caso useremo infatti la nostra energia elettrica, che è persino più economica della bassa tariffa». Fritz Lüpold e sua moglie sono tra le circa cento persone che si sono trasferite dal 2019 nei 35 appartamenti di proprietà o in affitto del complesso residenziale sul Grabenweg. Come è usuale per le nuove costruzioni, le quattro case plurifamiliari sono dotate di un eccellente isolamento termico (standard Minergie-P-ECO). L’acqua calda sanitaria e l’acqua di riscaldamento sono prodotte da pompe di calore salamoiaacqua. In estate, il calore degli appartamenti viene utilizzato per rigenerare il terreno attraverso il sistema di riscaldamento a pavimento. Nel parcheggio

sotterraneo sono disponibili stazioni di ricarica per veicoli elettrici. L’energia elettrica è fornita al complesso da un impianto fotovoltaico con una potenza di 164 kWp. Nel suo primo anno di funzionamento, ha generato 153mila kWh di energia elettrica – più del previsto, e più di quello che i residenti nei 35 appartamenti consumano nel corso di un anno. In linea di massima, tutti questi aspetti non sono nuovi, e nemmeno il fatto che i residenti di un complesso residenziale si organizzino in un «raggruppamento ai fini del consumo proprio» (Rcp), ossia in una comunità che autoproduce l’energia solare di cui ha bisogno. Ciò che è nuovo, tuttavia, sono il sistema di controllo intelligente e gli strumenti utilizzati per aumentare il consumo proprio: un display in ogni appartamento segnala ai residenti

Grabenweg e i suoi partner Il complesso residenziale sul Grabenweg nel Comune di MörikenWildegg (AG) è stato realizzato dalla Setz Architektur AG di Werner Setz e David Zimmerli. Il software del programmatore del consumo proprio con relativo sistema di acquisizione dati sono stati sviluppati dalla Smart Energy Control AG (oggi: Smart Energy Engineering GmbH). Questo software consente anche la fatturazione dei costi energetici per i residenti sulla base di una tariffa elettrica variabile («Real Time Pricing»). Il monitoraggio nel primo anno d’esercizio è stato effettuato dal professor Hans Gysin (Istituto di Automazione della Scuola universitaria professionale della Svizzera nordoccidentale). Il progetto è stato sostenuto dal programma pilota e di dimostrazione dell’Ufficio federale dell’energia (UFE). In questo modo, l’UFE promuove lo sviluppo e la sperimentazione di tecnologie, soluzioni e approcci innovativi che danno un contributo significativo all’efficienza energetica o all’uso delle energie rinnovabili. Le domande per le sovvenzioni possono essere presentate in qualsiasi momento (www. bfe.admin.ch/pilotdemonstration)

quando viene prodotta energia fotovoltaica ed è quindi più conveniente usare i propri apparecchi elettrici. L’energia prodotta in tempo reale dall’impianto fotovoltaico è disponibile attraverso una «presa solare» installata in ogni appartamento. Inoltre, l’Rcp dispone di un sistema di controllo automatico, il cosiddetto «Eigenverbrauchsmanager, EVM» (programmatore del consumo proprio), che programma il funzionamento delle pompe di calore, delle lavatrici e delle lavastoviglie solo quando è disponibile energia autoprodotta, a condizione che la gestione di queste utenze tramite controllo automatico sia stata approvata. L’intenzione: consumare possibilmente tutta l’energia solare autoprodotta direttamente sul posto. Questo obiettivo è stato raggiunto in larga misura. Lo dimostra un progetto di monitoraggio condotto dalla Scuola universitaria professionale della Svizzera nordoccidentale (FHNW) per il periodo di misurazione da settembre 2019 ad agosto 2020. La maggior parte degli elettrodomestici sono stati azionati con energia solare, sia manualmente (quando la luce verde è accesa) sia tramite la funzione automatica (controllo tramite EVM), come mostra l’analisi dei dati. Anche la presa solare è stata accolta favorevolmente. In conclusione, sono stati usati localmente ben due quinti dell’energia fotovoltaica autoprodotta (quota di consumo proprio: 39,8%) – senza l’uso dell’EVM, si stima che la quota scenderebbe a circa il 20%. Rispetto a un fabbisogno annuale di energia elettrica del complesso residenziale pari a circa 138mila kWh, ben 61’000 kWh sono stati coperti con l’energia solare autoprodotta (grado di autarchia: 45,6 %). Questi valori sono stati raggiunti senza accumulatori a batteria, grazie all’accumulo termico dell’energia nelle caldaie termiche ad acqua calda e nella massa degli edifici. Ciò consente di «surriscaldare» i locali di uno o due gradi con la produzione fotovoltaica diurna, in modo tale da immagazzinare l’esubero di energia nell’edificio per utilizzarlo nelle ore serali e notturne. Gli accumulatori termici di acqua calda sono stati sovradimensionati di circa due volte. Da un punto di vista economico, lo studio di monitoraggio si è concentrato sull’aspetto finanziario della comunità di autoconsumo. L’acquisto di un potente impianto fotovoltaico è vantaggioso per i residenti, come evidenziato


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ambiente e Benessere dallo studio sulle misurazioni effettuate nel 2019/20: nei dodici mesi in esame, i residenti hanno registrato in totale 29’310 franchi alla voce spese elettriche. Se avessero coperto il loro fabbisogno energetico in pari misura e nelle stesse ore del giorno in alta e bassa tariffa attingendo unicamente dalla rete elettrica, avrebbero dovuto pagare come comunità 2235 franchi in più (+8%). Il rapporto finale conclude osservando che il raggruppamento ai fini del consumo proprio è stato dunque chiaramente un «buon investimento» per i residenti. È lecito dunque concludere che una comunità Rcp beneficia di vantaggi finanziari in misura proporzionale alla quantità di energia autoprodotta che consuma? Secondo Hans Gysin, professore della FHNW e autore dello studio di monitoraggio, questa speranza non è confermata: «Spostare selettivamente il consumo di elettricità nelle ore in cui viene prodotta energia solare non fornisce alcun beneficio aggiuntivo, ma può essere considerato finanziariamente come una partita a posta zero nell’anno in esame 2019/20». Secondo Gysin, il motivo va ricercato nell’attuale struttura tariffaria: nell’Rcp, l’elettricità solare autoprodotta è costata 16,68 ct./kWh, ossia poco più di un centesimo in meno della bassa tariffa (17,76 ct./kWh). Fintanto che la differenza tra l’energia elettrica fotovoltaica autoprodotta e la bassa tariffa rimane così esi-

gua, non può esservi alcun vantaggio finanziario per i residenti nel massimizzare il consumo proprio. Il ricercatore della FHNW sostiene la tesi centrale del suo studio con vari calcoli dettagliati basati su diversi milioni di dati aggregati di misurazione, che documentano la produzione e i consumi di energia elettrica sull’area con cadenza di quindici minuti. Tutti gli sforzi si sono concentrati sulla massimizzazione del consumo proprio di energia fotovoltaica. Quando l’elettricità solare autoprodotta non è stata sufficiente per soddisfare la domanda, è stata acquistata energia elettrica supplementare dalla rete ad alta (20,99 ct./ kWh) o bassa (17,76 ct./kWh) tariffa in base all’ora del giorno. L’analisi dei dati mostra che nelle giornate estive soleggiate la produzione FV copre l’intero fabbisogno, pertanto i residenti beneficiano della tariffa FV più conveniente. Ma negli altri mesi dell’anno l’energia solare è spesso insufficiente, pertanto durante «le ore solari» (cioè durante il giorno) è necessario un prelievo dalla rete di energia elettrica ad alta tariffa. Tutto questo si traduce spesso in una tariffa mista che è significativamente più alta della tariffa FV e della bassa tariffa. In altre parole, nel corso dell’anno si verifica spesso la situazione in cui il consumo di elettricità nelle ore diurne, quando l’impianto fotovoltaico è

Il programmatore del consumo proprio regola e ottimizza Il complesso residenziale sul Grabenweg deve riuscire a consumare quanta più energia elettrica autoprodotta possibile. Ciò è reso possibile grazie all’impiego di un software sviluppato appositamente per la regolazione del consumo proprio di energia solare (Eigenverbrauchsmanager/EVM) che compensa le forti oscillazioni della produzione di energia solare e, di conseguenza, dei consumi di energia elettrica. L’EVM controlla il funzionamento degli impianti in base ai valori di produzione e consumo di energia elettrica che vengono misurati costantemente. Non appena la produzione dell’impianto fotovoltaico supera il consumo dell’area in una finestra di 15 minuti, l’EVM segnala «energia elettrica FV disponibile». Da questo momento, i dispositivi controllati dall’EVM saranno azionati individualmente in modo tale da concentrare quanto più possibile i consumi nelle ore in cui è disponibile energia solare autoprodotta. Inoltre, una luce verde negli appartamenti indica ai residenti quando è possibile usare l’elettricità fotovoltaica. Se la frazione solare è troppo bassa, la luce cambia da verde a rossa, senza causare interruzioni di alimentazione agli elettro-

domestici che dovessero essere già in funzione. La tariffa elettrica pagata dai residenti è variabile e viene calcolata a intervalli di 15 minuti: se la produzione di energia fotovoltaica è stata sufficiente a coprire il fabbisogno negli ultimi 15 minuti, si applica la tariffa FV. Se, invece, durante l’ultimo quarto d’ora sono stati ad esempio coperti due terzi della domanda con elettricità FV e un terzo dalla rete, per questo quarto d’ora si applica una tariffa mista, composta per due terzi dalla tariffa FV e per un terzo dall’alta tariffa. Se, per esempio, un residente accende la lavatrice alle undici del mattino perché la luce verde è accesa («energia elettrica FV disponibile»), non è dato sapere quale percentuale del ciclo di lavaggio sarà effettivamente coperta dall’elettricità FV. Nel caso migliore, sarà disponibile elettricità FV per tutta la durata di lavaggio di 2,5 ore di modo tale che il residente beneficerà della tariffa FV per tutto il tempo. Nel peggiore dei casi, alle 11.15 scoppierà un temporale che farà crollare la produzione fotovoltaica, pertanto il ciclo di lavaggio sarà coperto principalmente dall’elettricità prelevata dalla rete, che in questo momento del giorno è calcolata alla tariffa più alta.

Il complesso residenziale di Möriken-Wildegg (AG) è costituito da quattro palazzine di 35 appartamenti. (B. Vogel)

in funzione, è più costoso rispetto al prelievo di energia elettrica nelle ore a bassa tariffa (di notte, nel weekend). I calcoli mostrano che massimizzare il consumo proprio è addirittura svantaggioso sul piano finanziario, sia per le economie domestiche sia per le pompe di calore (che incidono pesantemente sui consumi di elettricità) (vedi articolo correlato: «Il programmatore del consumo proprio regola e ottimizza»). Tuttavia, la perdita finanziaria causata dalla massimizzazione della quota di consumo proprio ammonta solo a pochi franchi in tutto l’anno. Un alto livello di consumo proprio dà quindi ai residenti la soddisfazione di coprire il proprio fabbisogno di elettricità con un’alta percentuale di energia solare prodotta in modo sostenibile, ma da un punto di vista finanziario questo non dà loro alcun vantaggio aggiuntivo alle tariffe attuali. Rimane da notare che le

tariffe (specialmente quelle per l’energia fotovoltaica) si applicano solo al presente progetto e possono essere molto diverse in altre aree di distribuzione. Gli autori del rapporto finale del progetto hanno fatto luce sull’argomento anche dal punto di vista del gestore dell’Rcp, in questo caso l’azienda elettrica locale RTB Möriken-Wildegg. Il gestore trae beneficio da un elevato consumo proprio perché la vendita di elettricità fotovoltaica ai residenti è più redditizia (poco meno di 17 ct./ kWh) rispetto alla sua immissione in rete (in questo caso poco meno di 7 ct./ kWh). Un calcolo del ritorno dell’investimento per l’impianto solare, inclusa la tecnologia di misurazione e controllo, stima al 5,2% il tasso di rendimento dell’investimento del gestore durante il progetto pilota annuale (senza sovvenzioni per l’impianto fotovoltaico si attesterebbe al 3%). La quota di consumo

proprio determina quindi, indirettamente, anche l’attrattiva di un Rcp per un investitore, sottolinea David Zogg (Smart Energy Engineering GmbH): «Grazie al nostro programmatore del consumo proprio è stato possibile incrementare il consumo proprio in modo massiccio e il gestore ha realizzato un interessante ritorno sul suo investimento nell’energia solare». Informazioni

Il rapporto finale sul progetto «Innovative Eigenverbrauchsoptimierung für Mehrfamilienhaus-Arealüberbauung mit lokaler Strombörse in Möriken-Wildegg» è consultabile sul sito: www.aramis.admin.ch/ Texte/?ProjectID=38727. * su incarico dell’Ufficio federale dell’energia (UFE)

La potenza totale dell’impianto fotovoltaico è di 164 kWp. (B. Vogel) Annuncio pubblicitario

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Idee e acquisti per la settimana

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ambiente e Benessere La mappa del viaggio di andata fino all’arrivo a Sofia. (Sara Pellicoro)

archeologia On the road reportage In uno solo giorno si possono attraversare millenni di storia bulgara

Guido Bosticco Due ruote e mille gradini, due ruote e un’arrampicata sull’acropoli, due ruote e decine di tesori antichissimi. Un viaggio in moto in Bulgaria è, a dir poco, sorprendente: tra montagne e villaggi rurali, città di mare e campagne assolate, il passato straordinario di questa terra compare davanti agli occhi un pezzo alla volta, a patto di aver voglia di batterla palmo a palmo. Strati di civiltà, stili di vita, lingue, scritture, architetture si sovrappongono e restituiscono un Paese che è ancora poco noto ai turisti, sebbene rappresenti una meta perfetta per molti aspetti: clima, cibo, natura, costi, per dirne solo alcuni.

«Guerrieri e pensatori, cavalieri e guarnigioni esplodono da enormi blocchi di cemento, in cima alla collina» Ma ciò che sorprende − al di là dei ricordi scolastici attorno alla terra dei Traci (i primi insediamenti stanziali risalgono a 6000 anni prima di Cristo), conquistata da Alessandro Magno, poi dai Romani, dagli Ottomani, passata per le lotte di indipendenza e infine caduta sotto il maglio del Comunismo, prima di divenire finalmente membro dell’Unione Europea − è la piacevolezza sincera che si prova ad aggirarsi fra i boschi e le pianure. Oppure andare a scovare luoghi affascinanti o curiosi (come l’unico museo dell’umorismo al mondo), vestigia delle epoche più disparate o piccoli villaggi ricoperti di murales artistici, finiti perfino sul «New York Times». Basta prendere ogni tanto una deviazione dalla strada principale. Si parte da Varna, antica Odessos, sul Mar Nero. Le spiagge sono piene, come i bar e i numerosi parchi dall’aspetto assai vissuto, poca gente invece – in questi anni ancora di timori per

la pandemia – nel museo archeologico che contiene un antichissimo tesoro, straordinarie opere di gioielleria trovate in una necropoli del 4500 avanti Cristo. Desta meraviglia il livello di raffinatezza di quelle lavorazioni infinitamente piccole, realizzate con un gusto e una perizia che per molti secoli a venire non si sono più ritrovati. Li guarderesti per ore, chiedendoti come abbiano fatto senza una lente, una luce puntata, pinze microscopiche, insomma senza un laboratorio orafo. Ma è il momento di rimettersi in sella, la giornata è lunga e i secoli da incontrare sono ancora molti. Un paio di giorni fa, sull’assolata acropoli di Perperikon, il dio Dioniso ha dato il suo benestare al viaggio su due ruote, così come lo diede ad Alessandro Magno prima di partire per l’Asia. Dunque, via. In una sola giornata di viaggio, sulle due ruote sicure ma lente di una Royal Enfield, è possibile attraversare i millenni della storia, compiere un vero viaggio nel tempo. Dopo circa un’ora di andamento lento (Dioniso aveva suggerito di non stressare troppo questo monocilindro con due passeggeri a bordo) si giunge a Šumen. Per una scelta autonoma di GoogleMaps, ci arrivi da una strada che finisce in uno

La Santa Caterina che campeggia su uno dei portali della Cattedrale Nevskij, a Sofia. E una rosetta con rune dell’VIII-IX sec. d.C. (Sara Pellicoro)

sterrato, poi attraversa un prato da picnic e si ritrova proprio sul viale principale di accesso (pedonale) al gigantesco monumento dedicato «Ai fondatori della prima Bulgaria». Risparmi però una salita di milletrecento gradini, tanti quanti gli anni dalla fondazione dello Stato bulgaro, celebrati da questo mastodontico capolavoro dello stile bru-

Uno dei personaggi sui famosi murales di Staro Zhelezare, vicino a Plovdiv, finiti sulle pagine del «New York Times». (Sara Pellicoro)

talista sovietico. Guerrieri e pensatori, cavalieri e guarnigioni esplodono da enormi blocchi di cemento, in cima alla collina che domina la città. Di nuovo in sella, mezz’ora di strada e vieni catapultato in un bosco che nasconde grotte abitate più di diecimila anni or sono. Ti siedi su quella pietra e immagini. Passano i minuti e proseguendo sul sentiero appare quello che forse è il simbolo più rappresentato nella storia del Paese: il Cavaliere di Madara. Un bassorilievo a grandezza naturale, scolpito su una parete di roccia a trenta metri da terra. Siamo attorno all’anno 710 e celebra le gesta di un sovrano della tribù nomade dei Bolgari che, fondendosi con gli Slavi, diede origine alla prima Bulgaria. È un guardare silenzioso quello che richiede questo bosco letteralmente sospeso nel tempo. Invece il tempo scorre e chilometri ne mancano ancora alla meta di stasera. Di nuovo in strada, verso il nordest bulgaro, fino al piccolo paese di Sveštari, celebre dal 1982, quando fu scoperta una tomba trace del III secolo avanti Cristo. Un tempio scolpito e decorato, completamente ricoperto di terra, come d’uso per questo tipo di tumuli, rimasto nascosto e praticamente intatto fino a noi. È la casa eterna di un

A Gabrovo, c’è l’unico museo dell’umorismo al mondo: una raccolta di vignette d’autore, caricature, fotografie e naturalmente specchi deformanti. (Sara Pellicoro)

defunto importante, sepolto con i suoi cavalli e i suoi ori. Se ne trovano molte in Bulgaria di queste tombe, ma nessuna è così bella e preziosa. Per questo è conservata letteralmente in uno scrigno di cemento costruito dentro la collina, a cui si accede con una porta telecomandata simile a quella del caveau di una banca. A pochi minuti di tornanti invece, nel silenzio di un bosco incantato, una sorgente di acqua accoglie i pochi visitatori che hanno scovato il piccolo mausoleo di Demir Baba, un santo alevita, quindi musulmano, guaritore, vissuto nel XVI secolo. Un altro salto nel tempo avvicina la moto giuliva, attraverso una magnifica strada alla luce del tramonto, alla sua meta di oggi. Posata sul Danubio, che la separa dalla Romania, Ruse è il trionfo dell’architettura neoclassica e neobarocca ottocentesca. La piccola Vienna, la chiamano. Forse è esagerato, ma di sicuro è una città che ti conquista e non te ne accorgi, mentre passi sotto la casa natale del grande scrittore e Premio Nobel Elias Canetti, mentre mangi pesce su una terrazza affacciata sul Danubio, mentre pensi che questo sarà il luogo più lontano del tuo viaggio e per la prossima tappa toccherà girare la prua.


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ambiente e Benessere

Marziale, un comune bevitore

scelto per voi

Vino nella storia Diversi gli epigrammi che il poeta dell’antichità dedicò alla divina bevanda

grazie alla quale cercava un po’ di ristoro Davide Comoli Marco Valerio Marziale, a nostro avviso, come il buon vino migliora invecchiando e lo troviamo quanto mai moderno e attuale. Nei suoi versi, contenuti in una raccolta di quindici volumi di epigrammi (che stiamo rileggendo dopo anni) – alcuni dei quali permeati di volgarità, oscenità e grossolanità – Marziale contrappone alla letteratura dell’epoca, ricca di retorica, una poesia realistica, che ha per oggetto l’uomo e la vita nella sua molteplicità. Egli è infatti un attento, implacabile e spregiudicato osservatore della variopinta galleria di tipi umani che incontra nelle case dei suoi patroni, nella Suburra, nelle terme, nei circoli culturali, nei lupanari, nei mercatini popolari frequentati dai vari ceti sociali. A dimostrare l’attualità della sua poesia basterebbe sostituire affaristi, adulatori, frivoli adulteri, scrocconi e cacciatori di testamenti, con il nome di qualche personaggio dei giorni nostri. Ma la nostra è una rubrica dedicata al vino, quindi è del rapporto che il poeta iberico ha con la bevanda sacra a Bacco che dobbiamo parlare. A Marziale capita spesso di bere vino, che lui apprezza molto, ma il suo rapporto con la bevanda non è sereno e distaccato come ad esempio era per Orazio: dovendosi accontentare, per-

ché le sue finanze non lo permettevano, non sempre il poeta poteva permettersi prodotti di alta qualità. Era però dotato di un palato abbastanza raffinato: pure lui si era fatto una personale graduatoria dei vini di qualità dell’epoca (che coincide più o meno con quella tramandata da Plinio il Vecchio) e che ci illustra nel XIII libro degli Epigrammi (da CVI a CXXV) e sono circa una ventina. Per questo a uno dei suoi cafonissimi patroni, che ha avuto sfacciataggine di servirgli un pessimo vinello di Veio, mentre per sé si era versato un pregiato Falerno, dalle vigne del monte Massico, dice con comprensibile stizza: «A me versi del vino Veientano, e tu bevi del Massico. Preferisco annusare la tua coppa, piuttosto che bere dalla mia». Siccome Marziale è soprattutto un buongustaio, non ammette né accetta ignobili «pastrocchi» che qualche patrone fa con il vino allo scopo di non doverne sprecare nemmeno un goccio. Si tratta dei classici nuovi ricchi, rozzi e avari, che di vino ne capiscono poco, come nel caso di questo sciagurato Tucca: «Che gusto ci provi, Tucca a mescolare al vecchio Falerno quel mosto contenuto in anfore vaticane? Che merito hanno presso di te, dei pessimi vini? E che male ti hanno fatto degli ottimi vini? Per noi poco male; ma è un delitto guastare il Falerno, propi-

Una pagina di epigrammi di Marco Valerio Marziale, nell’edizione del 1490, (Mediolani, Udalricus Scinzenzeler) custodita nell’Archivio del Governo d’Aragona. (Escarlati)

nando a quel vino campano dei veleni mortali». E ancora rivolto a un certo Cotta: «Mentre tu trinchi e trinchi in grandi coppe color ametista, e sei brillo di vino Opimiano, a me offri soltanto un vinello Sabino troppo giovane, e intanto Cotta tu mi dici “Vuoi bere in una coppa d’Oro?”. E chi mai in una coppa d’oro vuol bere vini indigesti». E invece a un certo Pollione, il poeta rimprovera la sua tirchieria dicendo: «Quando hai bevuto per l’intera notte, prometti mari e monti, ma al mattino tu non dai una cicca. Pollione ti prego bevi soltanto di mattina». Ma per Marziale il vino è anche la miracolosa pozione che serve a superare la paura della morte, giacché solo con l’ebbrezza ottenuta dal dono di Bacco, si può ricavare giorno per giorno la spinta per continuare a vivere, come suggerisce la vista del Mausoleo di Augusto, la monumentale tomba dov’è sepolto il primo imperatore: «Versa Callisto, due sestanti di Falerno, e tu Alcimo scioglici dentro le nevi conservate per l’estate. Le mie chiome stillanti siano impregnate di cardamomo e le tempie si pieghino sotto ghirlande di rose. Mostrandoci che anche gli dèi possono morire, il Mausoleo così vicino, ci ingiunge di vivere». Alle volte anche al più assatanato bevitore, con tutto l’amore che porta per il vino, può capitare di trovarsi di fronte a una valida ragione per non bere. Ecco cosa capita al poeta di fronte a una coppa del mitico Setino di Sezze, offerto da un ospite che gode fama di jettatore: «Tu ci fai sempre servire, è vero, del Setino o del Massico, Papilo, ma corre voce che i tuoi vini non siano poi così buoni. Si dice che con queste bottiglie tu sia rimasto vedovo quattro volte. Io non ho paura. Io non ci credo Papilo. Ma non ho sete». Nella poesia di Marziale, si avverte la mancanza dell’amore autentico per una donna; la vita anche in questo gli fu amara, all’amico Istanzio (VIII,73) egli dice: «Se tu vuoi dare vigori di ispirazione alla mia poesia e richiedi dei versi che rimangono eterni, dammi un grande amore: Cinzia fece di Properzio un poeta amoroso, tale fu Licoride per Gallo, la formosa Nemesi per Tibullo, Lesbia per Catullo».

Nel vino, Marziale, stanco dell’opprimente e insonne vita romana, specie negli anni dell’incipiente vecchiaia, cerca un po’ di ristoro (1,71) «Cinque bicchieri si bevono per Levia, otto per Giustina, quattro per Lica e quattro anche per Lide e per Ida tre. Tanti bicchieri siano per ciascuna quante sono le lettere del nome, e poiché nessuna d’essa viene meco, o sonno, vieni almeno tu da me». Anche allora come accade oggi, capitavano annate cattive, dove la pioggia rovinava le vendemmie, molto attento a questo Marziale scrive: «Flagellate da continue piogge, le vigne sono fradicie d’acqua. Non potresti neanche volendolo, oste vendere vino annacquato». Ma spesso più che vino annacquato il nostro bevitore si trova di fronte a un produttore che non esita in una cattiva annata a produrre del vino (IX,98): «La raccolta delle uve, Ovidio, non dappertutto è stata scarsa. Le grandi piogge sono servite. Coràno ha raccolto cento anfore di acqua». Anche duemila anni fa non tutti, esattamente come oggi, potevano degustare vini pregiati; chi amava rifarsi la bocca di tanto in tanto con un goccetto senza nemmeno troppe pretese, doveva comunque fare i conti con la tasca (XII,76): «Un’anfora di vino pagata è venti soldi, un moggio di grano appena quattro. Ubriaco e a pancia piena il contadino è ora senza un soldo». Quindi anche duemila anni or sono, gli osti esponevano i prezzi delle varie tipologie di vino. Pare che a quel tempo la Campania fosse la regione vocata per l’eccellenza dei suoi vini e che Pompei, prima che il Vesuvio la sommergesse sotto una spessa coltre di lava, cenere e lapilli, fosse il centro della mondanità. Per farvi capire quanta importanza avesse il vino, una volta rimossa «parte» del materiale vulcanico, sono venute via via alla luce quasi 300 tra taverne e osterie. Proprio sull’intonaco esterno di una di queste è venuto alla luce un «Graffito»: «Kalòs Hedonè salute a chi legge. Hedonè dice: qui si beve con un asse a testa, con due assi berrai meglio, con quattro assi avrai del vino Falerno». Marziale morì nella sua città natale nel 104 d.C.

Vino nobile di Montepulciano d.o.C.G. Gracciano della seta

Siamo a Gracciano della Seta, frazione di Montepulciano (Siena), qui la famiglia della Seta coltiva da molto tempo su circa venti ettari le uve che producono il Vino Nobile di Montepulciano. Vino già famoso a metà del 1600, quando Francesco Redi, medico alla corte dei Granduchi di Toscana nel suo Ditirambo scrive: «Montepulciano d’ogni vino è il re». Le uve Prugnolo Gentile 90% e Merlot 10%, coltivate in modo biologico, ci donano un vino molto intrigante, dai profumi che ci permetto di percepire sfumature di fiori, frutti rossi e spezie. È un rosso di grande intensità, di croccantezza, di equilibrio, di eleganza e dal lungo finale in bocca. Lo raccomandiamo per accompagnare una portata di braciole di maiale, e a maggior ragione, vista la stagione, sarà da gustare con piatti di selvaggina e in modo particolare con le preparazioni a base di cinghiale. / DC Trovate questo vino nei negozi Vinarte al prezzo di Fr. 22.–. Annuncio pubblicitario

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ambiente e Benessere

la polpetta, regina d’Italia

Gastronomia Un viaggio di «carne sferica», tra le padelle e le cucine di quelle regioni che più le apprezzano,

Parliamo di uno dei piatti più onnipresenti nella tradizione italiana: le polpette. La prima distinzione, fondamentale, è: si fanno con carne o con altro? Qui parliamo di quelle di carne e basta perché in linea di massima le polpette sono di carne, sebbene possano essere composte anche di pesce. Di fatto però queste altre sono spesso legate con la besciamella e in quanto tali le si dovrebbero definire più propriamente crocchette. Idem per quelle con sole verdure, più moderne.

In Liguria dominano le polpette al timo e maggiorana: di carne trita con grana e uovo, fritte nell’olio La seconda domanda è: a base di carne cotta o cruda? Entrambe le soluzioni vanno bene. Le polpette preparate con carni cotte nascono probabilmente per recuperare gli avanzi di arrosti, i brasati o i bolliti, ciò che ci fa pensare per analogia alle farce dei ravioli. Le polpette preparate invece con carne cruda trita – ossia con un ingrediente fresco, anche se non certo un taglio nobile della carne – fanno piuttosto presupporre un’origine maggiormente nobile o quasi; forse sarebbe meglio dire borghese. Vi sono numerosi modi di prepararle: la carne può essere avvolta con una foglia di verza, oppure miscelata con verdure o, ancora, arricchita con i saporiti fegatini e via elencando. Inoltre possono essere cucinate fritte, rosolate o in umido. Appartengono alla famiglia delle polpette anche i polpettoni, veri e propri arrosti di carne trita. L’Italia presenta un repertorio regionale più che ampiamente assortito. Vi do qui una mia scelta rapida. Lombardia: i mondeghili. Sono piccole polpette sferiche di carne cotta aro-

matizzata con aglio e prezzemolo. Sempre in Lombardia ci sono i pulpett: sono involtini di foglie di verza farciti con carne trita di carne avanzata, la più varia. In Friuli-Venezia Giulia ci sono le polpette di carne con erba cipollina: esattamente carne trita di manzo, (tanta) erba cipollina, uova, grana, prezzemolo; le polpettine ottenute sono passate nel pangrattato e fritte in strutto o burro. In Liguria dominano le polpette al timo e maggiorana: di carne trita con grana, timo e uovo, fritte nell’olio. In Emilia-Romagna le polpettine con le verdure: carni macinate di vitello e maiale, condite con erbe aromatiche, grana e uova, confezionate a polpettine e cotte in un ragù vegetale. In Toscana, è da non perdere il polpettone alla fiorentina: carne cruda di manzo macinata con prosciutto crudo, pane ammorbidito e uova. Il polpettone viene prima rosolato, poi si uniscono funghi e pomodoro e si fa cuocere in tegame. In Lazio, interessanti sono le polpette alla giudia con spinaci: sono polpette di carne trita di manzo, spinaci bolliti, pane, uovo e noce moscata, cotte in un passato di pomodoro. In Campania, polpette all’uva passa e pinoli, con carne di manzo macinata, pane ammollato, grana e uova; in questo impasto si incorporano poi uvette e pinoli; il composto si rosola in olio, poi si cuociono con pomodoro. In Sicilia, polpette con le mandorle. Di carne trita di manzo con mollica di pane, formaggio Ragusano, prezzemolo; vengono cucinate in umido con aggiunta di mandorle sbucciate. Ma anche polpettine di carne con carciofi e fave, preparate con carne trita di vitello, grana e uova, rosolate in olio e unite a uno stufato di carciofi e fave. In Sardegna, polpette di carne in umido, con carne di manzo tritata, trito di erbe aromatiche, uova, pangrattato, stufate in un sugo di cipolla e pomodoro. Nota bene: comunque preparate, piacciono proprio tutte a tutti.

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dalla Lombardia alla Sardegna

Oggi due proposte a base di manzo. Manzo all’olio, di tradizione bresciana (con ingredienti per 8-10 persone). In una casseruola capiente preparate un soffritto con 50 g di burro, 4 acciughe salate, 4 spicchi di aglio e 1 cipolla tritata finemente. Aggiungete 2 kg di cappello di prete (copertina di spalla) di manzo, rosolate ogni parte fino a che non si sarà ottenuta una sottile crosta, aggiungete 5 litri di acqua e

portate a ebollizione. Cuocete schiumando per 5 minuti, poi proseguite a fuoco medio per 3 ore e mezza circa. Aggiungete 2 dl di olio extravergine di oliva, 50 g di pane secco grattugiato a pioggia (o altrettanta maizena diluita in poca acqua); cuocete ancora per 5 minuti muovendo la carne con frequenza ed estrema delicatezza per non farla attaccare. Togliete la carne dal sugo di cottura, regolate la densità e di sale. Servite il manzo a fette di 4-5 cm di spessore ricoperto dal fondo di cottura, accompagnando con polenta o crostone di pane. Torta di manzo (per 8-10 persone). Tritate 2 cipolle e fatele stufare a fuoco basso con un filo d’olio bagnandole con un po’ d’acqua se dovessero asciugare troppo. In una ciotola unite le cipolle, 2 uova, 100 g di formaggio

duro tipo grana grattugiato, poco prezzemolo tritato fine e 100 g di feta schiacciata. Mescolate bene, aggiungete 1 kg di carne trita di manzo, regolate di sale e di pepe e unite un pizzico di cannella in polvere. Imburrate una teglia da forno e stendeteci circa 5 fogli di pasta fillo, uno sopra l’altro, imburrandoli bene uno per uno e lasciando fuoriuscire la pasta dai bordi della teglia. Distribuite l’impasto di carne, schiacciatelo bene e ripiegate la pasta sul ripieno. Coprite con 3 fogli, sempre imburrandoli uno a uno, bagnate con un po’ d’acqua e con la lama di un coltello praticate dei tagli sulla superficie in modo da formare dei quadrati di circa 7 cm. Cuocete la torta di carne in forno a 200° per 50 minuti – la superficie deve essere dorata e croccante – e servitela tiepida.

Ballando coi gusti Oggi due ricette semplici a base di pesce azzurro, una con alici e l’altra col tonno.

Polpettine di alici con maionese al sedano

Bocconcini di tonno alla senape

Ingredienti per 4 persone: Per le polpettine di alici: 400 g di alici già pulite · 1 uovo

Ingredienti per 4 persone: 2 tranci di tonno da 200 g ognuno · 4 cucchiai di senape dolce · 1 cucchiaio di arachidi tostate tritate · 1 spicchio di aglio · 1 rametto di rosmarino · prezzemolo · foglie di salvia · vino bianco · succo di limone · olio di oliva · sale e pepe.

Preparate la maionese al sedano: tritate le foglie di sedano sottili, mescolatele alla maionese e tenete il composto in frigorifero fino al momento di usarlo. Mettete le alici tagliate a pezzettini in una terrina. Unite il sale, l’aglio, la mollica bagnata nel latte e strizzata, il grana, il prezzemolo, mezzo uovo battuto, poco sale e pepe. Impastate a piene mani e formate delle polpettine. Passatele nell’uovo rimasto allungato con un po’ di latte e poi nel pangrattato. Friggetele in abbondante olio di semi e servitele calde con la maionese fredda.

Tagliate il pesce a cubotti. Scaldate in una padella tre cucchiai di olio con lo spicchio di aglio pelato e schiacciato, il rametto di rosmarino e le foglie di salvia. Saltate i cubotti di tonno a fuoco vivace e rosolateli uniformemente. Bagnate con 4 cucchiai di vino, qualche goccia di limone e fate sfumare il vino, poi mescolate la senape e regolate di sale e di pepe. Servite i cubotti irrorati con il fondo di cottura, cosparsi di arachidi e di foglie di prezzemolo.

· 1 spicchio di aglio tritato · 40 g di mollica di pane · pangrattato · 40 g di grana grattugiato · latte · olio di semi di arachide · sale e pepe. Per la maionese al sedano: 150 g di maionese classica · 30 g di foglie di sedano.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 settembre 2021 • N. 39

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ambiente e Benessere

Chi semina nuvole, raccoglie pioggia

Cloud seeding Un progetto in corso da tre anni per cercare di far aumentare le precipitazioni

Rocco Bianchi Chi getta semi tra le nuvole farà fiorire il cielo: quello che assomiglia a un proverbio cinese è in realtà quello che ha fatto negli scorsi tre anni il centro meteorologico di Pechino, ossia proprio inseminare le nuvole in modo da far piovere. Obiettivo: ripulire l’aria dallo smog che avvolge le grandi città del Paese e alleviare la siccità che affligge estesi territori. Un investimento da 168 milioni di dollari, mica bruscolini (sono serviti tra le altre cose a pagare quattro nuovi aerei e l’aggiornamento di otto velivoli esistenti, 900 sistemi di lancio missilistico e oltre 1800 centri di controllo), ossia il più grande programma di cloud seeding (letteralmente: inseminazione delle nuvole) finora mai visto al mondo: tre anni di tentativi per cercare di far aumentare le precipitazioni su un’area di 960mila kmq, circa il 10 per cento del Paese. Fantascienza? Mica tanto, ché la tecnica è relativamente datata – il primo tentativo di inseminazione delle nuvole risale infatti al 1946, quando due scienziati statunitensi, Vincent Schaefer e Bernard Vonnegut, riuscirono a stimolare una precipitazione

nevosa su una montagna attraverso la dispersione nelle nubi di sostanze chimiche che favoriscono la condensazione delle particelle d’acqua (normalmente vengono usati ioduro d’argento o ghiaccio secco, che stando a numerosi studi, anche di organizzazioni ecologiste, non provocano alcun inquinamento né dell’aria né del suolo). Per di più sta avendo in questi anni di riscaldamento climatico un forte rilancio: fioccano infatti non solo studi e ricerche in ogni parte del globo, ma anche gli esperimenti sul campo, tanto che attualmente sono circa 24 le nazioni che praticano operazioni di questo genere (tra queste non ci risulta la Svizzera). Lo Stato che ne fa più largo uso è appunto la Repubblica Popolare Cinese, che addirittura usò l’inseminazione delle nuvole a Pechino prima dei giochi olimpici del 2008 per cercare di dare una ripulitina all’aria. Del resto per combattere lo smog i cinesi provano di tutto. A Nanchino, ad esempio, una delle città più inquinate della Cina, si sta iniziando a pensare in termini di bioedilizia, tant’è che si sta applicando su larga scala il progetto di bosco verticale di Stefano Boeri. L’ultimo mega-investimento di cloud seeding citato in apertura di arti-

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su un’area di 960mila kmq, in Cina, pare stia dando buoni risultati

colo è stato invece applicato nella fascia occidentale del Paese, tra Xinjiang e la Mongolia interna, una regione nota per il suo clima siccitoso. I risultati sem-

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brano essere stati buoni, per lo meno stando alle dichiarazioni di un ufficiale di una provincia che ha beneficiato del programma riportate dal «South China Morning Post», secondo il quale l’induzione artificiale di pioggia ha aumentato le precipitazioni a 55 miliardi di metri cubi, una cifra che equivale al 150 per cento dell’acqua contenuta nella diga delle Tre Gole. Fosse vero, sarebbe un bel risultato. Il problema di questa tecnica è che manca tuttora la prova scientifica della sua efficacia. Vale a dire che la Scienza ha un problema di ripetibilità, dunque

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di verifica, al di fuori delle controllate condizioni di un laboratorio. Perché ripetere l’esperimento in modo controllato in natura è virtualmente impossibile (non esiste una nube uguale all’altra dato che le condizioni di temperatura, umidità, vento e pressione cambiano continuamente), e perché non è possibile effettuare una verifica in negativo. Per dirla con il ricercatore Sandro Fuzzi, dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima di Bologna, «ho fatto l’inseminazione di quella nube e ha piovuto, ma chi mi dice che non avrebbe piovuto lo stesso?». Bella questione, e bel problema. Sia come sia, come detto negli Stati del mondo ci credono sempre di più, tant’è che quest’estate sono stati gli Emirati Arabi a provare a provocare la pioggia a comando. Non con razzi o aerei ma, in conformità con lo spirito del nostro tempo e gli ultimi ritrovati della tecnica, con dei droni. E l’acqua tanto desi-

derata è arrivata (anche troppa, stando alle immagini dei grandi acquazzoni che hanno colpito il paese pubblicate dal locale centro di meteorologia), ma Fuzzi resta comunque scettico, anche se ammette che la tecnica ha «una valenza statistica», ossia che sono più le volte che si riesce a far piovere che quelle in cui non cade alcuna goccia d’acqua. Tanto basta non solo per convincere molti Stati a spendere milioni per far piovere – o anche nevicare, all’occorrenza e a dipendenza della stagione – ma anche a far nascere una serie di aziende specializzate. Un business in crescita e non esattamente a buon mercato, se è vero che il programma impiegato a Dubai e dintorni è costato 35 milioni di euro (circa 38 milioni di franchi). Paradosso del cloud seeding, sembra che possa servire anche a far brillare il sole a comando o quasi facendo in modo che piova prima del dovuto. Si ricorda ad esempio che negli anni Sessanta e Settanta nelle regioni vitivinicole del Norditalia si era provato a inseminare le nubi dal suolo con cannoni per fare in modo che piovesse acqua e non grandine: un nuvolone all’orizzonte e si sentivano botti da tutte le parti (oggi per fortuna non più). Si sa inoltre che ci ha provato sempre la Cina e sempre nel 2008 alle Olimpiadi per fare in modo che non piovesse durante la cerimonia di apertura (di fatto piovvero solo fuochi d’artificio), ma in questo senso questa tecnica è usata raramente. Tuttavia, gli affari sono affari, per cui c’è comunque chi ci crede tanto da integrarla nel proprio business. È il caso di un’agenzia statunitense che offre ai suoi clienti pacchetti matrimoniali all inclusive: ville extralusso, cibo, bevande, servizio in guanti bianchi e, naturalmente (?), giornata di sole garantita. Nella loro pagina web si può infatti leggere: «Siamo orgogliosi ed entusiasti di poter offrire un servizio esclusivo di “esplosione delle nuvole” ai nostri clienti, garantendo al cento per cento bel tempo e cieli sereni per quando ti sposerai!». Per farlo, le tre settimane precedenti la data delle nozze, il loro team bombarda di ioduro d’argento ogni nuvoletta che abbia la sventura di passare nei paraggi del luogo in cui è prevista la cerimonia. Sposa bagnata, sposa fortunata? No grazie!


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 settembre 2021 • N. 39

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ambiente e Benessere

da Francoforte a Monaco di Baviera, anche su due ruote Motori Oltre 400mila partecipanti provenienti da 95 Paesi alla prima edizione

del nuovo salone germanico dell’auto IAA Mobility

Mario Alberto Cucchi La domanda era lecita: quando si potranno riorganizzare Saloni dedicati alla mobilità? E avranno ancora successo? La risposta è arrivata da Monaco di Baviera, in Germania dove il 12 settembre ha chiuso le porte la prima edizione dello IAA Mobility. Ovvero il Salone che ha sostituito dopo tanti anni quello di Francoforte. Un bilancio di successo. Oltre 400mila partecipanti provenienti da 95 Paesi, 744 espositori tra cui aziende automobilistiche con 98 aree espositive. Ben 75 marchi di biciclette, 152 fornitori e aziende tecnologiche e 78 startup. Nei cinque giorni del Salone si sono tenuti numerosi eventi con addirittura 936 relatori.

744 espositori per 98 aree, 75 marchi di biciclette, 152 fornitori e aziende tecnologiche, 78 startup e 936 relatori Non un salone dell’automobile come era quello di Francoforte ma uno show della mobilità con un totale di 260mila mq di spazi per eventi di cui 195mila mq nell’area fieristica e 65mila mq nel centro di Monaco. Ben 7mila i test dri-

Questo il prototipo della Motorrad Concept CE 02 presentato al salone. (BMW)

ve effettuati dai visitatori. A questa edizione ne seguirà sicuramente un’altra. Le date sono già fissate: dal 5 al 10 settembre 2023. Già, si terrà ogni due anni. E chissà se nel 2023 ci saranno più costruttori. Perché va detto, quest’anno ne mancavano molti. Davvero tante le assenze rispetto al passato anche se non sono mancate

novità di rilievo. Come da tradizione i costruttori tedeschi hanno fatto la parte del leone con Volkswagen, Mercedes e BMW. Proprio quest’ultima ha presentato una tra le novità più interessanti, il Concept CE 02. «A prima vista, c’è poco del BMW Motorrad Concept CE 02 che sia tipicamente BMW Motorrad: è qualcosa di completamente nuovo. Il

Giochi Cruciverba Il paziente al dottore: «Scusi dottore, ha qualcosa contro la tosse?». Troverai la risposta del dottore a cruciverba ultimato, leggendo nelle caselle evidenziate. (Frase: 2, 2, 11, 8, 4)

Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku 1

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regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «azione» e sul sito web www.azione.ch

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41. Opera di Mascagni 43. La madre delle imbarcazioni 45. Verecondia, ritegno 46. Veloce, rapida

Verticali 1. Parcella 2. Le iniziali dell’attrice Thirlby 3. Illeciti penali 4. Levante 6. Le iniziali dell’attrice Mastronardi 7. Non sta né in cielo né in terra 8. Pronome dimostrativo 9. Le iniziali dell’attore Somerhalder 11. Tuo a Parigi 14. Il desiderio del Foscolo 16. Pronome personale I premi, cinque carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.

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Scoprire i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.

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orIZZontalI 1. Rispettabilità, dignità 5. Un compenso facoltativo 10. Esperimento, saggio 12. Si stacca dal tutolo 13. Stanno in coda 15. Dio egizio 17. La... precedono a tavola 19. Il riposo degli inglesi 21. Il frutto di Fra’ Galdino 23. Sei romani 24. Attrezzo da taglio 26. Un’esclamazione 27. Senatore in breve 28. I vicoli di Venezia 29. Pronome personale 31. Livello in tedesco 33. Giove la mutò in giovenca 34. Nozione fondamentale 36. La Dalla Chiesa 37. Le iniziali del compositore Respighi 38. Bruciata 40. Le iniziali dell’attore Sharif

Concept CE 02 presenta nuove proporzioni e forme moderne per la mobilità urbana su due ruote. La semplicità d’uso era importante, ma ancor più fondamentale era la componente emozionale, così come il divertimento alla guida» spiega Edgar Heinrich, capo del design di BMW Motorrad. Le dimensioni compatte lo rendo-

no un mezzo ideale per la città. Si tratta di un veicolo elettrico leggero con due batterie che sono verniciate di nero. Pesa 120 chilogrammi, non pochi ma neppure tanti. Gli 11 kW di potenza massima ovvero circa 15 cavalli e tutta la coppia disponibile sin da subito – caratteristica dei mezzi a batteria – permettono una rapida accelerazione ai semafori. La velocità massima di 90 chilometri orari lo rende adatto anche ai trasferimenti fuori città mentre l’autonomia di 90 chilometri permette di soddisfare le esigenze di mobilità quotidiane. Indubbiamente futuribile il design. Due ruote di grandi dimensioni, simili a quelle di una fun bike, promettono robustezza e divertimento di guida immediato. Sono progettate come ruote a disco, enfatizzando graficamente le proporzioni del veicolo. Unica anche l’illuminazione che è fornita da un faro nero quadrato con quattro elementi led distintivi come fari anteriori. Quella posteriore è composta da due piccole foglie a led traslucide che sono fissate a sinistra e a destra della sella. Insomma un prototipo che interpreta la mobilità urbana del futuro. Non è né una motocicletta né uno scooter. Presto potrebbe trasformarsi in un mezzo di serie e potremmo vederlo sulle nostre strade. Ne siamo convinti.

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18. Regista o produttore di un film 20. Al contrario è una consonante 22. Sostituisce «il quale» 23. Lo è l’ostro 25. Nonna, antenata 27. Il 23 orizzontale arabo 30. Europen Space Agency 32. Arde senza fiamma 34. Gaiezza, verve 35. La Giunone dei greci 37. Mezzo ordito 39. Sigla di Società a Responsabilità

Limitata 41. Laggiù in fondo 42. Le iniziali dell’attrice Rocca 44. Le iniziali dell’attore Siani

Partecipazione online: inserire la

soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la

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soluzione della settimana precedente

UN PO’ DI STORIA – Il Colosseo venne costruito in: CINQUE ANNI – Lo chiamavano: ANFITEATRO FLAVIO.

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C I N E L I R A A N T U R O T E T R P O I A S

Q U N R I O T L E E B Z A M O R

A D U L T O

I N N O F A R I

soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 6315, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza

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sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.


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Politica e economia Il parco degli schiavisti I paradossi dello Stone mountain park in Georgia, negli Usa, e il suo nuovo direttore

Cancellate dalla società Mentre in Afghanistan le donne perdono i loro diritti, in Pakistan si rafforzano idee retrograde su famiglia ed educazione

l’utopia della pace In un mondo dove i conflitti non finiscono mai emergono sogni di altre vie possibili

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Cosa succede in russia Dalle elezioni truccate per la Duma emerge tutta la stanchezza del Cremlino pagina 35

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scintille tra le sponde dell’atlantico

l’analisi Gli europei scoprono con ritardo

e disappunto che è drasticamente cambiato il posizionamento strategico degli Stati uniti

Federico Rampini La «dottrina Biden» è una «dottrina Trump» aggiornata? La politica estera degli Stati uniti viene sottoposta a una serie di test: dopo il ritiro dall’Afghanistan, dopo l’accordo sui sottomarini nucleari con l’Australia che ha fatto inferocire la Francia, è la volta del pugno duro contro i migranti haitiani che tentano di attraversare il confine meridionale. In mezzo Joe Biden, che nel suo discorso alle Nazioni unite ha offerto una versione aggiornata della sua visione internazionale, la quale in parte risponde agli interrogativi. L’emergenza migranti al confine tra Usa e Messico è stata descritta come «senza precedenti». Il governatore del Texas ha mosso dure critiche al presidente dicendo che la gestisce «male quanto l’evacuazione delle truppe americane dall’Afghanistan». Hanno fatto il giro del mondo le immagini della polizia di frontiera americana che frusta i profughi. Qualcuno sostiene che se avessimo assistito alle stesse scene con Trump alla Casa bianca la condanna sui media sarebbe stata più forte. Da parte sua il vecchio Continente ha incassato malissimo due decisioni del presidente americano: l’evacuazione precipitosa dall’Afghanistan; poi la nascita di nuove geometrie strategiche e nuovi club nell’Indo-Pacifico. La ritirata da Kabul non sarebbe stata sufficientemente concordata con i partner della Nato, sempre secondo le critiche europee. Poi c’è stato lo «strappo» dei sottomarini, quando Washington ha annunciato la fornitura di sommergibili a propulsione nucleare all’Australia, battezzando un nuovo dispositivo difensivo – Aukus – che unisce le marine militari americana, inglese e australiana. Le proteste più vibrate sono venute dalla Francia mescolando questioni strategiche e interessi affaristici: Parigi si è vista soffiare il mercato australiano sul quale sperava di vendere per 56 miliardi dei sottomarini «made in France». Il premier australiano Scott Morrison ha risposto per le rime: i mezzi francesi non sono competitivi, la propulsione nucleare offre vantaggi strategici in termini di autonomia su lunghissime distanze e capacità di sfuggire alla rilevazione del nemico. Sullo sfondo c’è l’ombra della Cina e la minaccia di una sua invasione di Taiwan. Emmanuel Macron oltre al bu-

siness perduto si sente escluso da un teatro sempre più strategico, mentre proclama che anche la Francia è una «potenza dell’Indo-Pacifico» (grazie ad alcuni territori d’oltremare). L’incidente ha riprodotto le incomprensioni fra le due sponde dell’Atlantico che si erano verificate sull’Afghanistan. Gli europei sembrano scoprire con ritardo che è cambiato in modo drastico il posizionamento strategico dell’America, le sue priorità, gli scenari su cui vuole concentrare le risorse. Ancora a metà giugno gli europei applaudivano Biden perché in occasione della sua tournée europea diceva «America is back», l’America è tornata. Non si chiedevano: tornata dove? L’asse preferenziale con la vecchia Europa è ormai un anacronismo perché il mondo è cambiato. Il «pivot to Asia», la rotazione strategica verso l’Asia era stata annunciata già da Barack Obama, anche se poi il Pentagono e l’establishment globalista lo avevano tenuto inchiodato a guerre del passato come l’Afghanistan. La «dottrina Biden» è il frutto di una nuova generazione di strateghi, guidati da Jake Sullivan, a capo del National security council. Non è una riedizione dell’«America first» di Donald Trump ma ne ha estratto alcune lezioni. L’America si era distratta mentre la Cina accelerava la sua rincorsa in settori tecnologici cruciali, e potenziava i suoi armamenti fino a raggiungere la parità su alcuni teatri asiatici o addirittura la superiorità in forze navali. La Cina, ancora e sempre, è il filo rosso che dà un senso alle parole di Biden al Palazzo di vetro. Il presidente degli Stati uniti è arrivato all’appuntamento dell’assemblea generale Onu il 21 settembre assediato dai dubbi sulla leadership globale del suo Paese. «Non vogliamo una guerra fredda, ma una vigorosa competizione tra potenze», è la risposta che riassume la nuova strategia verso Pechino. No, non sono Donald Trump, in risposta alle accuse, questo è un altro messaggio implicito di Biden quando elenca le emergenze da affrontare. Cambiamento climatico, pandemie. Lui prende sul serio queste minacce che incombono sull’umanità intera e su questi terreni crede nella cooperazione tra Nazioni. Ha varato un nuovo piano di acquisti di vaccini per centinaia di milioni di dosi che donerà ai Paesi poveri. Su almeno un

Joe Biden parla all’assemblea generale dell’Onu. (Shutterstock)

altro terreno però la continuità con Trump è reale: la visione di un impero o ex-impero americano che si ripiega, si rattrappisce, rinuncia a difendere tutte le periferie, richiama a casa legioni disperse, concentra l’attenzione e le risorse sull’unica sfida vitale. «Le guerre non risolvono i problemi», così Biden liquida l’Afghanistan, a un mese dall’evacuazione di Kabul che ha guastato i rapporti con tanti alleati. Difendere la democrazia e i diritti resta per lui una missione dell’America (a differenza di Trump), però il linguaggio delle armi vuole sostituirlo con una relentless diplomacy (diplomazia implacabile). Invece delle guerre infinite, e delle missioni di Nation-building a tempo indeterminato, propone questa diplomazia persistente, inarrestabile. Chiede alle liberaldemocrazie del mondo intero unità contro le autocrazie e i loro assalti tecnologici (hacker, ransomware, le

cyber-guerre endemiche e quotidiane). Biden ai margini dell’assemblea Onu ha convocato il primo vertice dal vivo del Quad, il quadrilatero delle democrazie dell’Indo-Pacifico in funzione di contenimento dell’espansionismo cinese. India, Giappone e Australia sono gli altri tre angoli del quadrilatero attorno al quale Biden vuole costruire una coalizione più vasta, che attiri alleati tradizionali come Corea del Sud, Indonesia, Filippine, Singapore. Il tasso di liberaldemocrazia è assai variabile in quell’area, ma è evidente l’interesse comune a controllare e limitare le mire egemoniche di Xi Jinping. La dottrina Biden è ispirata da realismo e modestia: quest’America sa che da sola non può fare da contrappeso a una Nazione con un miliardo e quattrocento milioni di abitanti, un Pil che presto raggiungerà quello degli Usa, forze armate che almeno in Asia sono

già superiori. Solo le alleanze possono ristabilire qualche equilibrio nei rapporti di forza. Perciò l’importanza degli alleati verrà soppesata in base alla loro efficacia, al loro impatto nella grande sfida con la Cina. La vecchia Europa dovrà superare le sue prove. L’Amministrazione Biden non ha abolito uno solo dei dazi di Trump contro il «made in China», se possibile vuole forme ancora più stringenti di embargo su alcune tecnologie strategiche. Il vecchio Continente, visto da Washington, appare pericolosamente tentato da una strategia di «terza forza», una equidistanza almeno economico-finanziaria tra la sfera russo-cinese e l’America. In quanto all’emergenza migranti, Biden riesuma una tradizione della sinistra americana, che da Franklin Roosevelt a John Kennedy seppe costruire un modello socialdemocratico tenendo le frontiere semi-chiuse.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 settembre 2021 • N. 39

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Politica e economia

destra avanti ma non in città

Italia A una settimana dalle Amministrative appaiono come favoriti i partiti di Meloni, Salvini e Berlusconi.

Però a Milano, Torino, Bologna, Roma e Napoli sembra profilarsi la vittoria dei candidati progressisti Alfio Caruso L’unione fa la sofferenza. Lo stanno provando sulla propria pelle i leader del Centrodestra a una settimana dalle elezioni amministrative (primo turno 3-4 ottobre). Votano 12 milioni d’italiani per eleggere i sindaci di 20 città, di 1350 Comuni e il presidente della Regione Calabria. Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia si presentano alleati: una prova generale in vista delle elezioni nazionali della primavera 2023, sulla scia del largo consenso certificato fin qui dai sondaggi. I tre partiti sono infatti valutati attorno al 47-48% (20% FdI, 19% Lega, 8% FI), senza contare l’apporto delle altre minuscole formazioni. Il presunto Centrosinistra, formato dal Partito democratico (20%) e dal Movimento 5 Stelle (15%), appare in netto ritardo, benché resti da valutare il comportamento del composito arcipelago progressista. I partitini personali di Calenda (Azione), Renzi (Italia viva), Fratoianni (Sinistra italiana), Bersani e Speranza (Liberi e uguali) vengono complessivamente quotati al 10-12%, ma sono tutti restii a consorziarsi e preda dell’antico, inguaribile virus del riformismo nazionale: la sconfitta del vicino è più solleticante della sconfitta del rivale. Per Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi sembrerebbero aprirsi vaste praterie, invece le previsioni dipingono un quadro sempre più fosco giorno dopo giorno. I tre rischiano di perdere le cinque città principali della vicina Penisola: Roma, Milano, Napoli, Torino e Bologna. Anzi, Milano, Napoli e Bologna vengono assegnate da subito al Centrosinistra; mentre per Roma e Torino si ipotizza il ricorso al ballottaggio (17-18 ottobre) con i candidati progressisti dati per vincenti. Previsioni più confortanti negli altri 15 capoluoghi e in Calabria, dove il Centrosinistra è riuscito nell’impresa di frantumarsi in tre candidature. Tuttavia una tale «legnata» nelle metropoli del Paese potrebbe scompaginare gli attuali rapporti di forza sia all’interno dei

tre partiti, sia nelle loro relazioni: non a caso si guarda a un’eventuale scissione dentro FI, con una notevole ala vogliosa di marcare la propria differenza da questa Destra, e dentro la Lega, in cui Salvini è messo alle corde dalla fazione governativa del ministro Giorgetti e dei presidenti di Lombardia (Fontana), Veneto (Zaia) e Friuli (Fedriga). Il blocco moderato sconta candidati sbagliati, gelosie insuperabili, disorganizzazione delle strutture locali, un ambiguo legame con la setta dei novax. La somma fa il capovolgimento dei proclami lanciati a inizio anno da Salvini sicuro di trionfare ovunque, anche a scapito delle consolidate tradizioni di sinistra di Milano e Bologna. Alla prova dei fatti il discreto operato delle Amministrazioni progressiste sembra avere la meglio sul confuso ribaltamento promesso dal Centrodestra. Roma esce disastrata dalla gestione della pentastellata Virginia Raggi. Spazzatura dilagante nelle strade, mezzi pubblici in fiamme, stazioni del metro chiuse a tempo indeterminato per la rottura di una scala mobile, cinghiali e topi in libertà. Eppure i 5stelle non sono riusciti a liberarsi del peggior sindaco dai tempi di Nerone. Nella capitale, però, esiste un 20% di masochisti intenzionato a votarla: risultato comunque insufficiente per proiettare la sindaca al ballottaggio. In testa (31%) è l’avvocato e conduttore radiofonico Enrico Michetti, un illustre sconosciuto scelto da Meloni. Michetti è un grande appassionato dell’antica Roma con scarsa propensione per la Roma attuale: ha disertato appuntamenti e dibattiti. Augusto e Cesare lo intrigano più dei contemporanei, ma non votano. Alle sue spalle l’ex ministro dell’Economia e Finanze ed ex europarlamentare Roberto Gualtieri (27%). Non ha il dono della simpatia, tuttavia batte con testardaggine ogni quartiere. È considerato favorito nel ballottaggio: su di lui dovrebbero convergere sia i sostenitori di Calenda (14%), sia una parte dell’elettorato di Raggi.

Forza Italia (Berlusconi), Fratelli d’Italia (Meloni) e Lega Nord (Salvini) si presentano alleati. (Shutterstock)

A Milano il sindaco in carica Beppe Sala gode di ogni pronostico con un netto incremento del proprio consenso elettorale rispetto al 2016. Si sente talmente forte da aver rigettato le ripetute offerte di alleanza del M5S. Gli hanno messo contro un puntiglioso e stimato pediatra, Luca Bernardo, indicato da Salvini al termine di lunghissime incertezze. È noto soltanto ai genitori dei suoi piccoli pazienti e ha commesso vistosi errori: dal portare la pistola nelle corsie del suo ospedale ad aver minacciato il ritiro, se i partiti non gli avessero fornito i finanziamenti promessi. La vera sorpresa sarebbe se Sala non si riconfermasse al primo turno. A Napoli l’unione Pd-M5S punta sull’ex ministro dell’Istruzione ed ex rettore Gaetano Manfredi. Lo spingono verso un successo perentorio la pessima eredità lasciata dal precedente sindaco De Magistris e gli autogol degli avversari: hanno avuto bocciate dal

tribunale per irregolarità la lista della Lega e altre due in appoggio al candidato Catello Maresca, magistrato. Per obblighi di scuderia il malcapitato Maresca ha dovuto polemizzare con le sentenze dei suoi colleghi e parlare addirittura di democrazia azzoppata. Il risultato è un secondo posto insidiato dall’ex amatissimo sindaco comunista Bassolino in corsa da solo. Anche a Bologna strada spianata per l’assessore alla Cultura Matteo Lepore, l’intera esistenza nel Pd. L’ostacolo principale non è stato l’imprenditore Fabio Battistini, un conservatore perbene candidato dal Centrodestra per la sua lontananza dalla politica, che nella realtà cittadina gli ha però giocato contro, bensì la risoluta Isabella Conti, giovane sindaca renziana di un paesino del circondario. Ha rovesciato su Lepore una considerevole quantità d’improperi: paradossalmente lo hanno lanciato nella sua galoppata solitaria.

La non ricandidatura della sindaca Appendino (M5S) ha scompaginato gli assetti di Torino: nonostante gli errori e i piccoli guai giudiziari, avrebbe avuto concrete chances. Senza di lei partita apertissima. Pure qui il Centrodestra ha puntato su un candidato civico, il produttore vinicolo Paolo Damilano, da mesi in campagna con la sua lista (Torino Bellissima) sganciata dai partiti. L’avversario è il capogruppo del Pd in consiglio comunale Stefano Lo Russo, professore di geologia applicata e implacabile oppositore di Appendino. La sua designazione, imposta dai dirigenti cittadini alla segreteria nazionale, è stata assai sofferta perché ha presupposto la chiusura all’offerta del M5S di consociarsi. I sondaggi danno Damilano e Lo Russo appaiati, ma al ballottaggio il favorito è Lorusso grazie al paradossale sostegno dei carissimi nemici pentastellati.

In difesa del monumento agli schiavisti

stati uniti Lo Stone mountain park in Georgia, dedicato all’epopea degli Stati confederati, ha un nuovo direttore:

un reverendo di colore che intende trasformare quel luogo di celebrazione del razzismo in uno spazio di conoscenza Luciana Grosso Tutto si può dire dell’America, tranne che non sia grande. E tutto si può dire dell’America, tranne che non creda nella libertà. Proprio per questo, proprio perché è molto grande e molto libera, ogni tanto all’America capita di darsi torto da sola, di bisticciare con sé stessa e di cadere in gigantesche contraddizioni. E la parola gigantesche non è casuale. Perché una di queste grandi contraddizioni americane, forse la più tangibile, occupa una superficie di 28 metri per 58, lungo la parete di una montagna. È il bassorilievo più grande del mondo, scolpito sulla Stone mountain, all’interno dello Stone mountain park. Si tratta di una delle attrazioni più popolari e note dello Stato della Georgia (ogni anno accoglie quasi 4 milioni di visitatori). La scultura rappresenta il profilo di tre dei più importanti leader confederati della Guerra di secessione (combattuta dal 1861 al 1865 fra gli Stati uniti d’America e gli Stati confederati, i quali non intendevano rinunciare allo schiavismo): il generale Robert E. Lee, il presidente confederato Jefferson Davis e il generale Thomas J. Jackson. La

storia dello Stone mountain park e del suo enorme bassorilievo che inneggia alla secessione degli Stati del sud è tutta una successione di contraddizioni. E, proprio per questo, è profondamente americana. La prima contraddizione che si incontra è il fatto che la zona è un parco naturale, con alberi secolari e sentieri di montagna. Ma, in realtà, quasi nessuno lo visita per vedere montagne o

L’enorme bassorilievo. (Shutterstock)

alberi. Tutti puntano al grande bassorilievo dei confederati e all’aura di celebrazione della Secessione che lo circonda, con tanto di bandiere confederate, memorabilia, cimeli dei tempi della schiavitù e della guerra. E, a questo punto, constatato il fatto che lo Stone mountain park ha poco a che fare con rocce e piante ma molto con la guerra civile, arriva la seconda contraddizione: l’esistenza stessa del parco. Nella storia, lo sappiamo, difficilmente i vincitori lasciano che gli sconfitti raccontino gli avvenimenti come pare a loro. E, d’altra parte, è piuttosto raro che chi ha perso una guerra abbia voglia di parlarne. Eppure in Georgia, come in quasi tutti gli Stati del sud degli Usa, sembra che nessuno chieda di meglio che parlare di quella guerra lontana, fratricida, per giunta persa, fatta per difendere la schiavitù, una pratica talmente immonda da essere bandita pochi anni dopo in tutto il mondo. La terza contraddizione legata al parco, poi, ha a che fare con il suo nuovo direttore: Abraham Mosley, un rispettato e conosciuto reverendo afroamericano. Dallo scorso aprile, infatti, c’è lui alla guida del consiglio di ammi-

nistrazione che gestisce il parco dedicato all’epopea degli schiavisti confederati e nel cui recinto, è bene ricordarlo, è stato fondato il Ku klux klan (organizzazione segreta e violenta che propugna la superiorità della supposta razza bianca). La quarta contraddizione di questa storia piena di spigoli sta nel fatto che la nomina del reverendo Mosley è stata promossa da Brian Kemp, uno dei governatori di destra tra i più disposti a flirtare con il suprematismo bianco di tutti gli Stati uniti. Da questo punto in poi le contraddizioni iniziano ad appianarsi e spiegarsi l’una con l’altra. Perché quel che appare evidente è che il reverendo Mosley, suo malgrado e nonostante non ci sia niente di più distante da lui del suprematismo bianco, diventando direttore del parco, di fatto, ne è diventato la migliore garanzia di sopravvivenza. Al momento della sua nomina Mosley era stato molto chiaro circa il fatto che voleva che quel posto diventasse un luogo di ricostruzione storica e di conoscenza e smettesse di essere un luogo di celebrazione della schiavitù e del razzismo. «Quando penso a Stone mountain – dichiarò nelle sue prime settimane di incarico – guardo al pas-

saggio dalla guerra civile ai diritti civili. A Stone mountain si vedono molti simboli confederati ma la gente non conosce l’intera storia: la mia missione è fare conoscere loro tutta la faccenda». Detto fatto, Mosley ha avviato non pochi cambiamenti all’interno del parco: ha istituito mostre didattiche, percorsi storici, spostato in una zona meno visibile le bandiere confederate e ha cambiato il logo del parco, sostituendo il profilo degli eroi confederati con quello della grande roccia su cui è inciso. Eppure, per quanto paradossale possa sembrare, spostando le bandiere Mosley ha evitato che venissero tolte; togliendo il profilo dei generali confederati dal logo del parco ha messo a tacere le richieste di chi chiedeva e chiede che il monumento venga distrutto, come decine di altre statue e monumenti sudisti. E così, in questo gioco di contraddizioni che si sostengono e smentiscono l’una con l’altra, il reverendo Mosley, un uomo di colore, si è ritrovato a fare scudo, con il suo corpo e la sua rispettabilità, al più grande monumento al suprematismo bianco del mondo. Perché l’America è un Paese grande, un Paese libero, che ogni tanto si pesta i piedi da solo.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 settembre 2021 • N. 39

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Politica e economia Combattenti talebani nelle strade della capitale afgana. (Shutterstock)

la cancellazione delle donne

Il punto Mentre le afgane perdono i diritti

in Pakistan si rafforza il modello tradizionale Francesca Marino

un trampolino per la jihad globale

Kabul Quali sono le ragioni interne del rapido successo dei talebani

e cosa rappresenta la loro vittoria per il resto del mondo

Francesca Mannocchi Il mullah Omar, ex guida spirituale dei talebani afghani, un tempo disse: «Bush mi ha promesso la sconfitta e Allah mi ha promesso la vittoria, vedremo quale delle due promesse sarà mantenuta». A leggerle oggi, queste parole, lasciano un sapore amaro in bocca, come tutte le previsioni che sembrano apocalittiche e vengono perciò sottovalutate. I talebani – vent’anni dopo l’inizio della guerra seguita all’attacco di Al Qaeda alle Torri gemelle di New York (e non solo) – hanno riconquistato l’Afghanistan, una vittoria rapida, forse troppo anche per le previsioni del gruppo. Un’offensiva lunga una decina di giorni che il 15 agosto ha consegnato ai fondamentalisti la capitale, costringendo i Governi occidentali a concertare le evacuazioni con loro e non con il Governo di Ashraf Ghani, come avevano previsto. A distanza di quasi un mese e mezzo, quello che resta è un Paese che guarda al passato, uno Stato teocratico nelle mani di un gruppo conquistatore che si presenta conciliante a parole, ma conservatore e oppressivo nella pratica. Quella talebana, oggi, è tuttavia una vittoria fragile perché espone il gruppo a un dilemma profondo, cioè quale sia il modo migliore per passare dall’essere un gruppo insurrezionale di miliziani che si rappresentano come la sola resistenza agli occidentali oppressori, a diventare un partito di Governo. La domanda centrale che oggi i talebani devono affrontare è questa: è più utile nel lungo periodo tutelare la coerenza ideologica del movimento e continuare con l’atteggiamento oppressivo o scendere a compromessi politici con attori regionali e internazionali per ottenere gli aiuti internazionali di cui il Paese ha disperatamente bisogno, rischiando di snaturare il messaggio jihadista? I talebani del 2021 sanno che il Paese vive una crisi economica profonda e un’allarmante crisi umanitaria. L’Afghanistan esce da anni di economia di guerra, un’economia artificiale basata interamente su aiuti esterni. In un Paese il cui più del 70 per cento della popolazione vive sotto la soglia di povertà, un bambino su 5 rischia la malnutrizione acuta e 7 milioni di persone non hanno accesso ai servizi sanitari, ogni servizio dipende da aiuti esterni e donazioni internazionali. I talebani sanno che se non si mostrano pragmatici non arriveranno fondi per fronteggiare la crisi e senza soldi rischiano di perdere anche il consenso. Il grande interrogativo sul futuro è, dunque, come i talebani capitalizzeranno la vittoria

dal punto di vista ideologico. Da un lato la crisi economica cui fare fronte dall’altra la conquista su cui investire per perpetuare il messaggio nel futuro, rafforzandolo. I talebani restano infatti un gruppo jihadista nazionalista, non hanno cioè intenzione di esportare il modello fuori dal Paese, ma non c’è dubbio che la vittoria dopo vent’anni di occupazione sarà usata come leva di nuova propaganda da altri movimenti e anche su questo la comunità internazionale dovrà fare i conti. Oggi c’è indubbiamente una parte di società civile che si oppone al gruppo fondamentalista ma c’è una larga parte del Paese che li sostiene e ha garantito loro di entrare in paesi e villaggi per cooptazione e senza l’uso della violenza. La ragione per cui molte persone hanno supportato i talebani è che il gruppo ha dimostrato non tanto e non solo pazienza strategica per riappropriarsi di intere aree del Paese, quanto che abbia saputo riempire i vuoti di altri: del governo, sempre meno percepito come organo legittimo e sempre più vissuto come un’imposizione dall’alto della coalizione internazionale, e naturalmente dell’esercito, anch’esso corrotto ma sostanzialmente privo della motivazione che invece i talebani avevano. Soprattutto nelle aree rurali, quelle in cui principalmente le forze governative si sono scontrate militarmente con i miliziani talebani, per anni i cittadini si sono sentiti abbandonati a una manciata di poliziotti deputati a garantire la sicurezza ma che spesso diventavano il braccio armato dei signori della guerra, dei leader di potenti milizie che taglieggiavano le persone per arricchirsi. In questo contesto i talebani, con la loro rapida sebbene severa applicazione della sharia (la legge islamica), sono stati percepiti come una soluzione dura ma migliore del male rappresentato dal Governo. Inoltre per i cittadini afgani i talebani hanno finito per incarnare i sentimenti comunitari legati da un lato all’Islam e dall’altro a un solido istinto nazionalista. I talebani combattevano per una ideologia ed erano disposti a morire, i poliziotti, i soldati non erano invece motivati a morire per una guerra che sentivano a loro estranea, i soldati erano, in più, percepiti come forze di occupazione, fragili e incapaci di gestire una strategia militare senza il supporto occidentale. Ecco perché in molti hanno disertato negli ultimi mesi dell’offensiva che ha portato i talebani a celebrare la vittoria. Oggi i talebani si presentano come gli unici rappresentanti dell’identità afgana e questa vittoria rischia di diven-

tare una pietra miliare del movimento jihadista e un pezzo centrale della sua narrazione futura. Una vittoria che è un messaggio duplice al mondo: non vi fidate di Governi che non hanno a cuore il bene delle persone e fidatevi invece della jihad (la guerra santa) che – non importa quanto tempo impiegherà – porterà alla vittoria. Anche Al Qaeda si è affrettata a lodare i talebani nei giorni successivi alla presa di Kabul, sostenendo che la loro azione sul campo avesse rafforzato la fede nella guerra santa e la fiducia nella pazienza strategica contro il nemico oppressore. Ideologia rafforzata, dunque, ma anche detenuti ormai fuori dalle prigioni con cui fare i conti: 2000 sono solo i combattenti dell’Isis liberati dalla prigione di Pul-e-Charki a Kabul, tre di loro sono gli attentatori dei recenti attacchi all’aeroporto di Kabul e a Jalalabad. Il Paese, nelle previsioni degli analisti, rischia di trasformarsi di nuovo in un grande campo di addestramento per jihadisti della regione e questa è una preoccupazione che precede la vittoria talebana. Già nel maggio del 2021, quattro mesi prima del ritiro delle truppe americane, le Nazioni unite stimavano che in Afghanistan fossero presenti da otto a diecimila combattenti stranieri. Come sottolinea un rapporto del Soufan center di New York, Al Qaeda ha già da tempo iniziato a ricreare una rete di campi di addestramento. Già nel 2015, sei anni fa, uno di questi campi vicini al confine con il Pakistan ha richiesto 63 attacchi aerei della coalizione e un attacco di terra di 200 soldati americani per essere smantellato. A leggere questi dati e il caos calmo di queste settimane in Afghanistan, tutto lascia pensare che i talebani possano diventare di nuovo il rifugio di altre organizzazioni jihadiste e mettere di nuovo in pratica la strategia espressa nel noto testo del 2004, «Management of savagery», che da allora ha codificato la strategia dell’estremismo islamico, indicando tre fasi della battaglia. La prima prevede l’uso della violenza per creare regioni di ferocia fuori dal controllo dei Governi tradizionali, la seconda è riempire i vuoti di potere e la terza è creare una struttura di potere che ha assunto varie forme, il Califfato se si pensa all’Isis, l’Emirato islamico se si pensa al passato e al presente dell’Afghanistan. Ecco dunque che la vittoria talebana può diventare un nuovo trampolino per la jihad globale e accogliere – in assenza di attori occidentali sul campo – miliziani da addestrare per destabilizzare altri Paesi.

Giù le mani dai miei vestiti. Così, con l’ashtag #DoNotTouchMyClothes, le donne afgane davano il via a una campagna sui social media per contrastare l’immagine decisamente scioccante di una manifestazione di ragazze e donne «a sostegno dei talebani» organizzata a Kabul dai nuovi padroni dell’Afghanistan. Le immagini hanno fatto il giro del mondo: una processione di signore e signorine paludate di nero, con degli indumenti che cancellavano ogni traccia di sembianza umana dal volto e dal corpo di chi li indossava. Degli indumenti che, secondo afgane, iraniane, arabe o pakistane, non trovano alcun riferimento culturale in nessun Paese dell’area geopolitica. L’unico riferimento culturale possibile, è stato detto, sono i Dissennatori di Harry Potter. L’abito imposto dai talebani, e distribuito secondo molte testimonianze con la forza, a ragazze e signore costrette poi a sfilare, non esiste nella tradizione dell’Afghanistan, del Pakistan e nemmeno dell’Arabia Saudita. Non è un burqa, non è un hijab, non è un abaya (lungo camice), non è nulla di conosciuto. Eppure le polemiche sono state molte. Le migliaia di afgane che postavano le loro foto in abiti tradizionali, abiti colorati e veli leggeri, sono state attaccate violentemente via social media. E, in Afghanistan, spesso anche fisicamente. Sui social media i più strenui difensori di quella che è ormai nota come Dementor suit (il vestito da Dissennatori), sono manco a dirlo tutti uomini. E tutti pakistani. Che invocano, a suon di versetti del Corano, la cancellazione totale non soltanto di ogni sembianza femminile ma anche delle donne dalla società. È ormai ufficiale che le donne non potranno tornare a scuola, che sarà loro impedito di lavorare e di manifestare, come avevano cominciato a fare nelle scorse settimane. Il nuovo ministro degli Interni, il terrorista Sirajuddin Haqqani su cui pende una taglia di 10 milioni di dollari, ha vietato ogni manifestazione di protesta. Sono ammesse soltanto quelle «spontanee» a sostegno del Governo. Le virgolette sono d’obbligo, visto che quando nemmeno la forza è sufficiente i talebani offrono alle donne denaro oppure delle «lettere di minaccia» da adoperare per cercare di ottenere un visto per l’estero. Intanto donne e ragazze vivono nascoste. Anche coloro che non hanno mai fatto politica o non hanno mai protestato sono terrorizzate all’idea di essere maritate a forza a un «protettore della fede» con tanto di barbone e kalashnikov. Terrorizzate all’idea di essere inghiottite dentro a un buco nero di silenzio e di invisibilità nel momento in cui i riflettori dell’Occidente fatalmente si spegneranno e loro saranno ancora una volta lasciate a fare i conti con la vita sotto i talebani. Nel Governo è ricomparso il sinistro Ministero del

Coperte dal burqa. (Keystone)

vizio e della virtù, quello che, tanto per ricordarlo, lapidava le adultere in piazza e schiacciava contro un muro con i camion gli omosessuali. Cercare sostegno da parte di chi manovra i talebani e al contempo chiede soldi all’Occidente per fronteggiare le migliaia di rifugiati create dai talebani stessi, cioè cercare sostegno dal Pakistan, è follia pura. Il primo ministro Imran Khan loda da tempo la bontà del burqa e affini (che la sua ultima moglie indossa regolarmente), perché lo trova una formidabile arma di difesa contro lo stupro. Secondo Imran Khan, difatti, lo spaventoso tasso di violenza nei confronti delle donne in Pakistan è da attribuirsi ad abbigliamento e costumi occidentali: «In fondo gli uomini non sono mica robot», ha dichiarato commentando uno dei casi più efferati. E, quanto alle donne sotto i talebani e all’istruzione, ha trovato una ricetta infallibile. «Gli afgani hanno finalmente spezzato le catene della schiavitù», ha commentato all’indomani della presa di Kabul, lanciando un nuovo programma di studi unificato per le scuole pakistane, che spezzi le catene della schiavitù culturale dall’Occidente. Sui libri di testo si vedono papà e figlio maschio seduti sul divano in abiti occidentali mentre il resto della famigliola felice, mamma e figlia, siedono per terra vestite in abiti tradizionali e con il capo coperto. All’interno degli stessi libri di testo si cerca di far passare, in modo nemmeno tanto velato, che il ruolo delle donne nella società, a parte fare figli e curare la casa, sia quello di «sostegno» a mariti e fratelli. La parte sana della società, quella che difende i diritti della donne, quella che vive nel ventunesimo secolo, è inorridita, ma a chi interessa? Propagandare un malinteso concetto di religione, contestato anche da molti religiosi, è uno dei mezzi con cui si cerca di legittimare come «tradizionale» e fondato su valori comuni il Governo di terroristi che siede a Kabul. Diffamare e insultare le afgane che postano i loro abiti tradizionali, cercando di far passare per cultura imposta dall’Occidente quella che è in realtà una millenaria cultura locale, è l’ennesimo modo per dare al resto del mondo un messaggio di unità e conformità. Di creare una cultura condivisa su base religiosa, che giustifichi tutte le nefandezze figlie del terrorismo e della violenza e che giustifichi, soprattutto, la legittimità della presa di potere dei talebani voluti, nella narrativa pakistano-talebana, dal popolo afgano perché figli della cultura locale. Sia i talebani che Imran Khan e i suoi sostengono adesso che i diritti fondamentali delle donne non sono certo il problema più urgente dell’Afghanistan. Vero. A essere in gioco, sono i diritti di tutti gli afgani. Uomini, donne e bambini. Il diritto alla libertà individuale, il diritto di essere ateo o religioso. Il diritto di scegliere, soprattutto.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 settembre 2021 • N. 39

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Idee e acquisti per la settimana

Il dado è tratto Il grande classico tra i formaggi svizzeri, Le Gruyère DOP, si declina ora anche nella forma di cubetto speziato, proposto in una pratica confezione per degustarlo immediatamente. Un piccolo spuntino sempre pronto sia per un aperitivo tra amici, in gita o a casa tranquilli, guardando un bel film in televisione!

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Politica e economia

Quel sogno di pace universale Prospettive Dal principio di tolleranza di Maximilien de Béthune alla creazione della Società delle Nazioni.

In un mondo perennemente in guerra nascono e muoiono utopie che suggeriscono altre strade possibili

Alfredo Venturi Sarà un sogno, una chimera, un’utopia, fatto sta che il desiderio di una pace definitiva ha attraversato i secoli mentre si susseguivano in ogni angolo del pianeta guerre sanguinose e crudeli. Histoire-bataille, si diceva non a caso per definire la narrazione degli eventi storici. Eppure l’idea che uno speciale assetto politico e giuridico possa garantire per sempre la pace non ha mai cessato di produrre proposte, progetti, formule per la soluzione concordata dei conflitti. Il primo a trattare organicamente il problema fu il ministro delle finanze di re Enrico IV di Francia, Maximilien de Béthune, duca di Sully. All’inizio del Seicento, cercando una formula che assicurasse finalmente la pace al Vecchio continente, immaginò un’Europa in cui i conflitti fra cattolici e protestanti fossero regolati dal principio della tolleranza. Il piano del duca aveva un grave difetto: tratteggiando un’Europa pacifica fondata sull’equilibrio fra le grandi e le piccole potenze, in tutto una quindicina di Stati, consacrava l’egemonia della Francia a scapito del potere asburgico. Lo schema non era fatto per reggere alla prova dei fatti: l’apocalittica Guerra dei trent’anni sconvolse il Continente.

Il piano del duca di Sully aveva un difetto: consacrava l’egemonia della Francia a scapito del potere asburgico Proprio sulla lezione di questa esperienza bellica si fondò la proposta che all’inizio del secolo successivo l’abate Charles-Irénée de Saint-Pierre condensò in un saggio dal titolo ambiziosissimo: «Progetto per rendere la pace perpetua in Europa». Scartata l’idea di affidare questa missione a una potenza egemone, l’abate di Saint-Pierre sosteneva che nemmeno l’equilibrio fra gli Stati poteva assicurare la pace. Infatti questo scenario induce a tenere la mano sull’elsa della spada, si tratta insomma non di pace ma di tregua armata fra potenze che si guardano in cagnesco. E basta un nonnulla perché le armi si trasferiscano dalle grandi manovre al campo di battaglia. La formula vincente secondo lui era una federazione di Stati. Parlò di Dieta d’Europa, arrivò a parlare di Unione europea! Ma gli negarono l’autorizzazione a stampare il suo libro in Francia, fu tradotto e pubblicato all’estero. Pochi decenni più tardi Jean-Jacques Rousseau rilanciò le sue idee, ma l’approccio tradizionale continuò a considerare la guerra uno strumento politico, come teorizzò Carl von Clausewitz. Toccò a un grande filosofo, Immanuel Kant, il compito di riproporre un elaborato disegno di pace cercando di dimostrarne il carattere non utopistico. Il guaio è che il trattato «Sulla pace perpetua. Una proposta filoso-

La Seconda guerra mondiale uccise oltre 60 milioni di militari e civili. (Shutterstock)

fica» uscì nel 1795, quando stava per abbattersi sull’Europa il ventennale ciclone guerresco di Napoleone. Ma ciò non toglie nulla alla profondità del pensiero di Kant che partiva da una considerazione: fino a quando gli Stati continuano a contrapporsi secondo l’istintivo stato di natura la sola forma possibile di pace è la sospensione delle ostilità. Ovviamente occorre ben altro, Kant separava nettamente questa condizione transitoria dal concetto di pace universale. Riprendendo l’idea dell’abate di Saint-Pierre formulò una serie di condizioni preliminari sulle quali poteva verificarsi una concreta volontà pacifica: nessuna riserva nei trattati di composizione dei conflitti, nessuna fusione ereditaria di Stati, abolizione degli eserciti permanenti, no ai debiti di guerra, uguaglianza dei cittadini, la libertà di ogni Stato garantita dall’impegno reciproco alla non ingerenza. Dopo le guerre napoleoniche fu la Santa alleanza a organizzare la pace dei vincitori, riprendendo proprio quei principi del duca di Sully che l’abate di Saint-Pierre aveva tanto criticato: l’equilibrio fra le potenze che hanno avuto ragione di Bonaparte e la loro pressione egemonica volta a soffocare sul nascere ogni tentativo di turbare quella specie di pace. Durò fino a metà Ottocento, ma poi l’Europa esplose e le sue tensioni liberaleggianti lungamen-

te represse diedero il via libera da una parte alle lotte per l’indipendenza che vedevano il concetto di Stato-nazione minare le fondamenta degli imperi multinazionali, dall’altra all’emergere di nuovi attori alla ribalta della storia: la borghesia che raccolse finalmente i frutti della rivoluzione francese e una classe operaia affamata di protagonismo.

Il presidente americano Wilson elaborò una idilliaca sistemazione postbellica fondata su quattordici punti Il grande obiettivo pacifista si ripropose durante il conflitto mondiale che dal 1914 al 1918 dissanguò la vecchia Europa. Nell’ultimo anno di quella che papa Benedetto XV definì «inutile strage» (ma come potrebbe una strage essere utile?), quando la fine delle ostilità e la vittoria dell’Intesa erano ormai a portata di mano, il presidente americano Woodrow Wilson elaborò una idilliaca sistemazione postbellica fondata sui suoi celebri quattordici punti. In particolare tre punti richiamavano l’attenzione del mondo stremato dal conflitto: i trattati di pace devono essere pubblici

e non avere clausole segrete, gli Stati si impegnano a mantenere gli arsenali al minimo livello compatibile con la sicurezza interna, inoltre devono riunirsi in un’organizzazione permanente, la Società delle Nazioni, che deve risolvere pacificamente i conflitti. Ma il grido di pace di Wilson restò inascoltato. Soprattutto in patria: infatti il Congresso negò la partecipazione degli Stati uniti alla Società delle Nazioni e questa fu una delle ragioni, oltre alla mancanza di potere coercitivo, per cui l’organizzazione ginevrina, che pure risolse alcune questioni spinose come le dispute sulle regioni tedesche di frontiera, si rivelò un sostanziale fallimento. Il clamoroso fiasco di Wilson e la fuga isolazionistica del suo Paese, che il Nobel per la pace all’autore dei quattordici punti non basta certo a compensare, contribuirono ad aprire la strada verso una nuova catastrofe bellica. Eppure si registrarono altri tentativi di disinnescare la bomba, come il patto di rinuncia alla guerra varato a Parigi nel 1928 e sottoscritto da decine di Paesi, compresi quelli che si affrontarono nel devastante conflitto all’orizzonte. Questo illusorio tentativo portava i nomi dei promotori, il segretario di Stato americano Frank Kellogg e il ministro degli Esteri francese Aristide Briand. L’inefficacia dell’iniziativa fu totale: le

persone morte per cause di guerra negli anni successivi al patto Briand-Kellogg sono perfettamente in linea con l’impressionante bilancio di vittime prodotto dagli eventi bellici che nei secoli hanno insanguinato il pianeta. Basti pensare al tragico primato della Seconda guerra mondiale, che uccise oltre 60 milioni di militari e civili. Dopo questo ennesimo massacro l’Onu prese il posto della Società delle Nazioni e ancora oggi cerca di prevenire i conflitti armati, affidando i contenziosi alla diplomazia e incoraggiando il controllo degli arsenali militari. Ma l’organizzazione è quasi paralizzata, esattamente come quella che l’ha preceduta, dal fatto che ripropone al suo interno quelle stesse divergenze che dovrebbe appianare. Per esempio nel Consiglio di sicurezza siedono con diritto di veto alcuni membri permanenti; i loro contrasti impediscono quasi sempre l’unanimità delle decisioni. Eppure un segnale incoraggiante è venuto dalle due superpotenze quando hanno deciso di ridurre gli armamenti nucleari, ma purtroppo quelli che restano bastano per incenerire il mondo. È vero che il deterrente atomico fin qui ha funzionato ma da una guerra all’altra, non soltanto in Afghanistan, si fa largo l’uso di armi convenzionali sempre più micidiali. E così la pace universale rimane un sogno, una chimera, un’utopia. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 settembre 2021 • N. 39

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le elezioni truccate e la fatica del Cremlino russia Il voto per il rinnovo della Duma è stato la prova generale in vista del 2024,

quando Putin dovrà decidere se correre per il suo quinto mandato o avviare una transizione

Seggio elettorale presso la stazione ferroviaria di Kazansky a Mosca. (Shutterstock)

Anna Zafesova Nel momento in cui Vladimir Putin – che si trova in isolamento, dopo che tra il suo personale si sono registrati, secondo la sua stessa ammissione, «decine di casi di Covid» – si è seduto al computer per inoltrare online il suo voto per le elezioni della Duma, l’opinione pubblica ha iniziato a farsi numerose domande. Dove si trova il presidente russo? Come è riuscito a votare senza possedere uno smartphone sul quale inoltrare la verifica? Il Cremlino ha spiegato che ha utilizzato il telefono di un consigliere ma pare che la tecnologia non lo permetta. E, terza domanda, perché il suo orologio da diecimila euro mostra una data di dieci giorni prima? La risposta ufficiale è stata che Putin semplicemente non bada alla funzione che gli indica che giorno è (anche perché ha un nutrito staff pronto a ricordarglielo). Ma l’episodio, mostrato dalla tv russa, è diventato simbolico della maratona di tre giorni (dal 17 al 19 settembre scorsi) che ha riconfermato la maggioranza costituzionale del partito presidenziale Russia unita nella Camera bassa del Parlamento.

Molti deputati del Parlamento europeo hanno proposto di non riconoscere il risultato delle urne In primo luogo perché si è trattato delle elezioni più truccate della storia russa, tanto che molti deputati del Parlamento europeo hanno proposto di non riconoscere il risultato delle urne, come già succede da vent’anni al dittatore bielorusso Aleksandr Lukashenko. L’Ong Golos ha registrato quasi 5 mila violazioni elettorali, ma la Commissione elettorale centrale ne ha rilevate solamente 12, nonostante i social russi si fossero riempiti di filmati e fotografie

di pacchi di schede infilati nelle urne, verbali riscritti nei seggi e osservatori indipendenti cacciati brutalmente dallo scrutinio oppure arrestati dalla polizia. Ma le manipolazioni più sfacciate sono state proprio quelle del voto elettronico: a Mosca, dove tradizionalmente l’opposizione è più forte, hanno vinto ovunque i candidati di Russia unita, nonostante i dissidenti fossero in cospicuo vantaggio fino al 99% delle schede cartacee scrutinate in almeno 8 delle 15 circoscrizioni. Gli esperti indipendenti stimano i brogli intorno ai 14-16 milioni di schede, quasi un terzo dei partecipanti al voto, e il peso reale dei putiniani intorno al 30%, invece del 50% dichiarato nel voto proporzionale (al quale vanno ad aggiungersi 198 circoscrizioni uninominali su 225). Che il Cremlino avrebbe messo da parte qualunque remora di procedura democratica pur di conservare le posizioni di comando nella Duma era diventato chiaro già quando praticamente tutti i candidati critici del Governo sono stati arrestati, incriminati o costretti all’esilio. E a tutti i politici legati all’oppositore Alexey Navalny è stato impedito di partecipare alle elezioni in quanto «estremisti». I beneficiari principali del voto sono stati infatti i comunisti, che secondo le stime indipendenti hanno vinto perfino in roccaforti liberali come Mosca e San Pietroburgo e nel voto all’estero. Merito in buona parte del «voto intelligente» proposto dal carcere da Navalny: la controversa tattica di turarsi il naso e convogliare il voto di protesta sul candidato uninominale che aveva maggiori chances ha creato per la prima volta un inedito fronte unito di opposti ideologici. Un risultato che il Governo ha cercato di impedire in tutti i modi, arrivando a minacciare i dipendenti di Google in Russia di arresto per costringere il gigante del web (e la Apple) a togliere l’app con le indicazioni di voto dei navalniani dai suoi store, e oscurare i filmati Youtube e i Google docs con le

liste del «voto intelligente». Il messaggio rivolto all’Occidente, ma soprattutto all’interno della Russia, è dunque chiaro: indipendentemente dalla crisi di consensi, dalla crescita di scontento e dalla fine della maggioranza putiniana, il regime non ha intenzione di aprire spazi alle alternative. Gli elettori critici sono stati scoraggiati dall’andare ai seggi: l’affluenza ufficiale è intorno alla metà degli aventi diritto, quella reale probabilmente ancora più bassa, con una evidente scommessa sul voto di dipendenti pubblici, militari e altre categorie su cui le autorità possono esercitare pressioni. Il voto elettronico è poi stato utilizzato per far vincere candidati perdenti, e canali Telegram dedicati alle indiscrezioni moscovite affermano che le percentuali di molti concorrenti sono state negoziate direttamente al Cremlino, tra vari esponenti dei clan regionali e politici. Il voto per la Duma è stato infatti soprattutto un monito ai vari gruppi dell’establishment: bisogna guardare la data sull’orologio di Putin, non quella reale, perché sarà il Cremlino a decidere che giorno è. Le elezioni per tanti versi sono state la prova generale di quelle del 2024, quando Putin dovrebbe decidere se correre per il suo quinto mandato oppure avviare una transizione verso un delfino ancora da individuare. Il Cremlino ha fatto una fatica immensa, concentrando tutte le sue risorse, per conservare il suo monopolio politico. Si tratta di capire se ne trarrà la conclusione di non poterselo più permettere o, al contrario, di non potersi permettere di perderlo. Navalny dal carcere ha giustamente applaudito al suo «voto intelligente» che ha messo in difficoltà il sistema, ma la sua ricetta originaria – elezioni almeno parzialmente libere sostenute dalla pressione della piazza contro le falsificazioni – è diventata impraticabile dopo che il Cremlino ha reagito all’ondata di scontento con un’impennata repressiva. A questo punto il gioco si svolgerà lontano dalle urne e terrà conto di diverse

incognite, tra cui la capacità di Putin, sempre più isolato e assente (spesso non si sa nemmeno dove si trovi e a volte il suo orologio mostra una data sbagliata perché in realtà i video trasmessi dalla tv di Stato sono stati girati in altri momenti), di mantenere salda la sua leadership durante una crisi economica aggravata dai problemi della Russia sul piano internazionale.

Il sistema necessita di un aggiornamento sempre più urgente e nello stesso tempo lo vede troppo rischioso Il sistema si trova davanti a un dilemma. Necessita di un aggiornamento sempre più urgente e nello stesso tempo lo vede troppo rischioso. Lo stesso Putin ha giustificato «l’azzeramento della Costituzione» nel 2020, che gli permetterebbe di ricandidarsi per altre due volte, con il desiderio di bloccare le élite che «si stanno già guardando intorno» in cerca del suo successore. Quella che dovrebbe essere una procedura democratica normale in Russia è ormai un reato di lesa maestà, ma un regime, dopo 22 anni ormai personalizzato, non ha grandi risorse da offrire a una popolazione stanca, impoverita e a una classe dirigente che sogna un ricambio generazionale. Che non riguarda solo la presidenza. Due degli altri 4 partiti entrati nella Duma, i comunisti e i «liberaldemocratici», sono guidati rispettivamente dal 77enne Gennady Zyuganov e dal 75enne Vladimir Zhirinovsky, entrambi al timone da 30 anni ed entrambi attenti a non contestare Putin. L’alleanza del «voto intelligente» dei liberali con i giovani più combattivi del Pc rischia di aprire una crisi anche nel partito più vecchio e radicato della Russia, che ora si rende conto che in elezioni oneste potrebbe anche vincere e andare al governo.

Politica e economia Fra i libri di Paolo a. dossena FranCo CardInI, Turchia ieri, oggi, domani, dedalo, 2021 No, i turchi non sono un’entità eterna. La loro identità cambia costantemente e questo causa paradossi. Il Califfato ottomano l’altro ieri, lo Stato-Nazione turco del «giacobino», super nazionalista laico e collettivista Kemal Atatürk ieri, il nuovo «sultano-califfo» Erdogan oggi. E domani? Ci sono più domande che risposte. La verità, ha sempre scritto lo storico Franco Cardini, non è nel passato o nel presente. È nel futuro. Chi avrebbe mai immaginato che nel 1924 Kemal Atatürk avrebbe abbattuto il Califfato, proponendosi di inventare una «terza via» tra capitalismo e comunismo? Chi avrebbe mai immaginato che «l’islamista moderato» ed ecumenista Erdogan si sarebbe trasformato in un alleato dello Stato islamico? Inizialmente quest’ultimo proponeva una certa «moderazione politica». Poi è arrivata la «deriva autoritaria erdoganiana» che causa oggi, tra le altre cose, «una forte mobilitazione di molte donne turche». Durante il precedente regime dogmaticamente nazionalista e laico, spiega Cardini, le donne turche avevano protestato perché il kemalismo era giunto a «considerare una perversione da curare con mezzi psichiatrici qualunque deviazione rispetto al pensiero politico kemalista». Così nel 1991 c’erano stati disordini causati dalla proibizione alle donne di portare il velo. Invece oggi, davanti a un estremismo opposto (quello di Erdogan), le donne turche scendono in piazza «per esigere una reale protezione contro la violenza maschile e una tutela effettiva dei loro diritti. Queste rivendicazioni hanno radici profonde nella storia repubblicana della Turchia, viste le conquiste sociali e politiche ottenute dalle donne grazie al kemalismo: il diritto di voto, ad esempio, era stato loro concesso fra il 1930 (elezioni comunali) e il 1934 (elezioni parlamentari), prima cioè che in Paesi europei come l’Italia e la Francia». Da Erdogan sotto questo punto di vista c’è poco da aspettarsi, «emblematica appare la recente decisione (20 marzo 2021) di ritirare la Turchia dalla Convenzione di Istanbul, ossia dal primo trattato internazionale stipulato per prevenire e combattere la violenza sulle donne». Tuttavia paradossalmente se il kemalismo rispettava le donne, riteneva un crimine gravissimo «dichiararsi appartenente all’etnia curda». Tornando ad Erdogan, anche l’allontanamento dall’Europa è un dato di fatto, come dimostrato dalla sedia recentemente negata a Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione europea. Se si allontana dall’Europa, dove va il «sultanocaliffo»? È un altro paradosso: da un lato corre verso Israele e dall’altro verso l’Arabia Saudita e il terrorismo islamico: «Erdogan e l’Isis avevano gli stessi avversari (Assad, i curdi, l’Iran); e tali avversari erano – e restano – esattamente i medesimi dell’Arabia saudita e di Israele». Che conclusioni si posso trarre? Ecco come Franco Cardini termina la sua indagine: «il sultano è a capo di un Paese che può divenire una plaque tournante tra la politica orientale degli Stati uniti e un possibile blocco euroasiatico che sta delineandosi e che dovrebbe spettare a Washington impedire, ponendo fine alla catena di errori e di cattive scelte compiuti in quell’area almeno dalla Prima guerra del Golfo a oggi». Un altro notevole saggio di Franco Cardini condensato in 80 pagine – esclusi bibliografia, immagini e indici – che si leggono d’un fiato.


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Politica e economia

soppressione del valore locativo, primo difficile passo

Camere federali Il Consiglio federale vorrebbe includere anche le case di vacanza, ma i cantoni turistici si

oppongono e creano una nuova disparità di trattamento Ignazio Bonoli Il problema della tassazione del «valore locativo» per chi abita in casa propria sembra aver trovato una soluzione al Consiglio degli Stati. La Camera dei Cantoni ha infatti accettato un’iniziativa che ne chiede l’abolizione, con alcune correzioni, seppur di stretta misura: 20 a 18 e 2 astensioni. Risultato che riflette anche due tipi di problemi principali: la parità di trattamento tra soggetti fiscali e la corretta applicabilità del sistema. Finora, la possibilità di dedurre i costi di manutenzione e quelli del debito ipotecario sembravano garantire una certa parità di trattamento fra proprietari dell’abitazione occupata e locatari. Il principio era però da sempre un po’ traballante: per i primi si tratta di un reddito da sostanza patrimoniale, per i secondi di un reddito da lavoro o da altre prestazioni. La forte diminuzione dei tassi ipotecari ha risollevato un dibattito, che in realtà non si era mai spento. Basta considerare, infatti, le numerose iniziative in proposito. Per molte persone, il carattere «fittizio» di questa imposta si è accentuato e ha anche evidenziato una disparità di trattamento proprio a carico del proprietario della sua abitazione. In particolare si sentono molto colpiti i pensio-

nati che hanno magari completamente estinto il debito ipotecario e non possono più dedurlo nella tassazione. Dal momento che il «valore locativo» si aggiunge agli altri redditi, l’imposta da pagare può diventare abbastanza pesante. In altri termini, in questi casi, il fisco penalizza il risparmiatore e avvantaggia il debitore. Molti ritengono che proprio questa disparità sia la causa dell’enorme debito ipotecario privato in Svizzera. Ma veniamo alla decisione del Consiglio degli Stati. A compensazione della soppressione del «valore locativo» si è parlato all’inizio di un’analoga soppressione di tutte le deduzioni possibili. Anche in questo caso, però, nasce una disparità di trattamento, poiché non sono più possibili deduzioni di spese per ottenere il reddito. Ecco perché fin dall’inizio si è mantenuta la possibilità di dedurre alcune spese dal reddito globale. Spese che, nel caso del locatario, vengono assunte di regola dal proprietario. La discussione si è estesa anche alle case di vacanza, o seconda casa che dir si voglia. La regola generale vuole che anche per queste residenze valgano gli stessi principi. Ma qui sono insorti i cantoni turistici, che si vedrebbero sottratte notevoli entrate fiscali. Nel dibattito sul tema è quindi nata una

certa maggioranza favorevole alla soppressione del «valore locativo». Quando però si è trattato di decidere su come procedere sono nate parecchie opposizioni da sinistra e anche da destra. Per finire, si è scelta una via di mezzo, che gli svizzero-tedeschi definiscono politica del «Fünfer-und-Weggli» (cioè soldino e panino). Infatti, la soppressione del reddito locativo dovrebbe essere accompagnata da una concessione: la deduzione per debiti ipotecari sarà possibile, ma al massimo al 70% dei redditi locativi imponibili. Non solo, ma l’eccezione si estenderebbe a coloro che entrano in possesso di una casa, che potrebbero dedurre un massimo di 10’000 franchi (coniugi) e di 5000 franchi (persone sole) per il primo anno, seguita da una riduzione annuale, per portare queste riduzioni a zero dopo dieci anni. Restano anche le deduzioni attuali per la protezione dei monumenti (case storiche) e per il risparmio energetico. Sul piano delle ripercussioni sulle finanze federali, al tasso ipotecario dell’1,5% attuale, andrebbero persi circa 1,7 miliardi di franchi di entrate, di cui un quarto per la Confederazione. Con un tasso ipotecario al 3,5% la riforma potrebbe essere fiscalmente neutrale. Per il momento si prevedono però ancora tassi bassi per alcuni anni.

La sala del Consiglio agli Stati il 21 settembre: un risicato sostegno al principio e tanto disaccordo sui dettagli. (Keystone)

Il progetto passa ora al Nazionale, dove il dibattito sarà pure acceso. Si prevedono comunque già le opposizioni della sinistra e dei direttori delle finanze di buona parte dei cantoni. Gli argomenti sono sempre quelli: perdite di entrate fiscali e disparità di trattamento tra proprietari e locatari. Tecnicamente si dovrebbe aggiungere anche quello tra prima e seconda casa. Il Consiglio

federale preferirebbe l’estensione della riforma alle case di vacanza, mentre a molti non piace la diminuzione della possibilità di dedurre i costi del debito ipotecario. La mancata riforma per le case di vacanza è difficilmente accettabile se il «valore locativo» è considerato un «reddito naturale». Probabilmente siamo ancora lontani dal trovare una soluzione condivisa a questo problema. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 settembre 2021 • N. 39

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Politica e economia

solo una nuvola leggera nel cielo economico la consulenza della Banca Migros

Santosh Brivio

C’era da aspettarsi una certa normalizzazione

Per il momento, non vi è motivo di allarmarsi eccessivamente: dopo l’impressionante ritmo di ripresa era

Il rallentamento dello slancio non è ancora motivo di preoccupazione (Indici dei direttori d’acquisto per la svizzera) 80 70 60 50 40 30 20

Servizi assolutamente prevedibile un certo rallentamento della crescita. In effetti, molti indicatori congiunturali hanno

Fonte: Bloomberg

Santosh Brivio è Senior Economist presso la Banca Migros

Da un punto di vista meteorologico, qui da noi l’estate ha mostrato il suo lato timido. Le giornate fredde e soprattutto piovose sono state nettamente più numerose di quelle soleggiate. A ciò che le condizioni meteorologiche non sono state in grado di offrire hanno provveduto piuttosto i dati economici. Grazie all’avanzare delle vaccinazioni e all’ampio allentamento delle misure, il cielo congiunturale è stato splendente. Soprattutto nei servizi orientati al consumo ha preso il via una forte ripresa dopo un lungo periodo di siccità. Anche se per il momento splende prevalentemente il sole, si scorgono alcune nuvole. Il calo degli slanci registrati nella ristorazione e nel turismo, l’effetto frenante delle difficoltà negli approvvigionamenti a livello mondiale e le incertezze intorno alla variante Delta provocheranno nelle prossime settimane un rallentamento prolungato della dinamica di crescita.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 settembre 2021 • N. 39

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Politica e economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi una storia tascabile del «Cantone sottosopra» Orazio Martinetti, che i lettori di «Azione» incontrano, sicuramente con piacere, proprio su questa pagina, ha eletto, da qualche anno, come guida dei suoi studi storici sul Ticino, il motto dazegliano «L’Italia è fatta, ora bisogna fare gli italiani», adattandolo alla realtà ticinese. Martinetti pensa così che il Ticino sia quasi fatto ma che ora bisognerebbe fare i Ticinesi. Questa preoccupazione lo deve aver accompagnato anche nella stesura del suo recente studio sulle unioni e le divisioni all’ombra del Ceneri, uscito da Dadò con il titolo Il Ticino sottosopra. Che il Ticino sia un Cantone capovolto ce lo dice in primo luogo la sua idrografia. I nostri corsi d’acqua non corrono da sud verso nord, come quelli del resto della Svizzera (valli italiane del Canton Grigioni escluse), ma scendono da nord

verso sud e questo perché la nostra orografia volge le spalle a quella del resto del Paese. Tuttavia è bene precisare che il «sottosopra» del tascabile di Martinetti non riguarda la posizione cisalpina del Canton Ticino, ma la divisione geografica tra Sopra – e Sottoceneri. Si tratta di una divisione che ha un’origine geologica ma che si è poi ripresentata in diversi momenti storici sotto diverse forme. Nel Medioevo a prevalere è la divisione religiosa. Da un lato le parrocchie del Sopraceneri sottoposte all’arcivescovo di Milano. Dall’altro quelle del Sottoceneri, prevalentemente sottoposte al vescovo di Como. È una divisione che ha anche aspetti positivi perché consente ai Ticinesi, ancora oggi, di festeggiare due carnevali. Spesso, però, questa diversa sudditanza si traduceva anche in orientamenti

per ottenere, con i mezzi più dolci, le riforme più complete possibili. Ma se nella confusione delle leggi e dei poteri a perdere è sempre il popolo, c’è sempre qualcuno che ci guadagna, senza contare che vi sono persone deboli o prevenute che hanno paura di ogni novità. Così si vive alla giornata». E gli sviluppi successivi, dalla lotta politica a quella sportiva, passando per numerosi conflitti di carattere sociologico e culturale, non è che abbiano mitigato la litigiosità dei Ticinesi. Il Ceneri, quasi sempre, rappresentava la frontiera tra le due fazioni opposte. Martinetti ricorda però anche che, qualche volta, il Ceneri è potuto diventare anche un simbolo delle cose che i Ticinesi hanno o potrebbero avere in comune. Oggi, con l’autostrada e la realizzazione della galleria ferroviaria di base, la frontiera

tra Sopra – e Sottoceneri sembra essere scomparsa. Tuttavia, anche all’inizio del Secolo ventunesimo, il Ticino non è unito. Il Cantone – afferma Martinetti – continua a dividersi in due regioni: gli agglomerati urbani che occupano metà del territorio, da Chiasso a Claro, e le valli superiori, che occupano l’altra metà. Nella prima metà vivono però 9/10 dei Ticinesi, mentre nella seconda, che sembra sempre più assumere il ruolo della «riserva indiana», vive l’altro decimo. È possibile che i miglioramenti nella mobilità possano contribuire a ridurre antiche rivalità tra Sopra – e Sottoceneri. «Nel frattempo però – conclude Martinetti – converrà tener d’occhio l’altro Ticino, il Ticino escluso dalle grandi reti». Per cercare di non continuare a vivere alla giornata – aggiungiamo noi.

che attesta la vaccinazione. Forse sono troppo sottili per noi persone semplici. O forse non hanno capito che il green pass serve proprio a evitare di imporre un obbligo di vaccinazione che sarebbe difficile rendere effettivo e che darebbe spazio a ulteriori proteste. In piazza, come sempre, scende una minoranza rumorosa. Però le diffidenze verso il vaccino non sono poche. In Europa oggi i centri vaccinali sono mezzi vuoti: chi voleva immunizzarsi l’ha già fatto. Ma se vogliamo sperare in un autunno sereno, con le scuole e i locali pubblici aperti, con la vita sociale e l’economia che ripartono, non possiamo accontentarci. Piuttosto sarebbe bene riaprire i teatri a chi ha il green pass senza limiti di capienza (adesso in Italia è fissata al 50 per cento), perché l’industria dello spettacolo, già in bilico, con la capienza ridotta è destinata a crollare. E non si capisce perché si possa stare seduti accanto a uno sconosciuto in treno e non in uno spazio ben più grande come un teatro o un cinema. Un conto è il delirio complottista di chi considera il Coronavirus un gigantesco piano, o la mania narcisista di chi pensa che il virus non esista perché lui ha avuto la fortuna di non prenderlo. Un altro conto sono i dubbi legittimi sull’im-

menso potere che questa vicenda ha consegnato alle multinazionali del farmaco. L’Europa deve spingere perché si faccia di tutto per liberalizzare la formula e vaccinare il mondo, compresi i Paesi poveri. Ma, come detto, un conto è nutrire dubbi e porsi domande, un altro è farsi del male da soli e fare del male al prossimo. La vera restrizione della libertà non è stata introdotta dal vaccino ma dal virus. Quando non avevamo il vaccino siamo stati costretti a chiudere le scuole, i locali pubblici, quasi tutti i luoghi di lavoro. In Italia si veniva fermati dalla polizia se si usciva di casa a piedi (tranne i più accorti vestiti da runner). Ora che abbiamo il vaccino non siamo ancora fuori dalla pandemia ma abbiamo riaperto le scuole e i locali, e abbiamo la ragionevole speranza di passare un inverno a guardia alta ma senza dover richiudere tutto. Fin qui le osservazioni razionali. Ma dietro gli oppositori del green pass – che sono poi gli stessi che si oppongono al vaccino – non c’è la razionalità. C’è l’idea che il mondo sia governato da forze invisibili e che la pandemia sia un gigantesco complotto per imporre il controllo globale su ogni individuo. Persone che da anni regalano i propri dati ai giganti della Rete, che sanno tut-

to di loro e proprio sui loro dati accumulano giganteschi profitti esentasse, appaiono convinte che la più grave crisi sanitaria ed economica degli ultimi 70 anni sia stata artificialmente provocata e biecamente sfruttata. E contro l’idea complottista non c’è difesa. Chi la avversa non è uno che la pensa diversamente da te, è un idiota o un corrotto, uno sprovveduto o un servo del sistema. Ci sono no-vax di destra e di sinistra, persone che a giudicare dagli insulti che ricevo non sanno l’italiano e professori universitari plurilaureati. Di sicuro in piazza sono pochi ma sul web sono molto forti, anche se non si rendono conto di essere i migliori alleati del virus. Per quanto riguarda la politica, ogni Paese è un caso a sé. In Italia sul green pass alla fine la maggioranza che sostiene Draghi si è ricompattata. Altri passi saranno possibili solo se la Lega farà chiarezza dentro se stessa. Se prevarrà la linea dei presidenti delle Regioni del nord, la prospettiva sarà forse la vittoria elettorale, l’ingresso nel Partito popolare europeo, il governo del Paese. Se prevarranno gli istinti anti-Europa e anti-scienza, la prospettiva è rientrare nel recinto degli anti-sistema con Marine Le Pen e i nostalgici tedeschi del nazismo.

spazzacamini, dai «bocia» minorenni al seguito degli adulti, dalle ragazze mandate a servizio nelle famiglie benestanti, oppure a lavorare nelle fabbriche tessili d’oltralpe. Anche questi aspetti vanno tenuti presenti nell’affrontare lo sfaccettato mondo delle partenze e degli arrivi. Ricorda ora le odissee che hanno segnato tanti destini familiari la storica romanda Laurence Marti, con il volumetto Stranieri in patria (Dadò editore). L’autrice, ricorrendo a fondi archivistici e a testimonianze orali, ricostruisce l’immigrazione ticinese nel Giura bernese dal 1870 al 1970. Un afflusso non imponente (poco più di un migliaio di persone, intorno al 1910, la punta massima) ma continuo, uno sgocciolio di manodopera sulle prime quasi esclusivamente maschile. Sono muratori impiegati nei cantieri, edili e ferroviari, soprattutto a Moutier,

Tavannes, Saint-Imier; il contratto è spesso stagionale, cosicché nei mesi invernali fanno ritorno al paese natale. La svolta interviene a cavallo della seconda guerra mondiale, con l’arrivo di maestranze femminili, giovani donne provenienti dalle valli la cui abilità manuale risponde ottimamente alle richieste delle manifatture orologiere. Nel corso degli anni, la colonia acquisisce stabilità attraverso matrimoni misti e nascite, i ritorni si diradano, cosicché si fa largo l’esigenza di organizzare la vita sociale. Le prime a sorgere, alla fine dell’Ottocento, sono le società di mutuo soccorso, seguite dai circoli ricreativi, bocciofile corali e bandelle. Ma l’impulso decisivo arriva con la fondazione delle Pro Ticino, negli anni della Grande Guerra: un’iniziativa, sottolinea l’autrice, che soddisfaceva un doppio bisogno: quello di stimolare lo spirito aggregativo e conviviale, e

quello di coltivare il senso di appartenenza ad una Confederazione che ancora guardava dall’alto in basso il piccolo Ticino, considerato non un figlio a pieno titolo ma un semplice famiglio. Con l’ascesa dei regimi dittatoriali in Europa, la Pro Ticino diventa il fulcro e la dinamo dei sentimenti patriottici: difesa del «vero Ticino» da un lato, promozione dell’attaccamento alla patria comune dall’altro. A tale scopo l’associazione vara diverse iniziative, feste e concorsi, sfilate e manifestazioni corali, ponendosi come intermediaria tra l’amministrazione locale e le autorità ticinesi. Pare invece assente l’eco delle contese politiche che per decenni infiammarono il cantone d’origine. Purtroppo scarne le righe che l’autrice dedica ai rapporti con la colonia concorrente, quella italiana (argomento da approfondire nelle prossime ricerche).

contrari su questioni importanti. Poi, con l’arrivo degli Svizzeri, all’inizio del Cinquecento, il Cantone si suddivide in baliaggi e le divisioni si approfondiscono. Il balivo non governa; il potere politico e amministrativo rimane nelle vicinie sempre pronte a battersi per difendere i loro diritti. Scriveva il Dalberti, nel secondo decennio dell’Ottocento è bene precisarlo, per spiegare perché il governo del Cantone non riusciva a far avanzare i suoi progetti: «Conoscete troppo bene Signore il vecchio sistema di amministrazione di queste regioni per sbagliarvi sull’estrema difficoltà a ridurre a una uniformità ragionevole così tante leggi e costumi diversi e, talora in contraddizione tra di loro. È vero che sarebbe (stata) sufficiente la buona fede per riconoscere quello che non va bene, e la perseveranza

In&outlet di Aldo Cazzullo l’irrazionalità dei contrari al green pass In mezza Europa sta montando la rivolta contro il green pass. Mi pare che si stenti a capire che l’alternativa al passaporto sanitario non è il «liberi tutti» ma il vaccino obbligatorio. Siccome incentivare è meglio che costringere, per me è giusto ad esempio che l’ingresso sui luoghi di lavoro sia consentito solo a chi ha il green pass (misura che entrerà in vigore in Italia il 15 ottobre). Perché, se nel corso di una pandemia si può riconoscere – non senza costi – la libertà di non vaccinarsi e quindi di

In fila per un concerto in Lombardia. (Shutterstock)

mettere in pericolo se stessi, per nessun motivo si può consentire il sopruso di mettere in pericolo gli altri. Lo dobbiamo alla memoria dei milioni di morti in tutto il mondo e alla fatica dei medici e degli infermieri che hanno rischiato e rischiano la vita per curare i malati. Il green pass non serve a chiudere ma ad aprire. Consente di viaggiare, di cenare in pizzeria, di entrare in un luogo pubblico con un grado di sicurezza incomparabilmente superiore a chi il green pass non l’ha. Ovviamente non esistono garanzie assolute. Il vaccino non è la panacea. Ma è dimostrato che il vaccino aiuta a limitare i decessi e i casi gravi, quindi a non riempire ospedali e terapie intensive; che è poi il motivo per cui in passato si è dovuto chiudere tutto. Certo, esiste una questione di libertà. A nessuno piace doversi sottoporre al vaccino. A nessuno piace dover mostrare il green pass magari più volte al giorno. Ma la pandemia non è una cosa che abbiamo scelto. Se vogliamo che tutto torni presto come prima, non possiamo comportarci come se nulla fosse cambiato. La distinzione tra no-vax e no-green pass è abbastanza ipocrita. Intellettuali anche importanti dicono: piuttosto imponete il vaccino, ma non il documento

Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti addio ticino bello Ogni famiglia – da noi come altrove – conserva nel proprio album il ritratto color seppia di un avo emigrato: partito chi per Milano, Parigi, Lione, Londra, San Pietroburgo, oppure per le contee californiane. Nel corso dei secoli l’arco alpino ha fornito una grande quantità di manodopera, che poteva assumere diverse forme e specializzazioni. Migrazioni prima stagionali e poi definitive, alla volta delle miniere australiane e poi delle Americhe. Alcuni borghi sottocenerini divennero celebri in mezza Europa, per la valentia dei suoi artigiani e dei suoi «magistri», come se la regione dei laghi fosse depositaria di una speciale vocazione artistica, di un «genio dei luoghi» dotato di una vena inesauribile. Ancora recentemente il Friuli Venezia Giulia ha dedicato un convegno e una mostra ad uno scultore nativo di Carona, Giovanni Antonio Bassini

detto il Pilacorte, che nella regione ha lasciato tracce notevoli come cesellatore di fonti battesimali, altari e portali. Chissà se a Carona si sono ricordati di lui in occasione del cinquecentenario della morte (1521). Di questa tradizione illustre, la giovane repubblica ticinese divenne, tra l’Ottocento e il primo Novecento, una convinta ambasciatrice; era il capitale pacifico, fatto di costruttori, architetti e stuccatori, da contrapporre allo spirito guerresco degli antichi confederati. Questa era infatti la vera «anima» dei ticinesi: non quella dei mercenari, delle milizie armate di picche e alabarde, ma quella degli umili «soldati del lavoro», alle prese con schizzi, compassi e filo a piombo sui ponteggi delle principali città del continente. Ma com’è noto l’album delle migrazioni contiene anche numerose pagine meste, quelle scritte dai giovanissimi


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Idee e acquisti per la settimana

CoMe CoMPletare una dIeta sana Un nuovo design per i prodotti Actilife: la varietà dell’assortimento è ampia tanto quanto i colori delle nuove confezioni. Ecco cosa si dovrebbe sapere sugli integratori alimentari

e gli anziani? Quali sono i vantaggi degli integratori alimentari? Possono essere adattati a diverse esigenze e sono facili da assumere. Gli integratori alimentari possono contribuire a garantire un apporto sufficiente di nutrienti essenziali.

Con l’avanzare dell’età è importante assicurarsi di assumere in quantità sufficiente calcio, vitamina B12 e vitamina D, tra gli altri, così come liquidi e proteine. Lo zinco aiuta a mantenere sane le ossa e la vista, e la vitamina B1 contribuisce alla normale funzione cardiaca.

C’è il rischio di sovradosaggio? Sì, prenderne troppo o troppo spesso può portare a un’assunzione eccessiva. È quindi importante leggere attentamente le indicazioni riportate sulla confezione. I prodotti con ingredienti identici non dovrebbero essere combinati.

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Compresse, gocce, fiale da bere: cosa prendere e quando? Gli integratori alimentari sono disponibili sotto forma di compresse da assumere o da succhiare, compresse effervescenti, capsule, gocce e fiale da bere. La loro forma dipende dalle proprietà della sostanza che contengono e da come il corpo può assorbirla al meglio. Le capsule morbide sono per esempio ideali per l’olio di alghe con omega 3. Alcuni ingredienti sono disponibili in diverse forme, come il magnesio, che può essere trovato in capsule o compresse effervescenti, dato che il corpo assorbe entrambe altrettanto bene.

I bambini hanno bisogno di vitamine extra? In generale i bambini non hanno bisogno di integratori. Se si utilizzano, andrebbero scelti prodotti appositamente ideati per loro.

Cosa fa bene per la pelle, i capelli e le unghie?

Ci sono interazioni con i farmaci? Sì, l’effetto di alcune medicine può essere indebolito o rafforzato dagli integratori. Seguire tutte le indicazioni riportate sulla confezione e chiedere consiglio al medico o a un farmacista.

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Vitamina C, biotina, zinco e selenio sono l’ideale. La vitamina biotina e l’oligoelemento zinco in dosi sufficienti contribuiscono a mantenere in salute pelle e capelli. Lo zinco e il selenio possono anche aiutare a rafforzare le unghie; la vitamina C a garantire la formazione di collagene per il normale funzionamento della pelle.

a parte il dosaggio, cos’altro bisogna considerare? È importante avere uno stile di vita sano, che comprenda una dieta equilibrata e adatta alle proprie esigenze, stress limitato, esercizio fisico e sonno a sufficienza.

Actilife è l’integratore alimentare numero uno nel settore della vendita al dettaglio in Svizzera. D’ora in poi questi prodotti saranno disponibili in diversi colori, così da renderli più facili da distinguere: per i prodotti di bellezza, per esempio, il colore è il viola. La formulazione dei prodotti Actilife è stata in parte rivista e ottimizzata, ma la qualità rimane la stessa. Magnesio, preparati multivitaminici e gocce di vitamina D sono molto apprezzati. I prodotti Actilife possono aiutare a sentirsi bene in tutte le situazioni della vita e a rafforzare salute e produttività. Nelle filiali Migros sono disponibili prodotti selezionati.

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Cultura e spettacoli l’arte e la sua aura L’arte oggi non è solo sempre più riproducibile, ma si presenta anche in forme nuove

Il ritorno di Corto Un nuovo episodio delle avventure di Corto Maltese, anche se non proprio tutto sembra tornare pagina 48

stockhausen e la luce In occasione dell’appuntamento con i Vesperali un incontro con la musica del grande tedesco pagina 53

pagina 46

endo e la filosofia Pensieri, idee e un bilancio di Endo Anaconda, musicista bernese di successo

pagina 55

Pissarro, l’anarchico

Mostre L’artista francese al Kunstmuseum

di Basilea

Gianluigi Bellei Da parecchio tempo si discute se sia d’uopo o meno intersecare il pensiero politico con l’opera di un artista. Pensiamo per esempio allo scrittore LouisFerdinand Céline o ai Quaderni neri del filosofo Martin Heidegger: entrambi terribilmente antisemiti. Sorgono subito retropensieri, sottili distinzioni, accezioni che, sembra, nulla tolgono ai rispettivi meriti poetici o filosofici. Diversi artisti si sono legati al fascismo e qui i distinguo si sono sprecati. Ma ci sono casi dove il pensiero e l’opera coincidono. Uno dei massimi pittori della modernità francese, Camille Pissarro (1830-1903) era anarchico e i suoi quadri lo mostrano. In questo caso sottacerlo non è un’operazione corretta. Ricordo un’esposizione a Palazzo dei Diamanti a Ferrara nel 1998 proprio dedicata a Pissarro e curata da Jean Leymarie, Andrea Buzzoni e Sibylle Pieyre de Mandiargues nel cui catalogo la sua militanza è appena evocata. Addirittura si nega l’intreccio fra la litografia L’aratura del 1898 realizzata e utilizzata come frontespizio per l’opuscolo di Pierre Kropotkin Les Temps Nouveau. Claude Bouret sostiene infatti che non si tratta «di un’illustrazione militante» perché non rappresenta un operaio in rivolta e vede quindi una «sfasatura rispetto al discorso politico». Non tenendo conto che gli anarchici, al contrario dei marxisti, si rivolgono prevalentemente ai contadini e non agli operai. L’anno seguente escono i tre tomi de La pittura francese a cura di Pierre Rosenberg. Renaud Temperini si occupa del capitolo sulle estetiche della mo-

dernità che include Pissarro. Anche qui nessun accenno all’anarchia. Nel 2017 si svolgono a Parigi due mostre (ne abbiamo scritto su queste colonne il 15 maggio) antitetiche. Una al Musée Marmottan che come sempre propone un Pissarro furbescamente piacevole e un’altra al Musée du Luxembourg che finalmente rende onore alla complessità politica dell’artista, esponendo tra l’altro il facsimile dell’album delle Turpitudes Sociales del 1889-1890. Pissarro si avvicina al pensiero anarchico dopo la repressione della Comune del 1871. Nel 1887 scrive al figlio Lucien che il «Figaro» ha pubblicato due lettere del grande Millet contro la Comune e i comunardi che considera vandali e selvaggi e che mostra «un lato meschino di quest’uomo di talento». Poi Dumas figlio lancia un violento attacco contro Courbet. Pissarro lo ricorda vent’anni dopo quando, alla morte dello scrittore, Bergerat sul «Journal» lo descrive come il «solo uomo libero della nostra epoca». In una lettera sempre a Lucien del 1895 scrive: «Libero? Libero? Colui che ha scritto quello spaventoso articolo di reazione nel 1870 (sic) contro Courbet, quest’ammirevole pittore… Andiamo! C’è in quest’uomo un lato borghese terribilmente reazionario». Pissarro legge Proudhon e Kropotkin. Nel 1892 scrive a Octave Mirbeau: «Ho appena letto il libro di Kropotkin (forse La conquista del pane, chiosa Recchilongo nel suo Grafica anarchica). Bisogna confessare che, se è utopico, in ogni caso è un bel sogno. E poiché abbiamo spesso l’esempio di utopie divenute realtà, niente ci impedisce di credere che sarà possibile un

Camille Pissarro, Ritratto di Felix Pissarro, 1881. (Tate, London, Legat Lucien Pissarro, 1944, © Tate Images Credit)

giorno, a meno che l’uomo non affondi e non ritorni alla barbarie completa». La sua ideologia trova molti oppositori soprattutto fra i ricchi acquirenti. Vende poco e fatica a sopravvivere. Nel 1891 scrive, sempre a Mirbeau: «Io credo fermamente che le nostre idee impregnate di filosofia anarchica si riflettano nelle nostre opere, e perciò queste sono antipatiche alle idee correnti». Molte cose uniscono Pissarro a Kropotkin. La mitezza del carattere, la propensione al dialogo e, in un certo senso, al compromesso. Dipingono e scrivono in forma elegante e chiara a tutti. Con l’andare degli anni Kropotkin matura una sorta di angoscia per gli assassinii anarchici di quel periodo. Nel 1891 in un suo discorso accenna alla possibilità che l’anarchia si possa affermare grazie al semplice «maturare dell’opinione pubblica e con un minimo di agitazione e disordini». La sua natura mite, scrive George Woodcock ne L’anarchia, lo «predisponeva a preferire i mutamenti graduali alla violenza rivoluzionaria». Nei paesaggi degli Impressionisti non troviamo la vita dei campi, ben-

sì quella della città che si è trasferita in campagna. In Pissarro al contrario ci sono proprio i contadini al lavoro, i seminatori, le contadine che raccolgono il fieno perché come ritiene Proudhon per lui «l’Amore della terra si lega alla Rivoluzione, e di conseguenza all’ideale artistico». In questi mesi il Kunstmuseum di Basilea propone una mostra densa e ricca su Pissarro e alcuni suoi amici come Claude Monet, Paul Cézanne, Paul Gauguin, Georges Seurat, Paul Signac e Mary Cassat. 180 opere provenienti dai maggiori musei internazionali disposte cronologicamente. Si parte dal 1860 quando Pissarro frequenta l’Académie Suisse a Parigi dove conosce Monet, Cézanne e Guillaumin. Una scuola senza esami né istruzione frequentata dai pittori non ammessi all’Accademia. E che quindi non possono esporre nei Salon. Una sala è dedicata all’amicizia e alla reciproca influenza fra Pissarro e Cézanne. Un’altra all’incontro e alla collaborazione fra Pissarro e Gauguin; segue poi l’interesse per l’incisione assieme a Mary Cassat e Degas. Nella sala dedicata all’anar-

chismo è esposta la copia delle Turpitudes Sociales. Poi la svolta: l’adesione al Neoimpressionismo con la sua teoria scientifica che incrocia natura e anarchismo. È il periodo nel quale all’interno dei paesaggi irrompono le figure: uomini, donne, contadini. Nel 1889 dipinge Les Glaneuses del quale in catalogo Olga Osadtschy e Jelle Imkampe scrivono: «Questa utopia anarchica dipinta è accessibile a tutti e la donna al centro del dipinto – l’incarnazione di questa nuova libertà – è la sua figura di spicco». Negli ultimi anni di vita è affetto da una malattia cronica agli occhi e deve proteggersi dal vento; così a Parigi ritorna a dipingere dal chiuso della sua stanza le vie della città. dove e quando

Camille Pissarro. Das Atelier der Moderne. A cura di Josef Helfenstein e Christophe Duvivier. Kunstmuseum, Basilea. Fino al 23 gennaio 2022. Ma-do 10.00-18.00; me 10.00-20.00; lu chiuso. Catalogo Prestel Verlag. kunstmuseumbasel.ch


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Cultura e spettacoli

l’aura non c’è. è andata via

Mercati d’arte Alcune riflessioni sul recente successo degli NFT e della crypto art

Elio Schenini Negli ultimi mesi del 1935, forse influenzato dall’aria lugubre che si cominciava a respirare un po’ ovunque in Europa, Walter Benjamin iniziava la stesura di quello che può essere considerato come l’atto di morte ufficiale dell’opera d’arte così come l’uomo l’aveva conosciuta fin dalle sue origini: ovvero fin da quando aveva tracciato, ancora incerto e titubante, i primi graffiti sulle pareti rocciose di una grotta. Avesse avuto il dono folgorante della sintesi che aveva Oscar Wilde, probabilmente avrebbe intitolato in modo diverso quel saggio su L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica che lo tenne impegnato tra continue variazioni e riscritture fino al 1939. Tuttavia, anche a dispetto del titolo non particolarmente seducente, il volume è diventato uno dei capisaldi della teoria artistica del secolo scorso, perché in quelle pagine per la prima volta veniva messa in luce e analizzata con grande lucidità la trasformazione epocale che aveva segnato una cesura netta nella storia dell’arte tra Otto e Novecento. Secondo Benjamin, l’invenzione degli strumenti che permettevano di riprodurre meccanicamente le immagini, aveva infatti privato l’opera d’arte di quella che era sempre stata una sua caratteristica fondamentale. Una caratteristica che aveva a che fare con l’individualità e l’unicità del suo rapporto con lo spettatore e che il filosofo tedesco riassunse attraverso il concetto di aura. In effetti, l’aura, che Benjamin definì come «l’apparizione unica di una distanza» che si manifesta hic et nunc, si era già un po’ sbiadita nel corso dei secoli precedenti con la progressiva attenuazione della dimensione culturale in cui fino ad allora l’opera era stata inserita, ma l’invenzione prima della fotografia e poi del cinema le avevano inferto un colpo mortale. Se il saggio di Benjamin ha certificato la definitiva scomparsa dell’au-

ra dall’orizzonte della modernità, a distanza di quasi un secolo, la società occidentale non sembra però ancora essere riuscita a elaborare il trauma di questa scomparsa, al punto che tutta l’arte del Novecento può in qualche modo essere interpretata a partire dal rimpianto per l’aura e dal desiderio di tornare a provare, attraverso dei simulacri, il brivido vitale che solo questo incontro unico con il tempo e con la storia può darci. Non potendo più trovare fondamento nell’opera, ormai irrimediabilmente compromessa dalla sua riproducibilità tecnica, l’aura è stata così in parte sostituita attraverso la mitizzazione della figura dell’artista, la cui individualità biografica è stata spesso circonfusa da un alone di unicità straordinaria e geniale e fatta oggetto in molti casi di un vero e proprio culto della personalità. Basti pensare ad artisti quali Van Gogh, Picasso, Pollock, Yves Klein, Manzoni, Warhol, Beuys, per fare solo qualche esempio. Negli ultimi decenni è stato però soprattutto il valore economico dell’opera a proporsi come un vero e proprio surrogato dell’aura. Nei continui record, fatti registrare dalle aste di Christie’s e Sotheby’s, il valore esorbitante delle opere degli artisti più celebri e affermati, ormai totalmente slegato da ogni rapporto con quella che viene comunemente ma forse un po’ impropriamente definita economia reale, ha finito per risultare effettivamente agli occhi delle persone come «l’apparizione unica di una distanza». Una distanza che appare altrettanto incolmabile di quella che separava i fedeli dalle divinità effigiate nelle sculture di un tempio greco. Negli ultimi anni, l’aura sembra però aver trovato una nuova strada per riaffacciarsi sulla scena e questa volta grazie alla stessa tecnologia. Non solo. Questa ricomparsa dell’aura si colloca, paradossalmente, nel quadro generale di una rivoluzione digitale che ha fatto sì che la riproducibilità sia diventata ormai assoluta, al punto che la distinzione tra originale e copia che era ancora

La foto non datata e rilasciata da Christie’s l’11 marzo 2021 riproduce un collage di Mike Winkelmann, alias Beeple, venduto per quasi 70 milioni di dollari. (Keystone)

parzialmente presente negli strumenti analogici a cui faceva riferimento Benjamin risulta ormai completamente superata. Dal 2008 abbiamo assistito allo sviluppo di una tecnologia, quella delle blockchain, che pur avendo le sue radici nell’ambito di una cultura alternativa e libertaria, si è rivelata un terreno estremamente attrattivo non solo per il mondo della finanza, ma anche per quello dell’arte, perché offriva la possibilità di recuperare quell’idea di unicità a cui né il pubblico né il mercato dell’arte sembrano in grado di rinunciare. La crypto art, di cui negli ultimi mesi molto si è parlato, attraverso gli NFT (Non fungible token) offre infatti la possibilità di dare a degli oggetti digitali, quindi a degli oggetti che di per sé sono replicabili all’infinito, la

dimensione auratica dell’unicità. Ovviamente non è l’opera, quasi sempre un’immagine digitale 2D o 3D, a diventare unica, ma una sua compressione in formato numerico denominata hash e registrata in una blockchain che ne attesta in maniera inequivoca l’autenticità e i successivi cambiamenti di proprietà. Ad essere acquistata, come nel caso dell’opera Everydays. The First 5000 Days dell’artista digitale americano Beeple venduta da Christie’s nel marzo di quest’anno per 69 milioni di dollari, non è dunque l’opera in se stessa che generalmente rimane liberamente fruibile su internet, ma il certificato digitale unico e non duplicabile o falsificabile a cui è associata. Ed è probabilmente questa certificazione di unicità digitale la vera opera d’arte del nostro tempo. In

un mondo in cui digitalizzazione e tokenizzazione stanno diventando parole d’ordine imperanti, e in cui la dimensione fisica dell’opera d’arte è ormai destinata a passare in secondo piano, se non a dissolversi completamente, l’aura improvvisamente sembra risorgere come l’apparizione unica di una distanza che però questa volta è puramente virtuale. E così, mentre l’opera si disincarna sempre più, di fronte a noi rimane il fantasma della sua aura, che il mercato dell’arte ha già cominciato ad avvolgere con i suoi bagliori aurei. Chissà? Se fosse ancora vivo, forse Benjamin scriverebbe oggi un saggio sull’opera d’arte nell’epoca della sua auraticità virtuale o forse, sorridendo sconsolato tra sé e sé, si limiterebbe a canticchiare come Nek: «L’aura non c’è. È andata via. L’aura non è più cosa mia».

dobbiamo tenere a bada il doppio

Filosofia A colloquio con il pensatore italiano Massimo Cacciari in occasione del recente

Festival di filosofia di Modena Eliana Bernasconi Hanno mostrato di non avere paura e di guardare con serenità al futuro le 35’000 persone presenti al recentissimo Festival di Filosofia di Modena. Nata nel 2001 grazie al grande filosofo Remo Bodei, recentemente scomparso, la formula precorritrice della parola «Festival» si è in seguito diffusa ovunque. Il tema di questo anno era la Libertà e quello del 2022 sarà la Giustizia, due scelte che mirano a curare il nostro drammatico presente. Tutti i grandi del pensiero filosofico del passato hanno analizzato i modelli della libertà individuale e collettiva nel potere, nella legge e nello stato, da Aristotele a Montaigne, dalla visione radicale di Spinoza al sistema della ragion pratica di Kant, sino ai fondamenti del liberalismo in Tocqueville, mentre nel presente l’evoluzione delle neuroscienze e la conoscenza dei processi biologici della mente arricchiscono enormemente tale ricerca. A Modena i maggiori protagonisti del dibattito filosofico internazionale hanno trattato questi temi nella storia della cultura, dove risiede la radice di ogni forma di sottomissione e dominio, non solo nella specie animale ma purtroppo nei nostri simili, nello schiavismo, nel

dominio patriarcale sulle donne, tra generi ed etnie, nel lavoro. Se in questo biennio terribile troppe paure hanno paralizzato la nostra libertà, senza timore è stata vista la sovranità digitale in cui siamo immersi, dove piattaforme e nuovi comportamenti ridefiniscono i legami e ampliano le possibilità di scelta, in futuro, è stato detto, non

saremo schiavi della tecnica. Per Massimo Cacciari, del comitato scientifico del festival e con cui abbiamo parlato, l’esperienza dell’essere liberi si rivela un bene prezioso dai contorni inafferrabili, sul confine tra politica e morale, libertà dei singoli e condizione istituzionale. Si è liberi quando si conosce, la conoscenza forgia il senso critico che ci fa dubitare. Possiamo sentirci liberi in una comunità che non lo è?

Il filosofo italiano Massimo Cacciari. (Shutterstock)

Biologicamente noi siamo animali dotati di logos, il segno indicativo è il linguaggio, un mezzo fondamentale che ti permette di essere libero, una matrice comune che ti mette in grado di comunicare le tue ragioni alla dimensione della comunità, con esso hai l’orizzonte della comunità e insieme la tua. Non è possibile ontologicamente affermare la nostra libertà staccandoci dalla dimensione della comunità di cui siamo parte, per fortuna il conflitto esiste e nei momenti difficili come il nostro emergono contraddizioni che esigono di essere affrontate radicalmente senza compromessi. Il linguaggio non contraddice la comunità, il conflitto si supera praticandolo. Il conflitto emerso in questo periodo nel rapporto tra il singolo e l’au-

torità non potrebbe dar luogo a una crescita, essere un’occasione per psicologia e psicoanalisi di chiarire il rapporto che ognuno di noi intrattiene con la psicologia delle masse, con la propria legge interiore?

Tutti i modi nei quali tu assumi coscienza del problema della tua libertà, di quanto sia problematico potersi dire liberi e cosa esso comporti possono essere indicati; il tema lo puoi affrontare in tutti questi modi, ma il vero problema è che probabilmente abbiamo dato per scontato di essere liberi, mentre naturale è la tendenza all’asservimento, da cinquant’anni, cioè da dopo la Seconda guerra mondiale abbiamo questa retorica. Che fare allora?

Da questo fondo di ignoranza e impotenza dobbiamo cercare di liberarci, grandi personaggi del passato hanno messo in dubbio la nostra naturale predisposizione alla libertà, noi acconsentiamo a volte che i grandi ci liberino, come Dante nel Purgatorio, come Virgilio; possiamo leggerli e specchiarci, ma ognuno deve farsi libero da sé. libertà e scienza... qual è la funzione dell’intellettuale?

È una funzione critica, da Talete, Platone, Eraclito questa funzione è parte

integrante della civiltà europea. Un intellettuale non può certo fare ricerca sulla scienza, ma dopo due secoli di epistemologia scientifica e di filosofia critica, ancora siamo a questo punto: «questo lo dice la scienza...», la scienza moderna europea nasce invece dal dubbio cartesiano, per fortuna decine e decine di scienziati sanno avanzare questi dubbi. Quali ostacoli ci impediscono di realizzare la libertà?

La nostra natura, che va costantemente alla ricerca, il nostro cervello senza pace che, dicono psicologi e neurologi, non dorme mai, vi è questo elemento della nostra mente, in parte genetico-biologico e in parte derivato dalla nostra cultura. Su questa attività è maturata la civiltà occidentale che ha dominato il mondo a partire da Talete: con questa mente io posso vedere tutto, dominare tutto... non ha limiti il suo potere, ma da un’altra parte noi continuiamo a essere animali che vogliono la tana, vogliono una dimora, una casa e una sicurezza. La storia dimostra che noi siamo questo doppio, e se questo doppio non riesci a tenerlo insieme, scattano le follie, non individuali ma storiche, se invece riesci a tenerlo in armonia, se invece ti va bene... puoi diventare anche Spinoza!


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Cultura e spettacoli

Il marinaio con… il cappellino da baseball

la sorpresa di un nuovo Čajkovskij osI Appuntamento

editoria Atteso e discusso, è da poco comparso in libreria Oceano nero, il nuovo fumetto

il 30 settembre

Manuela Mazzi

Enrico Parola

«Nato a La Valletta, residente ad Antigua, ex ufficiale della marina mercatile, pirata». La biografia è quella, ma i panni che indossa sono di questo secolo. Corto Maltese, mitico personaggio nato dagli acquerelli di Hugo Pratt, è tornato protagonista di una storia completamente nuova. Oceano nero, questo il titolo, è l’esordio editoriale della «Cong», società vodese per la promozione artistica fondata dallo stesso Pratt. A firmarlo, sono lo sceneggiatore Martin Quenehen e il fumettista Bastien Vivès, che hanno coraggiosamente reinventato il Maltese, in una storia che lo vede sbarcare a Tokyo in compagnia di un vecchio Nikkei, ovvero un fascista giapponese appartenente a una setta di ultranazionalisti esiliati in Perù. Qui Corto va a teatro, fa fuori un tizio, piglia un libretto, parla con la figlia del vecchio nel frattempo decapitato; quindi si imbarca, naufraga (facendoci tornare in mente una scena di Una ballata del mare salato), finisce in prigione, e… insomma vive un bel po’ di avventure alla ricerca di un tesoro. Il tutto prende avvio nel 2001, alla vigilia dell’attentato alle Torri gemelle. Diciamolo subito, se da una parte ha convinto la critica, dall’altra ha spaccato in due l’opinione degli appassionati: chi grida alla blasfemia, chi lo ama al di là di qualsiasi argomentazione, per partito preso (fosse anche solo per andare contro chi è contro). A noi il fumetto è parso godibile, come lo è il tratto netto e pulito del pennino, compreso quel colore virtuale che riempie le immagini pur mantenendole essenziali, a ricordare alcune delle ultime tavole prattiane, quelle dai colori pieni dedicate alle scene di Tango. Tuttavia, l’operazione di svecchiamento agìta dagli autori per rendere accessibile il fumetto ai più giovani, ha prodotto un’importante perdita narrativa. Certo, il nuovo Corto Maltese, per fortuna, mantiene l’orecchino, ma ha perso altri segni fondamentali nella lettura semi-

Dopo Brahms, Čiajkovskij. La stagione 2021-22 sarà come da tradizione dell’Orchestra della Svizzera Italiana aperta ad autori, generi ed epoche diverse, ma avrà come fil rouge l’opera sinfonica del compositore russo. Il direttore musicale Markus Poschner promette sorprese: non sarà un Čiajkovskij di routine, chi verrà al LAC non avrà l’impressione del «già sentito»: le interpretazioni si baseranno sulla nuova edizione critica curata dal musicologo tedesco Christoph Flamm e appena data alle stampe, un’edizione che permette di immergere anche i grandi capolavori sinfonici in una dimensione nuova, più cameristica, capace di far risaltare sfumature e dettagli spesso sommersi, soffocati dalle masse sonore delle esecuzioni «monumentalistiche» cui ha abituato la tradizione russo-sovietica abbracciata poi da direttori e orchestre mitteleuropei. Il 30 settembre Poschner darà subito saggio di questa inedita prospettiva affrontando una delle più popolari, amate ed eseguite sinfonie, la Quinta. Poschner non è nuovo a queste sfide – perché di vera e propria sfida, culturale, interpretativa e tecnica si tratta – e chi da anni segue l’OSI si ricorda come lo stesso percorso sia stato fatto con Rileggendo Brahms, come titolava l’integrale sinfonica dell’amburghese presentato anch’esso attraverso una prospettiva cameristica filologicamente motivata: i risultati di quel cimento furono straordinari, come ancora si può constatare ascoltandone l’incisione realizzata

che ha per protagonista un Corto Maltese dei giorni nostri

L’immagine di copertina della nuova avventura di Corto.

otica del personaggio: il cappello della Marina mercantile e il mantello in doppiopetto appartengono a una sorta di codice iconico, e costituiscono la biografia del mito letterario, senza la quale diventa «altro». Il nuovo Corto, infatti, indossa un cappellino da baseball che produce, sì, un immediato salto cronologico rispetto alle storie del noto personaggio, ma genera anche un «cambiamento di contenuto» – in questo fumetto più di quanto si percepirebbe forse in altri, dove comunque l’iconografia permette di identificare subito il protagonista. Ma d’altronde, togliereste mai la camicia rossa, i jeans e la giacca nera a Dylan Dog? Sarebbe come togliere mantella e maschera a Batman. Il look di Corto richiamava però anche le sue origini, e pure gli forniva una connotazione caratteriale, che lo identificava come un «senza luogo» al pari di qualsiasi altro marinaio. Quando un restyling intacca il personaggio nella sua anima, qualcosa viene a mancare, al di là della storia: i fumetti prima di essere parole sono immagini. E di fatto, anche l’impermeabilità e l’imperturbabilità di Corto, già solo dall’immagine di co-

pertina sembrano venir meno, per non parlare delle scene in cui Corto, nudo, si intrallazza eroticamente con la «sua» ragazza, certa Freya, giornalista d’assalto in forza agli eco-warriors; crolla così l’inafferrabilità di questo marinaio che come ti avvicinavi era già altrove. Poi c’è la storia. Si ha come l’impressione di leggere non una nuova puntata, ma un insieme di frammenti rispolverati. Nell’originale, Corto Maltese, quando scopriamo che ha domicilio ad Antigua, si trova proprio in Asia, a Honk Kong, ed è il 1918. Ha 31 anni ed è un ex ufficiale in seconda da 8 anni. Pirata lo era già almeno da 5. Quindi verbalmente la «biografia coincide», però invece di trovarci negli anni dieciventi del Novecento siamo negli anni di inizio duemila. E la domanda resta: perché non mantenere Corto Maltese nei suoi panni? In fondo la linearità temporale è relativa e a modernizzare il fumetto potevano bastare tratto e storie. Secondo noi, infatti, Corto sta in tutti i tempi e in tutti i luoghi esattamente allo stesso modo, che sia nel 2001 o nel 2050, qui, in Cina o su Marte. Ma deve essere Corto Maltese. Quel Corto. Perché Corto non è

tanto le sue storie, ma è un carattere e un pensare, che qui pure ci è sembrato un po’ debole: nelle nuvole ci è parso mancasse quell’indeterminatezza che rende speciali, filosofiche, criptiche, e talvolta pure mistiche, le storie prattiane. Non ci sono contraddizioni (o risposte apparentemente disgiunte dalle domande), non ci sono pensieri sospesi, non ci sono viaggi onirici (o pochissimo), non ci sono indigeni che parlano dialetto veneziano, non ci sono aperture dei non detto: qui è detto tutto. E va anche bene. Solo che non si distingue dagli altri fumetti come si distinguevano quelli del maestro di Malamocco. Resta una bella lettura d’intrattenimento che consigliamo, in attesa di nuove sorprese: sebbene, infatti, la serie classica di mano prattiana continuerà ad essere edita da Rizzoli Lizard, Cong promette nuove avventure del marinaio secondo rivisitazioni immaginate, forse, persino da altre matite internazionali. Bibliografia

Oceano Nero, Bastien Vivès, Martin Quenehen, Hugo Pratt, Ed. Cong, Grandvaux (CH), 2021.

sappiamo ancora leggere? la lingua batte Come una pallina da flipper, sul web rimbalziamo da un testo all’altro

spesso senza coglierne il senso. Con il rischio di andare in tilt Laila Meroni Petrantoni Tempo fa mi sono imbattuta in un testo sul web in cui si parlava di «lettura a F o a Z». Nulla a che fare con un esame oculistico, con quelle lettere sul tabellone che diventano sempre più piccole: l’oftalmologia non c’entra, ma il riconoscimento del segno grafico legato alla comprensione del messaggio, quello indirettamente sì. Lettura a F o a Z: pare che sia questa la modalità più frequente quando ci si trova di fronte a un testo proposto su uno schermo, grande o piccolo che sia. In sostanza, imitando la lettera F, sul web si tende a leggere per intero le prime righe, poi solo la metà di sinistra, poi si lascia perdere e non si termina la lettura. Del testo letto «a Z», invece, pescheremmo le prime righe, le ultime e qualche parola nel mezzo, in diagonale. Da questi tipi di lettura, inevitabilmente superficiali in quanto incompleti, si può arrivare a trarre solo conclusioni frettolose. Ma per il lettore, inappellabili: se correndo fra le parole il testo ci sembra interessante, meriterà una sosta di approfondimen-

to, altrimenti avanti un altro, non pensiamoci più. Perché lo dobbiamo confessare, noi tutti utenti della grande rete: abbiamo sempre fretta, i nostri occhi davanti a uno schermo vengono facilmente colti dalla frenesia, come se il tempo previsto per afferrare il senso di una notizia proposta sul web fosse cronometrato e noi ci sentissimo costretti a riconoscere alla velocità della luce l’utilità di quelle parole, oppure in alternativa a scartare il testo, oppure ancora ad autoconvincerci di avere già pescato il messaggio globale in poche frazioni di minuto. «È tardi! È tardi!», gridava il Bianconiglio sfrecciando davanti all’incredula Alice. Ma perché mai non dedichiamo il tempo che occorre anche a un testo sul web? La domanda è di stretta attualità e impegna gli esperti, dai linguisti ai neurologi, tanto da averli già da qualche anno spinti a coniare l’espressione «lettura digitale», in competizione con quella tradizionale (su carta) e con quella «profonda» (quella che crea il nostro sapere, che incide la nostra memoria). Associate alle peculiarità odierne

della «lettura digitale», che per ora non gode di fama granché positiva, sono state coniate presto anche delle etichette che descrivono il nostro approccio al testo digitalizzato: si parla allora di skimming (la lettura si ferma alla superficie), di skipping (si saltano parti del testo), di browsing e scrolling (si «sfoglia» e si scorre velocemente il testo). Se si vuole analizzare il fenomeno, attualmente uno dei riferimenti più quotati è Maryanne Wolf, neuroscienziata autrice del volume Lettore vieni a casa. Il cervello che legge in un mondo digitale (edito da Vita e Pensiero). La ricercatrice mette in guardia sui rischi che stiamo correndo con «l’immersione totale nell’ecosistema digitale», dove «il cervello tende a subire un sovraccarico informativo»: già una decina di anni or sono è stato stimato che in media ogni americano adulto deve far fronte ogni giorno a 34 gigabyte di informazioni. Il nostro cervello cerca di difendersi, e così tende a semplificare, legge «a raffiche», prova a scovare solo le priorità? Maryanne Wolf sottolinea come sia importante imparare fin da piccoli

a muoversi rapidamente fra il digitale e il tradizionale, attrezzarsi di un «cervello bi-alfabetizzato» che sia in grado di «concentrarsi nei processi di lettura profonda, quanto di muoversi rapidamente da un contenuto interessante all’altro». Conclusioni simili sono state tratte anche da circa 200 studiosi da tutta Europa che nel 2018 hanno firmato la cosiddetta «Dichiarazione di Stavanger» (dal nome della località norvegese in cui si sono riuniti): «è necessario trovare i modi migliori per utilizzare i vantaggi di entrambe le tecnologie», saltando fra schermo e carta e viceversa. La sfida alla quale è chiamata a rispondere in primis la scuola è proprio quella di insegnare ad affrontare anche un testo digitale in maniera profonda, impegnata, attenta. Nel contempo, di incoraggiare sempre e comunque la lettura su carta. «Vogliamo che i bambini imparino», conclude la Wolf, «che leggere richiede tempo e restituisce pensieri che rimangono anche dopo che una storia è finita». È questa la magia della lettura. Restituiamola a chi verrà dopo di noi.

Il direttore d’orchestra M. Poschner.

per Sony. Un Brahms intimo, lontano dall’enfasi, le cui architetture diventavano miracolosamente trasparenti rivelando i dialoghi interni tra i diversi strumenti e i movimenti melodici sottostanti alle linee abitualmente più evidenti. Aspetto ulteriore della sfida: se in questi decenni la filologia musicale ha riportato in auge gli strumenti dell’epoca e cambiato le prassi esecutive soprattutto del barocco e del classicismo, arrivando negli ultimi anni a Beethoven (basti pensare alle sinfonie eseguite da Jordi Savall) o Mendelssohn, con Čiajkovskij l’OSI compie un balzo decisamente in avanti, e quindi tanto più ardito. È evidente quindi come siano grandi la curiosità e l’attesa per questo progetto che proseguirà a dicembre con la Prima sinfonia e il Concerto per violino, a febbraio con la Sesta sinfonia e a marzo 2022 col Manfred. Un interesse confermato dai cento nuovi abbonati, che si aggiungono ai tanti che hanno rinnovato la loro fedeltà all’attività dell’OSI; un interesse che si somma probabilmente anche alla grande voglia di tornare a godere dal vivo il grande repertorio orchestrale. Completa il programma la terza Kammersymphonie di Sulcham Nassidse, da Poschner riscritta e titolata Traces to nowhere.


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Cultura e spettacoli

spiritualità della musica elettronica

Monica Ceccardi porterà in scena Simone Weill.

Musica Il cicloVesperali quest’anno propone Gesang der Jünglinge

di Karlheinz Stockhausen

Carlo Piccardi «I cantici celesti hanno cessato di essere una leggenda. Le voci del cielo sono divenute una realtà. Questo è il miracolo della telefonia senza fili»: questo leggiamo in «Le Monde musical» del 7-8 aprile 1923 a proposito della TSF, cioè della radiofonia. Fin dall’origine quindi la diffusione radiofonica, con la separazione delle voci dai corpi, ha caricato i suoi messaggi di significati trascesi: paradossalmente il mezzo più tecnologicamente avanzato di allora, anziché

Con il passare del tempo Stockhausen assegnò sempre più risvolti spirituali alle composizioni legare il messaggio alla dimensione del reale, lo liberava dal vincolo con l’immanenza predisponendolo a sostenere messaggi proiettati oltre il vissuto, addirittura oltre la terza dimensione. Questo fatto condizionò profondamente il mezzo radiofonico nello sviluppo dei generi di programma, in cui larga parte fu orientata a battere le vie del fantastico. Quindi se i laboratori di musica concreta (a Parigi) e di musica elettronica (a Colonia, Milano, Varsavia, ecc.) operanti nell’ultimo dopoguerra per ragioni comprensibili sorsero in enti radiofonici (come supporto alle necessità dei programmi), per loro natura (per la potenzialità immaginativa delle loro risorse) non si limitarono al perfezionamento tecnico del messaggio ma aprirono prospettive espressive che andavano al di là della comunicazione diretta. Fu così che il Westdeutscher Rundfunk alla fine di maggio del 1956, nel concerto intitolato Musica del tempo che presentava in prima esecuzione musiche elaborate per il nastro magnetico di Bengt Hambraeus, Giselher Klebe, Gottfried Michael König, Hermann Hess, dopo l’intervallo propose l’ascolto di Gesang der Jünglinge di Karlheinz Stockhausen, che può esse-

re considerata una pietra miliare nella storia della musica elettronica. Ai suoni artificiali vi sono infatti intercalati elementi fonetici cantati da un fanciullo, in parte comprensibili e in parte elaborati in funzione di un esito astratto. Le parole vi erano desunte dal biblico Canto dei giovani nella fornace, isolate, frazionate in sillabe come semplice elemento compositivo, a volte risuonando in modo chiaramente decifrabile nel significato («Magnificate il Signore»), oppure moltiplicate fino a costituire una polifonia. I suoni erano trasmessi da cinque gruppi di altoparlanti distribuiti nello spazio, che avvolgevano gli ascoltatori da ogni parte in un rapporto di nuovo tipo che poneva il pubblico di fronte a una nuova realtà sonora, conturbante al punto da produrre reazioni impreviste. Lo documentò un ascoltatore qualificato, Fred Prieberg, nel suo libro dedicato agli sviluppi della musica prodotta da mezzi tecnologici (Musica ex machina, Einaudi, Torino 1963) scrisse: «L’irrequietezza del pubblico crebbe fino al punto d’ebollizione, si avvertiva materialmente nell’aria un senso d’impazienza. Fu una specie di contrattacco contro gli instancabili altoparlanti, contro le figure rimbombanti che si frangevano contro le pareti, quando parecchi ascoltatori balzarono in piedi, corsero fuori della sala paonazzi d’ira e facendo sbattere le porte».

In cattedrale Gesang der Jünglinge di Karlheinz Stockhausen si potrà ascoltare nel concerto del ciclo Vesperali, domenica 3 ottobre 2021, ore 17.00 nella Cattedrale di San Lorenzo a Lugano nel concerto dell’Ensemble900 del Conservatorio della Svizzera italiana diretto da Arturo Tamayo, comprendente anche il Ricercare a 6 voci da «L’arte della fuga» di J.S. Bach nella strumentazione di Anton Webern, nonché Threni, id est Lamentatio Jeremiae Prophetae di Igor Stravinsky.

Karlheinz Stockhausen (a sin.) con Carlo Piccardi a Lugano nel 1989.

Di conturbante era soprattutto la nuova dimensione d’ascolto che poneva l’ascoltatore non di fronte a esecutori riconoscibili ma di fronte al vuoto, ciò che tra l’altro fece dire a Stravinsky che i concerti di musica elettronica assomigliano «a sedute spiritiche». È un fatto quindi che con ciò fosse predisposto un livello aperto verso gli spazi della spiritualità, come dimostra un’altra composizione presentata in quel concerto coloniense del 1956, cioè l’«oratorio pentecostale in onore dello Spirito Santo» di Ernst Krenek intitolato Spiritus Intelligentiae Sanctus, a proposito del quale l’autore dichiarò significativamente che l’idea di quest’opera era di dieci anni precedente alla realizzazione: «Specialmente il concetto di Spirito Santo si associava quasi sempre all’idea di rimbombo chiaro, riempitivo dello spazio, e che si snodava in esso: non lo seppi tradurre. Con rincrescimento misi da parte il lavoro. Quando venni a conoscere i lavori del WDR a Colonia, incontrai dei suoni che risvegliavano quelle mie antiche percezioni, e sentii che il mezzo elettronico mi avrebbe offerto delle nuove possibilità per tentare ancora quel grande progetto». Per quanto riguarda Stockhausen è in quel contesto che si fece strada l’orientamento che, assegnando sempre più intensamente risvolti spirituali alle sue composizioni, avrebbe portato al suo colossale progetto di Licht, cioè al ciclo di sette opere teatrali dedicate a ciascun giorno della settimana. Fu infatti a quel primitivo stadio che maturò l’idea di un nuovo rapporto di fruizione: «Io immagino un ambiente di forma sferica, provvisto tutt’intorno di altoparlanti. Nel centro di questa sfera una piattaforma che lascia passare il suono, destinata agli ascoltatori, che potrebbero ascoltare da sopra, da sotto e da tutte le parti una musica composta per questo ambiente». È l’idea che si sarebbe concretizzata nel 1970 nell’auditorio sferico del padiglione tedesco-occidentale all’Esposizione universale di Osaka, in cui per 183 giorni (5 ore e mezzo al giorno) il pubblico era invitato a ascoltare composizioni di Stockhausen.

ascoltare, ragionare, mangiare eventi Ritorna l’appuntamento cultural/

gastronomico organizzato dal Comune e dalla biblioteca di Manno Nicola Mazzi Il vicequestore aggiunto della polizia Rocco Schiavone sarà uno dei protagonisti della manifestazione che si tiene a Manno il 2 ottobre. Il suo Loden e le Clarks, scarpe che puntualmente rende inservibili, inzuppandole nella neve della Val d’Aosta, varcheranno la sala Aragonite per una serata da non perdere. Lo scrittore Antonio Manzini, creatore del personaggio di Schiavone, sarà infatti uno dei due ospiti della rassegna Esplorare il sogno, la manifestazione che fa incontrare narrativa, cibo e teatro giunta alla nona edizione.

Attraverso gli incontri si vogliono sottolineare anche il diritto al rispetto, alla dignità e alla propria unicità Come ci racconta la curatrice Chiara Rossini: «è la seconda volta che ci dedichiamo ai libri gialli prendendo spunto da un percorso creato dalla nostra biblioteca Portaperta con 18 postazioni nel nucleo del paese e dedicato appunto ai libri gialli di scrittori internazionali e nazionali. Tra cui, appunto, anche Antonio Manzini. La prima volta, nel 2019, abbiamo avuto ospite Alicia Giménez Bartlett (scrittrice spagnola nota soprattutto per la serie poliziesca con l’ispettrice Petra Delicado, tradotta in quindici lingue)». Mentre nel 2020, come per molti altri eventi, vi è stata la pausa forzata dovuta alla pandemia. L’idea alla base di Esplorare il sogno (evento promosso dal Comune di Manno in collaborazione con la biblioteca Portaperta) è quella di assemblare parole, di autori e protagonisti di libri; sapori, quelli che si gustano in compagnia; e lo spettacolo, messo in scena da artisti contemporanei. In questo senso, dopo l’intervista che Fabrizio Quadranti farà ad Anto-

nio Manzini, vi sarà un momento conviviale dedicato al cibo. A unire le due parti della serata, infatti, ci penserà la cena a buffet curata dal laboratorio Ti cucino io della Fondazione Diamante. Una nuova, curata e gustosa proposta di menù, che saprà deliziare il palato e sorprendere gli occhi e che probabilmente integrerà qualche piatto della tradizione valdostana, proprio per rendere omaggio a Rocco Schiavone e al suo autore. La seconda parte della serata sarà invece dedicata, come tradizione per la rassegna, allo spettacolo teatrale. Quest’anno lo spettacolo vedrà come protagonista Monica Ceccardi, attrice, regista e autrice italiana diplomata all’Accademia del Teatro Stabile del Veneto. Ceccardi lavora per diversi teatri stabili in Italia e dal 2018 collabora con il Teatro Pan di Lugano. Sul palco della Sala Aragonite porterà Il taccuino di Simone Weil, un monologo che riporta «in vita» la storia della filosofa, mistica e scrittrice francese del Novecento attraverso le sue letture, i suoi viaggi, i suoi grandi interrogativi sul mondo e la viscerale necessità di comprenderlo. Un invito rivolto agli spettatori ad attivare il pensiero, a manifestare la propria unicità, a reclamare il diritto al rispetto e alla dignità. Un omaggio a una figura fragile nel corpo, ma immortale nelle idee, oggi più che mai, attuali. Come rileva Chiara Rossini: «abbiamo scelto questo monologo, oltre per il suo interesse e per il fatto che è adatto anche alle famiglie, per la sua essenzialità scenografica, visto che il tempo a disposizione tra un evento e l’altro sarà comunque limitato». I biglietti saranno acquistabili solo in prevendita presso la Cancelleria comunale di Manno, la libreria Il Segnalibro di Lugano e la Libreria del Tempo di Savosa. E ovviamente l’evento sottostarà alle norme anti Covid-19. dove e quando

Esplorare il sogno, Manno, 2 ottobre 2021; prenotazioni: 091 61110 06.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 settembre 2021 • N. 39

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Cultura e spettacoli

endo anaconda, cantore di vite Incontri A colloquio con Andreas Flückiger, in arte Endo Anaconda, cantante, poeta e pensatore bernese

che ha fatto della buona musica e dell’irriverenza la propria cifra

Hotline da chiamare? Stiamo parlando di un milione di anni, e dalle insurrezioni di Spartaco a Roma, fino al diritto di voto delle donne in Appenzello sono passati solo 2100 anni!

Simona Sala Imponente in tutto il suo essere, Andreas Flückiger i suoi 66 anni li sfoggia con ironia e un pizzico di fatica, soprattutto per quell’eterno conflitto tra passioni che ha dentro, e che da una parte lo portano ancora ad esibirsi senza risparmiarsi davanti al pubblico, e dall’altra lo relegano in un angolo sperduto dell’Emmental a scrivere. Le stesse passioni che lo hanno reso famoso grazie ai testi delle canzoni in dialetto bernese (lingua franca di gran parte della produzione musicale svizzera), e ora lo spingono a scrivere poesie in Hochdeutsch. Il suo è un dissidio anche identitario: nato nell’Emmental, figlio di un poliziotto protestante e di una cattolica austriaca, trascorre i primi (felici) anni della propria vita nel Canton Berna, per poi ritrovarsi catapultato, dopo la morte del padre a seguito di un incidente stradale, nel chiuso e severo mondo della famiglia della madre a Karnten. Gli anni di internato in un istituto religioso, non faranno che esaltare l’aspetto ribelle e rivoluzionario di Endo Anaconda, mentre la doppia appartenenza, che si tramuterà in doppia patria, si riverbererà anche nei luoghi della sua vita, e più precisamente nelle sue due città, Berna e Vienna. Di qua, dunque, la capitale svizzera con i suoi voyoux e chi si arrabatta per sopravvivere ai piedi dei fasti di Palazzo Federale, dall’altra la capitale austriaca in cui si respirano ancora gli aliti della grandeur passata e un’indubbia signorilità. Tutte queste anime albergano nel metro e ottantasei di Andreas Flückiger, più noto come Endo (da Andreas-Aendu-Endo) Anaconda, o come leader e mente degli Stiller Has, una delle band di maggiore successo della Svizzera tedesca. A volere fare una retrospettiva della movimentata e turbolenta vita di un artista fuori da ogni schema e al di là di ogni definizione, ne uscirebbe un personaggio burbero, timido e ironico, probabilmente anche un po’ testardo, spinto da sempre da un inossidabile senso di giustizia mescolato a una genialità fuori del comune. Ha coniato il termine Moudi, nome di una canzone, del suo gatto, nonché di un certo mal di vivere; ha cantato in blues il fiume bernese per eccellenza, quell’Aare che è mecca di chiunque ami una certa wildness; ha resuscitato l’eroina erotica degli anni 70 Vampirella, che nell’omonima canzone si muove tra il Monte Verità e il prato del Marzili. Citazioni, riferimenti e un ritmo irresistibile, oltre a un’irriverenza ormai proverbiale, è questo forse il segreto del successo di Endo Anaconda. Endo siede in fondo al BarBière di Berna, schiena contro la parete, la fronte nascosta dall’immancabile cappello e il mento dal giornale. Gli occhi verdi da caimano sondano, osservano, soppesano, valutano e registrano, traghettando le presenze di chi gli sfila davanti nelle piccole storie di vita quotidiana che lo hanno reso famoso, fino a ieri materia viva di canzoni, oggi di una serie di poesie presentate alle più recenti Giornate letterarie di Soletta. «Leggo il feuilleton da Pyri / Davanti a me una Wurst piccante / Allo stesso tavolo una tizia ne beve uno di troppo / Ovunque ci si sieda / In bettola o in privato, c’è sempre qualcuno che parla / Anche se tu non ne hai voglia / Per necessità vado a fumare, ma la blaterona mi segue / E poi viene anche il suo blaterone, e così blateriamo in tre / Ma per fortuna c’è Orient Taxi/ Sono al verde e mi faccio portare a credito, grazie Mustafà / I soldi te li ridò lunedì / Finalmente uno che ascolta, uno che ascolta, lavora e tace» (da Spoken Word)

a questo punto le chiedo qual è la sua relazione con la svizzera…

Io la definisco una democratura finanziaria. In una dittatura alle domande difficili si obietta con risposte facili, mentre in democrazia le domande facili vengono elaborate in modo estremamente complicato. Noi siamo da qualche parte nel mezzo. Ho l’impressione che molti svizzeri siano schiavi di ipoteche e leasing, e questo non permette loro di avere delle visioni: c’è una paura terribile di vedere crollare il proprio progetto di vita, che in media in Svizzera viene elaborato a cinque anni! D’altra parte è una situazione un po’ schizofrenica, perché sono anche contento di essere qui, l’infrastruttura funziona… e politicamente come si situa?

Sono ancora marxista, ma mi riferisco a Groucho, Chico, Harpo Marx (scoppia nella sua risata gutturale)! Secondo me gli anni 70 vanno rivalutati: ad esempio in Italia con il compromesso tra la sinistra e la Democrazia Cristiana, si legittimarono divorzio e aborto e sono cresciuti i sindacati. Io comunque sono un comunista.

Cosa pensa di questo momento storico, dettato da grandi incertezze?

Endo AnacondaAndreas Flückiger è nato a Burgdorf, nell’Emmental. (Keystone)

Oggi Endo, dopo un passato di dipendenze intermittenti, beve solo acqua minerale, «Mineralwasser mit Gas», che vista l’astemia autoimposta per cause di forza maggiore, diventa Kriminalwasser, l’acqua dei o per i criminali. Endo è pulito e si trova nel mezzo di una tournée impegnativa, che toccherà molte località svizzere, e che lo vedrà mettersi in gioco per tenere testa a pubblici che non smetterebbero mai di ascoltare le sue storie di vite quotidiana, a volte grottesche, a volte ingarbugliate in giochi di parole sagaci e surreali. endo anaconda, Visp, thun, soletta, Coira, Zurigo… la sua tournée d’addio durerà ancora molti mesi: com’è stato ritornare a cantare dopo la pandemia? Comeback o nuovo inizio?

È stato un po’ entrambe le cose. Ho vissuto una situazione quasi ovattata, ma ho avuto anche del tempo per scrivere. A stare tanto a lungo isolati c’è però anche il rischio di rincretinire (scoppia a ridere), perché non si incontrano più gli amici e mancano i contatti sociali. In realtà io volevo smettere, perché nel frattempo sono un pensionato, ma ho deciso che andrò avanti, anche senza la band: vorrei esibirmi semplicemente accompagnato da un piano o una chitarra.

le sue canzoni sono piene di persone e microstorie, lei deve essere un grande osservatore…

Sì, e in fondo sono anche timido, mi piace stare soprattutto nei luoghi dove non mi conosce nessuno e dove posso osservare in tranquillità. In realtà non faccio mai veramente parte delle cose, sono una specie di clandestino (in italiano NdR) Il genere umano le è dunque caro?

Certo, amo tutti. Siamo tutti un po’ asini, dei grulli (in it. NdR), ma

tutto sommato non siamo male, anche perché l’essere umano è dotato della facoltà di imparare, e questa è una cosa che mi commuove profondamente. Purtroppo, c’è gente che non è in grado di apprendere, ma ciò ha a che fare con il potere. Io ho un po’ una sindrome borderline, non ho paura di niente e di nessuno, e non sono disposto a scendere a compromessi. Per me gli esseri umani hanno tutti lo stesso valore, dal Consigliere federale al drogato, ma non sopporto chi si dà delle arie.

lei vive in una località isolata dell’emmental. Qual è il suo rapporto con la digitalizzazione?

Possiedo solo un cellulare per pensionati, ma sono sicuro che in futuro questi cellulari saranno indispensabili. Spero solo che non serviranno più per conoscere nuove persone. Mi rendo però conto di come attraverso il cellulare i giovani riescano a mobilitarsi e a organizzarsi, pensiamo alla gioventù per il clima. Dall’altra parte quegli stessi giovani sono completamente controllabili. Non siamo più a 1984 di Orwell, ma a Brave New World di Huxley. Chi sono i suoi punti di riferimento musicali?

Amo molto Bob Dylan, che ha appena compiuto ottant’anni, e questo dice già tutto. Mi piace Vasco Rossi e ho una passione per i cantautori italiani come Guccini o De André. una sua celebre canzone si chiama Spoken Word: si considera un po’ il padre di questo genere poetico?

Per amor del cielo, ho già tre figli di 28, 21 e 13 anni, non ho bisogno di essere anche padre di un genere poetico! Inoltre, ho a che fare con tre madri diverse, cosa non sempre facile...

lei ha partecipato alle Giornate di soletta 2021 presentando le sue poesie in Hochdeustch. si dedicherà alla poesia in futuro?

Credo che si tratti di due facce della stessa medaglia, la poesia ha a che fare anche con la musicalità e il ritmo. Per me la divisione tra poesia e musica non esiste. Il problema è che se vieni dalla musica non ti prendono sul serio a livello letterario! Vorrei ritornare in Austria per un po’, per le persone e per la lingua: non ho più voglia di produrre in dialetto svizzero tedesco. In questo momento il problema del dialetto in Svizzera è dato dal fatto che è utilizzato solo per guardare il proprio ombelico. A volte mi sembra un costrutto, öisi Mundart. Negli anni 80 era diverso, c’erano i movimenti giovanili che intervenivano a livello sociale e politico in dialetto.

In rete si trovano molte testimonianze di suoi interventi in favore delle giovani generazioni e della gioventù per il clima. si considera un cantante politico?

Proprio recentemente è stata respinta una legge per il clima, ma non da parte dei giovani. A volte penso che si dovrebbe togliere il diritto di voto alla gente sopra i settant’anni… In Svizzera si tratta della generazione che possiede la maggior parte della superficie abitabile e del patrimonio. Ci sono certamente anche molte persone anziane povere, ma non mi riferisco a loro. Penso a quei privilegiati che non fanno che votare contro il futuro, contro le nuove generazioni. Prendiamo la questione climatica: è dal 1972 che la scienza ci va ripetendo che occorre cambiare direzione di marcia, se non vogliamo assistere a mutazioni importanti. Ma noi in Svizzera siamo arrivati addirittura a demonizzare la gioventù per il clima, criminalizzando le sue azioni. (Riflette) Mi vengono in mente i rifiuti nucleari: si cerca un posto dove stoccarli per un milione di anni, ma se qualcosa va storto cosa faranno? Istituiranno una

Sono scettico per quello che riguarda il futuro della nostra civiltà, votata alla finanza, ma allo stesso tempo mi sento fiducioso per il futuro dell’essere umano. Credo che dobbiamo tornare a una condizione più naturale. In fondo, da un punto di vista filosofico e non militare, ci troviamo in una situazione pre-rivoluzionaria. Pensiamo al Monte Verità e a quel gruppo di «pazzi»: è a loro che dobbiamo la nascita di idee importanti, che hanno condotto verso il futuro, e non mi riferisco solo ad aspetti culturali e artistici, ma anche sociali. (Riflette) Per me il fatto che qualsiasi essere vivente possa guardare indietro fino al Big Bang è simbolo dell’eternità e dell’infinito, ma la nostra società purtroppo pensa in termini trimestrali. due patrie e praticamente due lingue materne, quella del padre e quella della madre. Com’era il rapporto con sua madre?

Mia madre mi ha rinnegato, soprattutto dopo il mio coinvolgimento in un episodio che le ha portato in casa la polizia federale. Il nostro era un rapporto molto teso. Dopo la morte di mio padre ci ha portati a Karnten, io avevo cinque anni e mi sono ritrovato in una nuova famiglia, con parenti traumatizzati dalla guerra, persone brutali, che alzavano spesso le mani. Ho trascorso alcuni anni in un istituto cattolico in cui regnavano sovrani abusi e violenze, ma fortunatamente ero uno che le dava indietro se le prendeva. Era l’unico modo per sopravvivere, perché vigeva la legge del più forte, anche tra i bambini. Io impazzivo quando venivano presi di mira i più piccoli. Il primo giorno i grandi mi hanno chiesto di pulire le loro scarpe: l’ho fatto. Il secondo anche. Il terzo giorno sono andato da un «grande» e gli ho detto che non capivo perché dovevo pulirgli le scarpe: mi ha risposto che lo dovevo fare se non volevo prenderle. Ci ho dormito sopra, e quando il quarto giorno mi ha detto di pulirgli le scarpe, bam, gli ho tirato. Da quel giorno non ho mai più dovuto pulire le scarpe, ma nemmeno i piccoli che sono arrivati dopo di me. dove e quando

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Solo il meglio, anche per gli amici a quattro zampe LO SAPEVI? La prossima settimana, il 4 ottobre, è la Giornata mondiale degli animali. Questa ricorrenza è stata fissata nel 1931 e ha lo scopo di sensibilizzare ogni anno al benessere degli animali. Per inciso, in Svizzera il 44% delle famiglie ha un animale domestico. I più popolari sono cani e gatti: nel 2020 c’erano 1’722’313 gatti e 503’009 cani.

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