Come saranno i nostri boschi del futuro? Che cosa cambierà e in quale modo dovrebbe cambiare?
Per una ciocca di capelli
Molti problemi e un bosco
Simona SalaUna settimana difficile, per molti svizzeri, ma forse soprattutto per le ticinesi e i ticinesi, quel la che si è appena conclusa. Oltre alle incertezze già presenti, legate alla sfida energetica e a una guerra i cui protagonisti sembrano intenzionati ad alzare il tiro, si sono aggiunte alcune variabi li che per buona parte della popolazione si po trebbero tranquillamente definire da worst case (o scenario peggiore) in quanto andranno, in un modo o nell’altro, a intaccare sia la disponibilità economica, sia la quotidianità di tutti noi. Lunedì 26 settembre una parte della Svizzera (rappresentata in maggioranza dai Cantoni ro mandi, dal Ticino e dalle donne) ha avuto un risveglio amaro: dopo oltre un quarto di seco lo il popolo ha accettato per la prima volta una riforma dell’AVS. Un risultato, quello dell’in nalzamento dell’età di pensionamento delle donne a 65 anni, che se da una parte garanti rebbe stabilità all’AVS per i prossimi dieci an ni, dall’altra ci ha restituito un Paese diviso su molti fronti: dal Röstigraben, storica differenza culturale tra latini e svizzero tedeschi; dal gene
re, poiché molte donne si sono sentite tradite da voto degli uomini; fino all’età dei votanti, se co me rivelano i risultati, una forte spinta all’accet tazione di AVS 21 è stata data dagli stessi pen sionati. Il dibattito si riaccenderà presto, già si parla di «nuovi modelli» di pensionamento, più conformi alla nostra società, e legati agli anni di attività professionale (44) piuttosto che non all’età. Ma anche qui lo scontento di una par te della popolazione è già all’orizzonte. A fare le spese di un modello del genere sarebbero in molti, forse troppi: gli accademici, penalizzati per gli anni di studio, le casalinghe, per la pro pria scelta di vita, chi lavora a tempo parzia le perché obbligato ad accudire – gratuitamen te – figli, un parente malato, ecc. Una coperta, quella della rendita AVS, sempre troppo corta per qualcuno.
Il giorno successivo, martedì 27, aveva in serbo un altro risveglio caratterizzato dalla preoccu pazione, in vista dell’imminente comunicazio ne riguardante l’aumento dei premi di assicu razione malattia per il 2023. Ma il pessimismo
che precedeva l’annuncio dei premi, sulla stam pa e tra la gente, non si è rivelato sufficiente, o forse più semplicemente la nostra voglia di un briciolo di ottimismo ha avuto la meglio. Sta di fatto che peggio di così, con un aumento dei premi assicurativi in Ticino del 9,2 per cento, (quasi) non poteva andare, se non consideria mo Neuchâtel e Appenzello Interno. Com’è ve ro che non c’è due senza tre, il mercoledì ci ha confrontati con la rabbia dei dipendenti canto nali (il 7 per cento della forza lavoro in Ticino) che si oppongono a sanare la cassa pensioni Ipct sulla propria pelle, sacrificando una parte della propria rendita. È dunque difficile, in queste settimane, mesi, ormai anni, di fronte a un presente fosco co me quello in cui ci troviamo, individuare real tà edificanti, come ha sottolineato un Martin Ebel sobrio e lucido in un suo saggio sul «Ta ges Anzeiger». Eppure, da qualche parte, un’i dea che lasci sperare, una possibilità per non affrontare con spirito rassegnato le incognite di un futuro sempre più imperscrutabile, spunta.
E questa volta riguarda uno studio di Sudimac, Snale&Kühn, pubblicato sulla rivista accade mica «Nature» a inizio settembre. Gli autori della ricerca How Nature Nurtures (Come la na tura ci nutre), attraverso due questionari e l’u tilizzo della risonanza magnetica funzionale, sono infatti riusciti a dimostrare come sia suf ficiente una passeggiata di 60 minuti in un bo sco per ridurre l’attività dell’amigdala, ossia la regione del nostro cervello associata ai processi emotivi, in particolare a paura, ansia e stress.
Gli stessi risultati non sono stati ottenuti in un contesto urbano, dove i valori dello stress sono rimasti invariati.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 3 ottobre 2022 Cooperativa Migros Ticino edizione 40 ◆ ● G.A.A.6592San t’Antonino Sia chiaro, non che, una volta trascorsi 60 mi nuti, o una volta usciti dal bosco, a fronte di tutte le cupe variabili di cui sopra, i problemi saranno spariti: sarebbe un’illusione inutile e toglierebbe valore alla forza della natura. Ma forse saremo noi a essere cambiati, saremo un po’ più leggeri per avere scaricato una parte del le nostre tensioni e angosce. Per una volta gratis e mettendo d’accordo tutti.
MONDO MIGROS CULTURA Pagina 38 Sono nato in una nuvola è il titolo della mostra che omaggia Jean Arp e le due donne della sua vita ATTUALITÀ Pagina 31 Il futuro dell’Europa dipende dallo stato dei rapporti tra Russia e Germania dopo la crisi ucraina TEMPO LIBERO Pagina 17 Il Parco botanico universitario più antico del mondo fu fondato nel 1545 a Padova SOCIETÀ Pagina Francesca Marino Pagina 25Oltre la razionalità
Quanto sono razionali le nostre decisioni? E che differenza c’è tra irrazionale e a-razionale?
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Alberi per il futuro della Svizzera
Loris Fedele
Come saranno i nostri boschi del fu turo? Cosa cambierà e in quale modo dovrebbero cambiare? Siamo pron ti ad affrontare i cambiamenti che si presenteranno? Sono alcune delle domande che gli esperti del settore si fanno da tempo, in particolare da quando i cambiamenti climatici in at to stanno condizionando la nostra vi ta e quella delle specie viventi.
Aumentano le temperature, gli eventi estremi sono sempre più fre quenti e i nostri boschi sono in con tinua evoluzione. Arrivano neofite invasive, diverse specie indigene sof frono il cambiamento climatico, e in tanto il bosco avanza verso quote più alte. Il quadro generale in prospettiva futura si sta complicando.
La funzione di protezione svolta dai nostri boschi resta fondamenta le per fronteggiare catastrofi natura li ed eventi estremi quali frane e va langhe, smottamenti di terra e colate di fango, inevitabili sulle nostre Al pi. Per queste ragioni, insieme alle molteplici funzioni che migliorano la nostra qualità di vita, i boschi vanno salvaguardati.
La Confederazione, i servizi fore stali cantonali, le aziende forestali, i vivai e i ricercatori dell’Istituto fede rale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio (WSL) si sono mobilita ti: per comprendere quali specie arbo ree saranno più adatte alle condizio ni climatiche future hanno avviato il progetto «Testpflanzungen» (Pianta gioni sperimentali di specie arboree a prova di futuro).
Sono previste 59 piantagioni in al trettante località, distribuite in tutta la Svizzera e a diverse quote. Il pro gramma di sperimentazione sul cam po è cominciato con i primi impian ti fatti a Bergün (Grigioni), sul passo dell’Albula, nell’autunno 2020. Nel lo stesso periodo si è passati in Bre gaglia, poi sull’altipiano, a Bul le (Friborgo), a Luterbach (Soletta), in seguito a Uznach (San Gallo), e a Froideville (Vaud). L’elenco del le località è lungo, le piantagioni so no ancora in corso e dovrebbero venir completate nella primavera dell’anno prossimo. Poi ci sarà la lunghissima fase di test.
Per quanto riguarda il Canton Ti cino sono state scelte sei superfici: in quattro la piantumazione è comple tata, nella quinta è in corso, l’ultima sarà pronta la primavera prossima. Le zone interessate si trovano a Stabio, Novaggio, Losone, Ronco S/Ascona, Locarno, Serravalle. A seconda del le dimensioni dei terreni e delle ca ratteristiche della zona il programma contempla di testare da 4 a 18 specie arboree, che sono state selezionate te nendo conto delle valutazioni dei rap presentanti cantonali e di altri esperti. Le varietà scelte sono state suddi vise in due gruppi. Il primo gruppo
base è formato da 9 specie da prova re in circa 35 piantagioni sperimenta li. Le specie sono: l’abete bianco, l’a cero di montagna, il faggio, il larice, l’abete rosso, il pino silvestre, la dou glasia, il rovere e il tiglio riccio. Com pongono invece il secondo gruppo, definito complementare, due tipi di aceri: il loppo e l’acero riccio. Poi ci sono: il cedro dell’atlante, il noccio lo di Costantinopoli, il noce, il cilie gio, il cerro, la quercia farnia e il sor bo torminale.
Le 9 specie di questo gruppo sono piantate in circa 15 località. Tutte le 18 specie di alberi che prendono parte alla sperimentazione saranno anche testate in 6 piantagioni prescelte, de finite dal programma come «super si ti». Le 18 specie arboree sono rappre sentative di quelle specie che vengono considerate potenzialmente le più ca paci ad adattarsi alle mutate condi zioni indotte dai cambiamenti clima tici nel bosco svizzero.
Il cospicuo numero dei siti scelti per la sperimentazione e la loro ubica zione in località e a quote che presen tano un’ampia gamma di condizioni climatiche durante l’anno daranno
riscontri scientificamente attendibili. Anche la lunghezza del programma, che dovrebbe coprire un arco tempo rale che va dai 30 ai 50 anni, è fonda mentale per prevedere cosa succederà nei nostri territori.
Il materiale di piantagione è sta to procurato in collaborazione con molti vivai svizzeri e partner stranie ri. Alcune delle specie arboree impie gate sono coltivate anche al Vivaio del Canton Ticino di Lattecaldo e al giardino sperimentale del WSL.
Già da ora sarà necessario ripopolare i boschi con più diversità di specie tra quelle con una resilienza maggiore rispetto a oggi
Gli obiettivi principali del progetto sono tre: studiare l’adattamento del bosco nei confronti dei cambiamenti climatici, poi identificare i fattori am bientali che determinano la soprav vivenza, la vitalità e la crescita delle specie arboree, infine fornire delle in dicazioni sulle specie da prediligere per la gestione futura dei boschi. Le
informazioni raccolte saranno pre ziose per la pianificazione forestale, ci conferma Adrian Oncelli della Se zione forestale cantonale.
Sicuramente in Svizzera una delle piante che sta soffrendo di più il cam biamento climatico è l’abete rosso, anche perché in passato è stato larga mente promosso e utilizzato per usi commerciali e piantato un po’ dap pertutto, anche dove non si sareb be dovuto. Sull’altipiano a nord delle Alpi lo troviamo in grandi estensio ni a basse quote mentre è una specie adatta a quote più elevate. Se soffre per il cambiamento climatico è an che in parte perché in certi casi, co me detto, non è stato piantato nel luo go più adatto. Poi c’è anche il faggio, che in alcune zone della Svizzera, co me ad esempio nel Jura, ha accusato forti morie.
Quindi, quali specie potrebbe ro essere più adatte per il futuro del la Svizzera? Le risposte arriveranno, nel frattempo qualche certezza tutta via è già evidente. Per noi a sud del le Alpi potrebbero essere interessanti per esempio alcune varietà di quer ce, di sorbi e di aceri oppure specie
di provenienza mediterranea. Una co sa sembra evidente: la riduzione del le specie conifere aghifoglie in favo re delle latifoglie, generalmente più adatte al clima che si prospetta.
Se in passato si promuovevano bo schi di puro abete, o solo di faggio, o bosco puro di castagno, d’ora in poi varrà la pena di cercare di ripopola re i boschi con più diversità di specie, quindi con una mescolanza maggio re e una resilienza maggiore rispetto a quelli che possono essere gli even tuali disturbi come il cambiamen to climatico o l’arrivo di insetti o al tri patogeni.
Riguardo al castagno, al qua le siamo affezionati perché nelle no stre zone fa parte della storia e della tradizione, purtroppo numerosi e ar gomentati studi scientifici, tra i qua li uno recente di Marco Conedera, esperto ricercatore presso il WSL di Cadenazzo, suggeriscono che non sia una specie capace di resistere bene al crescere delle temperature estive e ai lunghi periodi di siccità. Tuttavia con una buona gestione forestale potremo salvare e sfruttare ancora bene il pa trimonio esistente.
I nostri boschi, a causa del surriscaldamen to climatico, cambieranno aspetto nei prossimi decenni. (Pxhere.com) Ambiente ◆ Sono in corso le piantagioni sperimentali dell’Istituto federale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio Progetti in Alta Vallemaggia La regione guarda al futuro con un masterplan rinnovato e un aggiornato piano di sviluppo Dal gemmoderivato al miele Pianta spontanea, forte e selvaggia, il Brugo ha proprietà diuretiche, astringenti e antibatteriche Pagina 14 Mondoanimale La Giornata del cavallo prevista il 22 ottobre offrirà tanti appuntamenti didatticiTecnologie alla prova
Serena Cangiano si occupa da anni di promuovere l’interazione tra l’uomo e i sistemi digitali. La ricordiamo di versi anni fa come animatrice di ate lier tenuti a Chiasso da Radio Gwen dalyn in cui proponeva a persone del tutto digiune di conoscenze tecnolo giche di costruirsi una radiolina FM e un piccolo sintetizzatore musicale.
Nei suo panni accademici Can giano è una delle responsabili del Fab Lab della SUPSI: all’ultimo piano dell’immenso fabbricato sorto a Men drisio, proprio in fondo alla lunghis sima, affascinante rampa centrale che attraversa tutti i piani dello stabile, si trova il «laboratorio di fabbricazione», un atelier a cui gli studenti e i docenti della SUPSI possono fare riferimento nelle varie fasi della progettazione dei loro corsi e delle loro ricerche. Il Fab Lab è, infatti, uno spazio tecnologi co in cui sono disponibili numerose macchine ad alta tecnologia, utili per la realizzazione di vari tipi di oggetti, costruiti con i più vari materiali.
Ci sono ad esempio tagliatrici al laser che possono essere usate per in cidere lastre di legno o cartone, ci so no stampanti 3D di varie dimensioni e che utilizzano diversi prodotti per la costruzione dei modelli; ci sono vari prototipi di apparecchiature costrui te ad hoc per particolari scopi didat tici e sperimentali. Si tratta insomma di uno spazio estremamente ricco di stimoli e di potenzialità che, di vol ta in volta accoglie e risponde alla ri chieste di studenti e ricercatori coniu gando le competenze acquisite negli anni in campo software e hardware dai responsabili del laboratorio con le necessità di una ricerca che è, gio co forza, in costante evoluzione. In uno spazio del laboratorio si trova ad esempio un braccio robotico, di quel li che vengono utilizzati nelle linee di produzione industriale per scopi di montaggio di componenti meccani che, ma che qui è stato usato per spe rimentare tecniche creative più raffi nate e complesse, alla ricerca di nuovi sbocchi operativi alla sua rigidezza ingegneristica.
Uno degli aspetti interessanti di questo spazio è che, per volontà dei suoi responsabili, deve essere aper to alle richieste ma, in definitiva de ve mirare all’autonomizzazione delle risposte dei suoi utenti. Il compito di Serena Cangiano e dei suoi colleghi, in altre parole, è rendere ognuno re sponsabile nell’uso della tecnologia a cui fa ricorso. La cosa è necessaria mente anche molto pratica, perché ri guarda ogni momento della costru zione, dall’uso dei materiali base fino allo smaltimento dei rifiuti prodotti dalla lavorazione, dall’apprendimento nell’uso dei software necessari all’uso delle macchine al riordino finale dei piani di lavoro. Insomma, l’intera zione uomo/macchina e la collabora
azione
Torna il Premio Möbius
14-15 ottobre ◆ Due giorni di cultura digitale e un Simposio sull’ hate speech
zione cervello umano/processore di gitale sono gestite con l’obiettivo di una presa a carico «globale», sia dal punto di vista operativo che da quello ambientale.
Detto questo, i responsabili del Fab Lab sono presenti e attenti alle necessità dei loro utenti, e disponi bili anche a trovare nuove modalità di approccio ai problemi che di volta in volta si presentano. A volte, in al tre parole, occorre proprio inventare le tecnologie necessarie alla soluzione di alcuni problemi e questo richiede una messa in comune delle opinioni e delle competenze, una ricerca di pos sibilità di soluzioni, che magari sono già disponibili nella comunità scien tifica o più semplicemente in qualche sito su internet. Occorre sapersi muo vere e cercare sbocchi: Serena Can giano e i suoi colleghi sono proprio lì per offrire il loro contributo di espe rienza e di contatti con l’esterno. Esi stono attualmente diversi Fab Lab in Ticino, in varie scuole e istituti, con scopi e finalità diverse. Ne gestisce uno ad esempio la Filanda di Men drisio, con l’obiettivo di interagire e interessare i bambini delle scuole. Altri sono progettati in vari luoghi del cantone e sicuramente contribu iranno a diffondere una «cultura di gitale» concreta, pratica, che sarà di fondamentale importanza negli anni a venire, in vista della sempre mag giore tendenza alla digitalizzazione della nostra vita quotidiana e delle tecniche del lavoro.
I futuri ingegneri della Supsi, nel frattempo, si allenano qui: mentre curiosiamo negli spazi del laborato
rio, in cui molti ragazzi sono attivi nella progettazione e nella realizza zione dei loro modellini che sono i risultati delle loro ricerche, possia mo assistere alle loro discussioni di gruppo, al passaggio di consigli e di indicazioni pratiche nella risoluzione di problemi. Una studentessa di in gegneria civile è alle prese per la pri ma volta con una tagliatrice laser, un grosso apparecchio della dimensione di un tavolo da salotto, che incide la stre di compensato in modo da rica varne gli elementi componibili per la costruzione di un modellino. Il pro cedimento apparentemente semplice prende le mosse da un disegno tec nico, ma la sua realizzazione pratica richiede esperienza e la studentessa alle prime armi si confronta qui con tecniche e macchinari professionali che le saranno sicuramente utili nel suo futuro.
Il Fab Lab è uno spazio che ospita macchine ad alta tecnologia per realizzare modelli e prototipi a scopo didattico e sperimentale
In un altro settore, allievi del corso di design si confrontano con un non facile compito: quello di costruire prototipi di vecchi oggetti tecnologi ci degli anni 70 facendoli funzionare con l’aiuto di un moderno smartpho ne. Ecco dunque la replica di una vecchia videocamera VHS in legno, progettata per contenere al suo inter no uno spazio in cui alloggiare il tele fono cellulare e creare così un ogget
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to ibrido «antico-moderno», ironico e iconico al tempo stesso. Allo stes so modo sono stati realizzati un finto registratore a cassette e un finto pro iettore di diapositive: oggetti del tut to sorprendenti e chiaramente frutto di una profonda riflessione proget tuale che ha di sicuro stimolato la creatività e la capacità di risolvere i problemi dei suoi ideatori.
Il contributo offerto in questo sen so dal Fab Lab è determinante. Pur essendo uno spazio «concreto» e ope rativo contribuisce alla realizzazione di idee e alla acquisizione di compe tenze che, come detto, sono fonda mentali per lo sviluppo di una cul tura tecnologica che è fondamentale per la nostra società. All’esterno del laboratorio, prima della conclusione della nostra visita, Serena Cangiano ci mostra uno dei prototipi dimostra tivi che vengono usati per pubbliciz zare l’attività del Fab Lab: un di vertente mini laboratorio in cui una vecchia bicicletta è stata trasformata in un «tritaplastica». Scarti presi da vecchie bottiglie vengono frantuma ti, poi introdotti in una pressa a calo re e trasformati in simpatici «ometti attaccapanni» di design. Il tutto uti lizzando oggetti di uso comune rici clati nella loro funzione. Si tratta più di un’installazione artistica che di un progetto industriale, naturalmente, ma qui trova la sua dimensione più adatta e significativa: è dalla creati vità, dall’intelligenza e dal senso pra tico (e magari un po’ anche dal sen so dello humor) che nuove tecniche e nuove idee potranno aprire nuove strade alla società del futuro.
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Il Premio Möbius Multimedia Lu gano è arrivato alla sua ventiseiesi ma edizione che si svolgerà il 14-15 ottobre all’Auditorium USI di Luga no. Tema della due giorni sarà: Di scorsi d’odio (hate speech), notizie fal se (fake news), metaversi. «La realtà è sotto attacco – scrivono gli organiz zatori – I confini tra virtuale e reale si affievoliscono, il mondo digitale si espande e crea nuove realtà. La tec nologia tenta di eliminare le interfac ce, cercando modi per permetterci di interagire con i computer senza me diazioni tra il cervello e la macchina. Anche il concetto stesso di verità vie ne messo in discussione, con opera zioni su scala che potremmo definire industriale in grado, grazie alla rete, di diffondere falsità e manipolare il vero». La Fondazione Möbius Luga no continua dunque a proporci rifles sioni sulle mutazioni in corso, sulle interazioni tra mondo reale e virtua le, sulle grandi sfide che l’umanità si trova ad affrontare nel XXI secolo. E lo fa con la formula ormai consolidata che prevede l’assegnazione di diver si premi: Gran Prix Möbius Suisse, Gran Prix Möbius Editoria Mutan te, Möbius Giovani e il nuovo Gran Prix Möbius per l’intelligenza artifi ciale. È inoltre in programma un di battito che vede il coinvolgimento di giovani liceali sulla disinformazio ne in rete e un Simposio dedicato ai «Discorsi d’odio (hate speech)», previ sto venerdì 14 ottobre alle 16.30 con la partecipazione di Luca De Biase, giornalista de «Il Sole 24 ore», Clau dia Bianchi, professoressa di Filo sofia del linguaggio, Bertil Cottier, esperto di diritto dei media, Lorenza Ambrisi, autrice del libro La lingua dell’odio, modererà l’incontro Stefano Vassere, direttore del Sistema Biblio tecario Ticinese.
Informazioni e programma: www.moebiuslugano.ch
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SUPSI ◆ Visita al Fab Lab con Serena Cangiano, una delle responsabili del «laboratorio di fabbricazione» Alessandro ZanoliCremose tentazioni
Attualità ◆ Il Gorgonzola è uno dei formaggi più rappresentativi della produzione casearia italiana. È un ingrediente ideale per la preparazione di molti piatti tipici autunnali
che penetrano della pasta. La tecnica di produzione del Gorgonzola usata in passato era detta a «due paste», vale a dire che venivano unite due cagliate prodotte a qualche ora di distanza l’u na dall’altra. Oggi si utilizza preva lentemente una sola cagliata a cui vie ne aggiunta la muffa, la penicillium glaucum. Prima della stagionatura, il Gorgonzola subisce un periodo di stufatura a 20 gradi. Durante l’affi namento le forme vengono forate più volte con aghi lunghi e spessi affinché l’aria possa penetrare meglio e favori re lo sviluppo delle spore.
Come si conserva e consuma?
Il Gorgonzola si conserva in frigori fero in contenitori chiusi, avvolto in un foglio di alluminio. Grazie alla sua versatilità, è protagonista indiscusso di molte ricette. È una delizia come anti pasto quale complemento di un piatto misto di formaggi o su crostini di pa ne caldo, affina perfettamente primi quali paste e risotti, ma è ideale anche accostato a secondi a base di carne e ortaggi. La sua cremosità si sposa a meraviglia con una fumante polenta oppure trasforma salse, creme e persi no dessert in qualcosa di sublime.
Da dove proviene?
Originario dell’omonima città lom barda, dove si ritiene sia nato nell’XI secolo, il Gorgonzola DOP è un for maggio vaccino a pasta molle, er borinato, oggi prodotto per legge e tradizione esclusivamente in una quindicina di province sparse tra le regioni Lombardia e Piemonte. Per le sue caratteristiche, è simile ai celebri erborinati Roquefort francese e Stil ton inglese.
Dolce o piccante?
In commercio del Gorgonzola so no disponibili le versioni «Dolce» e «Piccante». Il primo risulta più fresco, cremoso e burroso rispetto al sapore
forte e caratteristico del piccante. Si differenziano per la durata della sta gionatura, che va da un minimo di 60 giorni per la variante dolce a 90 gior ni per quella piccante. Il Gorgonzo la è un prodotto completo ed equili brato contenente preziose proteine e sali minerali quali il calcio, il ferro e il fosforo. Inoltre, forse non tutti sanno che, grazie al processo di produzio ne che riduce al minimo la quantità di lattosio, viene definito «naturalmente privo di lattosio» (<0,1g/100g).
Perché erborinati?
L’erborinatura identifica quei formag gi che presentano venature di colore verde-bluastro date dalle muffe edibili
È con lo slogan «Autunno all’inse gna del piacere» che Micasa presen ta le tendenze d’arredo per la nuova stagione. A farla da padrone sono si curamente i mobili design e gli acces sori realizzati con materiali sostenibi li e innovativi e condizioni di lavoro eque. Tra questi possiamo per esem pio citare i prodotti del marchio te desco WYE, che realizza mobili e accessori utilizzando principalmente derivati della lavorazione industria le del legno. E che dire degli acces sori vegani SOHOTREE? Pensate che questo marchio svizzero trasfor ma le bucce di mele in custodie per cellulari, astucci, portafogli e porta carte. Ci sono poi i tessili NEO, ar ticoli compostabili e riciclabili che fa voriscono l’economia circolare. Tra i trend di quest’anno, Micasa vi pro pone anche diversi mobili e accesso ri dalle tonalità petrolio, terracotta e beige chiaro, tutti perfettamente ab binabili tra di loro per uno stile in
Il Gorgonzola Selezione Reale Migros Ticino annovera nel suo as sortimento il Gorgonzola DOP del marchio Selezione Reale, disponibi le nelle varianti «Dolce» e «Piccan te», come pure in quella affinata con mascarpone. Prodotto nel novare se, nasce nel rispetto della grande tradizione con metodi di produzio ne all’avanguardia. Il latte utilizzato proviene da allevamenti selezionati appartenenti rigorosamente alla zo na DOP. L’intero processo, dalla pa storizzazione alla stagionatura, viene eseguito secondo norme igieniche molto rigorose. Inoltre, il marchio garantisce regolari controlli di quali tà e batteriologici anche in Svizzera tramite laboratori accreditati indi pendenti e secondo le normative del nostro paese.
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Patate Charlotte Svizzera,La razionalità e le sue alternative
Massimo NegrottiQuando, nella vita quotidiana, dicia mo che un certo comportamento è ra zionale mentre un altro non lo è, il più delle volte intendiamo dire che il pri mo segue regole logiche rigorose men tre il secondo ne prescinde oppure non le rispetta. Questo atteggiamento, che in parte risente della definizione clas sica della razionalità, non è scorretto ma ha bisogno di essere, per così dire, aggiornato. Sviluppare per bene un ra gionamento e, dunque, essere raziona li, non significa produrre conclusioni perfette nel senso di «vere» ma sem plicemente coerenti e non contraddit torie. Se io dico che Roma è in Ugan da e quindi coloro che vi abitano sono ugandesi, compio un ragionamento formalmente perfetto ma che porta a una conclusione palesemente erronea perché fondato su una premessa non vera. Insomma, un conto è la perfe zione formale e un altro è l’aderen za delle nostre premesse alla realtà. È qui che si inserisce il concetto, in trodotto nel secolo scorso da Herbert Simon, di «razionalità limitata». Ciò che è in gioco non è la rigorosità del ragionamento – che un computer può esibire anche in termini più precisi di un essere umano – bensì la fondatez za e la completezza delle premesse da cui partiamo.
È facile intuire come in tutti i casi reali – prescindendo dalla matematica che procede da assiomi assunti come veri per definizione – la nostra cono scenza sullo stato delle cose è sempre e solo parziale. Quando dobbiamo de cidere se compiere un viaggio in au tomobile oppure in treno, la nostra razionalità si esercita sui dati disponi bili circa il tempo che farà, il traffico stradale prevedibile, eventuali scioperi e così via ma è del tutto evidente che nessuna delle informazioni che abbia mo è certa. Il problema di ogni deci sione, nella vita di tutti i giorni così come nelle attività più diverse, con siste allora nella ottimizzazione della
decisione sulla base delle conoscen ze disponibili. Questo procedimento può includere criteri diversi, come la massimizzazione della probabilità di prendere la decisione giusta oppure la minimizzazione della probabilità di prendere la decisione sbagliata, e altri ancora magari ispirati alla cosiddetta «teoria dei giochi».
Ciò che va però sottolineato è il fat to che, anche nella maggior parte del le professioni, nessuno si mette a fa re calcoli probabilistici quando deve prendere una decisione diagnostica, tattica o strategica. Gli stessi Decision Support Systems creati nell’ambito dell’intelligenza artificiale non forni scono, né potrebbero farlo, una solu zione decisionale perfettamente ade rente alla realtà e alla sua dinamica, lasciando ampio spazio alla responsa bilità umana. Ma, allora, cosa inter
viene quando, poniamo, un medico, di fronte a dati di laboratorio affidabili ma, ovviamente, probabilistici, pren de una decisione diagnostica, oppure quando un imprenditore o uno strate ga militare decidono l’azione da com piere? Per quanto abbiamo detto fin qui è evidente che costoro non posso no che ricorrere a processi a-raziona li al cui centro c’è sicuramente quella attitudine umana che chiamiamo in tuizione ma anche la speranza, l’im maginazione, la simpatia o l’antipatia e persino la scaramanzia. A questo ri guardo è però importante riconosce re la sottile differenza fra la a-razio nalità e l’irrazionalità. Puntare su una soluzione sulla scorta di una intuizio ne, magari credendo ostinatamente sulla sua bontà in base all’esperienza passata, può voler dire introdurre un elemento non razionale ma non ne
cessariamente irrazionale se, per «irra zionale» intendiamo un atteggiamen to che non attribuisce alla ragione il primato nella ricerca della verità, co me è, per portare un esempio classi co, in Friedrich Nietzsche. Più sem plicemente è infatti da considerarsi a-razionale qualsiasi premessa che ab bia origine non dallo sforzo di osser vare oggettivamente, magari scienti ficamente, la realtà bensì da pulsioni, sentimenti o credenze che il soggetto pone, o da cui è motivato, come «punti di partenza» della propria visione del mondo che lo circonda e quindi delle decisioni che egli deve assumere in ri ferimento ad esso. L’irrazionalità non è una diretta conseguenza della a-ra zionalità perché, a partire, per esem pio, da un certo sentimento, il sogget to può sviluppare un ragionamento e prendere una decisione seguendo re
Viale dei ciliegi
È una tipica narrazione «biforcata» (come quella dei Promessi Sposi, per intenderci, da un lato le vicende di Renzo e dall’altra quelle di Lucia, nella speranza di un ritrovamento finale) quella che dà forma a questo bel romanzo, per molto tempo in te sta alle classifiche del «New York Ti mes». Chi deve ricongiungersi, qui, sono due amici: un ragazzo, Peter, e una volpe, Pax. La loro è un’amici zia speciale, nata per entrambi dallo squarcio di un trauma: Peter ha per so da poco la madre in un inciden te stradale, quando trova Pax, unico sopravvissuto della cucciolata di una volpe uccisa. Lo porta a casa, lo alle va con amore, ognuno torna a vivere grazie all’altro. Ma arriva la guerra, il padre di Peter si arruola e porta il ragazzo a vivere dal nonno: carica in macchina anche la volpe, costringen do il ragazzo ad abbandonarla lungo la strada. Da qui prende inizio la vi cenda vera e propria, segnata dal do lore di Peter per questa nuova perdi ta, dal senso di colpa per aver tradito la fiducia dell’animale (il padre l’ave va costretto a lanciargli un soldatino
– che costituiva il gioco di lancio e ripresa preferito da Pax – e poi fuggi re, abbandonando Pax sul ciglio del la strada), dall’angoscia per il destino della volpe domestica, forse incapace di sopravvivere in natura. Peter allo ra prende una decisione, la più forte e autonoma della sua vita: non sarà duro e insensibile come gli uomini della sua famiglia («le mele non ca dono lontano dall’albero» afferma or gogliosamente il nonno, e invece lui da quell’albero vuole differenziarsi) e partirà alla ricerca di Pax, affrontan do con coraggio un viaggio a piedi di cinquecento chilometri, a ritroso, per
tornare nel punto in cui ha dovuto abbandonarlo, con la folle speranza di ritrovarlo.
La separazione dalle certezze del la famiglia, il viaggio, l’avventura, rendono questo un perfetto romanzo di formazione, in cui il protagonista cresce e acquisisce maggior consape volezza di sé attraverso molte prove, e anche grazie all’aiuto di un inten so personaggio femminile che gli farà da mentore, una donna che si è ritira ta a vivere lontana dalla civiltà, in un bosco. In un capitolo seguiamo l’av ventura di Peter, nell’altro quella di Pax, entrambe appassionanti, e sul lo sfondo resta sempre, drammatica mente, la guerra, in tutta la sua atro cità. L’assurdità della guerra, di ogni guerra, emerge grazie alla maestria della scrittura della Pennypacker, che con rara eleganza evita la pesantezza di un messaggio pacifista compiaciu to e vago, e addirittura fa dire a Peter che lui non sapeva che «pax» in latino significasse «pace», aveva dato quel nome alla volpe solo perché lo zaino in cui il volpacchiotto appena portato a casa si era infilato aveva un’etichet ta con la marca «Paxton». Una storia profonda, piena di spunti e simbolo gie pregnanti, come la fenice evoca trice di rinascita, il concetto «due ma
non due» di matrice spirituale sull’u nità delle creature, o la potente con trapposizione domestico-selvatico. È uscito un seguito, su cui torneremo, ma il romanzo ha un suo pieno senso anche di per sé.
gole logiche perfettamente razionali. Quando la solidarietà ci induce ad aiu tare una persona in difficoltà quel sen timento agisce come motivazione ma, poi, essa potrà contare su un’azione che di norma cercherà di essere effi cace ed efficiente in termini razionali.
Altro sono, invece, un atteggia mento o un comportamento radical mente irrazionali perché, in questo caso, a essere non razionali saranno tutte le fasi che vanno dall’ideazio ne alla realizzazione di un compor tamento. Questo accade quando una setta prende le mosse dalla persuasio ne di essere in contatto con il demo nio e istituisce pratiche di vario ordi ne per entrare in una relazione stabile con lui, oppure quando si aderisce a una credenza superstiziosa o quando si praticano attività estreme fini a se stesse. Naturalmente, nella definizio ne dell’irrazionalità, il pensiero va an che al mondo dell’arte e alla sua in negabile motivazione, dominata quasi invariabilmente da visioni della real tà che si discostano dai modelli razio nalmente stabiliti. Ma occorre molta attenzione perché, in realtà, ogni ar te genuina presenta sempre, assieme a momenti di a-razionalità, sviluppi successivi di altissima razionalità nel senso di adesione a regole di compo sizione e di uniformità stilistica senza le quali, basti pensare alla musica, non avrebbe alcun senso. Non a caso Fëd orovič Stravinskij diceva che «la musi ca è costruzione» e ogni costruzione, ovviamente, si nutre di regole e dun que di razionalità.
In definitiva, si può affermare che esiste un continuum che va da un com portamento duramente razionale, co me la burocrazia secondo Max Weber, fino alla condotta puramente impulsi va, passando per quella che è la razio nalità limitata la quale, a ben vedere, costituisce la più diffusa circostanza in cui ci veniamo a trovare durante la no stra esistenza.
È l’opera prima dell’autrice slovena Marta Bartolj, che con questo silent book, in cui a raccontare sono esclusi vamente le immagini, ha ricevuto va ri riconoscimenti internazionali. Via
della gentilezza, nel senso che si svol ge nelle vie di una città, dove i per sonaggi compiono ciascuno un gesto gentile che riverbera, a cascata, sugli altri; ma forse anche nel senso che la gentilezza è la via. La via per stare al mondo e per contribuire nel pro prio piccolo a renderlo un po’ miglio re. Dare l’esempio, fare ogni giorno piccole scelte coraggiose, di cura e di attenzione, come i vari protagonisti della storia. Si comincia al mattino, mentre la città si sveglia: la prima in ordine di apparizione è una ragazza che ha perso il suo cane e affigge vo lantini per ritrovarlo. La sua tristez za non la rende però cieca agli altri e le fa compiere un gesto di gentilez za nei confronti di un passante, che a sua volta farà lo stesso con un’altra persona, e così via, la gentilezza si propaga come un’onda. Di volta in volta qualcuno (sempre evidenziato da un particolare rosso, l’ombrello, gli occhiali, le scarpe, la mela…) si staglia dal contesto ano nimo della città, si ribella all’indif ferenza, e fa un gesto gentile. Non c’è bisogno di fare cose plateali, so no sempre piccoli gesti, come offrire riparo sotto l’ombrello, cedere il po sto sul tram, fino a magari… ritrova re un cane.
di Letizia Bolzani ● Sara Pennypacker Pax, illustrazioni di Jon Klassen, Rizzoli. (Da 11 anni) Marta BartoljVia della gentilezza Edizioni Terre Di Mezzo. (Da 5 anni)
Comportamenti ◆ Nella quotidianità ci muoviamo e prendiamo decisioni nella maggior parte dei casi facendo ricorso a quella che Herbert Simon ha definito «razionalità limitata»I nostri comportamenti non sono solo o razionali o impulsivi perché le decisioni che prendiamo non dipendono solo dalla rigorosità del ragionamento ma anche dalla fondatezza e completezza delle premesse. (Shutterstock)
Progetti innovativi e spirito identitario
Nicola MazziLa Vallemaggia è da tempo una re gione molto attiva e da qualche anno può contare per la sua parte alta an che su un «acceleratore». Grazie al ma sterplan focalizzato su questa regione i progetti per valorizzarla e per render la più attrattiva agli occhi dei residenti e dei turisti sono aumentati in modo importante. Con Christian Ferrari e Timo Cadlolo (responsabile dell’An tenna valmaggese dell’Ente Regionale di Sviluppo e rispettivamente coordi natore del masterplan) abbiamo voluto approfondire la vitalità vallerana e so prattutto capire quali i progetti finora realizzati e quali sono ancora in corso.
Per comprendere meglio il tutto è utile fare un passo indietro. Il primo gennaio 2008 entrò in vigore la Nuova Politica Regionale (oggi chiamata Po litica economica regionale) per sostitu ire la vecchia Legge federale sull’aiuto agli investimenti nelle regioni monta ne (LIM). Tra il 2012 e il 2015, il Can tone allestì una serie di studi volti al riposizionamento delle zone periferi che. Queste ultime hanno poi allesti to un proprio piano di sviluppo loca le: i masterplan appunto. Strumenti che sarebbero serviti nella seconda fa se (2016-2030), quella pianificatoria e realizzativa. «In quel periodo – spie gano Ferrari e Cadlolo – è stata fatta un’analisi del Ticino per identificare le zone con un potenziale inespresso. Tra le regioni periferiche identificate c’era anche l’Alta Vallemaggia che com
prende i Comuni di Cevio, Lavizza ra, Linescio, Cerentino, Campo Val lemaggia e Bosco Gurin. Ecco perché fu dato mandato di sviluppare un ma sterplan ad hoc». I nostri interlocutori – che oltre all’ERS fanno riferimento alla Fondazione Vallemaggia Territo rio Vivo istituita dall’Associazione dei Comuni della Vallemaggia – aggiun gono: «Proprio nei mesi scorsi è stato rinnovato il masterplan per i prossi mi quattro anni ed è stato aggiornato il piano di sviluppo». Lo strumento si basa sempre sugli assi strategici origi nari: Turismo, Vivere in Valle e Terri torio. «Tre indirizzi che si esplicitano in una maggiore offerta turistica, nel la creazione di posti di lavoro e nella valorizzazione del paesaggio, oltre al consolidamento dei servizi, delle in frastrutture presenti e al rafforzamen to dello spirito identitario».
Venendo ai numeri del primo qua driennio (2018-2022) Ferrari e Cadlo lo ci dicono che grazie anche all’aiuto dell’ufficio che coordinano sono stati realizzati 26 progetti con un investi mento complessivo di quasi 9 milioni di franchi. Iniziative più o meno im portanti che hanno influito in modo concreto sulla regione (www.invalle maggia.ch/progetti). Per esempio, è stata ampliata la Via Alta Vallemaggia, destinata agli escursionisti, dai 55 km originari agli oltre 200 km attuali. A Bosco Gurin sono partiti i progetti per destagionalizzare la destinazione turi
stica e renderla attraente anche nei me si più caldi grazie ad alcuni interventi e alla creazione di una slittovia. A Ce vio un’associazione locale di sole don ne ha promosso un’iniziativa impren ditoriale creando il negozio Val Magìa che oggi è diventato un punto centrale per la valle e una vetrina di prodotti lo cali. È anche stato creato il Centro ac coglienza Sambuco (il Grottino Lago Sambuco) grazie a un’iniziativa priva ta. Sempre in zona è stata inaugurata l’arrampicata della diga del Sambuco. In Valle Bavona, grazie alla Fondazio ne omonima, è stato aperto il Rifugio del paesaggio, che servirà da base logi stica per i volontari che si dedicano al territorio e che viene messo a disposi zione anche delle scuole e dei gruppi di
pensionati che frequentano la regione. Altre iniziative hanno toccato il mon do del lavoro: «Abbiamo aiutato alcuni imprenditori. A Peccia un giovane ha creato un atelier del cuoio e realizza, tra i diversi oggetti, i supporti per i ca ni guida. Un altro progetto realizzato è il birrificio a Bosco Gurin, promos so dal titolare della panetteria del pa ese. Un terzo esempio concreto è stata la nascita della Ufra Print di Bigna sco, specializzata nella stampa digitale di indumenti. Tre belle iniziative pro mosse da giovani valmaggesi».
Il nuovo masterplan (2022-2026) approvato pochi mesi or sono, ha man tenuto le linee direttive e il lavoro vie ne svolto nella continuità di quanto realizzato finora. «Lo scorso autun
no abbiamo coinvolto i diversi attori attivi sul territorio chiedendo loro se avessero nuove iniziative da propor re. Ne abbiamo ricevute 107 e dopo un’attenta selezione ne abbiamo indi viduate 49 da realizzare in modo pri oritario nel nuovo quadriennio». Per quel che riguarda i progetti innovativi, uno dei più importanti riguarda la ri organizzazione dei parcheggi per auto e camper. «Una nuova gestione della viabilità che abbiamo ripreso da quella realizzata in Valle Verzasca. Vogliamo generare valore aggiunto a livello lo cale e gestire meglio il flusso dei turi sti e di chi viene in Valle per il tempo libero, offrendo loro un miglior servi zio viario. Una pianificazione a livello distrettuale che si svilupperà nei pros simi anni». Un’ultima, recente, novità riguarda la creazione di un nuovo fon do. All’interno del nuovo quadriennio è stato inserito un nuovo credito de nominato Fondo stimolo alla proget tualità. «La Fondazione Vallemaggia territorio vivo gestisce un capitale di due milioni di franchi che viene usa to per progetti di sviluppo territoria le. Il Consiglio di Fondazione ha deci so di destinare parte di quel capitale e cioè 100mila franchi (da usare sull’arco di 10 anni) per aiutare chi ha idee im prenditoriali interessanti».
Il tutto a confermare la vivacità di un territorio che sta conoscendo uno sviluppo interessante e da tenere d’oc chio anche nei prossimi anni.
Le pile usate devono essere riconsegnate al punto di vendita! Annuncio pubblicitario Christian Ferrari e Timo Cadlolo nei boschi di Lodano. (foto Ketteler)nutrimento degli dei
Anche Calluna Vulgaris, della famiglia botanica delle Ericaceae, nota a tutti con il nome di Brugo, in questo diffi cile anno ha sofferto la siccità, poten do regalarci la sua bellissima fioritura soltanto a settembre, anziché nel mese di agosto come sempre era stato. Asso miglia molto all’erica, tanto che alcuni erroneamente la chiamano erica selva tica, ma così non è.
Pianta spontanea, forte e selvaggia, il Brugo è tipico dei suoli calcarei for temente acidificati; cresce fino a 1200 mslm per l’appunto nelle brughiere, presso i boschi di conifere o in altri luoghi adatti a lei, nella forma di ce spugli che si allargano spontanei sul la superficie del terreno. Si presenta con minuscole foglie aghiformi e nu merosissimi fiorellini (raggruppati tra loro e stretti ai rami) dall’inconfon dibile delicata tonalità, tra il rosa e il tenue viola.
Il nome Calluna deriva dal greco «kallynein» che significa «pulire», e a tal proposito alcuni ricordano ancora come i suoi rami erano utilizzati per la confezione di piccole scope. Per la medesima ragione, uno dei suoi molti nomi popolari è Scopetta, mentre altri si rifanno ai luoghi in cui cresce, come Erba brughiera.
Nel Medioevo la pianta era impie gata per sciogliere i calcoli renali e ve scicali, con il tempo perse un poco del la sua popolarità ma ancora oggi nella medicina popolare si usano le cime
fiorite di Calluna Vulgaris, raccolte da agosto a ottobre, per contrastare le af fezioni urinarie (contengono arbutina) e intestinali, inoltre influenzano posi tivamente la vescica e i reni; ha quin di proprietà diuretiche, astringenti e antibatteriche. Per questo si pone tra i rimedi naturali per la cistite, ed è in dicata contro la ritenzione idrica; in verità, sono molte le piante medicinali che generano questa stessa azione diu retica, ad esempio la Betulla, l’Uva ur sina, il Carciofo, la Spirea olmaria, il Corbezzolo, il Prezzemolo, l’Ortica e la Gramigna, ognuna agisce sull’orga nismo con differenti modalità a dipen denza dei principi attivi che contiene.
La pianta ha pure proprietà blanda mente sedative e può essere usata per conciliare il sonno: un decotto si pre para facendo bollire per 10 minuti 1,5 gr di fiori in una tazza di acqua fred da. Il Brugo viene venduto in forma di gemmoderivato ma, localmente, si usa per combattere le infiammazioni del la mucosa orale, e nella sua forma di impacchi per uso esterno, cura le in fiammazioni cutanee. A tal proposito – e sempre avvertendo, come facciamo ogni volta, di non curarsi mai con le piante senza prima consultare un me dico – possiamo riportare qui un vec chio rimedio, indicato per chi soffre di acne, dato che potrebbe rivelarsi uti le ancora oggi: fate macerare 100 gr di fiori freschi di Brugo in mezzo litro di olio di oliva per almeno otto giorni,
Una gara? Non sia mai!
Ascona-Locarno Run ◆ Un sacco di buoni motivi per andare a correre
poi con un batuffolo di ovatta imbe vuto di questo olio, due volte al gior no, premete delicatamente i punti cri tici dei foruncoli del viso non ancora aperti (conservate quest’olio in un reci piente ben chiuso al riparo della luce).
Il nettare dei fiori del Brugo è mol to amato dalle api, pare che cibando sene si salvino la vita perché contiene un antidoto contro un pericoloso pa rassita per loro nocivo. Peraltro, il mie le di Brugo è profumatissimo, ha un colore unico con ambrati riflessi rossi e arancioni, ha proprietà antireumati che, diuretiche e disinfettanti delle vie
urinarie, oltre ad essere un ottimo flu idificante nelle forme più fastidiose di tosse; è pure apprezzato in cucina dove viene servito abbinato ai formaggi sta gionati e piccanti, giacché li rende par ticolarmente sfiziosi.
Il Brugo è un fiore famoso in Sco zia, (Heather): in estate le colline delle Highlands si colorano di grandi diste se fiorite di questi piccoli fiori che si declinano dal bianco al rosa al viola, che fanno apparire le brughiere come grandi laghi o mari di fiori. Qui, all’e poca della fioritura del Brugo, mol ti alveari sono portati nella brughie
ra perché il miele che le api ricavano dall’abbondante nettare dei fiori è di eccellente qualità e definito niente meno che «nutrimento degli dei». Un miele che era conosciuto già da Plinio; lo chiamava «miele ericeo».
Non da ultimo, con il Brugo si con fezionavano materassi conosciuti come «letti d’Erica» (sempre a causa di una confusione che parte da lontano: le due specie all’epoca erano infatti accumu nate da un medesimo genere, che ven ne poi separato in seguito). Giudicati in grado di restituire le forze a chi vi si coricava, nelle leggende celtiche mol ti giovani amanti usavano questi letti durante i loro incontri amorosi, ed era pure abitudine regalare fiori di Bru go a forma di cappello d’elfo come pe gno di amore.
Sempre i Celti ritenevano che le qualità magiche di questo arbusto era no in grado di addolcire il carattere delle persone più ostinate, ma anche di stimolare lo sviluppo e la pratica delle volontà e della perseveranza per rag giungere obbiettivi prefissati. L’incan tevole e libero Brugo era, ed è anche oggi, considerato un simbolo di buo na fortuna, portatore di passionalità, amore, affetto, compagnia e capacità di salvaguardare i segreti.
Bibliografia Gabriele Peroni, Trattato di Fitoterapia Driope Nuova Ipsa editrice.
Dicono che chi comincia a correre non possa poi più farne a meno. Chi corre trova benefici fisici e mentali, amicizie e nuovi punti di vista. Il problema, si sa, non è tanto iniziare, ma persevera re. Come sempre anche questa edizio ne della Ascona-Locarno Run si ri volge ai corridori esperti che sui suoi tracciati disegnati da professionisti e omologati da Swiss Athletics (10 km e mezza maratona) cercano il record personale o l’assegnazione del titolo di campione ticinese assoluto FTAL, ma anche a chi con la corsa ha un rap porto più semplice.
Il 15 e 16 ottobre, partendo da Piazza Grande, ce ne sarà per tutti. La corsa dei bambini, i 10 km di cam minata e camminata nordica da far si anche in famiglia, la 5 km al tra monto (per romantici ma non solo), la 10 km e la mezza maratona per chi fa sul serio.
Sono molti i buoni motivi per par tecipare e passare dei bei momenti insieme trovando la motivazione per
correre anche in futuro. Oltre a un ri cordo indimenticabile da condivide re con gli amici, vi saranno anche le foto e il personalissimo breve video che Migros e SportXX realizzeran no durante l’impresa (24 ore dopo la corsa dal sito www.migros-impuls. ch/corse-popolari). Senza contare gli sconti per i bagni termali, in alcuni hotel, il viaggio in treno gratuito da tutta la Svizzera e… affinché la cor sa sia green, nessuna distribuzione di bottigliette in PET e pacco gara sen za imballaggi di plastica. Senza con tare che si corre in una delle regioni più belle della Svizzera, con paesaggi mozzafiato.
Ascona-Locarno Run, 15-16 ottobre 2022. Per informazioni: www.ascona-locarno-run.ch
Concorso
«Azione» mette in palio 5 iscrizio ni per una gara a scelta all’interno dell’Ascona-Locarno Run. Per par tecipare all’estrazione inviare una mail a giochi@azione.ch (oggetto: «Ascona-Locarno Run») indicando dati personali, data di nascita e mail entro domenica 9 ottobre 2022. I vincitori riceveranno un link dove potersi iscrivere personalmente.
Annuncio pubblicitario Eliana BernasconiDove lo scalpitìo degli zoccoli si fa sentire
Maria Grazia BulettiTra le novità, all’11esima Giornata del cavallo prevista per sabato 22 ottobre si potrà anche seguire un percorso di dattico e partecipare a un quiz a premi.
In Svizzera si contano 112’540 equi di, tra i quali 30mila cavalli che af fiancano l’uomo nelle attività equestri sportive (dati 2021). In Ticino la Fe derazione ticinese sport equestri (Ft se) raggruppa 545 cavalieri e amazzo ni, suddivisi in 22 circoli. «Il nostro sodalizio rappresenta il mondo del cavallo impegnandosi profondamen te per la difesa della cultura equestre nel Cantone e in Mesolcina, attraverso la promozione delle attività connesse all’uso e alla conoscenza di questi ani mali che, non ci stancheremo mai di ripeterlo, appartengono al nostro ter ritorio rurale da sempre». A parlare è la presidente della Ftse Ester Campo novo che, ricordando la Federazione svizzera sport equestri (Fsse) a cui fa capo la sezione ticinese, sottolinea co me la Svizzera sia «una Nazione in cui lo scalpitio degli zoccoli si fa sentire».
Tale terreno fertile funge da prelu dio alla Giornata del cavallo il cui mot to quest’anno è interrogativo: « Cono sci davvero Tutto del cavallo?», e mira ad accendere i riflettori su natura e bi sogni di questo animale del quale, chi più chi meno, tutti subiamo il grande fascino. «Sabato parecchie scuderie del canton Ticino apriranno le loro por te, proponendo una giornata di visita, divertimento e conoscenza del mon do equestre», così ne riassume il senso
Elisabetta Garobbio, segretaria del so dalizio che riporta nelle pagine del sito (www.equiticino.ch) la lista completa delle strutture equestri aderenti all’e vento, da tempo consolidato appunta mento annuale.
«Come sempre, sarà proposto con bello o brutto tempo, perché questi animali necessitano ogni giorno di ac cudimento, movimento e contatto con l’uomo». Alla domanda se oggi non ri sulti anacronistica la presenza del ca vallo nella nostra società, la presidente Camponovo risponde risoluta attin gendo alla storia: «In un mondo che dimostra sempre più il desiderio di ri tornare alla natura, non va dimenticato che il cavallo valorizza il territorio ru rale a cui appartiene, considerato che la sua presenza può portare un contribu to molto positivo al paesaggio».
La nostra interlocutrice spiega di ri ferirsi all’inestimabile valore aggiunto grazie in particolare alla preservazio ne e alla bellezza della natura: «Pro prio in ragione di ciò, appare evidente che la società moderna rischia di per dere quella conoscenza rappresentata dall’enorme patrimonio culturale del mondo equestre e dei suoi cavalli; ed è proprio quello che vorremmo evitare, avvicinando le persone affinché possa no scoprire tutta la ricchezza che per mea proprio questo ambito con i suoi bellissimi equini».
Durante la giornata dedicata, la Ft se vuole amplificare il suo lavoro a fa vore della diffusione della conoscenza
dei cavalli: «Sarà l’occasione per porre l’accento sul nostro impegno costante nella divulgazione dei concetti di vita, esigenze e habitat, e allo stesso tem po difendendone la natura, favorendo dialogo e tolleranza tra mondo eque stre e tutti gli altri utenti del nostro territorio». Una giornata che si prefig ge di mostrare altresì la varietà delle attività sportive che si possono prati care coi cavalli, e tutte quelle altre oc cupazioni che li accomunano all’uomo.
Garobbio ricorda che durante la manifestazione si potrà cogliere l’op portunità di «toccare con mano la vi ta delle scuderie della Svizzera italia na che accoglieranno i visitatori con un ventaglio eterogeneo di proposte, per
tutti i gusti e per tutte le età. Non di mentichiamo che stiamo parlando di un animale da studiare a tutto tondo, che dietro alla sua potenza simbolica e al fascino che sprigiona cela biso gni di cura e mantenimento puntuali e rigorosi».
Ecco che in quest’ottica l’edizione di quest’anno sviluppa un’impronta di dattica e pedagogica, spiega Campo novo: «La Ftse vuole coinvolgere alcu ne classi delle sedi scolastiche ticinesi vicine a scuderie e centri equestri; a chi vorrà aderire, proporremo un iti nerario didattico dedicato al cavallo, da sviluppare in classe in preparazione e in avvicinamento a questa giornata».
Carolina Reichlin è membro del
comitato Ftse e a lei sono affidate cu ra, supervisione e promozione dell’i niziativa a sfondo didattico che per la prima volta vedrà la luce nell’ambi to di questo evento ormai più che de cennale: «La scelta dei temi è grande e si estende dalla scienza alla lettera tura, dalla storia alla geografia, of frendo parecchie possibilità di studio e conoscenza».
Uno studio che, spiega la respon sabile, «sarà ampiamente ripagato, poiché ad attendere i partecipanti ci sarà un concorso finale con doman de e curiosità sul cavallo, sotto forma di gioco a premi, a ricompensare le ri sposte corrette nella materia equestre studiata». L’invito non è aperto sola mente agli allievi e alle loro famiglie, ribadisce la presidente: «La Giornata del cavallo è un appuntamento vota to ad avvicinare tutta la popolazione alle scuderie della Svizzera italiana, le quali aprono le proprie porte con l’au spicio che tutti possano avere occasio ne di scoprire, e meglio comprendere, i cavalli».
Fra le tante curiosità, si potrà dare risposta a quanti milioni di anni or so no risale l’antenato del cavallo (Echip pus) e a quanto era grande (e parliamo di centimetri!); si imparerà come si è evoluto il suo impiego a fianco dell’uo mo nel tempo, fino alle curiosità circa quanti litri beve un cavallo in un gior no e quanti chilometri percorre in li bertà. «Ce ne sarà per tutti i gusti», conclude Camponovo.
Caffè Chicco d'Oro è in vendita alla tua Migros Annuncio pubblicitario Giornata del cavallo, un’iniziativa didattica offrirà nozioni di scienza, letteratura, storia e geografiaL’altropologo
Afrothecno per gli antenati
Non ho mai capito di preciso cosa sia quello che i siti ufficiali chiamano jen tigi, Festival di Fuoco, e la gente di et nia Gur-Grushi con la quale lavoro da quarant’anni chiama jimbente. Non so bene in primo luogo nemmeno quan do cada, nel senso che essendo il primo mese del calendario islamico, ed essen do il medesimo un calendario lunare, la data varia di anno in anno a parti re dall’ottavo giorno della Luna Nuo va del mese di… E qui, almeno nel Nord del Ghana, cominciano i guai. In mancanza di un’autorità centrale che dia il via ai festeggiamenti, ogni distretto del Nord del Ghana si arran gia come può a partire dalle direttive – chiamiamole così in regimi festiva lieri ad ampia autonomia – che vengo no dalle moschee principali di ciascun circondario, anche se poi ciascun vil laggio fa quello che gli pare. Quel che è certo è che jimbente equivale al no
stro Capodanno, coincide grossomodo con l’inizio della stagione delle piogge e del nuovo raccolto. Il quadro è com plicato ulteriormente dalla sovrappo sizione delle versioni islamiche «orto dosse» del significato della festa e della lettura che invece propongono gli in terpreti «pagani» che ancora aderisco no a quello che, con tutta probabilità, ne era il significato originale. Per gli Uni si tratta della celebrazione del ri trovamento nottetempo sotto un albe ro dei figli di un sultano che si ritene va fossero stati rapiti dagli Spiriti della Foresta, per gli Altri – gli Infedeli – si tratta di una festa del Ringraziamento agli Antenati per gli ignami, le nuove piogge e il raccolto a venire. La cifra dunque, per l’Altropologo, delle strati ficazioni culturali in una regione dove l’Islam è divenuto religione dominan te senza però mai scalzare del tutto le tradizioni precedenti. Di fatto, l’inizio
La stanza del dialogo
Un’estate indimenticabile
Cara Silvia, le sto scrivendo una lettera ben sapen do chissà quante ne ha ricevute, ne gli anni, simili alla mia. In un certo senso conosco già quello che mi rispon derà eppure attendo con ansia di leg gere la prossima «Stanza del dialo go» perché le parole (dette e scritte) sono l’unico farmaco per il mio dolore. Quest’estate mi sono trattenuta al mare più del solito perché, conclusa la maturi tà, per la prima volta non avevo nessun impegno di studio. Ed è lì che ho cono sciuto lui, Guido, un ragazzo un po’ più grande di me, timido e solitario anche se corteggiato da tutte. Non mi sembrava vero che lui avesse scelto me, altrettanto timida e solitaria. È stato amore a prima vista con tutto il corredo romantico che lo accompagna: baci da capogiro, bagni al chiar di luna, giri in bicicletta, scam bio di piccoli regali, confidenze sul passa to e sul futuro forse sogni. Tornati a ca sa (300 km di distanza) incominciamo
una relazione a distanza in cui credevo molto e mi getto a capofitto. Partiamo alla grande con lettere, foto, video, au diomessaggi… Ma lui tarda man mano a rispondere (dice che è molto impegna to) finché confessa che mi ama ancora, che mi amerà sempre ma non se la sente di impegnarsi e non vuole farmi soffrire… Ieri, dopo ventidue giorni si fa vivo per chiedermi come sto. Ma come vuole che stia!! Gli devo rispondere? /Cristina
Cara Cristina, hai ragione è una storia vecchia come il mondo. Gli amori estivi svaniscono con l’abbronzatura ed è meglio ripor li nel cassetto dei ricordi. Col passar del tempo e il venir meno della giovi nezza, diventano sempre più piacevo li ma in un primo momento feriscono come una scottatura che brucia. E hai ragione: le parole cercano di coprire le ferite come un unguento lenitivo. Suppongo che, mentre stavate viven
La nutrizionista
Il piccante che fa bene
Buongiorno Laura, le scrivo perché da qualche tempo mi stanno assillando su una mia abitudine alimentare e quindi ho deciso di chiedere a lei un parere: amo il cibo piccante, aggiungo il peperoncino in quasi tutti i pasti che consumo. Lo amo così tanto che col tempo sto consumando preparazioni sempre più piccanti, sebbene – in base a cosa cucino – mi piace poi cam biare le qualità: dal classico Peperoncino di Cayenna all’Habanero Chocolate o al Carolina Reaper, che coltivo a casa per ché non li trovo in commercio e sono mol to piccanti. Da quando però ho iniziato a regalarli perché ne produco veramente tanti, i miei amici che lo hanno assaggia to si sono detti preoccupati per la mia sa lute perché a dir loro sono troppo piccanti, praticamente immangiabili. Ma è vero che possono fare male? Mi dicono che por tano gastriti, ulcere eccetera. Hanno in vece dei benefici? / Giulia
Gentile Giulia, vedo che è proprio un’appassionata del genere. Io mi so
no documentata in merito perché, an che se mi piace il sapore piccante in alcune tipologie di piatti, non cono sco tutte le specie di peperoncini né le differenze tra di esse. Prima di ri spondere alle sue domande desidero quindi fare una breve premessa per introdurre questo mondo colorato e vivace, a beneficio anche degli al tri lettori.
I peperoncini appartengono alla fa miglia delle Solanacee (o Belladonna), che comprende anche pomodori, me lanzane e patate. Il sapore piccante è dovuto a un composto chimico chia mato capsaicina. La scala di Scoville è l’ordine di misura della piccantezza che è direttamente correlata alla cap saicina: maggiore è il numero, mag giore è la concentrazione di capsaici na. Il peperoncino di Cayenna è un tipo di peperoncino che ha un sapore moderatamente piccante, tra le 30mi la e le 50mila unità nella scala Sco ville. Il Peperoncino Habanero e il
dei tre giorni di festa è dato dai roghi coi quali si cerca di incendiare l’albe ro colpevole del rapimento – gesto al quale tutti partecipano senza che quasi nessuno possa fornirne una spiegazio ne coerente: la formidabile peteshi che scorre a fiumi offusca ogni tentativo di chiarimento. Sono le tre di notte. Mi sono ritirato sotto la zanzariera nella corte della casa che mi ospita, sfinito da una giornata intensa e sfiancato da una dose massiccia di un antimalari co cinese che dicono faccia miracoli. La mente va a quarant’anni fa, la mia Prima Volta in Africa. Allora jimbente era un evento gentile, quasi commo vente. I giovani avevano preparato per giorni i costumi delle danze, le ragaz ze i loro vestiti più belli. Io dormivo sul tetto piatto della casa di fango sotto la zanzariera: la sinfonia dei tamburi mi giungeva dalla piazza centrale del vil laggio sulle ali della brezza notturna
ed era poesia: bello rannicchiarsi nella coperta ed ascoltare – come un dialo go – i versi delle iene dalle colline im bricarsi al ritmo delle percussioni. So no cambiati i tempi e/o sono cambiato io? Oggi mi tocca dormire nel cortile, sul pavimento, anche se so che cani, capre e ogni tanto pure i maiali entre ranno (porte e cancelli un tempo accu ratamente chiusi di notte non esistono più) ad annusare cosa si nasconde sot to la zanzariera. Impossibile appender la all’interno della stanza che mi è sta ta assegnata: l’architettura tradizionale in fango essiccato è totalmente spari ta. Baracche dai muri di cemento e tet to di lamiera – malsane, soffocanti ma eterne – le hanno sostituite ovunque. Lo stile è inconfondibile: Cina. Fuori è il caos. Le danze al ritmo delle per cussioni sono durate poco più di un’ora come preludio ai falò rituali che si sono ridotti al lancio svogliato di poche fra
sche per poi passare al pezzo forte del la serata. Piovuto da qualche parte (ma da dove? Chi lo ha portato? Chi lo ha pagato? Come viene alimentato?) ap pare sulla piazza centrale una sorta di totem da Duemilauno Odissea (o forse concerto di Jovanotti). Scassato, rauco, sbrecciato e impallato spara, ruggisce, vomita chilotoni di decibel nella forma di una pista Afrotechno Made in Gha na che mi diranno essere di gran moda: e tutto dentro una chiavetta USB che Dio solo sa dove la infilino. Mi trasci no dal mio giaciglio perché devo vede re, documentare, prendere appunti. Le ragazze sono chiuse in casa da un pez zo. Restano i giovani maschi. Ubria chi. Pochi in piedi. C’è chi inciampa e cade a terra. Attacca il track clou della nottata: venti minuti di moto che sgas sano tutte assieme: vruumm, vruumm, vruumm… Rientro e collasso anch’io dentro la zanzariera: la febbre è ora alta.
do il vostro breve amore, non abbiate avuto bisogno di tante dichiarazioni. Al primo bacio si addice il silenzio. Ci si avvicina, ci si tocca, ci si abbraccia, i corpi parlano da soli. Dopo invece, quando cala il sipario, si tenta di chia rire, di spiegarsi, di giustificarsi, for se per mantenere un estremo filo di contatto.
Mi chiedi se rispondere a quel «come stai?» sia opportuno o no. Vedi tu, se ti fa piacere… ma credo che non servirà a niente se non a prolungare l’agonia di un amore già spento. Un tempo le fanciulle abbandonate scrivevano un diario e lo riponevano, come un se greto, in uno scrigno chiuso a chia ve. Ora sappiamo che abbiamo biso gno di comunicare pensieri e parole e che, solo condividendoli, riusciamo davvero a comprenderli. Nel reperto rio degli addii ci sono tante frasi fatte («non sono degno di te»; «ti amo trop po»; «prendiamoci una fase di rifles
sione») ma il senso è uno solo: la nostra storia è finita.
Temi che una conclusione così net ta finisca per distruggere l’incanto dell’innamoramento e che il sospetto dell’inganno trasformi Guido, che re sterà sempre il «primo amore», in un odioso traditore. Ma non è così che vanno le cose. Se sei tornata dalle va canze volando nel cielo blu significa che hai vissuto una bella esperienza, che lo scambio era reciproco. La felici tà non mente anche quando non dura.
In fondo, scrivendoti che non se la sente di impegnarsi, Guido afferma una realtà che vale anche per te. Sie te così giovani! E così lontani! Non per questo sconfessa di averti amata.
Quando ci si «sgancia» da una per sona che è stata importante per noi è difficile trovare parole adeguate ma è meglio essere franchi e risoluti che av voltolarsi in un gomitolo di illusioni e delusioni.
Spetta ora a te prendere le distanze da quella che resterà un’estate indimen ticabile e raccontartela conservando l’incanto di allora senza appannarlo con sospetti e tormenti.
I sentimenti che abbiamo vissuto, le emozioni che ci hanno fatto battere il cuore, rimangono, anche quando non ci sono più, nello scrigno della memo ria, il più prezioso che abbiamo. So lo così potrete, entrambi, inoltrarvi con leggerezza vigile nel futuro che vi attende ove troverete, ne sono certa, la persona giusta per costruire, senza rancori e rimpianti, una vita insieme.
Informazioni
Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a:
La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6901
Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch
Carolina Reaper invece sono tra le va rietà più piccanti e misurano il primo da 100mila a 500mila unità di Scovil le mentre il secondo addirittura da 2 milioni a 2,2 milioni.
Detto ciò, per rispondere alle sue do mande, le dico che la capsaicina, oltre che a dare il sapore, potrebbe offrire molti benefici alla nostra salute, dato che le sono state riscontrate proprietà anti infiammatorie benefiche per il cuore; sembra avere un ruolo nella perdita di peso aumentando il meta bolismo e togliendo l’appetito; aiuta a controllare il dolore; e parrebbe persi no in grado di combattere alcuni tipi di cancro. Ma attenzione: si tratta di studi su integratori di capsaicina fatti in vitro o in provetta molto promet tenti, certo, sebbene tuttavia siano ne cessarie altre ricerche in merito. C’è anche da ribadire che questa so stanza non è per tutti, alcuni sono più sensibili ai suoi effetti rispetto ad al tri e molti sperimenteranno spiacevo
li effetti collaterali, soprattutto se non sono abituati al bruciore che provoca. Tra questi è possibile avere nausea e vomito, diarrea, bruciore di stomaco e reflusso gastrico.
Oltre alla capsaicina, i peperoncini contengono altri composti benefici, tra cui vitamina C, provitamina A, sostanze nutritive come B6, vitami na K, potassio e magnesio, oltre che carotenoidi e flavonoidi. Seguire una dieta ricca di cibi pieni di nutrienti e antiossidanti come lo sono i pepe roncini potrebbe aiutare a promuo vere una salute ottimale e aumentare le difese antiossidanti del corpo pro teggendoci da alcune malattie e aiu tandoci a prolungare la vita. Alcune ricerche più mirate dimostrano in fatti che il peperoncino di Cayenna e l’Habanero Chocolate sono utili con tro le malattie cardiache, abbassando la pressione e diminuendo i valori di colesterolo nel sangue. Questi risultati sono incoraggianti ma
non significa che mangiare un pepe roncino ogni giorno ci proteggerà dallo sviluppo di malattie croniche. Significa semplicemente che alcuni studi hanno trovato associazioni tra il consumo di peperoncino e alcuni po tenziali benefici per la salute. Per mi gliorare la nostra salute, il percorso è un pochino più complesso: è meglio esaminare la propria dieta in generale invece di concentrarci su un singolo alimento, come il peperoncino. In ge nerale mangiare più frutta e verdura, dormire a sufficienza, ridurre lo stress e fare attività fisica regolare sono mol to più importanti per proteggere la sa lute rispetto all’aggiunta di un parti colare alimento nella dieta.
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Avete domande su alimentazione e nutrizione?
Laura Botticelli, dietista ASDD, vi risponderà. Scrivete a lanutrizionista@azione.ch
di Laura Botticelli di Cesare Poppi di Silvia Vegetti FinziTEMPO LIBERO
Così è la Serranía de Ronda Canyon profondi, boschi di lecci, distese di uliveti e una manciata di pueblos blancos
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Dalla laguna all’alto Adriatico Oltre 200 Km da Venezia a Trieste, da Chioggia a Muggia, sempre di fronte al mare
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Un piatto semplice e veloce Così si impressionano gli ospiti con pochi ingredienti: pasta, broccoli, pinoli, sardine e aglio
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Il seme della storia fitologica
Videogiochi
Colorato, divertente e pieno di humor: Splatoon 3 segna il ritorno dei molluschi sparainchiostro
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Universo pianta ◆ A Padova si trova l’Orto botanico più antico del mondo, patrimonio dell’umanità dell’Unesco
Manuela Mazzi, testo e foto«La storia è un seme». È questo l’in cipit del bel libro Hortus Mirabilis. Alla scoperta del più antico orto bota nico del mondo (Mondadori Electa / Rizzoli illustrati, 2017, edizione spe ciale per l’Università di Padova). Pa trimonio dell’umanità dell’Unesco esattamente da venticinque anni, lungo gli antichi sentieri che percor rono questo parco di plurime colture si trovano piante acquatiche, offici nali, velenose, rare, di roccia alpina e mediterranee, di spiaggia e di barena, da clima arido, e di specie tropicali. Venticinque anni sono però una qui squilia se si considera la nascita del progetto che risale ad ancor prima del 1545, anno in cui il Senato venezia no istituì l’Orto dei Semplici a uso dell’Università di Padova.
Se è vero che la storia è il seme, di fatto, quello dell’Orto Botanico fu piantato 490 anni or sono: cor reva il 1533, quando il medico e bo tanico Francesco Bonafede fu inca ricato, sempre dal senato veneto, di sedere alla cattedra di Lectura Sim plicium (Lettura dei Semplici), mate ria dedicata a una delle due categorie di medicamenti che all’epoca erano in voga. Dal latino simplex, s’inten deva per l’appunto lo studio di quel le medicine semplici che si trovano in natura. Ma si sa, un conto è la teo ria, un conto è la pratica. Da qui la necessità e la conseguente creazione dell’Orto dei Semplici, che fu realiz zato a partire da quel che era origi nariamente l’Orto dei Monaci (pre cedenti proprietari).
Orgoglio e vanto del parco, nei pressi della porta nord, si trova la nota Palma di San Pietro che ispirò le Metamorfosi di Goethe
L’area riservata alle piante medicinali può essere ancora oggi ammirata nel la parte centrale dell’insieme archi tettonico, sui due lati della Porta est, ai margini interni circolari (così sono le mura principali) che racchiudono un campo suddiviso in quattro pic coli quadrati di terra.
«Il quattro – leggiamo a pagina 97 del libro – richiama una complessa e antica simbologia. Durante il Me dioevo, in Europa, veniva considera to un numero magico: quattro sono le stagioni, i punti cardinali, le fasi della Luna e i venti principali» e, ag giungiamo noi, quattro sono anche le porte d’accesso ricavate nella cinta murata, quasi come l’invito a entra re in un labirinto, che labirinto non è. In merito al numero quattro pro segue la descrizione, ma noi ci fer miamo qui in quanto siamo più inte ressati all’aspetto botanico che non a quello geometrico e simbolico.
A far compagnia alle piante me
dicinali, si trovano, a ovest, le pian te rare e minacciate di estinzione, e in particolare quelle incluse nelle li ste rosse; sempre a ovest, ma poco più verso il centro, si trovano inve ce le piante velenose: tossiche in ge nerale, ma a volte persino mortali; si può leggerne il grado di pericolosi tà sul cartellino; piante presumibil mente già presenti in origine. È del 1750 invece, il Ginkgo Biloba che troneggia nel cuore del parco bota nico, con la Magnolia grandiflora del 1786 (uno degli esemplari più antichi d’Europa).
Orgoglio e vanto del parco, nei pressi della porta nord, è la famo sissima Palma di Goethe (nella fo
to). Famosa, perché si dice che fu anch’essa di ispirazione per il poe ta tedesco quando scrisse la sua te oria naturalistica ne La metamorfo si delle piante. Quella in questione è una Palma di San Pietro (Chamae rops humilis) anche detta Palma na na, sebbene l’esemplare qui presen te raggiunga addirittura gli undici metri: fa impressione guardarla dal basso verso l’alto. Pur essendo con servata, o meglio coltivata, in uno stretto e vertiginoso ambiente vetra to, una serra esagonale con la cupola posta in capo, è infatti possibile arri varle molto vicino. È al momento la pianta più vecchia esistente del parco, dato che la sua messa a dimora risa
le al 1585. E aveva già duecento an ni, quando Wolfang Goethe la vide per la prima volta: era il 27 settembre del 1786: «Entrando nell’orto botani co di Padova – scrisse – fui abbaglia to all’aspetto magico di una Bignonia radicans che tappezzava delle sue ros se campanelle una lunga ed alta mu raglia che parea tutta fiamme. Com presi allora tutta la ricchezza delle vegetazioni esotiche. Parecchi arbo scelli, che avea scorto vegetare mise ramente nelle nostre stufe (ndr. ser re), inalzavansi a cielo scoperto nella campagna. Le piante che un legge ro riparo avea difese contro i freddi passaggieri d’un inverno poco rigi do, godevano in piena terra il libe
ro beneficio dell’aria e del sole. Una palma a ventaglio si attrasse tutta la mia attenzione. Le prime foglie che sorgeano dal suolo erano semplici, e fatte a lancia; poi andavano divi dendosi sempre più, finché appariva no spartite come le dita di una mano spiegata».
Tra gli altri vanti: un affascinan te platano orientale (1680) col ventre aperto, si dice forse da un fulmine; un cedro dell’Himalaya, e più precisa mente il primo esemplare che fu im portato in Italia nel 1828; e una roc cera alpina. Non mancano poi angoli intimi, dove potersi rilassare sotto le fronde degli alberi, e un monticello raggiungibile da un doppio sentiero a spirale che non si incrocia se non al suo culmine, nascosto in un lato dell’orto che non sapremmo ritrova re, ma che ci ha fatti tornare bambini per qualche minuto.
L’orto si completa poi con una se rie di serre costruite fuori dalle mura, e raggiungibili attraverso un viale ser peggiante lungo un bosco a sua volta ricco di molte specie. Le serre sono di clima tropicale, sub-umido, tempe rato, mediterraneo e arido. Belle so no peraltro le vasche delle ninfee, che fuoriuscendo dalle serre si affossano nel terreno dove a volte, nottetempo, hanno luogo performance artistiche che pure si nutrono della bellezza di questo incantato parco, all’interno del quale i frastuoni della città, lo scor razzare delle auto, i clacson, le sirene delle ambulanze, gli schiamazzi dei ragazzi non riescono ad arrivare.
Come si diceva all’inizio del no stro viaggio botanico, questo orto è il più antico della terra, tanto che – lo si legge nella motivazione del World Heritage Committee – è all’origine di tutti gli orti botanici del mondo e rappresenta la culla della scienza, degli scambi scientifici e della com prensione delle relazioni tra la natura e la cultura. Ha largamente contri buito al progresso di numerose disci pline scientifiche moderne, in par ticolare la botanica, la medicina, la chimica, l’ecologia e la farmacia».
Non tutti potranno permettersi una visita dell’Orto, ed è per questo che a chi volesse comunque immer gersi in tanto ben di dio (è il caso di dirlo) consigliamo la lettura del libro Hortus Mirabilis, il quale contiene pu re moltissime immagini antiche e fo tografie a colori, ed è peraltro repe ribile anche tradotto in altre lingue.
Bibliografia
AA., Hortus mirabilis. Alla scoperta del più antico orto botanico del mondo, Mondadori Electa, Milano, Collana Rizzoli illustrati, 2017
Informazioni Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica
A spasso con il Robin Hood andaluso della Ronda
Simona Dalla Valle, testo e fotoCanyon profondi, boschi di lecci, di stese di uliveti e una manciata di pueblos blancos, i «villaggi bianchi» che si estendono in tutta la Spagna meri dionale. La Serranía de Ronda è una regione andalusa a circa 100 km a nord-ovest dalla città di Malaga. Ca poluogo della zona è Ronda, che con oltre 33mila abitanti è il secondo co mune più popolato della provincia do po Antequera.
Il territorio comunale si estende su un altopiano tagliato da un’ampia go la, il Tajo, scavata dal fiume Guadale vín, su cui si affacciano gli edifici del centro storico. Il panorama che ne de riva, insieme alla varietà di monumen ti, all’ambiente naturale e alla vicinan za ai principali centri del turismo di massa della Costa del Sol, hanno re so Ronda un centro turistico di rilievo, che prima della pandemia accoglieva oltre 250mila visitatori all’anno.
Le origini della città sono da ricer carsi nell’Arunda romana, formatasi a partire da insediamenti iberici già esi stenti. I Visigoti le diedero continuità fino all’arrivo dei musulmani, che ne consolidarono il ruolo di capitale re gionale ed entità urbana. La posizione rialzata era strategica non solo per la difesa della città, ma anche per il con trollo dei passi e delle strade della bas sa Andalusia.
La Serranía di Ronda è legata alle scorribande di José Pelagio Hinojosa Cobacho, uno dei più famosi banditi dell’altipiano, noto con il sopranno me di «El Tempranillo». Sebbene fos se originario della provincia di Cordo ba, dopo avere ucciso un conterraneo che corteggiava la sua fidanzata dovet te fuggire nel rifugio naturale offerto dalle montagne di Ronda.
Nel XVIII secolo, le montagne e le foreste intorno alla cittadina, diedero rifugio a bande di uomini violenti e ar mati che imponevano il loro volere con estorsioni e rapine alle loro vittime, i ricchi viaggiatori che attraversavano la sierra. Sfidando i potenti, il banditismo sfidava l’intero ordine economico, so ciale e politico dell’epoca. Tempranillo fu soprannominato il Robin Hood an daluso, giacché talvolta rubava ai ricchi per donare ai poveri.
Nel XIX secolo, essere fermati da uno dei numerosi bandoleros della re gione era una vera e propria esperienza turistica. Si dice che quando i turisti britannici e di altri paesi del Nord Eu ropa iniziarono a includere l’Andalu sia nel loro itinerario di viaggio, alcuni arrivarono persino a pagare per riceve re la visita di un bandito. Ma non tut ti erano come Tempranillo. La mag gior parte era spinta dalla povertà e dal duro sistema feudale ancora attivo in Spagna, mentre altri, come il torero José Ulloa Tragabuches, erano nobili spinti a fuggire dalla legge a causa di un crimine passionale.
El Tempranillo divenne una figu ra di culto in tutta l’Andalusia e oltre. Tale era la sua audacia che, quando nel 1831 andò a seppellire la moglie morta di parto e due giorni dopo a battezzare il figlio, non fu ostacolato da nessuno.
Le audaci rapine e la crescente po polarità di Tempranillo costrinsero re Fernando VII a offrirgli l’indulto in cambio del suo lavoro per lo Sta to. Nel 1832 fu nominato comandante dell’Escuadrón Franco de Protección y Seguridad Pública de Andalucía (lo squadrone per la protezione e la sicu rezza pubblica dell’Andalusia), a capo di sessanta guardie a cavallo che in dossavano un’uniforme simile a quella
dell’esercito spagnolo. Il novello poli ziotto fu gravemente ferito in una spa ratoria mentre inseguiva un ex colle ga, il bandito El Barbarello, durante un tentativo di arresto sulla strada tra Alameda e Mollina nel 1833; morì il giorno successivo.
L’influenza di Tempranillo è anco ra visibile sulla città, che fino al 2020 ha ospitato un Museo del Bandolero. Nella collezione, ora spostata a Mala
ga, figuravano numerosi reperti storici come capi di abbigliamento e armi ap partenute ai fuorilegge, oltre che de scrizioni delle loro scorribande e del le attività intraprese per contrastarle.
Nei dintorni di Ronda esiste una «Ruta del Tempranillo», un circuito turistico che offre percorsi tematici di collegamento tra i villaggi frequenta ti dal bandolero: Alameda, Badolatosa, Benamejii, Casariche, Corcoya, Jauja e Palenciana.
Il fascino di Ronda, tuttavia, non si limita alle reminiscenze di un passato travagliato. Completato nel 1793 dopo quarant’anni di costruzione, il Puente Nuevo è l’attrazione più famosa della città e collega El Mercadillo, la par te più recente, con La Ciudad, l’anti co quartiere moresco. Con i suoi 120 metri di altezza, dal fondo del canyon è maestoso visto dal basso, ma diventa spaventoso per chi, soffrendo di ver tigini, si azzarda a guardare in giù. Di «nuevo», il ponte non ha nulla: la sua costruzione, segnata dalla trage dia (cinquanta operai persero la vita), iniziò nel 1751 e fu completata solo nel 1793. Altri due ponti, meno famosi, sono il Puente Viejo, risalente al 1616, e il Puente Romano, che in realtà ri sale al periodo moresco di Ronda ed è noto anche come Puente Árabe.
La città è pure il luogo natale della moderna corrida spagnola. Nel XVIII secolo, nella maestosa Plaza de Toros, Francisco Romero affrontò per la pri ma volta il toro a piedi e non a caval lo (mentre due secoli dopo, Madonna, la regina del pop, girò qui il video di Take A Bow). Risalente al 1785 e pro gettata da Martín de Aldehuela, il ce lebre architetto autore del già citato Ponte Nuovo, questa elegante strut tura neoclassica è la più antica arena di Spagna.
Nei primi decenni del XX secolo il poeta tedesco Rainer Maria Rilke era ospite fisso all’Hotel Reina Victo ria, a due passi dalla graziosa Plaza del Socorro, il moderno centro politico di
Ronda. Anche Ernest Hemingway fu stregato da Ronda, e nel romanzo Per chi suona la campana, basato sui fatti della guerra civile spagnola, si ispirò all’esecuzione di un gruppo di nazio nalisti avvenuta sui pendii del Tajo nel 1936. Il regista Orson Welles non fe ce mai mistero di avere tratto ispira zione dai frequenti viaggi in Spagna e a Ronda. Alla sua morte, avvenu ta nel 1985, le ceneri furono gettate in un pozzo nella proprietà rurale del suo amico, il torero in pensione Anto nio Ordoñez.
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Vista sul Tajo dal Mirador de María Auxiliadora; sotto, interno della Plaza de Toros (spalti) e il Puente Nuevo in tutto il suo splendore; al centro, vicolo nei pressi della Plaza del Socorro.In lento spostamento verso la fine dell’estate
«Qui finisce l’Italia, finisce l’estate». Sbarcando al porto di Muggia, estre mo lembo d’Italia tra Trieste e il con fine sloveno, ripenso alle parole con le quali Pier Paolo Pasolini, al termine di un viaggio lungo le coste italiane su una Fiat 1100, concluse La lunga stra da di sabbia, noto reportage del 1959. È l’ultima suggestione di un piacevole vagabondaggio alla scoperta dell’Ita lia d’oriente: duecentocinquanta chi lometri di bordeggi sotto costa tra le lagune dell’alto Adriatico, sfruttando autobus di linea e servizi marittimi.
Ma riprendiamo il filo dall’ini zio. In cima a piazzetta Vigo l’hotel Grande Italia, vanto dell’antico bor go marinaro di Chioggia, fa la guar dia all’imbarcadero più meridionale della laguna veneta. È l’ora di pran zo di una torrida giornata di mezza estate quando il vaporetto della linea 11 borbottando manovra e poi attrac ca. Obliterato il mio Venezia Daily Pass mi imbarco per cominciare que sta insolita rotta a pelo d’acqua. Un affidabile sistema intermodale colle ga Chioggia a Punta Sabbioni e io, dopo un tuffo rinfrescante nelle ac que della riserva naturale Cà Roman – ambiente di dune tra i più integri dell’alto Adriatico – prendo il bus che dal cimitero di Pellestrina risale l’iso la meno turistica della laguna fino a Santa Maria del Mare, imbarcadero del ferry boat in servizio sulla bocca di porto di Malamocco.
L’anima di Hugo Pratt si aggira ancora tra le rive e le calli di Malamocco?
Ad Alberoni, estrema propaggine meridionale del Lido, oltre al faro Rocchetta, attiguo alla torre dei Pi loti, trovo ad attendermi il ricordo di Hugo Pratt. Se le mortali spoglie del papà di Corto Maltese riposano a Grandvaux, sulle sponde del lago Lemano, la sua anima forse si aggi ra ancora tra le rive e le calli di Mala mocco, borgo dalla lunga storia dove aveva uno studio in via Doge Galla, 21. Bastano pochi minuti per riper correre la passeggiata quotidiana del maestro: campo della Chiesa, piazza Maggiore, piazza delle Erbe, ponte di Borgo, poi tutt’intorno al fossato del forte fino a toccare i Murazzi e rientro su rio Terà. Concludo degna mente con una puntata alla trattoria da Scarso, altro celebrato luogo di Pratt. Non si può passare per il Lido
senza buttare un occhio all’Hotel des Bains, nella ingenua speranza di in travvedere Gustav von Aschenbach, il giovane Tadzio o altri personag gi de La morte a Venezia. All’inizio del lungomare Guglielmo Marconi lo storico albergo da almeno un de cennio giace in abbandono, ma tra suda storie.
Se Venezia è un pesce, come rac conta Tiziano Scarpa in un delizio so libro sulla sua città, dal Lido se ne scorge bene la coda, ovvero piazza San Marco. Al tramonto, scrutando l’altra riva da questa prospettiva, lo sguardo vola più in là del Lazzaretto vecchio, di San Lazzaro degli Arme ni e di San Servolo. Affiora alla men te l’incipit di una vecchia canzone di Franco Battiato «Venezia mi ricorda istintivamente Istanbul / stessi pa lazzi addosso al mare / rossi tramonti che si perdono nel nulla».
Quando si va a zonzo, la fretta non è mai una buona compagna di viag gio. Meglio piuttosto trattenersi più del dovuto assecondando i deside ri del momento. Perciò l’indomani, prima di riprendere il viaggio verso nord, faccio un salto col vaporetto al cimitero di San Michele per salutare Joseph Brodsky scoprendo che l’au tore di Fondamenta degli incurabili la più poetica dichiarazione d’amore mai scritta per Venezia – riposa a bre ve distanza da Helenio Herrera (in confondibile la sua tomba addobbata da variopinte sciarpe delle più diverse squadre di calcio lasciate dai tifosi).
A Punta Sabbioni intercetto un bus litoraneo che passando per Lido di Jesolo, Eraclea e Caorle mi lascia a Bibione, a un tiro di schioppo dalla foce del Tagliamento. Qui grazie a un passaggio in barca guadagno la costa friulana, procedendo per Lignano Pi neta. Nel 1954 Ernest Hemingway la ribattezzò «la Florida d’Italia»; oggi, per gratitudine, un bel parco cittadi no e un noto premio letterario por tano il nome dello scrittore america no. La mia motonave per Grado salpa dalla darsena Sbarco dei Pirati. L’iso la del sole, «Figlia di Aquileia e ma dre di Venezia», dista un’ora e mezza di navigazione con vista sulle lagune di Marano e di Grado: vasto intrico di canali e valli da pesca con un cen tinaio di isole e isolette, barene e mote
Sbarco al molo Torpediniere co me fece anche Maria Callas più di cinquant’anni fa, in occasione delle riprese di Medea: all’Hotel Argenti
na, dove alloggiò, una grande foto in bianco e nero ricorda quei giorni feli ci. Sfortunatamente il battello diretto al casone di Mota Safon, che ospitò le riprese, è già salpato e così mi conso lo gustando un fantastico boreto alla graisana, piatto identitario a base di pesce povero immortalato anche dai versi di Biagio Marin.
Chi pratica l’arte del viaggiare len to sa che sarebbe un errore affronta
re la navigazione nel golfo di Trieste col traghetto di linea diretto nel ca poluogo giuliano; meglio prendere il bus extraurbano (linea G 21) che, su perata Monfalcone, ferma al castel lo di Duino, legato a doppio filo alla figura del poeta Rainer Maria Rilke. Porta il suo nome un facile sentiero panoramico con vista sulle spettaco lari falesie bianche ai piedi delle quali sorge la baia di Sistiana, dove fa ca
La motonave procede sotto costa e, superato il porto di Grignano, per mette di ammirare il castello di Mi ramare in tutto il suo splendore men tre, con la prua sempre in direzione di Barcola, è facile individuare il san tuario mariano di monte Grisa e il faro della Vittoria. Seguono il por to Vecchio, il molo Audace e piaz za Unità d’Italia, simboli eterni della città dalla «scontrosa grazia», che mai non stanca.
polinea il Delfino verde, collegamen to marittimo per Trieste e Muggia. Informazioni Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica Faro di Punta Sabbioni; sotto, Malamocco, Calle Merceria; e a destra, bus sul Ferry Boat diretto al Lido. Itinerari ◆ A piedi, in bus o in barca tra litorali e lagune dell’alto Adriatico che ispirarono artisti, scrittori e registi Paolo Merlini, testo e fotoRicetta della settimana - Spaghetti ai broccoli
Ingredienti
Per 4 persone
400 g di broccoli
400 g di pasta, ad es. spaghetti
1 spicchio d’aglio
3 c di pinoli
3 filetti d’acciuga sott’olio
3 c d’olio d’oliva sale pepe
Preparazione
1. Dividete i broccoli in rosette e lessatele in abbondante acqua salata per circa 5 minuti. Estraete le rosette non troppo cotte e nella stessa acqua di cottura lessate la pasta al dente. Scolate la pasta e fatela sgocciolare.
2. Dimezzate lo spicchio d’aglio e tostatelo insieme con i pinoli in una padella.
3. Tritate grossolanamente i broccoli e aggiungeteli ai pinoli con i filetti di acciuga.
4. Mescolate e aggiungete l’olio.
5. Regolate di sale e pepe.
6. Condite la pasta con i broccoli, quindi servite..
Preparazione: circa 25 minuti.
Per persona: circa 20 g di proteine, 12 g di grassi, 72 g di carboidrati, 510 kcal/2100 kJ.
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Davide CanavesiSplatoon
butta nella Mischia Mollusca
I giochi online non sono mai stati il punto focale dell’offerta di Nintendo. Per il gigante giapponese un sano di vertimento per tutta la famiglia è la cosa più importante, un valore che ra ramente è stato messo da parte. Spla toon è una serie interessante perché è fondamentalmente uno sparatutto online, ovvero uno di quei giochi in cui il giocatore si ritrova a sfidarne al tri in arene popolate da sconosciuti. Tuttavia, non siamo di fronte ai soliti giochi di guerra, no, Splatoon 3 è di stintamente un gioco Nintendo. Un gioco coloratissimo, divertente, senza particolare violenza e particolarmen te competitivo se lo vogliamo!
Splatoon 3 mette i giocatori ai co mandi di un inkling, una strana for ma di vita a metà tra un umanoide e un calamaro in grado di trasformarsi in entrambe le cose. Gli inkling sono senza dubbio creature curiose, amanti dei vestiti alla moda, dell’immergersi nell’inchiostro e del fare battaglie gli uni contro gli altri oltre che l’occasio nale missione per salvare il mondo.
L’offerta del gioco si divide fonda mentalmente in due parti. Da un lato troviamo i livelli multiplayer mentre dall’altro un’avventura per giocatore singolo con una trama e diversi buffi personaggi da incontrare. L’online è il punto focale dell’esperienza però, una modalità che i realizzatori del gioco hanno chiamato Mischia Mollusca. Una partita di Splatoon vede otto gio catori divisi in due squadre competere
Giochi
Cruciverba
per un territorio. Lo scopo è ricoprire la maggior parte di terreno con l’in chiostro del colore della nostra squa dra evitando, che il team avversario faccia lo stesso. Il match finisce allo scadere di un tempo predeterminato, incoronando vincitore l’una o l’altra squadra. Sembra semplice, ma in re altà le operazioni di verniciatura so no solo una componente del gioco. I giocatori sono infatti tutti armati di diversi tipi di spara-inchiostro. Ci so no armi veloci, bombe, lancia mis sili e molto altro, e più avanzeremo di livello e maggiori saranno armi e gadget a nostra disposizione. Queste armi servono sì a colorare il mondo attorno a noi, ma anche a rallentare e respingere i giocatori avversari.
Da questo punto di vista Splato on 3 può diventare competitivo come qualsiasi altro gioco online che si ri spetti. Conoscenza dei livelli, strate gia, lavoro di squadra e scelte tattiche sono tutte componenti fondamentali che, per quanto possibile, vanno te nuti bene in mente quando affrontia mo una partita online a Splatoon 3 La vittoria però non è mai assegna ta alla squadra che ha «eliminato» più nemici, ma sempre e solo a chi ha colorato di più. Da questo punto di vista la produzione di Nintendo spo sta l’attenzione, meno incentrata sugli scontri individuali e che premia co loro che si impegnano per raggiun gere gli obiettivi di gioco. Nella Mi schia Mollusca i giocatori potranno
poi usare diverse abilità speciali e che è possibile modificare a piacimento. C’è tanto spazio per la personalizza zione e ogni scarpa, arma, accessorio e vestito, ci permette di sperimenta re diverse combinazioni di poteri per trovare quella che più si addice al no stro stile di combattimento.
Se giocare via internet non fa per noi però, possiamo sempre optare per la modalità avventura. Al posto di arene dovremo esplorare livelli in compagnia di Salmonello, il nostro animaletto da spalla. La storia non è complessa, eppure, assai godibile da scoprire. Ci ritroveremo a vagare per una sorta di città perduta, divisa in
diverse isolette infestate da una stra na sostanza. Il giocatore dovrà tenta re di eliminare l’infestazione dando la da mangiare proprio a Salmonello. Ma per farlo, il piccoletto va caricato con delle uova di pesce che otterremo completando i vari livelli. Le sfide so no assai variegate e ci vedranno com battere contro nemici, ma anche ri solvere rompicapo o completare sfide a tempo. Al giocatore è data la pos sibilità di scegliere in parte l’ordine nel quale affrontare i livelli, quali ar mi usare e quali potenziamenti sfrut tare. Fondamentalmente Splatoon 3, se giocato da soli, è un classico spa ratutto in terza persona con tanto di
elementi puzzle, mentre alcuni livelli hanno invece un’impronta più action con tanto di cattivo boss finale.
Le attività però non finiscono qui: Splatoon 3 nasconde al suo interno tutta una serie di minigiochi e una modalità chiamata Splattanza. I mi nigiochi sono accessibili esploran do la città di Splatville, una zona che funge da piazza virtuale in cui po tremo fare acquisti o dare sfogo al la nostra creatività. In giro troveremo cabinati da sala giochi e air hockey. Splattanza invece è un gioco di carte. Durante le partite normali capiterà di trovare delle carte che collezionere mo automaticamente. Una volta che ne abbiamo a sufficienza sarà possi bile usarle per simulare delle partite regolari. Lo scopo è sempre quello di colorare più terreno possibile, ma sta volta, grazie ai poteri del nostro maz zo di carte, mentre, a turno, sfidiamo l’avversario. Si tratta di un’aggiunta non per tutti ma in grado di variare un po’ le cose!
Splatoon 3 è colorato, divertente e infuso di uno humor tutto particola re. Non tutti i personaggi che incon treremo sono memorabili, ma per lo sono meno buffi. Al netto di qualche problema tecnico al lancio, che Nin tendo sta lavorando per risolvere, è un buon gioco. Divertente da soli, molto divertente via internet senza dover ri correre a inutile violenza, ottenendo una certificazione PEGI 7 (adatto per bambini dai 7 anni).
Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire
venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell ’apposito
corretta entro
Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve
intratterrà
sui
pubblicato
Lugano». Non
NintendoATTUALITÀ
Libertà e diritti a rischio? Il trionfo dei Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni pone pesanti interrogativi sul futuro di un Paese in crisi
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L’esordio col botto di Truss Londra vara uno spericolato taglio di tasse per famiglie e imprese –che favorisce i più ricchi – mentre la sterlina crolla
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Ammazzata in nome della decenza
Tutto è nato da alcune ciocche di ca pelli. Ciocche di capelli ribelli scap pate dall’hijab, il funebre lenzuolo nero con cui tutte le donne iraniane sono obbligate a coprirsi. Ciocche di capelli di cui Mahsa Amini, ventidue anni appena compiuti, non si era for se nemmeno accorta. Sono bastate, però, a farla arrestare. Spinta a calci, pugni e schiaffi dentro alla macchina della «polizia morale» che l’ha porta ta in centrale. Mahsa è morta poche ore dopo, durante un «training di rie ducazione all’uso corretto dell’hijab». Per un attacco di cuore, sostiene la polizia. Per le botte ricevute, dice il fratello. Che aspettava fuori dal posto di polizia: ha sentito la gente urlare, l’ambulanza arrivare, e ha visto, co me tutto il mondo poche ore più tar di, Mahsa in ospedale, intubata, con chiari segni di percosse e sangue che usciva dalle orecchie. Al funerale suo padre ha cacciato via il mullah, il reli gioso islamico, che voleva celebrare il servizio funebre: «È stato il tuo Islam a denunciarla e ora siete venuti a pre gare per lei? Non ti vergogni? L’avete ammazzata per due ciocche di capel li! Prendi il tuo Islam e torna da dove sei venuto!».
È dal 1979 che l’hijab è stato imposto a tutte le donne e le ragazze sopra i 9 anni, per «proteggerne l’onore e la castità»
Due ciocche di capelli. Due scintille che, dopo la morte di Mahsa, han no dato fuoco alla polveriera che co vava, nemmeno tanto silenziosa, sot to la cenere. Due ciocche di capelli che hanno fatto da esca alimentan do una serie di rimostranze: per un’e conomia al collasso, una corruzione sfacciata, una repressione soffocante e restrizioni sociali imposte da un ma nipolo di anziani chierici ammuffi ti. Sono state le donne, a cominciare. Togliendo l’hijab e buttandolo den tro a un fuoco, fuochi accesi un po’ dappertutto nel Paese, davanti a po liziotti attoniti. Tagliandosi i capelli in piazza e postando i video sui so cial media.
È dal 1979, due anni dopo la presa del potere da parte dei mullah ultra conservatori, che l’hijab è stato impo sto a tutte le donne e le ragazze so pra i 9 anni per «proteggerne l’onore e la castità» come vuole la Sharia, la legge islamica di stretta osservan za. E da un anno a questa parte, da quando Ebrahim Raisi è diventato presidente, l’applicazione delle rigide regole sociali e religiose è stata ulte riormente rafforzata. A luglio il pre sidente ha ordinato a tutte le «entità e istituzioni responsabili» di elabora re una strategia per intensificare l’ap plicazione dell’hijab. Le violazioni,
ha detto, danneggiavano i valori della Repubblica islamica e «promuoveva no la corruzione».
Il procuratore capo dell’Iran si è dichiarato favorevole a impedire al le donne impropriamente coperte di accedere ai servizi sociali e governa tivi, compresa la metropolitana. Il Ministero della Guida suprema ha ordinato ai cinema di non mostrare più le donne nelle pubblicità. Come in Afghanistan, dove la Sharia è sta ta re-imposta dal gruppo di terroristi al Governo e dove gli esseri di sesso femminile seguono la medesima sor te. Le proteste che adesso infiamma no l’Iran, che ormai non riguardano più soltanto le donne e l’hijab, vengo no riportate e commentate da tutti i media del mondo. Christiane Aman pour, famosa giornalista americana, si è rifiutata di indossare il velo per intervistare il presidente Raisi, che non si è presentato. La stessa Aman pour che però, qualche mese fa, aveva la testa «modestamente» coperta per intervistare il terrorista talebano Si rajuddin Haqqani. Motivando la sua scelta con il «rispetto per la tradizione e la legge del Paese», visto che l’inter vista avveniva in Afghanistan. Però – nel 1979 a Tehran – Oriana Fallaci riportava il suo incontro con il padre della rivoluzione islamica Khomeini: «Tutto questo non la riguarda. I nostri
costumi non riguardano voi occiden tali. Se la veste islamica non le pia ce, non è obbligata a portarla. Il cha dor è per le donne giovani e perbene». «Prego?». «Ho detto: se la veste isla mica non le piace, non è obbligata a portarla. Il chador è per le donne gio vani e perbene». «Grazie, signor Kho meini. Lei è molto educato, un vero gentiluomo. La accontento sui due piedi. Me lo tolgo immediatamente questo stupido cencio da Medioevo». Lo stesso «cencio da medioevo» ver so il quale noi, l’Occidente, abbiamo da anni un atteggiamento pilatesco. Pronti a protestare contro gli ayatol lah e i talebani, ma anche a difendere la «scelta» delle donne musulmane di indossarlo. Pur sapendo benissimo –come testimoniano iraniane, saudite e afghane – che l’hijab non è una scelta. Non lo è quasi mai. Non è una scelta a nove anni, non lo è dopo.
Come non era una scelta, fino a una cinquantina di anni fa, il lutto stretto – quasi un hijab di fazzoletti che co priva metà del volto e spesse calze ne re anche nelle estati più bollenti – del le vedove del sud Italia. La cosiddetta «scelta» era dettata dalla pressione so ciale, dai condizionamenti con cui le donne venivano cresciute. Da una so cietà patriarcale che considerava sov versivo e pericoloso il corpo delle don ne. Era dettata, come l’hijab nei Paesi
di cui sopra, dalla paura: paura della legge o dell’ostracismo di vicini, pa renti e amici. L’hijab, prima che sul corpo, viene imposto al cervello. L’hi jab è la conseguenza e il segno più evi dente di regole arcaiche che noi, nelle nostre città, ci ostiniamo a difendere per «rispetto della cultura altrui».
L’hijab è il segno più evidente di regole arcaiche che noi ci ostiniamo a difendere per «rispetto della cultura altrui»
La cultura dell’hijab, dell’onore e della decenza è quella che a Novel lara, Italia, ha ucciso Saman Abbas. Saman che, di origine pakistana ma cresciuta nella vicina Penisola, vole va vivere libera da condizionamen ti. Saman, ammazzata dalla sua fa miglia perché non si conformava alle regole primitive dettate dai suoi ge nitori. Saman, che rifiutava un ma trimonio combinato e l’abbigliamen to appropriato. Saman, i cui genitori sono scappati in Pakistan e di cui il Pakistan rifiuta l’estradizione perché, nemmeno troppo in fondo, approva i principi in base ai quali la ragazza è stata uccisa. Fallaci aveva ragione quando parlava di islamo-fascismo. Un fascismo più nero del nero, nero
come la mezzanotte, nero come gli hijab e i burqa imposti alle afghane. Non c’è rispetto, né onore, né prote zione nei frutti avvelenati di una re ligione arcaica imposta alle donne. Non c’è rispetto né onore nelle leggi della Sharia che, per esempio, impon gono in caso di stupro quattro testi moni maschi e musulmani, altrimenti la donna violentata viene imprigiona ta come adultera.
«Con una spallata lasciai andare il chador che si afflosciò sul pavimento in una macchia oscena di nero», rac contava Oriana Fallaci. «Quel che ac cadde dopo resta nella mia memoria come l’ombra di un gatto che prima se ne stava appisolato a ronfare e d’un tratto balza in avanti per divorare un topo. Si alzò con uno scatto così svel to, così improvviso, che per un istan te credetti d’esser stata investita da un colpo di vento. Poi, con un salto al trettanto felino, scavalcò il chador e sparì». Donne e ragazze iraniane ci stanno provando, a far sparire l’ombra nera che gli pesa sul cuore e sull’in tera esistenza. Aiutiamole, davvero, a far diventare quel colpo di vento una tempesta. Senza fare distinguo, sen za applicare le ragioni della politica al corpo delle donne. Perché Mahsa e le altre non siano morte invano, e una ciocca di capelli rimanga soltanto una ciocca di capelli.
Pagina 30 Relazione dal futuro incerto Nel conflitto russo-ucraino si rintraccia una più profonda antitesi, quella fra Usa e la coppia Germania-Russia Pagina 33 Gli interessi di Erdogan La Turchia ha assunto il ruolo di mediatore nella crisi ucraina. Un’esperta ci spiega le ragioni di tanto impegno Iran ◆ La ventiduenne Mahsa Amini è morta per alcune ciocche di capelli scappate dall’hijab e nel Paese è scoppiata la rivolta Francesca MarinoUn pericolo per le libertà e i diritti?
In Italia è tornato il fascismo? Ec co l’interrogativo che peserà sul Go verno di Giorgia Meloni (nella foto a lato) fino alla conclusione del suo mandato. Per la prima donna presi dente del Consiglio, allontanare ogni ombra nostalgica sarà persino più de terminante che scansare gli eventua li trabocchetti dei malmostosi soda li. Con Fratelli d’Italia (FdI) Meloni ha registrato un successo financo su periore a quello raggiunto da Silvio Berlusconi nel 1994 e da Beppe Grillo nel 2018. Forza Italia, infatti, raccolse l’enorme bacino di voti dei numerosi adepti della moribonda Democrazia Cristiana, mentre il comico dalla ca pigliatura tricolorata seppe abbindo lare, nel nome di un’impossibile de mocrazia diretta, i tantissimi delusi dai partiti tradizionali.
Meloni è invece salita in quattro anni dal 4 al 26 per cento pur rima nendo fuori da parecchi palcoscenici televisivi, sociali, editoriali. Trent’an ni di politica le hanno però suggerito la mossa rivelatasi vincente: un’oppo sizione indefettibile a qualunque ti po di Governo si sia succeduto dall’e state 2018. Da qui è derivato pure il merito della coerenza ampiamente riconosciutole dagli elettori assieme al suo essere donna, all’essere con siderata nuova, benché già nel 2008 fosse ministra in un Governo Berlu sconi, al solleticare le viscere fasciste del Paese.
Meloni ha infatti alternato le dog matiche posizioni figlie della sua cul tura – no ai presunti poteri forti del Vecchio Continente, no alle regole europee, no ai trasferimenti di com petenze da Roma a Bruxelles, no al superamento dei vecchi confini pa triottici – a dichiarazioni permeate da un sano realismo. È stata fulmi nea nello schierarsi con gli Stati Uni ti in difesa dell’Ucraina; ha sostenu to l’invio delle armi a Kiev in nome dell’Occidente e dell’atlantismo; ha aperto diversi canali di comunica zione con la Banca centrale e con i
governanti dell’Europa, consapevole che l’enorme debito pubblico dell’I talia la rende bisognevole di ogni so stegno finanziario e dunque necessita della benevolenza di chi può deter minare l’acquisto dei titoli di Stato. Meloni si sforzerà di far convive re i suoi obblighi e le sue convenien ze di capa del Governo con le allean ze, che nella Ue la vedono in stretti rapporti con le Nazioni dell’Europa orientale, la Polonia in testa a tutte, e con l’isolatissimo Viktor Orban, il più lesto a complimentarsi. Per ri uscirci dovrà garantirsi una serena conduzione interna. Le insidie non provengono da un’opposizione al quanto sbrindellata: il Pd alla ricer ca dell’ennesima rifondazione al cul mine di 16 anni di sconfitte; il M5S abbarbicato al reddito di cittadinan za, che andrà comunque cambiato, e privo di qualsiasi strategia. Entram bi i partiti sono probabilmente penti ti di non essersi alleati per contrasta re la Destra. La responsabilità investe in primis Enrico Letta intestarditosi nel rifiutare Giuseppe Conte, impu tato di aver provocato la caduta del gabinetto Draghi. Tuttavia lo stesso Letta ha aperto le porte al radicale di sinistra Nicola Fratoianni, capa ce per oltre 50 volte di negare la fi ducia a Draghi. L’unica consolazione per i disastrati perdenti è che il miti co e necessario campo largo sarebbe comunque rimasto un’utopia, stan te il rifiuto del duo Calenda-Renzi, confluito in Azione, di accordarsi con Conte e Fratoianni.
Ma il guazzabuglio delle occasioni perdute dal Centrosinistra appartie ne in ogni caso al passato. Al presen te Meloni dovrà guardarsi dai colpi di coda di un Matteo Salvini assai con testato all’interno della Lega, dopo aver sbagliato tutto quello che pote va sbagliare, e dell’86enne Berlusco ni alla ricerca di un’ultima afferma zione. Per quanto la sua maggioranza sia legata all’assenso di Lega e Forza Italia, l’impressione è che i travolgen
ti numeri dell’elezione le conferiscano il diritto quasi intangibile di distribu ire le carte. Poi ci saranno i problemi da risolvere: la legge di bilancio; la ri forma delle pensioni; il superamento del reddito di cittadinanza con un’al tra forma di sussidio a quanti vivono in povertà, all’incirca dieci milioni di persone; il costo impazzito delle bol lette di luce e gas sul punto di stran golare famiglie e aziende.
In questo quadro rabbrividente il fascismo che ruolo gioca? All’appa renza nessuno, premettendo che un fascismo senza Mussolini non esiste e che gli italiani fra il 1922 e il 1945 fu rono mussoliniani, non fascisti. Me loni non smette di ricordare di esser nata a 30 anni dalla fine della Repub blica di Salò, estremo rigurgito del mussolinismo; di essere cresciuta in un partito fondato da ex gerarchi del ventennio, i quali avevano però ac cettato le regole del gioco democra tico. Tuttavia il trionfo di FdI auto rizza il timore di una compressione
delle libertà e soprattutto dei dirit ti. Fra gli eletti compaiono campio ni dell’omofobia; della famiglia tra dizionale in dichiarata opposizione a quella composta da due mamme o da due papà; dell’avversione quasi fanati ca ai transgender. Meloni fino a qua le livello riterrà che la propria nomea coinciderà con il garantire comporta menti a lei estranei? Quando dichiara che alle donne va assicurato il diritto di non abortire, lo fa soltanto per vel licare la parte più tradizionalista del proprio elettorato? O lo crede davve ro? In tal caso fingerebbe d’ignora re che la maggioranza dei ginecologi italiani sia obiettore di coscienza e di conseguenza ci sono regioni, come le Marche guidate da un presidente di FdI, dov’è quasi impossibile aborti re, alla faccia dell’apposita legge 194. D’altronde, pure l’uso della pillola del giorno dopo è sottoposto a ostacoli ri correnti. Senza arrivare a quello che presto sarà realtà in Francia (gratuità di questa pillola per tutte le donne a
Le reazioni contrastanti dell’Europa
partire dal 2023), Meloni metterà le sue connazionali nella condizione di usufruirne senza problemi?
Ecco le risposte da fornire per di mostrare che le libertà non sono sta te intaccate dalla sua ascesa, che la sua destra niente ha da condividere con quella degli amici di oltralpe, che non è un caso la simpatia di Marine Le Pen per Salvini. E pazienza se la Storia si diverte a stuzzicarla. Considerate le procedure per la proclamazione degli eletti, la nomina dei presidenti di Ca mera e Senato, le consultazioni dei se gretari di partito, è probabile che l’in carico di formare il Governo le venga conferito dal presidente della Repub blica Sergio Mattarella intorno al 28 ottobre. Sarà il centenario della buffo nesca ed eversiva marcia delle camicie nere su Roma. Grazie all’ignavia del re Vittorio Emanuele III e del presidente del Consiglio Luigi Facta, che si rifiu tarono di usare l’esercito, rappresentò il primo passo della conquista del potere da parte di Mussolini.
Bruxelles ◆ Dall’esultanza di Orban e Le Pen alla delusione della sinistra, passando per il disagio dei Governi di Berlino e Parigi
Marzio RigonalliGioia, delusione e disagio: si possono così riassumere le reazioni europee al voto italiano. I più contenti sono sta ti i Governi nazionalisti ed euroscet tici, nonché i movimenti dell’estrema destra. I primi ministri ungherese, Viktor Orban, e polacco, Mateusz Morawiecki, si sono complimentati con Giorgia Meloni appena sono stati resi noti i primi risultati. L’Alternati ve für Deutschland, attraverso un suo portavoce, e il partito spagnolo Vox, con il suo leader Santiago Abascal, hanno dato sfogo alla loro soddisfazio ne. E un plauso analogo è stato espres so anche dall’estrema destra francese, con Marine Le Pen, sua nipote Ma rion Maréchal ed Éric Zemmour. In Francia si è sentita pure la frase: «Ieri la Svezia, oggi l’Italia, domani la Fran cia». Una chiara allusione alla speranza di Marine Le Pen di poter vincere le Presidenziali del 2027. Questi Gover ni e movimenti vedono il loro schie ramento rafforzarsi in Europa e spe rano in un’estensione del loro margine di manovra. L’imminente arrivo di un Governo post-fascista cento anni do
po la marcia su Roma di Mussolini ha provocato invece una forte delusio ne tra i partiti e i movimenti della si nistra, soprattutto tra quelli che non hanno responsabilità di Governo. A più riprese si è parlato del pericolo fa scista e della necessità di battersi tutti i giorni per difendere la democrazia e i valori democratici. A Bruxelles diversi eurodeputati hanno parlato di un dif
ficile momento per l’Unione europea e hanno ricordato che Giorgia Meloni ha posizioni politiche e sociali vicine a quelle di Trump e di Orban.
Molto più prudenti sono state le reazioni dei principali Governi euro pei. Una prudenza che nasconde un certo disagio. Un portavoce del Go verno tedesco ha sostenuto che l’Ita lia è un Paese favorevole all’Europa e la Germania pensa che non ci saran no cambiamenti. La prima ministra francese, Élisabeth Borne, ha dichia rato di non voler commentare la scelta democratica del popolo italiano, ma ha anche ricordato che in Europa ci sono dei valori, come lo stato di di ritto e i diritti umani che ogni Sta to deve rispettare. Un portavoce della Commissione europea ha evidenzia to la volontà della stessa Commissio ne di avere con il nuovo Governo ita liano una collaborazione costruttiva. Dopo le reazioni sono sorti gli inter rogativi. Che cosa farà il nuovo Ese cutivo italiano? Come si posizionerà nell’alleanza occidentale? Quali rap porti intratterrà con l’Unione euro
pea? Si andrà verso un nuovo conflit to tra Roma e Bruxelles? Le risposte arriveranno quando il Governo Me loni avrà fatto un po’ di strada e avrà preso alcune decisioni.
Giorgia Meloni ha più volte dichia rato di sostenere la Nato e di essere fe dele all’alleanza occidentale che di fende l’Ucraina contro la Russia. Una posizione che ha riscontrato parole di simpatia e un’apertura di credito an che da parte del Governo americano. Anche sul piano economico non do vrebbero sorgere problemi, per lo me no in un primo tempo. L’Italia è uno dei Paesi fondatori dell’Ue ed è la terza potenza economica europea. Ha però un deficit che va oltre il 150% del Pro dotto interno lordo e un’economia con grossi problemi di crescita e d’inflazio ne. Adesso l’Unione europea sta aiu tando l’Italia con il piano di rilancio di 750 miliardi di euro, varato dopo la crisi Covid. All’Italia sono stati attri buiti 122,6 miliardi di prestito e 68,9 miliardi di aiuti, concessi con la con dizione di portare a buon fine alcune riforme interne. Non è certamente il
momento di mettere in pericolo que sti sostegni.
I settori nei quali potrebbero sor gere problemi, anche in tempi bre vi, sono quelli dei valori e delle liber tà fondamentali, del futuro dell’Ue e dell’immigrazione. Meloni è vicina all’Ungheria e alla Polonia, che sono oggetto di una procedura d’infrazione per la violazione dello stato di diritto. I due Paesi vorrebbero anche trasfor mare l’Ue in un’alleanza di Nazioni e rifiutano qualsiasi nuova forma d’inte grazione. Non accettano, per esempio, di abbandonare il principio dell’una nimità, a vantaggio della maggioranza qualificata, in settori importanti come la politica estera e la fiscalità. Sull’im migrazione, la vincitrice delle elezioni italiane ha sempre difeso il blocco na vale nel Mediterraneo, una scelta che però la maggior parte dei Paesi europei non condivide. Le posizioni che Melo ni assumerà già nei prossimi mesi sa ranno determinanti per capire come l’Italia intende muoversi e quale sarà la natura dei rapporti che avrà con l’U nione europea.
Il trionfo dei Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni pone pesanti interrogativi sul futuro di un Paese in crisi Alfio CarusoCumulus*
La variante vegetariana Blévita Tarte flambée è stata sviluppata insieme alla community Migipedia. Tra gli oltre 1200 suggerimenti dei partecipanti, sono state messe ai voti le seguenti tre idee: olive e pomodori secchi, miele e avena e tarte flambée. Gli utenti dovevano scegliere la loro preferita tra le tre varietà e a ottenere una vittoria netta è stata la tarte flambée, con 3507 voti su un totale di 8322. I nuovi Blévita con aroma di pancetta e cipolle sono disponibili da subito e arricchiscono l’assortimento esistente.
Blévita Tarte flambée Blévita TarteLiz Truss, un inizio poco incoraggiante
Far rimpiangere Boris Johnson sem brava impossibile, eppure c’è chi ci è riuscito. Dopo circa un mese a Dow ning Street, Liz Truss ha già regala to al mondo un esempio fulgido di quello che un leader di destra non deve fare: mostrarsi inaffidabile sui conti pubblici, terrorizzando i merca ti, perdendo subito la fiducia dei ce ti medi e mettendosi contro la Banca centrale. Dopo l’annuncio di sperico lati tagli fiscali a favore dei più ric chi, la sterlina ha raggiunto i minimi storici nei confronti del dollaro e gli analisti raccontano di un Regno Uni to alle prese con una crisi «da Paese emergente», non esattamente il tipo di gloria di cui sperava di coprirsi do po la Brexit.
Una lezione che sembra ben pre sente nella mente dell’altra leader di destra del momento, Giorgia Melo ni, uscita vittoriosa dalle elezioni ita liane del 25 settembre. Abbastanza scaltra da farsi largo tra maschi af fetti da sindrome della primadonna, Meloni sa che per imporre un’agenda conservatrice bisogna prima mettersi in condizione di governare e che per farlo la parola d’ordine è: credibilità. Per questo al Tesoro fin dall’inizio ha immaginato una personalità in gra do di rassicurare gli osservatori inter nazionali, visto che il risultato elet torale di Fratelli d’Italia, un partito di estrema destra, è stato visto con preoccupazione ovunque. Soprattut to dopo una stagione di breve ma in tensa stabilità come quella di Mario Draghi, della cui aura Meloni ha cer cato di avvalersi, a Palazzo Chigi. Gli anni di Boris Johnson sono stati segnati da giravolte, scandali e una generale mancanza di affidabilità
Truss è atterrata in un contesto ben diverso. Gli anni di Boris Johnson sono stati segnati da giravolte, scan dali e una generale mancanza di affi dabilità che ha portato il partito con servatore a liberarsene e a nominare un nuovo leader, preferendo la ex mi nistra degli Esteri, dallo stile ar rembante e politicamente sfrontato, rispetto all’ex cancelliere dello Scac chiere Rishi Sunak e alle sue promes se di responsabilità sui conti pubblici. Nonostante tutti i suoi difetti, John son, che ha stravinto le elezioni del
dicembre 2019, aveva un forte man dato popolare e nel suo programma non aveva mai immaginato misu re avventate come un taglio dell’ali quota del 45% per chi guadagna più di 150mila sterline all’anno (ma non di quella del 40% per i redditi supe riori a 50mila) oltre a una sforbiciata dell’1% dell’aliquota base dall’aprile prossimo. Un pacchetto da 45 miliar di finanziato a debito e con lo scopo di favorire la crescita, rispetto all’o biettivo, troppo a lungo perseguito secondo Truss, della ridistribuzione. Insomma, la famosa «Singapore sul Tamigi» di cui si era parlato a lungo durante il dibattito sulla Brexit, sta prendendo forma, con buona pace di chi pensava che l’uscita dall’Unione europea fosse una mossa tutta rivol ta alla costruzione di una società più equa e giusta.
E quindi, superati gli undici gior ni di politica sospesa a causa della morte della regina, Truss, che si vede come l’erede di Margaret Thatcher, insieme al suo cancelliere per lo Scac chiere Kwasi Kwarteng, ha presenta to una mini-manovra che ha supera to a destra tutti i sogni più audaci di qualunque ultraliberista. Ma lunedì 26 settembre, quando tutti si aspet tavano che la vittoria di Giorgia Me loni avrebbe scosso i mercati, questi ultimi erano presi soprattutto dalla crisi britannica, con la sterlina in ca duta a 1,03 nei confronti del dollaro, peggio di quanto fatto nel 1985. La fuga da sterlina e titoli di Stato han no costretto le banche a ritirare le of ferte di mutuo, con risultati tangibili fin da subito per i cittadini che spe ravano di potersi comprare casa gra zie alla promessa di ridurre la tassa sugli acquisti immobiliari. Il Gover no non ha ritenuto di dover fare un immediato dietro front, nonostante le critiche e l’intervento della Banca d’Inghilterra, decisa a proteggere la valuta e i fondi pensione con un pro gramma di acquisto dei titoli di Stato da 65 miliardi, nonostante i rischi per l’inflazione.
Tutto questo sta avvenendo a po che settimane dall’insediamento di Truss, che ha ripreso a parlare alla stampa dopo un periodo di silenzio e che ha resistito agli appelli di una parte dei Tories di liberarsi del suo cancelliere Kwarteng, che invece sta raccogliendo gli elogi di quella mino ranza ridottissima di «Brexiteers» ol tranzisti per i quali la parola d’ordine
è competitività, costi quel che costi. E pazienza se la vittoria di Johnson è stata possibile grazie alle conquiste in territori storicamente laburisti. Nella loro mini-finanziaria, Truss e Kwar teng hanno anche abolito il tetto ai bonus dei banchieri, sostenendo che così si allontanano i talenti e si favo riscono altre piazze finanziarie. Tut te cose che gli elettori, ammesso che l’attuale Governo duri fino alle pros sime elezioni del 2024, non potranno non ricordare.
Truss è stata chiamata a sostituire un premier caduto in disgrazia in un momento di crisi economica per il Paese
Proveniente dalla destra sociale, è difficile che Giorgia Meloni segua la stessa china, tanto più che ha il fia to sul collo di Bruxelles, un bottino ricco a cui attingere se non farà mos se avventate e un Paese con un debito pubblico esplosivo sempre potenzial mente nel mirino dei mercati. Per lei il banco di prova della credibilità in
ternazionale è più che altro la politica estera. Proprio Liz Truss, al momento di fare le «congratulazioni a Giorgia Meloni per il successo del suo parti to alle elezioni italiane», ha ribadito come «dal sostegno all’Ucraina all’af frontare le sfide economiche globali, il Regno Unito e l’Italia sono stretti alleati». Con due alleati decisamen te comprensivi nei confronti di Vladi mir Putin e una conclamata simpatia per il leader ungherese Viktor Or ban, la guerra in Ucraina è un ban co di prova enorme per Meloni, che sa di avere addosso gli occhi di Wa shington e di Londra e la richiesta di un’adesione compatta alla loro linea. Dal canto suo, Truss ha deciso di au mentare le spese militari del Regno Unito al 3% del Pil, con un’ulterio re spesa che va a sommarsi a quella legata al taglio delle tasse, nella co struzione del suo nuovo Regno Unito post-Brexit.
Ma i suoi progetti valgono quel lo che valgono se Truss non si gua dagna la fiducia del Paese. Da lea der non eletta, chiamata a sostituire un premier caduto in disgrazia in un momento di crisi economica per il Pa
ese, che paga le conseguenze dell’iso lamento dovuto alla Brexit, che non ha ancora trovato una soluzione sta bile per il nodo dell’Irlanda del Nord e che deve vedersela come tutti con le conseguenze della guerra in Ucrai na sul mercato dell’energia, ha fatto un passo più lungo della gamba, met tendosi da subito contro le istituzio ni del Paese e quelle internazionali. Del suo cancelliere si diceva da an ni fosse un genio, ma con una men te più accademica che politica, capa ce di strappi violenti e poco adatto al compromesso.
Di lei si sa che ha saputo naviga re in vari Governi senza subire scos soni e che l’ex spin doctor di Johnson, Dominic Cummings, la considera «la persona più vicina ad essere comple tamente matta tra quelle che ho cono sciuto in Parlamento». «The Specta tor», settimanale conservatore, li ritrae in copertina mentre sorseggia no i loro drink nel bel mezzo di uno scenario di crisi. Loro dicono che cer ti risultati hanno bisogno di tempo, anche se intorno a loro hanno creato una situazione di emergenza, di quel le che non lasciano tempo.
a chi dici grazie?
Annuncio pubblicitario Merci è in vendita alla tua MigrosPersonalizza subito merci con il nome che vuoi!Gran Bretagna ◆ Dopo l’annuncio di spericolati tagli fiscali a favore dei più ricchi la sterlina crolla ai minimi storici Cristina Marconi Liz Truss a Downing Street. (Shutterstock)
Una coppia dal futuro incerto
Lucio Caracciolo Non conosceremo la verità sul sabo taggio al gasdotto Nord Stream. Le ipotesi e le teorie del complotto ci portano dovunque, dalla responsa bilità russa a quella americana. Ab biamo però una certezza: chi perde in questa partita è la Germania. Nel conflitto russo-ucraino rintracciamo una più profonda antitesi, quella fra Stati Uniti e la presunta coppia rus so-tedesca. È almeno un secolo che l’America cerca di porre una barriera invalicabile al rapporto fra Berlino e Mosca. Storia cominciata nella pri ma guerra mondiale, proseguita nella seconda, sommersa ma non esaurita durante la guerra fredda. Di quest’ul tima si tende infatti a dimentica re il terzo classico precetto. Ovvero: «Germans down», logico seguito di «Americans in» e «Russians out».
Questo principio strategico ame ricano, volto a impedire la saldatura fra materie prime russe e tecnologia tedesca, segue il suo corso anche nel la guerra attuale. Per gli Stati Uniti, infatti, l’obiettivo primario è dividere
una volta per sempre la Russia dalla Germania, ed entrambe dalla Cina. In termini pratici, rompere l’interdi pendenza energetica fra i due colossi: l’importazione di gas russo da parte tedesca e l’uso russo del mercato te desco/europeo per finanziare le casse del Tesoro moscovita.
Da quando il 24 febbraio i carri ar mati di Vladimir Putin hanno inva so l’Ucraina, nei laboratori strategici di Washington si valuta la concre ta possibilità di raggiungere questo obiettivo. Quasi senza muovere un dito. La fine della non strana cop pia russo-tedesca – duo preconizzato già da John M. Keynes dopo la pri ma guerra mondiale nel suo fonda mentale saggio sopra Le conseguenze economiche della pace (1919) – è a por tata di mano. L’impatto di sanzioni e controsanzioni energetiche, destina te a durare nel tempo, impone infatti alla Russia di cercare nuovi mercati e alla Germania di individuare forni tori credibili.
È interessante notare come da
parte tedesca vi sia una notevole re sistenza alle pressioni americane su questo fronte. In un recente incon tro riservato a Washington, diplo matici americani e tedeschi hanno molto vivacemente discusso quella che la Germania considera la sua pri ma «strategia nazionale» post 1945. Documento in preparazione presso il Ministero degli esteri, che prima o poi vedrà la luce e sarà oggetto di pubblico dibattito. Nelle bozze pre liminari di tale strategia – idea che fino a ieri sarebbe parsa impensabile per un Paese come la Germania, di fatto ridotto nel secondo dopoguerra a semiprotettorato americano – pa re infatti che Berlino voglia mettere un riferimento positivo ai futuri rap porti con la Russia. In parole povere, i tedeschi considerano che, comun que finisca questa guerra, avranno sempre come più importante vici no orientale la Federazione russa o quel che ne resterà. Questo signifi ca mantenere aperta la prospettiva di una cooperazione commerciale, tec
nologica ed energetica con Mosca, che nella «ideologia» tedesca rispon de al precetto «Wandel durch Han del» (ovvero cambiamento attraverso il commercio).
Tesi più che discutibile e infat ti oggi particolarmente criticata an che in Germania. Ma il cancelliere Olaf Scholz e almeno una parte del suo Governo credono che sia una li nea da perseguire. E che anche la so spensione delle forniture di gas via Nord Stream abbia da considerar si non definitiva. Idealmente, per il cancelliere tedesco, nel molto impro babile caso che la pace scoppiasse do mani, Russia e Germania dovrebbero riprendere a collaborare più o meno come prima. A partire dalle fornitu re energetiche.
Di questo sono consapevoli i po lacchi, che ne sono specialmen te irritati. Negli ultimi mesi la ger manofobia di Varsavia è tornata a manifestarsi con virulenza. Ad esem pio reclamando ricche riparazioni da Berlino per i danni subiti nella secon
da guerra mondiale. Oppure, come accaduto per bocca del responsabile della Banca centrale polacca, accu sando i tedeschi di volersi riprende re i territori forzosamente ceduti alla Polonia dopo la sconfitta hitleriana. In questa prospettiva va anche let to il tweet di Radosław Sikorski, già ministro degli Esteri polacco, in ec cellenti rapporti con questa ammini strazione americana. Nel messaggio, Sikorski plaudiva al sabotaggio dei tubi di Nord Stream con un enfati co «Thank you, Usa». Per questo oggi l’ex ministro polacco è oggetto di di versi attacchi in patria, dove è accusa to di alimentare la propaganda russa.
Quando, temiamo fra diverso tempo, la campagna russa d’Ucrai na sarà esaurita, il bilancio forse più importante da trarre per noi europei sarà quello riguardante lo stato dei rapporti tra Russia e Germania. Da esso potremo dedurre delle conse guenze anche sul nostro futuro, così largamente dipendente da quello del principale Paese europeo.
Annuncio pubblicitario volta per sempre Mosca da Berlino, ma il cancelliere Olaf Sholz di buon occhioPerché la Turchia si mette in mezzo
Prospettive ◆ Quali interessi legano Erdogan a Mosca e Kiev in un momento di difficoltà per il Paese?
Fra i Libri
Nella valanga di notizie che giungo no dal fronte ucraino, qualcuna passa in sordina, come quella dello scambio di prigionieri tra Mosca e Kiev, avve nuto un paio di settimane fa, che ha coinvolto circa 300 persone: ucraini (oltre 200), russi e una decina di com battenti stranieri. Volodymyr Zelen sky ha ringraziato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan per avere «fa cilitato» il raggiungimento dell’intesa. «È dall’inizio della guerra che la Tur chia – in virtù dei buoni rapporti che intrattiene sia con Kiev sia con Mo sca – si impegna nel ruolo di mediato re tra le parti in conflitto, conseguen do anche un altro successo: la firma di un accordo a luglio, sotto l’egida delle Nazioni Unite, per sbloccare l’export di grano ucraino attraverso il Mar Ne ro». A spiegarlo ad «Azione» è Valeria Talbot, co-direttrice del Centro Me dio Oriente e Nord Africa dell’Istituto per gli studi di politica internazionale con sede a Milano.
La Russia – sottolinea l’esperta –è il terzo partner commerciale del la Turchia (34,7 miliardi di dollari nel 2021), il suo primo fornitore di gas, coprendo il 33% dell’import del Pae se, nonché un’importante fonte di flus si turistici, con oltre il 19% degli arrivi nella penisola anatolica nel 2021. «An kara ha quindi relazioni molto stret te con Mosca, a livello economico ed energetico, e in questi mesi i contat ti si sono notevolmente intensificati. Ne sono la prova gli incontri tra Erdo gan e Putin: in luglio a Teheran (c’era anche il presidente iraniano Ebrahim Raisi), in agosto a Sochi, alla metà di settembre a Samarcanda (durante il vertice della Shanghai Cooperation Organization)».
Sul piano geopolitico, comunque, non mancano frizioni e tensioni tra i due Paesi: ad esempio entrambi gio cano un ruolo importante in contesti come quello siriano e libico, senza di menticare la questione del Nagorno Karabakh nel Caucaso. «Insomma, si tratta di un rapporto complesso quello con Mosca, una relazione asimmetrica a favore di quest’ultima. Ma la Turchia non ha mancato di mettere dei punti fermi, ad esempio condannando l’in vasione russa in sede Onu (2 marzo). Ankara ha infatti anche saldi legami con l’Ucraina, dove Erdogan si è reca to a metà agosto per discutere col suo omologo Zelensky. La volontà turca di impegnarsi nella ricostruzione del le infrastrutture del Paese, manifesta ta in occasione dell’incontro, rinsalda una cooperazione che negli anni si è sviluppata nei settori economico e del la difesa (i droni da combattimento Bayraktar che Kiev utilizza nel con flitto contro la Russia sono turchi)». Inoltre – aggiunge Talbot – è evi dente l’interesse della Turchia nei confronti dell’integrità territoriale dell’Ucraina, Paese chiave negli equi libri di potere nella regione del Mar Nero, sorta di «cuscinetto» che assor be le mire espansionistiche della vici na Russia. Questo spiega anche perché Erdogan si era espresso a favore della restituzione a Kiev della Crimea, la cui annessione a Mosca nel 2014 non è stata riconosciuta dal Governo di An kara. «Ecco quindi i motivi che hanno portato la Turchia ad assumere il ruolo di mediatore, ruolo che ha riportato il Paese al centro di una fitta rete diplo matica internazionale. Anche i par tner occidentali di Ankara, membri della Nato, con cui le relazioni sono altalenanti, hanno apprezzato l’impe gno e i risultati conseguiti». Questo
– secondo la nostra interlocutrice – si inserisce nel contesto più ampio della ridefinizione della politica estera tur ca. Dopo anni di politica muscolare e assertiva, adesso Ankara punta sulla normalizzazione dei rapporti diplo matici con i suoi vicini mediorientali, mossa da ragioni di carattere econo mico oltre che dalla necessità di usci re dall’isolamento regionale in cui si è trovata per lungo tempo.
Il difficile andamento dell’economia si traduce in un crescente malcontento popolare che pesa sulla popolarità di Erdogan
«La Turchia sta attraversando un pe riodo di grosse difficoltà. Pensiamo all’inflazione galoppante e al deprez zamento della valuta nazionale. I dati ufficiali dell’Istituto di statistica turco riportano un’inflazione all’80,21% nel mese di agosto, ma l’aumento reale dei prezzi sarebbe molto più alto. Si sta così erodendo il potere di acquisto di molte classi, anche medio basse. Ri allacciare ad esempio relazioni com merciali con le monarchie del Golfo non può che dare respiro ad un’econo mia allo stremo». Il difficile andamen
to dell’economia, sottolinea Talbot, si traduce in un crescente malcontento popolare che pesa sulla popolarità di Erdogan e del suo partito di orienta mento conservatore (Akp), costante mente in calo. Partito che dovrà ve dersela con un fronte di opposizione composito alle prossime elezioni pre viste entro giugno 2023.
Nonostante la continua cresci ta dell’inflazione, comunque, a metà agosto la Banca centrale turca ha ri dotto il tasso di interesse dal 14% al 13%, in linea con la poco convenzio nale politica monetaria portata avanti dal presidente. Erdogan è infatti for temente contrario all’incremento dei tassi ed è al contempo sostenitore di politiche espansive, che nel 2021 han no fatto registrare una crescita del Pil dell’11%. «Lui punta ad ottenere be nefici economici nell’immediato per cercare di tamponare la situazione e il malcontento. In via straordinaria ha anche deciso di procedere a un ulterio re aumento del 30% del salario mini mo, portato a 5.500 lire turche (pari a 330 dollari) a partire dal 1° luglio, do po un primo rialzo del 50% operato lo scorso dicembre. Queste misure però non risolvono i problemi strutturali del Paese».
Intanto nel vicino Iran – da cui
In difesa della famiglia tradizionale
«Danneggia i valori della famiglia tra dizionale e incoraggia il divorzio». Con questa spiegazione, nel marzo 2021, la Turchia di Recep Tayyip Erdogan si è ritirata dalla Convenzione di Istanbul, il primo trattato internazionale contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, scatenando prote ste e attirando le critiche della comuni tà internazionale. Qual era il significato di quel passo indietro deciso dal presi dente turco?
Ce lo aveva spiegato Valeria Giannot ta, direttrice scientifica dell’Osservato rio Turchia del Centro studi di politica internazionale di Roma («Azione» del 29 marzo 2021): «Nel 2011 la Turchia di Erdogan, in quel momento premier, è stata la prima Nazione a firmare la Con venzione di Istanbul. Il panorama politi co turco era diverso da quello attuale: l’Akp, il partito di Erdogan, non aveva ancora assunto una posizione predo
minante e in Parlamento resistevano elementi di forte impronta laicista e ke malista (da Kemal Atatürk, il fondatore della Turchia moderna, ndr.). Allora il Pa ese stava implementando una serie di riforme d’impronta liberale, apprezza te dall’Occidente, anche nell’intento di avvicinarsi all’Europa». L’esperta ricor dava che già nel 2005 si erano avviate le trattative per l’adesione della Turchia all’Ue, ma si sono arenate in fretta. Nell’ultima decina d’anni l’Akp si è tra sformato. Nato nel 2001 come «parti to pigliatutto», riuniva componenti più o meno tradizionaliste e si poneva co me movimento di centro-destra al ser vizio del popolo, con un programma di democrazia conservatrice. «Dal 2011 ha accentuato la sua tensione nazio nalistica e la logica autoreferenziale di Erdogan che già all’epoca mirava a un programma presidenziale». Col passa re del tempo quest’ultimo e il suo parti
arrivano in Turchia consistenti flus si turistici – sta prendendo corpo una decisa protesta che vede in prima fi la le donne, dopo l’uccisione di Mah sa Amini (leggi articolo a pagina 25).
«Non credo che il movimento possa coinvolgere la Turchia su vasta scala –osserva l’intervistata – ma non esclu do che nel Paese continuino le mani festazioni di solidarietà nei confronti delle iraniane. Proteste consistenti, ad Ankara e dintorni, ci sono state l’an no scorso quando la Turchia si è riti rata dalla Convenzione di Istanbul, il primo trattato internazionale contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, poiché – per le au torità – danneggia i valori della fami glia tradizionale».
Il modello ideale di donna evoca to da Erdogan rimane quello di madre di numerosi figli e angelo del focola re nonostante il Paese si stia evolvendo e un certo processo di emancipazione femminile sia iniziato. Vedremo cosa ci riserverà il futuro. «Potrebbe essere un futuro senza il presidente Erdogan. Sta adesso alla capacità delle opposi zioni – un fronte molto eterogeneo, con partiti di estrazione e idee diver se – di attrarre consensi, presentandosi come un’alternativa credibile. Sarà una bella sfida».
L’autrice del saggio ha ragione nel porre al centro del problema del la Turchia l’opposizione tra il kema lismo giacobino dei fondatori della Repubblica (1923) e l’Islam politico di Erdogan, l’uomo che domina il Pae se dal 2003. La rivoluzione kemalista (da Kemal Atatürk) ebbe «similitudi ni con lo spirito che fu della Rivolu zione francese», tra le quali «l’affer mazione della sovranità nazionale». Secondo Rita Scotti, come già nell’e sperienza rivoluzionaria francese, an che in Turchia l’Assemblea nazionale diventa espressione di un sistema mo nopartitico autoritario.
Queste sono «le frecce del kemali smo»: «repubblicanesimo, secolari smo, nazionalismo, statalismo, popu lismo, rivoluzionarismo». Kemalismo che porta una concezione dogmati ca della Nazione turca, dove non c’è spazio per il «riconoscimento giuridi co di gruppi etnicamente diversi» co me curdi o armeni. Da questa visione radicale dell’élite kemalista – un pro getto di trasformazione culturale del la Turchia nel tentativo giacobino di «creare» il cittadino turco – scaturisce anche il massacro degli armeni, che questi ultimi ricordano «come l’A ghet (la catastrofe)». Al radicalismo kemalista si oppone l’Islam politico di Erdogan, contrasto che sottolinea «l’assenza di una identità condivisa» in Anatolia.
to hanno assunto posizioni sempre più dominanti nel panorama politico turco, marginalizzando gli avversari. Si sono poi susseguite diverse crisi: dalle grandi proteste del 2013 contro l’autoritarismo, duramente represse dal Governo, al tentato golpe del 2016. Tutti avvenimenti che hanno reso sem pre più evidente il piano accentratore di Erdogan che nel 2014 era diventato presidente. «Ora tutto passa dalla sua persona mentre il legame che prima aveva con la base della società turca si è sfaldato».
E, paradossalmente, già con l’avvio del sistema presidenziale l’Akp ha ini ziato a perdere consensi. Tanto che in occasione delle elezioni del 2018, per ottenere la maggioranza dei voti in Par lamento, Erdogan ha dovuto stringere alleanze con le componenti più conser vatrici della società, portatrici di visioni tradizionali della donna e della famiglia.
Una parte del saggio è dedicata all’a zione politica internazionale del pre sidente turco, i cui rapporti con lo Stato ebraico non erano buoni. Er dogan commenta aspramente l’ope razione «Piombo fuso» (lanciata da Israele contro Gaza nel 2008, con l’uccisione di oltre 1300 palestinesi). Nel 2010 i rapporti di Erdogan con lo Stato ebraico peggiorano quando una flottiglia disarmata diretta ver so Gaza «per portare aiuti umanita ri, è assaltata in acque internazionali da forze navali israeliane che causa no 9 morti e circa 60 feriti. A seguito di questi eventi il presidente Erdogan non esita a dichiarare Israele una mi naccia per la pace della regione». Ten tativi di riconciliazione tra i due Stati si verificano nel 2016 e nel 2022 solo dopo scuse ufficiali israeliane. La Turchia fa parte della Nato dal 1952, il suo esercito è uno dei più forti dell’Alleanza, ma i suoi rapporti con la Grecia (altro membro Nato) non sono distesi. Anche le relazioni con gli Stati Uniti hanno subìto un pro gressivo deterioramento, soprattut to a causa del vero o presunto coin volgimento statunitense nel golpe del 2016. L’allontanamento di Ankara dagli Usa coincide con un certo avvi cinamento alla Russia e alla Cina (la quale tuttavia tormenta gli uiguri di etnia turca nello Xinjiang), nonché a una crescente ingerenza «nelle vicen de della regione autonoma del Kurdi stan del nord».
Per quanto attiene al problema in terno turco (l’opposizione tra il gia cobinismo kemalista e l’islamismo di Erdogan) l’autrice è molto informa ta e aggiornata. Da notare però che il saggio è stato pubblicato nel giu gno 2022. Gli eventi di luglio – so prattutto il Patto di Istanbul che ha sbloccato i porti ucraini – hanno ri portato Erdogan al centro della sce na internazionale (grazie anche alla necessità dei Paesi europei di trovare fonti energetiche alternative a quelle russe). Di conseguenza alcune delle analisi di Rita Scotti dovranno essere aggiornate.
Romina Borla Ankara ha relazioni molto strette con Mosca a livello economico ed energetico. Erdogan e Putin a Samarcanda lo scorso settembre. (Shutterstock) La Turchia di Erdogan, Va lentina Rita Scotti, Il Mulino, giugno 2022 di Paolo A. DossenaMASSIMO IMPEGNO CONTRO
IL CANCRO AL SENO
In bicicletta, a piedi o con i pattini in linea: scegli il tuo percorso preferito tra le oltre 100 tappe della Pink Ribbon Route.
In questo modo farai qualcosa di buono per la prevenzione della tua salute: l’esercizio fisico regolare può infatti ridurre il rischio di tumore al seno
Da 15 anni, Pink Ribbon Svizzera si è data il compito di sensibilizzare la popola zione sul tema del cancro al seno. Il nastro rosa – da cui il nome «Pink Ribbon» – è uti lizzato in tutto il mondo co me simbolo per attirare l’at tenzione su questa malattia. L’esercizio fisico regolare può ridurre il rischio di ammalar si. Non importa quale sport si scelga e quanti chilome tri si percorrano: tutti pos sono partecipare alla «Pink Ribbon Route» per dare un segno di solidarietà. La cam minata di beneficienza esiste dal 2014 e offre più di 100 tappe proposte su un trec ciato di 4.500 chilometri, che possono essere percor se a piedi, in bicicletta o con i pattini in linea. In questo modo, chiunque partecipi per solidarietà contribuisce a richiamare l’attenzione sul problema del cancro al seno e allo stesso tempo fa qual cosa di buono per la propria salute. schleifenroute.ch (in tedesco)
Da Aarau a Schinznach-Bad Dopo 15,2 chilometri di escursioni attraverso la fauna e la flora dell’Argovia, i bagni di Schinznach offrono un rilassamento completo.
Foto e illustrazioni: Images PINKRIBBON SVIZZERAIntorno
all’aeroporto di Zurigo
Il circuito di pattinaggio in linea di 31,5 km intorno all’a eroporto è adatto a famiglie, pattinatori tranquilli e pattinatori veloci: sulle am pie strade c’è spazio per tutti.
SOLIDARIETÀ
La Migros s’impegna attivamente a questo riguardo: acquistando questi prodotti, una parte del ricavato sarà devoluta all’organizzazione Pink Ribbon.
Da Berna a Thun
Il percorso lungo poco più di 30 chilometri richiede circa due ore e mezza in modalità divertimento. Prima del tour
è importante pianificare un po’ di tempo per Berna: la capitale val bene una visita.
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Phalaenopsis
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Mirtillo, vegano, senza glutine
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Fonduta rosa Octobre Rose*, 600 g Fr. 15.95
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Sushi Fr. 16.50
2.– donati
maggiori filiali
Che si dice mentre tuona Nelle sue poesie uscite per Marcos y Marcos Thilo Krause ricompone piccole e grandi cesure del proprio passato in una univoca dimensione
Pagina 39
Il Maestro approdato a Vico Morcote Marco Armiliato, tra i nomi più celebri della direzione d’orchestra contemporanea, racconta i suoi esordi e le grandi voci con cui ha lavorato
Pagina 41
Jean Arp, il pastore delle nuvole
Sogno o son desto? Il divertissement onirico di Hans Tuzzi e la performance di Laura Curino animano con successo la prima serata di «Esplorare il Sogno»
Pagina 45
Mostra ◆ La sua poetica, il sodalizio con Sophie e Marguerite al centro dell’esposizione che festeggia due anniversari importanti
La mattina del mio arrivo alla Fonda zione Marguerite Arp di Solduno ad accogliermi ci sono le nuvole. Un sof fice e danzante banco vaporoso che mi avvolge, passa e ritorna. Come se dal la collina del giardino delle sculture ci fosse qualcuno che di primo mattino e di buona lena pompasse nuvole in grande quantità per il piacere dei vi sitatori. Per un momento immagino di vedere la Edelfrau, la nobildonna, del testo di Jean Arp Auch das ist nur eine Wolke (Anche questa è solo una nuvola, Vineta-Verlag), che sorriden te pompa nuvole nei sacchi di pelle e di pietra. In verità la magia è opera dello Studio Nephos ed è pensata per far immergere le persone nel tema e nell’atmosfera dell’esposizione. «Sono nato in una nuvola», così scrisse Jean Arp nella sua poesia Configurazione strasburghese del 1932 e non ci potreb bero essere parole più adatte per tito lare lo spirito di questa mostra. All’i stante riecheggiano in noi i versi dei romantici Wordsworth «Vagavo so lo come come una nuvola» (Daffodils, 1804) e Percy Shelley «Noi siamo co me nuvole che velano la luna a mezza notte; così irrequiete sfrecciano, e sfa villano, e fremono, striando l’oscurità radiosamente!» (Mutevolezza, 1816). O la Wolkendichtung, l’immensa po etica delle nuvole di Goethe, se solo pensiamo al Prometeo dello Sturm und Drang «Copri il tuo cielo, Giove, col vapor delle nubi! E la tua forza eserci ta, come il fanciullo che svetta i cardi, sulle querce e sui monti!».
Jean Arp era affascinato dall’idea di libertà, di leggerezza, dall’assen za di peso, dalla capacità di trasfor mazione e di mutevolezza delle nuvo le che nella sua arte traduce nelle più disparate associazioni. La nuvola non è semplicemente un elemento del pa esaggio ma diviene un’entità centra le autonoma e vera protagonista del le sua opera. «Se guardiamo a tutta l’opera di Jean Arp, sia quella poeti ca, sia quella artistica, vediamo che dall’inizio la nuvola è un tema predi letto. Il primo dipinto che si conosce di lui è un piccolo olio di una nuvola di quando aveva 18 anni. Fino agli an ni della maturità il tema torna sempre con tecniche diverse. Lui, ma anche Meret Oppenheim, Magritte o Cal der erano profondamente affascina ti dalle nuvole» racconta la curatrice e direttrice della Fondazione Simona Martinoli.
La mostra però non racconta sol tanto le nuvole di Jean Arp, omaggia anche Sophie Taeuber e Marguerite Hagenbach. Proprio quest’anno ri corrono, infatti, due anniversari im portanti: i 100 anni dal matrimonio tra Jean e Sophie e i 120 anni dalla nascita della creatrice della Fondazio ne. L’idea – riflettendone la vita – «è quella di raccontare e sottolineare il profondo legame tra queste tre perso
nalità straordinarie che hanno segna to la storia dell’arte e del collezioni smo del XX secolo».
Proprio per questo una delle quat tro pareti della sala espositiva è dedi cata a loro tre, ai due artisti del Nove cento e alla collezionista e fondatrice Marguerite. Tra gli altri c’è l’omaggio di Sophie «pour Marguerite Hagenbach en signe d’amitié» oppure l’omaggio di Jean La terra eterna per la mia Margue rite «un’opera molto poetica, un glo bo terrestre con dei confini di fantasia tracciati con questa linea particolare, la “linea sismica” per via dei contorni dall’andamento tremolante che deri va dai papier déchiré, una tecnica che Arp utilizzava molto. Quando faceva i collage ritagliava le forme con le forbi ci ma era così ossessionato dalla perfe zione dei contorni che un giorno iniziò a strappare la carta. Un atto per lui li beratorio con il quale dava vita a questi contorni frastagliati che poi riportava anche su carta nel disegno e nell’opera grafica». Altra cosa interessante – mi fa notare Simona Martinoli – è la for ma del cerchio. «Praticamente non si trova mai in Arp che amava la forma dell’ovale, il richiamo alla natura or ganica, l’uovo e la vita. Una forma che lo intrigava moltissimo mentre non sentiva sua la perfezione geometrica». Forme perfette che ritroviamo invece in Sophie Tauber e nella gouache su carta dal titolo Composition dans un cer cle in cui vediamo un cerchio iscritto in un rettangolo non centrato ma un po’ rialzato. Sembra uno squarcio nel cielo, una cupola aperta in cui si af facciano dei personaggi. «Guardan do quest’opera una studiosa l’ha subi to associata alla Camera degli Sposi del Mantegna. Associazione non del tut to improbabile perché la composizio ne è del 1938 e proprio in quel periodo, quando Sophie e Jean abitavano a Pa rigi, al Louvre si era tenuta una confe renza dedicata al Mantegna».
In particolare la serie di omaggi in mostra sottolineano la grande e forte amicizia che legava queste tre grandi personalità.
A risaltare nello spazio espositivo è la parete centrale di colore azzurro che subito, entrando, si rivela ai no stri occhi. Su di essa si stagliano for ti e poetiche le opere di Jean Arp e di Sophie Taeuber. Risalta la grande scultura in gesso, la Foglia che si ripo sa leggera e mobile. Sulla parete cam peggia in bianco anche il titolo della mostra e una strofa della poesia da cui è tratto, componimento che ritrovia mo nel dattiloscritto originale in te desco «Jean scriveva sia in tedesco che in francese, per l’occasione abbiamo fatto tradurre la prima strofa in italia no a Vanni e Sandro Bianconi».
Mi colpisce la nuvola sospesa rac chiusa in una vetrinetta, si chiama Wolkenschale (La coppa delle nuvole) e si tratta di «un piccolo modello di
cui esiste un’opera molto più grande in marmo di Peccia all’Università di Bonn. Uno di quei lavori d’arte pub blica nati dalla collaborazione con ar chitetti che esprime la modernità di Arp e la sua capacità di parlare anche al pubblico di oggi».
Arriviamo alla grande finestra, unico punto luce naturale che si pa lesa come uno squarcio nel cielo. Co me non ci fosse, si ha la sensazione di poter uscire direttamente in giardino dove le nuvole continuano a viaggia re leggere. Proprio qui c’è una scul tura in bronzo rivolta verso le nuvole «un’opera molto speciale con questa forma, da un lato, quasi arrotonda ta che ricorda un insetto, dall’altro è caratterizzata da tagli netti che sono in forte contrasto e ricordano un tele scopio che guarda fuori». In mostra è forte il riferimento alle nuvole ma ci sono anche richiami agli astri, alle co stellazioni, a tutto ciò che è nel cielo.
Non manca la parte documenta ristica che arricchisce la mostra con «chicche d’archivio» che aiutano a contestualizzare le opere ma anche a tessere le fila di momenti importanti della vita dei tre. Si dice che sui ver si di Wolken (nuvole), poesia onoma topeica di Hugo Ball «Sophie Taeu ber abbia danzato alla Galerie Dada a Zurigo nel 1917». Meret Oppenheim nel 1954 scrive ad Arp una cartolina da Yverdon: «Il tuo pastore delle nu vole è magnifico e così l’intera mo stra». Quest’opera è ritratta anche nelle splendide foto di Ernst Schei degger che mostrano Arp mentre la vora al modello realizzato originaria mente in gesso e poi fuso in bronzo per essere poi collocato all’Università di Caracas.
Finiamo tornando al principio, ci sono anche i dattiloscritti originali e tra questi la poesia Wolkenpumpe (la pompa delle nuvole) «Arp non scri
veva quasi mai a mano, Marguerite batteva a macchina per lui. Il testo fa parte di una raccolta di poesie che ab biamo in archivio, un esemplare par ticolare rivestito con una copertina di carta da pacco dipinta da Arp».
Una bella occasione per scoprire gli scritti di Arp è il finissage della mostra dal titolo Jean e Sophie: cento anni di matrimonio sabato 22 e domenica 23 ottobre. Nel pomeriggio alle 15:30 ci sarà la visita guidata alla casa atelier di Jean e Marguerite e alla mostra Les amis, a seguire la lettura di testi suoi e di Sophie Taeuber-Arp in italiano e tedesco (iscrizioni su prenotazione).
Dove e quando
Sono nato in una nuvola, Spazio espositivo di Via alle Vigne 46 Locarno-Solduno: fino al 30 ottobre 2022; do 14.0018.00; tel. +41 91 751 25 43 www.fondazionearp.ch
Giardino Ronco dei Fiori con l’installazione Nuvole dello Studio Nephos, la Ruota-foresta, granito belga (1961) e Essere alato, bronzo (1961). (@Fondazione Marguerite Arp, Foto Simona Martinoli) Natascha FiorettiVoce poetica aperta allo stupore
A spasso fra Turingia e Sassonia gli scrittori della generazione di mezzo della ex Rdt, ormai sessantenni, ci hanno offerto dopo la caduta del Mu ro di Berlino nuovi paesaggi. Günter Grass, a suo tempo, nel diario Da una Germania all’altra evocava l’atmosfe ra un po’ irreale di Lipsia o la stazio ne di Dresda, fra sagome carnascia lesche, inquietanti come i fantasmi di Emsor. Più tardi Ingo Schulze ci ha raccontato in Vite nuove la crisi di identità del nuovo soggetto tedesco e nel suo ultimo romanzo, La rettitudi ne degli assassini, rievoca intensamente la città di Dresda, dov’è nato nel 1962 e molti angoli della Sassonia, così co me Uwe Tellkamp nel fortunato ro manzo La torre, un’epopea negativa che ribalta l’idea della provincia pe dagogica, ci ha introdotto nei quar tieri residenziali della città sulle pen dici dell’Elba, tra passato e presente.
Anche da Zurigo arriva ora aria dell’est impregnata di vecchia pro vincia sassone grazie alla raffinata traduzione di una scelta di poesie di Thilo Krause, Che si dice mentre tuo na, a cura di Roberta Gado, autri ce altresì di una vivace postfazione. Tre sono le raccolte pubblicate fra il 2012 e il 2018, da cui sono tratte le li riche di quest’antologia, il cui autore nato a Dresda nel 1977 e cresciuto in un paesino lontano dal capoluogo, ha conseguito un dottorato in ingegne ria economica all’università di Zurigo diventando infine responsabile del le strategie di investimento nella rete elettrica municipale della città.
Strano percorso per un poeta come lui aperto allo stupore, le cui imma gini sono un condensato di emozio ni. Del resto all’ubiquità si è abituato da tempo: fra professione e scrittura, fra lontani ricordi familiari nel paese
di Ulbricht e un presente svizzero di cui ha raccontato a lungo nel secon do volume di poesie del 2015 Per la sciar le cose intatte, fra la lingua tedesca delle origini e dei suoi testi letterari, la sua quotidiana versione zurighese, che parla anche con i figli, e l’italia no della moglie Sabrina e dei suoceri emigrati in Svizzera.
Ma proprio nei suoi versi, che dan no spesso voce a momenti quotidia ni, Krause sembra ricomporre picco le e grandi cesure del proprio passato in una costante, univoca dimensio ne: ritrovare una sostanza, un’identi tà che unisca nel segno della parola, fuori dal tempo, le molte sfaccettature del destino. Non è una curiosità ide ologica né una riflessione storica, ma uno sguardo rivolto al naturale scor rere dell’esistenza pur nel ricordo di un passato che ha traumatizzato ge nerazioni fra guerre e contrapposizio ni politiche.
La sua voce richiama con grazia inconsueta immagini familiari, sen sazioni lontane eppure ancora deste come di chi fin da bambino ha spiato i riflessi della natura cogliendo «globuli di luce che il vento/ lucida sparpaglia e raccoglie», come nella poesia Notizie da casa. E insegue la propria immagi ne d’un tempo: quel monello fannul lone a zonzo per la campagna, la testa sprofondata nei prati in un paese che «s’incurva verso il mondo» o accan to ai nonni tra vecchie foto di fami glia, mentre in lui tutto ribolle «sulla superficie ferma delle vacanze». È un intrecciarsi d’immagini che fissano i contorni di un tempo quasi magico per lo scrittore alla ricerca di sé stes so: il fruscio del granoturco nella ca lura, il fumo della fornace, le strade di sabbia, la cava d’argilla, il cortile tra i versi della poesia L’unico luogo intor
no. «Non agitarti», dice Krause a quel bambino in preda a mille emozioni, «il mondo regge ancora/ancora è la notte/tonda, tonda, tonda…». Come il Viandante sul mare di nebbia (cita zione dal dipinto – quello della foto – di Caspar David Friedrich, 1818) il poeta guarda lontano, gli occhi striz zati, verso i frammenti occultati dagli
anni, dove i paesi vaporano tra i cam pi e non resta che una felce, frusciante e calda, a svelare quel mondo.
La poesia di Krause è immersa nella quotidianità che trasforma, at traverso immagini, metafore, figure originali e intense in un universo di incalzanti fantasie estranee a qualsiasi retorica, anche quella del passato e del
Antonio Rossi, scompaginatore di carte
Pubblicazione/2 ◆ I versi del poeta ticinese spiegati nel saggio dello studioso Maurizio Chiaruttini
Daniele BernardiCome già suggerito in passato su queste pagine, ad alcuni la poesia del ticinese Antonio Rossi sembrerà ter ritorio impervio o, addirittura, me ro esercizio linguistico fine a sé stes so. Ai lettori sensibilmente attenti questa si manifesterà invece con la medesima, concreta evidenza che lo studioso Maurizio Chiaruttini ha sa puto mettere in risalto nel suo recente saggio La diffrazione. Sulla poesia di Antonio Rossi (Mimesis, 2022).
Primo libro – fanno eccezione al cune pubblicazioni a carattere uni versitario, così come testi apparsi in volumi o su periodici di settore – in tegralmente dedicato a uno degli au tori più originali del panorama el vetico contemporaneo, l’indagine di Chiaruttini si prefigge lo scopo di sottrarre «alla dimensione di pura autoreferenzialità cui è stata spesso ricondotta» la centellinata produzio ne del poeta.
Infatti, dopo la pubblicazione del la sua prima raccolta – Ricognizioni, edita da Casagrande nel 1979 con una nota di Giovanni Raboni – Ros
si seppe subito tradire le pacificanti aspettative di coloro che intrasenti vano nella sua voce, se non un pro sieguo, almeno una eco della cosid detta Linea Lombarda. A partire da Diafonie (Scheiwiller, 1995), silloge
che vide luce sedici anni dopo l’esor dio (alcuni testi apparvero prima nel la pubblicazione Glyphé del 1989) egli scompaginò le carte dimostrando che alla dimensione vagamente narrati va della sua opera prima sottostava no «forze altre», meno rassicuranti, pronte ora a farsi protagoniste.
Le «nuove» poesie di Rossi, in trodotte per l’occasione da un saggio di Stefano Agosti, si caratterizzava no innanzitutto per la singolarità del costrutto. Veri e propri marchinge gni articolati, frammentati, esse era no in prevalenza costituite da mate riali apparentemente slegati gli uni dagli altri, eterogenei, il cui unico collante pareva essere appunto l’in treccio. Valga qui, come esempio, il componimento di apertura del li bello: «A esteriori un poco / predaci percorrenze conducono ora più che / carboni sfrigolanti o un tessuto inci so in verticale ma non / gravemen te una prima inversione, una fattezza / poi esigua fino al quasi / soffocare e, se caso, l’oscillante / profondo e / una diffrazione, un immobile / fiato
e, nel folto, il profilo, lo strato / non più tangibile».
Come ben segnala Chiaruttini, vediamo che in questo inizio le figure sono tutte «a bassa densità connota tiva». «Fatta eccezione per i “carboni sfrigolanti” e l’ossimorico “immobile fiato”», le immagini rifuggono la col locazione nel senso condiviso in no me di una poetica che pare rompere col proprio passato. In realtà, Rossi non fa che esasperare peculiarità già in nuce nei suoi testi di stampo più pianamente descrittivo, dove l’amal gama di elementi quali rifiuti, resti e oggetti in abbandono indicava la strada che avrebbe condotto («preda ci percorrenze») a una zona in cui il significato comune è minato.
La diffrazione si interroga su que sto passaggio, così come sui suoi svi luppi, prendendo in esame le “so le” quattro pubblicazioni dell’autore (come già accennato, Rossi è poeta estremamente parco, il cui paziente operare distilla una media di quaran ta brani ogni dieci anni). E nel far lo mette in luce quale caratteristica
tempo perduto. È una storia di lon tananza, come dice in Postumo, dove i pensieri rivolti al passato riportano indietro imprevedibili, inedite sugge stioni. Non poco è legato anche al suo interesse per poeti di diversa area lin guistica come Wallace Stevens, Se amus Heaney o Tomas Tranströmer e gli italiani Quasimodo e Montale. Con quest’ultimo – nel suo discorso per il premio Peter-Huchel nel 2019 – ha detto di intrattenere idealmen te un dialogo in relazione non tanto a una poesia filosofica, che diffonda idee, ma alla ricerca di una verità pun tuale, come ricordò lo stesso Montale nell’Intervista immaginaria del 1946. E questa, nel suo caso, è spesso lega ta a un’idea di realtà ricca di infinite scoperte, anche nel gioco degli affet ti, sempre presente nei suoi versi, nel racconto coi figli per riconoscersi, co me suggerisce nella poesia Storie «in un lampo dentro la notte».
La leggerezza della poesia di Krause non ha nulla di déjà vu, per ché le immagini sembrano proveni re da strane lontananze, dalla gioia dello stupore. All’origine c’è anco ra la fascinazione del mondo sasso ne dell’infanzia, le molte suggestioni della natura d’allora pur ridimensio nate da una vita all’insegna dell’ap prendimento e del sapere, come ricor da la traduttrice nel suo testo finale. Strano e affascinante quest’ingegnere che osserva la realtà con lo sguardo di un rigoroso sognatore, ma ne coglie i contorni più problematici, non senza una punta di malinconia e infinito en tusiasmo per ogni attimo di vita.
Bibliografia
Thilo Krause, Che si dice mentre tuona, Marcos y Marcos, Milano, 2022.
centrale il collocarsi in una zona di rischio, di abbandono del «cerchio familiare» in direzione di «un uni verso» la cui «condizione ontologi ca ed esistenziale» è «il disancorag gio, cioè la mancanza di stabilità e di protezione».
Scopriamo così quanto questa po esia sia segnale non di letterarietà o malinconica avanguardia, ma di co stante minaccia all’ordine della tota lità che regola il nostro orientamento nel mondo: Rossi, usando una me tafora, si colloca nel punto in cui la lastra si rompe per camminare a fi lo dell’acqua, sul ghiaccio che scivo la. Il suo sguardo è fisso sulla spac catura e ne percorre il bordo, come a ricavarne il rilievo con un colpo d’oc chio per poi, successivamente, defi nirne i colori e la varietà delle forme esposte attraverso un processo di cri stallizzazione. Un cammino inquie to, quindi, che per autenticità e ca pacità d’invenzione fa sì che questo poeta appartato, studioso e tradutto re dell’amato Robert Walser, sia fra i più certi della propria generazione.
quella di Thilo Krause di cui Marcos y Marcos ha pubblicato una raccolta di poesie Luigi Forte«L’esperienza più incredibile che potessi vivere»
Enrico ParolaSe il LAC ha riportato la lirica sulle sponde del Ceresio, le bellezze lacu stri hanno attirato uno dei diretto ri d’opera più acclamati e richiesti al mondo: Marco Armiliato ha da po co preso casa a Vico Morcote, il suo porto quieto nel frenetico viaggiare tra Europa, Asia e America per di rigere nei teatri più importanti del pianeta. Un caldo e tranquillo pome riggio di fine estate è l’occasione per ripercorrere la sua parabola artistica.
Maestro, quando ha mosso i primi passi sulla via della musica? Sinceramente non ricordo, avevo tre anni, quindi devo affidarmi a quan to mi ha raccontato mia madre, con l’attendibilità e la precisione storio grafica che ci si può attendere da una mamma che stravede per suo figlio. Avevo tre anni e papà, grande aman te della musica, aveva deciso che mio fratello maggiore dovesse imparare il pianoforte. Mentre andavamo verso il negozio ascoltavamo nell’autoradio la sonata Al chiaro di luna di Beetho ven; beh, pare che mentre mio fratel lo stesse scegliendo tra i vari modelli io mi mettessi a un pianoforte, cer cassi sui tasti i suoni corrisponden ti e poi riuscissi a suonare l’inizio del Chiaro di luna; che non è difficile, ma per un bambino di tre anni che non conosce le note né la tastiera non è male. L’esercente consigliò di farmi studiare, i miei non ebbero esitazio ni e io meno di loro. E qui arriva no i miei ricordi: modestia a parte, me la cavavo piuttosto bene, amavo il grande repertorio da Mozart ai ro mantici fino a Rachmaninov, il No vecento più ardito sinceramente non mi piaceva.
Se era così promettente come pia nista, perché passò al podio?
Perché mi accorsi subito che più che star da solo su un palco davanti alla gente, adoravo fare musica assieme ad altri; in conservatorio ero l’accom pagnatore di tutti: fagotto o violino, flauto o tromba, e poi trii, quartetti, ogni genere di ensemble. Mi diverti vo come un matto.
Il direttore sogna di essere Karajan o Abbado, affrontare le grandi sin fonie di Beethoven o Mahler; per ché puntare invece sull’opera, do ve sembra che a comandare siano i cantanti?
Perché adoravo l’opera, il genere pre ferito da mio padre e più ascoltato in famiglia. E le circostanze della vita mi hanno portato quasi senza che lo cercassi verso la lirica – solo per cinque stagioni sono stato a capo di un’orchestra sinfonica, in Giappone, ed è stata un’esperienza bellissima, forse perché unica nella mia carriera. Quanto al rapporto con i cantanti, una delle qualità di un bravo diret tore è quella di saper convincere gli altri che la propria idea è bella an che per loro.
E se non accade?
È un disastro. Mi ricordo di un Ri goletto a Monaco con un regista un gherese; siccome il tenore che imper sona il Duca di Mantova non aveva una voce molto potente, pretese che La donna è mobile fosse cantata non solo da lui ma da tutto il coro. In scena potete fare quello che volete, ma non toccatemi neanche una nota di Verdi, questo è un sacrilegio: an dai dal sovrintendente, che mi tacciò di scarsa collaborazione; non pote
vo accettare e ancor oggi mia moglie non vuole andare a Monaco per pau ra di incrociare quell’allestimento.
Tra i successi, ovviamente il più fragoroso e clamoroso fu l’espe rienza con i mitici Tre Tenori: José Carreras, Luciano Pavarotti e Pla cido Domingo.
Sì, senza dubbio l’esperienza più in credibile che potessi vivere musi calmente. Tutto era iniziato con la volontà di Domingo di festeggia re la guarigione dalla leucemia di Carreras; avrebbe dovuto essere un concerto a due, con Zubin Mehta e il Maggio Musicale Fiorentino. Però in Italia non si poteva esclu dere Pavarotti, per me il più grande di tutti, così i Due divennero i Tre Tenori; concerto-evento a Caracal la, per i Mondiali di calcio del 1990. Domingo e Carreras volevano fare una tournée, Pavarotti nicchiò e non se ne fece nulla. Una seconda volta fu per i Mondiali in America, 1994, stavolta sul podio c’era James Levi ne, che avrebbe diretto anche il terzo concerto, quello a Parigi per i Mon diali del 1998; qui sì con annessa tournée mondiale successiva.
E lei?
Io mi sono ritrovato nel progetto at traverso più vie. Da una parte co noscevo i tre tenori e avevo diret to dei loro recital, ma singoli. Nel frattempo il Metropolitan di New York, guidato da Levine, mi aveva scritturato per dei titoli da dirige re nelle stagioni successive; Levine è di Cincinnati e quando debuttai là con Turandot c’era sua mamma, che il giorno dopo lo chiamò per dirgli che l’avevo stregata e lui doveva as solutamente conoscermi. James ob bedì e come prima cosa mi chiese di aiutarlo a preparare il concerto dei Tre Tenori, visto che li avevo già ac compagnati nei loro recital, anche all’aperto. Dopo Parigi 1998 facem mo tappa a Melbourne, Levine non poté venire e all’ultimo mi toccò so
stituirlo; piacqui molto e mi chiese ro di dirigere il resto della tournée, anche perché costavo molto meno di Levine. Per me era un’occasione, ma come dirlo a Jimmy? Lo chia mai, dubbioso e tormentato, ma per fortuna lui era d’accordo e mi augurò ogni fortuna.
Che esperienza fu? Clamorosa, sotto ogni punto di vi sta. Luciano è il miglior tenore del la storia, per me anche un amico, un uomo generoso che amava ogni espressione della bellezza, dal ci bo – e guai se quando ti invitata non mangiavi tutto quello che ti mette va nel piatto! – all’arte, che amava circondarsi da belle persone; quando seppe che avrei diretto io i tre teno ri mi abbracciò felice. Lui con José e Placido erano davvero dei miti vi venti, il livello artistico era pazzesco, ma davvero unica era la dimensio ne ciclopica degli eventi, da pop star. Io da piccolo me la cavavo piuttosto bene a calcio, mi dicevano che avevo talento; forse non avrei mai potuto ritrovarmi a fianco di Messi, ma con i Tre Tenori ci esibimmo al Camp Nou, lo stadio del Barcellona; e poi Las Vegas, Montreal, l’unica volta al chiuso fu al Teatro Real di Madrid alla presenza del re.
Le più grandi voci con cui ha lavorato?
Tra gli uomini senza dubbio Pava rotti, tra le donne non ne saprei in dicare una tra Marilyn Horne, Ele na Obradzova e Olga Borodina… Stando sull’oggi, indicherei senza dubbio Anna Netrebko: fuoriclas se assoluta, una diva assoluta che giù dal palco non «se la tira» affatto ed è gentile con me come con l’ultimo dei costumisti.
Tanti teatri, a differenza dell’Are na, hanno annullato le opere con la Netrebko perché russa; e la so prana americana Angel Blue ha al contrario annullato la sua parteci
pazione a Verona perché Anna ha cantato Aida «colorata di nero», scelta che la Blue ha bollato co me razzista.
Due cose diverse e ugualmente as surde, e non serve aggiungere altro.
Lei, genovese, era abituato a ve
cote, guarda il lago: come si trova in Ticino?
Splendidamente. Stiamo parlando da un’ora all’aperto e non si è senti to ancora un rumore oltre alle nostre voci: una pace che ogni volta mi ri carica dai ritmi dell’«opera business»; e il Ceresio è stupendo: ogni gior
coordinamento di uno o più progetti anche contemporaneamente
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L’esplorazione del sogno
Spettacoli ◆ L’iniziativa promossa dal Comune di Manno festeggia il decimo anniversario con due originali serate a cavallo tra teatro e narrazione
Giorgio ThoeniIl successo di un’iniziativa si misura in base alla sua formula e al succes so che ne deriva. Esplorare il sogno, la manifestazione autunnale organizzata dal Comune di Manno, raggiungen do il suo decimo anno di vita, compre so l’inciampo pandemico e può ormai considerarsi fra gli appuntamenti che si distinguono dopo l’abbuffata estiva. A partire dagli ingredienti principali che ne costituiscono l’originalità: l’incon tro con un autore letterario di spessore, una parentesi gastronomica e l’appen dice teatrale. Per celebrare l’anniversa rio, la Sala Aragonite ha recentemente accolto un numeroso pubblico, certa mente richiamato da personaggi che avrebbero animato l’occasione.
A partire da Hans Tuzzi, prolifico e raffinato autore di gialli e saggi de dicati alla bibliofilia, critico letterario e affabile oratore. Il suo eclettismo ha trovato la serata giusta per esprimer si al meglio nell’incontro condotto da Fabrizio Quadranti, già creatore e or ganizzatore di Tutti i colori del giallo Apparentemente una combinazione perfetta per chi si aspettava approfon dimenti sul tema del giallo. In realtà Tuzzi, complice Quadranti, ha utiliz zato il tema del sogno come pretesto per un’affascinante scorribanda, farci ta di colte citazioni e dotti riferimenti, lungo una traiettoria dove la letteratu ra si è nutrita della dimensione oni rica. Già a partire dai poemi omerici che, oltre a contenere già tutti gli in gredienti della narrazione, presenta no chiari riferimenti al sogno. Come all’inizio del secondo libro dell’Iliade dove Zeus manda ad Agamennone un sogno menzognero e ingannevole che finirà col coincidere con l’inizio della guerra di Troia. È la base di tutte le storie letterarie dell’Occidente. Il so gno, spiega Tuzzi, rende la realtà più vera, autentica, decifrabile.
Da Shakespeare a Levi Strauss, che diceva che i sogni parlano fra lo ro. Dalle città come sogni di Calvino al Sogno di Leopardi nel ricordo di una ragazza morta. Dal sogno di Gonzalo Pirobutirro, personaggio centrale nella Cognizione di Gadda, proiezione della figura materna, agli incubi di Füssli fi no ai fiumi sotterranei di Kafka nella contrapposizione tra uomo moderno e mondo ebraico. Esistono anche di cotomie simili fra sogno e incubo sia nella letteratura classica e moderna sia nel giallo, dove il confronto tra bene e
male ci mostra la sua rappresentazione più estrema.
Potremmo continuare a lungo nel riferire sul piacevole divertissement onirico di Hans Tuzzi, una persona lità di successo che farà il paio, il 7 ot tobre prossimo con Maurizio Di Gio vanni, un’altra prestigiosa presenza in ambito giallistico, chiamata a sotto lineare il decimo anniversario di una manifestazione nata fra parole, sapori e spettacolo.
Dopo il tradizionale buffet, questa volta a tema piemontese, la serata è sta ta siglata da Laura Curino (nella foto) con la lettura interpretata de La diva della scala, un testo autobiografico già di qualche anno fa ma sempre avvin cente grazie alla collaudata bravura e empatia dell’attrice.
Creato nel 2014 con Alessandro Bigatti, lo spettacolo è il racconto dei primi passi sulla scena della Cu rino fino alla sua consacrazione: una sorta di monologo a più voci dove la dirompente teatralità dell’artista to
rinese incontra riflessioni legate all’at tualità di una professione sempre dif ficile, faticosa e impegnativa, ancora avvolta nell’ignoranza di chi non ri spetta le necessità dello spettacolo, a partire dagli spazi, gestiti da una so cietà più sensibile a esigenze di mer cato che a tutela dell’arte. È stata una lettura a leggìo alleggerita dall’energia della Curino, davvero in gran forma e felice di tornare a raccontarsi attra verso i ricordi dei suoi inizi, con ironia e con una punta di intelligente sarca smo ricordando situazioni e tipologie del mondo dello spettacolo che, tutto sommato sono rimaste immutate. Pal pabile la soddisfazione della platea di Manno in attesa della chiamata di un altro prestigioso giallista, Maurizio Di Giovanni. In scena fra pochi gior ni, sullo stesso palco.
Dove e quando Esplorare il sogno, Sala Aragonite, Manno. 7 ottobre 2022, ore 20.30. www.manno.ch
Turarsi il naso
Storia ◆ La teoria del voto utile affonda le proprie radici nella Roma antica
Elio MarinoniDurante la campagna elettorale la di rigenza del PD ha fatto ripetutamente appello alla teoria del «voto utile», allo scopo di evitare la dispersione dei suf fragi di orientamento progressista a fa vore di questo o quel partitello. Analo gamente, alcuni intellettuali e politici, pur esprimendo forti riserve nei con fronti della linea politica portata avanti da Enrico Letta, avevano invitato l’e lettorato a votare quel partito «turan dosi il naso», riesumando la colorita espressione con cui Indro Montanelli nel 1976 invitò gli Italiani a dare il pro prio sostegno alla DC, allora partito di maggioranza relativa, per impedire che andassero al potere i comunisti, da lui fieramente avversati.
Un comportamento di questo ti po trova un precedente nella storia di Roma antica.
Siamo nell’estate del 64 a.C.: al le elezioni consolari per il 63 a.C. ri sultano eletti Marco Tullio Cicerone (v. immagine) e Gaio Antonio Ibri da, mentre subisce una nuova sconfit ta il candidato dei populares (il «partito democratico»), Lucio Sergio Catilina. L’elezione di Cicerone, un homo novus (potremmo dire: un outsider) originario di Arpino (una località del Lazio me ridionale), è il frutto di un’ampia coa lizione da lui abilmente coagulata at torno al proprio nome ingigantendo ad arte i timori di una deriva estremista nel caso in cui Catilina, il patrizio de caduto, fosse risultato eletto.
La stessa strategia del male mino re sarà messa in pratica e lucidamen te difesa da Cicerone, tra il 61 e il 60 a.C., di fronte a un caso di corruzione di giudici appartenenti all’ordine eque stre (cioè al ceto imprenditoriale e fi nanziario di cui facevano parte i pub
blicani, appaltatori privati dell’esazione delle imposte e dell’esecuzione di lavori pubblici), la cui alleanza con i senato ri era ritenuta fondamentale dall’orato re. In due lettere indirizzate all’amico Attico, Cicerone informa dapprima di avere fatto pressioni sul senato, di cui era membro autorevole, per evitare l’a pertura di un’inchiesta a carico dei giu dici corrotti; successivamente, che l’in chiesta era stata infine approvata grazie soprattutto alle insistenze di Marco Porcio Catone, bisnipote del Censo re e altrettanto inflessibile. Questi, nel suo massimalismo, non sapeva distin guere – afferma Cicerone – tra le ide alità politiche e le concrete contingen ze in cui ci si trovava allora a operare, che erano quelle di una repubblica ago nizzante e di una classe dirigente dege nerata («Non si può trovare un politico di vaglia nemmeno per sogno», scrive sconsolatamente ad Attico in un’altra lettera dello stesso periodo: Lettere ad Attico, I, 18, 6). Ecco come si esprime Cicerone dando prova di una spregiu dicata Realpolitik: «il nostro amico Ca tone, con le migliori intenzioni ed as soluta lealtà, talvolta nuoce allo stato; espone infatti la sua opinione come se ci trovassimo nella Repubblica di Pla tone, non nella feccia romulea». E ag giunge: «C’è qualcosa di più giusto del rinviare a giudizio chi ha ricevuto denaro per accomodare una senten za? Catone lo ha sostenuto e il senato lo ha approvato; i cavalieri hanno fat to guerra al senato, non a me: io infatti ho dissentito. C’è qualcosa di più im pudente dell’opposizione dei pubbli cani? Eppure, per mantenere alleato l’ordine equestre, si doveva accettare lo scapito». All’immaginaria obiezione di Attico: «E allora dovremo mantenerli alleati comprandoli col denaro?» Cice rone risponde: «Che fare, se con altri mezzi non possiamo? Dobbiamo forse diventare schiavi dei liberti o addirittu ra degli schiavi?» (Cicerone, Lettere ad Attico, II, 1, 7-8).
Furono certamente lettere come questa a ispirare a Friedrich Engels la seguente riflessione: «mi sono preso le lettere di Cicerone […]. Una chronique scandaleuse molto divertente. Cicero ne è veramente impagabile […]. I ben pensanti da che mondo è mondo non possono esibire una canaglia migliore di questo tipo» (Carteggio Marx-En gels, I, Mario Alighiero Manacorda, Ed. Rinascita, Roma, 1950).
Annuncio pubblicitario Simona CrestaIn fin della fiera
Il Lettore di manoscritti piange tutte le sue lacrime. In quarant’anni di la voro non ha mai letto nulla di simile. E non ha mai pianto. Leggere mano scritti di autori esordienti è un secon do mestiere, praticato per integrare la pensione di professore di liceo. Con la segreta speranza di scovare un bel giorno l’opera del secolo che avrebbe consacrato non solo il suo autore ma anche il suo scopritore.
Il Nostro leggeva sul serio, dalla pri ma all’ultima pagina, prendendo ap punti e rammaricandosi ogni volta per non essersi imbattuto nel dia mante. In casa editrice gli suggeriva no metodi più sbrigativi: per valutare le qualità di un vino non è necessario bere tutta la botte. Costretto a leggere storie scritte in un italiano sganghe rato e approssimativo, il Nostro ave va preso l’abitudine, prima di addor mentarsi, di leggere, «per sciacquarsi la bocca», un capitolo dalla Crestoma
zia Italiana di Leopardi. Questa volta è come se qualcuno gli avesse infilato un braccio dentro l’anima e gliel’aves se rivoltata. L’autore gli ha letto den tro e, senza conoscerlo, ha raccontato la sua vita, fin nei più minuti partico lari. Come quello di far riemergere un paio di episodi avvenuti nella sua pri missima infanzia, sepolti nell’oblio. Grazie a quel manoscritto la sua ste rile, solitaria, grigia vita aveva preso la forma di un disegno che dava una spiegazione a tutto.
Dopo una notte trascorsa a rileggere il manoscritto, il Nostro alle otto del mattino era davanti al portone della casa editrice. Il Direttore non si pre sentava mai prima delle dieci; il Let tore lo attese pazientemente e quando arrivò non permise neanche che si to gliesse il cappotto prima di inondarlo di parole nel tentativo di contagiar lo con il suo entusiasmo. «La conosco da molti anni», gli disse il Direttore,
A video spento
La guerra «illuminata» dalla tv
In Ucraina c’è un conflitto armato che dura da otto anni, da quando la Rus sia, nel 2014, ha invaso e annesso la Crimea. Ma l’invasione russa dell’U craina, così come ogni giorno ce la mostra la TV, è iniziata alle quattro del mattino del 24 febbraio, ora ita liana: l’«operazione militare speciale» annunciata da Vladimir Putin in un discorso in tv si è ben presto rivelata un attacco totale.
«Le fatiche del cronista non fanno notizia» è lo slogan che gli studenti delle scuole di giornalismo dovevano imparare a memoria. Così come non dovrebbero fare notizia le sue paure, le sue incertezze, le sue convinzioni. Eppure in guerra è diverso. È diverso perché i media durante la guerra di ventano incandescenti, si nutrono di guerra, crescono con la guerra. Sem bra paradossale: la tv generalista pare non occuparsi tanto di scenari di guer ra (per quelli ci sono ancora il cinema e le serie televisive), quanto di racco
Voti d’aria
gliere le parole di gente che cerca di sfuggire alla crudeltà degli invasori. È un modo nuovo e fedele di racconta re la guerra, uno stile forse mutato dai social media, segnato da un rapporto empatico, personale con l’intervistato. Nel 1988, il sociologo francese Paul Virilio, intervistato sugli effetti dei crimini in diretta, prefigurò un mon do completamente «illuminato» dal la tv, un mondo in cui le telecamere, quelle impiegate per la sorveglianza delle banche, dei supermercati e delle metropolitane, sarebbero state ovun que. «Quel giorno – disse – anche un omicidio in diretta non ci stupirà più perché tutto sarà sotto l’occhio del la tv». La guerra in Ucraina ha rea lizzato, in forma paradossale, questa utopia negativa, una specie di por nografia quotidiana dell’orrore con un significativo ribaltamento: se nel le guerre precedenti (dal Vietnam ai bombardamenti di Kabul) la tv tenta va di «mostrare» la guerra, ora prefe
Il trionfo del Nulla onirico
Fratelli d’Italia è un romanzo (5½). Anzi, sono tre romanzi, perché pas sando dalla prima edizione (Feltrinelli 1963) alla seconda (Einaudi 1976) al la terza (Adelphi 1991), il libro si tra sforma, cambia, si amplifica (da 532 a 663 a 1371 pagine). L’ha scritto Alber to Arbasino, ma ce ne siamo dimenti cati, essendo, quel magmatico triplice libro, rimasto oscurato da un’omoni mia di stampo politico. Se oggi andate su Google e inserite la stringa «Fratelli d’Italia», sullo schermo apparirà non il volto composto e borghese di Arba sino ma il viso esultante di una signo ra bionda. È la legge del primo piano. Quel che arriva per ultimo si prende la vetrina, scaccia e cancella (o nasconde o mette in ombra) tutto ciò che veniva prima: dal 24 febbraio scorso, la guerra in Ucraina ha relegato in secondo pia no i titoli sulla pandemia che avevano dominato i giornali per due anni. Di
recente anche alcuni frutti sono caduti in disgrazia su Google. I meloni, ov viamente, ma anche la pera, che da un po’ di tempo cede il passo a Marcel lo Pera, filosofo e teorico della destra italiana, in odore di diventare ministro di qualcosa. E persino se digitate so lo «fratelli» l’esito sarà inequivocabile: sull’atavico, biblico legame di paren tela stravince il partito della fiamma. L’algoritmo di Internet è spietato: non guarda in faccia nessuno, né Caino e Abele, né, tanto meno, Arbasino. Arbasino è morto nel marzo 2020, quando già il partito di Giorgia Me loni cominciava a crescere nel con senso popolare. Su quell’omonimia non ha mai voluto pronunciarsi, ma da buon liberal non doveva averne un gran piacere. È ovvio che l’uno e l’al tro, il romanzo come il partito, traggo no ispirazione dall’incipit dell’Inno di Mameli. Il primo, il romanzo, per far
«non l’ho mai vista in questo stato». «Il fatto è», tornò a spiegargli il Let tore, «che questo testo è diverso da tutti gli altri, è come se mi avesse let to dentro, dando una ragione a tutti gli eventi della mia vita». «Capirai!», pensò il Direttore, «Se questo testo è come la tua vita sarà un mortorio». «Me lo lasci», gli disse il Direttore, «vedrò di dargli uno sguardo». «No!», il Lettore si sorprese a gridare. «No! Lei deve leggerlo dalla prima all’ul tima pagina! E subito! Spenga il cel lulare e dia ordine alla sua segretaria di non passarle telefonate». Sembra va impazzito, bisognava calmarlo: «Va bene, va bene. Farò come dice lei». Il Lettore si congedò minacciando di tornare quello stesso pomeriggio. Il suo ritorno fu preceduto da una te lefonata del Direttore. Aveva buttato l’occhio sulla prima pagina del mano scritto e ne era stato stregato, quel le pagine non raccontavano la scialba
vita del suo collaboratore, ma la sua, per filo e per segno. Una vita ben al trimenti movimentata, ricca di emo zioni e di svolte, costellata da due ma trimoni finiti per un totale di cinque figli, innumerevoli relazioni e una storia appena iniziata che lui pensa va blindata nel segreto più totale e che il misterioso Autore narrava ne ro su bianco con una scrittura prodi giosa. «Me lo scovi e me lo porti su bito qui!», ordinò il Direttore al suo collaboratore. Il quale, gongolando di motivata soddisfazione, si recò fino a un condominio dell’estrema perife ria. Si trovò di fronte un uomo anzia no seduto a una tavola appoggiata a due cavalletti. Nessun computer, so lo una vecchia macchina da scrivere. Occhi spiritati lo scrutarono: «La sta vo aspettando», disse al Lettore senza inutili preamboli, «ce ne avete mes so di tempo!». Mentre il Lettore bal bettava qualche scusa, l’Autore prose
guì: «L’importante è che siate arrivati. Non ho più tanto tempo davanti a me, ho compiuto ottant’anni e scrivo da quando ne avevo dieci. La vede quella montagna di fogli dietro di me? Sono quaranta mila pagine di tentativi pri ma di arrivare a questo risultato. Ho fretta, detesto fare l’autore postumo». Come quei ritratti che ti seguono con lo sguardo ovunque tu vada, quell’uo mo aveva scoperto la pietra filosofale della narrativa, il romanzo nel quale ogni lettore avrebbe visto specchiarsi la sua vita. Un libro che avrebbe ven duto milioni di copie, tradotto in tut te le lingue. Un libro che non fu mai pubblicato. Farlo avrebbe avuto come risultato la morte di tutte le altre ope re di narrativa. Nessun lettore, dopo quell’immersione totale avrebbe più sentito il bisogno di accostare un al tro libro, avrebbe letto e riletto sol tanto quello, l’unico capace di dare un senso alla sua vita.
risce mostrare sé stessa nell’atto di ri prendere la guerra. È anche probabile che questo tipo di confidenza dipenda dalla familiarità che abbiamo con in grandi racconti di guerra proposti dal la serialità televisiva, dalla sua capaci tà di prevedere scenari inaspettati. Per esempio, da un punto di vista stretta mente legato alla capacità di prevede re quanto sta accadendo in questi mesi sul territorio ucraino è curioso osser vare come emergano almeno due ap procci radicalmente distinti, capa ci di travalicare i confini dei singoli paesi e delle singole produzioni: uno che inserisce la complessa questione dei rapporti tra la Russia e le nazioni confinanti dentro l’universo narrativo classico del thriller internazionale, del mondo distopico che si fa tremenda mente reale, e l’altra – indubbiamen te più originale – che colloca drammi concreti all’interno di una cornice co medy, di un’ironia amara che aiuta a pungere e riflettere.
Nella prima area, il titolo più rilevan te degli ultimi anni è senza dubbio la serie norvegese Occupied (titolo origi nale: Okkupert, tre stagioni dal 2015); ideata dallo scrittore Jo Nesbø, la se rie immagina un futuro prossimo in cui la decisione del primo ministro norvegese (membro del Partito am bientalista) di sospendere la produ zione di gas e petrolio innesca un crisi energetica che ben presto si trasfor ma in emergenza democratica, con le truppe russe che occupano militar mente il paese scandinavo e che die tro il volto autoritario nascondono in realtà un profondo dilemma etico: fi no a che punto saremmo disposti ad accettare un’occupazione se il nostro stile di vita non dovesse subire modi fiche, anzi dovesse persino migliora re? Saremmo disposti a rinunciare al la nostra agiatezza?
Sull’altro versante, troviamo invece una lettura di previsione della real tà che ha sposato toni comedy, di una
leggerezza finalizzata a esorcizzare e al contempo esasperare i timori di un modo in allarmante trasformazione. Il caso più eclatante è senza dubbio la fiction ucraina Servant of the People, in cui l’ancora attore Volodymyr Zelen sky si immagina in un percorso che lo porterà a diventare presidente del suo paese; una fantasia che si è tradotta in realtà. Mancano i carri armati e le bombe, la capacità visionaria dell’at tore non poteva certo spingersi a tan to, ma tutti i meccanismi del potere e del rapporto tra politica e comunica zione vengono inanellati con una cer ta puntualità. Comunque, ogni giorno, di fronte alle immagini che la tv ci offre del la guerra come fosse un capitolo ine vitabile, si ha la sensazione che non la conoscenza, non il mestiere, non la competenza ci avvicinano alla verità (alla sua rappresentazione) bensì il de starsi delle lacrime che dormono nel nostro profondo.
ne la parodia; il secondo, il partito, per esaltarne il contenuto civile, in sen so unitario e patriottico. Di fronte ai grandi intellettuali del passato remo to o prossimo, viene sempre natura le una domanda: «Chissà cosa scrive rebbe oggi?». Chissà come reagirebbe di fronte all’attuale spettacolo politico Dante Alighieri, il censore della «ser va Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non don na di province, ma bordello!». E chis sà Machiavelli che cosa scriverebbe del «principe» Putin. E chissà Man zoni come racconterebbe la «peste» del Covid. E chissà Pasolini cosa avrebbe da dire sulla Chiesa di papa Francesco, e sulle donne di Teheran, e sulla con danna di Assange, e sulla cancel cul ture (Pasolini viene evocato più di tut ti…). E chissà Arbasino, che per anni aveva sferzato lo «scatafascio» del suo Paese (Un paese senza è un suo brillan
te titolo del 1980)… Ma il «chissà cosa penserebbe» è un gioco fin troppo faci le (3) che finisce per far dire a chiunque quel che vorresti dire tu non avendo ne l’autorità. Fatto sta che una formu letta particolarmente felice (6) che, vo lendo, si potrebbe benissimo applicare all’oggi è «demagogismo onirico»: Ar basino la prese in prestito dal poeta e critico Edoardo Sanguineti, suo com pagno di neoavanguardia, per illustra re la condizione adulterata e artificiosa in cui si crogiolava forse ingenuamente la classe media ai beati tempi del boom economico. Ecco, forse quello stesso «demagogismo onirico», un misto di incoscienza e di finzione, l’abbiamo ri scontrato le scorse settimane nelle tan te promesse irresponsabili fatte dai lea der politici agli elettori. Nel mese di settembre, Gene Gnoc chi (5++) ha inaugurato su Facebook una serie di slogan quotidiani fingen
dosi presunto capo di un presunto par tito chiamato Il Nulla e candidato al le politiche. Motto: «Non manterremo le promesse, ma noi ve lo diciamo pri ma». Ecco qualche voce del program ma politico del Nulla, quasi tutte con l’esclamativo finale: «Basta truffe agli anziani: truffe a tutti!», «Aiuteremo gli italiani all’estero facendoli rimane re lì», «Comunque vada sarà un disa stro», «Aboliremo le salite: solo strade in discesa!», «Vota il Nulla: inaffidabili dal 1955!», «Con noi il pieno costerà la metà: faremo rimpicciolire il serbato io», «Un milione di bambole gonfia bili!», «Per risparmiare in bolletta vi spegneremo anche l’entusiasmo», «Un milione di fili interdentali!», «Treni gratis per tutti ma dove vai lo decidia mo noi». Infine: «Vendiamo aria frit ta ma senza olio di palma». Demago gismo onirico al suo meglio, ovvero il trionfo del Nulla.
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La calluna ha bisogno di un'irrigazione sufficiente. A seconda della varietà, andrebbero potate in primavera in modo che fioriscano di nuovo tra agosto e dicembre. La concimazione non è necessaria in autunno/inverno.