Cooperativa Migros Ticino
Società e Territorio Intervista al cardiochirurgo Reinhard Friedl che ci spiega perché dovremmo ascoltare di più il nostro cuore
Ambiente e Benessere Le patologie dell’occhio spiegate dal primario di oftalmologia dell’Ospedale Regionale di Lugano dottor Moreno Menghini
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXIV 18 ottobre 2021
Azione 42 Politica e Economia Nel mondo no vax italiano si fanno spazio istanze distruttive legate all’estrema destra
Cultura e Spettacoli Al KKL di Lucerna tre giorni di declinazioni artistiche sotto l’egida di Teodor Currentzis
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di Elio Schenini pagina 39
Keystone
Museo, quo vadis?
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Coesistenza o conflitto? di Peter Schiesser Sarà davvero il secolo cinese, il Ventunesimo, gli Stati Uniti la superpotenza in declino e la Cina quella in ascesa? Oppure le due grandi potenze coesisteranno, con le proprie sfere di influenza, in certi campi avversarie e in altre collaborative? La strana guerra fredda manifestatasi con l’ascesa al potere di Xi Jinping e Donald Trump, proseguita sotto Joe Biden, non è paragonabile a quella del secondo dopoguerra, risoltasi con l’implosione dell’Unione Sovietica: troppo stretti sono i legami economici fra i due colossi. Ma potrebbe anche sfociare in una guerra aperta, vista la politica aggressiva della Cina, che di fatto si è sbarazzata di quel po’ di democrazia che vigeva a Hong Kong e non perde occasione per sottolineare di voler ricongiungere Taiwan alla madrepatria entro il 2049, con ogni mezzo. Lucio Caracciolo, a pagina 35, ritiene poco probabile un’invasione di Taiwan, a meno che le continue provocazioni non creino la scintilla che fa scoccare l’incendio. Ma il punto centrale è che oggi nessuno sa davvero quale sia l’obiettivo finale della Cina sotto Xi Jinping: dominare il mondo o solo evitare di essere di nuovo dominati, schiacciati
all’interno delle proprie frontiere? In un saggio su «Foreign Affairs» (luglio/agosto 2020) il primo ministro di Singapore Lee Hsien Loong scrisse: «Il presidente cinese Xi Jinping ha detto che l’Oceano Pacifico è grande abbastanza per accomodare sia gli Stati Uniti sia la Cina. Ma ha pure detto che la sicurezza dell’Asia deve essere lasciata agli asiatici. Sorge una domanda ovvia: Xi pensa che l’Oceano Pacifico sia grande abbastanza per far coesistere pacificamente gli Stati Uniti e la Cina, con cerchie di amici e partner sovrapposte, o che è grande abbastanza per essere diviso a metà fra le due potenze, in sfere d’influenza rivali?». Singapore e gli altri paesi dell’area asiatico-pacifica, continua Lee Hsien Loong, non hanno dubbi: vogliono continuare a cooperare sia con gli Stati Uniti, sia con la Cina, non vogliono scegliere da quale parte stare, e si augurano che le due potenze siano concorrenti ma non diventino nemiche, che la Cina resti integrata nelle istituzioni multilaterali (OMS in primis), magari anche riformandole, perché Pechino capisca che ha più da guadagnare dagli scambi con il resto del mondo che da una politica aggressiva. Nell’Amministrazione Biden questo pensiero sembra condiviso, ma viene integrato con una politica di deterrenza: alla Cina bisogna
opporsi fermamente quando supera i limiti e laddove minaccia la superiorità americana, con la Cina bisogna collaborare dov’è possibile (come nella lotta ai cambiamenti climatici). Ma ci si può fidare di un regime che da decenni controlla autoritariamente la popolazione, la opprime in Tibet e in modo ancora più drastico nello Xinjiang dove rinchiude e tortura milioni di Uiguri in campi di rieducazione? Si può accettare una politica che tollera le violazioni dei diritti umani nel proprio paese e laddove investe miliardi di dollari nella creazione delle nuove Vie della seta? Oltre allo scontro geopolitico c’è quello sui valori di fondo dell’Occidente (messi in causa anche da noi, peraltro) a dividere le due potenze. Il futuro di questo confronto è avvolto dalla nebbia. A ciò si aggiungono le debolezze interne delle due potenze, in parte simili fra di loro: l’invecchiamento della popolazione (che gli Usa contrastano con l’immigrazione, ma con i problemi che comporta, la Cina con un’illusoria politica di natalità), il crescente indebitamento e le disparità economiche mettono a rischio la tenuta economica e la pace sociale. Ai contrasti geopolitici si sommano quindi anche degli squilibri interni, a suggellare il disordine mondiale.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 ottobre 2021 • N. 42
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Società e Territorio Infanzia Incontro con l’educatrice Sara Rota Romagna che a Novaggio ha dato vita al Preasilo nel bosco
Una sfida dietro l’altra Il gioco è un’attività universale dell’uomo e di molti animali, ma nasconde anche un concetto più profondo che coinvolge direttamente la natura umana pagina 9
Spopolamento delle valli Scuole dell’infanzia con pochi bambini: i comuni di Lavizzara e Onsernone hanno deciso di tenere aperte le loro sezioni rinunciando al contributo cantonale pagina 10
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Il potere del cuore
Intervista Secondo il cardiochirurgo tedesco
Reinhard Friedl dovremmo ascoltare quello che ci suggerisce il nostro organo sensoriale più importante
Stefania Prandi Reinhard Friedl ha preso in mano migliaia di cuori: da oltre vent’anni, negli ospedali tedeschi, opera neonati prematuri, ripara valvole a pazienti anziani, impianta turbine artificiali e ricuce ferite da coltello. Attraverso la sua esperienza clinica, ha capito che il cuore non è soltanto uno degli organi più importanti del corpo, ma è anche legato alla nostra coscienza; se lo ascoltiamo, è capace di guidarci. Friedl ha raccontato il suo punto di vista nel libro Der Takt des Lebens. Warum das Herz unser wichtigstes Sinnesorgan ist (Goldmann), ora pubblicato anche in inglese con St. Martin’s Press, The Source of All Things: A Heart Surgeon’s Quest to Understand Our Most Mysterious Organ (La fonte di tutte le cose: la ricerca di un cardiochirurgo per capire il nostro organo più misterioso). Dottor Reinhard Friedl, che cosa sentiamo col cuore?
Il cuore lavora giorno e notte, anche quando dormiamo e sogniamo, non si ferma mai. Perciò, ha bisogno di risparmiare energia in ogni momento. Ha un suo sistema nervoso, definito «il piccolo cervello del cuore», e una sua memoria; può persino prendere le proprie decisioni, indipendentemente dal cervello. La capacità di percepire i segnali fisici gli permette di tornare sempre in equilibrio. Alcuni scienziati credono che il cuore agisca in modo intelligente. A me colpisce che sia dotato di un sistema raffinato e sofisticato per i neurotrasmettitori, ampiamente noti per essere attivi nel cervello. Ad esempio, per la dopamina, che ispira i poeti a scrivere d’amore, o la noradrenalina, che provoca notti insonni e mancanza di appetito agli innamorati. Senza dimenticare l’adrenalina che dà il coraggio per un
primo bacio. Queste sostanze vengono somministrate per via endovenosa ai cuori malati, in modo che restino in funzione: la biochimica dell’amore e la terapia medica sono sostanzialmente identiche. Nel suo libro si legge che l’amore protegge il cuore. In che modo?
L’ormone dell’amore, l’ossitocina, influenza i sentimenti, l’approccio alle relazioni e la scelta dei partner. L’amore è anche cardioprotettivo. È stato dimostrato che la quantità di tessuto cardiaco morto – indice della dimensione di un attacco di cuore – si riduce di due terzi con la somministrazione di ossitocina. Nella terapia con le cellule staminali, le nuove cellule cardiache vengono immerse nell’ossitocina prima dell’impianto, perché consente loro di crescere particolarmente bene. L’ormone dell’amore è l’essenza del primo battito cardiaco. I ricercatori dell’Università di Montreal hanno scoperto che qualcosa di magico accade alle cellule staminali embrionali indifferenziate quando vengono cosparse di ossitocina: si uniscono, si trasmutano nelle cellule del muscolo cardiaco e iniziano a battere in sincronia. Sappiamo che gli amanti sincronizzano il comportamento, le scelte, il respiro e persino le mosse, mentre hanno rapporti sessuali. Lei scrive che cuore e sesso sono collegati. Può spiegarci questa connessione?
Il sesso non è solo bello, ma anche salutare. Un’esperienza sessuale soddisfacente aumenta l’attività del sistema parasimpatico, vale a dire del nervo vago. Di conseguenza, gli intervalli da battito a battito del cuore diventano molto flessibili e variano fino a diverse centinaia di millisecondi. Il cuore inizia a ballare: un fenomeno chiamato «variabilità della frequenza cardiaca»,
Il cuore è uno strumento sensibile, ad ogni battito i suoi sensori trasmettono informazioni al cervello. (Shutterstock)
così sottile che non si vede con un elettrocardiogramma convenzionale. Una buona variabilità della frequenza cardiaca è la chiave segreta per una vita lunga e favorisce la guarigione.
Lei sostiene che se fossimo connessi col nostro cuore, saremmo in linea con noi stessi. Come possiamo imparare ad ascoltarlo meglio?
È abbastanza semplice: chiudete gli occhi, fate qualche respiro e toccate il vostro cuore. Lasciatevi incuriosire e ascoltate con attenzione la sua forma interiore. Ad ogni battito, i suoi sensori trasmettono informazioni al cervello e alla neocorteccia. Gli studi sono giunti alla conclusione che percepiamo noi stessi più intensamente e proviamo più compassione nelle situazioni in cui il cervello reagisce chiaramente al battito cardiaco. Inoltre, i segnali del cuore trasportano al cervello informazioni che influenzano la nostra capacità fisiologica di «vedere». Nel Piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry,
la volpe dice: «Non si vede bene che con il cuore». Oggi abbiamo prove scientifiche che lo confermano. Cos’è la coscienza del cuore?
La scienza ha svelato le connessioni segrete tra il cuore e il modo in cui ogni battito cardiaco influenza la nostra esperienza cosciente. Quando confrontiamo cuore e cervello da vicino troviamo somiglianze sorprendenti. Per citarne solo una: entrambi sono completamente autonomi e possono stimolarsi elettricamente. Di conseguenza generano campi elettromagnetici, noti per avere la capacità di immagazzinare e trasmettere informazioni infinite e per essere coinvolti nella comunicazione tra le persone. Il cuore genera il campo elettromagnetico più forte del corpo, cento volte più di quello del cervello. Possiamo farci guidare dal cuore?
Data la serietà con cui il cervello sembra prendere il battito cardiaco, forse anche noi esseri umani dovrem-
mo farlo. Se smettiamo di ascoltare le «voci» del cuore in modo permanente, possiamo cadere in depressione, avere disturbi di ansia, problemi alimentari e di dipendenza. Il cuore è uno strumento sensibile con cui siamo in grado di distinguere il vero dal falso. Dargli retta non significa cadere in trappola o lasciarsi guidare da emozioni banali: non è un organo populista, ma ci porta a decisioni sagge. Per seguire i suoi messaggi ci vuole molto coraggio. Crede che il cuore sia sottovalutato nella cultura occidentale?
L’entusiasmo per i risultati della ricerca sul cervello negli ultimi anni ci ha indotto a dimenticare il cuore. Tuttavia, le ultime scoperte scientifiche l’hanno riabilitato. Non possiamo pensare di sconfiggere le malattie cardiovascolari solo con la tecnologia. Se consideriamo – individualmente e come società – il cuore una semplice pompa, piuttosto che il nostro organo sensoriale più importante, lo facciamo ammalare.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 ottobre 2021 • N. 42
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tela, possiamo citare i drink all’avena, alle mandorle, al riso e alla soia; le gallette di mais; la passata di pomodoro, il cocco nature e i ceci. *Marchio appartenente ad Alnatura specializzato in prodotti bio privi di glutine e lattosio e succhi da spremitura diretta
La mostarda di Cremona Attualità Un accompagnamento irrinunciabile
per molti classici piatti invernali
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Romina Borla, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
La mostarda di frutta è una specialità che, soprattutto durante la stagione fredda, trova un posto d’onore sulla tavola di molti buongustai. Pietanze quali bolliti e formaggi vengono ulteriormente esaltati con l’aggiunta di qualche pezzo di frutta candita e senapata. La mostarda del noto marchio italiano Sperlari viene prodotta ancora oggi rispettando la secolare ricetta tradizionale cremonese. Una selezione di frutta mista proveniente dalle migliori regioni frutticole italiane viene accuratamente candita e imbevuta di sciroppo di zucchero corretto con olio essenziale di senape. La mostarda
di Cremona arricchisce anche i piatti più semplici, trasformandoli in autentiche specialità dal gusto unico e irresistibile. Gli abbinamenti culinari ideali possono essere davvero moltissimi e sorprendenti: dalle carni bollite a quelle grigliate, dal tacchino al pollo fino alla selvaggina; passando per i classici salumi da cuocere quali il cotechino, lo zampone, le luganighe e le salsicce. La mostarda si sposa a meraviglia anche con numerosi formaggi, come per esempio quelli stagionati, oppure ancora gorgonzola, tomini, stracchino, roquefort e formaggi di capra.
Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11
Tiratura 101’177 copie
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centrata sull’autunno creativo. I partecipanti dovranno inviare tramite il modulo online una fotografia del proprio lavoro manuale finito. I progetti vincitori saranno selezionati e comunicati il 12 novembre. La seconda sfida non poteva naturalmente che ruotare attorno all’inverno e al Natale, periodo ideale per creare splendidi regali e originali decorazioni per vestire a festa la casa. Anche in questo caso la foto del progetto più bello dovrà essere caricata sul sito e i vincitori saranno informati il 23 dicembre. Buon lavoro e buona fortuna! Partecipa su
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parcheggi e alcune delle funzioni
consente al Caddy di ripartire dopo
l’oro in bocca: mamma Carla (35)
dell’abitacolo digitale completa-
una breve sosta. «All’inizio è un
è pronta per il lavoro, mentre suo
mente connesso. Luca, un vero
po’ bizzarro, ma raramente mi
marito Pascal (37) oggi si occupa
appassionato di tecnologia, è
sono sentito così rilassato sulla
dei bambini e della casa. «Ricordati
sbalordito e scopre addirittura una
strada», ammette con soddisfazio-
tesoro, puoi ritirare il Volkswagen
presa USB sulla console centrale.
ne. Il nuovo Volkswagen è in grado
Caddy dalle 9 del mattino», dice
«Possiamo ricaricare un tablet con
di affrontare una grande varietà di
Carla al momento dei saluti. I Keller
quella. Poi posso giocare tutto il
sfide in tutta semplicità. «Un vero
hanno prenotato il versatile van
giorno», esulta Luca. Sua sorella,
eroe quotidiano che affronta
compatto ai TestDays 24h. «Niente
d’altro canto, è entusiasta del
qualsiasi cosa senza pavoneggiarsi
paura, ho già un sacco di idee su
grande tetto panoramico, che lascia
troppo», afferma Pascal tornando
ciò che voglio fare con il Caddy»,
entrare molta luce: «Che bello,
a casa. «Ma il vero eroe di tutti i
confessa Pascal mentre prepara la
ora posso contare gli aerei!»
giorni sei sempre tu», aggiunge Carla con un sorriso, «grazie per
colazione per Valentina (6) e Luca (9). Appena i bambini sono a scuola,
Ancora più impressionante del tetto
questa bellissima giornata e per
va a ritirare il Volkswagen Caddy,
panoramico e delle caratteristiche
tutto quello che hai fatto oggi con
che ora ha un aspetto visibilmente
complete di comfort e sicurezza
il Caddy.»
più moderno. Durante il viaggio
è l’elevato livello di comfort di
con merci vuote verso il centro
guida del veicolo Volkswagen, che
di riciclaggio e, più tardi, mentre
mamma Carla nota durante
fa acquisti, Pascal impara ad
il tragitto verso il picnic di famiglia.
apprezzare i dettagli pratici come
«La visuale è eccellente ed è molto
le porte scorrevoli, i sedili rimo-
piacevole da guidare. Mi rimangio
vibili, il piano di carico basso e
completamente il pregiudizio sul
l’enorme spazio di stoccaggio fino
fatto che il Caddy sia un veicolo per
a 3300 litri. Il padre di famiglia
soli artigiani», riconosce dopo pochi
prova anche alcuni dei 19 sistemi
chilometri al volante. Il marito
di assistenza del Caddy ed è entu-
Pascal aggiunge: «Vedrai, tutti i
siasta degli assistenti intelligenti.
sistemi di assistenza sono una
Dopo pranzo, mentre sono diretti
bomba.» Negli ingorghi fuori città,
all’allenamento di calcio, mostra
si può provare subito la regolazione
ai figli la telecamera di retromarcia,
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l’assistente per l’uscita dai
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 ottobre 2021 • N. 42
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Società e Territorio
Buongiorno signor Bosco!
Infanzia Incontro con l’educatrice Sara Rota Romagna che a Novaggio ha dato vita al Preasilo nel bosco
per accompagnare i bambini alla scoperta della natura Daniela Delmenico Tutti i mercoledì mattina, con il sole o con la pioggia, con il vento o con la neve, attorno alle nove del mattino, un gruppetto di piccoli esploratori raggiunge l’Alpe di Pazz, a Novaggio. Hanno tutti tra i due e i quattro anni, e sono accompagnati chi dalla mamma, chi dalla nonna, dal nonno o dal papà. «Buongiorno signor Bosco!»: così i bambini che frequentano il Preasilo nel bosco di Novaggio salutano e ringraziano il luogo che li accoglie, prima di iniziare le loro attività, sotto la guida della maestra Sara. Sara Rota Romagna, di formazione educatrice, ha iniziato a interessarsi al bosco e ai suoi tesori grazie ai suoi tre figli: «è grazie a loro che si è aperta per me la porta del bosco. Ero da poco arrivata in Ticino dall’Italia e mi sentivo un po’ sola perché non conoscevo quasi nessuno, così, con i miei figli uscivo in natura per trascorrere dei momenti di serenità, di gioco e di magia. Tutto è iniziato così, un po’ per caso». Sara, per quanto riguarda le sue conoscenze sul bosco, è quindi per una buona parte autodidatta: «man mano che il tempo passava, e che i miei figli crescevano, abbiamo potuto ampliare la nostra conoscenza del bosco, approfondendo sui libri ciò che osservavamo in natura: portavamo a casa i funghi, per classificarli, o i frutti e le foglie dei vari alberi, o andavamo alla ricerca di nidi di animali, o di insetti». Sara ha poi svolto an-
che diversi corsi sulla natura, come Naturiamo, un corso offerto da CEMEA, che promuove l’approccio alla formazione attiva in natura; ha partecipato a diversi campi del WWF; e ha infine ottenuto un CAS «AAA Natura» alla SUPSI, per «accompagnare, animare e apprendere in natura». Ma è proprio l’esperienza con i suoi figli che ha dato il la all’idea del preasilo nel bosco: «l’esperienza diretta con il bosco, la continua scoperta, l’apprendimento nella natura che poi viene rielaborato a casa, l’esperienza delle stagioni, con le erbe aromatiche in primavera, i funghi in autunno e tutta la ricchezza che il bosco offre lungo l’arco dell’anno, sono elementi che sentivo di voler continuare a vivere con dei bambini, per trasmetterne la magia, e per continuare, anche io, ad apprendere». Così, cinque anni fa è nata l’idea di proporre un preasilo mamma e bambino, destinato appunto ai più piccoli: «adoro stare con i bambini, e trovo importantissimo cercare di trasmettere loro, e a chi li accompagna, l’amore per la natura. Fondamentale per me è che i bimbi passino nel bosco dei momenti piacevoli e speciali, che possono essere legati alle attività proposte, ma anche all’aver visto un bruco o all’aver fatto un ruzzolone nelle foglie: insomma a tutto ciò che i bambini possono portare a casa e fare loro, che possa farli crescere e far loro venire voglia di continuare a scoprire il bosco». Sara spiega che la pedagogia del bosco è una pedagogia attiva, anche
Liberi di scegliere spontaneamente da cosa farsi stupire. (Shutterstock)
per i bambini di due, tre e quattro anni: «sono loro che vanno alla scoperta del bosco... certo, sono accompagnati da me, guidati dalle attività che propongo, e dalle loro mamme, nonne, nonni o papà per poter condividere le scoperte e incoraggiarle, ma sono i bambini che scelgono cosa scoprire: il bosco li invita infatti a usare tutti i sensi, il tatto, l’olfatto, il gusto, l’udito e la vista. A questa età i bambini che vanno alla scoperta della natura e di ciò che li circonda effettuano i primi passi in autonomia, liberi di scegliere spontaneamente da cosa farsi stupire e attirare, e questo è un aspetto fondamentale del preasilo nel bosco». Ma
l’esperienza nel bosco è importante per i bambini piccoli anche per lo sviluppo della capacità di socializzazione: «ogni mercoledì trovano altri bimbi che fanno la stessa cosa, con i quali quindi condividono spazi, emozioni, gioie e fatiche. Iniziano le loro prime relazioni con i coetanei, fatte di giochi, prese per mano ma anche spintoni e piccoli litigi, che sono fondamentali per dei bambini in età prescolare, che ancora non frequentano molto i loro coetanei e che spesso hanno a che fare quasi esclusivamente con adulti. La relazione è però anche con le altre mamme, e con me, che sono una prima forma di “maestra”, figura
che poi i bambini incontreranno quando andranno alla scuola dell’infanzia. E forse, questa socializzazione nel bosco è un momento importante di confronto e di relazione anche per i genitori...». Oltre alla scoperta autonoma e alla socializzazione, la maestra Sara prepara e programma, per i suoi piccoli «alunni» e per le loro mamme, delle attività da fare nel bosco, legate alla scoperta della natura attraverso i sensi: «per esempio svolgiamo attività come la lettura di un libro da cui prendiamo spunto per esplorare la natura, la pittura con fiori e foglie, facciamo dei giochi, prepariamo pop corn, caldarroste o pane sul fuoco». Poi c’è sempre anche il momento della merenda, considerata parte delle attività, ed è preparata da Sara: «desidero offrire una merenda sana e di stagione, uguale per tutti, in modo che sia un momento educativo e di condivisione anche quello». Ogni mercoledì mattina, poco dopo le nove, dopo aver salutato il bosco, i bimbi devono oltrepassare la porta immaginaria che conduce al suo interno, e la chiave è a volte una pigna, altre una foglia di colore giallo, altre volte un sasso, oggetti che la natura ci regala, e che i bimbi raccolgono come tesori, per portarli a casa. Ma i tesori che grandi e piccini si portano a casa dal preasilo nel bosco non sono solo pigne o legnetti, ma tanti insegnamenti sull’amore per la natura, per la scoperta e l’apprendimento, la capacità di osservare e ascoltare e il rispetto per la vita. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 ottobre 2021 • N. 42
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Società e Territorio
Il gioco? È una cosa seria
Comportamenti Le espressioni e i comportamenti legati all’attività ludica si applicano a innumerevoli circostanze,
anche perché spesso l’uomo agisce percependo come sfida la propria relazione con il mondo esterno Massimo Negrotti Nonostante l’apparente ovvietà del termine «gioco», è plausibile pensare che questa attività universale dell’uomo – ma anche di molte specie animali – sia in realtà la punta di un iceberg molto più profondo che coinvolge direttamente la natura umana. Autori come Johan Huizinga, Roger Caillois e altri hanno teorizzato vari aspetti del gioco tracciandone anche una articolata tipologia ma assumendo questo concetto, quasi esclusivamente, come indicatore di comportamenti esplicitamente ludici. Tuttavia, partendo proprio dai termini inglesi che adotta lo stesso Huizinga, si può opportunamente riflettere sul significato delle espressioni play e game e riconoscere che, mentre il secondo si riferisce effettivamente al gioco nella sua accezione quotidiana, inclusi i giochi infantili, il primo copre uno spettro di significati molto più ampio. Fra questi, il gioco come game è solo un caso particolare poiché play, come verbo, può significare anche suonare, rappresentare, fingere e persino, genericamente, agire. La distinzione fra i momenti del gioco, come game, e quelli del comportamento quotidiano non eplicitamente ludico, può dunque essere assai meno netta di quanto possa apparire. Si pensi ad un pianista che, in un momento di pausa, gioca al biliardo per poi tornare allo studio di un brano di musica classica, oppure ad un manager che, per rilassarsi, gioca al calcetto con un assistente per poi rituffarsi nella pro-
blematica di cui si sta occupando. C’è davvero uno iato decisivo fra la natura profonda delle due attività? Certamente i game costituiscono un ambito ben circoscritto e controllato da regole precise mentre l’esecuzione pianistica o la direzione di un’azienda, come attività di play, sono ambiti di attività «aperta» agli eventi più disparati, come interazioni ed eventi, esterni o soggettivi, improvvisi e non previsti, che possono modificare sensibilmente le modalità o il contesto in cui si sta agendo. Ma tutto si svolge sotto la spinta di una motivazione di fondo, che accomuna il play al game, costituita dalla tensione verso il successo nella sfida posta dalla realtà, alla ricerca della massima gratificazione. Una realtà che, nel caso del game, è puramente fittizia ma sembra quasi fungere da esercitazione in vista della realtà ordinaria, non esplicitamente ludica. È in questo senso, del resto, che gli etologi interpretano il gioco degli stessi animali, i quali attraverso il gioco apprendono e perfezionano le loro attitudini di caccia, difesa, attacco. Inoltre, va osservato che lo stesso lessico comune incorpora espressioni analogiche derivate dall’attività ludica. Quando qualcuno, nel contesto di una relazione delicata o critica, dice «gioca bene le tue carte» oppure «qui c’è in gioco la tua carriera» adotta un linguaggio perfettamente congruo per un contesto che, non a caso, si può presentare come competitivo, cioè con tutti i caratteri della sfida e della gara. Altrettanto, quando si dice «quello è un perdente»
Colleghi si rilassano giocando a calcetto. (Shutterstock)
oppure quando, a fronte di una contesa di qualsiasi natura, si afferma «ce la possiamo giocare». Inutile poi aggiungere che, in molti casi, il gioco, soprattutto nella versione play, ha anche una motivazione legata alla curiosità o alla ricerca di novità emozionanti o comunque interessanti come nelle esplorazioni o, per altri versi, nella lettura di libri o nella visione di documentari su argomenti specifici, cercando di vincere la sfida del dubbio o dell’ignoranza attraverso il reperimento di informazione. In altri casi invece, come nei vari giochi delle carte o simili, dove le regole impediscono atti innovativi, ciò che prevale è la sfida permanente fra i giocatori e la pura ricerca del primato. C’è poi un caso che merita parti-
colare attenzione perché sintetizza per bene l’intersezione fra play e game, ed è il cosiddetto «gioco dei ruoli» (roleplaying game). In questo gioco, come è noto, i partecipanti devono immaginare di ricoprire ruoli diversi dal proprio, mettendo in essere vicende immaginarie di varia complessità e accettando dunque la sfida di sapere decidere e agire nel migliore dei modi in situazioni arbitrariamente lontane da quelle per loro ordinarie. In fondo, si tratta della stessa situazione che caratterizza il gioco infantile come quando, per esempio, una bambina si mette nei panni della mamma in relazione alla propria bambola, assunta come la propria bambina. L’aspetto più interessante, allora, è senz’altro costituito dal passaggio dalla
situazione fittizia a quella reale: quando un partecipante al gioco dei ruoli torna ad essere se stesso o quando la bambina torna ad interagire con la propria madre, che fine fanno i ruoli assunti per gioco? Di sicuro essi non vengono affatto, per così dire, rinnegati bensì, nel caso infantile, semplicemente riposti in una sorta di camera di compensazione destinata a diluirsi nel corso dello sviluppo. Nel caso del gioco dei ruoli, invece, essi avranno in varia misura confermato o rafforzato le dimensioni psicologiche e le «filosofie» individuali dei partecipanti grazie ad una simulazione direttamente dipendente dalla propria personalità. Le circostanze nelle quali l’uomo agisce percependo come sfida la propria relazione con il mondo esterno, sono tanto numerose da ricoprire sostanzialmente la sua intera esistenza e vedono al loro centro, sempre e comunque, problemi da risolvere o realtà da svelare. È così nelle professioni e nella scienza, nelle attività esplorative e nelle arti, in quelle politiche o in quelle militari. Non sempre, naturalmente, i problemi sono tali da generare eccitazione e piacere nel tentativo di risolverli perché, non raramente, si tratta di questioni gravi o minacciose. Tuttavia, la logica attraverso la quale qualsiasi problema viene affrontato è invariabilmente la stessa, ossia quella di situazioni che l’uomo desidera modificare a proprio vantaggio, vincendo una sfida dopo l’altra perché, a ben vedere, c’è sempre qualcosa in palio. Annuncio pubblicitario
Una giraffa come premio
Girafes Awards 2021 Lapurla ottiene
un riconoscimento internazionale a Parigi L’iniziativa nazionale Lapurla è volta a realizzare spazi di creatività per i più giovani. Insieme alle loro persone di riferimento, i bambini di età compresa tra 0 e 4 anni scoprono le istituzioni culturali come molteplici universi sensoriali, stimolati da artisti e mediatori. In questi giorni Lapurla ha ricevuto un significativo riconoscimento: l’8 ottobre 2021 infatti le è stato assegnato a Parigi il prestigioso «Girafes Award» nella categoria Prix International. L’iniziativa congiunta del Percento culturale Migros e dell’Università delle Arti di Berna HKB diventa così un modello internazionale di formazione della prima infanzia.
Il premio viene conferito dall’associazione Agir pour la petite enfance, fondata in Francia nel 2012 per riunire esperti, bambini piccoli e i loro genitori, rafforzare le opportunità di formazione della prima infanzia e stimolare l’interesse della società. Per Jessica Schnelle, co-responsabile di Lapurla «è un grande onore ricevere questo premio. È un grande riconoscimento per tutti coloro che s’impegnano per Lapurla e ci dimostra l’importanza di realizzare spazi di creatività per i più giovani».
Azione 19.10 – 1. 11. 2021
Informazioni sul progetto
www.lapurla.ch/it/home.html
conf. da 2
25% Da sin.: Adrien Taquet, Segr. di stato del Ministero della solidarietà e della salute, Jessica Schnelle, Co-responsabile di Lapurla, responsabile del progetto Affari Sociali della FCM; Karin Kraus, Co-responsabile di Lapurla, Università delle Arti di Berna HKB⁄⁄.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 ottobre 2021 • N. 42
Società e Territorio
Pochi bambini nelle scuole
Spopolamento delle valli I comuni di Lavizzara e Onsernone hanno deciso di tenere aperte le loro sezioni
di scuola dell’infanzia nonostante non raggiungano il numero minimo di allievi rinunciando così al contributo cantonale, una situazione anomala che non potrà durare
Guido Grilli Bambini cercansi per completare il numero minimo di iscritti indispensabile a mantenere la presenza delle Scuole dell’infanzia a una ragionevole distanza da casa. Nelle periferie del canton Ticino il campanello d’allarme si è già acceso. E il nuovo anno scolastico, iniziato da poco, registra due realtà – Lavizzara e Onsernone – che per garantire alle famiglie la possibilità di portare i propri figli all’asilo, risparmiando loro una lunga e faticosa trasferta in strutture di altri villaggi, vede i due Municipi pagare lo stipendio delle maestre con le tasse dei cittadini. Già, perché la legge scolastica, salvo deroghe, non prevede nessun contributo cantonale per quei Comuni che non raggiungono la soglia minima di 13 bambini per sede.
Stephan Chiesa, sindaco di Onsernone: «diventerebbe un’utopia sperare che altre famiglie s’insedino nel nostro Comune se perdessimo la scuola» Gabriele Dazio, sindaco di Lavizzara: «Noi abbiamo deciso di pagare il mancato introito che ci viene dal Cantone. A settembre siamo arrivati a 7 iscritti. Fino all’anno scorso ci veniva concessa una deroga, che da quest’anno non ci è più stata riconosciuta. Il problema sussiste ormai da alcuni anni. Per mantenere la sede a Prato-Sornico, che contempla anche le Elementari, quest’anno abbiamo deciso di sobbarcarci la totalità dei costi, ma per l’anno prossimo stiamo pensando ad altre soluzioni. Pensiamo in particolare alla possibile collaborazione con il vicino Comune di Cevio, magari nella forma dello scambio, ancora tuttavia da approfondire». Cosa comporterebbe l’eventuale trasferta dei bambini dalla sede di PratoSornico a quella di Cevio? «Si tratterebbe di una trasferta di 15-20 minuti, che vorremmo evitare. Abbiamo infatti una scuola nuova, costruita dopo l’aggregazione, e vorremmo tenerla aperta». Quali sono le cause dell’insufficiente numero di bambini? Si può parlare di calo nelle nascite? «In parte il problema è da ricondurre alla denatalità, ma la
causa principale è lo spopolamento delle valli, dei giovani che se ne vanno. Questo è il problema più grande per il nostro Comune e al contempo giovani famiglie faticano ad insediarsi a Lavizzara, proprio perché zona periferica e discosta, e per la mancanza di posti di lavoro attrattivi». Quali soluzioni sono possibili per invertire questa tendenza? Il moltiplicatore d’imposta può essere una via? «Fino a un certo punto. Attualmente siamo al 90% e diventa difficile abbassarlo. Siamo 510 abitanti e una buona fetta della popolazione è costituita da persone anziane. Per trattenere e attrarre le famiglie giovani abbiamo introdotto degli incentivi dedicati a questo target per la costruzione o la riattazione di abitazioni nei nuclei. Qualche riscontro lo abbiamo avuto. Il nostro contesto paesaggistico si presta molto bene alle famiglie, offre la possibilità di crescere i figli in mezzo alla natura e in libertà, un fattore oggi molto importante e che molte persone per fortuna prendono ancora in seria considerazione». Anche il comune di Onsernone paga la scuola dell’infanzia, attingendo completamente alle proprie risorse finanziarie, in quanto escluso per legge dal sussidio cantonale. Il sindaco, Stephan Chiesa: «Paghiamo noi i costi della scuola dell’infanzia della sede di Loco, come l’anno scorso. Questo per salvaguardare la scuola dell’infanzia ed elementare in valle e per consentire a Onsernone di vivere: diventerebbe sempre più un’utopia sperare e pretendere che altre famiglie s’insedino nel nostro Comune se perdessimo la scuola. Siamo disposti a pagare anche l’anno prossimo. Non molleremo, pur di mantenere la nostra scuola. Per noi sarebbe impensabile immaginare che i nostri bambini tra i 4 e i 6 anni fossero costretti a percorrere 45 minuti di bus alla mattina per scendere nella sede di Intragna e 45 minuti alla sera per rincasare, quando il nostro Comune possiede una propria sede scolastica». Spiega ancora il sindaco: «Da settembre i bambini dell’asilo sono 6. Alle Elementari, quest’anno non abbiamo nessuno in prima. Ma abbiamo comunque i numeri per una pluriclasse dalla seconda alla quinta, con un maestro d’appoggio. Le valli discoste come la nostra vanno vieppiù spopolandosi. Gli anziani e le famiglie che ci vivono sono tutte persone, come me e i miei amici, cresciuti qui. Portare delle famiglie nuove di-
Per il Decs la qualità dell’insegnamento dipende anche dalla quantità di allievi presenti in classe, perciò è fissato un numero massimo ma anche un numero minimo. (Keystone)
venta difficile. Ci si prova. Ma non abbiamo una forza finanziaria tale che ci consente di allentare facilmente le imposte. Stiamo comunque pensando a delle soluzioni, ma occorrerà del tempo per raccogliere frutti tangibili». A fine agosto è intanto nata l’«Associazione famiglie per l’Onsernone», che si batte fra l’altro per il mantenimento della scuola all’interno del Comune, per promuovere il doposcuola, attività extrascolastiche e momenti di socializzazione. «Sì, l’associazione si sta muovendo molto bene e nella direzione auspicata anche dal Municipio, promuovendo i progetti che intendiamo portare avanti. Attualmente c’è una buona coesione in valle, con i giovani e le famiglie, tutti uniti per batterci perché asilo e elementari rimangano aperte sul nostro territorio». Ma il problema delle scuole dell’infanzia non va letto unicamente in termini di numeri. Rezio Sisini, capo della Sezione delle scuole comunali del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport: «Va chiarito che la legge e il regolamento sulle scuole fissano i criteri per la formazione nelle sezioni della scuola dell’infanzia. E uno di questi è il numero minimo di 13 al-
lievi, per cui sono previste tuttavia anche deroghe. Ma nel caso di Lavizzara e Onsernone – gli unici nel Cantone al di sotto di questa soglia – abbiamo un numero persino inferiore alla metà del minimo di allievi previsto dalla legge. Il numero minimo è stato fissato perché si ritiene che la qualità dell’insegnamento dipenda in modo importante anche dalla quantità di allievi presenti in classe, e non solo verso l’alto ma anche verso il basso. Il fatto che ci siano interazioni fra diversi allievi, che ognuno porti le proprie esperienze, la possibilità di organizzare dei lavori a livello didattico a gruppi, la possibilità di acquisire competenze sociali sono tutti aspetti importanti che vengono meno nel caso in cui i bambini non siano presenti in numero sufficiente. Come Cantone dobbiamo fare in modo che ci siano per tutti i bambini di tutte le sedi scolastiche le stesse opportunità formative, sia che abitino in zona urbana, suburbana, piuttosto che in campagna o nelle zone periferiche. È per questo che interveniamo quando le condizioni di qualità non sono assicurate». Come se ne esce? «Nel caso di Onsernone e Lavizzara abbiamo fatto delle proposte, non certo finalizzate
la grande potenzialità che si intuisce in lei, nonostante proprio lei sia la prima a tarparla. Fino all’arrivo di un’insegnante coraggiosa e sensibile. La professoressa Saunders, pure lei schernita dalle ragazze per una macchia che ha sul viso («ma guardatevi... due fallite con la faccia da buttare»), sarà per Maleeka un esempio di equilibrato senso della propria dignità, che non si lascia scomporre dall’odio altrui. Insegnerà a Maleeka a guardarsi con i suoi occhi: «Devi imparare a guardarti con i tuoi occhi. È l’unico modo per sapere chi sei davvero». Grazie a lei, Maleeka troverà anche la sua voce e il suo talento, perché verrà incoraggiata ad esprimersi nella scrittura: nascerà così il personaggio di Akeelma, schiava nera trasportata su una nave e suo anagramma e alter ego. Maleeka dalle sue catene invisibili riuscirà a liberarsi, con una chiave che si chiama fiducia in se stessa. Un romanzo che – a parte il bullismo che oggi si esplica purtroppo non solo di persona ma anche online – resta attualissimo e intenso.
Le favole dimenticate di Babrio, Gribaudo. Da 6 anni Conosciamo Esopo, conosciamo Fedro, ma non conosciamo Babrio. In effetti l’opera di questo poeta di lingua greca, vissuto nel secondo secolo, è rimasta finora confinata in ambito accademico: ben venga dunque questa bella edizione Gribaudo, che per la prima volta fa conoscere al grande pubblico, a cominciare dai bambini, le garbate favole che Babrio riprende per lo più da Esopo o da altre fonti della tradizione. A curare e tradurre l’edizione è Eliano Zigiotto, il quale nella prefazione sottolinea come queste favole furono tradotte, a partire dall’Ottocento, in latino e in tutte le principali lingue europee, tranne che in italiano. Finalmente questo vuoto è colmato, e in una traduzione elegante ma anche ritmata e leggera, adatta ai bambini. Un’edizione filologicamente accurata ma senza inutile pedanteria, non perdendo mai di vista l’intento divulgativo. I testi sono brevi, il font è grande e spaziato, la vivacità è data
alla chiusura dei due istituti scolastici, oltretutto entrambi possiedono anche classi di scuola elementare. La proposta è quella di spostare i bambini dell’asilo nelle sedi degli istituti scolastici limitrofi, dove ci sono condizioni diverse, più allievi e maestri, e dove l’opportunità d’interazione è più ampia. La soluzione, per quest’anno, di mantenere le due sezioni di scuola dell’infanzia a Onsernone e Lavizzara a spese dei rispettivi Comuni è stata adottata d’intesa con il Consiglio di Stato. Ma per i motivi di ordine pedagogico appena esposti l’accordo è temporaneo, limitato a quest’anno scolastico. Negli ultimi cinque-sei anni abbiamo sempre cercato soluzioni. Un anno c’era stato anche il problema inverso: i bambini di Cevio salivano a Lavizzara perché la loro sede era in sovrannumero. Qual è dunque la via auspicata? Occorre che si costituiscano degli istituti scolastici più grandi, per esempio Cevio e Lavizzara dovrebbero creare un istituto scolastico unico. È chiaro che ci vuole la solidarietà tra i Comuni. Si tratterebbe per alcuni allievi di affrontare una trasferta due volte al giorno, ma questo offrirebbe la garanzia di restare in valle e di tenere aperte delle scuole di qualità».
Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Sharon G. Flake, The skin I’m in. Il colore della mia pelle, Giunti. Da 13 anni Esce in italiano, nella bella collana Link di Giunti, un romanzo che è un vero e proprio classico contemporaneo, l’opera con cui l’autrice americana Sharon G. Flake, oggi considerata tra i più importanti autori per adolescenti, esordì più di vent’anni fa. The skin I’m in: un titolo che allude alla pelle ma non solo, un po’ come nel francese «se sentir bien (ou mal) dans sa peau», con una connotazione più legata all’autostima, allo stare bene (o male) nella propria pelle, felici (o insicuri) di essere proprio così come si è. Certo, c’è anche il discorso del colore, perché Maleeka, la tredicenne protagonista, ha la pelle nera e la discriminazione di cui è oggetto è rilevante nel romanzo. Ma non è il razzismo il fulcro, il discorso è molto più potente e ampio: Maleeka subisce le vessazioni di un gruppo di bulle perché è «brutta» e veste «male». Naturalmente lei non è brutta, né veste male: è alta, magra e si veste
con gli abiti che le cuce sua madre. Il problema è che Maleeka si vede con gli occhi delle altre, che la fanno sentire inadeguata, con i capelli da pettinare con «un rastrello», con stracci addosso, senza neanche un po’ di «tette o un po’ di fianchi da metterci dentro». E allora, con una dinamica purtroppo tipica nelle relazioni improntate al bullismo, cercherà di diventare amica della compagna più violenta e più dura, finendo però per diventarne la serva, e avviluppandosi sempre di più nelle catene di questa falsa amicizia. C’è un altro motivo che scatena le angherie delle compagne, ed è l’intelligenza di Maleeka,
anche dalle illustrazioni di Giulia Lombardo, che su ogni doppia pagina accompagnano il lettore, per tutte le cento favole. Cento favole di animali parlanti e di umanità alle prese con le grandi domande della vita. Favole di saggezza antica e sempre nuova, a cominciare dalla prima, in cui il vento perse la scommessa con il sole, perché nonostante il suo soffio fortissimo non riuscì a strappare il mantello dalle spalle del viandante. Ci riuscì invece il sole, scaldandolo pian piano: «questo dice la favola: ragazzo, usa la dolcezza! Otterrai di più con la persuasione che con la forza».
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 ottobre 2021 • N. 42
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Società e Territorio Rubriche
L’altropologo di Cesare Poppi Il terremoto di San Luca Potrà sembrare strano ma anche a Nord delle Alpi esistono i terremoti. Se la parte meridionale del continente europeo soffre delle conseguenze dovute alla faglia che sta allontando la Sicilia dal resto dell’Europa con lo spettacolare contorno degli unici vulcani attivi nel Continente – se si esclude l’Islanda, la massa continentale è al sicuro grazie alla sua grande e collaudata antichità geologica. Spente da tempo velleità eruttive di qualsiasi natura, restano dei furori adolescenziali di Pachamama solo le gentili SPA della Belle Epoque e qualche antico cono vulcanico a decorazione del paesaggio. E dunque si faccia venia ai Confederati se non ricordano di aver avuto, nel loro passato, il più grande evento sismico dell’Europa a Nord delle Alpi. Erano circa le 19 del 18 ottobre 1356, giorno
di San Luca. A Basilea la popolazione si preparava a cenare per poi estinguere i fuochi per la notte così come prescrivevano le misure di sicurezza. Si avvertì una prima scossa, relativamente leggera ma abbastanza forte da mettere la popolazione in allarme. La scossa più forte però seguì attorno alle 20, seguita da un’altra nel mezzo della nottata. Torce e candele cadute dai loro sostegni determinarono lo scoppio di incendi che distrussero praticamente l’intera città all’interno delle mura. Chiese e castelli – fra i trenta ed i quaranta – furono distrutti o danneggiati pesantemente in un’area che interessò anche Costanza, Zurigo e persino l’Île de France e Praga. La potenza del sisma, che si prolungò con scosse minori nell’arco di un intero anno, sembra essere stata di 7,1 gradi della scala Richter (ricordiamo che il
spiegato nel tempo il fenomeno. I Greci ritenevano che si trattasse di Poseidon – signore di quel più instabile elemento del globo terracqueo e figlio scavezzacollo di Zeus – il quale, nei furori che lo colpivano più spesso che no, scagliava il suo tridente contro la Terra e la faceva ballare come il mare. Per i Lettoni, depositari di un corpus mitologico risalente ad epoca preindoeuropea, il dio dal nome di Drebkuhls trasporta la Terra fra le braccia nel suo viaggio attraverso il cosmo. Quando il Nostro si trova in una giornata no, diventa nervoso e maneggia la Terra senza cura – e allora sono guai sismici. La mitologia scandinava è un po’ più elaborata: il dio Loki viene punito per il fratricidio di Baldur. Legato ad una roccia in una caverna sotterranea, un serpente velenoso lascia cadere veleno sulla faccia di Loki. Ma la
sorella di Loki lo raccoglie in una ciotola che però, di quando in quando, deve andare a svuotare. A quel punto il veleno gocciola sul volto di Loki che si agita per evitarlo e causa i terremoti. Forse più vicino alla nostra sensibilità, in Romania si ritiene che il mondo si fondi sui tre pilastri della Fede, della Speranza e della Carità: quando la pratica di una delle tre virtù teologali viene meno, ecco che si crea uno scompenso e la terra trema. A chi si chieda come mai, in questa epoca men che teologale, il mondo non sia già ridotto il briciole va ricordato che le vie del Signore sono infinite. Se però qualcuno fra gli abitanti di Basilea ha sentito parlare di altre, meno fantasiose spiegazioni di un evento che tutti auguriamo irripetibile, è pregato di scrivere all’Altropologo. Lo attende un premio.
dei gemelli, un uomo vulnerabile che, incapace di reggere alla delusione di una paternità «imperfetta», si è allontanato da voi. Ma i bambini, crescendo, avranno sempre più bisogno di lui e, anche se non tornerà a essere il marito di Francesca, potrà comunque svolgere la necessaria funzione di genitore. La famiglia è più equilibrata quando tutte le caselle sono occupate e i figli non si sentono abbandonati. Tra il tutto e il niente, l’ideale e il reale, resta lo spazio di un impegno parziale in cui ciascuno dà quello che può e riceve quello che merita. Infine grazie per aver mostrato che il cammino del bene non è mai sbarrato e che, prendendoci cura degli altri, curiamo anche noi stessi.
Caro Franco che dire? Sono commossa di ricevere una testimonianza così sincera, di conoscere una persona ca-
pace di riflettere sui propri sentimenti negativi, sui pregiudizi che ci accecano e di superarli. Certo un grande incoraggiamento ti è venuto dalle donne di casa: una moglie capace di donarsi senza remore, una figlia pronta a essere mamma sempre e comunque e infine Lisa, piccola-grande nipotina. I bambini, nonostante la loro fragilità, o forse proprio per questo, sono capaci di sedurci e, prendendoci per mano, di portarci a loro. Di fronte a un presente inquietante e a un futuro minaccioso, non deve essere stato facile abbandonare le difese immunitarie che ti impedivano di ammettere la realtà e accettare il dolore. Sulla tua solare biografia è scesa all’improvviso l’ombra dell’insuccesso e non ci sarà la conclusione trionfale che ti attendevi. In compenso la tua persona ne esce più viva e più vera. La storia non è fatta da individui perfetti, da personaggi ideali ma da chi cerca, a fatica, di realizzare il meglio di sé prendendosi cura degli altri, i deboli e fragili. Ora, ritrovata la serenità, ti rimane il compito di recuperare il padre
Certo che ne ha fatta di strada la scarpa da tennis e da jogging. Calcando marciapiedi, viali, piste. E, raccontando, proprio attraverso il suo aspetto e il suo impiego, oltre mezzo secolo di costume, nel senso esteso del termine. Cioè, capo d’abbigliamento e abitudini quotidiane e culturali. Per quelli della mia generazione, «scarp de tennis» rimane, innanzitutto, il titolo della canzone di Enzo Jannacci, con cui dava vita al personaggio del balordo, del marginale, circondato dall’alone romantico e tipico del ’68. Insomma, altro che origini e destinazioni proletarie. La sneaker appartiene alle invenzioni del look americano che, con i jeans, ha livellato l’estetica vestimentaria nel mondo. Le prime a indossare questa sorta di scarponcini, suola di gomma e tomaia di tela o di sintetico, furono le segretarie del settore finanziario di New York. Ma le usavano solo per il tragitto a piedi o in metropolitana. In ufficio, era d’obbligo la scollata con tacco a spillo: una rovina per la salute dei piedi e dei pavimenti. Da qui, il divieto che le mise al bando.
Per l’industria e il commercio si apriva una scommessa: o chiudere baracca o fiutare una tendenza irreversibile. Nacquero così marchi, ormai celebri: le «tre righe», lo «swoosh» e altri ancora, prediletti dai giovanissimi. Fu poi la volta delle sneakers «firmate», che conquistarono le simpatie di consumatori esigenti, abituati al classico costoso. Con la sneaker coloratissima e scintillante si concedevano un tocco di fantasia. Del resto, questa scarpa comoda e pimpante fece da traino a tutto l’abbigliamento, in particolare quello maschile, ispirato al classico inglese. A prima vista, potrebbe indicare l’avvento di un’era egualitaria e ragionevole. Funzionalità e comodità innanzitutto. In pratica, anche la vecchia scarpa da tennis proletaria è cambiata creando un suo particolare chic, non solo per via del prezzo, a volte esorbitante, ma per una sorta di plusvalore di tipo sociale e culturale. Un esempio rivelatore: in una delle ultime immagini che ha lasciato di sé, Gillo Dorfles, ultracentenario, portava sneakers rosso fiamma.
Tacchi, scollate di vernice o di camoscio, preferibilmente nere, blu o marrone: tutto ciò spazzato via dall’avvento delle sneakers? Sta di fatto che lo spazio riservato alla calzatura classica continua a restringersi. Persino le hostess, un tempo simbolo di eleganza, sono state autorizzate, per i voli low cost di SkyUp, ad indossare tute e scarpe comode, cioè sneakers. Commenti mediatici, favorevoli all’unanimità. Via libera dunque alla funzionalità, che però corre il rischio di confondersi con il «farsi i propri comodi». Una svolta tutta senza rimpianti? Si avvertono anche sintomi di segno opposto. Il successo della serie, e del film, Downton Abbey, riproposto sugli schermi italiani, è dovuto anche proprio al piacere di ritrovare immagini di un’eleganza perduta. Reazioni paragonabili sta suscitando la saga dei Florio, pagine di storia in cui la cura dell’abbigliamento esprime il culto del bello, frutto di disciplina e rispetto di sé e dell’altro, in grado di sfidare le epoche. Saranno le sneakers a raccontare la nostra?
devastante terremoto di Messina del 1908 raggiunse i 7,8 gradi). I morti furono 300, una cifra relativamente bassa, se pensiamo che l’analogo evento messinese causò da 90 a 120’000 vittime. La causa sembra sia stata la faglia che attraversa le antichissime montagne del Jura, la stessa forse responsabile di una serie di episodi sismici minori nel corso dei secoli. Sta di fatto – si tranquillizzino i lettori dell’Altropologo – che di circa diecimila episodi registrati in Svizzera negli ultimi 800 anni solo una dozzina hanno superato i sei gradi della Scala Richter. Come abbiano spiegato, posto che si siano dati la pena di farlo, i buoni Bürger di Basilea l’evento funesto all’Altropologo non è dato sapere. Certo, la rarità dell’evento non avrà ispirato la varietà di eziologie che altrove nel mondo hanno
La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi Una nipote speciale Cara Silvia, ti leggo da sempre e ti considero un’amica per cui ti scrivo quello che non confiderei a nessuno. Sette anni fa la piccola Francesca, nata in India, che avevamo adottato nel 1975, ci ha annunciato, dopo un anno di matrimonio, di essere in attesa di due gemelli. È stata una gioia grandissima, il coronamento di un matrimonio felice e di una esistenza realizzata. Purtroppo, poco dopo, un certificato medico ci avvertiva che uno dei due feti, la femmina, era affetto dalla sindrome di Down. In quel momento sono stato colpito da un pugno nello stomaco e travolto da una rabbia cieca contro la sorte, contro quel maledetto cromosoma 21 e, in più, contro me stesso. Per la prima volta mi trovavo a esprimere cattivi sentimenti ed emozioni negative. Non ero dunque la brava persona che credevo di essere. Sono giunto al punto, se mia moglie non mi avesse fermato, di chiedere a Francesca di interrompere la gravidanza senza rispettare la sua serena accettazione degli eventi. Pensavo fosse solo una con-
seguenza del fatalismo indiano mentre mi sarei ben presto accorto che esprimeva un profondo, coraggioso amore materno. Chi non ha avuto coraggio è stato invece il marito di Francesca che ha preferito darsela a gambe. Le difficoltà di accudire una puerpera e due neonati, hanno impegnato totalmente mia moglie lasciandomi in preda a una cupa, profonda disperazione. Non parlavo più e niente m’interessava. I commenti di amici e conoscenti non facevano che irritarmi. Non sopportavo né la compassione di circostanza né il falso ottimismo. E mentre frequentavo regolarmente Leo, il gemello sano, sfuggivo Lisa, la nipotina «malata». Chi mi ha salvato è stata Lisa stessa, la sua vitalità, il fatto che fosse felice di ogni piccolo progresso come camminare, mangiare da sola, pronunciare le prime parole, partecipare ai giochi del fratello e soprattutto, lo confesso, la gioia che esprimeva ogni volta che ci incontravamo. I due monelli sono andati insieme al Nido, poi all’Asilo e ora in prima elementare. Mi sono così accorto che le loro «prime volte» non
erano diverse da quelle di tutti gli altri bambini. E ho finalmente compreso che, non solo i figli ma anche i nipoti, devono essere accettati e amati per quello che sono, in quanto persone uniche e non l’incarnazione dei nostri ideali. Ho imparato man mano a conoscere Lisa, a guardare il mondo con i suoi occhi e, grazie a lei, a riconoscere il valore di un bambino «imperfetto». Adesso, che le dedico il mio tempo, mi sento una persona migliore. Con questa confidenza vorrei, cara Silvia, confortare e sostenere i nonni che stanno provando, come è accaduto a noi, la difficoltà di accogliere e amare incondizionatamente un nipotino disabile che, con la sua fragilità, ci chiede di ricominciare proprio quando, ormai stanchi, pensavamo di concludere la nostra attività. Grato dell’ascolto, invio a tutti i migliori saluti e auguri. / Nonno Franco
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Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6901 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch
Mode e modi di Luciana Caglio Scarpe da tennis all’asta A scanso di equivoci, non si sta parlando delle scarpe indossate da Roger Federer sul campo, degne quindi di figurare, come cimelio storico, nelle teche del Tennis Museum di Wimbledon. Nuovo oggetto di desiderio e addirittura di culto, un paio di comuni «sneakers». Comuni, si fa per dire. Infatti, agli inizi di ottobre, Oerlikon ha ospitato una primizia mondiale: la «sneakerness», fiera delle sneakers, ex scarpe da tennis. Tra gli 8000 modelli esposti anche
calzature che superavano quotazioni stellari, dai 4000 fino ai 15’000 franchi. I nuovi proprietari di queste rarità dicono che non le calzeranno ma che finiranno tra i tesori di casa, da esporre. Fiere del genere, come pure la vendita online di modelli in edizione limitata, e quindi super richiesti, stanno diventando sempre più diffusi. Una nuova forma di collezionismo, che sostituisce la filatelia. A corto di materia prima: si è chiusa ormai l’era del francobollo.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 ottobre 2021 • N. 42
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Ambiente e Benessere La storia di Geraki Un castello testimonia ancora oggi quanto il villaggio greco poco noto fu uno dei centri più importanti del Peloponneso
A Dubai con Hotelplan Per i lettori di «Azione» viaggi personalizzati verso la cattedrale dello shopping nel deserto
Quasi un delirio turistico Voglia di lasciarci alle spalle questa stagione di viaggi condizionati da regole Covid
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Arance, cipolle e prezzemolo Un’insalata di barbabietole resa croccante con saporiti dadini di pancetta ben rosolati pagina 23
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Patologie dell’occhio dal bambino all’anziano
Oftalmologia Miopia e maculopatia segnano
due diversi momenti della vita che talvolta sono correlati
Maria Grazia Buletti «Gli occhi sono lo specchio dell’anima». Il nostro sguardo è in grado di riflettere stati d’animo e sentimenti che possono essere percepiti proprio guardando negli occhi di qualcuno. Pure l’espressione «parlare con gli occhi» assume un significato concreto perché la vista è, di fatto, quella «finestra» che ci permette di collocarci nel mondo che ci circonda. Per questo, bisogna prendere seriamente i disturbi che possono affliggere l’occhio, lungo differenti fasi della vita. Con il primario di oftalmologia dell’Ospedale Regionale di Lugano dottor Moreno Menghini affrontiamo il tema della degenerazione maculare legata all’età (Dmle), i cui disturbi variano in funzione del tipo di patologia (secca o umida) e del suo stadio. «Si tratta di una malattia molto frequente in età avanzata, con la quale oggi siamo sempre più confrontati a causa dell’aumento della speranza di vita della popolazione», esordisce l’oftalmologo al quale chiediamo qual è la parte dell’occhio interessata dalla maculopatia: «Si chiama macula, una parola che deriva dal latino e significa “macchia”. Si trova nella zona centrale della retina dove la visione è più distinta e dove abbiamo la massima densità delle cellule visive, i cosiddetti fotorecettori». Menghini spiega che si stimano cento milioni di fotorecettori mediante i quali la luce che raggiunge l’occhio viene convertita in impulso nervoso e poi trasmessa al cervello «attraverso il nervo ottico, dove si forma l’immagine reale, mentre solo uno strato sottile separa la retina dalla coroide sottostante (una sottile membrana molto vascolarizzata che nutre la retina)». Senza la macula non potremmo mettere a fuoco: «Non si avrebbe l’acuità visiva centrale, mentre tutto al di fuori di quei sei millimetri quadrati è preposto solo a campo visivo e orientamento nel buio».
Menghini spiega come un metabolismo sano e particolarmene attivo provveda a nutrire bene la macula, mentre lo strato sottostante è deputato all’eliminazione delle scorie metaboliche. La degenerazione maculare si forma man mano che l’età avanza e questo meccanismo di rimozione dei rifiuti comincia a non funzionare più correttamente: «Sotto la retina si formano depositi (drusen), anche se nello stadio iniziale l’invecchiamento della macula non provoca alterazioni della capacità visiva; spesso questi depositi sono individuati solo esaminando il fondo dell’occhio». Tuttavia, con il passare del tempo, aumenta sempre di più il numero di recettori che si atrofizzano, provocando la diminuzione della vista proprio nel punto in cui l’occhio dovrebbe avere la visione più acuta, spiega Menghini: «A uno stadio avanzato della patologia, le persone colpite non riescono più a riconoscere i volti delle persone, fanno fatica a leggere o non sono più in grado di guidare e diventa sempre più difficile riuscire a riconoscere i contrasti». Ad esempio, «non ci si accorge più della presenza di scalini e questo può aumentare sensibilmente il rischio di cadute dell’anziano. Anche percepire le linee rette come distorte può indicare la presenza di maculopatia». Una malattia i cui fattori di rischio possono essere genetici o ambientali: «Quello più noto e alto è il tabagismo, accompagnato da altri rischi di tipo cardiovascolare, ipertensione, ipercolesterolemia, obesità e stile di vita non sano». I sintomi sono inizialmente assenti e si evidenziano solo più tardi: «Per definizione, la maculopatia si manifesta per lo più verso i 55 anni con prevalenza molto bassa sotto i 60 (circa 1 per cento), ma dopo gli 80 anni abbiamo una prevalenza del 15-20 per cento negli stadi iniziali e di 5-10 per cento in quelli avanzati». Di questi ultimi ne esistono di due tipi: umida e secca.
Il primario di oftalmologia dell’Ospedale Regionale di Lugano dottor Moreno Menghini durante una visita. (Stefano Spinelli)
Per quest’ultima ancora non ci sono terapie adeguate anche se studi internazionali promettenti indicano che in futuro avremo farmaci atti a rallentarne il processo. Per lo stadio umido disponiamo invece di farmaci che iniettiamo in via intravitrale (nell’occhio) con trattamenti individualizzati (nel primo anno calcoliamo da 9 a 10 iniezioni, poi da 4 a 6)». Se la maculopatia è legata all’età avanzata, diciamo il contrario per la miopia che può colpire già nell’infanzia. Ce lo spiega l’oftalmologo Alex Casanova, capoclinica di oftalmologia ORL che anticipa l’importanza del monitoraggio della miopia per la relazione che potrebbe avere con la maculopatia: «Se la maculopatia non porta alla miopia, una miopia superiore a meno sei diottrie (patologica) potrebbe essere un problema e sfociare in una maculopatia». Quando leggere diventa un problema, da lontano tutto diventa sfuocato e non si riesce a riconoscere il volto delle persone dall’altro lato della strada, la diagnosi è: miopia. «Il bambino si accorge quando non riesce a leggere la lavagna e avanza di banco per accor-
ciare la distanza», afferma Casanova che spiega la miopia come «la presenza di un bulbo oculare troppo lungo, un potere diottrico troppo elevato della cornea o una combinazione di questi difetti». Indipendentemente dalla causa, «con la miopia i raggi di luce confluiscono davanti alla retina, formando così un’immagine sfuocata». Oltre al difetto puramente anatomico descritto, altri possono essere i fattori di rischio: «Genetico (aumentato con genitori miopi), e di tipo ambientale come lavorare sempre da vicino e in ambienti chiusi: la miopia è in agguato in quei bambini che leggono tanto al chiuso o stanno seduti allo schermo del computer». Egli ricorda l’importanza della luce naturale che «permette all’occhio di produrre un ormone che ne irrigidisce il tessuto, bloccandone l’allungamento eccessivo», e invita i ragazzi «a leggere all’aria aperta, ad esempio». Al di là della prevenzione, la miopia tende a progredire nel tempo e nelle differenti fasi della vita: «Un cambiamento che inizia tra i 10 e i 15 anni, quando il bambino cresce e l’occhio si allunga». Inquadrare la tendenza intrinseca
del bambino e controllarlo nel tempo è la chiave che permette di osservare eventuali variazioni importanti di miopia per i quali bisogna intervenire: «Le lenti “Myosmart” sono il nostro cavallo di battaglia perché prive di controindicazioni e non danno fastidio al bambino». Esistono pure le terapie convenzionali: «Gocce di atropina (ma con effetti collaterali e vanno messe regolarmente), lenti a contatto (coi relativi rischi di infezioni e infiammazioni a esse legati, compresa la sottrazione di ossigeno alla cornea)». Una particolare attenzione durante la crescita, e un sano stile di vita con l’avanzare degli anni, restano la base per la salute dei nostri occhi. Informazione
Mercoledì 20 ottobre, alle 18.30 sarà possibile seguire una conferenza pubblica virtuale sulle patologie oculari. Durante l’incontro si potranno porre domande ai due specialisti, il dottor Moreno Menghini e il dottor Alex Casanova (le coordinate per accedere al Webinair si trovano seguendo questo link: https://bit.ly/2YHM31M.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 ottobre 2021 • N. 42
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 ottobre 2021 • N. 42
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Ambiente e Benessere
Geraki, fortezza di congiunzione tra Mystras e Monemvasia Reportage Terra di coltivatori, pastori e tessitori di tappeti, il piccolo e poco noto villaggio greco
è dominato da un importante castello medievale
Simona Dalla Valle, testo e foto A meno di 40 chilometri a sud-est di Sparta, alle pendici del monte Parnon, si trova Geraki, un villaggio greco che ha una popolazione di circa 1800 abitanti e vanta una lunga tradizione nell’arte della tessitura di tappeti – detti kilim – a telaio. Nel 2019 la tessitura tradizionale del villaggio, affidata prevalentemente alle donne, è stata iscritta nell’Inventario Nazionale del Patrimonio Culturale Immateriale della Grecia. Ma l’occupazione principale dei residenti gravita attorno alle olive, con una produzione annuale di 1100 tonnellate di olive commestibili e 1500 tonnellate di olio. Tra gli altri prodotti della zona vi sono il grano, l’orzo, i fichi e il miele. Molte famiglie sono coinvolte nell’allevamento, che conta circa 25mila capi di bestiame tra pecore e capre. Le ripide vie del paese, deserte in un bollente pomeriggio di luglio, si arrampicano fino alla grande plateia, dove all’ombra dei platani i locali si riuniscono davanti a una birra ghiacciata. I vicoli circondati da alte mura in pietra e le case dalle persiane sbarrate sembrano proteggere antichi segreti, e i balconi pericolosamente bassi sono una sfida per le auto dei pochi turisti che si avventurano in paese.
I vicoli circondati da alte mura in pietra e le case dalle persiane sbarrate sembra proteggano antichi segreti La principale attrazione della zona sono le rovine del castello medievale costruito sulla cima settentrionale della collina calcarea di Palaiokastro, alta 562 metri e a un paio di chilometri dal paese. Considerato il fratello minore dei siti archeologici più famosi e visitati di Mystras e Monemvasia, l’insedia-
Interno della chiesa di Agios Georgios.
Vie interne di Geraki.
Vista dalla collina. (su www.azione.ch si trova una galleria fotografica più ampia)
mento di Paleogerako si affaccia sulle fertili pianure della Laconia. Il castello fu fondato dal barone franco Guy de Nivelet nel 1209, periodo nel quale la maggior parte della zona era passata sotto il dominio franco. I bizantini avevano perso il controllo dell’area in seguito all’assedio di Costantinopoli da parte dei crociati del 1204 e il neonato Principato di Acaia fu diviso in dodici baronie, una delle quali era proprio Geraki. Nel 1259 i franchi furono sconfitti nella battaglia di Pelagonia, che segnò la fine dell’impero latino, e durante i circa due secoli di dominio bizantino che seguirono, Geraki divenne uno dei centri più importanti del Peloponneso.
La fortezza fu rafforzata con strutture difensive che incorporavano quelle esistenti e il castello rimase in possesso del Despotato di Morea fino alla sua dissoluzione da parte dei turchi ottomani nel 1460, per passare brevemente sotto l’occupazione veneziana sia durante la guerra veneto-turca (14631479), sia durante il secondo periodo del dominio veneziano (1685-1715). Dopo la seconda metà del XV secolo, il sito sembrò avere un uso limitato; questo fin dopo il 1702, l’anno della costruzione della chiesa parrocchiale di Koimisis tis Theotokou, quando la maggior parte degli abitanti si trasferì nel sito dell’attuale paese di Geraki. La posizione del castello era cruciale, poiché controllava la comunicazione stradale tra Mystras, la sede del Despotato di Morea, e Monemvasia, il suo porto marittimo. Il recinto fortificato sfrutta al massimo la fortificazione naturale data dalla conformazione del terreno, che racchiude un’area di cinquemila metri quadrati. Le mura sono ripide e coronate da merlature, alle quali si accede da gradini di pietra e da un cammino a rampe. Un secondo muro di cinta con torri rettangolari alle due estremità fu aggiunto al lato sud del vecchio muro in epoca bizantina. Viaggiando lungo la provinciale Spartis-Agiou Dimitriou in direzione nord, si ha una vista ininterrotta della pianura di Geraki ricca di ulivi, con l’imponente Monte Taygetos a ovest, la pianura di Elos e la foce del fiume Evrotas nel Golfo di Laconia a sud. Una strada semi sterrata risale la collina e dopo una serie di tornanti si arriva alla cancellata di ingresso del sito archeologico, i cui lavori di ristrutturazione sono terminati nel 2013. Al fresco di un ventilatore, nella penombra della reception, un’impiegata gentile mostra un breve filmato sulla storia del castello e il progetto di recupero del sito archeologico. All’interno del recinto fortificato sono sopravvissuti edifici che probabilmente svolgevano funzioni amministrative e alloggi, oltre a due grandi cisterne e la chiesa di Agios Georgios, dalla struttura a tre navate decorate con pitture murali del XIV secolo. Paliogerako, l’insediamento del castello di Geraki, si sviluppò sul lato occidentale della collina. La disposizio-
ne relativamente irregolare degli edifici testimonia lo sviluppo dinamico della cittadella, che comprende oltre quaranta edifici secolari datati principalmente tra la seconda metà del XIII secolo e la prima metà del XV secolo e otto chie-
se, le meglio conservate delle quali sono Zoodochos Pigi (la Fonte della Vita), e Agia Paraskevi. Nella maggior parte degli edifici vi erano spazi ausiliari al piano terra, principalmente adibiti a magazzini o laboratori, e abitazioni al livello superiore. Gli edifici erano per lo più a pianta rettangolare e in molti di essi si intravvedono più fasi di costruzione, interpretabili come espansioni in larghezza o in altezza. In alcune pareti si notano nicchie di stoccaggio, in alcuni casi rivestite di malta idraulica, forse per garantire una migliore conservazione di alimenti come grano, legumi e olio. Al piano terra di molti degli edifici sono state documentate attività di laboratorio. Una ricerca ha rivelato carbone, scorie di ferro, masse di metallo e oggetti o parti in ferro o in rame, come coltelli, utensili, chiodi, anelli e molle. Presumibilmente qui si eseguivano lavori in metallo per modellare, riparare e modificare piccoli oggetti di uso quotidiano. Una delle attività principali era tuttavia quella tessile, abbinata forse alla tintura di filati e tessuti, e la presenza di monete in alcune sale indicherebbe una commercializzazione dei prodotti. Sulla sommità della collina, il silenzio del pomeriggio è rotto solo dal frinire cadenzato delle cicale. Il paesaggio immobile è ravvivato di tanto in tanto da una folata rovente, che solleva nuvole di polvere dai rami secchi dei cespugli e la spinge più giù, nella vallata, sulle file di ulivi che riposano indisturbati. Annuncio pubblicitario
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Ambiente e Benessere
Nella terra delle cattedrali dello shopping
Viaggio Per i lettori di «Azione», Hotelplan organizza viaggi personalizzati per visitare sia la città di Dubai sia Expo 2021
La città-emirato di Dubai che si affaccia sul Golfo Persico, dal 5 ottobre 2021 ha un ulteriore motivo per essere visitata: Expo 2021. Una perla che arricchisce un’offerta già estremamente generosa: alberghi tra i migliori e più straordinari al mondo; eventi culturali di richiamo
mondiale; centri commerciali nei quali è possibile acquistare prodotti dei più rinomati marchi internazionali come pure automobili; soggiorni balneari conditi dalla mondanità delle zone più effervescenti ma anche lunghe spiagge bianche per chi invece è alla ricerca della
Il programma di viaggio 1. giorno – Milano-Dubai; trasfe-
rimento individuale per l’aeroporto di Milano-Malpensa e volo diretto a Dubai. Trasferimento privato in albergo. Pernottamento. 2. giorno – Dubai; visita della città con guida privata in italiano. Si inizia con la «vecchia Dubai»: l’antico quartiere di Bastakia con le sue case tipiche e il Museo di Dubai. Si attraversa poi il Dubai Creek a bordo di una «abra» (tipica imbarcazione locale) fino al quartiere di Deira: soste al souk dell’oro e a quello delle Spezie. Giro panoramico tra gli edifici di Dubai Downtown. Pomeriggio a disposizione per relax al mare. 3. giorno – Expo; giornata a disposi-
zione per esplorare individualmente EXPO 21. 4. giorno – Safari nel deserto; mattinata per un’altra visita di EXPO 21 e poi partenza nel pomeriggio per un safari nel deserto. Il safari di gruppo, con guida in inglese, sarà percorso in jeep attraverso il deserto; barbecue sotto le stelle. Rientro in hotel e pernottamento. 5. giorno – Dubai-Milano; mattinata a disposizione per le ultime visite, shopping o per rilassarsi in spiaggia. Trasferimento privato in aeroporto e volo di ritorno. Arrivo a Milano-Malpensa e trasferta individuale in Ticino. Inoltre – Possibilità di modifica di programma e/o aggiunta di escursioni e visite guidate.
tranquillità. L’abbondanza, il lusso e la stravaganza, sono caratteristiche che rendono unica Dubai; nessun’altra città al mondo è in grado di competere ad armi pari. Qui lo shopping ha una sua precisa collocazione e una valida proposta per ogni tipo di cliente: esclusive boutique ma anche centri commerciali come il «Dubai Mall» o il «Mall of the Emirates», dov’è possibile effettuare acquisti in uno dei 630 negozi, ristorarsi in uno dei 100 caffè e ristoranti, ma anche andare al cinema o provare l’ebbrezza dello sci al coperto. A queste imponenti cattedrali dello shopping, si contrappone il fascino dei mitici souk, dove colori e profumi d’Oriente sono ancora presenti in piccoli e stipatissimi negozi che sembrano imprigionati nel tempo. Un viaggio negli Emirati Arabi Uniti è un’esperienza ricca di sensazioni uniche: Hotelplan offre ai lettori di «Azione» la possibilità di godere del fascino moderno al sapore orientale di questa grande città, proponendo viaggi organizzati su base individuale. Inoltre, fino al 31 marzo 2022, Dubai si trasforma in una vetrina mondiale in cui 193 Paesi al mondo presentano al meglio il tema di questa
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Ambiente e Benessere
Una pagina nuova
Viaggiatori d’Occidente La ripartenza del turismo è passata attraverso un periodo molto turbolento
Claudio Visentin What a chaos!, dicono gli americani; che casino!, gli fanno eco gli italiani. Non è stata un’estate facile, questa appena trascorsa. Il nostro tentativo di ritornare alla normalità anche nei viaggi si è scontrato con continui imprevisti e incidenti di percorso: ritardi, cancellazioni e soprattutto la lista delle possibili destinazioni che cambiavano colore con la disinvoltura di un camaleonte. Ognuno ha una storia tragicomica da raccontare. Nancy Newhouse, ex redattrice della sezione viaggi del «New York Times», nel tentativo di andare da Albuquerque a New York (per lei pura routine), è rimasta seduta per due ore sull’asfalto della pista aspettando un volo cancellato; infine dopo quattro tentativi di prenotazione andati a vuoto è arrivata a New York con due giorni di ritardo, ma senza il suo bagaglio, che la compagnia aerea ha perso da qualche parte (è stato poi restituito, addebitandole però quaranta dollari per la consegna). Nancy ha concluso sconsolata: «I viaggi tranquilli appartengono al passato». Ha immaginato giustamente di non essere la sola ad aver vissuto simili disavventure e ha chiesto ai suoi lettori di mandarle le loro storie. Leggendo queste peripezie ho pensato che, quando non capitano a noi, sono quasi divertenti. Per esempio Alice è tornata a viaggiare prenotando una vacanza in un hotel di Port Antonio, Giamaica. Ma quando la sera si è presentata al ristorante per la cena, compresa nella mezza pensione, ha
scoperto che nessuno l’aveva avvisata del coprifuoco per Covid dalle sei di pomeriggio. Cuochi e camerieri se n’erano andati da tempo e al bar ha rimediato soltanto un daiquiri alla fragola (a stomaco vuoto dev’essere un’esperienza). Tim e sua moglie durante una vacanza alle Azzorre sono risultati positivi al Covid test e sono stati portati in un apposito albergo per la quarantena, con tanto di ambulanza e autista in tuta protettiva, come nei film di fantascienza. La tristezza di una stanza spoglia (con la prospettiva di passarci due settimane) si è attenuata quando dei simpatici vicini attraverso il balcone hanno allungato loro una bottiglia di buon vinho tinto portoghese. Stacy dopo un soggiorno in Grecia voleva concludere la sua vacanza a Malta. Ma in un primo momento il suo certificato vaccinale non è stato accettato. Quando dopo qualche giorno l’amministrazione dell’isola ha deciso che sì, poteva andare, Stacy era già a Napoli dove ha frequentato con entusiasmo una scuola per pizzaioli. Non tutto il male eccetera eccetera. Kristie invece lavora dall’altra parte della barricata, ovvero è supervisore del servizio clienti di una grande compagnia aerea. Riassume così la sua esperienza di questi ultimi mesi: «Le persone hanno dimenticato come comportarsi e come relazionarsi con gli altri! E noi eravamo lì per aiutarli a recuperare il tempo perduto, per rivedere la loro famiglia o andare all’avventura».
Nella nebbia su una bella utilitaria Bussole Inviti a letture per viaggiare
«Sono nato dentro la nebbia. Per molti anni ho abitato in un posto dove il fiume scorreva a poche centinaia di metri da casa, oltre il bosco che incominciava dove finiva una grande aia. Ma già prima del fiume, dentro il bosco, c’era l’acqua quasi ferma delle lanche. E prima del bosco, il verde, sempreverde anche d’inverno, delle marcite ricoperte da un velo d’acqua. E rogge, e cavi, e fossi da non poterli contare tutti. La nebbia la facevano lì. Sono nato nella fabbrica della nebbia…». (Gino Cervi La fabbrica della nebbia). «Sono nata nel 1969, figlia dei figli del primissimo boom demografico post bellico. I miei genitori venivano al mondo entrambi nel 1946 […] L’anno della Topolino amaranto in cui “si sta che è un incanto” cantata da Paolo Conte tre decenni dopo […] Da bambina ho viaggiato frequentemente, in certi periodi esclusivamente, con minuscole utilitarie eredi di quella capostipite…». (Elisabetta Tiveron, Il talento delle utilitarie).
Un centinaio di pagine, un formato ridotto, un’idea di viaggio con infinite, eleganti sfaccettature: è la collana Piccola filosofia di viaggio, nata da una collaborazione tra la casa editrice francese Transborèal e l’italiana Ediciclo. Dieci anni dopo con le ultime due novità ci avviciniamo ai cinquanta titoli. Elisabetta Tiveron celebra le piccole auto come perfette compagne per viaggi senza fretta lungo le strade secondarie. Gino Cervi racconta invece viaggi nella nebbia più fitta anche se, come già cantavano Cochi e Renato, «Le strade non finiscono, gli incroci non si vedono. I semafori non servono» (Nebbia in Valpadana). / CV
Per alcuni la disavventura è stata soprattutto legata alle lunghe attese. (Pxhere.com)
Nonostante i lunghi anni di servizio e le svariate crisi superate in passato, Kristie non dimenticherà questa estate 2021 e come lei numerosi assistenti di volo. Alla fine d’agosto la Federal Aviation Administration statunitense aveva già contato più di quattromila incidenti causati da passeggeri indisciplinati o fuori controllo. Spesso il personale di bordo è stato aggredito da chi si rifiutava di indossare
la mascherina. Un assistente di volo della Southwest Airlines ci ha rimesso due denti e un passeggero della Frontier Airlines è stato legato al sedile col nastro dopo aver preso a pugni chi cercava di tranquillizzarlo. Ma accanto agli episodi conosciuti, centinaia sono rimasti sottotraccia, tanto che la Transportation Security Administration ha iniziato a offrire al personale corsi di autodifesa gratuiti.
E tuttavia piano piano ci stiamo lasciando alle spalle questo disgraziato periodo. Sia pure con fatica, due passi avanti e uno indietro, il turismo è ripartito e ogni giorno si consolidano progressi. L’Expo a Dubai, rimandato per forza di cose al 2021, si è messo in moto. Certo è un turismo diverso, ancora timoroso dei grandi numeri e delle masse, ancora largamente virtuale e dipendente dal digitale come mai prima d’ora, ma quel che conta è aver sciolto le vele. Un importante marchio di valigie ha colto bene lo spirito del tempo in una campagna pubblicitaria con personaggi famosi quali Roger Federer e Rihanna. Il filo conduttore è una poesia di Patti Smith, Never still (Fermi mai), ispirata dalla riscoperta del senso del viaggio, da un decisivo allargamento di orizzonti dopo la forzata immobilità: «Il viaggio è un libro. / Le immagini che abbiamo catturato su una pellicola, / o nella memoria, formano le sue pagine. / Quando le giri, rivelano la storia di una vita. / E noi desideriamo aggiungere sempre nuove pagine. / Sentiamo il desiderio di esplorare. / Cerchiamo nuove vedute, / nuovi rumori: / una piramide, / un antico sguardo. / Non ci voltiamo indietro. / Rivediamo luoghi già percorsi un tempo sotto una nuova luce. / Noi siamo pronti / a indossare i nostri cappotti, / a rompere barriere, / a reclamare il movimento. / Vedere con occhi nuovi il familiare / e il diverso. / Nuove pagine per la nostra storia. / L’incessante sfogliare le pagine della vita». Annuncio pubblicitario
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Bibliografia
Gino Cervi, La fabbrica della nebbia. Piccolo viaggio sentimentale dentro quel che cancella e svela, Ediciclo, pp. 96, € 9.50. Elisabetta Tiveron, Il talento delle utilitarie. Piccole automobili per viaggiare con gentilezza, Ediciclo, pp. 96, € 9.50.
Hit Le copertine dei due libri citati: La fabbrica della nebbia e Il talento delle utilitarie. (ediciclo editore)
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Ambiente e Benessere Migusto La ricetta della settimana
Insalata di barbabietole all’arancia Piccolo pasto Ingredienti per 4 persone: 700 g di barbabietole cotte, sbucciate · 2 arance · ½
migusto.migros.ch/it/ricette Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.
cipolla rossa · ½ mazzetto di prezzemolo · 1 c di senape granulosa · 5 c d’olio d’oliva · 4 c d’aceto balsamico bianco o Condimento bianco · sale · pepe · 120 g di pancetta a dadini.
1. Tagliate le barbabietole a fettine sottili con una mandolina. Pelate le arance a vivo, dividetele in quattro parti per il lungo e poi tagliatele a pezzettini. Tagliate le cipolle a fettine sottili. Sfogliate il prezzemolo e tritatelo grossolanamente. 2. In una scodella mescolate la senape con l’olio e l’aceto. Condite la vinaigrette con sale e pepe. Aggiungete tutti gli ingredienti tagliati e mescolate con cura. 3. Rosolate la pancetta a dadini in una padella antiaderente senza aggiungere grassi, finché diventa bella croccante, poi distribuitela sull’insalata. Preparazione: circa 20 minuti. Per persona: circa 10 g di proteine, 19 g di grassi, 24 g di carboidrati, 320 kcal/
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Ambiente e Benessere
Quasi come un glicine
Mondoverde Sono vigorose e scenografiche dai colori rosso intenso fino a rasentare il viola scuro quasi nero
Anita Negretti Qualche tempo fa, in questa rubrica (su «Azione» del 26.08.2019), ho scritto di glicini (Wisteria), descrivendo quello quasi centenario che cresce rigoglioso sulla balconata di casa mia. Ogni primavera è un’esplosione di gioia per i miei occhi: i lunghi fiori a pannocchia lilla, blu e bianchi compaiono copiosi ad aprile, seguiti poi dalle foglie, che per tutta l’estate creano una sorta di tenda verde sul lungo balcone. In giardino invece ospito un glicine dagli enormi fiori bianchi (Wisteria Floribunda Longissima Alba) che ho messo a dimora quattro o cinque anni or sono per verificare di persona la lunghezza dei fiori, visto che secondo libri e manuali dovrebbero raggiungere una misura massima di sessanta centimetri: ora posso affermare che tale lunghezza è veritiera, così come la possibilità di allevare glicini come vere e proprie piante, non solo come rampicanti: ne ho piantato uno solitario, alto non più di un metro e cinquanta centimetri ma con un fusto già ben sviluppato, sui quindici centimetri di diametro, e fiorisce rigoglioso senza bisogno di supporti, se non un basso paletto di legno per ancorarlo maggiormente al suolo. Unica accortezza è data dalla potatura, che dev’essere eseguita più volte all’anno: i lunghi rami se lasciati crescere indisturbati, infatti, si attaccano subito alle fronde delle altre piante, creando un poco di disordine nell’aiuola. Ecco, i miei esperimenti con i gli-
cini finiscono qui, visto che mi sono sempre intimorita a piantare i «falsi glicini», ovvero le specie come Kennedia rubicunda (anche noto come glicine rosso), Millettia japonica (glicine sempreverde o glicine d’estate) e Mucuna sempervirens (glicine nero), per paura che non fossero in grado di resistere al gelo invernale. Una paura che è però infondata, se si considera che tutte e tre resistono fino a –7°C e tutt’al più perdono parte delle loro foglie se l’inverno è particolarmente rigido. Probabilmente le mie perplessità sulla loro acclimatazione si fondano sulle zone d’origine di queste belle e vigorose rampicanti: Australia orientale per la Kennedia, Cina per la Mucuna e Madagascar per la Millettia. La Kennedia rubiconda raggiunge i quattro-cinque metri di altezza e nel mondo anglosassone viene soprannominata «dusky coral pea» (letteralmente: «pisello corallo scuro») per via dei suoi fiori rosso corallo che compaiono in marzo-aprile alle nostre latitudini. I suoi tralci crescono velocemente, si riempiono di foglie formate da tre foglioline color verde lucido e necessitano di pieno sole per crescere sani e resistenti agli attacchi parassitari. Millettia japonica (sinonimo di M. satsuma), ha la particolarità di fiorire in piena estate con grappoli color rosso magenta, lunghi fino a otto-dieci centimetri, che impiegano fino a venti giorni per la completa fioritura di ogni singolo grappolo. I numerosi tralci sono vigorosi e raggiungono i cinque metri d’altezza,
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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
ORIZZONTALI
1. Frammento di lava eruttato dal vulcano 7. Appuntita, aguzza 8. Nome femminile 9. Il sì di Tolstoj 10. Risponde in tutte le lingue 11. Titolo nobiliare 12. Prefisso replicativo 13. Famelici per natura 14. Posizione sottostante 17. Relativo alla morale 19. Acclamano i loro beniamini 21. Rappresentazione teatrale 23. Due vocali 24. Un albero 26. Lettera greca 28. Nella mitologia greco-romana era
Sudoku Soluzione:
Scoprire i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.
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I premi, cinque carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.
VERTICALI 1. Emette una luce intensissima 2. Piante delle Mimosacee 3. Senza colpa 4. Andata per Cicerone 5. Nota musicale 6. Tempi stabiliti 9. In seguito 11. Bevanda analcolica 13. Debole, leggero 14. Le iniziali del musicista Allevi 15. Allevò Bacco 16. Di seconda mano 18. Piccolo gruppo 19. Flora e Serena ne’ La Bella Addormentata nel bosco 20. Un numero 22. Dieci inglesi... 25. Le iniziali dell’attrice Ranieri 27. Interpretava La signora in giallo (Iniz.) Partecipazione online: inserire la
soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la
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Un esemplare di Mucuna sempervirens al Wuhan Botanical Garden, Cina. (HQ)
Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku
Cruciverba Cos’ha chi soffre di amaxofobia? Potrai scoprirlo risolvendo il cruciverba e leggendo nelle caselle evidenziate. (Frase: 2, 5, 2, 7)
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con foglie pennate molto simili di forma a quelle del glicine, ma più piccole, verde lucido e coriacee. Al sole e protetta dal vento, va piantata lontano da zone pavimentate del giardino poiché ha un apparato radicale superficiale che si sviluppa in orizzontale, con qualche rischio di alzare beole o autobloccanti. Dalle concimazioni scarse, Kennedia e Millettia si potano a fine febbraio, accorciando la chioma per mantenerla ordinata, mentre l’intervento di cimatura di Mucuna sempervirens è da eseguirsi a inizio estate. Quest’ultima specie ha origini cinesi, è molto vigorosa, con tralci che sfiorano ben i dieci metri, trifogliata e con lunghi racemi dai colori intensi e cupi: viola scuro quasi neri, dall’enorme effetto scenografico, grazie anche al buon profumo che emettono. Tutte e tre queste piante possono esser coltivate anche in vasi via via sempre più capienti, magari addossati a un grigliato o a un muro a sud, con terreno soffice, ben drenato e non eccessivamente concimato, visto che sono tutte e tre azotofissatrici, ovvero sono in grado autonomamente di prodursi azoto grazie alla simbiosi con dei batteri presenti nei loro tubercoli radicali che fissano l’azoto atmosferico nel terreno. L’ideale è distribuire un concime organico a marzo e uno ad alto titolo di potassio a inizio giugno. Specie se coltivate in vaso, è necessario tenere il terriccio umido tutto l’anno, senza trascurarli in inverno, quando le gemme da fiore si stanno preparando per ingrossarsi.
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Soluzione della settimana precedente
IN GIRO PER L’EUROPA – Uno dei parchi più grandi d’Europa si trova: IN GERMANIA, A MONACO DI BAVIERA.
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sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 ottobre 2021 • N. 42
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Politica e Economia L’ombra del terremoto Impressioni da Norcia, cittadina umbra devastata da un terribile sisma cinque anni fa pagina 29
Scossone politico in Austria Le dimissioni di Kurz per corruzione (e non solo) sollevano interrogativi sullo stato di salute della democrazia nel Paese pagina 31
Perché Taiwan conta Il futuro dell’isola infiamma gli animi di cinesi e americani che mirano alla supremazia globale pagina 35
Proteste contro il green pass il 9 ottobre scorso a Roma. In primo piano Giuliano Castellino, leader di Forza nuova, cammina in direzione della sede della Cgil con altri militanti. (Shutterstock)
Rigurgiti fascisti e no vax
Italia Dentro il movimento che a Roma, durante le proteste contro il green pass, ha assaltato la sede della Cgil
e un pronto soccorso. Dai militanti di Forza nuova a quelli di QAnon, passando da «nonna Maura» e gli hooligans Alfio Caruso È stato brevissimo il passaggio da «no pass» a «no pasaràn», il grido dei repubblicani spagnoli contro il franchismo durante la guerra civile. L’Italia, che si affaccia timidamente alla normalità, si è all’improvviso trovata di fronte a inquietanti rigurgiti fascisti. Che tuttavia ribollivano nel malessere diffuso dovuto alla crisi economica e nella malmostosa avversione di una piccola fetta del Paese ai vaccini contro il Coronavirus e a tutto quanto ne consegue. Stiamo parlando del 4-5 per cento della popolazione, che gode della comprensione della destra sovranista, Lega e Fratelli d’Italia, nel tentativo d’imporre la propria volontà, autolesionistica, alla stragrande maggioranza dei compatrioti. E lo fa al grido di «libertà», «no alla dittatura», slogan che per primo non riconosceva a coloro di pensiero contrario. Da parte del Governo e delle forze dell’ordine è stata perseguita una linea morbida. Al ministero dell’Interno erano convinti che in tal modo le contestazioni si sarebbero gradualmente spente. Viceversa, i fautori del «contagio indiscriminato» si sono ringalluzziti, hanno ritenuto di avere uno spazio per sovrastare i presunti «traditori», nel loro linguaggio tutti i vaccinati. Hanno così finito per rag-
gruppare i mille gruppuscoli antagonisti, che s’annidano nel cuore di ogni sistema democratico. E, pur di figurare tra gli oppositori, diversi manifestanti hanno nascosto di essersi vaccinati: dagli stagionati oppositori della tratta ad alta velocità Lione-Torino ai cultori della violenza nel tifo calcistico; dagli anarchici alla perenne ricerca di una causa ai perdenti ansiosi di recitare da protagonisti per una volta nella vita; dai seguaci di QAnon, i trumpiani ammalati di complottismo, ai guerrieri contro il presunto «reset mondiale», la congiura dei miliardari per essere ancora più miliardari (il «grande piano» delle élite mondiali per riformare il mondo creando una pandemia). Poi ci sono le scatenate signore che sostengono di battersi in nome e per conto dei figli minacciati da misteriosi avvelenamenti. C’è «nonna Maura», al secolo Maura Granelli, idolo assoluto del gruppo «Popolo delle mamme», incatenatasi nel settembre 2020 a un palo in piazza del Quirinale per chiedere di poter esporre a Mattarella le sue teorie sulla dittatura sanitaria e il pericolo rappresentato dal vaccino anti Covid per i bambini. Finì ammanettata anche lei. E c’è la quarantenne Paola Testa, immortalata nella foto con la testa insanguinata dopo gli scontri con le forze dell’ordine. Di se stessa dice: «Pri-
ma ero solo una mamma lavoratrice, che ha sempre pagato le tasse. Ora sono diventata una terrorista, che combatte per la libertà». Ma sulla maglietta campeggia la scritta «Boia chi molla»: nel 1970 fu l’urlo di battaglia della rivolta fascista di Reggio Calabria. Non a caso quelli maggiormente determinati sono stati finora gli estremisti di destra, i seguaci di Forza nuova e di CasaPound, che hanno intravisto la possibilità di accrescere affiliati e consensi (alle elezioni le loro percentuali si aggirano fra lo 0,3 e lo 0,7). Grazie ai pretesti di Salvini e Meloni («non si può sopprimere il dissenso»), quelli di Forza nuova hanno sfruttato la propria organizzazione paramilitare per mettersi in testa ai cortei, per cercare di diventare la voce e il volto della protesta fino all’irruzione violenta nella sede romana della Cgil, il principale sindacato italiano. Gli arresti che ne sono seguiti hanno riportato in primo piano le facce antiche del fascismo nostrano: il sessantaduenne Roberto Fiore, leader riconosciuto di Forza nuova, un passato intessuto d’intrighi, di ombre, di condanne giudiziarie; il sessantacinquenne Luigi Aronica, detto «er pantera di Monteverde», tra i fondatori dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar) espressione del terrorismo di destra negli anni
Settanta, che sperava d’intimorire gli agenti di polizia ricordando di aver fatto vent’anni di galera per le proprie imprese; il 45enne Giuliano Castellino, una milizia estremistica fin dalla fanciullezza, capace di mescolare l’attivismo in Forza nuova con la guida in curva del tifo romanista. Ma per assistere a una delle ultime partite della squadra del cuore il duro e puro Castellino ha accettato di sottoporsi alla verifica del tampone, senza il quale non si sarebbe potuto accomodare all’Olimpico. Con l’estensione del certificato verde a ogni posto di lavoro si è entrati nella fase più critica. Il ministero dell’Interno ha annunciato la linea dura contro le manifestazioni di piazza, non sarà però semplice ricondurre nell’alveo di una protesta civile chi si riteneva intoccabile al punto da assaltare il pronto soccorso di un ospedale; chi mostra di fregarsene dell’evidenza, cioè dei contagiati e dei morti quasi tutti fra i non vaccinati; chi ha fatto della disobbedienza, come Biagio Passaro alla testa del movimento «Io apro», riservato ai ristoratori, una professione. Forse l’unica risposta possibile la daranno i quasi cinquanta milioni di vaccinati, tuttavia non basterà per giungere a un esito ragionevole. Forza nuova, minacciata di essere messa al bando, avrà tutto l’interesse di alzare il livello del-
lo scontro, di mandare in piazza i suoi adepti avvolti nel tricolore, di sventolare cartelli provocatori, di proclamare che «bisogna fermare questo Governo che c’impone la dittatura». Intorno a tali inverosimili parole d’ordine si sono raggrumati esponenti vecchi e nuovi di un fascismo ancora ben presente nelle viscere della Nazione. Costituisce, purtroppo, l’album di famiglia, il virus dal quale si fatica a immunizzarsi. L’avvento di Mussolini ne fu la conseguenza, non la causa. Lo dimostra il successo elettorale, solo per il loro cognome, di Alessandra Mussolini e di Rachele Mussolini, la più votata nel centrodestra alle recenti Amministrative di Roma. Di madre diversa, entrambe sono figlie di Romano, il più giovane dei tre maschi del Duce, jazzista di talento, persona garbata e di senno al punto da rifiutare le mille profferte politiche della propria parte. Confidò di esser certo di spuntarla in una qualsiasi elezione, ma di essere altrettanto certo che avrebbe rappresentato un ulteriore motivo di divisione fra gli italiani. Trent’anni addietro Alessandra, a inizio ottobre Rachele, il nome della nonna paterna, sono state sommerse di voti in onore di un passato che ci ha regalato dittatura, leggi razziali, lo scempio prima di una guerra mondiale, poi di una guerra civile.
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Politica e Economia
Se ogni scricchiolio fa trasalire Reportage Cinque anni fa un violento terremoto devastò Norcia, nel centro Italia, qualche mese dopo la tragedia
di Amatrice. La ricostruzione è in alto mare ma la gente è tornata a vivere, lottando per recuperare ciò che ha perso Romano Venziani Uno scheletro metallico abbraccia i resti della Basilica di San Benedetto a Norcia, in Umbria. La facciata della chiesa, imbrigliata da un intrico di ponteggi, è l’unico frammento rimasto più o meno intatto e si alza contro un cielo che, in questi giorni d’autunno, è di un azzurro limpido a tratti impastato con il grigio di nuvoloni, che filano via veloci spinti dal vento. «Dovrebbero ricostruire le case, prima della chiesa. Tanto lì dentro non ci va più quasi nessuno». A parlarmi è una donna anziana, piccolina, ben vestita, se non fosse per quella giacca che le cade dalle spalle, di ottima fattura, certo, ma di foggia maschile e tremendamente grande, da coprirla tutta come un paltò.
«Dopo il terremoto di Amatrice si sono verificate altre scosse di crescente intensità, eravamo in allerta» «Siamo abituati ai terremoti», dice. «La nostra terra trema spesso. Da bambina, quando succedeva, correvamo tutti a buttarci nel lettone, con mamma e papà. A volte lui ci faceva rannicchiare sotto il tavolo di cucina, mentre la casa era scossa da cima a fondo, con un tintinnare di piatti e bicchieri negli armadi. Ma un terremoto così non l’avevo mai visto». Erano le 7 e 41 del 30 ottobre 2016. La gente di Norcia, cittadina con poco meno di 5 mila abitanti, viene svegliata da uno spaventoso sisma, magnitudo 6.5 sulla scala Richter, uno dei più violenti in Italia da oltre un secolo, percepito in buona parte della Penisola. Un paio di mesi prima, il 24 di agosto, un’altra scossa, meno forte, ha raso al suolo Amatrice, a pochi chilometri da qui, generando un’importante sequenza sismica, che ha coinvolto 140 Comuni e 600 mila persone. Più di 300 i morti, altrettanti i feriti, 40 mila gli sfollati. A Norcia, in quell’ultimo scorcio di ottobre di 5 anni fa, regnava la paura, la gente fuggiva o pregava in piazza di fronte ai resti della basilica e alle case ridotte in frantumi. I danni alle abitazioni, agli edifici commerciali e al patrimonio culturale sono stati ingenti, ma non si sono registrati morti. Unica ferita grave, una donna, che ha riportato un trauma cranico gettandosi da una finestra, temendo il peggio. «Non ci sono state vittime perché, dopo il terremoto di agosto ad Amatrice, si sono verificate altre scosse di crescente intensità», racconta Catia, proprietaria di un negozio. Con un gruppo di altri commercianti si è installata in una delle casette di legno, allineate sotto una fila di vecchi platani, fuori Porta ascolana, in attesa di poter tornare in città. «Si è capito subito che non erano scosse di assestamento e abbiamo intuito che si preparava qualcosa di grosso. Per questo le autorità hanno evacuato la popolazione ed è stata la nostra fortuna, se vogliamo parlare di fortuna». Cinque anni dopo il sisma, a parte lo sgombero delle macerie, un po’ di crepe rabberciate alla bell’e meglio, la messa in sicurezza degli edifici e le impalcature a tenere in piedi le costruzioni più colpite, la ricostruzione è ancora in alto mare. Nelle «zone rosse», sbarrate dalle staccionate, le erbacce crescono tra sassi e calcinacci, e il tutto lascia presagire tempi lunghi. «Purtroppo la burocrazia italiana rallenta la ricostruzione», riprende Catia. «Tante cose non si capiscono. Dove vivo io, ad esempio, una parte della casa è consi-
Molte zone sono inagibili. (Venziani)
derata zona rossa, quindi inabitabile, un’altra è parzialmente abitabile, mentre una lo è completamente e io continuo a viverci. I lavori di consolidamen-
to sono stati eseguiti ma il progetto per il rifacimento aspetta ancora l’approvazione dopo 5 anni». La scossa più forte è entrata a cuneo nel paese, quel-
I negozi del centro sono ancora ospitati dalle casette di legno fuori Porta ascolana. (Venziani)
la mattina di ottobre, come un pugno possente che ha distrutto ciò che ha colpito, le case e le chiese, e ha lasciato intatto o con pochi danni quello che stava attorno. Nulla ha potuto, San Benedetto, patrono della cittadina della Valnerina e dell’Europa, contro la forza devastatrice del sisma. Se molti edifici si sono salvati lo si deve alle misure messe in atto dopo altri movimenti tellurici, come quello del 1997 e l’altro, più grave, del 1979. Ma già nel 1730 il borgo aveva adottato misure antisismiche, vietando la costruzione di case oltre il secondo piano. Non l’hanno mai lasciata in pace i terremoti, Norcia. La cittadina ci deve convivere o almeno deve convivere con la loro ombra, che si aggira come un fantasma nei viottoli e s’infila subdola nelle case, dove ogni scricchiolio, ogni rumore, ogni tremito di lampada, fa trasalire. Come a metà nel luglio scorso, quando nel borgo umbro ci
sono state altre due «schicchere» (qui le chiamano così le scosse) di magnitudo 2.5 e 3.6 che, pare, siano collegate alla sequenza sismica cominciata nell’agosto del 2016 e incredibilmente non ancora conclusa. Le autorità regionali, visti i tempi lunghi della ricostruzione, hanno deciso di mantenere comunque in vita i paesi toccati dal terremoto e di riaprire poi progressivamente le zone rosse, per evitare che borghi e città si svuotassero della popolazione, che ne costituisce l’anima. Per questo nelle vie del centro storico la vita continua, nonostante tutto. È domenica e i ristoranti sono pieni, la gente parla, si chiama, ride spensierata. I negozi sono aperti e ricamati di insegne che pubblicizzano la bontà del tartufo nero di Norcia e dei migliori salumi locali, dal prosciutto al culatello, dalle salsicce ai capicolli. Frotte di turisti ciondolano qua e là guardando le vetrine.
«Un paradiso che bisogna meritare» Affacciata sulla Piazza San Benedetto, accanto alla basilica, la torre del palazzo municipale è stata restaurata e nel dicembre dello scorso anno sono tornate a suonare le sue campane. Lì vicino incontro Vincenzo, proprietario di un ristorante. «Avremmo potuto andarcene, rifarci una vita altrove», dice. «Ma le nostre radici sono qui, in questa terra. Ne abbiamo superate tante, di disgrazie, e anche il terremoto con cui ci tocca convivere. I norcini sono così, attaccati alle loro origini, non si danno mai per vinti, ma lottano per ricostruire ciò che hanno perso. Guardi, Norcia è la città del tartufo nero e per tradizione ogni anno si fa una grande festa in suo onore. Dopo il terremoto, il sindaco ha deciso che la festa l’avremmo fatta comunque, nel febbraio del 2017, per mostrare che la popolazione ha il coraggio di ricominciare e la speranza nel futuro. Mi piace ricordare una frase detta da uno di noi, intervistato in tivù dopo il terremoto: noi viviamo in un paradiso e queste tragedie ce le ha mandate Dio per ricordarci che dobbiamo meritarcelo». Ritrovo la signora con la giacca-paltò, che se ne sta ancora lì, con lo sguardo fisso sull’enorme voragine, dove un
Il palazzo municipale e la Basilica di San Benedetto. (Venziani)
tempo c’era la navata di San Benedetto. Mi vede e riprende a parlare, come se non me ne fossi mai andato via. «La mia casa è nella zona rossa e io vivo in una delle casette messeci a disposizione dal Comune, al di fuori delle mura. Ma ogni giorno torno qui, dove sono nata e dove ci sono le mie radici, i miei ricordi, la mia vita. Poi mi indica con un gesto della mano una casa bassa, con portone e finestre schermate da robuste grate, all’imbocco di una via laterale. Guardi, l’ufficio di mio mari-
to è rimasto intatto, neanche un graffio. Faceva il ragioniere. È mancato da poco». Me ne vado, accompagnato dallo sguardo perso della signora con la giacca-paltò, che tutti i giorni torna nel borgo, per ritrovare il calore della sua gente. Vi ritorna perché anche lei vuole mantenerlo vivo, come lo vuole Catia, che non ha abbandonato la sua casa rattoppata quel tanto che basta, come lo vogliono Vincenzo e i suoi clienti che, fin dai primi giorni, sono continuati a venire nel suo ristorante.
«Venivano qui anche quando faceva freddo o pioveva», ricorda l’uomo. «Mangiavano con addosso il cappotto ma tornavano sempre e per me è stata una grande emozione scoprire tanta solidarietà. Non me lo sarei mai immaginato». E ritorna al lavoro. Della cittadina cresciuta ai piedi dei Monti Sibillini, lì dove la terra dell’Umbria inizia a sfumare in quella marchigiana, serbo profonde e toccanti impressioni. Mi ha sorpreso, quel sentimento misto di rassegnazione e determinazione che ho letto nei pensieri e nelle parole di molti norcini. Rassegnazione di fronte all’ineluttabilità dei fenomeni naturali, determinazione a non lasciarsi abbattere. Nonostante i segni evidenti della tragedia, Norcia ha conservato la sua bellezza e soprattutto la sua dignità. Mentre attraverso Piazza Vittorio Veneto un nugolo di bimbi chiassosi gioca, correndo attorno al Monumento dei caduti. È la loro gioia non la tristezza che accompagna i miei passi, unitamente ad un sorprendente senso di fiducia e di speranza nelle potenzialità e nelle risorse dell’animo umano. Intanto il sole inizia a sfilare via e la luce della Valnerina si tinge di rosso, quasi fosse una promessa di un domani migliore.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 ottobre 2021 • N. 42
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Politica e Economia
Austria, democrazia in crisi? Il punto L’Ibiza-gate nel 2019 e l’inchiesta per corruzione che ha portato alle dimissioni del cancelliere Kurz
sollevano molti dubbi e interrogativi. Intanto con la nomina di Schallenberg è stata evitata una grave impasse politica
Marzio Rigonalli L’Austria, il nostro vicino lungo la frontiera orientale, ha appena vissuto uno scandalo al più alto livello del suo sistema politico, ma è riuscito a contenere quella che avrebbe potuto diventare una sequela di grandi e piccoli colpi di scena. Il cancelliere Sebastian Kurz, leader dei popolari austriaci, si è ritrovato al centro di un’inchiesta per concussione, corruzione e abuso di fiducia. Dopo alcuni tentennamenti e per evitare un probabile voto di sfiducia, Kurz ha rassegnato le dimissioni. Quarantotto ore dopo il presidente della Repubblica, Alexander Van der Bellen, ha nominato un nuovo cancelliere, Alexander Schallenberg, fin ora ministro degli Esteri e proveniente dallo stesso partito di Kurz, l’Övp. Nessun altro membro dell’Esecutivo risulta coinvolto nell’inchiesta, almeno fino adesso, e così l’alleanza di Governo, formata dai popolari e dai verdi, in carica dall’inizio del 2020, continuerà a governare il Paese. Si è così evitata una crisi politica che avrebbe potuto portare alle elezioni anticipate. Qual è la rilevanza dello scandalo che ha travolto colui che a più riprese è stato definito l’enfant prodige della politica austriaca? La Procura per gli affari economici e la corruzione di Vienna sta indagando su fatti avvenuti tra il 2016 e il 2018, quando Kurz era ministro degli Esteri nella grande coalizione tra popolari e socialdemocratici. L’ex cancelliere è accusato di aver finanziato, con fondi presi dalle casse del Ministero delle finanze, sondaggi pilotati e inserzioni sui giornali, favorevoli a lui stesso e al suo partito. I tabloid con grande diffusione venivano privilegiati, come per esempio «Österreich». L’obiettivo era di danneggiare i rivali diretti e di facilitare l’ascesa politica di Kurz per consentirgli di diventare cancelliere. Alcuni suoi diretti collaboratori erano coinvolti, come per esempio il segretario generale del Ministero delle finanze, Thomas Schmid, che sembra essere stato uno dei perni del sistema. Fin ora sono indagate una decina di persone, tutte vicine a Kurz, e la sondaggista sospettata di aver pilotato le inchieste d’opinione. Numerose perquisizioni sono state fatte in molti uffici e anche nella sede dell’Övp e del Governo. Il tutto sotto
Heinz-Christian Strache dell’Fpö, partito di estrema destra. (Keystone)
l’etichetta «Operation Ballhaus Platz», dal nome della piazza dove c’è la cancelleria, il cuore politico di Vienna. L’ex cancelliere nega tutti i fatti che gli vengono rimproverati e si dichiara sicuro di poter dimostrare la sua innocenza. Dichiara di aver rassegnato le dimissioni soltanto nell’interesse del paese, per impedire che sorga una situazione densa di tensioni, nella quale diventerebbe difficile, se non impossibile, governare. Conserva la presidenza del suo partito ed ha assunto anche la
Sebastian Kurz se n’è andato. (Keystone)
presidenza del suo gruppo parlamentare, una funzione molto importante nel sistema parlamentare austriaco. La sua intenzione, ovviamente, è di poter un giorno tornare ad essere di nuovo il numero uno. L’inchiesta in corso contrasta fortemente con quello che è stato il percorso del Wunderkind, della star della politica austriaca degli ultimi dieci anni. Un percorso che conviene ricordare brevemente.
L’intenzione di Kurz, l’enfant prodige della politica austriaca, è di poter un giorno tornare ad essere il numero uno Sebastian Kurz divenne sottosegretario all’immigrazione quando aveva soltanto 24 anni. Due anni dopo riuscì a farsi eleggere deputato e a 27 anni diventò ministro degli Esteri. In pochissimo tempo venne dunque proiettato alla guida della diplomazia e in contatto con vari leader internazionali. In questa funzione, nel 2016, si fece notare per avere criticato severamente la cancelliera Angela Merkel, rea di aver accolto in Germania un milione di profughi. Nel 2017 intraprese l’ascesa all’interno del suo partito. Mise fuori gioco i vecchi dirigenti e si fece eleggere presidente. Spostò a destra l’Övp, si schierò contro l’immigrazione e in favore della chiusura delle frontiere. Alle elezioni dello stesso anno consentì all’Övp di diventare il primo partito con il 31% dei suffragi, un successo che gli consentì di accedere alla cancelleria. Aveva soltanto 31 anni ed era il più giovane capo di Governo d’Europa e forse anche del mondo. Si alleò con l’Fpö di Heinz-Christian Strache, un partito d’estrema destra, una delle forze più sovraniste d’Europa. L’alleanza di Governo durò due anni. Alle elezioni del 2019, Kurz ottenne un nuovo successo e portò l’Övp al 37%, migliorando di 6 punti percentuali il risultato delle precedenti elezioni. Per governare si alleò con i verdi e l’alleanza a due è tutt’ora in vigore. Lo scandalo di oggi ricorda un altro scandalo, avvenuto due anni fa: l’Ibiza-gate. Nel maggio del 2019 un video pubblicato dalla stampa tedesca e registrato con una telecamera nascosta, mostra il presidente della Fpö, il Partito della libertà, e vicecancelliere Heinz-
Christian Strache, nonché un altro membro del partito, a colloquio con una donna che dichiarò di essere la nipote di un potente oligarca russo. I due politici accettarono la proposta della donna di fornire finanziamenti all’Fpö
per la campagna elettorale e per il sostegno dei media, in cambio della promessa di favorire gli interessi russi in Austria e di attribuire appalti pubblici all’oligarca. Lo scandalo provocò la fine della coalizione di Governo Övp-Fpö e
l’annuncio di elezioni anticipate, che si tennero poi nel settembre del 2019. Due scandali in due anni, con il coinvolgimento di alcuni massimi dirigenti politici, sollevano dubbi e interrogativi sullo stato di salute della democrazia austriaca, sui rapporti tra i media e il potere politico, sulla dipendenza degli istituti di sondaggio e di alcuni media dall’Amministrazione pubblica. Sono dubbi e interrogativi che vengono attutiti dalla forza del potere giudiziario e dalla bravura delle autorità investigative, ma che vanno posti al centro dell’attenzione del nuovo Governo e del nuovo cancelliere, Alexander Schallenberg. Il sostituto di Kurz proviene da una vecchia famiglia nobile austriaca e dal mondo della diplomazia. Era ministro degli Esteri dal 2019 e ha aderito da poco al Partito popolare. È nato a Berna nel 1969, dove ha trascorso alcuni anni. Suo padre era ambasciatore in Svizzera. Quando si è espresso sulla Confederazione l’ha sempre fatto in termini molto cordiali. È un fedele di Kurz, di cui condivide molte scelte politiche, in particolare la posizione intransigente sull’immigrazione. A lui spetterà ora il compito di far uscire l’Austria dalla pandemia, di rilanciarla economicamente e di ripristinare, almeno parzialmente, la fiducia dei cittadini nella politica, nei partiti e nei media. Una fiducia che i recenti scandali hanno duramente fiaccato. Annuncio pubblicitario
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Ingredienti • 2 cipolle • 150 g di cubetti di pancetta • 1-2 cucchiai di farina • burro per arrostire • 600 g di patate resistenti alla cottura • 250 g di maccheroni dell‘alpigiano
• 120 g di formaggio grattugiato, es. Gruyère o Sprinz • 1.5 dl di panna • 200 g di Camembert Crémeux BAER (di più a piacere) • sale, pepe • noce moscata
Preparazione
gerle di farina e mescolare Tagliare le cipolle in anelli sottili, cospar gere le cipolle e i cubetti bene. Scaldare il burro in padella. Frig minuti fino a quando non di pancetta a fuoco medio per circa 10 pezzo di carta da cucina. saranno dorati. Mettere da parte su un qua a ebollizione in una Tagliare le patate a cubetti. Portare l’ac sare le patate per circa 5 pentola grande, aggiungere il sale. Les altri 8-10 minuti. Scolare e minuti, aggiungere la pasta e cuocere per patate e la pasta in padella. lasciare sgocciolare bene. Rimettere le formaggio grattugiato e la Aggiungere il Camembert Crémeux, il rire e lasciare cuocere a panna. Ridurre fortemente la fiamma, cop ndo il formaggio non si sarà fuoco lento per circa 5 minuti fino a qua e. Guarnire il piatto con le sciolto. Condire a piacere con sale e pep cipolle e la pancetta. Si abbina bene con: composta di mele
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 ottobre 2021 • N. 42
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Politica e Economia
Per il controllo di Taiwan
L’analisi La tensione intorno al futuro dell’isola tocca punte parossistiche a causa del surriscaldarsi della sfida
fra americani e cinesi. Posta in palio: il dominio delle grandi rotte marine e quindi la supremazia mondiale Lucio Caracciolo Il 12 ottobre la Russia ha dichiarato, per bocca del suo ministro degli Esteri Sergej Lavrov, che considera Taiwan parte della Repubblica popolare cinese. Una mossa che cambia e accentua la sfida in corso fra Pechino e Washington su questa isola strategica, all’incrocio fra Mar cinese meridionale e Mar cinese orientale, chiave dell’accesso agli oceani agognato da Xi Jinping quale segno dello status di «numero uno» globale. Formalmente Taiwan si chiama Repubblica di Cina. Erede dunque dello Stato fondato nel 1912 sulle ceneri dell’impero Qing. Dopo la sconfitta nella guerra civile contro i comunisti di Mao, il capo nazionalista della Repubblica di Cina, Chiang Kai-shek, si arroccò su quell’isola e sugli arcipelaghi d’intorno, istituendovi una corrotta dittatura. Pechino considera da allora Taiwan (Formosa) una provincia da recuperare al suo diretto controllo. Da Taipei, capitale di Taiwan, la nuova leadership più o meno democratica taiwanese si considera alla guida di uno Stato indipendente. Ma non si dichiara tale, perché violerebbe così il tabù della «Cina unica». Formula diplomatica escogitata da Pechino e Washington per recuperare i loro rapporti ed evitare di tagliare il nodo taiwanese, che li avrebbe inevitabilmente divisi. Ora però la tensione intorno allo status e al futuro geopolitico di Taiwan ha toccato punte parossistiche, a causa del surriscaldarsi della sfida complessi-
va fra americani e cinesi. Posta in palio: la supremazia mondiale. Premessa geopolitica del primato, il controllo delle grandi rotte marittime, le arterie attraverso cui passano i nove decimi dei commerci planetari. Di queste rotte, la principale è quella che collega i porti della Cina orientale via stretti indocinesi e indonesiani (Malacca, Lombok) al Medio Oriente, all’Africa e all’Europa, e di qui all’America. Chi controlla Taiwan controlla il punto di Archimede di tale arteria. Nella sua corsa agli oceani, la Cina, potenza continentale, deve passare inevitabilmente per Taiwan. L’America deve altrettanto ineluttabilmente impedire che Pechino se ne impadronisca, per la ragione eguale e contraria. Di qui l’importanza della partita taiwanese, specie da quando Xi Jinping martella che entro il 2049, centenario della fondazione della Cina rossa, Taiwan ha da tornare a casa. Con le buone o con le cattive, leggi manu militari. Negli ultimi anni e mesi Pechino ha alzato il tono della polemica e ha soprattutto irrobustito le sue Forze armate, a cominciare da Marina e Aeronautica. Gli Stati uniti hanno risposto affermando di fatto, anche se non ancora pubblicamente, di voler difendere l’isola in caso di attacco cinese. Probabile che nei prossimi mesi scopriremo che Washington ha impiantato basi e armamenti di punta a Taiwan. Insieme, gli Usa hanno chiamato a raccolta le principali potenze regionali in difesa del «Libero e aperto Indo-Pacifico».
Elicotteri militari sorvolano Taipei trasportando bandiere taiwanesi per le celebrazioni della Giornata nazionale. (Shutterstock)
Dove si deve leggere «libero e aperto per noi», da chiudere in caso di conflitto con la Cina. La possibilità di un blocco navale americano, con l’appoggio soprattutto di Giappone, Australia e India, non è così remota. Equivalente di una dichiarazione di guerra. La debolezza maggiore della Cina sta nel suo isolamento. Gli unici due Paesi più o meno alleati nella regione sono il Pakistan e la Corea del nord. Non esattamente prime scelte. Ecco l’importanza della dichiarazione di Lavrov. In codice, significa: in caso di guerra fra Cina e Stati uniti noi siamo con Pechino. Questo appoggio può an-
dare dalla dimensione politico-diplomatica al sostegno militare. Dubitevole che i russi vogliano dissanguarsi per i cinesi, che considerano Paese potenzialmente pericoloso, mirante in prospettiva a penetrare la Siberia e a spezzare la Russia. Ma per ora la pressione americana su Mosca obbliga Putin a schierarsi con Xi Jinping. E a sostenerlo con importanti flussi energetici, tecnologici, ma anche armamenti di punta. Allo stesso tempo il Pentagono deve considerare nei suoi scenari di guerra l’eventualità di una guerra su due fronti: asiatico-oceanico, contro la Cina; europeo, contro la Russia. Alla
domanda se le Forze amate americane siano oggi capaci di sostenere e vincere una doppia campagna contro due potenze della taglia di Cina e Russia, fonti militari di Washington rispondono con un secco monosillabo: «No». Né Washington né Pechino vogliono la guerra. Sarebbe scontro fra colossi dalle conseguenze imprevedibili, comunque devastanti. Ma i conflitti nascono spesso per accidente, o per incidente provocato da una delle parti. Per questo è consigliabile tener d’occhio Taiwan e i suoi mari. Sarà lì che, in ogni caso, si determinerà il vincitore della sfida del secolo. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Quando il pericolo è quello dei falsi allarmi Tutti conoscono la storia del pastorello che gridava sempre al lupo, al lupo, per divertirsi a vedere le reazioni di spavento dei suoi vicini. Finché il giorno in cui il lupo venne davvero nessuno reagì all’avvertimento. Il pastorello aveva perso la sua credibilità. Oggi, una parte dei commentatori economici si trovano in una situazione un po’ simile. Sono quelli che ci parlano dei problemi dell’economia mondiale. Il debito pubblico di molti Stati sta crescendo rapidamente e, in qualche caso, ha già oltrepassato i livelli d’allarme. Le banche comunque continuano a concedere crediti a tassi di interesse bassissimi e a imporre tassi di interesse negativi ai risparmia-
tori. Con tassi di interesse inferiori al rincaro il risparmio va a farsi benedire. All’orizzonte si annuncia, in diversi paesi, il pericolo dell’inflazione. La stessa viene attribuita ai disagi che la pandemia ha provocato soprattutto in materia di approvvigionamento delle aziende con materie prime. C’è quindi già chi ricorda quanto ampia fu la recessione che, a metà degli anni Settanta dello scorso secolo, fece seguito allo shock petrolifero. Infine c’è anche chi prevede che dietro l’angolo potrebbero esserci perdite rilevanti dei valori borsistici. Ma poi le cifre della congiuntura, di trimestre in trimestre, non confermano questo allarmismo. Il Pil cresce anche se, nel
caso di diversi paesi, a fine 2021 non avrà ancora ritrovato il livello di prima della pandemia. Le esportazioni stanno anche sviluppandosi in modo positivo. I consumi sono in ripresa dopo la forte diminuzione, dovuta ai diversi periodi di lockdown dello scorso anno e di quest’anno. Anche gli investimenti stanno conoscendo una ripresa sostenuta. Infine, almeno per quel che riguarda la Svizzera, il tasso di disoccupazione è sceso a livelli minimi e il tasso di inflazione continua a restare sotto l’1%. Insomma vi è una forte divergenza tra i pareri pessimisti di chi sta gridando al lupo, al lupo, e i commenti sull’andamento effettivo della congiuntura. Il fatto è che i primi
stanno cercando di guardare oltre la siepe che, per dirla con Leopardi, «da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude». Chi commenta la congiuntura, invece, si accontenta di riferire che cosa sta succedendo in questi mesi. Di conseguenza ambedue i gruppi di commentatori possono aver ragione. Questo perché si riferiscono a due orizzonti temporali diversi. Il primo considera che cosa potrebbe succedere nel medio termine, mentre il secondo si accontenta di fare il bilancio dell’evoluzione in corso. Purtroppo la probabilità di sbagliare nelle previsioni aumenta con la lunghezza del periodo per il quale si effettuano. Per questa ragione
si considerano, di solito, maggiormente affidabili le previsioni di corto termine rispetto a quelle di medio o di lungo termine. E così, proprio come nella favola del pastore e del lupo chi continua a lanciare allarmi rischia di non essere più creduto. Per altre due ragioni sostanzialmente. La prima perché tutti noi tendiamo spontaneamente a dar maggior valore al presente che al futuro e la seconda perché, di solito, gli ottimisti godono di maggiore fiducia dei pessimisti. L’allarmismo, soprattutto in materia di previsioni economiche, non ha mai una buona congiuntura. Comunque, i buoni pastori cercheranno di fare rientrare il gregge e di chiudere la stalla.
Gli Stati uniti hanno minacciato sanzioni contro il Governo se non lascerà passare cibo e medicinali nel Tigray, mentre alcuni Paesi europei, soprattutto la Francia e la Germania, hanno sospeso il rifornimento di armi e di aiuti bilaterali. Ma come spesso accade anche altrove, il Governo etiope si è rivolto ad altri, in particolare a Turchia e Iran, che solerti hanno risposto, e ha chiesto al Fondo monetario internazionale un prestito e il condono del proprio debito per un valore pari a 30 miliardi di dollari. Potrebbe essere utile, sul fronte della deterrenza, votare all’Onu un embargo delle armi ad Addis Abeba, ma Cina e Russia hanno finora impedito al Consiglio di sicurezza, dove la crisi etiope è stata discussa già dieci volte, di imporre qualsivoglia misura sanzionatoria (non ci si è accordati nemmeno su una condanna verbale dell’espulsione dei funzionari dell’Onu). Dopo aver per anni tessuto legami con l’America, con l’Europa e con la Cina oltre che con i Paesi della regione, Abiy ha iniziato a denunciare nei suoi comizi «i nemici stranieri» e a lasciare prosperare ogni genere di teoria del complotto, dall’America che sostiene le forze del Tigray fornendo loro dei biscotti «drogati», ai funzio-
nari dell’Onu che sono dei trafficanti d’armi. Intanto ha chiuso ambasciate, ha sfiduciato i suoi diplomatici e ha fatto arrabbiare i suoi ex alleati comprando droni dall’Iran, non ricevendo inviati americani e non mantenendo le promesse sul sostentamento del Tigray. «Metti fine alla guerra e le nostre relazioni miglioreranno», ha detto un ambasciatore europeo, ma secondo un’analisi dell’«Economist» Abiy è diventato «paranoico e fuori controllo». La razionalità e la volontà di compromesso che hanno caratterizzato la sua ascesa non ci sono più. Alla comunità internazionale restano ancora degli strumenti per provare a contenere la catastrofe: il prestito che Abiy chiede al Fondo monetario dipende dalla volontà di America ed Europa che possono condizionarlo alla fine dell’assedio nel Tigray. L’Etiopia poi esporta ogni anno beni per il valore di 250 milioni di dollari in America attraverso un accordo di scambio bilaterale. Washington potrebbe togliere l’Etiopia dalla lista dei Paesi africani che hanno accesso a questo programma fino a che non arriva il cibo in Tigray. Potrebbe non essere sufficiente, ma è l’unico modo per evitare che un premio Nobel per la pace faccia morire di fame il suo popolo.
fissa una foto che ritraeva assieme due miti del cinema degli anni Sessanta: John Wayne e Gary Cooper. Inutile elencare i ricordi e gli interrogativi che quell’immagine mi faceva rivivere di continuo, a partire dai film western e dal perché non hanno più alcuna attrattiva se rivisti in tv, sino al politicamente corretto di oggi, al razzismo, all’eccidio dei poveri pellerossa (pardon: nativi d’America) ecc. ecc. Inevitabile alla fine approdare al paradosso della nottata: un’immagine fissa, quindi statica, oppure il vuoto e l’impossibilità di connettersi in rete (nel mio caso la foto di John Wayne e Gary Cooper) che ti fa riflettere sulla necessità di difenderti dal caos digitale e dal blob informativo dei social network. E in più la domanda: occorre proprio arrivare a un «black out», quindi a un non servizio che impedisca le connessioni, per spingerci a ragionare sull’uso dei social? Mi guardo bene dal proseguire, magari azzardando risposte su una vita senza social. Preferisco virare verso un’ul-
timo pensiero registrato quel lunedì notte. Dopo aver sfogliato un inserto sui servizi bancari digitali, curato dal «Corriere del Ticino», ho immaginato cosa potrebbe capitare se un’analoga «panne globale» arrivasse un giorno a bloccare l’online banking del mondo intero, in barba ai tanti «bla bla bla» oggi sbandierati per promuovere tutto «il fascino del trading online» senza tener conto di imprevisti o della incontrastata rapacità degli hacker. In un battibaleno emergerebbero implicazioni incontrollabili, perdite colossali e responsabilità enormi che riguarderebbe non più la moralità di un’azienda o lo sgomento di miliardi di persone, ma minerebbe l’agire di governi, la credibilità e la sicurezza di istituzioni economiche e blocchi geopolitici. A rafforzare queste mie fisime, alcuni giorni dopo arriva anche il Nobel per la fisica, conferito a uno scienziato italiano che da mezzo secolo cerca di capire e spiegare il caos. Segnale per dire che è giunto il momento di controllare meglio anche il caos dei social?
Affari Esteri di Paola Peduzzi Un Nobel per la pace che affama il suo popolo È passato quasi un anno da quando il premier etiope, Abiy Ahmed, ha lanciato una campagna militare contro la regione «ribelle» del nord dell’Etiopia, il Tigray. Da quando è iniziato il confitto i sei milioni di abitanti del Tigray hanno ricevuto soltanto una parte del cibo necessario alla sopravvivenza, pochissimo carburante e nessun sostegno sanitario. Quattrocentomila di loro sono, secondo la definizione delle Nazioni unite, in carestia «catastrofica» che è il passo che precede la morte per fame di massa. Il Governo di Abiy dice che non si tratta di una catastrofe indotta e che lascia passare il cibo necessario, ma i dati raccolti dalle Ong e dall’Onu
raccontano una storia molto diversa. È un assedio volto a sfinire il Tigray, significasse anche far morire tutti di fame. Soltanto un decimo dei cento camion carichi di generi alimentari e di medicine che dovrebbero entrare nella regione ogni giorno riesce ad arrivare a destinazione. Medici senza frontiere e il Norwegian refugee council, due delle agenzie internazionali impegnate per sostenere la popolazione del Tigray, non possono più operare per volere del governo di Abiy, e alcuni funzionari dell’Onu sono stati cacciati dal Paese con l’accusa di interferenze nella «politica domestica» dell’Etiopia. Poi ci sono le accuse di crimini di
Il premier etiope Abiy Ahmed. (Shutterstock)
guerra. Alla fine dell’anno scorso, ad Axum, i soldati eritrei che combattono assieme alle forze etiopi hanno ucciso centinaia di persone, soprattutto uomini e ragazzi. Molti sono stati messi in fila e ammazzati con un colpo alla schiena; altri sono stati ammazzati mentre uscivano di casa, dalla chiesa, alcuni persino nei letti d’ospedale. Le forze militari del Tigray sono invece state accusate di aver stuprato e ucciso rifugiati eritrei nei campi gestiti dalle Nazioni unite. Il 4 ottobre c’è stata una grande parata ad Addis Abeba, la capitale, con balli e spettacoli per celebrare il premier Abiy, che è al potere dal 2018, quando il suo predecessore si dimise per le proteste, e che nel 2019 ha vinto il Nobel per la pace per aver siglato un accordo con l’Eritrea che metteva fine a decenni di guerra. Abiy ha vinto le elezioni a luglio e la festa celebrava l’inizio del suo mandato completo che dovrebbe durare cinque anni: pareva un re. «Abbiamo raggiunto una nuova epoca», ha detto il premier, ma non parlava soltanto agli etiopi, parlava soprattutto alla comunità internazionale. Abiy cerca una legittimazione che la guerra contro il Fronte di liberazione popolare del Tigray ha molto ridimensionato.
Zig-Zag di Ovidio Biffi John Wayne, Gary Cooper e il caos Lunga notte quella del primo lunedì di ottobre. Già la serata era iniziata storta, con il televisore a confermarsi sempre più elettrodomestico simile al microonde, utile solo per cibi precotti o congelati. Non riuscendo a dormire, ho finito per diventare cane da caccia e mettermi sulle tracce di quella che è poi stata definita «panne globale», cioè il malfunzionamento che da ore stava impedendo a miliardi di utenti del web di usufruire dei servizi che Facebook garantisce a mezzo mondo (compresi gli accessi ai suoi satelliti Instagram e soprattutto WhatsApp). Così sono rimasto in linea con Twitter e i media online alla ricerca di aggiornamenti, teorie e commenti degli esperti informatici (principalmente il nostro Paolo Attivissimo), proprio come scrive Clara Mazzoleni su «Rivista Studio»: «Il lockdown ci aveva totalmente rincoglionito (…), con l’aggravante di riversarci su Twitter (…) a sghignazzare sui problemi dei tre social (…) su un altro social». Poiché tutti continuavano
a chiedersi perché i tre giganti Facebook fossero «silenziati», ho ideato anch’io una congettura sulla «panne globale»: ho messo in relazione le accuse di una ex-manager dell’azienda contro il fondatore e proprietario Mark Zuckerberg (dicendo che dovrebbe dichiarare «bancarotta morale» perché spia e sfrutta miliardi di persone) con l’invito indirizzato da Facebook a un giudice federale quello stesso lunedì perché respingesse la richiesta del governo Usa di obbligare il gigante dei social media a vendere sia WhatsApp sia Instagram. Alla fine anche la mia congettura, com’era prevedibile, ha perso consistenza: hanno finito per prevalere possibili cause tecniche che, secondo il «New York Times», avrebbero avuto origine in un data center a Santa Clara, in California, al quale i tecnici di Facebook hanno dovuto accedere fisicamente per ripristinare i sistemi. L’incidente ha comunque e definitivamente confermato che Facebook applica controlli e limiti solo di facciata, esponendosi a pericoli
che vanno ben oltre l’hackeraggio e la sua reputazione. Forse perché utilizzatore di social molto anomalo, invece di causare panico la «panne globale» a me ha suggerito qualche riflessione. La prima riguarda Instagram, servizio di informazioni che io seguo e prediligo per un motivo piuttosto banale, per qualcuno magari anche comico: mi trasforma in una specie di versione digitale dell’«umarell», definizione dialettale per quei signori che, con le mani unite dietro la schiena, si mettono a guardare i cantieri seguendo il girare della betoniera o il lavoro degli operai. Infatti potrei stare ore a srotolare il nastro di immagini e messaggi proposte da Instagram. Quel lunedì notte anche Instagram – che appartiene dal 2012 a Facebook (il fondatore Zuckerberg l’ha acquistato per integrare le sue offerte di connessioni, operazione completata due anni dopo con l’acquisto di WhatsApp) – era bloccato dalla panne informatica. Così, con il flusso di immagini fermo, sull’iPad mi è rimasta
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 ottobre 2021 • N. 42
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Cultura e Spettacoli Questione di etica Nel suo nuovo libro Giorgio Scianna presenta una serie di dilemmi etici
Riflettori sui palcoscenici A Milano va in scena una pièce dell’argentino Tolcachir – In Ticino il FIT ha fatto divertire e riflettere
La magia di Currentzis Al KKL il poliedrico direttore d’orchestra Teodor Currentzis ha condiviso le sue visioni
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Preziosi «cuscinetti» Quiz o oppure no? Rai3 ha deciso di occupare in modo originale l’access prime time pagina 49
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Nuovi musei svizzeri
Arte La recente inaugurazione del nuovo
edificio del Kunsthaus di Zurigo pone alcuni interrogativi sulle trasformazioni con cui sono confrontati i musei oggi
Elio Schenini Non sarà paragonabile al fervore edificatorio che ha prodotto il «candido mantello di chiese» di cui si è ricoperta l’Europa nei primi decenni dopo il Mille come racconta nelle sue Storie Rodolfo il Glabro, ma la voglia di «liberarsi e di scrollarsi di dosso la vecchiezza» che sembra pervadere negli ultimi tempi la realtà museale svizzera, e in modo particolare quella dei musei d’arte, è indubbiamente degna di nota e merita forse qualche considerazione di ordine generale. Nei primi due decenni del nuovo millennio si sono infatti succeduti, in una sorta di crescendo rossiniano che ha raggiunto l’apice poche settimane fa con l’inaugurazione del nuovo imponente edificio del Kunsthaus di Zurigo, tutta una serie di ampliamenti, ristrutturazioni e nuove edificazioni che hanno modificato in profondità il parco architettonico dei musei d’arte svizzeri. Le tappe di questo martellante percorso di rinnovamenti sono presto ricordate: nel 2003 viene completato l’ampliamento dell’Aargauer Kunsthaus e viene aperto lo Schaulager a Basilea, entrambi su progetto di Herzog & de Meuron; nel 2005 Renzo Piano firma il Zentrum Paul Klee a Berna; nel 2015 è la volta di Lugano che inaugura la nuova sede del MASI all’interno del LAC. L’anno dopo, il Bündner Kunstmuseum di Coira e il Kunstmuseum di Basilea si dotano entrambi di una nuova struttura che viene eretta a fianco della loro sede storica. Nel 2019, Losanna, dopo lunghi anni di dibattiti, dà il via, con l’apertura della nuova sede del Musée Cantonal des Beaux-Arts, all’area della Platforme 10 che verrà completata nel 2022 con la costruzione di un ulteriore edificio museale in cui saranno ospitati il MUDAC e il Musée de l’Elysée. Infine, se il 2021, come già ricordato, è l’anno del nuovo Kunsthaus di Zurigo progetta-
to da David Chipperfield, c’è già molta attesa per il 2023, quando la Fondazione Beyeler affiancherà allo splendido edificio progettato da Renzo Piano nel 1997 tre nuovi edifici disegnati da Peter Zumthor. Va inoltre ricordato che se Ginevra manca in questo elenco non è perché sul Lemano quest’esigenza di rinnovamento non sia sentita, ma perché il progetto per l’ampliamento del Musée d’art et d’histoire affidato a Jean Nouvel è stato bocciato dai cittadini nel 2016. Nel frattempo però si sta lavorando a una nuova ipotesi che dovrebbe essere concretizzata nei prossimi anni. Ma qual è, o meglio, quali sono le ragioni, che hanno spinto praticamente tutte le città svizzere di grandi e medie dimensioni a mettere mano al proprio museo d’arte per ristrutturarlo, ingrandirlo o dotarlo di nuovi spazi e infrastrutture? E come si spiegano questi investimenti plurimilionari, in una realtà in cui quasi sempre chi opera nel mondo della cultura lamenta la scarsità di mezzi che gli vengono riservati rispetto ad altri settori della vita civile? Certo, ci sono spiegazioni, abbastanza ovvie di natura pragmatica: le collezioni crescono continuamente, gli spazi espositivi nati per opere di dimensioni più contenute faticano a contenere opere contemporanee spesso di dimensioni gigantesche, le strutture e gli impianti risultano ormai inadeguati sul piano tecnologico e della sicurezza, i servizi di mediazione e gli eventi che il museo offre richiedono spazi finora inesistenti. Eppure tutte queste ragioni non bastano a spiegare un fenomeno che in primo luogo ha a che fare con la funzione sociale del museo. Perché il museo prima di essere una raccolta di oggetti o un edificio che li contiene e li espone è un’istituzione sociale che, attraverso le modalità con cui seleziona e organizza l’accesso ai beni che conserva, riflette il contesto da cui dipende la sua stessa esistenza. Se analizziamo dal punto di vista
Il portone del salone delle feste nell’edificio progettato da David Chipperfield per la città di Zurigo. (Keystone)
architettonico tutti questi ampliamenti ci accorgiamo che, al di là della diversa qualità dei singoli progetti, vi è un sottile ma sostanziale rovesciamento del modello white cube che si era imposto negli anni Sessanta e Settanta in concomitanza con l’affermazione dell’arte minimalista e concettuale. Al rigore assoluto e spartano di uno spazio totalmente asettico che doveva annullarsi per affermare l’universalità dell’opera, si sostituisce ora uno spazio che apparentemente mantiene questi caratteri, ma che in realtà li sovverte completamente coniugandoli con la ricercatezza dei materiali e la raffinatezza e la cura dei dettagli. Sempre più gli ambienti espositivi si caratterizzano infatti per i parquet di legno pregiato, per le grandi finestre scenografiche che si aprono sul paesaggio circostante, per gli infissi di materiali inconsueti. Ma è soprattutto negli spazi, un tempo «collaterali», delle hall, dei vani di passaggio, delle scalinate, degli shop, dei bar e risto-
ranti, dei locali destinati alle attività di mediazione, che si esprime in tutta la sua opulenza un vero e proprio sfarzo architettonico fatto di cemento armato a vista, di rivestimenti in marmo o altre pietre naturali, di inserti e infissi in acciaio spazzolato o in ottone, di vetrate in cristallo dalle superfici amplissime, di mobili dal design sofisticato, di display ultrapiatti. Questo rovesciamento di polarità all’interno dello spazio museale non è affatto casuale, visto che la vita del museo si svolge e dipende sempre più da questi spazi, più che da quelli propriamente destinati all’esposizione delle opere. Non è però tanto il pubblico generalista – che per le amministrazioni da cui i musei dipendono rimane importante in termini di affluenza numerica soprattutto per il consenso politico che questo garantisce – il «pubblico ideale» di questi lussuosi rinnovamenti architettonici. Il museo è infatti diventato sempre di più uno spazio di eventi
privati esclusivi che in questo contesto architettonicamente raffinato trovano la loro perfetta ambientazione. Cene e aperitivi di sponsor o altre ditte private, incontri e visite per gruppi selezionati di collezionisti e mecenati costituiscono ormai uno strumento fondamentale attraverso il quale il museo cerca di raccogliere i fondi necessari alla propria attività, diventando però al contempo lo strumento di affermazione di un modello sociale elitario che contraddice lo spirito universalistico da cui ha origine. Tutto ciò chiama inevitabilmente in causa il complesso e delicato equilibrio tra pubblico e privato che da sempre caratterizza le istituzioni museali. Non è quindi un caso che proprio attorno a questo tema si sia accesa la polemica che ha accompagnato l’apertura della nuova sede del Kunsthaus di Zurigo dove ha trovato casa una collezione, dalle origini in parte controverse, come quella di Emil Bührle. (Continua)
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Cultura e Spettacoli
Ma la colpa di chi è? Narrativa Il nuovo lavoro di Giorgio Scianna è imbastito
su questioni etiche, purtroppo non sempre ben sviscerate Roberto Falconi «Ho cercato di restituire nella narrazione gli elementi scientifici, tecnologici e giuridici che stanno attraversando il mondo di oggi intervenendo con la fantasia solo quando le esigenze narrative lo hanno richiesto; detto questo, il mio è solo un romanzo». Segue la canonica frase sulla casualità dei riferimenti a persone esistenti o a fatti realmente accaduti. Si chiude con questa Nota l’ultimo romanzo di Giorgio Scianna, Le api non vedono il rosso, uscito presso Einaudi. A me pare, in tutta franchezza, che i problemi stiano proprio nel modo in cui l’autore ha voluto soddisfare queste «esigenze narrative»; nelle strategie adottate per scrivere «solo» un romanzo. Perché è proprio negli interstizi lasciati liberi dal saggio che la letteratura si dovrebbe insinuare, con l’ambizione di illuminare zone di mondo che nessuna altra forma espressiva può raggiungere. L’idea di partenza è senz’altro stimolante. Un preside leccese in pensione è alla guida di una Chandra, un’automobile altamente automatizzata che dispone tuttavia ancora di pedali e volante. All’improvviso, una bambina attraversa la strada e viene investita mortalmente. La domanda attorno alla quale è costruito l’intero romanzo è «di chi è la colpa?». Della mamma che si è lasciata sfuggire la mano della piccola? Dell’uomo al volante, che avrebbe comunque dovuto intervenire sui comandi? O del progettatore (e protagonista del romanzo) Giulio Corridoni, colui
che ha concepito l’algoritmo che impedisce al mezzo di frenare o di sterzare in situazioni simili, perché ciò avrebbe messo in pericolo chi guida e gli altri utenti della strada senza la certezza di salvare la bambina? Oppure del cane che la madre teneva al guinzaglio e che, chissà perché, ha dato uno strattone che ha distratto la donna? Il libro si chiude giusto in tempo per sapere se Giulio sarà o meno mandato a processo. Per trattare questioni etiche così profonde, sarebbero, appunto, necessari un saggio e ben altra attrezzatura teorica. Scianna fa il romanziere e decide, giustamente, di indagare ciò che solo la letteratura, come dicevo, potrebbe (dovrebbe) indagare: che cosa accade nella vita di Giulio e dei suoi famigliari? Come cambiano la loro quotidianità e la loro intimità? E qui, purtroppo, inizia il campionario dei luoghi comuni, tipici di tanta narrativa italiana contemporanea. A cominciare dalla stereotipia dei personaggi, sempre visti dall’esterno e mai scandagliati nella loro profondità, e quindi ridotti a una serie di gesti prevedibili. La famiglia di Giulio risponde a un’estetica della normalizzazione già nella sua composizione: marito affermato e felice, con lavoro a Milano e villetta ai margini di Pavia; Tania, moglie volontaria in una biblioteca; Ale, figlio ventenne che accanto agli studi universitari allena a pallone i ragazzini di una comunità; Chiara, figlia adolescente che studia poco ma riuscirà a essere promossa nonostante un’interrogazione deboluccia («Boccaccio è un po’ palloso
e siamo tutti stanchi alla fine dell’anno», la salva la prof), e che, pur nella sua indolenza (ma è molto dotata nella ginnastica), saprà sfruttare la prima vacanza con il fidanzatino per far visita alla madre che ha perso la bimba nell’incidente («Io mi scuso a nome della mia famiglia»). Brave persone, insomma. Mai uno sgarbo, grandi ideali, convinzione che il mondo possa essere salvato grazie alle buone azioni, qualsiasi potenziale conflitto immediatamente disinnescato e riassorbito in un immaginario stilizzato e rassicurante. Per non parlare dei personaggi laterali: Sabrina, l’amica di famiglia con cui si confidano tutti e che per tutti, adulti e ragazzi, ha un buon consiglio; i macchiettistici manifestanti che si accampano fuori da casa Corridoni con cartelli di rara originalità («No alle macchine che uccidono») e coi quali però Ale uscirà a parlare perché in fondo sono ragazzi come noi; un magistrato ovviamente spietato che torchia Giulio per appurarne le responsabilità; un avvocato difensore che, altrettanto ovviamente, dopo le prime resistenze, diventerà un membro della famiglia. Né sfuggono a questa logica della prevedibilità alcune scene e situazioni. Così, Tania e Giulio, mentre attendono di sapere se l’uomo andrà a processo, credono che sia meglio prendersi qualche giorno solo per loro, e lei, vedendolo in costume, «si sorprende che, in barba a tutti gli anni passati insieme, il corpo di suo marito continui a piacerle». Mentre uno dei ragazzini allenati da Ale si ferisce volontariamente con i cocci di
Una serie di questioni etiche figlie del nostro tempo.
una tazza e sarà caritatevolmente accolto a casa Corridoni. Il tutto reso da un tessuto linguistico incolore, davvero incapace di insinuarsi nelle pieghe più nascoste del reale e macchiato qua e là da improbabili similitudini («le giornate si erano allungate come molle»; «Quando si metteva una cosa in testa, Ale era come un razzo che bruciava da solo»), stanche metafore («Quel cartello piantato sul prato si era piantato anche da qualche parte nella sua testa»), iperboli infelici (l’accordo raggiunto con i genitori perché possa partire da sola in vacanza è stato per Chiara «più faticoso dei negoziati sul disarmo del pianeta»). Ora, non vorrei passare per un cul-
tore della devianza o del voyeurismo, ma è possibile che in 271 pagine non si sappia se Tania e Giulio abbiano incontrato i propri fantasmi nel pieno della notte o mentre si facevano la doccia? Se abbiano continuato (o ripreso, o rinunciato) a fare l’amore? Se i loro figli si siano immaginati le visite in carcere al padre? Altro che andare a correre lungo il Ticino per sciogliere la tensione. Ah, il cane, quanto a lui, è stato portato in un canile, poveraccio. Bibliografia
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Cultura e Spettacoli
5 tentativi di dare un senso alla propria vita
Un teatro orientato al futuro prossimo In scena In nome del teatro alla scoperta
Teatro Edificio 3, una commedia di Claudio Tolcachir,
di nuove realtà, anche grazie al FIT
Giovanni Fattorini
Giorgio Thoeni
Tre scrivanie, quattro scaffali contenenti cartelle e faldoni multicolori, uno schedario metallico, tre apparecchi telefonici, alcune sedie e un paio di lampade da tavolo: questi i principali oggetti di una scenografia sobriamente realistica che finge un ufficio situato nel terzo corpo di un edificio (la maggior parte dei dipendenti è stata trasferita negli altri due – qui l’ascensore è fuori uso, funzionano male telefoni e caloriferi, manca la luce elettrica sulle scale) dove ha sede un’azienda presumibilmente pubblica che si occupa di non si sa che. Ogni tanto, grazie anche alla collaborazione immaginativa dello spettatore, l’ufficio diventa per breve tempo l’abitazione di una giovane coppia malriuscita, uno studio medico, il bar frequentato durante le pause lavorative dai personaggi principali della commedia: tre impiegati che si chiamano Moni, Sandra, Ettore.
Ne riparliamo a bocce ferme. La trentesima edizione del Festival Internazionale del Teatro (FIT) ormai alle spalle ha mantenuto fede al proposito di approfondire e sostenere una fetta rappresentativa dell’approccio tecnologico alla scena contemporanea. Lati di una medaglia che non avranno conquistato il cuore di tutti, soprattutto degli affamati di palcoscenico, ma che certamente, oltre ad aver contribuito al successo della manifestazione, hanno richiamato ogni giorno un nutrito e motivato pubblico nelle sale del LAC di Lugano alla scoperta dell’insolito. Il FIT l’ha fatto con alcuni ritorni eccellenti, immagini e video associati a profumi, formule consolidate fra la conferenza e il dialogo, con la riproposta di esploratori dell’intreccio, come nella doppietta del giapponese Michikazu Matsune o per le rimozioni del passato attraverso la rilettura della storia del coreano Jaha Kooe. O con la sorprendente immersione nelle metastorie della realtà virtuale del ginevrino Simon Senn, questa volta accompagnato dall’uruguaiana Tamara Leites. Non ci sono dubbi nell’affermare che il FIT ha soddisfatto le aspettative, offrendo uno spaccato di quanto continua a esprimersi e a crescere sotto l’accogliente e onnicomprensivo manto del «teatro»: parola in continuo movimento e oggi riflesso di una costante metamorfosi.
drammaturgo e regista argentino
Tra i suoi modelli letterari l’autore cita le opere di Anton Cechov e Samuel Beckett Moni è una donna di mezza età, nubile e incline a intromettersi spesso oltre misura nelle faccende altrui. Sandra, anch’essa nubile e non più giovane, ma in età ancora fertile, desidera fortemente avere un figlio, e a tal fine si rivolge a più riprese a un’invisibile e inudibile dottoressa. Ettore è un cinquantunenne che ha perso da poco la madre, con cui conviveva, e che sembra interessarsi a Sandra, la quale crede di intravedere in lui un possibile e amorevole fecondatore. Estranei a questo piccolo mondo impiegatizio sono Manuel e Sofia – due giovani di cui non si conosce la professione – che formano la coppia malriuscita di cui sopra: lui si mostra insofferente e aggressivo nei confronti della compagna, lei invece lo ama e vorrebbe avere un figlio. Sintetizzando: cinque personaggi che cercano di dare un senso alla propria vita. In testa a Edificio 3 (opera del drammaturgo e regista argentino Claudio Tolcachir, nato a Buenos Aires nel 1975 – al Piccolo di Milano sono già andate in scena due sue commedie) tro-
Un momento della mise en scène milanese. (Piccolo Milano, © Masiar Pasquali)
viamo una citazione tratta dal diario postumo di Cesare Pavese, che in data 17 agosto 1950 (dieci giorni prima di uccidersi) scriveva: «Ti stupisce che gli altri ti passano accanto e non sappiano, quando tu passi accanto a tanti e non sai, non ti interessa qual è la loro pena, il loro cancro segreto?» Se alle parole di Pavese aggiungiamo quelle che Tolcachir ha pronunciato durante la conversazione con Eleonora Vasta pubblicata nel programma di sala («Edificio 3 è una commedia costruita sui segreti, su quel che di noi mostriamo agli altri e quel che nascondiamo»), sembra lecito concludere che nelle intenzioni dell’autore i temi di fondo di Edificio 3 sono la solitudine, la sostanziale estraneità degli individui (anche quando sono a stretto contatto fra loro), il rapporto tra immagine pubblica e realtà privata, tra essere e apparire. Tolcachir ha dichiarato che i suoi modelli (cioè i drammaturghi da cui ha tratto maggiori insegnamenti) sono Anton Cechov e Samuel Beckett. Quanto abbia contato per lui il teatro di Cechov, nello scrivere questa commedia del 2008, lo si capisce dall’uso (specie nei dialoghi dei tre impiegati) del sottaciuto e dell’inespresso. Ma che tale procedimento drammaturgico sia diventato un sottile strumento di scavo e affinamento psicologico (come avviene in Cechov) non direi. I personaggi di Edificio 3 hanno scarso spessore, e la rivelazione-lacerazione drammatica collocata verso la fine (a cui segue, come in Cechov, il ritorno dei personaggi a una rassegnata routine) non è l’inevitabile deflagrare di una tensione che è venuta
crescendo attraverso l’accumularsi di accenni e sfumature. Sembra invece un superficiale e sbrigativo coup de théâtre (non privo di tratti comico-umoristici – tratti che in altri momenti della commedia paiono riconducibili, in qualche misura, alla lezione di Beckett). La scrittura composita di Edificio 3 non è particolarmente interessante. Prevalgono le battute brevi o brevissime e il fraseggiare paratattico (con o senza congiunzioni). I periodi con proposizioni subordinate non sono mai complessi. Il linguaggio è piattamente colloquiale. I monologhi di Sandra davanti alla scrivania dell’invisibile e inudibile dottoressa sanno decisamente di vecchio teatro. La stesura a tre della lettera che Ettore dovrà leggere durante una messa in memoria della madre morta ha la dimensione e l’andamento di un piccolo sketch di varietà. La scena ambientata al bar (in cui si alternano frammenti di battute che servono anzitutto a chiarire il rapporto tra Sandra e Ettore) è meno nuova e sperimentale di quanto vuol sembrare. Insomma, Edificio 3 mi pare una commedia modesta, che tuttavia ho seguito senza fastidio e senza noia grazie soprattutto alla fluidità dell’azione scenica (la regia è dello stesso Tolcachir) e alla particolare bravura di Valentina Picello (Moni), Giorgia Senesi (Sandra), Rosario Lisma (Ettore). Bravi anche Emanuele Turetta (Manuel) e Stella Piccioni (Sofia).
Eppure sono stati apprezzati anche gli appuntamenti con lo spettacolo vero e proprio. Fra i quali non dimenticheremo l’affascinante e ironica Fantasia della danzatrice e coreografa Ruth Childs (prossima a una residenza al Teatro Sociale di Bellinzona) o l’atteso debutto di Romeo Castellucci con la sua lugubre e inquietante visione nel latinorum e nelle simbologie di Bros. Ma il FIT ha anche dato rilievo e sostegno a iniziative come Luminanza di Alan Alpenfelt con i suoi collaboratori, un invito a scoprire l’humus drammaturgico svizzero con un progetto di formazione alla scrittura che parla la nostra lingua e che in qualche modo riflette anche alcune realtà del nostro territorio, del nostro vivere sociale. Il reattore è culminato nella presentazione di stralci delle opere giunte al termine di un percorso: lette da alcuni attori, hanno messo in evidenza il flusso luminoso (la «luminanza», appunto) di otto giovani autori: Elisa Rusca, Tommaso Giacopini, Marzio Gandola, Lalitha Del Parente, Francesco Puppini, Achille Giacopini, Tito Bosia & Kevin Blaser. Otto talenti provenienti da realtà differenti, accomunati dall’urgenza per la scrittura. I testi sono ora raccolti in Luminanza 2021, rivista a tiratura limitata. C’è di che stupirsi piacevolmente. Ma soprattutto c’è da attendersi che alcuni di questi risultati possano prendere vita. In nome di un teatro orientato verso un futuro prossimo.
Dove e quando
Edificio 3, Milano, Piccolo Teatro Studio Melato, fino al 7 novembre 2021.
Una nuova generazione di autori teatrali grazie a Luminanza di Alan Alpenfelt. (Instagram) Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
A tu per tu con Teodor Currentzis Musica MusicAeterna, prima Residenza assoluta al KKL di Lucerna Francesco Hoch Sembra che le numerose sperimentazioni avvenute per i concerti di musica contemporanea degli anni Sessanta e Settanta del Novecento si stiano diffondendo anche nelle odierne maggiori organizzazioni concertistiche di musica classica. Al KKL, il Centro Cultura e Congressi di Lucerna, in prima assoluta, nei tre giorni dal 6 all’8 ottobre, è stata presentata la Residenza di una Fondazione, musicAeterna, formata dal magnifico coro e dalla stupenda orchestra, creati dal direttore d’orchestra Teodor Currentzis, noto per le sue straordinarie interpretazioni.
Quella che si è vista al KKL di Lucerna è stata un’affascinante commistione di generi artistici Costante è stato l’alto livello delle proposte che hanno permeato gli oltre dieci appuntamenti della manifestazione. Merito indiscusso della concezione di Teodor Currentzis, che ha sempre voluto fondare organismi corali e strumentali che funzionino come una grande famiglia. Progetto ambizioso che sappiamo spesso fallimentare. Durante l’incontro del pubblico con alcuni musicisti di musicAeterna, è arrivata invece la conferma dell’esistenza di questo
aspetto famigliare, attraverso l’esempio di Perm (città russa in cui dal 2011 al 2019 Currentzis è stato direttore musicale del Teatro dell’Opera e del Balletto), dove si giocava perfino a pallone con il direttore, il quale però, durante le prove, pretendeva il massimo per raggiungere «la perfezione», e senza badare alla durata delle prove. Si veniva assunti sulla base di queste qualità: fiducia e massimo impegno, ma una volta ingaggiati, sarebbe stato difficile venire licenziati. Ecco il segreto di Currentzis. «Fede, Libertà, Luce» è stato il tema principale scelto per creare confronti che hanno permesso di intrecciare film di Dreyer, di Visconti, di Malick, con musiche corali di Shostakovich e Smirnov, un’azione scenica di Hersant, un lavoro orchestrale di Retinsky, con al centro la magnifica esecuzione della Quinta Sinfonia di Mahler. Tutta la grande arte direttoriale di Currentzis e la superba qualità dell’orchestra musicAeterna sono sfociate in questo capolavoro, soprattutto nei primi tragicamente concitati tempi e nel famoso Adagietto, dall’ampio respiro profondamente intenso che si è potuto godere come musica trainante nel film Morte a Venezia di Luchino Visconti. Nella masterclass per giovani direttori d’orchestra, alla quale ha potuto assistere anche il pubblico nella sala dei concerti alla presenza della grande orchestra, Currentzis ha scelto proprio questo Adagio per esporre e mostrare in pratica alcune sue idee e alcuni fondamenti della sua filosofia direttoriale: «Prendere l’ispirazione dall’alto, farla
Teodor Currentzis, 49 anni, è direttore d’orchestra, musicista e attore. (Keystone)
passare nella mente e immetterla nel corpo»; «non cercare tanto di andare verso i musicisti, piuttosto cercare di farli venire a sé; si tratta di un atto magico!». Questo è stato detto guardando fisso negli occhi gli interlocutori presenti. Currentzis in fondo è un predicatore che pratica. Queste idee, dall’ispirazione orientaleggiante, sembrano essere applicate anche dalla danzatrice-coreografa danese Nanine Linning, invitata per tenere una masterclass per danzatori e per un incontro con i giovani direttori d’orchestra, ai quali ha mostrato, facendoli partecipare, il comportamento migliore da tenere sul podio di fronte a un gruppo di musicisti,
esemplificandolo di nuovo con l’ascolto dell’Adagietto di Mahler. Ai brani commissionati da Currentzis ai compositori Philippe Hersant e Alexey Retinsky si chiedeva una relazione con il passato. In Tristia di Hersant all’azione scenica partecipava, in modi diversi, un coro, che si muoveva in cerchio, o con spostamenti rapidi o intrecciati, e di cui faceva parte anche Currentzis come primus inter pares, mentre gli strumenti punteggiavano la composizione anche in lontananza. Una composizione scritta su misura per gli esecutori, grazie all’inserimento di musica popolare, ortodossa russa o medievale, oltre a qualche sporadico spunto contemporaneo.
Il lavoro del giovane Retinsky per grande orchestra, invece, nonostante il voluto riferimento ancora una volta al famoso Adagietto di Mahler, è riuscito nell’intento di inseguire l’afflato mahleriano con tecniche compositive odierne, fatte di raffinate stratificazioni dai colori sempre cangianti. Il tema della libertà è stato affrontato nella composizione di Hersant, in cui si musicano poesie scritte da prigionieri francesi e russi. Nel concerto del coro musicAeterna, anche Shostakovich ha messo in musica testi che si riferiscono a prigionieri che lottarono contro lo zar e furono in seguito liberati dalla Rivoluzione. Nella Vita nascosta, film di Terrence Malick proiettato durante le giornate, si afferma che la libertà è una questione interiore, motivo per cui il protagonista non rinuncia alle proprie idee a costo della vita. Straordinarie sono le facoltà della fiducia in sé stessi e nella fede, come dimostra Ordet di C.T. Dreyer, scelto per esemplificare questi aspetti, e dove Johannes, attraverso la fede riesce a risuscitare una persona. Questo ricco universo è stato esposto in una sala del KKL grazie alla testimonianza fotografica di Alexandra Murayeva, che sin dagli esordi ha seguito musicAeterna, definendo questo lavoro una «meravigliosa follia». Va infine notato che le giornate sono state organizzate dalla musicAeterna Swiss Foundation capeggiata dalla ticinese Valentina Rota, direttrice anche delle altre Fondazioni di musicAeterna. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 ottobre 2021 • N. 42
Cultura e Spettacoli
Al di là dei quiz
Geografie lontane
Smart TV Da Rai3 ottimi esempi di occupazione dell’access prime time
Incontri Per la decima edizione di PiazzaParola
si parte da Robinson Crusoe
Marco Züblin Parliamo del cosiddetto «access prime time»; con questa espressione da neocomunicatori si definiscono quei preziosi e pregiati cuscinetti di palinsesto dopo la fascia informativa e prima del piatto principale della serata televisiva. Preziosi e pregiati perché di grande ascolto e, di conseguenza, di grande interesse/valore promo-pubblicitario. Il nostro servizio pubblico ha da anni scelto di presidiare questa fascia con una serie di quiz più o meno riusciti (inutile citarli tutti, inutile stilare classifiche; inutile essere sgradevoli senza motivo); identica scelta, peraltro, sia per lo spazio che precede la fascia informativa, qui stabilmente occupato dallo stesso gioco, sia per quello tra l’informazione regionale e quella nazionale. Immaginiamo che l’audience di questi programmi sia variabile, ma la intuiamo trionfale o poco meno, vista l’ostinazione – che supponiamo non riconducibile a mancanza di fantasia – nel proporre questo modello; è un dato importante ma non è tutto, soprattutto non lo è per un’emittente che ha cogenti obiettivi di servizio pubblico fissati nella concessione, a partire dalla formazione per arrivare alla coesione nazionale e alla mediazione culturale. Ed è per questo che, dopo anni di colpevole blackout, si sta pensando di ammobiliare questo spazio (anche) con altro, quella cosettina su funghi e fungiatt essendo forse una specie di apripista, allusiva di un’intenzione ma, confidiamo, non di un orientamento a livello di contenuti e di modi. Volgendo lo sguardo altrove, e facendo una specie di benchmark di grado
Il grande protagonista di Via dei Matti Numero 0 Stefano Bollani. (Shutterstock)
minimo: l’occupazione dell’access prime time di Rai3 è un buon esempio di come si possa comportare un’emittente che prende sul serio il proprio ruolo di servizio pubblico, e per fare questo offra qualità declinata in una grande varietà di programmi e di registri. Attorno ai due punti fermi di Blob e di Un posto al sole (trasmissioni che nella loro siderale distanza a tutti i livelli danno la misura della vocazione «trasversale» della rete) Rai3 propone trasmissioni che costruiscono un’offerta variata e di buon livello, spesso nel segno dell’emozione: penso a Via dei Matti Numero 0 (con lo straordinario Stefano Bollani e i suoi ospiti, programma che considero tra i migliori della rete), a Che Succ3de (piazza virtuale su temi vagamente demenziali, condotta da Geppi Cucciari, capace anche del meglio), a Storie minime (persone comuni che raccontano l’esperienza che le ha più segnate; spesso emotivamente
coinvolgente), a That’s amore (racconti sul rapporto speciale che si instaura tra l’uomo e il «suo» animale), a Non ho l’età (squarci sulla quotidianità dell’amore vissuto nella terza età, con formidabili over settanta e le loro vite che escono allo scoperto, intrecciate con la storia d’Italia tra due guerre mondiali), a Nuovi eroi (storie di cittadini che si sono distinti per coraggio, altruismo, impegno sociale), per citare solo qualche esempio. Nessun quiz e nessun premio (smarcandosi così dalle altre reti concorrenti, private e pubbliche), ma territorio, quotidianità, storie di gente comune; e poi, capacità di mediare (e di produrre) cultura in modo non parruccone né pedantesco, e nemmeno con qualche furbesca giravolta che la trasformi – per renderla digeribile a noi pubblico-bestia – in una sorta di numero del circo dell’intrattenimento globale. Insomma, servizio pubblico.
Mai come ora abbiamo bisogno dell’idea della partenza verso lidi lontani, anche solo con la mente, anche solo per sognare. E allora, quale miglior traghettatore di un buon libro, per chi, per motivi diversi, si vede impossibilitato a partire fisicamente? È attorno a questo perno che ruota la ricca edizione di Piazzaparola 2021, che andrà in scena al LAC dal 20 al 24 ottobre. Filo conduttore della decima edizione è uno dei capolavori di Defoe, quel Robinson Crusoe che stimola l’immaginario collettivo da oltre tre secoli. PiazzaParola quest’anno sarà dunque un viaggio nel mondo di un personaggio dalle sfaccettature infinite e cangianti, che si riverberano su un ventaglio di aspetti: dal lato selvaggio di Venerdì, alle recenti solitudini di tutti noi, dal desiderio di evasione al nostro (a volte per-
verso) rapporto con la natura. E anche quest’anno le responsabili della programmazione Yvonne Pesenti Salazar e Natascha Fioretti sono riuscite nel non facile intento di assemblare personaggi affascinanti, insoliti e per certi versi anticonformisti, in grado di raccontare in modo leggero ma consapevole la vita, dando forse, qua e là, anche delle risposte alle nostre domande, o almeno, a quella che in tedesco si chiama Sehnsucht. Le storie lontane di Alex Capus, dunque, ma anche le panchine del duo Yari Bernasconi&Andrea Fazioli, la lectio di Nadia Fusini, così come le straordinarie visioni di Frédérick Pajak, senza tralasciare il mare negli occhi di Björn Larsson o la verve di Claudio Visentin, solo per fare qualche nome. Info: www.luganolac.ch/ Red.
L’appuntamento al LAC è con Daniel Defoe e il suo Robinson Crusoe. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 ottobre 2021 • N. 42
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Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta «Vieni, amore mio!» «Vieni amore, non farmi aspettare!». L’invocazione mi arriva nitida da una signora che ho appena incrociato camminando sul marciapiede buio e deserto di un corso di Torino, in un tratto di soli palazzi d’abitazione. Non ho visto com’è la titolare della voce che mi chiamava «amore» perché, come fanno i vecchi, camminando tengo lo sguardo abbassato per non inciampare nelle sconnessure dei lastroni. Nel mio curriculum manca ancora la voce «rottura del femore» e vorrei che questa assenza perdurasse nel tempo; se inciampo, cado e mi faccio male il Comune mi fa causa per «oltraggio alle pietre di Perdasdefogu». Le ha fatte collocare Vittorio Amedeo II di Savoia nel 1714 per celebrare l’annessione della Sardegna e il conseguente titolo di re. Per non essere costretto a rimuoverle il Comune le ha fatte dichiarare monumento nazionale. Torniamo alla voce avvolta nel mistero. Cosa faccio? Vado avanti facendo finta di non aver sentito quella invocazione angelica, oppure mi
fermo, torno indietro e affronto quella sirena tentatrice? Le cronache sono piene di anziani truffati, magari quella voce appartiene a una che vuole abbindolarmi per farsi sposare, mettermi all’ingrasso con cibi squisiti ma indigesti (bolliti misti, porchetta, peperonate, fritti), farmi morire d’indigestione e incassare la pensione di reversibilità. È vero che sono felicemente sposato da cinquantacinque anni ma lei non può saperlo, magari usa la tecnica di pescare nel mucchio, Torino è piena di pensionati vedovi. Adesso che ci penso: sono stati cinquantacinque anni di minestroni di verdure «che fanno tanto bene alla salute». Da scapolo ero socio onorario della «confraternita del bollito misto» ma dopo il matrimonio mi hanno radiato per «inosservanza dei doveri statutari». Torniamo alla voce. E se giungesse da un lontanissimo passato? Da un tempo fra la prima e la seconda guerra punica? Se fosse una mia ex compagna di classe? Ne ricordo tre che per me erano tanto belle quanto
inarrivabili, quando abbiamo dato la maturità nel 1956. Di Lucia sono stato innamorato perso per cinque anni. Le passavo i compiti di matematica e lei, un bel giorno, mi ha invitato a una festa in casa sua. Durante il casqué di un tango, per l’emozione l’ho lasciata cadere, per fortuna è finita su un tavolinetto basso. I sei bicchieri di cristallo di Boemia, gli ultimi esemplari di un lascito del bisnonno, sono andati in frantumi. La mamma di Lucia ha detto «non fa niente, erano vecchi» ma aveva gli occhi lucidi. A scuola si è sparsa la voce e non sono mai più stato invitato alle feste. Ma ho continuato a passare i compiti a Lucia. Torniamo alla voce. Ha detto «non farmi aspettare». Nel caso fosse una mia compagna di classe sarei io quello che aspetta, e da sessantacinque anni. Non quadra. La titolare della voce potrebbe avermi scambiato per qualcun altro, sarà una di quelle signore che pensano «gli occhiali da vista mi invecchiano» e preferiscono andare in giro cieche come una talpa. Ma con chi potrebbe avermi
scambiato. Una volta mi hanno preso per Piero Chiambretti, ma non era una signora, era un primario napoletano. Un luminare di Torino mi aveva chiesto di moderare un convegno sull’uso dei robot nelle sale chirurgiche. Cercavano un estraneo all’ambiente, in grado di togliere la parola agli oratori dopo venti minuti, nessuno di loro poteva permettersi di farlo scatenando vendette (stavo per scrivere «sanguinose» ma trattandosi di maghi del bisturi mi sono trattenuto). Ho accettato con entusiasmo la proposta, essere amico di un grande chirurgo fa sempre comodo, tocchiamo ferro ma non si sa mai. Grazie anche alla mia bravura nel togliere la parola, il convegno è terminato all’ora prevista e l’amico chirurgo mi ha invitato a casa sua per prendere parte alla cena con gli illustri relatori. Mi sono trovato seduto accanto al numero uno della chirurgia napoletana. Da vero gentiluomo sentiva il dovere di fare conversazione ma non sapeva su quali argomenti, non potevamo parlare dell’ultimo modello
di strumento per segare le ossa. Dopo un lungo silenzio mi ha detto: «Sa, oggi sono andato a mangiare nel suo ristorante». Non poteva trattarsi di me, non possiedo neanche una modesta piadineria. A Torino Piero Chiambretti è socio nella proprietà di cinque ristoranti. Sicuramente il mio vicino di tavola aveva pranzato in uno di quelli. Cosa faccio, gli dico la verità, che non sono Piero ma Bruno? Per guastargli l’umore per tutto il resto della cena? Gli ho domandato: «Si è trovato bene?». «Ottimamente, però l’ho trovato un po’ caro». Per stare al gioco ho replicato: «Sapesse quante spese abbiamo!». Ma tornando per l’ultima volta al richiamo di quella sera, dopo aver soppesato i pro e i contro ho deciso di lanciarmi, di tentare l’avventura: «Scusi, dice a me?», ho domandato alla signora. Si è messa a ridere: «Mi rivolgevo alla mia cagnetta». Me l’ha indicata, una specie di botticella obesa di pelo scuro caracollava verso di noi. «Ma davvero pensa che qualcuno possa chiamarla “amore mio”»?
ancora funzionante. Spinto dalla curiosità scrisse, a sua volta, un messaggio, al numero sconosciuto. «Chi è il titolare di questo iPhone?» Non ci fu nessuna risposta. Comunque, pensò Tom, non è finita sotto una macchina e non si è buttata nel Tevere, quindi vorrei capire dove è andata a sbattersi. A chi l’ha chiesto il telefono? A qualcuno per strada? Betta non aveva amiche, la sua coazione a sedurre chiunque, combinata con l’indiscutibile bellezza, le teneva lontane le donne. Ne incontrava, tentando di fare il suo lavoro, parecchie, e amava intrecciare, con loro, stupide relazioni da adolescenti, imbottite di confidenze drogate e misandria autobiografica: per qualche mese si divertivano a provocarsi, l’una all’altra, giovanili e indecenti risate alle spalle di mariti exmariti fidanzati e amanti. Poi una o l’altra presentava al gruppo un nuovo amore e Betta , quasi senza rendersene
conto, lo affascinava, come sapeva fare soltanto lei. Il gruppo la espelleva, il nuovo amore resisteva, dopo la prima botta, al suo charme e lei si ritrovava sola. Da un po’ di tempo non ci provava neanche più, a cercare compagnia. La povertà la rendeva insicura, ruvida, chiusa. Quante volte gli aveva rinfacciato di non avere neanche i soldi per andare a mangiare una pizza con le amiche? Come se ancora la invitassero, le amiche. Dunque, se non aveva amiche, a chi poteva aver chiesto ricovero? Non alla suocera, cui la legava un apparentemente idilliaco rapporto di fiducia intergenerazionale. Esther avrebbe chiamato subito, magari di nascosto: «Tesoro la tua bella è qui, che cosa devo farne?». Non ai suoi genitori che vivevano a Bergamo. Tom telefonò a Nicola,anche se gli pareva improbabile che si fosse rifugiata lì, ma aveva voglia di formalizzare in un racconto quello che gli stava succedendo. Aveva
veramente deciso di lasciarlo, la sua bella moglie o si trattava di uno dei suoi consueti giochetti? «Betta mi ha mollato», disse, subito. Senza salutare, perché i convenevoli non sono un must se stai affogando. Nicola pretese un resoconto dettagliato. E Tom lo fornì, con gratitudine. Disse tutto, anche del vecchio signore che l’aveva invitata a cena e poi a un party esclusivo. Un viscido ottantenne elegante che se la mangiava con gli occhi. Nel descriverlo a Nicola, potenza della narrazione, l’anziano corteggiatore di Betta assunse una statura che Tom non gli aveva mai riconosciuto. Era un seduttore, ecco che cos’era. Una figura che, nell’universo maschile, non scade mai. Anzi, se può appoggiarsi a una cassaforte piena di soldi, relazioni e prebende, diventa imbattibile. Quando Nicola disse: «Magari è da lui, dal vecchio che Betta è andata a stare» , Tom l’aveva già capito.
disorganizzanti per la propria salute. Il diniego è un meccanismo per certi versi semplice ma fine e complesso nella sua espressione quotidiana. Con esso l’individuo rifiuta un dato di realtà». Il diniego, infatti, è una procedura di difesa attraverso la quale vengono evitati inconsciamente aspetti spiacevoli della realtà tramite l’uso di una fantasia che cancelli il fatto sgradevole; è un rifiuto inconscio di riconoscere aspetti dolorosi della realtà. In molti casi, funziona come un’ancora di salvezza, in altri, come nel caso della pandemia, diventa un atto politico, un ostacolo alla gestione della sanità pubblica, un gesto sconsiderato che può avere effetti sociali devastanti. È un’ampia platea di persone quella che dice «no»: le loro tesi si basano sul presupposto che il Covid non esiste, ma si tratta di un’operazione pianificata dai «poteri forti» con la complicità delle forze politiche, per imporre un regime di sorveglianza autoritario: si parla di «dittatura sanitaria». Una
contestazione spesso manifestata con toni accesissimi che si alimenta nella «piazza social», per poi trasferirsi nelle agorà televisive e poi nelle piazze vere delle città dove si impongono i leader del dissenso Ecco, se mai ce ne fosse ancora bisogno, la lunga emergenza sanitaria ha dimostrato che lo slogan «uno vale uno» è una solenne falsità, frutto di una semplificazione che coinvolge anche i mezzi di comunicazione (stampa, televisione e soprattutto internet). La paura impedisce ogni approfondimento e si nasconde dietro la negazione. Ma negare le evidenze non è solo anti-funzionale: una società in cui troppi soggetti rifiutano la realtà è una società in cui questa minoranza danneggia non solo la maggioranza ma la sopravvivenza della coesione sociale. Un processo degenerativo rinforzato dalla continua velocizzazione. Infatti, per includere la dimensione morale nelle dinamiche mentali ci vuole tempo: le chat e i social, invece, abituano a risposte sempre più
istantanee, rendendo sempre più arduo valutare a fondo quelle che hanno una connotazione etica. Come sostiene lo psicoanalista e sociologo Luigi Zoja, «in una grandissima parte della popolazione sopravvivono fobie corporee poco gestibili. C’è chi accetta una medicina per bocca, ma non per iniezione, sotto forma di liquido, ma non come pillola. Non è raro avere in terapia donne che desiderano – sinceramente, genuinamente – un figlio: ma sono terrorizzate dalla fantasia di un “essere estraneo” che cresce dentro al loro corpo. A un animale questo non succede: inizia la gravidanza e basta. Per l’inconscio, il vaccino rappresenta una invasione simile: non per niente ha un nome che ricorda come, in origine, veniva prelevato da una vacca, cioè da un animale. L’evoluzione ha impiegato tempi immemorabili per trasformarci nel sapiens: e in un attimo, dice la fantasia non cosciente, quel titanico sforzo potrebbe essere annullato».
Quaderno a quadretti di Lidia Ravera Le nuove povertà/24 La rabbia, un sentimento che conosceva bene, non durò che pochi minuti. In quei pochi minuti, come se una telecamera lo stesse inquadrando, Tom diede libero sfogo, anzi incoraggiò consapevolmente, gesti di una fisicità morbosa e infantile. Si ritrovò a calpestare il vetro dei bicchieri che aveva infranto sul pavimento muovendo come una spatola la mano destra sul tavolo da pranzo. Si ferì le nocche prendendo a pugni una parete, più volte, dopo aver fatto un passo indietro per prendere lo slancio. Sentì la sua voce ripetere «stupida stronza». « Che cosa ti credi di fare». E «Chi vuoi prendere per il culo». L’eco della sua voce restò ad occupare un silenzio improvviso. Sedette. Si prese la testa fra le mani. Era tardi. Era quasi mezzanotte. La stupida stronza era uscita senza niente. Niente che potesse proteggerla dal buio, dalla città, dal freddo, dagli altri. Era scappata come scappano i bambini difficili.
Per punire la mamma, sperando di essere trovati subito. E consolati. Prese il cellulare di Betta, digitò 2008 , l’anno di nascita di Sara, lo schermo si illuminò obbediente. C’era un messaggio, da un numero sconosciuto, ma era rivolto a lui. «Immagino che tu abbia trovato il mio telefono. Sarai tornato a casa no? domani mattina passo a prendere le mie cose. Se esci metti le mie chiavi sotto lo zerbino». Un secondo messaggio, pochi minuti dopo diceva: «Sono Betta, caso mai non l’avessi intuito». Tom scagliò il telefono sul pavimento. Non troppo forte, come se la spinta della rabbia avesse perso quota, arenandosi in un malanimo conosciuto, stagnante. Lo raccolse dopo un attimo, un attimo in cui aveva tenuto gli occhi chiusi, come chi vuole riprendere il controllo delle proprie emozioni. Si era disegnata sullo schermo una profonda ruga nera, ma l’oggetto era
A video spento di Aldo Grasso C’è chi dice no Qual è la spinta psicologica profonda che porta una persona a negare le realtà evidenti dell’epidemia di COVID-19? È un classico meccanismo di difesa legato alla paura, che la psicoanalisi – la disciplina che l’ha studiato più di ogni altra – definisce «diniego psicologico». Indicate come complottiste e negazioniste, con una forte connotazione antiscientifica, queste persone rappresentano un fenomeno rilevante, complesso, presente in tutto il mondo, che va studiato sia dal punto di vista sociologico che della comunicazione. Il comune denominatore è l’utilizzo massiccio degli strumenti digitali che la rete mette a disposizione, facilitando la condivisione di contenuti, spesso virali, e di fake news. L’ultima testimonianza in ordine di tempo arriva dagli Stati Uniti. «La cosa più tragica è vederli morire increduli», ha raccontato Jodi Doering, infermiera di un ospedale del South Dakota intervistata dalla Cnn. L’operatrice sanitaria ha proseguito: «Continuano
a dire che il virus non esiste anche mentre li sta uccidendo. Le loro ultime parole a volte sono: “Dimmi la verità, che malattia ho?”». Una testimonianza, quella della Doering, che si unisce a quella di altri sanitari che si imbattono nello scetticismo di chi curano e tentano di salvare. Nonostante a oggi siano quasi 237 milioni i contagi nel mondo e quasi cinque milioni le vittime causate dalla pandemia (dati OMS. Fonte: Health Emergency Dashboard, Ottobre 2021), sono ancora molte le persone che negano l’esistenza del Coronavirus. Com’è possibile una situazione del genere? Secondo lo psicologo Alessandro Pejrano, «se a questa modalità, per certi versi grottesca, viene naturale attribuire il senso della stupidità umana, addentrandosi in essa, è possibile cogliere aspetti importanti per la salute. Con molta probabilità questi pazienti, che potremmo definire sommariamente negazionisti, stanno mettendo in atto dei meccanismi di difesa totalmente
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28% 3.95
Lamponi Spagna, confezione da 250 g
invece di 5.55
Patate resistenti alla cottura bio Svizzera, in sacchetto, 2 kg
24% 4.50
Clementine Spagna, rete da 2 kg
invece di 5.95
al Vitamine dre c o ng e l a t o
a partire da 2 pezzi
20% Tutti i prodotti a base di frutta, bacche e castagne nonché gli smoothie prodotti surgelati (Alnatura esclusi), per es. prugne M-Classic, 750 g, 2.35 invece di 2.90 Migros Ticino
40% 2.90 invece di 4.90
Uva Italia Sélection Italia, al kg
24% 3.40 invece di 4.50
Formentino bio Ticino, imballato, 125 g
Articoli vegetariani e vegani
Una bontà a tutto tondo
conf. da 2
20% Falafel o vegetable burger plant-based V-Love per es. falafel, 2 x 180 g, 7.80 invece di 9.80
L’alt e rnativ a v e alle polpe tt e di g ana carne
IDEALE CON
20x PUNTI
Hit 2.40
Migros Ticino
Insalata autunnale 200 g
25% 2.– invece di 2.70
Novità
Tutte le olive bio (prodotti Alnatura esclusi), per es. olive greche Kalamata, 270 g
5.95
Beyond Balls 200 g
Offerte valide solo dal 19.10 al 25.10.2021, fino a esaurimento dello stock.
Pane e prodotti da forno
Croccantezza e leggerezza e lla d e n a p o r t s I l no c r o st a : a n a m i t t e s i di m o r a i v e i l c r oc c a nt e , e m o l l i c a t o s t a t ur a a mo r b i d
2.90
Pane del boscaiolo 500 g, confezionato
20x PUNTI
Novità
3.50
Flûtes bio 400 g, in vendita nelle maggiori filiali
Pan di Spag n c re ma allo st a c on r di me le e uv e ude l tt a
20x PUNTI
Novità
4.40
Cupolotto di strudel di mele o alla prugna e cannella per es. strudel di mele, 160 g, confezionato
Migros Ticino
33% 3.55 invece di 5.30
Berliner con ripieno di lamponi in conf. speciale, 6 pezzi, 420 g
Pesce e frutti di mare
Il sapore delle vacanze
Da consumare con una mousse al rafano
conf. da 3
20% 14.– invece di 17.70
20% 7.60 invece di 9.60
Migros Ticino
20% Filetti di trota affumicati bio
Filetti di tonno
d'allevamento, Danimarca, 3 x 100 g
Filetto di platessa M-Classic, MSC pesca, Atlantico nordorientale, in conf. speciale, 300 g
21% 13.–
invece di 16.50
per es. M-Classic, pesca, Oceano Pacifico occidentale, per 100 g, 4.95 invece di 6.20, in vendita in self-service e al bancone
conf. da 3
30% Gamberetti tail-off cotti bio d'allevamento, Vietnam, in conf. speciale, 240 g
15.50 invece di 22.20
Filetti di salmone dell'Atlantico Pelican, ASC surgelati, 3 x 250 g
Offerte valide solo dal 19.10 al 25.10.2021, fino a esaurimento dello stock.
Carne e salumi
Bontà per carnivori risparmiosi
40% 1.05
Hit 1.50
Carne di manzo macinata M-Classic Svizzera/Germania, per 100 g, in self-service
Fettine di pollo Don Pollo carne prodotta in Francia/ Ungheria in base all’Ordinanza svizzera sulla protezione degli animali, per 100 g, in self-service
invece di 1.80
30% 5.40 invece di 7.80
Migros Ticino
Filetto di cervo Nuova Zelanda, per 100 g, al banco a servizio
30% 2.45 invece di 3.50
conf. da 2
Spezzatino di manzo IP-SUISSE per 100 g, in self-service
40% 9.80 invece di 16.40
Sminuzzato di petto di pollo M-Classic al naturale prodotto surgelato, 2 x 500 g
20% 5.75
conf. da 2
30% 2.45
Carne secca bio, affettata Svizzera, in conf. speciale, per 100 g
invece di 7.20
30% 1.60 invece di 2.30
40% 2.60 invece di 4.40
Migros Ticino
invece di 3.50
Prosciutto cotto Vivaldi prodotto in Ticino, affettato in vaschetta da 2 x ca. 180 g, per 100 g
20% Polpettine d'impasto di vitello M-Classic Svizzera, in conf. speciale, per 100 g
Saltimbocca di maiale Svizzera, per 100 g, in self-service
Tutti i prodotti refrigerati di pollame e salumeria Don Pollo per es. petto di tacchino affettato finemente, 150 g, 2.35 invece di 2.95, in self-service
20% 5.70 invece di 7.20
conf. da 6
30% Fettine fesa di vitello fini IP-SUISSE per 100 g, in self-service
12.30 invece di 17.70
Bratwurst di vitello IP-SUISSE 6 x 140 g
Offerte valide solo dal 19.10 al 25.10.2021, fino a esaurimento dello stock.
Formaggi e latticini
Fondue, formaggio fresco, quark alla frutta e molto altro ancora
20% 1.60
Fontina Svizzera per 100 g, confezionato
invece di 2.–
21% 1.50 invece di 1.90
Le Gruyère piccante, AOP ca. 450 g, per 100 g, confezionato
ale se nza r u t a n à t n o B addit iv i
20% 1.75 invece di 2.20
conf. da 4
25% 2.85 invece di 3.80
Migros Ticino
Gottardo Caseificio prodotto in Ticino, per 100 g, confezionato
conf. da 4
Yogurt Pur lamponi, alle fragole o ai mirtilli, per es. ai lamponi, 4 x 150 g
20% 1.90 invece di 2.40
–.10
di riduzione
Quark alla frutta M-Classic lampone, fragola o albicocca, per es. lampone, 4 x 125 g
–.95 invece di 1.05
Tutti gli iogurt Nostrani prodotti in Ticino, per es. castégna (alla castagna), 180 g
conf. da 3
Con peperoni e jalape ños semipiccanti
20% 3.85
Mozzarella Galbani 3 x 125 g
CONSIGLIO DEGLI ESPERTI
invece di 4.85
20x PUNTI
conf. da 2
Novità
2.95
20% 4.70
Cantadou Le Marché du Mexique 140 g
invece di 5.90
ot e ic o r p o n i o b ud unt i Cre moszucc he ri ag g i se n z a
20x PUNTI
Novità
2.65 Migros Ticino
Chiefs Protein Pudding Cappuccino 200 g
Formaggio fresco Cantadou aglio ed erbe aromatiche della Provenza, rafano o mix di pepe, per es. aglio ed erbe aromatiche della Provenza, 2 x 140 g
La fondue è troppo liquida? Sciogliere della maizena nel vino o nel kirsch mescolando bene. Aumentare il calore della fondue e aggiungere la maizena sciolta continuando a mescolare. Far cuocere finché la fondue non si è ben legata.
20% 19.– invece di 23.90
Fondue Swiss Style Moitié-Moitié o Tradition, per es. Moitié-Moitié, Vacherin Fribourgeois e Le Gruyère, AOP, 2 x 800 g
Offerte valide solo dal 19.10 al 25.10.2021, fino a esaurimento dello stock.
Dolce e salato
Bontà da sgranocchiare
a partire da 2 pezzi
20%
–.60 di riduzione
Tutte le noci e le miscele di noci Party e Sun Queen Premium Nuts salate
Tutto l'assortimento Blévita per es. Gruyère, AOP, 6 x 38 g, 3.– invece di 3.60
per es. noci miste Sun Queen Premium Nuts, 170 g, 3.80 invece di 4.80
a partire da 2 pezzi
Hit 7.95
20% Trolli all in one
Tutte le tavolette di cioccolato Frey da 100 g
in conf. speciale, 1 kg
(Sélection, Suprême, M-Classic e confezioni multiple escluse), per es. al latte finissimo, 1.60 invece di 1.95
a partire da 2 pezzi
–.60 di riduzione
conf. da 50
50%
Tutti i biscotti Tradition
Branches
per es. cuoricini al limone, 200 g, 2.70 invece di 3.30
Milk e Dark Frey e Eimalzin, in conf. speciale, per es. Milk Frey, 50 x 27 g, 12.– invece di 24.–
Bevande
Risparmiare e dissetarsi ET Bott ig lia in P 0% ric ic lato al 1 0
A base di patat e svizze re aromatizzat e con timo limone
conf. da 8
25%
20%
Sciroppi in bottiglie di PET
Farm Chips alle erbe svizzere, al naturale o Wave alla paprica, in conf. speciale, 300 g, per es. erbe svizzere, 4.45 invece di 5.60
750 ml e 1,5 l, per es. ai lamponi, 750 ml, 1.65 invece di 2.20
27% 6.95 invece di 9.60
Coca-Cola Classic, Light o Zero, 6 + 2 gratis, 8 x 450 ml, per es. Classic
conf. da 2
22% 4.60 invece di 5.90
conf. da 6
Pringles Original, Paprica o Sour Cream, 2 x 200 g, per es. Original
33% Evian in confezioni multiple, per es. 6 x 1,5 l, 3.95 invece di 5.95
Offerte valide solo dal 19.10 al 25.10.2021, fino a esaurimento dello stock.
Scorta
Ottime azioni per fare un po' di scorte a partire da 2 pezzi
20%
Se rv ire con olio d'oliva e parmig iano
Hit 8.90
Pasta fresca Garofalo ravioli ricotta e spinaci o tortellini prosciutto crudo, in conf. speciale, per es. ravioli, 500 g
Tutta la pasta Garofalo e Tradition, non refrigerata per es. fusilloni Garofalo, 500 g, 2.35 invece di 2.90
25% 3.15 invece di 4.25
Cicche del Nonno Di Lella 500 g
a partire da 2 pezzi
–.30 di riduzione
Tutte le salse Salsa all'Italiana per es. Napoli, 250 ml, 1.– invece di 1.30
20x
20x PUNTI
PUNTI
Novità
1.90
conf. da 3
20%
Novità
Sugo all'arrabbiata Agnesi 190 g, in vendita nelle maggiori filiali
1.90
Sugo di pomodoro al basilico Agnesi 190 g, in vendita nelle maggiori filiali
Rio Mare disponibile in diverse varietà e in confezioni multiple, per es. tonno in olio di oliva, 3 x 104 g, 10.– invece di 12.60
Mini classic i pe r l'ape ritivo
35% 7.95 invece di 12.30
Migros Ticino
30% Cornetti al prosciutto Happy Hour M-Classic
Strudel al prosciutto o tortine di spinaci M-Classic
prodotto surgelato, in conf. speciale, 24 pezzi, 1008 g
prodotto surgelato, in conf. speciale, per es. strudel al prosciutto, 2 x 420 g, 7.55 invece di 10.80
conf. da 4
30% Crema da spalmare Argeta al pollo, al tonno o piccante, 4 x 95 g, per es. al pollo, 4.90 invece di 7.–
a partire da 2 pezzi
20%
2.–
di riduzione
Tutte le spezie bio
Tutti i brodi Knorr in barattolo
(prodotti Alnatura esclusi), per es. erbe per insalata, 58 g, 1.80 invece di 2.25
per es. estratto di verdure a basso contenuto di grassi, 250 g, 6.40 invece di 8.40
no D a l sa p o r e
Ora anche in form ato mini
c c i o l at o
20% Tutti i tipi di olio e aceto bio
20x PUNTI
20x PUNTI
Novità
2.90
(prodotti Alnatura e Monini esclusi), per es. olio d'oliva greco, 500 ml, 5.65 invece di 7.10
Novità
Riso Mister Rice bio
Riso Mister Rice bio
Red Jasmine, Black Thai o Mix Jasmine, 500 g, per es. Red Jasmine, in vendita nelle maggiori filiali
Carnaroli, Carolina o Basmati, 300 g, per es. Carnaroli, 1.70, in vendita nelle maggiori filiali
20x PUNTI
30% Nocciole e mandorle macinate M-Classic in confezioni speciali, per es. mandorle, 400 g, 3.90 invece di 5.60
20%
Novità
1.80
Ceci secchi M-Classic
Tutti i legumi, i cereali in chicchi, la quinoa e il couscous bio
450 g, in vendita nelle maggiori filiali
(prodotti Alnatura esclusi), per es. lenticchie rosse, 500 g, 2.– invece di 2.50
a partire da 2 pezzi
20%
20%
Tutti i tipi di caffè istantaneo Nescafé
Tutto l'assortimento di tisane Klostergarten
per es. Gold de Luxe in bustina, 180 g, 8.80 invece di 11.–
per es. tisana contro il raffreddore, 20 bustine, 2.– invece di 2.50
Migros Ticino
Offerte valide solo dal 19.10 al 25.10.2021, fino a esaurimento dello stock.
Bellezza e cura del corpo
In ordine, dalla testa ai piedi
LO SAPEVI? Al momento è importante lavarsi spesso le mani e disinfettarle, cosa che però secca la pelle. Per farle tornare morbide e lisce, ci vuole una porzione extra di idratazione. Quando si lavano le mani non usare acqua troppo calda, per non seccarle ulteriormente.
conf. da 2
conf. da 2
25% Creme per le mani I am, Atrix, Garnier, Neutrogena, Nivea o Le Petite Marseillais per es. balsamo per mani e unghie I am, 2 x 100 ml, 4.80 invece di 6.40
25% 5.75 invece di 7.70
25% Tutto l'assortimento di prodotti per la cura delle mani (confezioni multiple, confezioni da viaggio, M-Classic, I am Natural Cosmetics esclusi), per es. crema per le mani Express I am, 100 ml, 2.40 invece di 3.20
a partire da 2 pezzi
25% Prodotti per la cura del viso L'Oréal (prodotti Men, confezioni da viaggio e confezioni multiple esclusi), per es. siero Revitalift Filler, 30 ml, 18.75 invece di 24.95
Tutti gli shampoo o i balsami Elseve per es. shampoo Color-Vive, 2 x 250 ml
Abbigliamento e accessori
Hit 34.95
20%
Set di biancheria termica da donna maglia e leggings neri, disponibile nelle taglie S-XL, per es. tg. M, il set
conf. da 10
Hit
Assorbenti Always Ultra in confezioni speciali, per es. Normal Plus, 38 pezzi, 5.35 invece di 6.70
16.95
Calze da donna bio nere, disponibili nei numeri 35–38 o 39–42, per es. numeri 35-38
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Hit 5.90
Novità
Tampax Regular, Super o Super Plus, in conf. speciale, per es. Regular, 30 pezzi
Ge l docc ia solido ad azione idratant e, se nza plastic a
20x PUNTI
Novità
Prodotti Foamie per es. docciaschiuma solido al cocco, 80 g, 5.95
17.95
Gingseng plus Axamine gingsengVit 30 capsule
Açai alle bacc he di v itamina B, Cè ricc o ed E
20x
Hit 39.95
Set di biancheria termica da uomo maglia e calzamaglia nere, disponibile nelle taglie S-XL, il set, per es. tg. M
PUNTI
conf. da 3
Hit
Novità
5.95
Labello Naturally Vegan all'açai il pezzo
12.95
Calzini da uomo disponibili in nero, antracite o oliva, n. 39–42 e 43–46, per es. nero, n. 43–46
Offerte valide solo dal 19.10 al 25.10.2021, fino a esaurimento dello stock.
Varie
Grande scelta, piccoli prezzi
conf. da 4
50% 7.– invece di 14.–
conf. da 2
Spago per pacchi Papeteria 4 x 100 m
a partire da 2 pezzi
20%
22%
Cestelli o detergenti per WC Hygo
Tutti i detersivi per capi delicati Yvette
in confezioni speciali, per es. Flower Clean, 2 x 750 ml, 5.60 invece di 7.–
(confezioni multiple e speciali escluse), per es. Care in conf. di ricarica, 2 l, 9.– invece di 11.50
40% Carta per uso domestico Twist, FSC Classic, Magic o Professional, in confezione speciale, per es. Magic, 12 rotoli, 8.90 invece di 14.85
Uno snac k a par t ire dide ale ai 1 2 me s i
20x
380 ml, il pezzo
Hit 3.95
Tazzine da caffè disponibili in diversi colori, 80 ml, per es. rosa, il pezzo
Senza profumi
PUNTI
Novità
Migros Ticino
Bicchiere da tè Forte
20x
PUNTI
1.45
Hit 2.95
Novità
Barretta alla frutta pera-mela Holle
Cura del bebè Milette Ultra Sensitive
25 g
per es. olio, 250 ml, 4.30
Hit 4.95
Tagliere Cucina & Tavola 29 x 30,3 cm, il pezzo
Fiori e giardino u z i o ne d o r p Da solidale e quo
conf. da 3
20% Alimenti umidi Sheba 12 x 85 g o 18 x 50 g, per es. Selection in salsa, 12 x 85 g, 7.95 invece di 10.05
Ext ra assorbent e grazie all'innovativa tec nologia
30% 62.95
conf. da 3
40% 15.95
invece di 26.85
invece di 89.95
Hit 1.95 Migros Ticino
Presa USB 3.0, compatibile anche con USB 2.0, memoria affidabile da portare con sé, rapida trasmissione dei dati, il pezzo
Carta per fotocopie A4 Papeteria, FSC bianca, 80 g/m², 3 x 500 fogli
conf. da 10
Hit 7.95
Disco rigido esterno WD Elements Portable 2,5" da 2 TB
Hit 13.95
Rose M-Classic, Fairtrade mazzo da 10, lunghezza dello stelo 50 cm, disponibili in diversi colori, per es. rosa e rosse, il mazzo
conf. da 20
Hit
Candele per cimitero con coperchio rosse
12.95
Candele a olio Simplex rosse
Hit
conf. da 6
Hit Lumini da cimitero disponibili in vari motivi, il pezzo
12.95
12.95
Lumini da cimitero
Bouquet Mélody il mazzo
disponibili in rosso o bianco, per es. rosso Offerte valide solo dal 19.10 al 25.10.2021, fino a esaurimento dello stock.
Verde e bianco, prezzo basso
Validi gio. – dom. Prezzi
imbattibili del
weekend
2.80
–.80
–.65
Burro da cucina M-Budget 250 g
1.95
500 g
5.80
Cioccolato al latte con nocciole a scaglie M-Budget
–.90
Yogurt al naturale M-Budget
100 g
Succo d'arancia M-Budget 1l
Carne secca M-Budget Brasile, per 100 g, in self-service
Salviettine cosmetiche M-Budget conf. da 170 pezzi
30% 1.35 invece di 1.95
25% 2.15 invece di 2.90
Peperoni misti Spagna/Paesi Bassi, busta da 500 g, offerta valida dal 21.10 al 24.10.2021
Cordon bleu di maiale, IP-SUISSE in conf. speciale, per 100 g, offerta valida dal 21.10 al 24.10.2021
31% Farina bianca TerraSuisse 1 kg o 4 x 1 kg, per es. 1 kg, 1.20 invece di 1.75, offerta valida dal 21.10 al 24.10.2021
Fino a esaurimento scorte.