Club del San Gottardo
il suo piccolo museo a Biasca, tra veicoli storici
nuovi
la Senna, il fiume amato dagli Impressionisti, con visita alla casa di Claude Monet
ATTUALITÀ
In Russia matura lo scontento nei confronti della guerra in Ucraina. Putin rischia un golpe?
Come ragni, a scalare la diga
CULTURA
Al LAC una mostra e una giornata di studio omaggiano l’arte concettuale di Marcel Broodthaers
La cecità degli ayatollah
Peter Schiesser
Quando la morte di una ragazza di 22 anni sca tena proteste in tutto un paese, vuol dire che il vaso della sopportazione è traboccato. La goccia è stata Mahsa «Zina» Amini, arrestata a Tehe ran il 13 settembre dalla polizia religiosa irania na per non aver portato correttamente il velo e restituita morta alla famiglia tre giorni dopo, secondo la polizia a causa di un arresto cardia co, secondo fotografie e testimonianze con feri te e contusioni alla testa. Da allora, quasi ogni giorno, spesso la sera, la Persia si infiamma e scandisce frasi inaudite come «morte a Khame nei», il leader supremo, «Donne, Vita, Libertà» (storico slogan delle donne combattenti curde, e pronunciato in curdo), mentre un famoso canto dell’opposizione «difenderò mio fratello» si tra sforma in «difenderò mia sorella». In decine e decine di città bruciano uffici del potere statale, vengono assaltate stazioni di polizia, protesta no e vengono arrestati persino gli studenti del le università d’élite, si strappano gigantografie degli ayatollah Khomeiny e Khamenei, ossia il padre della rivoluzione del 1979 contro lo shah
Reza Palevi e il suo successore molto meno ca rismatico ma altrettanto intransigente. Lo Stato risponde con brutalità. Sui dimostranti la poli zia spara ad altezza uomo. Quanti sono i morti?
Almeno 200, i feriti e gli arrestati a migliaia, se condo le ong per la difesa dei diritti umani. Ma le proteste continuano e si allargano, pur senza un movimento che le guidi.
L’Iran ha conosciuto anche in passato vaste pro teste contro il regime degli ayatollah, nel 2009, nel 2017 e nel 2019, ma questa volta c’è un’in tensità e un carattere diverso. Non si protesta contro i brogli elettorali o perché l’economia va male e la popolazione impoverisce, ma per affer mare una libertà dell’individuo troppo a lungo repressa: la giovane generazione non accetta e non sopporta più i rigidi precetti morali. Se uno hijab portato male può costarti la vita, noi non ci stiamo più, nessuno deve dettarci come vesti re, è la loro reazione. Il rogo dei veli manifesta la rabbia popolare, ma a volte viene accompagnato da una danza che lascia trasparire una gioia libe ratrice, entrambi segni potenti che la società ira
niana è cambiata e che il regime degli ayatollah è distante anni luce dalla realtà. Dalla sua parte ha una base politica che si assottiglia e la forza brutale delle sue milizie e della polizia. Senza dubbio, il ruolo di primo piano lo han no assunto le donne. Levandosi il velo sfidano il regime sul piano più alto. Perché l’obbligo di portarlo rappresenta per gli ayatollah il control lo morale e politico, sulla donna e sull’identità nazionale. Nel 1936 lo shah Reza Palevi, padre dell’omonimo figlio deposto nel 1979, impose il divieto di portare il velo, come simbolo dell’oc cidentalizzazione del paese. Dovette rinunciar vi presto. Poi nel 1980, sfruttando un impeto nazionalistico che rafforzò il regime in segui to all’invasione dell’iracheno Saddam Hussein, Khomeiny lo impose a tutte le donne, cemen tando l’autorità morale e politica della teocrazia sciita. Nel 2022 le ragazze iraniane rispondono alla Storia levando e bruciando il velo, taglian dosi i capelli in un gesto sarcastico e provoca torio verso il regime (avete paura dei nostri ca pelli? Eccoveli!). Non sono sole, li appoggiano
i loro genitori, ma vieppiù anche persone che in passato non protestavano contro il regime, di sgustate dalle uccisioni, dalle violenze, dagli ar resti di quella che dovrebbe essere la generazio ne del futuro del paese. Ora entrano in sciopero anche gli operai del vitale settore petrolifero e i commercianti dei bazar (una combinazione che accelerò a suo tempo la caduta dello shah).
Dopo le brutali repressioni degli ultimi 13 anni, i movimenti dell’opposizione, quelli sindacali e studenteschi sono stati annientati, manca dun que una qualsiasi cerniera e mediazione possibi le fra società civile e il potere statale. Resta spa zio solo per la protesta spontanea, dei giovani e di chiunque condivida la loro disperazione. Le proteste continuano, nonostante la sanguinosa repressione, perché le persone non hanno più nulla da perdere se non la propria dignità. Kha menei e accoliti dichiarano che le proteste sono sobillate dai nemici esterni, dall’America, come pappagalli ciechi che ripetono le poche parole che hanno imparato a memoria prima di perde re la vista sulla realtà delle cose.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 17 ottobre 2022 Cooperativa Migros Ticino edizione 42 ◆ ● G.A.A.6592San t’Antonino MONDO MIGROS Pagine 4 – 5
Pagina 35
Pagina 25
TEMPO LIBERO Pagina 17 Lungo
SOCIETÀ Pagina 2 Trasporti: il
e
e
progetti ◆ Moreno Invernizzi Pagina 15
Jan Novak Red Bull
Pagina 6
Lettere da oltreoceano
L’epistolario di Elvira Bontà: la quotidianità e le emozioni di una ticinese emigrata in California
Pagina 7
La musica come cura La Facoltà di scienze biomediche organizza un corso per esplorare i legami tra la musica e la medicina
Pagina 9
Embrioni «artificiali» Due gruppi di scienziati hanno ottenuto embrioni animali partendo da cellule staminali
Pagina 11
A Biasca c’è un piccolo museo dei trasporti
Sara Rossi Guidicelli
Nascosto dietro la stazione di Biasca si trova un gioiello: la sede del Club San Gottardo – Swiss Railpark. Si tratta di un’associazione di perso ne appassionate di storia dei mezzi di trasporto che desiderano conser vare, restaurare e divulgare il mate riale in loro possesso, ma non solo. Il Club San Gottardo non vuole li mitarsi a esporre pezzi antichi e mo derni di treni, automobili, moto, ca mion, robot da cantiere e così via: il loro progetto è di ordine economico e turistico, con lo scopo di valoriz zare e sviluppare la Regione del San Gottardo.
Tutto ha inizio nel 1976, quando a Mendrisio fu fondato il Club. Era un’epoca di cambiamenti e sostitu zioni e affinché materiale ferroviario storico non venisse mandato a rotta mare, il Club si diede come missione l’acquisizione, il restauro e la conser vazione di locomotive, vagoni, ogget ti vari che raccontassero la storia dei treni in Ticino e in Svizzera. Si creò così un patrimonio di oltre 50 veico li e la possibilità di organizzare visite e viaggi turistici su treni rievocativi. Fu anche ripristinata la tratta Men drisio-Valmorea, che diventò un’oc casione di gita dal gusto rétro e festa eno-gastronomica insieme.
La formazione dei propri membri attivi, pilastro del Club, ha permes so di accumulare un sapere tecnico di ottimo livello: tutti i lavori sui veico li dismessi acquistati sono infatti ese guiti dal Club stesso. In particolare fa parte del loro parco veicoli anche una composizione storica compren dente una locomotiva a vapore Tiger li (E 3/3 8501), tre carrozze a due assi Gotthardbahn, alla quale si è aggiun to il vagone di supporto K2 della ex Jura/Simplon.
In seguito poi a nuove norme sul la gestione di tratte ferroviarie a sco po turistico, recentemente il Club ha dovuto affrontare un cambio di para digma e la formulazione di nuovi pro getti con nuovi partner. Tra i nuovi progetti c’è la ripresa, con più ampie prospettive di offerta, dell’esercizio turistico sulla Valmorea e la revisione del parco veicoli. La sede di Mendri sio è stata chiusa ed è stata allestita la nuova sede di Biasca, all’interno del le vecchie officine del Borgo, presen te ormai da sei anni. Là ora si trova uno splendido piccolo museo, aperto per adesso solo su appuntamento, un bar con sala per convegni, formazio ni di personale ferroviario tra cui an che apprendisti ed eventi vari; questo luogo costituisce anche la base per lo
sviluppo di attività turistiche sull’asse del San Gottardo.
Ecco la visione del Club: dopo aver riqualificato tutta l’area intorno alle ex Officine di Biasca, una zona di 25mila metri quadrati, ora si vuo le progettare una passerella che dalla strada principale davanti alla stazione arrivi al Museo, dove tra pochi anni dovrebbe sorgere un ristorante den tro a un ex capannone industriale e da dove partono sentieri per le pozze di Santa Petronilla e passeggiate. «Ci piace l’idea di recuperare queste aree industriali dismesse: sono splendide e fanno respirare la Storia», afferma an cora Marco Morisoli. Aree di verde, valorizzazione di cimeli d’architettu ra e riflessione sulla mobilità: tutto questo è fra gli obiettivi del Club.
«I nostri partner principali sono FFS, Museo dei Trasporti di Lucer na e i Dipartimenti delle Finanze e dell’Economia, dell’Educazione, Cul tura e Sport nonché del Territorio del Canton Ticino, le Organizzazioni tu ristiche Regionali e il nostro referente principale è l’Ente Regionale di Svi luppo», mi illustra Marco Moriso li, presidente del Club. «Lavoriamo a livello turistico e di promozione dello sviluppo economico a beneficio della Regione del Gottardo, il cui Progetto
Gottardo 2020 favorisce i quattro can toni coinvolti (Ticino, Uri, Lucerna e Grigioni), ma la nostra idea di offerta e promozione coinvolge anche tutta la Regione Insubrica. Vogliamo trattare la tematica della mobilità nel passato, nel presente e nel futuro. Ci interessa l’aspetto del materiale rotabile ferro viario storico, quello turistico e il pro movimento in generale dell’interesse per la mobilità sostenibile».
Morisoli mi mostra la mappa della Bahnerlebnis Gotthard e le offerte di viaggi combinabili: treni panorami ci, il Glacier Express, la ferrovia della Furka… la Regione è servita in modo capillare da bellissime tratte su bina ri. «Immaginiamo che un viaggiatore parta da qui, visiti il Museo, si goda le gole della Leventina, magari a bor do di un treno d’epoca, prenda la po sta ad Airolo, vada sul Passo, si diriga al Museo dei Trasporti di Lucerna, faccia un giro in battello e poi a fine giornata, in un batter d’occhio, ritor ni a casa con AlpTransit: pensa, cen to anni e passa di storia dei mezzi di trasporto sperimentati in un giorno!»
Ci porta a vedere il Museo di Bia sca un collega membro del Club San Gottardo: René Fédier, ex ferroviere in pensione, che ha seguito la forma zione specialistica per guidare i treni
d’epoca. «Quello che vedi è nostro, o di proprietà di privati o del Museo dei Trasporti di Lucerna», spiega. «Qui abbiamo il parco veicoli e qui l’officina dove lavoriamo». Mi mostra il treno che faceva Biasca-Bodio negli anni Cinquanta, un altro che viag giava nella regione del Toggenburg, una locomotiva del 1921, con la testa che assomiglia a quella di un «cocco drillo», come viene chiamata in ger go. Ci fa salire sui vagoni rivestiti di legno, ci mostra il freno e il posto di comando. Oggi [2 ottobre] passa di qui il Prestige Continental Express, un treno composto da tre vagoni ri storante restaurati in stile Orient Express. In uno dei vagoni c’è per sino un pianoforte a coda. Scendono una cinquantina di persone che stan no viaggiando dalla Svizzera tede sca in Ticino e ritorno. Prendono un aperitivo nella bella sala nelle ex offi cine di Biasca con il bar dentro a una locomotiva, visitano il Museo e ri partono. A bordo li aspetta un pran zo raffinato ed elegante e si portano a casa tutta l’esperienza del viaggiatore appassionato.
SOCIETÀ ● ◆ 2 Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 17 ottobre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino
A scuola con Laura Marzi Intervista all’autrice de La materia alternativa in cui una prof si confronta con i suoi giovani allievi Il Club ha riqualificato tutta l’area intorno alle ex Officine di Biasca e ora progetta una passerella che dalla stazione arrivi al Museo, un ristorante in un ex capannone industriale e la valorizzazione delle passeggiate e delle pozze di Santa Petronilla (una più ampia galleria fotografica su www.azione.ch).
Territorio/1 ◆ Una visita alla sede del Club San Gottardo – Swiss Railpark dove si conservano veicoli storici e nascono nuovi progetti
Informazioni www.clubsangottardo.ch www.swissrailparkbiasca.ch
Leventina, solo uniti si vince
Territorio/2
Fabio Dozio
È una valle che si sta spopolando, ma da quest’anno c’è un’occasione
La chiamavano «Via delle genti», ma ormai è la via delle auto in colonna che transitano sul nastro autostra dale senza relazione con il territorio. La ferrovia, in compenso, è sparita, interrata sotto il massiccio del San Gottardo. La Leventina, bella val le, ambita meta turistica cento anni fa, primo approccio verso il sud per i viaggiatori che provenivano da oltral pe, che futuro avrà?
A questo interrogativo deve ri spondere il progetto di rilancio del la valle, grazie al Masterplan (piano d’indirizzo strategico) che l’Ente Re gionale di Sviluppo del Bellinzonese e Valli ha messo in cantiere. Dall’i nizio di quest’anno coordinatore del progetto è Michele Guerra, munici pale di Pollegio e granconsigliere del la Lega dei ticinesi. Il Masterplan è figlio della Nuova Politica Regionale (NPR), varata da Berna nel 2005. Da sei anni la NPR ha lanciato la nuo va promozione regionale dell’innova zione e per il cambiamento struttura le del turismo.
Per il Consiglio di Stato, «il Ma sterplan permette di elaborare una chiara prospettiva di sviluppo a me dio lungo termine e di identificare le priorità progettuali che possono con tribuire al potenziamento e al mi glioramento dell’offerta turistica, al la valorizzazione del territorio e alla promozione del suo tessuto impren ditoriale regionale». Per raggiungere questi obiettivi, il Governo ha con cesso l’anno scorso un finanziamen to per l’elaborazione del Masterplan Leventina 2030, inclusa l’implemen tazione dell’Antenna Leventina.
«Per poter coordinare questa stra tegia – spiega Michele Guerra – na sce quindi la necessità di un’operativi tà “dal basso” e quindi degli sportelli strategici locali: le cosiddette Anten ne. Punte di compasso piazzate sal damente in un comparto ben preciso e atte a captare le particolarità loca li e a far emergere lo sviluppo locale, ascoltando la realtà del posto. Anten ne che hanno un doppio ruolo. Quel lo operativo, fungere da sportello per portare avanti e stimolare i progetti locali, e quello speculativo, pianifica re la crescita e la strategia sull’arco di più anni. Tutto questo lungo percor so di evoluzione della politica econo mica regionale che, progressivamen te, è sceso sempre più verso il locale, comporta una sfida fondamentale per funzionare, una conditio sine qua non, quella di creare un’unione forte e sen tita di tutta la Valle».
Gli indicatori economici leventi nesi sono tutti in discesa: meno popo lazione, meno aziende, meno impie ghi a tempo pieno. Dal 1980 al 2016 l’unico distretto del Cantone che ha
azione
perso abitanti è la Leventina, passa ta da 11’699 a 9233, mentre la popo lazione ticinese cresceva di quasi 100 mila abitanti. In queste condizioni ri lanciare l’economia della valle è un compito arduo.
Dal 2008 al 2015 la Confedera zione ha sostenuto 1800 progetti con contributi complessivi di 250 milio ni di franchi a fondo perso. I Cantoni e i terzi, a loro volta, hanno investi to tre volte tanto, 750 milioni. «Ogni quattro anni Cantone Ticino e Con federazione delineano le principa li leve strategiche per realizzare una politica regionale. – ci dice Michele Guerra – Oggi queste leve sono tre: il rilancio delle regioni a potenziale ine spresso, l’aumento del grado di inno vazione delle Piccole Medie Imprese locali e il potenziamento del turismo. Potenziale inespresso significa valore non propriamente valorizzato. Innan zitutto un potenziale è oggi la Leven tina stessa. A differenza della Valle di Blenio, dove è avvenuta una mes sa in rete tramite le aggregazioni, noi siamo ancora in dieci comuni. Met terli in rete, tramite questo Master plan, è quindi certamente un primo passo per far esprimere il potenziale di questa Valle: uniti si vince. Ecco perché ha avuto pieno sostegno l’i dea di iniziare anche da noi un Ma sterplan. I potenziali inespressi sono molti. Siamo ad esempio un museo a cielo aperto, pensando a chiese e im mobili storici in genere. Abbiamo un territorio unico. Disponiamo di realtà accademiche di livello mondiale, co me il Centro di Biologia Alpina; di industrie leader mondiali, di impianti idroelettrici di grande peso. Siamo un territorio che ha moltissimo, un gran de potenziale che può essere meglio espresso. Siamo però a un bivio: o ci si coordina e si agisce uniti per il ri lancio della Valle, oppure fra qualche anno sarà ancor più difficile. La no stra Valle negli ultimi cinquant’an ni ha subito uno dei più importanti shock demografici ed occupazionali del Cantone. Solo a livello di secon dario e terziario abbiamo perso circa mille impieghi su di una popolazione di novemila abitanti. Le aziende lo cali sono diminuite. I giovani si tra sferiscono altrove e la tendenza non sembra arrestarsi. Sfruttare il Master plan per lavorare tutti uniti come Val le è sicuramente un passo fondamen tale per far esprimere alla Leventina il suo vero potenziale. E i segnali emer si nei vari incontri fra Ente Regiona le di Sviluppo e Comuni sono molto positivi».
La Leventina ha un punto dolen te. La scarsa iniziativa privata, scar so spirito di intrapresa. Negli ultimi cinquant’anni non si è creato nulla di
nuovo, a parte la pista di ghiaccio ad Ambrì. Un aspetto che ha una spie gazione storica. Airolo, per esem pio, vanta un primato. È il luogo in cui nel corso degli ultimi due secoli ci sono stati più investimenti pubbli ci. La lista, approssimativa, è impres sionante: traforo ferroviario della fine ottocento, ripari antivalangari, strut ture militari (forti, fortini e caserme), impianti idroelettrici (Lucendro, Sel la, Ritom), strade della Novena e del Passo del San Gottardo, autostrada e primo traforo del San Gottardo, se conda galleria autostradale, galleria ferroviaria di base (da Pollegio), im pianti di risalita Sasso della Boggia, caseificio e ristorante, impianto eo lico sul passo e, da ultimo, la coper tura dell’autostrada davanti al pae se. Questa manna dal cielo, piovuta sull’alta Leventina nel corso dei de cenni, ha contribuito a soffocare le spinte imprenditoriali.
«Il lavoro del Masterplan Leven tina si basa proprio sui bisogni lo cali. – sostiene Guerra – Per questo abbiamo costituito due gruppi di ri ferimento per definire la rotta. Un Gruppo Strategico destinato alle de cisioni più puntuali, composto da un rappresentante dei Comuni per Al ta, Media e Bassa Leventina, e, un Gruppo di Riflessione: un vero cam pione rappresentativo della Leventi na, composto da una quarantina di persone sparse sul territorio e di ogni competenza, estrazione e settore. Un timone cui far capo per raccogliere le sensibilità della Valle, le aspettative, le proposte. Proprio con questo grup po di riflessione abbiamo raccolto gli
input più importanti che ci hanno poi permesso di abbozzare gli obiettivi da raggiungere nel 2035 e soprattutto i filoni su cui investire per raggiunger li: servizi alla popolazione, industrie, energia e molto altro. Un lavoro cer tosino di mediazione e concertazione, che si concluderà entro fine anno, fat to per avere tutta la Valle unita die tro a un progetto, perché solo uniti si vince. Ora tutto questo verrà stilato in forma definitiva e rappresenterà le fondamenta solide su cui costruire, remando tutti assieme, il futuro del la Leventina. Fatto questo, costitui remo per ogni filone dei sottogruppi tematici composti da esperti e perso ne coinvolte, così da generare proget ti, idee e soprattutto sviluppo. Si vuo le passare dalle parole ai fatti».
Bodio e Giornico, due comuni che nello scorso secolo avevano un forte carattere industriale, grazie so prattutto alla presenza dell’acciaie ria Monteforno, potranno diventare un polo di sviluppo economico? Al cune ditte interessanti sono già atti ve: Tensol Rail con la tecnica ferro viaria e Imerys con la produzione di grafite di alta qualità. Si pensa anche a un «Campus formativo Bodio», per tutte le professioni legate al metallo e all’elettricità. Va però sottolineata una contraddizione della politica federa le di sviluppo delle regioni di mon tagna: non aver fatto pressioni sulle FFS, che sono interamente di pro prietà della Confederazione, perché realizzassero a Bodio e Giornico le nuove Officine. Un’occasione manca ta dal profilo politico, ma anche eco nomico e soprattutto regionale.
Punto forte del rilancio leventine se dovrà essere il turismo. «Una leva –precisa Michele Guerra – all’interno della strategia di sviluppo della Val le è sicuramente quella delle politiche di destagionalizzazione del turismo. La mancata autosufficienza è forzata mente presente in varie realtà in un territorio così eterogeneo come il Ti cino, ed è certamente strutturalmente presente in alcuni impianti invernali. Impianti che però forniscono lavoro a molte famiglie della Valle e senza i quali questi posti di lavoro verrebbero persi, facendo perdere indotto all’in tera regione. Perciò il Cantone contri buisce regolarmente al loro manteni mento. A fianco di questo, però, ogni intervento volto a sfruttare queste re altà non solo d’inverno è utilissimo e pure fondamentale in un’ottica futura di un probabile innevamento sempre minore. Ecco perché all’interno del nostro Masterplan vogliamo sostene re queste perle alpine in questo dif ficile compito di destagionalizzare».
Per il settore turistico in Ticino e in Leventina basta guardare ai Gri gioni. Copiare da chi è più bravo può sempre essere utile. Se osserviamo quanto fatto in ambito turistico in Leventina e, per esempio, nella re gione di Savognin, nei Grigioni, ne gli ultimi cinquant’anni, il confronto è impietoso. Da una parte zero realiz zazioni, o quasi, dall’altra una miria de. È anche una questione di cultura. Perciò concludiamo con una sugge stione: organizzare per il Gruppo di Riflessione leventinese una gita di là dai monti, per esempio, a Surses, nel la valle del Giulia.
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● Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 17 ottobre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino 3
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di rilancio grazie alla nuova politica di sviluppo delle regioni di montagna
Airolo e la Leventina visti dal Passo del San Gottardo. (Keystone)
Gustosissime delizie autunnali
Arancioni, rosse, gialle, bianche, ver di o screziate, di forma tonda, ovale o allungata, le zucche attualmente so no tra gli ortaggi principe dell’autun no. Coltivate con passione e pazienza in Svizzera, alla Migros ora sono di sponibili in una molteplicità di tipo logie per rispondere alle preferenze ed esigenze gastronomiche più dispara te. Butternut, Potimarron, Spaghet ti, Kabocha, Moscata di Provenza, Delica, Mandarin, Acorn… sono so lo alcune delle varietà di zucche più conosciute tra le centinaia esistenti al mondo. A proposito, la zucca è prota gonista anche in occasione della notte
Fresche
di Halloween, la festa di origine celti che particolarmente diffusa nei paesi anglosassoni che cade il 31 ottobre. La tradizione vuole che una zucca svuo tata, intagliata con facce spaventose e illuminata al suo interno con un lu mino possa scacciare gli spiriti mali gni. Nei nostri negozi è disponibile una zucca decorativa ideale per essere intagliata.
Multitalento in cucina
La zucca è un vero portento in cuci na, dal momento che permette di ap prontare moltissime ricette gustose, sane e sempre diverse. Che sia sotto
forma di zuppa, vellutata, confettura, dessert, torta oppure ancora arrosto, stufata, cotta al forno o addirittura cruda in insalata, l’ortaggio è un con centrato di virtù culinarie. Per verifi care che una zucca sia matura al pun to giusto, picchiettate la scorza con le nocche delle dita: se suona vuota e sorda, è pronta per essere gustata. Le zucche intere si mantengono fresche per diverse settimane se conservate in un luogo fresco e asciutto. All’acqui sto badate che la zucca abbia una buc cia compatta, dura e sia senza mac chie o lacerazioni. Una volta tagliata a fette, avvolgete i pezzi in una pellicola
salvafreschezza e conservateli in fri gorifero fino a una settimana. La pol pa della zucca contiene molta acqua, pertanto in cottura necessita di poco liquido supplementare. Spezie quali per esempio coriandolo, zenzero e cu mino si sposano bene con le zucche.
Molti benefici La zucca fornisce diversi importan ti elementi nutritivi al nostro organi smo, come fibre alimentari, vitamina A e C e sali minerali e oligoelementi come potassio, ferro, magnesio e cal cio. Inoltre, con sole 25 kcal per 100 g, è un’ottima alleata della linea.
La ricetta Pumpkin Pie
Vera prelibatezza per i buongustai amanti dei molluschi, le cozze pos seggono una carne tenera dalla con sistenza soda, dal sapore delicato, con un bassissimo contenuto di gras si. In cucina sono facili e veloci da preparare e sono tra gli ingredienti essenziali di molte ricette classiche.
Tra queste possiamo citare le «mou les et frites», piatto nazionale della cucina belga dove le cozze sono ser vite in un brodo di verdure accom pagnate da patatine fritte, oppure la famosa «impepata di cozze» di origi ni napoletane con i molluschi gene rosamente conditi con del pepe nero macinato al momento.
Le cozze si prestano anche per esse re arrostite, grigliate o cotte al for no. All’acquisto è importante che le cozze siano freschissime: devono odorare di acqua di mare; se sanno di ammoniaca, non vanno assoluta mente utilizzate. Prima di cucinarle devono essere spazzolate accurata
mente sotto l’acqua fredda corrente per eliminare le impurità e, se anco ra presenti, vanno staccati i filamenti di barba presenti su un lato delle val ve. Le cozze fresche già aperte come pure quelle che non si aprono dopo la cottura vanno gettate. La prepa razione delle cozze è simile a quel la delle vongole. Per una porzione si possono calcolare ca. 500 g di mol luschi interi a persona. Ecco una preparazione semplice e gustosa: in una padella alta e ampia versare le cozze pulite, un bicchie re di vino bianco, una carota taglia ta a dadini, due scalogni tritati fine mente e un bouquet di timo, alloro e prezzemolo tritati. Cuocere a fuo co vivo per una decina di minuti e, a piacere, prima di servire aggiungere un cucchiaio di crème fraîche (panna acida). Le cozze in vendita ai banchi del pesce Migros sono allevate se condo metodi tradizionali nel Mar Mediterraneo.
Ingredienti per 1 tortiera di ca. 24 cm Ø
• 8 00 g di zucca, pesata mondata, ad es. butternut
• 2,5 dl di panna semigrassa
• 2 uova
• 1 cucchiaino di cannella
• ½ cucchiaino di zenzero macinato
• 1 presa di noce moscata macinata
• 200 g di latte condensato zuccherato
• 1 rotolo di pasta frolla dolce, rotonda, già spianata, da 320 g
• 180 g di panna acidula semigrassa
Procedimento
1. Tagliate la zucca a dadi. Met tetela in padella con la panna, portate a ebollizione poi fate sobbollire per ca. 20 minuti, finché la zucca diventa molle. Frullate e lasciate raffreddare.
Scaldate il forno statico a 220 °C. Sbattete le uova e mesco latele con la purea di zucca, le spezie e il latte condensato. Srotolate la pasta e accomoda tela nella tortiera insieme con la carta da forno. Bucherella te il fondo con una forchetta e distribuitevi la purea. Cuocete la torta nella metà inferiore del forno per ca. 15 minuti. Ridu cete la temperatura a 180 °C e completate la cottura ancora per ca. 15 minuti. Sfornate la torta e lasciatela raffreddare. Guarnite con la panna acidula e gustate.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 17 ottobre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 4
Attualità
◆
Migros commercializza una quindicina di varietà di zucche svizzere, alcune delle quali di provenienza regionale
2.
tentazioni dal reparto pesce Attualità ◆ I molluschi sono tra le specialità di mare più apprezzate. Questa settimana i banchi pesce Migros vi consigliano di gustare le cozze fresche del Mediterraneo Azione 15% Cozze al banco pesce, al kg Fr. 9.– invece di 11.–dal 18.10 al 22.10.2022
Un classico dal carattere integrale
Un classico di lunga data dell’assor timento Migros, il pane campagno lo integrale possiede la forma tipica rettangolare del pane in cassetta, ed è pertanto perfetto da tagliare a fet te e farcire a piacere per creare sfi ziosissimi panini o toast da gustare in qualsiasi occasione, sia a casa, sia in gita, come pure sul posto di la voro o a scuola. Composto da sem plici e genuini ingredienti come la farina integrale di frumento certifi cata IP-SUISSE – ottenuta da cere ali coltivati in modo naturale senza fungicidi né insetticidi –, acqua, lie vito e sale, si contraddistingue per il suo aroma intenso – tipico del grano integrale – e l’ottima conservabilità. La mollica è umida, morbida ed ela stica, dal colore grigio-bruno e pre senta piccole venature in superficie.
Carattere integrale
I prodotti integrali, in confronto a quelli raffinati, posseggono un sapo re più pronunciato e forniscono pre ziosi nutrienti per la nostra salute.
La farina integrale contiene gli in teri componenti del grano ed è par ticolarmente ricca di fibre alimentari (importanti per la regolazione della digestione e della glicemia), protei
ne di alto valore biologico, vitamine idrosolubili e liposolubili, come pure acidi grassi e sali minerali. Inoltre, in generale in prodotti integrali saziano a lungo e sono meglio digeribili. Il contenuto di fibre nutritive del pane integrale è fino a tre volte maggiore rispetto al pane semibianco e il dop pio di quello bigio.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 17 ottobre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 5 Tutto diventa più caro! Allenati in 118 centri. Promozione valida dal 17.10 al 7.11.2022. Il nostro abbonamento a 100.in meno! Losone · Lugano · Bellinzona · Mendrisio · Vezia · Giubiasco
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Dentro e fuori la classe
«Gli sticker che vedo sul cellulare di Nadir raccontano che il tentativo fon damentale, inevitabile, di ripulire, ri marginare, reprimere l’odio che aveva condotto alla Seconda guerra mon diale, al nazismo, all’antisemitismo, all’uccisione delle persone ritardate o menomate, dei Rom, degli omoses suali, si è esaurito. Sta ribollendo nelle chat dei ragazzini, e chissà dove altro, l’odio che le nostre istituzioni negli ultimi settant’anni hanno cercato di scacciare come il demonio». La giovane prof protagonista di que sto romanzo d’esordio (che è anche l’io narrante) insegna materia alter nativa, un’ora settimanale dedicata, nelle scuole italiane, a chi non fre quenta la lezione di religione cattoli ca. In un paese credente come l’Italia, per gioco forza l’ora di materia alter nativa è frequentata per lo più da gio vani straniere e stranieri, confrontati, oltre che con le sfide legate all’adole scenza, con questioni identitarie. Al di là delle specificità della griglia ora ria, per molti aspetti diversa da quella delle scuole ticinesi, ad accogliere la prof giorno dopo giorno, sono, però, questioni universali, tipiche dei nativi digitali e di una generazione bom bardata da informazioni e fake news, bersagliata da, ma anche promotrice di pregiudizi e false impressioni, os sessionata dalla propria immagine e in preda a fragilità e spavalderia allo stesso tempo.
La giovane e tenace prof si confron ta dunque con l’ossessione per la por nografia, con un razzismo dilagante, con il rapporto dei giovani con il pro prio corpo, con un linguaggio fatto di «zia» e «bro», ma anche con dubbi più grandi dell’essere umano stesso, come quelli legati a fede, religione e spiritualità.
L’aspetto più interessante e origina le di La materia alternativa, al di là dell’agilità del testo, in cui le vicen de della protagonista tra le mura di scuola si intrecciano con quelle più private, contraddistinte da un pre cariato trasversale che passa dalla sopravvivenza professionale a quel la emotiva, è costituito dai dialoghi, freschi e sorprendenti, tra l’adulta del libro e i giovani comprimari.
Abbiamo incontrato Laura Marzi, da anni collaboratrice delle pagine cultu rali di «Azione», per parlare con lei di un’esperienza personale che si è fatta romanzo. La materia alternativa, usci
to a inizio anno, non ha mancato di suscitare curiosità e interesse da par te della critica, forse perché oggi più che mai, un libro che parli di scuola, e dunque di futuro, è necessario.
Laura, è trascorso qualche mese da quando è uscito il tuo libro. Cosa ti si riconosce maggiormente?
Nel libro la critica ha letto un ritratto di tematiche socialmente calde, qui affrontate in presa diretta, e quindi senza un giudizio morale.
Nel libro si riconosce l’idea secondo cui se i ragazzi «sono come sono», non è del tutto colpa loro, poiché sono il frutto della nostra società e degli strumenti che abbiamo messo loro in mano.
Credo che spesso a scuola tra adulti e ragazzi manchi la fiducia. L’insegna mento è un lavoro relazionale il cui obiettivo è la trasmissione del sapere. Il rapporto funziona meglio, e dun que l’obiettivo viene raggiunto in mo do più soddisfacente, nel momento in cui c’è fiducia reciproca. I ragazzi ten dono a fidarsi degli insegnanti, anche se noto un aumento della diffidenza, fomentata secondo me dalla diffu sione dei dispositivi elettronici che in qualche modo mettono i giovani in una condizione di maggiore igno ranza rispetto alle generazioni che li hanno preceduti. Nonostante quello che riconosco come un declino, l’in segnante non ha, però, diritto di bia simare i ragazzi per questo. In fin dei conti siamo noi, cioè la società, a porli all’interno di dinamiche per cui usa no sempre il telefono, non si concen trano, non vengono responsabilizzati.
Una sorta di circolo vizioso… credi vi sia un margine di crescita?
La materia alternativa, così come l’ora di classe in Ticino, potrebbe ro essere un modello per l’insegna mento non tanto legato a discipline tradizionali, ma piuttosto per quel la che è una missione fondamentale della scuola pubblica, ossia offrire a studentesse e studenti gli strumen ti per diventare cittadine e cittadini consapevoli. Credo che il tentativo di dialogo, ma anche di scontro e di confronto che viene raccontato nel romanzo, a volte sia più utile delle lezioni frontali che spesso si fanno a scuola invitando ad esempio esperti di cyberbullismo o legalità.
Sesso, abuso di sostanze, cyber bullismo ecc. sono temi difficili da affrontare. Sulla base della tua esperienza dove trovare lo spazio necessario alla creazione di un di battito costruttivo ed educativo?
La prof del romanzo a un certo pun to si rende conto di essere da sola e di non potere risolvere nulla. Sono con vinta che se questioni come la porno grafia venissero affrontate trasversal mente, le cose potrebbero cambiare davvero. In fondo si tratta dell’edu cazione sentimentale dei giovani di domani. La scuola è per definizione il luogo in cui le cose possono cambiare.
La società occidentale ha ormai preso una deriva neoliberista in cui si rico
nosce uno smarrimento di valori po litici, sociali ed etici, e di pari passo la scuola perde la sua autorevolezza. Ep pure, è proprio in quel luogo che do vrebbero avvenire i cambiamenti, per ché se non avvengono lì, sicuramente non avverranno in futuro.
La scuola come ultimo luogo di potenziale dialogo, e perché non le famiglie?
Gli adulti di famiglia non si occupa no di questi argomenti. Se poi pen so alla pornografia, aumentata con l’utilizzo dei dispositivi elettronici, riconosco un tabù reale: il problema è che spesso gli adulti sono i primi consumatori, per cui non si sentono nella posizione di affrontare la que stione con i propri figli.
Tra i temi su cui ti sei chinata nel libro, vi è anche il fenomeno del la musica rap, trap e drill. I testi di queste canzoni possono essere vio lenti e duri, ma non di rado ven gono presi a modello, come hanno dimostrato le cronache di quest’e state, con l’arresto di numerosi se dicenti artisti, resisi protagonisti di atti criminali.
Questi testi sono lo specchio degli in teressi, di ciò che conta per le nuove generazioni. Ma a loro volta sono lo specchio di ciò che la società ritie ne importante: contano gli abiti e il denaro, è fondamentale lo sballo. Se l’unico valore che viene posto come obiettivo da raggiungere è la ricchez za materiale, e nella nostra società i
ricchi sono sempre meno, natural mente spuntano la rabbia, la frustra zione e un senso di fallimento. Cosa si fa dunque? Si invoca la censura? Sa rebbe sbagliato, sia come principio, sia perché, censurandoli, daremmo a quei testi controversi un’importanza anco ra più grande. Possiamo però utiliz zarli per osservare quello che ci succe de intorno e intervenire a quel livello, con il dibattito e il confronto.
Per avvicinarsi ai propri figli i geni tori dovrebbero chinarsi maggior mente su certi fenomeni, come i te sti di cui abbiamo appena parlato? Io credo fortemente nel dialogo. Le cose oggi sono cambiate: se un tem po la distanza tra la vita dei genito ri e quella dei figli era una cosa sana, ora non è più così. Vorrei portare un esempio: oggi tra gli adulti, for se anche per quella nostra ricerca di eterna gioventù, va molto di moda l’aperitivo, e spesso ci si porta ap presso anche i bambini. Un tempo una cosa del genere era impensabile, perché la vita dei genitori era separa ta da quella dei figli. A questo punto però, visto che c’è questa partecipa zione, quando il bambino diventa un ragazzino, sarebbe giusto che anche il genitore partecipasse alla sua vita, perfino ascoltando la sua musica. Di fronte a questa assenza di confini tra vita adulta e vita adolescenziale, il rapporto deve essere bilaterale.
I ragazzi stanno vivendo un mo mento più difficile di quelli vissuti dalla nostra generazione? La pandemia ha giocato un ruolo enorme, cui si è aggiunta la complica ta situazione geopolitica internazio nale. Vi è una specie di cappa di pe ricolo legata alla povertà, alla guerra e all’instabilità e quindi, mentre noi adulti cerchiamo di portare avanti le nostre responsabilità perché siamo avviati nel mondo del lavoro e abbia mo una vita adulta, i giovani cercano la fuga. E se per noi la via di fuga era sognare la libertà o la pace nel mon do, per loro la fuga è diventata spesso lo sbando, lo sballo e tanta rabbia. E proprio di quella rabbia sociale la po litica non si occupa, sebbene a lungo andare sia pericolosa.
Bibliografia
6 Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 17 ottobre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino SOCIETÀ
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Laura Marzi, La materia alternativa, Mondadori, 2022.
Pubblicazioni ◆ A colloquio con Laura Marzi, autrice del fortunato romanzo La
materia
alternativa, un ritratto a tratti severo della scuola e della società attuali Simona Sala
La giornalista e scrittrice Laura Marzi; sotto, la copertina del suo romanzo d’esordio.
Lettere dal ranch
Epistolario ◆ Dai cassetti dei comò spuntano tesori che fanno riaffiorare il mondo di Elvira Bontà, una ticinese emigrata in California
Tamara Odermatt
Gli epistolari gettano una luce diver sa sul fenomeno migratorio, fornen do nuovi punti di vista dai quali os servarlo. Lo testimoniano i volumi di Giorgio Cheda che raccolgono mol tissime voci inedite. Immergersi nella lettura di questi scritti è un’esperienza speciale, ma scoprire delle lettere risa lenti alla prima metà del Novecento di cui si ignorava l’esistenza è straordina rio: si delinea un microcosmo, emer gono delle personalità, si intuiscono dei legami. È quello che abbiamo vis suto un mercoledì invernale del 2018 a Personico: dopo una giornata di ricer che, toccare con mano un carteggio in ottime condizioni (lettere dall’Ameri ca fittamente scritte e conservate nelle buste originali) è una sensazione che difficilmente si dimentica. Felicità, stupore e… curiosità. Non solo per la rilevanza scientifica del materiale, ful cro di uno studio linguistico universi tario, ma anche perché leggere delle missive significa esplorare l’intimità di chi ha impugnato la penna apren dosi al proprio destinatario.
La scrivente, Elvira Bontà (18851963), è una donna sensibile, forte e fragile che mantiene i contatti con i familiari rimasti in patria. Le sue let tere restituiscono con profondità emo tiva uno spaccato di vita trascorsa ol treoceano, a Gustine, in California, la cittadina che l’ha accolta quando, ventiquattrenne, segue il marito Giu lio, compaesano emigrato appena rag giunta la maggiore età. La mera vicen da biografica accomuna Elvira Bontà ai tanti ticinesi che in quel periodo storico si sono lasciati alle spalle i luo ghi d’origine, ma la delicatezza intro spettiva che si percepisce nelle missive è un tratto che la rende singolare.
Le lettere, oltre a raccontare la quo tidianità californiana, offrono a Elvi ra Bontà un momento di (auto)rifles sione che traduce i suoi stati d’animo. Tangibile è l’apprensione per l’attesa di un messaggio dai familiari: «quan do son priva di notizie da coloro che amo, allora i mesi mi sembrano anni»
Viale dei ciliegi
Piero Schiavo-Angela Marchetti Anna e Anna uovonero (Da 4 anni)
Il secondo Anna è scritto come se fosse l’ombra del primo, perché (an che) di ombra tratta questo libro. Quello dell’ombra è un tema ricor rente in letteratura, e nella letteratu ra per l’infanzia in particolare. Qui la scrittura non dice tutto, affida alle illustrazioni il compito di integrarla, così che tutto diventi più lieve e sim bolico, pur affrontando temi profon di. Anna è una bambina, come tan te, ha cose che le piacciono tanto e altre poco (e le immagini ce le mo strano), con l’immaginazione diven ta tante cose (che sempre le imma gini ci mostrano), ma c’è una cosa che per lei è difficilissima da fare, ed è qui che le illustrazioni si fan no maggiormente evocative, perché sono loro soprattutto a far trapela re cos’è questa cosa difficilissima: è l’uscire fuori, lo stare in mezzo agli altri «fuori è tutto così appariscibi le, dice Anna, dove c’è troppa luce mi sento inutile e sparisco». Ma un aiuto le verrà da un’amica che esi ste solo dove c’è luce: la sua ombra.
e ancora «se fossi stata presente quan do ricevetti la cara tua lettera, m’avre sti vista piangere e ridere, senza che io stessa sapessi spiegarmi se di gioia o dolore». E altrettanto palpabile è il timore per un possibile reclutamento dei figli nel secondo conflitto mondia le: «anche nell’altra guerra sembrava mo sicuri e poi alla fine siamo stati tra scinati nel conflitto. Per carità che ciò non succeda anche questa volta, perché mi porterebbero via i miei due ragaz zi, che son per me tutto quello che ho a questo mondo, e se dovessi vederli a partire, preferirei morire». Ma a que sti momenti di sconforto si alternano la soddisfazione, in particolar modo per i traguardi scolastici e lavorativi, il sincero interesse per i nuovi sviluppi del «romanzo d’Amore» che coinvolge i nipoti e, puntualmente, la richiesta di notizie sui conoscenti a Personico.
La vita che si profila nell’arco di tempo coperto dalle venti missive (ventitré anni di ininterrotta perma nenza sul suolo americano, dal 1927 al 1951) è scandita dal ritmo delle stagio ni, dai lavori agricoli e domestici. Le innovazioni tecnologiche irrompono anche nei «ranci» (i ranch): le auto mobili guidate dai maestri accompa gnano i figli a scuola, che «devono fare nove miglia tutte le mattine, giacché la scuola è in paese», mentre la radio riempie le giornate, rendendole meno monotone. Queste novità si affacciano sul microuniverso di Elvira Bontà ri ducendo le distanze geografiche e am pliando lo spettro conoscitivo. La ra dio, infatti, lenisce la sua malinconia, aprendole una finestra sulla contem poraneità: «ora abbiamo il Radio in casa, è una cosa meravigliosa, ed è di gran compagnia. Giorno e notte pos siamo avere e sentire tutte le varietà immaginabili, musica discorsi noti zie cucina, medicina, alla domenica sentiamo la Messa come se fossimo in chiesa. […] Per noi che viviamo nei ranci sempre soli è un po di compa gnia, ci fa parer almeno di essere an cora in contatto col resto del mondo».
Eppure sono sempre le lettere a fare da ponte tra il mondo dei «rimasti» e quello dei «partiti», attenuando il do lore innescato dalla separazione fisica dai volti e dagli ambienti amati.
Dopo la morte dell’amica e cogna ta Giulietta Bontà (moglie di Emilio, fratello di Giulio), avvenuta nel 1935, lo scambio epistolare di Elvira prose gue con lo stesso Emilio, ma la con sapevolezza di essere l’unica donna di casa la porta a (ri)desiderare una cor rispondenza al femminile: grande è il piacere che prova nel ricevere, acclusa a una missiva del padre, una «letteri na» scritta da Cesira, di cui è madri na di battesimo, oltre che zia. Il cul mine del sentimento di isolamento fisico e spirituale, del «lungo e forza to silenzio», si colloca nel periodo in cui il servizio postale tra la Svizzera e gli Stati Uniti viene soppresso a cau sa della guerra, per poi sciogliersi nel la missiva del 30 novembre 1944, che viene sottoposta anche al vaglio del la censura.
L’epistolario restituisce con inten sità e ricchezza la dimensione profon damente umana del fenomeno migra torio: Elvira Bontà ha voglia di essere (ancora) presente in quel «cantuccio di mondo» a cui sente di appartenere e la scrittura la induce a riflettere sulle vi cissitudini narrate dai suoi interlocu tori, per riappropriarsi di quegli spazi privilegiati di dialogo che caratteriz zavano il rapporto con i cognati.
Le lettere hanno una notevole ri levanza anche da un punto di vista linguistico, perché offrono la testi monianza di una persona che usa abi tualmente il dialetto per comunicare con la sua cerchia di conoscenti ticine si, ma parimenti sa servirsi dell’italia no mostrando delle notevoli capacità espositive per una donna che non ha avuto accesso agli studi superiori. Nel corso del tempo la competenza scrit ta della sua varietà di italiano tende a scalfirsi, ma questa lieve erosione non è di immediata decodifica, perché gli scarti dalla norma grammaticale non
aumentano esponenzialmente. È solo attraverso un’attenta lettura che si co glie un intacco lento e graduale della capacità di selezionare il termine più adeguato al contesto.
Le pagine di Elvira Bontà trasuda no di umanità, dalla sua penna sgor gano sentimenti di ogni sorta (amore, risentimento, felicità, preoccupazio ne) che danno vita a delle oscillazio ni di registro e di contegno formale presenti all’interno delle singole lette re e nell’intero corpus. Queste fluttua
zioni rispecchiano l’indole della scri vente, caratterizzata dall’alternanza fra momenti in cui il filtro dell’atto di scrittura è molto vigile e altri in cui, invece, questo meccanismo di sorve glianza si allenta, complice una mag giore partecipazione affettiva. Sono dunque i picchi emozionali a detta re la concentrazione di devianze dal le regole grammaticali. A livello gra fico questo andamento assomiglia a un elettrocardiogramma o, anagram mando, a un «letterocardiogramma».
Sarà lei, l’ombra, parte di lei stessa, a darle coraggio e fiducia, a starle vici na, ricordando ad Anna, e ai lettori, che le risorse per affrontare i proble mi sono già parte di noi. Così An na potrà uscire dalla sua comfort zone in autonomia, incarnando lei stessa la fiducia della sua ombra, e potrà aprirsi agli altri, dando loro, a sua volta, aiuto e sostegno. Via via che Anna prende il coraggio di aprir si agli altri, i due ambiti, quello cir coscritto della casa, dove Anna sta nella sua rassicurante solitudine, e quello del «là fuori», dove ci sono gli altri, dove non tutto è controllabi le, si fondono serenamente, e nell’ul
tima immagine vediamo Anna e la sua ombra felici, al parco giochi, in sieme ad altri bambini.
Hilary McKay
La guerra delle farfalle Giunti (Da 12 anni)
Un romanzo che ricorda la delicatez za malinconica e vitale delle storie di guerra di Dick King-Smith (pen so in particolare a Binnie), o di Mi chael Morpurgo (La guerra del solda to Pace, War Horse, L’isola delle balene, e molti altri). Anche Hilary McKay, come loro, è inglese, e forse è proprio dall’Inghilterra che scaturisce questa capacità particolare, dolente e legge ra insieme, di raccontare la Grande Guerra. Anzi, di raccontare i ragazzi nella Grande Guerra. Poco più che adolescenti, arruolatisi per incoscien za, obbligo, convinzione o voglia di riscatto, strappati a fidanzate, amici, famigliari, e buttati sul Fronte Occi dentale, fatto di «trincee, bunker sot terranei, filo spinato, barattoli vuoti di marmellata, noia, boschi ridotti a distese di moncherini scheggiati, ca se in macerie, passerelle di legno, cal zini smarriti, latrine, tombe scavate
troppo in fretta, lettere d’amore[...]».
Lì c’era Rupert, quello bello, intre pido, carismatico. E da qualche altra parte, ma sempre lì, in guerra, tra il tuonare intermittente dei cannoni e il tintinnìo del filo spinato, c’era an che Simon, detto Tutt’Ossa, alto e magrissimo, che scrive poesie, non è bravo in ginnastica, detesta il fango, ma è coraggioso, ed è disperatamente affascinato da Rupert. Tuttavia que sta è una storia al femminile, per ché la protagonista è principalmente Clarry, cugina di Rupert, con cui ha condiviso tante estati d’infanzia nel la grande casa dei nonni in Corno vaglia. E protagonista è un po’ tutta
questa famiglia, fatta di nonni acco glienti, di un padre gelido e scostan te, di una mamma che non c’è più, morta subito dopo la nascita di Clar ry, di un fratello maggiore, Peter, che non va in guerra per via di un inci dente alla gamba, di amici, amiche, signore zelanti, commesse, animali, rigattieri. La prima parte della sto ria racconta questa realtà domesti ca, di bambini che diventano adole scenti, vanno in collegio (i maschi) o hanno la fortuna di studiare in scuo le femminili. Ci sono amicizie, amo ri, scambi di lettere, avventure. E poi c’è la guerra, che entra nella seconda metà del romanzo, innestandolo di venature drammatiche, ma senza mai perdere quella grazia narrativa che regge fino alla fine e che si manife sta già dall’incipit: «Più di cent’anni fa, al tempo dei lampioni a gas e del le candele, quando i negozi avevano il bancone in legno e le strade erano piene di cavalli, nacque una bambina. Nessuno se ne rallegrò, solo la ma dre. Al padre non piacevano i bam bini, nemmeno i propri, e a Peter, il fratellino di tre anni, non interessa va aggiungere altre persone al proprio mondo». Premio Andersen 2022.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 17 ottobre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino 7 SOCIETÀ
di Letizia Bolzani
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Il ranch e la dimora della famiglia Bontà a Gustine. (Famiglia Bontà)
Una busta delle venti missive di Elvira Bontà e la prima pagina della lettera esaminata dalla censura nel novembre del 1944. (Famiglia Bontà)
La musica, strumento di cura
un corso aperto a tutti organizzato
Guido Grilli
Ascoltate due sonate di Beethoven, diluite la giornata con Brahms e, pri ma di coricarvi, rilassatevi con un concerto di chitarra o una suite per pianoforte, oppure cercate confor to nel battito di strumenti ritmici. O lasciatevi trasportare lontano dalle note di un sax. Potrebbe essere questa l’insolita prescrizione medica per al leviare un ampio spettro di malattie e persino ottenere concreti benefici. In altre parole: la musica come cura. L’argomento è al centro di un cor so universitario di Cultura e salu te, aperto gratuitamente anche al pubblico (non occorrono iscrizioni) e si svolgerà per sette lunedì, alle 18, nell’aula polivalente del Campus Est a Lugano, da questa sera, 17 otto bre a lunedì 5 dicembre. Personalità del mondo della scienza e professori della Facoltà di scienze biomediche dell’USI si confronteranno su sette temi che legano la musica alla medi cina e al benessere delle persone. La musica – evidenziano gli organizza tori (Facoltà di scienze biomediche dell’USI, in collaborazione con Di visione cultura della città di Luga no e Ibsa Foundation per la ricerca scientifica) – viene considerata un ef ficace strumento di cura in ogni età e in numerosi ambiti clinici. Ascoltare la musica può ridurre lo stress, recu perare funzioni motorie e neurolo giche; nel caso di bambini affetti da autismo o con deficit di attenzione e difficoltà di linguaggio, la musica rappresenta una risorsa per l’appren dimento e per favorire relazioni. Per saperne di più abbiamo interpellato il professor Enzo Grossi, coordina tore scientifico dell’evento, ricercato re e medico pluridisciplinare, da anni attivo nel campo dell’arte, cultura e salute cui ha dedicato numerose pub blicazioni scientifiche.
Professor Grossi, può illustrar ci gli aspetti neuroscientifici della musica quale possibile strumen to di cura?
La musica, fra le arti oggetto di stu di, è quella che vanta un corpus di evidenze scientifiche solide di gran lunga più esteso rispetto alle altre forme di arte. Per questo motivo è auspicabile che la musica possa en trare sempre di più nell’armamenta rio medico per la sua efficacia, l’as senza di effetti collaterali e il basso costo, se non addirittura gratuità. La
musicoterapia, a partire dal XX se colo, è stata ancorata a concetti ap partenenti ai modelli delle scienze sociali, nei quali la musica e il suo valore terapeutico erano considerati in virtù della possibilità di promuo vere il benessere generale, risposte emozionali e l’integrazione socia le. Tuttavia, dagli anni ’90 in poi, il ruolo della musica in ambito tera peutico ha subìto alcuni cambiamen ti grazie a nuove evidenze pervenu te dalle ricerche che hanno connesso la musica alla sua funzione cerebrale e, soprattutto, grazie all’avvento di moderne tecniche di ricerca applica te alle neuroscienze cognitive. Ulti mamente le scoperte nel campo della musicoterapia sono aumentate e di conseguenza è aumentato l’uso con sapevole del suono e della musica a supporto di competenze sensoria li, emozionali, relazionali, cognitive di soggetti in condizioni fisiologiche e/o patologiche.
Con quali esiti?
Si è visto, ad esempio, che nel bam bino la musica è in grado di stimola re, oltre all’area uditiva, molte altre parti del cervello che hanno a che fa re con la vista, la sensorialità, l’equi librio, la destrezza, il movimento, il linguaggio, l’emotività e il compor tamento. I meccanismi neurofisio logici sono molto complessi e molti neuroscienziati cercano di ricostrui re lo schema portante delle intercon nessioni a cui si devono questi effetti.
La ricerca sta dando grandi risulta ti ma ci sono ancora molti aspetti da
chiarire. La musicoterapia può signi ficare molti tipi di attività, contesti e obiettivi. È necessaria una ricerca meccanicistica a grana più fine per capire meglio quale tipo di musica (dall’ascolto a diversi tipi di creazio ne di musica attiva), condotta da chi e in quale contesto, sia più utile per quali pazienti e obiettivi.
L’ascolto della musica rappresenta dunque un toccasana in vari ambi ti clinici?
Shutterstock
suggerisce che la musicoterapia può avere effetti benefici e nessun o po chi effetti collaterali. Tuttavia, una preoccupazione crescente è l’eteroge neità dei risultati. È necessario stan dardizzare i protocolli di sommini strazione e valutazione degli effetti e capire se la combinazione della mu sicoterapia con altri tipi di intervento può essere potenziante o addirittura riducente l’effetto, come è stato di mostrato nell’autismo da mie analisi statistiche.
Il 24 ottobre lei terrà una delle 7 lezioni del corso, intitolata « Music medicine per contrastare dolore, ansia e stress». Può anticipare alcuni dei contenuti del suo contributo?
Girare il mondo con i libri
Iniziativa ◆ Fino al 24 ottobre c’è il percorso letterario all’aperto della biblioteca di Manno
Molte malattie neuropsichiatriche in cui spesso i farmaci hanno un ruolo problematico – o per la scarsa effica cia o per gli effetti collaterali – han no attratto l’interesse dei clinici e dei ricercatori interessati alla musi coterapia. L’esperto internaziona le Christian Gold parlerà di questo il 14 novembre, mettendo a fuoco i pregi e i limiti della ricerca esisten te. Nella schizofrenia, ricerche dei primi anni 2000 hanno evidenzia to effetti sui sintomi negativi, tra cui blocco emotivo, ritiro sociale e ridu zione della motivazione. Per quanto riguarda l’autismo, si sono osserva ti effetti sull’interazione sociale, un dominio centrale di compromissione nell’autismo, ma hanno anche evi denziato una notevole eterogenei tà, che può essere dovuta ai parte cipanti o agli interventi. Per quanto riguarda la depressione, la ricerca ha suggerito effetti positivi sui sintomi depressivi, sull’ansia e sul funzio namento, ma ha anche evidenziato carenze metodologiche. In genera le, un numero crescente di ricerche
La musica, senza dubbio, possiede un effetto analgesico, anti ansia e an ti stress. Per quanto riguarda il dolo re, gli studi disponibili evidenziano un effetto analgesico reale e signifi cativo, anche se di entità moderata. Il genere femminile risponde meglio di quello maschile e la musica dal vivo funziona meglio rispetto a quella re gistrata. Effetti importanti si riscon trano anche su altri correlati negati vi del dolore, come nausea e vomito, stress psicologico, pressione arterio sa e frequenza cardiaca. Lo stress è il killer silenzioso della società moder na. Come noto, è l’eccessiva produ zione di cortisolo a essere responsa bile degli effetti dannosi dello stress.
Una review fondamentale di Chan da e Levitin elenca una serie di studi che dimostrano come l’ascolto musi cale riduca inequivocabilmente i li velli di cortisolo circolante. L’effetto è ottenuto sia con musica scelta dallo sperimentatore che dal partecipante.
L’azione sul cortisolo sembra esse re mediata dall’ossitocina, stimolata dall’ascolto musicale e responsabi le di effetti salutogenici quali senso di empatia, condivisione e amicizia.
L’ossitocina e le endorfine, anch’es se messe in gioco dalla musica, svol gono anche effetti analgesici, al pari della dopamina, altro neuromedia tore stimolato dalla musica a cui si attribuisce primariamente la sensa zione di appagamento e piacevolezza legate all’esperienza musicale. Questi aspetti sono spesso poco conosciu ti dalla classe medica, il che spie ga il ritardo nella presa d’atto e nella messa in pratica nei contesti clini ci abituali.
Il 24 ottobre la biblioteca Portaper ta festeggia i suoi primi dodici anni e conclude la sua seconda edizione del percorso narrativo all’aperto tra i li bri nato in tempi pandemici. L’idea è quella di girare non solo a piedi lun go l’itinerario e le sue 18 postazioni, ma di andare a scoprire il mondo: «ab biamo scelto dei testi che raccontano e spiegano come si vive in un determi nato luogo. Siamo andati alla ricerca di storie che ci dicessero qualcosa di quel posto, del periodo storico in cui sono ambientate, diverso ogni volta», ci dice la responsabile Monica Gian deini. È tempo di ricominciare di Car men Korn (Fazi) ci porta ad Ambur go nel dopoguerra, narra l’importante ruolo delle donne nella ricostruzione della città «penso anche a Fiore di roc cia di Ilaria Tuti (Longanesi) che ci ricorda il coraggio e la resilienza del le portatrici sulle Alpi Carniche del Friuli nella Prima guerra mondiale». A proposito di donne, subito all’inizio del percorso c’è La ricamatrice di Win chester (Neri Pozza) che lotta contro le convenzioni e i pregiudizi dell’Inghil terra degli anni Trenta del Novecento. Lo avete capito, fare due passi tra le vie del nucleo di Manno fin su al bo sco in queste miti giornate di ottobre può regalare grandi ispirazioni. / Red.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 17 ottobre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino 9 SOCIETÀ Annuncio pubblicitario Ora ti propone anche le migliori offerte di vini Enoteca Vinarte, Centro Migros S. Antonino Enoteca Vinarte, Centro Migros AgnoEnoteca Vinarte, Migros Locarno Confronto con la concorrenza* Offerte valide dal 18 al 24 ottobre 2022 2021, Marche, Italia, 6 x 75 cl Bio Coccinella Sangiovese/Merlot Marche IGP Rating della clientela: 36% 15.– invece di 23.70 Bottiglia: 2.50 invece di 3.95 2021, Toscana, Italia, 75 cl Ripa delle Mandorle Rosso Toscana IGT Rating della clientela: 44% 6.65 invece di 11.95* Cartone da 6: 39.90 invece di 71.70* 2016, Catalogna, Spagna, 6 x 75 cl Los Condes Gran Reserva D. O. Catalunya Rating della clientela: 50% 36.60 invece di 73.20 Bottiglia: 6.10 invece di 12.20 30% 8.60 invece di 12.45 Cartone da 6: 51.60 invece di 74.70 Mionetto Prosecco DIPLOMA D’ ORO EXPOVINA Veneto, Italia, 75 cl • Prestige Collection brut DOC Treviso • Rosé DOC Millesimato extra dry, 2021
USI ◆ In
dalla Facoltà di scienze biomediche personalità del mondo scientifico esploreranno sette temi che legano la musica alla medicina
Informazioni www.manno.ch
Produrre gli embrioni «senza sesso»
Sergio Sciancalepore
Per gli esseri umani e, in generale, per gli animali è molto semplice: per generare una vita bastano una cel lula-uovo e un seme maschile, poi si aspetta. Ma può non essere l’uni ca «ricetta», secondo due studi ap pena pubblicati nelle riviste scien tifiche «Cell» e «Nature». Usando cellule staminali – quelle che han no la capacità di dare origine a tutti i vari tipi cellulari di un essere viven te completo – due gruppi di ricerca in Gran Bretagna e negli USA han no fatto sviluppare embrioni di ratti fino a un’età di otto giorni e mezzo, quasi la metà del tempo di gestazione naturale in questi animali. Non so lo. Questi embrioni artificiali hanno già abbozzati alcuni organi: un inte stino, un cuore che batte, un cervello rudimentale e si vedono chiaramente i punti dove si svilupperanno la testa e la coda e la simmetria destra-sini stra. Tutto ben lontano dalla perfe zione, s’intende, ma l’esito dell’espe rimento è davvero notevole, mai raggiunto prima.
Usando cellule staminali due gruppi di ricerca hanno fatto sviluppare embrioni di ratti fino a un’età di otto giorni e mezzo
Per ottenere gli embrioni è stata usa ta un’apparecchiatura appositamente sviluppata: sostanzialmente, un tubo di vetro rotante, un sistema per con trollare l’afflusso di ossigeno e anidri de carbonica e la loro giusta pressione nella provetta, un miscela per nutrire le cellule. La forma degli embrioni è molto simile, ma non identica a quella dei corrispondenti embrioni naturali. Le cellule staminali sono state prele vate da embrioni naturali di ratto, di tre diversi tipi in modo da garantire un corretto sviluppo degli embrioni artificiali.
È importante chiarire subito che non si tratta di un esperimento fine a sé stesso, tanto per provare a «cre are» un essere vivente artificiale: una procedura del genere permette di os servare in laboratorio come avviene lo sviluppo nelle prime fasi di vita e cer care di capire attraverso quali mecca nismi cellulari e biochimici avviene, anche intervenendo per modificarli. Un esempio fra i tanti. Uno dei grup pi di lavoro ha provato a bloccare il funzionamento del gene Pax6, fon damentale per lo sviluppo del cervel lo: il risultato è che negli embrioni sui quali si è intervenuto in questo modo, il cervello ha gravi malformazioni, quindi è stato così possibile confer mare il ruolo di questo gene nel cor retto sviluppo cerebrale. In tal modo, si cerca di capire i meccanismi alla base dello sviluppo corretto o delle malformazioni degli organi, non solo del cervello: negli embrioni naturali impiantati nell’utero questo è molto difficile.
Negli esseri umani tutto ciò è pos sibile? No, o almeno non ancora. Di versamente dai ratti, nell’uomo oc corre attendere almeno un mese di sviluppo dell’embrione per ottenere un risultato simile a quello nei ratti: è solo dopo questo tempo che si posso no osservare gli abbozzi degli organi in formazione e difficilmente si potrà far sviluppare in provetta un embrio ne per tutto questo tempo. Chiara mente, è impossibile il completo svi luppo di un embrione e di un feto al di fuori dell’utero.
Sperimentazioni su embrioni si fanno già da diversi anni, secondo la regola dei 14 giorni. Questa regola fu fissata – o meglio suggerita – da di verse Società scientifiche nel 1979: si suggerì che le sperimentazioni sugli embrioni umani fossero interrotte al 14esimo giorno dello sviluppo (corri spondenti a 6 giorni nel ratto), quan do l’embrione non è più una «palli na» microscopica (la blastocisti) ed è pronto per impiantarsi nell’utero. Su quali embrioni si può sperimentare?
Su quelli disponibili dopo la fecon dazione artificiale «in vitro», in pro vetta: precisamente sugli embrioni soprannumerari (ES), quelli che non sono impiantati nell’utero. Secondo la raccomandazione, al 14esimo giorno gli ES vanno distrutti o, come avvie ne solitamente, sono congelati. Mol ti Paesi hanno accolto la raccoman dazione del 1979, facendola diventare una legge, anche se non dappertutto: in Austria, Germania e Svizzera, per esempio non è permesso usare gli ES interi a scopo sperimentale, ma solo le singole cellule che li compongono. Nel 2021, tuttavia, una importante Società scientifica per lo studio delle cellule staminali (la International So ciety for Stem Cell Research, ISSCR) ha cancellato questo limite di tempo, ritenendolo troppo ristretto ai fini sperimentali: per la precisione, non ha posto un limite più ampio (men che meno un «fate come volete»), ha sem plicemente constatato che lo sviluppo scientifico pone la questione se supe rare la regola dei 14 giorni, proponen do un nuovo limite, per esempio 3 o 4 settimane.
Torniamo a questo punto agli em brioni artificiali di ratto: è possibile ottenere allo stesso modo embrioni umani, senza la riproduzione sessua le? Ci hanno provato con successo nel 2017, mettendo insieme varie cellule staminali umane in uno speciale stru mento che permette di farle ripro durre, usando un mezzo di sviluppo in tre dimensioni. In questo esperi mento, non è stato possibile ottene re embrioni con le caratteristiche tipi che del 14esimo giorno, ma la tecnica ha solo 4-5 anni di vita ed è probabi le venga perfezionata. Che utilità po trebbero avere questi embrioni umani artificiali, in un certo senso «asessua ti»? Un vantaggio di non poco conto è che non sarebbe più necessario ricor rere a ES umani, o meglio si potreb
bero usare meno ES e più embrioni artificiali: beninteso, solo se si ha la certezza che lo sviluppo dei due tipi di embrioni avvenga nello stesso modo.
Si pone tuttavia una questione. Questi embrioni artificiali sono em brioni umani? Valgono anche per lo ro le raccomandazioni – e le leggi,
come citato – fatte per gli ES? Teo ricamente no, in quanto non ottenu ti tramite fecondazione in vitro con cellule sessuali, quindi non ci sareb bero limiti né al loro utilizzo speri mentale, né limiti di tempo per farli sviluppare: per il momento siamo in una «zona grigia» dove tutto è incer
to. Nel frattempo, la ricerca scientifi ca sta realizzando embrioni del tutto speciali, impiantando cellule umane in animali e viceversa. Come vedre mo in un prossimo articolo, le «chi mere» (embrioni ibridi uomo-anima le) sono già tra noi.
Cibo delizioso nella
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 17 ottobre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino 11 SOCIETÀ
Ricerca
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Due gruppi di scienziati hanno ottenuto embrioni animali senza bisogno di fecondazione: sarà possibile anche per l’uomo?
Gruppo di cellule staminali embrionali al microscopio elettronico a scansione (SEM). (Keystone)
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Difficile concorrenza per Ford Explorer
Motori
Mario Alberto Cucchi
Ci sono alcuni modelli di auto che sono studiati e realizzati per le strade europee e altri no. Stiamo parlando in special modo delle vetture ameri cane che sono concepite per viaggia re a basse velocità sulle autostrade. Lunghe distanze separano i vari Stati e negli USA sono abituati a percor rerli su grandi e rettilinee Highway interrotte da morbide curve. Niente tornanti o stretti viottoli di città me dievali hanno spinto a costruire quat troruote caratterizzate da misure più che importanti. Il basso costo del car burante ha portato poi all’adozione di motori di grande cubatura a sei e ot to cilindri.
Oggi in Europa è arrivata la nuo va Ford Explorer Plug-In Hybrid che potrebbe far da ponte tra passato, pre sente e futuro nel mondo delle auto a stelle e strisce. Basta uno sguardo per capire che le dimensioni sono davve ro importanti. Oltre cinque metri di lunghezza, 5049 per l’esattezza. Due metri di larghezza per 1778 mm di al tezza. Il passo, ovvero la distanza da ruota a ruota, è di addirittura tre me tri. Ci potrebbe stare una Smart. In somma tipicamente americana. E il motore? Un sei cilindri a V turbo compresso da 2956 cc della famiglia Ecoboost, ovviamente alimentato a benzina. La novità? Explorer è do tata anche di un propulsore elettri co, che utilizza batterie agli ioni di li tio da 13,1 kWh, in grado di erogare
ben 100 cavalli. Abbinato al termico porta a una potenza sistema totale di 457 cavalli. Non certo pochi, anzi. Si tratta di un ibrido alla spina, ovvero che si può ricaricare tramite una pre sa elettrica domestica in meno di sei ore. O attraverso una colonnina di ri carica Ford Connected Wallbox in un massimo di 3 ore e 30 minuti. Può garantire un’autonomia viaggiando in modalità esclusivamente elettrica, a zero emissioni, di 42 chilometri. In aggiunta la batteria si può ricaricare in modo generativo durante la marcia.
Nonostante la mole da grande SUV, in USA viene considerato so lo un mid-size, i consumi non sono eccessivi, anzi. Si può arrivare a per correre anche 12 km con un litro viag giando con un filo di gas. Scendono sotto i 10 se si spinge sull’accelerato re. Non male, soprattutto consideran do il peso di circa 2400 kg, l’eleva to impatto aerodinamico e la trazione integrale sulle 4 ruote motrici. Dia mo qualche numero. Le prestazio ni sono da sportiva. Per scattare da ferma a cento orari bastano 6 secon di mentre la velocità massima è au tolimitata a 230 orari. Mostruosa la coppia massima di 825 NewtonMe tro. Insomma, se si preme a fondo sul pedale del gas sembra quasi che l’au to s’impenni come una moto e che le ruote sollevino l’asfalto. Ma ha sen so una vettura del genere sulle nostre strade? Senz’altro sì per chi ha neces
sità di spostarsi in più di 5. Le fami glie numerose ringraziano e staran no comode grazie alle tre file di sedili che possono ospitare sino a sette pas seggeri, mantenendo comunque un po’ di bagagliaio. Ottima l’Explorer anche per coloro che hanno necessi tà di raggiungere destinazioni carat terizzate da condizioni stradali impe gnative come neve e sterrati. Valida anche per chi ha necessità di traina
re, magari una barca o un van sino a 2500 chilogrammi di peso. Chi cer ca il comfort infine non resterà delu so dai grandi sedili più simili alle pol trone di casa, dotati di riscaldamento e raffrescamento. Luminoso il gran de tetto apribile. Ottimo il potente impianto stereo Bang & Olufsen da quasi 1000 watt di potenza massima. Non mancano gli assistenti alla gui da per la sicurezza e varie modalità
di settaggio volte a risparmiare car burante o ad avere prestazioni più en tusiasmanti. Non le manca nulla ed è praticamente tutto di serie. Insom ma è nato l’ibrido all’americana e non è per nulla male. Per parcheggiar lo in garage ci vogliono 94’800 fran chi svizzeri ma oggi è in promozione a 85’400 CHF. Non sono pochi ma Ford Explorer è decisamente unica ed è difficile trovarle dei concorrenti.
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Un veicolo di dimensioni importanti alimentato a benzina ma con propulsore elettrico
Ford GT LM limited-edition. (Ford Motor Company)
Approdi e derive
Il silenzio delle visioni
Sollecitata da una gentile lettrice ri prendo volentieri il tema del rappor to tra etica e politica poiché la riten go una questione rilevante. Spesso, nell’urgenza di affrontare proble mi concreti, non ci rendiamo conto della presenza di prospettive etiche tra loro diverse: non le riconoscia mo perché non ci fermiamo ad acco gliere il reale significato delle visioni. Spesso l’etica rimane inespressa sullo sfondo dell’agire politico. Quando ci capita di dover affrontare un dilemma personale, quando sia mo in difficoltà di fronte a una deci sione, i nostri valori, la nostra visione del mondo e della vita, sono invece ben presenti e ci rendono ben consa pevoli di ciò che può rendere difficili le nostre scelte. Ad esempio, l’impe gno a dire la verità, o meglio a es sere veri nel nostro relazionarci agli altri, lo consideriamo senza dubbio un valore. Ma dobbiamo sempre di re la verità o dobbiamo considera re le conseguenze che ciò potrebbe
Terre Rare
comportare? È una questione che ci tocca nell’intimo e a cui ogni volta cerchiamo di rispondere secondo i dettami della nostra coscienza, con sapevoli del conflitto che a volte può nascere tra principi e responsabilità etiche. Tutto ciò si compie nel dia logo intimo con noi stessi. In que sti momenti sperimentiamo in prima persona la presenza dell’etica come bussola della vita.
Diversa è la situazione quando dob biamo affrontare scelte politiche. Qui capita spesso che mettiamo in gioco valori e visioni della vita, tra loro anche incompatibili, senza ren dercene conto. Nell’urgenza di tro vare soluzioni concrete a problemi concreti, trascuriamo la riflessione e il dialogo sui valori che alimenta no le nostre posizioni. In questo mo do il dialogo diventa difficile, se non impossibile, proprio perché, per ec cesso di zelo pragmatico, l’orizzonte etico sparisce sullo sfondo delle no stre parole. Succede così che utiliz
Il digitale ammalato
Visto che tutti gli organi di stampa dedicano oggi ampio spazio a rifles sioni sulle nuove tecnologie e sulla digitalizzazione della società, capi ta sempre più spesso di trovare inte ressanti spunti sull’argomento. E in tempi di generale malumore per l’an nuncio sul rincaro futuro delle casse malati, ci è tornato in mente un ar ticolo pubblicato qualche settimana fa dal «Tages Anzeiger». Si trattava dell’intervista con il medico, tecni co informatico e manager Sang-Il Kim. Kim è stato nientemeno che il Responsabile del settore digitalizza zione del Dipartimento federale del la sanità pubblica. Il verbo al passato prossimo, parlando del suo ruolo, è necessario, perché a causa di un bur nout l’uomo ha dovuto dimissionare dalla sua carica dopo circa due anni dall’incarico. Il suo compito sarebbe
consistito, se l’avesse portato a ter mine, nell’implementazione a livello federale di una serie di misure «di gitali» in grado di razionalizzare il lavoro (e ridurre i costi) nel settore sanitario.
Per lui il da farsi era chiaro: forte di un’esperienza vissuta nello stes so ambito in Germania, sapeva che una delle principali fonti di spreco e di errore medico era quella delle pre scrizioni sbagliate in fase di ospeda lizzazione. La sostanza del suo di scorso era questa: «Una grossa parte delle ammissioni ospedaliere ha a che fare con il problema dell’erro re nelle prescrizioni di medicinali, e si verifica perché i medici prescrivo no terapie, senza sapere esattamente quali altri farmaci il paziente stia già assumendo». Nei nosocomi, quindi, in parecchi casi si è costretti a partire
Le parole dei figli
Trigger
ziamo le stesse parole per dire co se diverse.
Il fatto di non dedicare tempo alla consapevolezza, il tempo per ricon durre il nostro agire alle visioni che lo ispirano e lo nutrono, credo sia una delle cause non trascurabili della fra gilità etica e del disorientamento del nostro tempo. Lo sosteneva già il fi losofo Blaise Pascal: «impegnarsi a pensare meglio è il principio della morale». Nel silenzio dell’etica, nella confusione dei suoi valori, è infatti in gioco il significato stesso del nostro modo di abitare la vita, il significato stesso della nostra comune umanità.
Un esempio ci viene offerto dalla re cente votazione federale a proposito degli allevamenti intensivi di ani mali. Senza entrare nel merito dei risultati, né delle diverse posizioni, il tema mostra bene la presenza di vi sioni diverse che toccano alle radi ci la nostra identità. La preoccupa zione per il benessere degli animali si è confrontata e si è intrecciata con
quella di garantire a tutte le persone le stesse possibilità di benessere ali mentare. Dai molteplici argomenti, anche di dettaglio, avanzati nel di battito possiamo tentare di risalire ai fondamenti etici. In questo caso ri condurre la politica all’etica significa dare voce a una domanda fondamen tale che rimane in ombra e perlopiù silente. La domanda riguarda il si gnificato stesso della nostra umanità e il nostro posto nella natura.
La preoccupazione di non crea re svantaggi e disuguaglianze nella fruizione alimentare e nel benessere di tutti, compresi i produttori, rinvia ai valori della modernità, alla fiducia nel progresso anche economico della società, fondato sulla libertà e sulla responsabilità individuale. Il filoso fo Jeremy Bentham, nel Settecento, ha definito come criterio etico-poli tico fondamentale la massima felici tà per il maggior numero di perso ne. Questa attenzione all’individuo è un approdo del cammino iniziato
con l’umanesimo e nutrito in seguito anche dal progetto di poter domina re la natura attraverso la conoscenza. Ci siamo progressivamente chiamati fuori dalla natura, diventata risorsa nelle nostre mani. Eppure lo stesso Bentham, così attento ai diritti uma ni, includeva in un certo senso an che gli animali nella sua analisi della comunità morale. Secondo Bentham non bisogna chiedersi se gli anima li possano ragionare ma se possa no soffrire.
Anche il filosofo Peter Singer muo ve oggi da motivazioni utilitaristiche per cui un’azione moralmente giusta deve massimizzare il benessere del maggior numero di esseri senzien ti. Tra questi include però anche gli animali che, come noi, hanno la ca pacità di soffrire. Insomma, sembra necessario tornare a riflettere sul si gnificato della nostra umanità: chie derci non solo chi siamo ma anche dove siamo, per meglio capire quale sia il nostro posto nella natura.
da zero, riprendendo in mano tutte le patologie dei degenti: la semplice nuova prescrizione di farmaci pro duce errori medici importanti, che si sarebbero potuti risparmiare in pre senza di un passaggio di consegne più efficace tra operatori della salute. Oppure di una piattaforma digitale comune in cui attingere i dati neces sari: ecco l’ambito in cui sarebbe sta to importante intervenire.
In Germania, l’introduzione di un sistema informatico condiviso e cen tralizzato ha potuto permettere im portanti risparmi. Kim si rimprovera oggi di non aver considerato una co sa: in Germania la riforma ha fun zionato perché il governo di coa lizione CDU-SPD possedeva una chiara maggioranza parlamentare e ha potuto introdurre il sistema di controllo senza opposizione. «Sono
stato ingenuo quando ho pensato che la stessa cosa si potesse fare in Sviz zera» ha confessato al «TAGI» SangIl Kim. Qui da noi, in mancanza di una netta maggioranza parlamenta re, le decisioni vengono prese sempre sulla base di accordi e contrattazio ni politiche, che non devono ledere gli interessi delle varie lobby corpo rative. Quindi trovare l’accordo per un’armonizzazione dei sistemi infor matici tra studi medici, ospedali, cli niche, farmacie (ognuno di essi do tato di un proprio protocollo digitale indipendente) è stato impossibile.
A questa difficoltà di fondo, Kim, per motivare il proprio burnout ag giunge anche l’eccessivo controllo esercitato dai vari livelli della buro crazia dipartimentale sul suo ufficio. Prima di arrivare a Berset, insomma, le sue risposte alle domande dell’opi
nione pubblica e dei politici venivano smussate e denaturate da una trafila di «correttori» istituzionali. E, infi ne, ciliegina sulla torta, ecco arrivare il Covid. La pandemia ha sconvolto completamente i piani di lavoro, in troducendo un’emergenza che non è stato facile gestire a livello centrale. Ognuno di noi ha forse vissuto l’e sperienza d’uso dell’app per i traccia menti: era solo uno dei molti dispo sitivi digitali che sono stati messi in campo con troppa fretta, nel pieno della crisi, e che non hanno saputo davvero mostrarsi di qualche utilità. Oggi Sang-Il Kim insegna «Infor matica della medicina» alla Fachho chschule di Berna. Dalla pratica alla teoria, ci interesserebbe sapere quan ta della sua esperienza riuscirà a tra smettere ai suoi allievi, per temprar ne magari gli eccessivi entusiasmi.
Chi si definisce «triggerato da
Sul cellulare di Clotilde, mia figlia 14enne, compare un meme con la faccia di Kōtarō Bokuto, capitano della squadra di pallavolo dell’Ac cademia Fukurodani, nella serie manga Haikyu! con sotto la scrit ta «TRIGGERED». Così Le pa role dei figli mi portano a cercare il significato di trigger nelle sue va rie declinazioni, fino a condurmi a discussioni in atto nelle universi tà americane e a studi di Harvard. Partiamo dall’inizio. La traduzione letterale dall’inglese di trigger è «grilletto». L’app Bab bel, specializzata nell’apprendimen to linguistico e che dedica una se zione ai termini più usati dai Gen Z, scrive: «Questo termine deriva dall’inglese to trigger, che vuol dire “innescare”. Il verbo italianizzato è diventato “triggerare” che si utilizza per indicare che qualcosa ci dà fasti dio».
qualcosa o qualcuno» (da «triggered by…») intende dire che la tal cosa o persona gli ha provocato irritazione, disgusto o perfino rabbia e paura. Fin qui l’uso del termine nel gergo giovanile. Ma bisogna fare un passo in più. Non vi è mai capitato di apri re un libro dei vostri figli o di vedere post e video su TikTok dove com pare la scritta «trigger warning », ab breviato in TW? Ormai il suo uso è frequentissimo, ma nessuna delle mamme da me interpellate ne cono sce il significato (e neppure mio ma rito Riccardo che di solito sa tutto!). Il Cambridge Dictionary definisce il trigger warning (TW) come «una dichiarazione all’inizio di un pezzo scritto, prima dell’inizio di un film, ecc., che avverte le persone che po trebbero trovare il contenuto molto sconvolgente, soprattutto se hanno vissuto qualcosa di simile. Gli avvisi trigger dovrebbero proteggere le per
sone dai flashback post-traumatici».
Di solito gli argomenti sensibili sono lo stupro, i disturbi alimentari, l’au tolesionismo, il suicidio, l’omofobia, le molestie e il body shaming (la presa in giro di qualcuno per il suo aspetto fisico). Tutti temi sensibili che popo lano il mondo dei social, motivo per cui tra i giovanissimi si è diffusa l’in dicazione che è meglio avvisare chi sta per leggere o vedere: «Fare utiliz zo del trigger warning è importante proprio per evitare che persone su scettibili o traumatizzate si ritrovino davanti immagini, tweet, post o sto rie che potrebbero peggiorare le loro condizioni psico-fisiche».
Sul giornale universitario della Lu msa, il secondo più antico ateneo di Roma dopo la Sapienza, per di re, il consiglio dato è: «Ammettia mo che vi viene in mente di scrive re un post o un tweet sul suicidio. Quello che dovrete scrivere è: “TW
// Suicidio”, “Trigger Warning // Sui cidio”, oppure “Questo post parla di suicidio”. In questo modo, gli uten ti vedranno l’avviso prima di leggere il post per intero e potranno sceglie re, in completa autonomia, se andare avanti oppure rinunciare». L’artico lo si rivolge ai giovanissimi: «Mol ti di voi si staranno chiedendo: co me può un avviso prima di un post aiutare chi è affetto da una forma di disagio mentale? Caratteristica prin cipale del Ptsd (disturbo da stress post-traumatico, ndr) è il fatto che la vittima rivive ripetutamente l’espe rienza traumatizzante sotto forma di flashback, ricordi e incubi. Ecco come un gesto piccolo, che a molti sembrerà banale e inutile, si trasfor ma in un gesto capace di aiutare se riamente qualcuno».
Gli esempi sono infiniti, del tipo: «Avvertimento trigger : questo ar ticolo discuterà di aggressione ses
suale. Questo potrebbe infastidire i lettori con esperienze simili». Eb bene, nelle università anglosasso ni una corrente di studenti sostiene l’importanza dei trigger warning an che all’inizio delle lezioni. Tutto ciò ha scatenato un dibattito importante sull’opportunità o meno di utilizzarli a livello accademico. Quel che i no stri figli non sanno è la conclusione a cui sono arrivati, tra i vari studio si che si sono dedicati al fenomeno, Benjamin W. Bellet, Payton J. Jones e Richard J. McNally del Diparti mento di Psicologia dell’Università di Harvard in una pubblicazione sul «Journal of Behaviour Therapy and Experimental Psychiatry» già del luglio 2018: «Gli avvisi di attivazio ne aumentano l’ansia per il materia le percepito come dannoso». Riflet tiamoci insieme ai nostri figli! Non sempre la soluzione che sembra la migliore lo è davvero.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 17 ottobre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino 13 SOCIETÀ / RUBRICHE ◆ ●
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Il fiume degli Impressionisti
Lungo la Senna, fra Rouen, Les Andaly e Giverny, con visita alla casa di Claude Monet
Il segreto del soffritto
Nella sua rubrica gastronomica Allan Bay ci conduce alla base della cucina italiana
Dal Giappone con amore Una collezione di bambole portafortuna
Kokeshi, in ricordo di un lungo soggiorno a Tokyo
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Un duello a picco sulla Verzasca
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Metti una parete a picco nel vuoto. Sotto, il baratro è spaventoso: 220 metri di caduta libera, verticale. A guardarlo da sopra ti fa accapponare la pelle. Adrenalina pura. Quella che scorrerà a fiotti nelle vene di quel ma nipolo di intrepidi che si sfideranno nella prima edizione dell’arrampicata della diga della Verzasca.
Ad accendere i riflettori mondiali sulla diga della Verzasca ci aveva pen sato James Bond, che nel 1995, col suo balzo nel vuoto con l’elastico ai pie di l’aveva quasi mistificata in Golde nEye. Ventisette anni dopo si presta a fare da sfondo a un altro avvenimen to da brivido: la prima edizione della Red Bull Dual Ascent, un evento uni co nel suo genere, che porta in un’al tra dimensione il mondo delle scalate su vie artificiali. Solitamente le altre si fermano in basso, molto più in bas so. A un’altezza di 60 metri, massimo 70 per le vie artificiali più imponen ti. Non questa volta, non sulla diga della Verzasca, che promette un ba gno adrenalinico senza eguali grazie a un’arrampicata di addirittura 180 me tri di dislivello.
L’arrampicata è forse uno de gli sport più affascinanti da prati care. Ma anche da seguire: una di sciplina che, pure a guardarla, riesce
a farti correre i brividi, e che brivi di!, lungo tutta la schiena. Dove lo sforzo profuso dagli atleti, assicura ti da una semplice corda (per sicura che sia) e aggrappati con mani e pie di agli appigli che sovrastano il bara tro, fa davvero restare tutti col fiato sospeso. Tutto deve essere calcolato alla perfezione: qui il margine d’erro re praticamente non esiste. Basta un movimento scoordinato o una cattiva «lettura» delle proprie forze per per dere l’appoggio.
L’arrampicata sportiva è assurta a disciplina olimpica due anni fa, quan do a Tokyo per la prima volta è sta ta inserita nel menu dei Giochi esti vi, nelle specialità Lead (arrampicata classica, su pareti di 15-25 metri), Spe ed (più velocità che tecnica) e Bould, con una classifica finale determinata in base ai risultati ottenuti in ciascuna delle tre discipline. Per la cronaca, le prime medaglie d’oro olimpiche sono finite al collo del 18enne spagnolo Al berto Gines Lopez e della 22enne slo vena Janja Garnbret, peraltro già data per favoritissima della vigilia e di cui riferiremo più avanti un’altra impre sa da brividi. A complemento d’infor mazione, a Parigi, fra due anni, oltre all’incoronazione del migliore del le tre discipline combinate, verranno
pure assegnati i titoli ai primi classifi cati di ciascuna delle tre prove, tanto al femminile quanto al maschile.
Quella dell’arrampicata sportiva intesa come competizione, olimpica in questo caso, è però tutta un’altra storia: il Red Bull Dual Ascent è infatti una cosa ben diversa, ancora più spet tacolare e ancora più da brivido. Per chi vi partecipa e per chi la guarda. Non a caso la «mente» che sta dietro a questo evento è quella di Simon Mar gon, che prima di guidare il team di esperti tracciatori nel disegnare le vie sulla parete della diga della Verzasca, nel 2020 aveva partorito la 360 Ascent, un’altra spettacolare scalata su quel lo che, con i suoi 360 metri d’altezza, fino al 2015 (ossia al completamento della Torre della Federazione di Mo sca) rappresentava il… tetto del Vec chio Continente in fatto di manufatti umani: la canna fumaria della cen trale termoelettrica slovena Trbovlje. Impegnati in quell’ascesa mozzafiato c’erano Domen Škofic e, guarda un po’, tale Janja Garnbret, atleta capace nel 2019 di vincere la Coppa del mon do di Boulder imponendosi in ciascu na delle sei tappe del campionato.
Entriamo allora nel dettaglio dell’appuntamento, assolutamente da non mancare per gli amanti dei brivi
di (ma proprio per questo sconsiglia to ai deboli di cuore), in terra ticinese. Le date da segnare in rosso sul calen dario sono quelle che vanno da mer coledì 26 a domenica 29 ottobre.
Non saranno i 360 metri della cen trale slovena, ma anche così, il com pito che i 16 virtuosi dell’arrampica ta si troveranno davanti all’imbocco della Val Verzasca sarà tutt’altro che una passeggiata: una parete liscissi ma, praticamente a picco, di 220 me tri. L’altezza da «domare», come det to, sarà di 180 m, divisa in segmenti di sei rilanci. Due i percorsi predispo sti da Margon e compagni, paralleli e identici per numero di appigli e di sposizione. La gara, a coppie, vedrà infatti le squadre affrontare la parete a due a due, simultaneamente, cosa che trasformerà l’arrampicata in una sorta di… duello in alta quota della durata all’incirca di due ore (questo il tem po stimato dai tracciatori per venire a capo della parete), rendendola anco ra più avvincente da seguire, oltre che una prima per quel che concerne l’ar rampicata sportiva. E proprio per non favorire o svantaggiare nessuno, tutte le squadre avranno a disposizione la medesima attrezzatura tecnica, corde comprese. In caso di caduta, il con corrente dovrà ricominciare quella se
zione dal principio; qualora entram be le squadre dovessero completare il percorso, la più veloce sarà quella vin citrice (determinante, in questo caso, il tempo del secondo componente del binomio).
Dal profilo tecnico, i sei segmenti (o rilanci) presenteranno un coefficien te di difficoltà compreso tra il grado 8- (scalata tecnica con sporgenze) al 10° grado della scala internazionale –dal 6C all’8B di quella francese – che come massimo ha il numero 12 (cui è connotata la scalata più dura mai re alizzata). Al termine di ciascun seg mento l’atleta salito per secondo darà il cambio a quello salito per primo, garantendo così un’alternanza rego lare all’interno della squadra.
Il cast dei partecipanti è ancora in via di definizione, ma qualche nome dei presenti già lo si può anticipare. E sono quelli di atleti di levatura mon diale, come la statunitense Sasha Di Gulian, il brasiliano Felipe Camargo e la svizzera Petra Klingerl.
Le prime due giornate di gara sa ranno consacrate alle eliminatorie. Dopo una giornata, quella di sabato, consacrata al riposo, la domenica le migliori quattro coppie si batteranno per la vittoria finale.
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I preparativi per la gara Dual Ascent sulla parete della diga della Verzasca. (True Color Films Red Bull)
Adrenalina ◆ Dopo le riprese del film di James Bond GoldenEye del 1995, che lanciò nel mondo la moda del salto con l’elastico, la diga sarà sede della sfida di arrampicata Dual Ascent della Red Bull
Moreno Invernizzi
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SACCO
Come un sogno che va verso il mare
Itinerari ◆ Viaggio lungo la Senna in un itinerario tra arte, storia e natura.
Romano Venziani
La prima volta ti fa un effetto strano e solleva qualche comprensibile dubbio sul tuo senso dell’orientamento. Di regola piuttosto buono.
A me è successo tanti anni fa, quando, per un corso privato d’ingle se, ho passato un mese in una remota fattoria del Gloucestershire, nell’In ghilterra occidentale, in mezzo a pa scoli verde cupo, mucche prosperose, cavalli tirati a lucido e flottiglie di pa pere, che sguazzavano beate nel vici no pond, in cui si specchiavano le la pidi sbilenche di un vecchio cimitero.
Nel tardo pomeriggio, dopo una giornata trascorsa a farmi strapazza re le meningi dalla brava Mary, con i suoi past tenses, i phrasal verbs e le bre aking news della BBC da decodifica re, inforcavo la bicicletta e partivo per lunghe pedalate. Un po’ per arieggia re i miei neuroni affaticati, un po’ per smaltire la merenda a base di biscuits burrosi imperlati di cioccolato e qual che bun1, comprato da Sally Lunn, ri nomato tea room di Bath.
Mi piaceva seguire un viottolo, che correva sull’argine del Severn, il più lungo fiume del paese, che qui era in canalato e scivolava sonnacchioso ver so Bristol e il suo vasto estuario.
Ogni tanto mi fermavo a far quat tro chiacchiere con i pescatori o a ri spondere ai saluti delle barche che passavano. Poi un giorno ho visto una cosa strana.
Era come un’onda, che teneva tut ta la larghezza del canale, una sorta di tsunami fluviale, che risaliva sorpren dentemente il corso del Severn.
È il Severn Bore, mi fa un pesca tore intuendo la mia sorpresa, mentre me ne sto lì a bocca aperta a veder la passare.
In italiano la chiamano mascheret to, quest’onda, che si forma nei mo menti in cui l’alta marea è particolar mente importante. Una massa d’acqua del mare si addentra nei bassi fondali dell’estuario di un fiume e lo risale per lunghi tratti, controcorrente, creando a volte gorghi pericolosi. Nel caso del Severn, dove il fenomeno è tra i più ampi del pianeta, si spinge all’interno per decine di chilometri.
L’ho rivisto, il mascaret, sulla Senna. Anche se in formato ridotto. Osservo il vasto fiume, che scorre senza fretta verso la Manica e, a un certo punto, vedo la corrente, quasi impercettibile, che si ferma e inverte direzione. Poca cosa, a confronto del Severn, mi rac contano però che, fino agli anni Ses santa del secolo scorso, prima dei lavori di dragaggio del fiume per permettere alle navi di grosso tonnellaggio di rag giungere il porto di Rouen, l’onda di marea superava i due metri d’altezza e metteva a dura prova la navigazione.
Alcuni sostengono che sia stato proprio il mascaret, a provocare, il 6 settembre 1843, il naufragio, a Ville quier, della barca a vela su cui viag giava Léopoldine Hugo, l’amata fi glia diciannovenne dello scrittore, morta annegata con il marito Char les Vacquerie, lo zio di quest’ultimo e il suo figlioletto di dieci anni. Ma è solo leggenda. In realtà, riportano i giornali dell’epoca, sembra sia sta ta un’improvvisa raffica di vento a ca povolgere l’imbarcazione e non l’onda di marea piuttosto debole in quel pe riodo. Victor Hugo, che solo quattro giorni dopo avrà notizia dell’«affreux événement qui va porter le deuil dans une famille chère à la France littéraire»2 , dedicherà decine di poemi della sua raccolta Contemplations alla memoria dell’«humble enfant que Dieu m’a ra vie»3 e che d’allora riposa nel cimitero
Il ponte
di Villequier, a due passi dalla Senna
Il mio viaggio, però, inizia più lontano, dove il fiume sfocia nel la luce liquida e mutevole cara agli Impressionisti.
Giverny, la porta della Norman dia, è immobilizzata sotto una cappa di sudore, che solidifica anche le om bre dei numerosi turisti incolonnati davanti alla casa di Monet. Dopo due anni di pandemia, è tornata a essere plurilingue, la lunga fila in attesa, e si risentono accenti orientali e l’arroto lato inglese americano, che sbuca da sotto cappelli di paglia a larga tesa.
Non è la luce, oggi pietrificata, a ge nerare impressioni, bensì la consape volezza di trovarsi in un luogo emble matico per la storia dell’arte moderna.
Un luogo avvolto da un fascino sotti le, in cui, se non fosse per quel, sep pur minimo, alone di artificiosità della casa-museo, l’atmosfera è rimasta im mutata e ti aspetteresti di veder sbuca re nell’ampio salone il barbuto Claude con i pennelli in mano. O vederlo pas seggiare nel Clos normand, il giardino dei suoi sogni da lui stesso creato, sui viottoli orlati di delicate dalie, iris car nose, rose profumate e uno scompiglio di altri splendidi fiori, oppure ancora soffermarsi sul ponticello giapponese lì, all’estremità del bacino delle ninfee, su cui fremono ali di libellule, sospese in volo come magiche fate.
Lo incontrerò di nuovo, Claude Monet, nel mio viaggio, dietro le fi nestre del suo atelier al numero 25, Place de la Cathédrale, a Rouen (oggi sede dell’Ufficio del turismo) intento a spiare i giochi di luce sulle pietre del la monumentale facciata della chiesa,
che fisserà, quasi ossessivamente, sul la tela di una trentina di celebri dipin ti, realizzati tra il 1892 e il 1893.
Oppure, prima ancora, a pochi chilometri da Giverny, a Vernon, do ve iniziava l’antico ducato di Nor mandia, concesso nel 911 dal re dei Franchi, Carlo il Semplice, incapace di affrontare il problema in altro mo do, a Rollon, il capo degli «uomini del nord», i vichinghi, da oltre un secolo installati nelle terre attorno all’estua rio della Senna, che risalgono con i lo ro slanciati drakkar fino a Parigi, asse diata quindici anni prima.
Sulla sponda destra del fiume, di fronte alla città, una curiosa costru zione a graticcio, un po’ sbilenca, si specchia nell’acqua tranquilla. È il vecchio Moulin de Vernon, che Mo net ritrae nel 1883, appena preso casa a Giverny.
Appoggiato, quasi in equilibrio in stabile, sulla testata dell’antico ponte di legno che attraversava la Senna, di cui rimangono solo alcuni piloni capi tozzati, il mulino risale al sedicesimo secolo ed è l’unico sopravvissuto dei tanti che se ne stavano lì, sospesi sulle arcate, tra una riva e l’altra del fiume.
Dilata le distanze, con i suoi me andri, la Senna, per cui prendo una scorciatoia e salgo sull’altipiano cal careo, coronato di boschi e disegnato da distese di campi coltivati, qualche piantagione di meli e minuscoli vil laggi addormentati.
Dopo un po’, un susseguirsi di strette curve mi riporta sulla pianura. Ritrovo il grande fiume e scopro Les Andelys, uno dei luoghi più incante voli lungo la Senna.
La cittadina ha dato i natali a Ni colas Poussin, riconosciuto tra i mas simi esponenti della pittura classica francese (di cui si conserva qui un’u nica opera, nel museo a lui titolato) e custodisce, sulle vetrate della collegia ta di Notre-Dame, il ricordo della re gina Clotilde, sposa di Clodoveo, re dei Franchi. La pia donna, dopo aver convertito il consorte al cattolicesimo, fa costruire su queste terre un mona stero e per dissetare gli operai, narra la leggenda, trasforma l’acqua di una fontana in vino. Abbastanza per farne una santa. La fontana c’è ancora, ma del vino non rimane che una sbava tura ferruginosa nell’acqua stagnan te, ai piedi di una piccola statua del la sovrana.
Les Andelys si affaccia sulla Sen na, che qui disegna uno dei meandri più suggestivi di tutto il suo percorso. Ogni tanto lunghe chiatte scivolano lente sull’acqua, che lambisce l’Île du Château e se ne va, come un sogno, dolcemente verso Le Havre e ver so il mare 4
Il grande fiume, che ha intaglia to l’altipiano calcareo, riflette il bian core delle falesie. Su una di queste, a dominare la città, ci sono le rovine di una spettacolare fortezza, candida come il gesso su cui poggiano le sue fondamenta. È il Château Gaillard, fatto costruire in un anno, nel 1196, da Riccardo Cuor di Leone, sovrano d’Inghilterra e duca di Normandia, in guerra contro il re di Francia che voleva estendere il suo dominio sul la regione.
Poco più giù, abbracciata a una curva della Senna, c’è Rouen, splen dida città-museo, con la sua cattedra le, la Place du Vieux Marché, il gran de orologio rinascimentale, le viuzze affiancate dalle antiche case a gratic cio, architettura a colombage imposta dall’assenza di pietra da costruzione.
Merita di più, la città di Flaubert, teatro degli incontri di Emma Bovary con il suo amante Léon, ma vi dedico solo una visita fugace, tanto per ap prezzarne il gotico della cattedrale di Notre Dame e l’interessante Historial de Jeanne d’Arc
Seguendo un percorso multime diale il visitatore rivive, di sala in sa la, l’epopea e il destino della Pulzel la d’Orléans, mentre dagli schermi gli attori, che interpretano i testimo
ni dell’epoca, rievocano le fasi dell’in chiesta voluta dall’arcivescovo Jean Juvénal, nel 1456, che ci riconsegna il vero ritratto di colei che fu giudicata «eretica» venticinque anni prima e per questo bruciata sul rogo.
La Départemental D982 gioca a rimpiattino con la Senna, le si avvi cina quasi a sfiorarla per poi infilarsi nei morbidi boschi e perderla brusca mente di vista. La seguo per una tren tina di chilometri e poi devio verso il centro di un’ansa del fiume, dove c’è un gioiello dell’architettura romani ca normanna, o, almeno, quello che ne rimane, l’Abbaye Notre-Dame de Ju mièges, uno dei più antichi e impor tanti monasteri benedettini francesi. Basta un’occhiata per rendersi conto della dimensione storica e architetto nica del monumento, le cui rovine, le più belle di Francia per i Romantici, si ergono bianche come la luce nell’ocra dei prati assetati.
Fondato da San Filiberto nel 654, il complesso monastico, ridotto a cava di pietre con la Rivoluzione francese, conserva un’imponenza eccezionale, che testimonia la sua essenza di inno alla fede in Dio, alle straordinarie ca pacità dell’uomo e alle sue (di allora) ingenti possibilità economiche.
Prossima tappa, la Route des Chau mières, un percorso, anche ciclabile, che si snoda per cinquantatré chilo metri da Notre-Dame-de-Bliquetuit fino al Marais Vernier. Le chaumières, le case dal tetto di paglia, con un fi lare di iris a ricoprirne il colmo, per renderlo impermeabile e assicurare la giusta umidità alla struttura, sono l’espressione più autentica dell’anima normanna. Un tempo sinonimo di dimora rurale, rustica e povera, tanto che il vecchio Larousse Illustré le defi nisce «piacevoli solo per chi non deve abitarle», sono ora molto ambite dalla gente di città in cerca di una seconda casa ricca d’atmosfera e immersa nella pace della campagna.
«Il lavoro non manca – mi dicono due carpentieri occupati a issare fasci ne paglierine su un tetto in ristruttu razione – i roseaux, le canne che si ta gliano nelle zone paludose della valle della Senna non bastano più. Dobbia mo andare a prenderli fino in Camar gue, a prezzi elevati». Come dire, una chaumière non è per tutte le borse.
Situato là dove il grande fiume di segna il suo ultimo meandro, il Ma rais Vernier è una vasta prateria umida disseminata di piccoli villaggi, fatto rie con il tetto in chaume, coltivazioni di mele, campi di segale e di grano sa raceno, frammezzati con macchie di salici, ontani e pioppi neri. Attraver sare questa terra è un piacere dei sensi, che anticipa quello dal gusto più inti mamente salmastro e marittimo del la fine del mio viaggio: Honfleur, la Perla dell’estuario, bagnata dall’estre mo fluire della Senna, che si lascia alle spalle le ultime chiuse e va a sposarsi con il mare.
Note
1. Bun: sorta di panino dolce, morbido e rotondo, infarcito di confettura.
2. Cfr. Le Siècle, 7 septembre 1843, pag. 2.
3. Victor Hugo, Les Contemplations, Livre quatrième, Paris, 1858, pag. 13.
4. «…Elle se la coule douce / Le jour comme la nuit / Et s’en va vers le Havre / et s’en va vers la mer / En passant comme un rêve…» Cfr. Jacques Prévert, Chanson de la Seine
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 17 ottobre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 17
giapponese sullo stagno delle ninfee nella dimora di Monet a Giverny; in basso, una chaumière, tipica casa dal tetto di paglia, espressione autentica dell’anima normanna. (Venziani)
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Ricetta della settimana - Focaccia ai fiori
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Ingredienti
Ingredienti per 6 persone (pasticceria salata)
½ cc di lievito secco
1 cc di miele
3,75 dl d’acqua tiepida
500 g di farina bianca
10 g di sale
5 c d’olio d’oliva, circa
Topping
4 olive nere snocciolate, circa
½ peperone giallo e 1/2 rosso
½ cipolla rossa
1 cc di semi di finocchio
½ mazzetto d’erbe aromatiche, ad es. prezzemolo, basilico, erba cipollina
2 c di capperi, sgocciolati, circa fleur de sel
Preparazione
1. Il giorno prima: sciogliere il lievito e il miele nell’acqua. Mescolare la farina e il sale in una scodella capiente e incorporare l’acqua con il lievito, mescolando con un mestolo di legno o una spatola, fino a ottenere un impasto appiccicoso. Coprire la scodella con la pellicola trasparente e lasciare lievitare l’impasto a temperatura ambiente per circa 1 ora, quindi metterlo in un luogo fresco (non in frigo) e lasciare riposare per tutta la notte. L’impasto deve raddoppiare di volume.
2. Il giorno dopo: ungere generosamente d’olio una teglia da forno. Trasferire l’impasto sulla teglia e con le mani unte d’olio modellare l’impasto in un rettangolo di circa 20x30 cm. Irrorare la focaccia con circa 2 cucchiai d’olio d’oliva e lasciare lievitare la pasta per circa 30 minuti, tirandola 2-3 volte in forma. Nel frattempo, tagliare le olive e le verdure ad anelli, fette o striscioline.
3. Infilare una teglia vuota nella scanalatura più bassa del forno, poi accendere a 220 °C. Sulla superficie della focaccia formare degli incavi, premendo le dita nella pasta. Con i semi di finocchio e le erbe aromatiche formare sulla focaccia un prato e steli d’erba, e con il resto dei topping dei fiori. Lasciare lievitare a piacimento la focaccia ancora per 30 minuti. Irrorare con l’olio d’oliva rimasto e cospargere con fleur de sel. Appoggiare la teglia con la focaccia sulla teglia calda e dorala in forno per 20-25 minuti, controllando la cottura. Sfornare e lasciare intiepidire un po’.
Preparazione: circa 30 minuti; lievitazione: circa 12 ore; cottura in forno: 20-25 minuti.
Per persona: circa 11 g di proteine, 9 g di grassi, 63 g di carboidrati, 390 kcal/1650 kJ.
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Il soffritto è un fritto?
Allan Bay
Parliamo un po’ del soffritto, una grande base della cucina. Nel lontano 2004 vi avevo dato una ricetta, senza approfondire. Oggi approfondiamo.
Ma il soffritto è un fritto? La rispo sta è semplice: sì, purtroppo. Sì, per ché quasi tutti quando lo preparano aggiungono un po’ di grasso. Purtrop po, perché l’etimo del verbo è sub fri gere, ovvero cuocere a una temperatura inferiore a quella di frittura, che con venzionalmente è di 100°C al massi mo, e corrisponde alla temperatura di evaporazione dei liquidi. Perché il sub, concetto chiaro a tutti, sia diventato in italiano sof, che non è chiaro, non si sa.
È onnipresente nelle cucine italiane ma anche di mezzo mondo, da secoli, soprattutto quello standard a base di cipolle, dato che la cipolla è uno stra ordinario killer dei batteri, con ottime proprietà antisettiche e antibiotiche; per secoli, sanificare al meglio il cibo è stata una necessità giustamente sen tita. Poi, da sempre, serve a inspessire il fondo di cottura, dando una buona cremosità, un intervento più impor tante di quanto sembri. Si sapeva tut tavia che se non si cuoce dolcemente, ovvero se le cipolle vengono «fritte», il risultato è un piatto amaro e legger mente indigesto.
Quale soluzione adottare quindi? Semplice, bisogna evitare di aggiun gere un grasso al soffritto, e stufare in vece le cipolle o quello che si utilizza sempre in presenza di poco liquido. In questo modo la temperatura di cottu ra sarà sempre sotto i 100°C e risulterà molto più digeribile.
Un’accortezza è fondamentale nel caso dell’aglio, pur essendo altrettan to ottimo killer di batteri non va mes so nel soffritto, va semmai aggiunto al grasso iniziale, per insaporirlo dando all’insieme un profumo archetipo; sarà poi eliminato o meno, secondo la ricet ta. Non mettete nel soffritto neanche le foglie di prezzemolo, che va invece
aggiunto alla preparazione, spezzetta to o tritato, solo a fine cottura.
Ecco alcune ricette, non do i quan titativi perché dipende da quanto ne volete preparare.
Soffritto base di cipolle. Mondate e spezzettate la cipolla, mettete il rica vato in una casseruola piccola e ag giungete un bicchierino di acqua o di brodo vegetale o di vino bianco, di più o di meno a seconda di quanto ne state preparando. Cuocete al minimo fino a quando le cipolle saranno stracotte, aggiungendo poca acqua se necessario. Alla fine, frullate o no, dipende dalla ricetta, ma se non frullate sminuzzate di più le cipolle, fate intiepidire, met tete in un barattolo di vetro e tenete lo in frigorifero; al fresco durerà alme no una settimana. Poi aggiungetelo a cucchiaiate, anche abbondanti, al la preparazione. Al posto delle cipolle potete utilizzare porri o scalogni, per ottenere un soffritto più delicato.
Soffritto all’italiana. Mondate e spezzettate le cipolle, mettetele in una casseruola piccola, unite sedano e ca rote, anche loro mondati e spezzettati, e aggiungete un bicchierino di acqua o di brodo vegetale o di vino bianco, di più o di meno a seconda di quan to ne state preparando. Il rapporto ot timale fra cipolle e verdure non esi ste, ma meglio che le cipolle siano più della metà delle verdure complessi ve. Poi procedete come per il soffrit to di cipolle.
Soffritto ricco. Procedete come per il soffritto all’italiana, aggiungendo al le verdure pancetta, fresca o affumica ta, tagliata a dadini, o funghi secchi, fatti rinvenire in acqua per 20 minuti, scolati e strizzati, stando attendi a non buttare l’acqua di ammollo che va pure unita, dopo essere stata filtrata. Quin di procedete come per il soffritto all’i taliana. Convenzionalmente, questo soffritto non si frulla, quindi tagliate il tutto in pezzi relativamente regolari.
Come si fa?
Oggi vi propongo due ricette ac cumunate da un fatto importan te e significativo: mi piacciono mol to entrambe.
Rognone arrosto (ingredienti per 4 persone). Prendete 600 g di rogno ni di vitello, estraeteli dal grasso che li circonda, eliminate la pellicola che
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Ballando coi gusti
Gnocchi alla boscaiola
Oggi gnocchi, di carni e di pesce, che piacciono sempre a tutti e dove sono presenti panna e piselli.
Reidratate i funghi secchi. In una padella versate 2 cucchiai di olio e unite il burro, l’aglio e i funghi. Mescolate e fate rosolare. Unite poco brodo e fate cuocere fino a che i funghi non si saranno ammorbiditi. Sciacquate i piselli, uniteli ai funghi e mescolate. Levate e tenete in caldo, aggiungete il ragù, il prosciutto cotto, 2 cucchiai di olio e lasciate rosolare a fuoco vivace. Rimet tete piselli e funghi, legate con la panna, regolate di sale e di pepe e tenete il sugo su fuoco dolce. Lessate gli gnocchi in acqua bollente salata, non appe na salgono in superficie scolateli con una schiumarola nel sugo. Saltate per amalgamare. Serviteli con grana grattugiato.
li ricopre e tagliate via i dotti facen do attenzione a non danneggiare i ro gnoni. Tagliateli in 2 parti, nel senso della lunghezza, e da ogni parte rica vate 2 fette sulle quali traccerete dei tagli incrociati. Ovviamente qualsia si bravo macellaio, che per definizio ne stima le frattaglie, lo farà volentieri per voi. Deponete le fette su un piat to, conditele con olio e pepe e lascia tele riposare per 1 ora. Poco prima di andare in tavola, disponete il rogno ne su una griglia ben calda e arrosti telo a fuoco basso per pochi minuti. Mettete il rognone su un piatto cal do, spolverizzatelo con poco sale, ir roratelo con un po’ di succo di limone e servitelo subito, ben caldo accom
pagnato con chutney. Se il rognone è buono, questa preparazione è il mas simo. Si può fare anche col rogno ne di manza, anche se ha un sapore (molto) più forte.
Noce di vitello alla panna (per 4). Pu lite bene dal grasso 1 kg di noce di vi tello e infarinatela. Rosolatela in ab bondante burro da tutti i lati per 5 minuti, bagnatela con 2 bicchieri di panna, unite 4 cucchiaiate di soffrit to di cipolle e cuocete coperto per 1 ora e mezzo circa, unendo poco lat te se asciugasse troppo. Alla fine la carne dovrà essere tenera e il fondo ben ristretto. Regolate di sale, pepe e cannella, quindi servitela col suo fon do frullato.
Gnocchi con piselli e salmone
Tagliate il salmone a cubetti. In una padella versate 1 filo di olio, unite il cipollotto tritato e fatelo appassire a fuoco dolce, unendo poca acqua. Ag giungete i cubetti di salmone e rosolateli. Unite gli aghi di rosmarino e i piselli, regolate di sale e cuocete per 5 minuti. Spolverate di pepe, unite la panna e tenete in caldo. Lessate gli gnocchi in acqua salata e non appena salgono in superficie scolateli con una schiumarola e versateli nella padella. Saltateli brevemente fino a che la panna non si addensa leggermente. Ser vite ben caldi e guarnite con l’aneto.
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Gastronomia
◆ Di
certo è saporito e talvolta persino indispensabile in molte preparazioni
Ingredienti per 4 persone: gnocchi a piacere g 600, ragù di carne g 150, prosciutto cotto a fettine sottili o a dadini g 120, piselli surgelati g 200, funghi porcini secchi g 80, 1 spicchio di aglio, latte, panna fresca g 150, burro g 30, olio, sale e pepe.
Ingredienti per 4 persone: gnocchi a piacere g 600, filetti di salmone mondati g 200, piselli surgelati g 200, 1 cipollotto, 1 rametto di rosmari no, 1 ciuffo di aneto, panna g 100, olio, sale e pepe.
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La fortuna ha gli occhi a mandorla
Maria Grazia Buletti
«Questa è quella più antica, questa è ricavata da un bambù. Ed ecco l’im peratore con l’imperatrice!» E anco ra: «Questa così grande è il “pezzo forte” e non è fatta con legno d’acero come di consueto, bensì con un pez zo di tronco di betulla… forse è sta ta la bambola preferita di una bambi na». E naturalmente: «C’è la prima, questa con l’ombrellino, che ho pre so quasi per scherzo». Così come ar riva l’ultima: «L’ho trovata qualche anno fa a Bellinzona durante il festi val giapponese Japan Matsuri». Ales sandra ci accompagna in quello che definisce il luogo della casa che cu stodisce «i ricordi asiatici», dove sco priamo un’intera collezione di bam boline Kokeshi: le bambole in legno originarie del nord del Giappone, nelle province di Sendai e Miyagi nel Tohoku, regione nota per i suoi stabi limenti termali, «dove le Kokeshi ve nivano date in dono come souvenir portafortuna». Colorate, di diverse dimensioni e delicati tratti somatici, ciascuna con quei dolci occhi teneri e una propria caratteristica, fosse il colore del kimono, l’ombrellino che porta in mano o qualche altro det taglio tutto da scoprire. «Ognuna di queste bambole è creata manualmen te da un artigiano, a partire dalla la vorazione dei blocchi di legno grezzo necessari per ottenere la sua forma, fino alla delicata operazione di pit tura del viso e del motivo del kimo
no che indossa. Ogni Kokeshi è fat ta e dipinta a mano da un artigiano giapponese del quale troviamo l’olo gramma sul fondo, e ciascuna ha un aspetto unico».
Così la nostra interlocutrice ci in troduce in quel mondo asiatico tutto da scoprire, mostrandoci le sue Koke shi che impariamo a distinguere fra «dento» e «shingata» Kokeshi: «Sono tutte prodotte a partire da un blocco di legno scelto con cura e stagiona to per mesi: le dento più scure sono di legno di ciliegio, quelle più chiare sono di legno mizuki. Nel caso delle shingata, il legno prescelto è spesso il corniolo, duro e flessibile». Alessan dra puntualizza di non voler parlare di collezione e ribadisce: «Fino a que sto momento in cui ne stiamo parlan do, non me la sono mai immaginata come una vera collezione; erano una serie di ricordi legati al motivo per il quale le ho comprate, una dopo l’al tra…», «non sono nate come una col lezione, ma come un ricordo tangibile di una parte ben definita della mia vi ta e rientrano nella gioia che provavo ad andarle a scovare nei mercatini di Tokyo». Quindi, «non una collezione» di bambole Kokeshi, ma tutta un’altra storia risalente alla sua permanenza a Tokyo dal 1987 al ’90, un periodo che le chiediamo di raccontarci.
«Per ragioni professionali di mio marito abbiamo vissuto qualche an no in Giappone, a Tokyo, periodo du
Giochi e passatempi
Cruciverba
L’età perfetta per insegnare a un bambino a parlare una seconda lingua è… dopo questa età apprenderà molto più lentamente. Trova la parte mancante della frase, leggendo, a cruciverba ultimato, le lettere evidenziate. (Frase: 7, 4, 4, 4, 4)
rante il quale collaboravo con un noto quotidiano ticinese (la terza pagina!) per il quale ho inviato in totale una ventina di articoli». La prima bambo lina arriva così, e nello stesso modo ne seguono altre: «Ogni volta che me ne veniva pubblicato uno, un po’ per gio co, mi sono gratificata andando a cer care una Kokeshi». Un articolo, una Koheshi, un altro articolo, un’altra Kokeshi, tutte diverse l’una dall’altra e tutte non sempre facili da trovare: «Quelle tradizionali le ho comprate nei mercatini delle pulci dove i figli o i nipoti degli anziani che morivano portavano tutte le cose a loro appar tenute di cui volevano disfarsi. Cioto le in ceramica, kimono, stoffe, bam boline: erano il bottino dei rigattieri che ogni domenica mattina erano ai mercatini delle pulci fuori dal parco principale a Tokyo».
Oggi le Kokeshi hanno varcato i confini giapponesi e se ne trovano un po’ ovunque: «Si possono acquista re anche negli shop online, ma a mio avviso quelle che si vendono adesso non hanno una loro anima». Intan to, ne mostra una che ha comprato in Giappone, sotto la quale si può vede re l’ologramma inciso a mano da chi l’ha creata: «Queste sono quelle ve re: si vede l’ologramma e si sente fi sicamente la differenza del materia le: anche quelle odierne sono in legno, ma è differente da quello che matura va per anni prima di essere utilizza
to, perché anche la loro realizzazio ne, allora, seguiva un rituale preciso». Ad ogni modo, oggi le sue bambo le sono molte di più della ventina di articoli pubblicati: «Ho continuato a comprarne, ma non come una colle zionista, perché dovevano sempre at tirarmi in qualche maniera: non era importante avere la bambolina presa al mercatino ogni settimana; non mi importava incrementarne il numero, ma stabilire una certa “connessione”. So che sono oggetti inanimati, ma in un certo senso sono delle vere e pro prie portafortuna e perciò hanno una loro specifica energia che dovevo sen tire per avere voglia di comprarle».
Le Kokeshi sono delle portafortuna: ecco spiegato perché se ne trovava no solo in quei mercatini delle pulci soprattutto quando i parenti dei de funti sgomberavano la casa degli og getti a loro appartenuti: «Se prendi o regali una bambola Kokeshi, rega li anche un po’ di fortuna. Ciò ren de abbastanza difficile trovare quel le tradizionali perché, in teoria, non bisognerebbe mai disfarsene. Biso gna conservare per sé stessi la fortuna che si riceve, la si deve custodire con amore, non la si rovina e soprattutto non la si butta mai via». Come le sue Kokeshi portatrici di serenità e, le au guriamo, di tanta fortuna.
Sudoku
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 17 ottobre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 21
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Scoprite i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate. Soluzione della settimana precedente In fase di decollo o atterraggio notturno le luci degli aerei vengono abbassate perché in caso di emergenza gli… Resto della frase: …OCCHI SI ABITUANO SUBITO AL BUIO. 1 2 3 456 7 8 9 10 1112 13 14 1516 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 OR CI C H V I S V I A ES BEN I ARARA T U ER A I NDR O S UMO BA I TG UR O D ANTE L RS BORA S UI AST ICE ETT O 34 29 21 8 16 3 5 3 1 65 78 9 6 5 8 7 6 2 3 5 6358 297 41 4126 579 83 8793 146 25 2 4 7 5 6 3 8 1 9 1864 923 57 5937 814 62 9 2 8 1 7 6 5 3 4 351 9 482 76 7642 351 98
Collezionismo ◆ Tra i «ricordi asiatici», ad ammirare una collezione che tale non è
Alessandra con le sue Kokeshi, ricordo della sua permanenza in Giappone. (Vincenzo Cammarata)
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ATTUALITÀ
Guerra: c’è chi dice no Putin, il capo del Cremlino, ha sopravvalutato enormemente il militarismo dei propri sudditi
Pagina 25
Sturgeon attacca Truss
La leader scozzese approfitta della debolezza della neo-premier per rilanciare la sfida secessionistica
Pagina 29
Contro l’oscurantismo
Dall’illuminismo scaturisce un’Europa nuova, ostacolata dai poteri politici e religiosi tradizionali
Pagina 31
Lo spettro del black out
Il Consiglio federale ha varato un catalogo di misure per risparmiare energia, ma finora l’impatto è nullo
Pagina 33
Liquidare una volta per tutte la Russia o no?
La guerra in Ucraina è anche, anzi soprattutto, uno scontro indiretto tra russi e americani. Per questo motivo finirà quando russi e americani si sa ranno messi d’accordo sulla via d’u scita. Naturalmente gli ucraini devo no essere e saranno parte decisiva del negoziato, ma in questa fase ameri cani e russi si stanno sondando riser vatamente per capire quando e in che modo si possa avvicinare il momento di un negoziato serio.
I contatti segreti ma non troppo tra Washington e Mosca sono sem pre stati attivi alla vigilia della crisi e durante la guerra in corso. Special mente a livello militare il dialogo tra Pentagono e Ministero della difesa russo è costante. I capi di Stato mag giore della difesa americano, Mark Milley, e russo, Valerij Gerasimov si sono ripetutamente sentiti nelle fasi più calde della crisi. Le comunicazio ni fra vertici militari, ma anche a li vello tattico (ad esempio in Siria, dove stazionano contingenti dei due Pae si), sono diventate ancora più rilevanti da quando Putin ha evocato lo spet
tro dell’atomica. Il grado di allarme e di preparazione del sistema di difesa e di attacco nucleare americano è infat ti vicino ai massimi livelli.
Fino a che punto vogliono spingersi gli americani nel sostegno all’Ucraina e quindi nell’intensificazione della guerra alla Russia?
Al di là di queste necessarie intera zioni fra superpotenze atomiche, so no le stesse diplomazie ad avere avvia to contatti informali che nelle ultime settimane sono diventati più intensi. In particolare, quando il ministro de gli Esteri russo Sergej Lavrov ha par tecipato all’Assemblea generale delle Nazioni unite a New York ha volu to cogliere l’occasione per incontrar si segretamente con diversi esponenti o intermediari americani. Per esem pio recandosi – malgrado le sanzioni personali – nella stessa capitale Wa shington, a significare come regole e divieti valgono fino a un certo punto
quando c’è da discutere di questioni esistenziali.
Siamo però ancora in alto ma re. Anzitutto, non è ancora chiaro fino a che punto vogliono spingersi gli americani nel sostegno all’Ucrai na e quindi nell’intensificazione del la guerra alla Russia. Due scuole di pensiero si affrontano e convivono in seno alla stessa amministrazione. La prima insiste sull’occasione uni ca per liquidare una volta per tutte la questione russa. In termini pratici, si tratta non solamente di dissanguare e indebolire la potenza rivale ma di fa vorirne o comunque accettarne la di sintegrazione. Scenario verso il qua le spingono alcuni Paesi alleati, quali anzitutto la Polonia, l’Inghilterra e i Paesi baltici. L’altro punto di vista, ad oggi prevalente, vorrebbe giunge re a un compromesso che permettes se alla Russia di salvare la faccia. E poco altro. Si tratta quindi di evitare un conflitto aperto fuori tutto – ar mi nucleari potenzialmente incluse – fra le due superpotenze atomiche del pianeta.
Qui evidentemente sarà decisivo l’atteggiamento ucraino. Washin gton ha segnalato anche per boc ca del ministro degli Esteri An tony Blinken a Kiev che non bisogna spingersi troppo oltre nel conflitto, certamente non fino al punto di pro vocare il collasso della Russia oppu re, peggio ancora, spingere Putin a rischiare l’olocausto nucleare. Che cosa questo possa significare concre tamente nessuno lo sa, probabilmen te neanche i citati attori diplomatici. L’obiettivo dichiarato e perseguito da Kiev resta quello di recuperare integralmente i territori perduti per mano russa dopo il 2014, Sebastopoli e Crimea incluse. Sul piano militare, si tratta di un’opzione improbabile e che comunque implicherebbe pro prio ciò che gli americani vogliono evitare e cioè il rischio di un eleva mento del conflitto al grado nucleare e quindi la distruzione di buona par te dell’Europa orientale e della Rus sia europea. Almeno.
A questo punto la posizione di Kiev diventa determinante. Il pun
to di vista del vertice attorno a Ze lensky e degli alleati più stretti dell’Ucraina è espresso nel cosiddet to Kiyv Security Compact, documen to prodotto per iniziativa soprattutto ucraina, polacca, inglese e americana che pone condizioni molto strette a qualsiasi compromesso con la Russia. Anzi di fatto ne implica la debellatio Interessante che a questo documento abbiano messo mano anche Paesi co me l’Italia, la Francia e la Germania che ufficialmente mantengono una posizione più dialogica con Mosca. Il rischio è che in queste incertezze, e nel tira e molla fra posizioni diver se in ambito atlantico, si finisca invo lontariamente per lasciare che il con flitto perduri a tempo indeterminato.
In ogni caso, quale che sia il possi bile punto di compromesso provviso rio tra russi e americani, questo non sarà in grado di stabilire una vera pa ce in Ucraina e nella regione. Il mas simo che si potrà ottenere nel giro dei prossimi mesi sarà un cessate-il-fuoco lungo le linee del fronte. Tutto il resto è fantasia o speranza.
● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 17 ottobre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino 23
Il segretario di Stato americano Blinken, a sinistra, e il ministro degli esteri russo Lavrov. (Keystone)
Prospettive ◆ In seno alla stessa amministrazione
Usa si affrontano due scuole di pensiero mentre il conflitto in Ucraina continua
Lucio Caracciolo
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Tra i russi che non vogliono più la guerra
«Gloria all’Ucraina!». La 71enne pen sionata che ha gridato il motto del la resistenza di Kiev prima di gettare una bottiglia molotov in una banca di San Pietroburgo è stata subito arre stata e diventerà probabilmente la de tenuta più anziana tra quelli incarce rati in Russia per atti di sabotaggio contro il regime. Gli uffici governa tivi vanno a fuoco o esplodono quasi quotidianamente. Il bersaglio più po polare per le molotov sono i commis sariati militari, presi di mira soprat tutto dopo la mobilitazione dichiarata da Vladimir Putin il 21 settembre scorso, per ridurre in cenere gli archi vi dei potenziali coscritti, ma vanno a fuoco anche sedi delle amministra zioni locali e fabbriche belliche. Di strutta ogni possibilità di fare oppo sizione – scendere in piazza comporta l’arresto immediato e l’incriminazio ne per «discredito delle forze arma te» – i russi contrari alla guerra hanno lanciato una sorta di resistenza semi clandestina, che si compone di atti di sabotaggio (gli incidenti ferroviari so no triplicati dall’inizio della guerra), molotov, hackeraggi per proiettare immagini che smentiscono la versio ne ufficiale dei fatti nelle tv, scritte sui muri, post sui social e atti di vandali smo contro i manifesti che inneggia no alla invasione dell’Ucraina. Tutti gesti che possono costare la prigione e che vengono osati da pochi corag giosi che agiscono apparentemente a titolo personale, come la pasticciera moscovita Nastya che produce torte nei colori giallo-azzurri della bandie ra ucraina, o la pensionata 60enne di San Pietroburgo, Irina Zybaneva, fi nita in carcere per aver lasciato sulla tomba dei genitori di Putin al cimite ro Serafimovskoe il biglietto: «Porta tevi dietro questo maniaco, avete cre sciuto un mostro assassino».
In Russia matura lo scontento e perfino i sondaggi ufficiali hanno re gistrato un raddoppio della preoccu pazione dei russi, dal 35 al 69% in una settimana, quella della mobilitazio ne. Che non è stata affatto «parziale» come aveva promesso Putin nel suo
messaggio televisivo: per rastrellare i 300mila uomini richiesti per colma re la mancanza di soldati – le ultime stime parlano di 90mila militari russi uccisi, catturati o gravemente feriti in otto mesi di guerra – i commissariati militari stanno reclutando indiscrimi natamente. Le convocazioni in caser ma vengono distribuite negli uffici e nelle fabbriche, nei condomini porta a porta e perfino in strada, dove squa dre di poliziotti e militari tendono ag guati ai passeggeri in uscita dalla me tropolitana e ai clienti che emergono dai supermercati. Lettere di chiamata alle armi sono arrivate perfino a disa bili e a 50-60enni senza alcuna espe rienza militare precedente, e in diverse grandi città gli uomini cercano di non uscire senza necessità e di non abitare all’indirizzo della residenza ufficiale.
Dopo aver sottovalutato dramma ticamente l’orgoglio e il coraggio de gli ucraini, il capo del Cremlino ha sopravvalutato enormemente il mi litarismo dei propri sudditi. Nono stante le massicce dosi di propagan da nazionalista, al momento di dover partecipare alla guerra non soltanto
applaudendola come spettacolo in tv, i russi hanno votato con i piedi. Nei primi dieci giorni dall’annuncio della mobilitazione le frontiere russe sono state varcate – secondo le stime del la presidenza raccolte dal giornale in dipendente «Meduza» – da 700mi la-un milione di cittadini. Ai valichi in Georgia si sono formate code lun ghe chilometri, che richiedevano giorni di attesa, nel Kazakistan le au torità hanno mobilitato volontari per assistere centinaia di migliaia di rus si bisognosi di cibo, alloggio e vesti ti, mentre i biglietti aerei per le poche destinazioni accessibili dalla Russia –soprattutto Armenia, Turchia e Du bai – hanno raggiunto prezzi di mi gliaia di euro, prima di venire esauriti.
È un esodo gigantesco, che va ad aggiungersi a quei circa 5 milioni di russi che hanno abbandonato il loro Paese dopo il 24 febbraio. Quest’ul tima ondata migratoria è però mol to diversa dalle precedenti: a fuggi re prima e dopo l’attacco all’Ucraina erano essenzialmente i critici del re gime; i profughi scappati dalla mo bilitazione sono in maggioranza dei
putiniani o membri di quella mag gioranza silenziosa che ringraziava il presidente russo per la stabilità politi ca, il relativo benessere e il senso rina to dell’orgoglio patrio raccontato dal la televisione. Un patto politico che il Cremlino ha polverizzato e i riservi sti russi hanno scoperto di non fidarsi minimamente dei racconti della pro paganda sulle vittorie al fronte, valu tando la probabilità di venire uccisi dall’esercito ucraino talmente elevata da preferire una fuga precipitosa ver so il nulla. Chi non è riuscito a scap pare, sta protestando in caserma e le segnalazioni di litigi, denunce, risse e perfino evasioni con le armi dei neo coscritti si stanno moltiplicando.
Per la prima volta in vent’anni, nelle piazze sono scese le madri, che hanno protestato contro l’arruola mento soprattutto nel Caucaso, ma anche in altre Repubbliche autonome di minoranze etniche non slave del la Federazione russa. L’arruolamento per una guerra che vuole imporre in Ucraina il «mondo russo» ha riacce so sentimenti nazionali e sogni seces sionisti in popoli che normalmente si
sentono discriminati dai russi e che finora hanno pagato il prezzo della guerra con percentuali di caduti deci ne di volte più elevate rispetto a Mo sca o altre metropoli. Che però non vengono più risparmiate, perdendo il privilegio cui erano abituate. La guer ra è entrata in tutte le case e il risul tato non si fa attendere: nei sondaggi ufficiali il numero dei sostenitori della pace (a condizioni tutte da discutere) diventa uguale a quelli che vorrebbe ro proseguire la guerra, e nelle fasce d’età più giovani il rapporto tra falchi e colombe (e tra fan e critici di Putin) scende a uno a tre.
Non è ancora una rivolta: la tra dizione dell’azione comune in Rus sia, a differenza dell’Ucraina, è molto scarsa, e i russi preferiscono scappa re in ordine sparso invece che allear si per ribellarsi. Non è ancora un ri sveglio: molti di quelli che aspettano in coda alla frontiera hanno consu mato per anni la propaganda e con dividono le ragioni della guerra e le ambizioni imperialiste del revansci smo putiniano. Quasi tutti i critici portatori di un discorso politico al ternativo – politici, giornalisti, intel lettuali, dissidenti – sono stati ridotti al silenzio o spinti all’esilio già prima dell’invasione dell’Ucraina, e l’oppo sizione alla guerra oggi viene rappre sentata non da liberali e pacifisti, ma sostanzialmente da putiniani prag matici, che si rendono conto di aver perso sul terreno e di venire spinti al baratro dall’isolamento internaziona le e dalle sanzioni. Dopo 23 anni al potere, il leader russo ha perso l’amo re del suo popolo, e il politologo An drey Piontkovsky nota che la mobi litazione potrebbe dare una insperata legittimità e popolarità ad eventuali golpisti: «Chiunque revochi l’arruola mento coercitivo otterrebbe subito un credito di fiducia enorme». Ma intan to Putin sta mettendo il fucile in ma no a uomini disperati strappati con la forza alle loro famiglie per combatte re una guerra già persa con un eserci to allo sbando: una situazione che nel 1917 ha fatto collassare l’impero russo.
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L’analisi ◆ I putiniani pragmatici ora si rendono conto di venire spinti al baratro dall’isolamento internazionale e dalle sanzioni Anna Zafesova
Scendere in piazza, in Russia, comporta l’arresto immediato e l’incriminazione per «discredito delle forze armate». (Keystone)
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Sturgeon rilancia la sfida secessionistica
Barbara Gallino
«Ci sono voluti tre anni ai Tory per capire che Boris Johnson era un di sastro. Per Liz Truss sono bastate tre settimane». Ha colto la palla al bal zo Nicola Sturgeon al Congresso an nuale dello Scottish National Party (SNP) ad Aberdeen. La prima mini stra scozzese ha approfittato della de bolezza politica della già agonizzante neo-premier inglese, per sferrarle un durissimo attacco e rilanciare la sfi da secessionistica. Sturgeon ha accu sato Truss di «causare un danno rea le e duraturo al tessuto della società britannica» con la sua scellerata po litica fiscale che ha provocato nel Re gno Unito una tempesta finanziaria, con il crollo della sterlina e la Ban ca d’Inghilterra costretta a interveni re per proteggere i fondi pensionisti ci. In attesa del verdetto della Corte suprema sulla questione se Edimbur go abbia legalmente il potere o me no di indire un secondo referendum sull’indipendenza senza il consenso di Westminster, la leader del partito nazionalista scozzese ha ribadito che il distacco è essenziale per sottrarsi al malgoverno di Londra, costruire una partnership di eguali con le altre nazioni del Regno Unito e rientrare nell’Unione europea.
La leader politica più longeva del regno – dal 2014 alla guida dello SNP – ha dimostrato durante il Congres so di avere ancora presa sul suo elet torato, inanellando una sfilza di stan ding ovation con la sua visione della Scozia come Nazione indipendente schierata al fianco dell’Ucraina con tro l’aggressione di Putin, del popo lo iraniano che si ribella alla tirannia degli ayatollah e delle ragazze afga ne che aspirano semplicemente all’i struzione. Sul fronte domestico, ha annunciato un’agenda marcatamente progressista e distante da quella Tory, oltre all’intenzione di creare un fon do per finanziare l’indipendenza del la Scozia, con i profitti del petrolio del
Mare del Nord e l’emissione di debito pubblico «non per tagliare le tasse ai ricchi» come fa il governo Truss, ma per fronteggiare le iniziali difficoltà economiche che insorgerebbero dopo la secessione. Intanto a sud del val lo di Adriano, Liz Truss fa orecchie da mercante.
Dal suo insediamento a Downing Street, la premier non ha avuto con tatti ufficiali né con l’Esecutivo loca le di Edimburgo guidato da Sturgeon né con quello di Cardiff, guidato dal laburista Mark Drakeford, come in vece dovrebbe essere prassi. «Non so se si tratti di arroganza, mancanza di rispetto o insicurezza, ma certamente non è un modo di governare da perso ne adulte», ha commentato Sturgeon, puntualizzando di avere invece par lato con i predecessori David Came ron, Theresa May e Boris Johnson po co dopo la loro nomina. I rapporti fra le due prime ministre sono stati tesi fin dall’inizio: se da un lato Sturgeon ha dichiarato di detestare i conserva tori e tutto quello che rappresentano, dall’altro Truss ha bollato la leader scozzese come un personaggio a «cac cia di attenzione» che dovrebbe essere «ignorato». E così fa: la ignora. D’al tronde in questo momento la priorità della premier britannica non è la que stione scozzese, ma la sopravvivenza politica, sua e dei conservatori.
Continua a montare infatti la ri volta contro la leader Tory, dentro e fuori il partito. Nella bufera, ancora una volta, il vituperato Piano per la crescita per riportare il Pil del Regno Unito ai livelli antecedenti la pande mia di Covid. La mini-manovra fi nanziaria da 43 miliardi di sterline per rilanciare l’economia annunciata dal cancelliere dello Scacchiere, Kwa si Kwarteng, lo scorso 23 settembre, senza un’indicazione chiara delle co perture, e la successiva inversione sul la controversa eliminazione dell’ali quota del 45 per cento sui redditi più
alti, hanno minato gravemente la fi ducia dei mercati finanziari nel Go verno. Tuttavia Truss non sarebbe più disposta a fare dietro-front sui prov vedimenti messi in campo per torna re a una fantomatica crescita del 2,5 per cento: il piano energia con il tet to al prezzo delle bollette di elettri cità e gas, e il pacchetto di aiuti del valore di 40 miliardi di sterline alle imprese energetiche, non si toccano.
Anche la cancellazione degli aumen ti di Corporation Tax e National In surance annunciati dal Governo pre cedente sarà implementata, così come la riduzione di un punto percentua le dell’aliquota base dell’imposta sul reddito delle persone meno abbienti.
Senza tagliare la spesa pubblica. Ma com’è possibile? In attesa che il can
Una premier ma non solo
Cristina Marconi
Inauguriamo questa settimana una serie di articoli che raccontano le vi cende delle leader che in questo mo mento sono alla guida di Stati o Go verni in giro per il mondo. Donne potentissime, appunto. Partendo da Sanna Marin. Uno dei tratti distin tivi della premier finlandese – diret ta, razionale, poco espansiva e dalla forte personalità – è quel piglio alla «E me lo chiedi pure?» che il mondo ha scoperto recentemente, quando è stata interpellata sull’opportunità di offrire a Vladimir Putin un incenti vo per evitare l’Armageddon nuclea re in un video diventato subito vira le. «La via d’uscita dal conflitto è la Russia che esce dall’Ucraina, questa è la via d’uscita dalla guerra», ha di chiarato Marin, allontanandosi con una risata che sapeva più di stupore davanti a una logica claudicante che di frivolezza, difetto che si cerca di imputarle di continuo.
Accuse prevedibili se rivolte a una donna giovane, di aspetto più che gradevole, arrivata al potere nel 2019 a metà del secondo mandato da de putata – quando era ministra dei tra sporti e delle infrastrutture – ma an
che, cosa particolarmente rilevante, dopo aver gestito talmente bene gli affari correnti, mentre l’ex premier Antti Rinne era malato, da permet tergli di vincere le elezioni al suo ri torno. E quando i problemi hanno travolto Rinne, il partito ha scelto lei per la successione: la più giova ne premier della storia del Paese e la terza donna (le altre due sono durate pochissimo).
All’epoca i suoi punti forti erano un grande pragmatismo – basta ve dere i video in cui presiede con fer ma autorevolezza i Consigli comu nali di Tampere per capirlo – e una credibilità da «ragazza del popolo» che si è fatta strada da sola, cresciu ta in una famiglia gay con problemi economici e prima laureata del nu cleo famigliare.
Una che ha sempre lavorato, an che come commessa o cassiera, che ha iniziato a fare politica a 20 anni e che si è impegnata talmente tanto da giovane che qualche festa – debo lezza che ha rischiato di pagare mol to cara – se la sta concedendo adesso che ha 36 anni, è sposata con un ex calciatore con cui sta da quando era
adolescente e ha una bambina pic cola. Ma, siccome siamo in Finlan dia, non la si accusa di non essere una brava mamma, bensì di rendersi ri cattabile con quei video in cui balla sfrenata e un po’ alticcia (per un ca po di Governo, sottolineano alcuni, il privato non esiste).
Anche se, in questi anni di emer genze, questi dettagli si notano me no che in altri periodi, Sanna Marin è molto a sinistra in materia socia
celliere dello Scacchiere dia delucida zioni in merito quando il prossimo 31 ottobre presenterà il piano fiscale di medio termine con le coperture fi nanziarie delle costose misure eco nomiche del Governo, la Banca d’In ghilterra ha già annunciato che non intende prolungare il piano di acqui sti di emergenza messo in campo per placare il caos scatenato nei mercati dalla mini-manovra, provocando così un’ondata di vendite di titoli di Stato britannici e un’ulteriore svalutazione della sterlina.
I rendimenti sui Gilt (titoli di Sta to) a 30 anni sono aumentati di 24 punti al 5,01 per cento, i titoli con scadenza a 20 anni sono saliti di 27 punti al 5,19 per cento, il massimo dal 2002. Truss è in un vicolo cieco. Per
uscire dall’impasse o deve fare retro marcia sul taglio delle tasse oppure deve toccare il piano energia. Ormai la sua autorevolezza e credibilità sono a pezzi. Anche i suoi sostenitori sem brano voltarle le spalle. Secondo l’ex cancelliere Sajid Javid, che aveva ap poggiato la sua candidatura a leader Tory, i piani fiscali e di spesa del Go verno sono andati «decisamente oltre» le aspettative dei mercati, ora in cer ca di rassicurazioni che il debito pos sa tornare sotto controllo. Intanto il Partito conservatore continua a crol lare nei sondaggi. Secondo le ultime rilevazioni, se si andasse al voto oggi, il 52 per cento degli elettori britanni ci voterebbe per i laburisti e solo il 22 per cento per i Tories. Uno scarto che non si vedeva dagli anni Novanta.
le ed economica, non vede di buon occhio i tagli al welfare nonostante l’invecchiamento della popolazione e ha aumentato le spese militari per far fronte alle minacce dell’ingombrante vicino russo. Sul Covid se l’è cavata bene e il Paese ha avuto molti meno morti rispetto ai suoi vicini.
Com’è naturale per molti poli tici di ogni età, è determinata, tan to che una giornalista dell’emitten te pubblica Yle, Kristiina Tolkki, ha raccontato di averla incontrata anni fa e di avere avuto proprio il famoso sguardo alla «E me lo chiedi pure?» in risposta alla domanda se sarebbe diventata leader un giorno. È facile fermarsi alle apparenze, quando si tratta di Marin, che non nasconde la sua vita sociale da millennial, ha una pagina Instagram molto curata in cui posa come una modella e non fa nul la per esaltare il suo profilo istituzio nale, disinteressata com’è al parere degli altri: chi la sottovaluta lo fa a sue spese. Un errore che i finlande si non hanno fatto, perché se il mon do vede una giovane donna splendi da e disinvolta, che si fa fotografare su «Vogue» con una giacca indossata
sulla pelle nuda, i 5,5 milioni di cit tadini del Paese, oltre agli osserva tori del Cremlino, sanno quanto sia decisa quando deve difendere le sue posizioni: sulla Nato e sull’Ucraina è andata avanti con pugno di ferro, rompendo con la cautela tradiziona le del suo partito, il Partito socialde mocratico finlandese, e ottenendo grande rispetto internazionale.
Poco empatica nell’approccio, di sé stessa non racconta molto, dice di passare l’aspirapolvere per calmare la tensione e di tendere al compul sivo in tutto quello che fa, dallo stu dio dei dossier alla ginnastica. Forse anche questa propensione a far festa, a frequentare celebrità più giovani di lei che poi fanno post fuori luo go e a rivendicare una vita sociale da donna normale ha qualcosa di com pulsivo: è un modo di mettere avan ti il nuovo volto del potere, che non ha nulla di cui vergognarsi rispetto ai vizi storici dei leader maschi. Per ora Marin ha attraversato le fiamme senza farsi male, ottenendo la stima dei finlandesi. Se questa stima si tra sformerà in voti lo diranno le urne il prossimo aprile.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 17 ottobre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino ATTUALITÀ 29
Gran Bretagna ◆ La priorità di Liz Truss non è la questione scozzese, ma la sopravvivenza politica, sua e dei conservatori
Nicola Sturgeon al Congresso annuale dello Scottish National Party ad Aberdeen. (Shutterstock)
Potentissime ◆ La giovane e determinata Sanna Marin guida la Finlandia
dal 2019, tra attestati di stima e qualche critica
Keystone
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Quando la ragione spezza le catene
«L’uomo nasce libero ma è dappertut to in catene». Così il filosofo svizze ro Jean-Jacques Rousseau riassume la sua visione del mondo e della società, costruendo con queste parole uno dei pilastri dello spirito illuministico. Siamo a metà Settecento, al centro di quell’epoca dei Lumi che contribuirà a forgiare l’identità dell’Europa libe randola dall’asfissia del dogmatismo e promuovendo la libertà di pensie ro. Negli anni di questa grande rivo luzione culturale l’atteggiamento del visionario Rousseau si accompagna, e spesso si contrappone, a quello del pragmatico Voltaire. Se il primo ela bora la teoria del «buon selvaggio» e parla di democrazia diretta, il secon do invita a non fare un dogma dell’i dea del progresso, in sé sacrosanta, dopo che si è fatta la guerra ai dog mi. La verità è che non tutto va per il verso giusto, eppure dobbiamo levarci dalla testa l’idea pessimistica di vivere in quello che il filosofo e matemati co Leibniz, parodiato proprio da Vol taire nei panni del dottor Pangloss, considerava «il migliore dei mondi possibili».
L’atteggiamento del visionario Rousseau si accompagna, e spesso si contrappone, a quello del pragmatico Voltaire
In quel pezzetto di pianeta che si chia ma Europa l’appassionato impegno di un gruppo di filosofi e scienziati gui dati da Denis Diderot e Jean-Baptiste d’Alembert, riesce a portare a termi ne l’Encyclopédie, nonostante gli osta coli disseminati sul suo cammino da un potere atterrito dalla sfida della li bertà di pensiero. Diciassette volumi pubblicati fra il 1751 e il 1772, sessan tamila voci, la diffusione dalla Fran cia al resto del Vecchio continente e alle colonie americane lungo la costa atlantica. Così l’illuminismo conqui sta l’Europa e si fa strada in Ameri ca attraverso le pagine e le tavole del Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, come anche si chia ma l’Enciclopedia. È proprio quell’ag gettivo, «ragionato», a riassumere lo spirito nuovo dei Lumi, che procla ma il primato della ragione, la ri scossa dell’intelligenza incaricata di liberare l’uomo dalle catene di cui parla Rousseau.
Ma non è impresa facile e non lo sarà mai. I poteri costituiti vegliano sul rispetto della tradizione, sia pure sen za scalfire il tenace ottimismo di uo mini come Diderot. Proprio quest’ul timo si esprime così, con uno slancio non privo di un tocco di ingenuità, in una lettera del 1762: «Questa opera si curamente produrrà, nel tempo, una rivoluzione negli animi. Io spero che i tiranni, gli oppressori e i fanatici non ne traggano vantaggio: così avremo reso un servizio all’umanità». Questo servizio gli illuministi lo hanno cer tamente reso entrando a vele spiega te nella storia e arricchendo la nostra mente, anche se tiranni e fanatici han no continuato a imperversare. Dide rot parla di «rivoluzione negli animi», ma non si tratta soltanto di questo. Il terremoto illuminista è la base ideale delle due grandi rivoluzioni che prima in America quindi in Francia sconvol gono per sempre i vecchi schemi del rapporto fra il potere e i popoli. E se i coloni americani che fondano gli Sta ti Uniti introducono nella politica un diritto nuovo, il perseguimento della
felicità, gli uomini della Rivoluzione francese sintetizzano in tre concetti, libertà, uguaglianza e fraternità, i ca pisaldi del vivere civile.
Un’Europa nuova, quella scaturi ta dall’illuminismo, anche se lunga mente ostacolata e repressa dai pote ri tradizionali, politici o religiosi che siano. Dopo la cruenta epopea napo leonica che segue la Rivoluzione, gli Stati del Continente stringono un’al leanza, non a caso definita «santa», con la finalità specifica di stroncare sul nascere, con il reciproco appog gio militare, ogni tentativo di ripro porre la pretesa dei diritti umani e ci vili. Ma il fuoco acceso dal pensiero illuminista persiste sotto la cenere e l’Ottocento, il secolo delle «magnifi che sorti e progressive», saprà risco prire la suggestiva visione dei Lumi. Quella stessa che alcuni decenni pri ma aveva affascinato l’Europa colta, arrivando fino alle corti regali di Fe derico II di Prussia e di Caterina II di Russia. Partito dal precursore John Locke e riproposto da uomini come Gotthold Lessing o Emmanuel Kant, che ricerca le vie capaci di condurre alla pace perpetua fra i rissosi regni d’Europa, ormai il nuovo pensiero pervade ogni angolo del Continen te. Si sogna la pace internazionale ma anche la pace interna; non a caso Ce sare Beccaria tuona contro la tortura e la pena di morte, gli strumenti pre feriti da chi gestisce il potere e vi si aggrappa con tutti i mezzi possibili.
Si sogna la pace internazionale e interna, non a caso Cesare Beccaria tuona contro la tortura e la pena di morte
Proprio negli anni più difficili dell’età dei Lumi, quando le monarchie as solute cercano di contrastare la nuo va visione del mondo, la soppressione della Compagnia di Gesù viene per cepita come una vittoria della ragio ne contro il dogma, dunque in pie no spirito illuminista. In realtà molti fattori contribuiscono all’espulsio ne dei gesuiti dagli Stati europei. Per esempio la loro potenza econo mica, la loro diffusione mondiale, il ruolo preminente nell’educazione, il
fatto di rappresentare e difendere il potere della Chiesa, il prevalere del sacro sul politico. Espulsa dal Porto gallo nel 1759, negli anni successivi la Compagnia di Gesù conosce la stes
sa sorte in quasi tutti gli Stati d’Eu ropa, finché nel 1773 papa Clemente XIV, che fino ad allora li aveva difesi, si rassegna e decreta la fine dei gesu iti. L’ordine sopravvive soltanto, per
volontà di Caterina II, nelle aree cat toliche della Russia. In questo modo ne viene garantita la continuità, fa cilitando il compito di papa Pio VII che nel 1814 ricostituisce la Compa gnia. Dunque i gesuiti, soppressi in piena età dei Lumi, tornano in vita nei tempi della Restaurazione, il che contribuisce a rafforzare la loro im magine anti-illuministica.
Del resto il seme dei nuovi valori è ormai gettato e non tarderà a germo gliare, segnando il lungo periodo di pace quasi completa che fra gli ultimi decenni dell’Ottocento e il fatale 1914 permetterà all’Europa di progredire, sia pur faticosamente, verso la moder nità.
A questo punto il meccanismo della storia s’inceppa, quegli stessi Stati del Continente che Kant vole va fratelli si scoprono una volta anco ra nemici. La vecchia Europa smarri sce la bussola e con le due guerre più devastanti della storia celebra il pro prio suicidio. Ma durante il secondo conflitto, in un’isoletta del Tirreno, un gruppo di sognatori privati della libertà personale da un potere ottu so e violento indica la via del riscat to fondata su una visione democrati ca e permeata di spirito illuministico (sull’isola di Ventotene prese forma il manifesto Per un’Europa libera e uni ta). Nei tempi drammatici che stiamo vivendo è tutto ciò che ci resta, ma non è poco.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 17 ottobre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino ATTUALITÀ 31
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Le nostre radici ◆ Dall’illuminismo scaturisce un’Europa nuova, lungamente ostacolata dai poteri politici e religiosi tradizionali Alfredo Venturi Shutterstock
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Come proteggersi da un black out
Crisi energetica ◆ Berna vara un piano ambizioso e conta sulla collaborazione di tutti, che però ancora non si vede
Bonoli
Si dice spesso che il miglior tipo di energia (per altro rinnovabile) è il ri sparmio sui consumi abituali. Il Con siglio federale, nel suo piano per l’ap provvigionamento energetico del paese, punta anche su questo princi pio, almeno all’inizio, su base volon taria. Non è però né facile, né sconta to, modificare da un giorno all’altro le abitudini di consumo sia a livello personale, sia di gruppo (aziende, as sociazioni, enti politici, ecc.).
La campagna di risparmi lanciata a fine agosto, con il motto «Ogni chi lowattora conta», non sembra aver ot tenuto i risultati sperati. È ovviamen te presto e poco opportuno trarre le prime conclusioni, dopo un mese di fine estate. La NZZ ha però tentato l’esercizio, premettendo comunque le complicazioni che comporta. Un dato di fatto è però la constatazione che in settembre i consumi di energia elet trica, in Svizzera, non sono diminui ti, ma sono aumentati più o meno nel la misura degli stessi mesi degli anni precedenti.
La conferma della tendenza può anche essere vista nel fatto che il gra do di incertezza dei dati esaminati non è diminuito, come attesterebbe invece una diminuzione rispetto allo stesso grado nel mese dell’anno prece
dente. Grado che è certamente favori to in Svizzera dalla molteplicità degli attori del sistema di approvvigiona mento elettrico. All’inizio della ca tena c’è la società Swissgrid che ana lizza i carichi nel trasporto di energia elettrica dal produttore al rivenditore locale. Swissgrid utilizza questi dati per garantire la stabilità del riforni mento (a circa 600 aziende elettriche).
Questi dati danno un’indicazio ne di tendenza, ma non sono sicu ri al cento per cento e l’insicurezza aumenta quando i tempi per l’anali si sono brevi. Di regola sono invece necessari almeno sei mesi. L’analisi della NZZ tiene conto della neces saria correzione in misura di circa il 4,5%. È dai dati così corretti che si ottiene un’evoluzione dei consumi pa rallela agli anni precedenti, ma perfi no superiore a quella dello scorso an no. La probabilità che l’energia venga effettivamente risparmiata è quindi molto bassa.
Tenuto conto anche dei vari fatto ri che influiscono sui consumi fina li (perdite della rete, consumi propri dei produttori), questi dati non posso no essere presi in considerazione per un’eventuale restrizione dei consumi. Per questo l’Ufficio federale dell’ener gia attenderà i dati di fine anno prima
di decidere. Nel frattempo ha divul gato alcune raccomandazioni.
Tra queste, la ormai celebre propo sta della consigliera federale Somma ruga di fare la doccia in due o di far bollire l’acqua con pentolino coperto. Resta comunque assodato che il mo do più efficace per risparmiare è di aumentare i prezzi. Il problema prin cipale dell’attuale politica energetica per il prossimo inverno è però quel lo di garantire energia elettrica suffi ciente e a prezzi sostenibili. Per que sto il piano del governo prevede varie misure, non solo per la corrente elet trica. Ne diamo qui un riassunto par ziale, tenendo conto anche di alcune decisioni già prese in Parlamento.
In primo luogo le centrali termi che mobili, azionate sia a gas sia a pe trolio. Coprirebbero i due terzi della produzione della centrale nucleare di Mühleberg. Si pensa poi ai generatori di emergenza, già utilizzati anche da Swissgrid, o magari anche a un au mento della tensione negli elettrodot ti importanti. Si vorrebbe anche au mentare la produzione delle centrali idroelettriche, diminuendo i deflus si minimi odierni nei fiumi. Il Par lamento ha accettato la costituzione di un «ombrello finanziario protet tivo» per le grandi società produt
Assaggia ora
trici di energia elettrica, considerate «sistemiche».
Questo per il prossimo inverno. Entro il 2025 vi sarà uno sfruttamen to intensivo di energia solare, tramite pannelli sistemati nelle Alpi. Misura che dovrebbe permettere di diminu ire la dipendenza svizzera dalle im portazioni di corrente dall’estero. A questi si dovrebbe aggiungere la pro duzione di energia eolica.
Questi ultimi provvedimenti fan no parte di un ampio catalogo di mi sure di sostegno alle energie rinnova bili, che vanno dalle piccole centrali elettriche al biogas, alla geotermia, al fotovoltaico privato. Il tutto inse rito in un sistema direttivo, che però le Camere hanno rifiutato, chiedendo comunque di prolungare i sussidi fino al 2030. La quota di energia solare sul consumo globale è oggi solo del 6%, ma sta aumentando. Inoltre il Con siglio federale vorrebbe poter dotare il paese di due o tre centrali a gas o convertibili che fornirebbero energia elettrica in grandi quantità. Obiettivo sempre più difficile a breve scadenza
vista la precaria situazione del merca to del gas attuale.
A più lunga scadenza si vorrebbe incentivare la costruzione di impianti a energia rinnovabile. In questo e in altri casi sorgono anche problemi di compatibilità ambientale, oltre che di costi enormi. Lo possono essere sia il passaggio alla mobilità privata elettri ca, sia l’uso di termopompe, entram be favorite dalla nuova legge sul CO2 Viste le condizioni di vita odierne, il risultato migliore potrebbe essere ot tenuto spegnendo il più possibile tut ti gli apparecchi elettrici e utilizzando in modo più efficiente quelli diventati indispensabili (lavatrici, condiziona tori, lampadine, ecc.).
Il raggiungimento di questi obiet tivi è irto di difficoltà. Anche per que sto uno degli obiettivi più importanti è quello del risparmio. Il consumo di energia elettrica in Svizzera dovrebbe scendere nel 2035 del 13% rispetto a quello del 2020. Lo spazio e il tempo per farlo ci sono, manca ancora la vo lontà, che potrebbe evitare o attenua re eventuali costrizioni.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 17 ottobre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino ATTUALITÀ 33
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La rete di alta tensione elettrica svizzera gestita da Swissgrid. (Keystone)
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Voci in fuga
L’esilio, la paura, i ricordi, l’odore di luoghi e persone lasciati sono al centro del romanzo di Abdulrazak Gurnah uscito per La nave di Teseo
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Film Festival Diritti Umani
Un’anticipazione dei temi e dei film in rassegna dal 19 al 23 ottobre nell’ambito di FFDUL che giunge quest’anno alla sua nona edizione
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Il poeta che ha demistificato l’arte
Cliché È partita la seconda serie del magazine culturale della RSI condotto da Lorenzo Buccella, questa volta trasmesso il mercoledì in prima serata
Pagina 41
Era il 1968 quando, dopo aver occu pato la Salle de Marbre del Palais des Beaux Arts di Bruxelles in segno di protesta contro la gestione della cul tura in chiave economica, Marcel Broodthaers decide di dar vita al suo museo. Presso la propria abitazione in Rue de la Pépinière allestisce il Musée d’Art Moderne, Département des Aigles, uno spazio espositivo personale e fit tizio che si pone come replica di quel li reali. Di questo museo «apocrifo» Broodthaers si autoproclama diret tore e curatore, organizzando persi no un’impeccabile inaugurazione con tanto di inviti, catalogo, buffet e ca mion dei trasporti parcheggiato fuori dall’edificio. Qui, però, non ci sono opere d’arte ma casse per imballaggio vuote, lettere, cartoline, biglietti da visita, diapositive, cartelli con indica zioni e altri materiali secondari uti lizzati in pinacoteche e gallerie: è la parodia di un museo. Broodthaers in scenerà per quattro anni questa strut tura allegorica, rendendola anche iti nerante, con l’intento di svelare, con irriverenza e sarcasmo, il ruolo del le istituzioni museali nel decretare a proprio piacimento cosa debba essere considerata arte.
Questo esperimento, sicuramen te l’atto più rilevante della carriera di Broodthaers, incarna uno degli aspet ti principali della sua indagine, ovve ro la profonda analisi della trasforma zione dell’opera d’arte in prodotto di consumo, partendo proprio dalla cri tica dei meccanismi che la legittima no. Da questo approccio sovversivo nei confronti dello status dell’ogget to artistico, Broodthaers sviluppa la propria ricerca legandola a temi qua li il rapporto tra immagine e rappre sentazione o il gioco tra realtà e fin zione, nel costante tentativo di aprire il suo lavoro all’interazione tra arte e linguaggio.
D’altra parte Broodthaers approda all’arte visiva dalla poesia, con un so lido bagaglio letterario caratterizza to dai testi di Stéphane Mallarmé e di Charles Baudelaire. Prima che nel 1963, a quasi quarant’anni, decidesse «a tavolino» di diventare artista, era scrittore e poeta. Il cambio di rotta non era stato determinato dall’inti ma esigenza di dar forma al proprio sentire, ma, come lui stesso ha sempre raccontato con estrema lealtà, dall’o culata intenzione di riuscire a ottenere la visibilità e il successo che la carriera di verseggiatore gli avrebbe precluso.
Mai Broodthaers ha nascosto la sua scarsa abilità pratica e fin da subito ha mostrato invece la natura speculativa della sua arte, pensata come uno stru mento per visualizzare le proprie idee.
Nella sua brevissima attività crea tiva, durata solo poco più di un decen nio, dal 1964 al 1976, quando muore a Colonia il giorno del suo cinquan
taduesimo compleanno, Broodtha ers ha tracciato un percorso variega to e complesso ma allo stesso tempo ricco di stimoli che ancora oggi so no fonte di ispirazione per molti suoi colleghi. Artista concettuale prima di tutto, non ha però mancato di rac cogliere suggestioni provenienti dal Surrealismo e dal Dadaismo, attento a farne un uso innovativo e calato nel contesto socio-culturale della propria epoca. È così che le influenze più im portanti di Broodthaers si possono ri conoscere nel Nouveau Réalisme, in Marcel Duchamp e, più di ogni altro, nel suo connazionale René Magritte, a cui, nonostante la grande differen za di età, l’artista è stato legato da una profonda amicizia e da una complicità intellettuale.
A questo maestro del senso cri
La poetica di Marcel
Il 22 ottobre al LAC a partire dalle 11.00 il MASI organizza una giorna ta di studi con alcuni dei maggiori esperti sull’arte di Marcel Broodthaers che ne approfondiranno gli scritti poetici degli anni Cinquanta, passando attraverso i Poèmes indu striels, le Lettres Ouvertes, sino ai Décors degli anni Settanta. Si potrà visitare la mostra gratuitamente.
tico in chiave ironica, demolitore di certezze e amante dell’arbitrarietà è dedicata la mostra ospitata al Museo d’arte della Svizzera italiana a Lu gano, nella sede espositiva del LAC, una rassegna, organizzata anche con la collaborazione della vedova dell’ar tista, che si focalizza sulle celebri serie di placche dal titolo Poesie industriali realizzate tra il 1968 e il 1972.
Broodthaers stesso definiva queste opere «rebus», dal momento che sono insegne in plastica su cui compaiono criptiche combinazioni di parole, se gni e forme. Il loro ispirarsi ai cartel li stradali nei materiali, nell’estetica e persino nel processo di esecuzione non è casuale: l’artista individua e ri propone uno degli oggetti che fanno della chiarezza la loro caratteristica essenziale sovvertendone però com pletamente la natura. Le placche di Broodthaers, infatti, non comunica no niente di comprensibile poiché qui le regole convenzionali del linguaggio vengono bandite.
Sono lavori in cui l’artista fa con fluire il suo passato di poeta attuan do una sorta di metamorfosi della pa rola in forma visiva. Lettere, simboli e segni di interpunzione si presenta no allo spettatore come indizi da de cifrare, come tracce disorientanti che esprimono l’impossibilità di una co noscenza univoca e definitiva.
Nelle oltre settanta placche radu nate nell’esposizione luganese, a cui
si affiancano disegni e schizzi prepa ratori, opere filmiche e audio nonché scritti dell’artista, si coglie bene la ca pacità di Broodthaers di creare enig mi e ossimori divertendosi di conti nuo con il linguaggio e la percezione.
In Société, ad esempio, uno dei lavori più interessanti in questo senso, le pa role raffigurate non formano una fra se sintatticamente compiuta e quindi non comunicano un significato chia ro. Broodthaers si affida semplice mente alla loro valenza evocativa e alla loro sonorità ispirandosi alla po esia visiva e a quella associativa sim bolista, con un riferimento particolare al già citato Mallarmé, maestro della musicalità del verso.
Ancora Mallarmé fa da mentore all’artista belga nell’opera Modèle: la virgule, dove una virgola posta sopra una pipa incarna l’idea della punteg giatura come manifestazione del rit mo interiore del pensiero, tanto cara al poeta francese. In questo lavoro, però, risulta evidente anche il forte legame con Magritte, con quella pipa che tan te altre volte ritorna nella produzione di Broodthaers a richiamare il celeber rimo dipinto Il tradimento delle imma gini, sintesi perfetta della riflessione sulla natura stessa dell’arte e dei suoi fondamenti logici e linguistici.
La ricerca tipicamente magrittia na del superamento dell’antitesi tra l’elemento reale e la sua rappresenta zione si ritrova anche nel film in mo
stra La Pipe (Gestalt, Abbildung, Figur, Bild ). In questa proiezione Broodtha ers lascia che alcuni oggetti appaiano e scompaiano dietro una nuvola di fu mo che esce da una pipa, indagando ulteriormente il potenziale espressivo di segni e simboli e il rapporto tra ve rità e inganno.
Osservando i pezzi esposti nella rassegna, ci si accorge di quanto, do po mezzo secolo, il lavoro dell’artista belga risulti ancora estremamente at tuale, ponendosi come esempio riu scito di un approccio all’arte provo catorio e anticonvenzionale. Partendo dalle sue ludiche manipolazioni lin guistiche, Broodthaers ha palesato l’arbitrarietà del linguaggio scritto e del linguaggio visivo, per arrivare in fine a svelare l’illegittimità dell’ope ra d’arte stessa: proprio lui, diventato artista in modo «insincero», è riuscito con uno sguardo acuto e obiettivo a scardinare convinzioni e a demistifi care codici e strutture, insegnandoci quel giocoso scetticismo che sempre dovrebbe accompagnarci nelle nostre riflessioni sull’arte.
Dove e quando Marcel Broodthaers – Industrial Poems. Museo d’arte della Svizzera italiana – LAC, Lugano. Fino al 13 novembre 2022. Orari: ma-me-ve 11.00-18.00; gio 11.0020.00; sa-do e festivi 10.0018.00. www.masilugano.ch
CULTURA ● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 17 ottobre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino 35
Musée d'Art Moderne, Département des Aigles, Service Publicité, 1971. Plastica termoformata e verniciata. (© Succession Marcel Broodthaers / 2022, ProLitteris, Zürich)
Mostra ◆ Fino al 13 novembre una mostra al LAC celebra l’irriverente maestro belga Marcel Broodthaers e le sue celebri placche
Alessia Brughera
e sopraffino per grandi e piccini.
Delicato
Delicato piace a tutti. SCOPRITELO ORA! I disegni vincitori del concorso «Dipingi la tua famiglia»
Affresco di una grande storia umana
Pubblicazione ◆ Pochi giorni fa abbiamo festeggiato Annie Ernaux, nel 2021 il Premio Nobel era andato al romanziere Abdulrazak Gurnah, ora in libreria con Voci in fuga
«Qualunque sia il motivo che vi spin ge a fuggire dal vostro paese, che sia la guerra, o la repressione, ve ne an date sapendo che per quelli che resta no non c’è scampo. E non si può fare a meno di sentirsi in colpa per averli abbandonati. Poi con il tempo si rie sce, in un modo, o nell’altro, a farsene una ragione. Ma c’è sempre un prez zo da pagare». Le parole rilasciate du rante un’intervista sono quelle di Ab dulrazak Gurnah (nella foto), Premio Nobel per la Letteratura 2021, che ha provato sulla propria pelle la fuga e l’esilio, la paura, la nostalgia e l’os sessione di dimenticare legami, ricor di, odori, luoghi e persone conosciute, o che lo avevano amato a Zanzibar, il suo paese, che ha lasciato diciotten ne negli anni Sessanta del Novecen to per l’Inghilterra e la libertà, anche quella di poter continuare a studiare.
Ma il trauma di quella fuga, di quel taglio netto con gli affetti più cari e il disorientamento dell’esilio sono, da trent’anni a questa parte, il fulcro dei suoi romanzi, la cifra della sua narra zione che in Voci in fuga, s’intreccia con le vicende storiche e politiche del continente africano.
Siamo alla metà del 1907, e – come scrive Gurnah – «tedeschi, britannici, francesi, belgi, portoghesi, italiani e tutti gli altri avevano già tenuto il loro congresso e disegnato le loro mappe e firmato i loro trattati» e ognuno di lo ro ha il suo pezzo di Africa e si appre sta a governarlo soffocando le rivolte delle varie etnie; dei mercanti arabi e swahili; dei marinai e dei carovanieri abituati sino a quel momento a percor rere tutto il continente senza ricono scere frontiere, o altre regole che non le proprie per trafficare con le varie popolazioni. Il romanzo, ambienta to in una piccola città sulla costa della Tanzania, all’epoca parte della Deut sch-Ostafrika, Africa Orientale Tede sca, racconta come una serie di per sonaggi fuggiti in cerca di un destino migliore, abbiano finito per incontrar si lì e sormontando le proprie paure, vincendo l’amarezza delle esperienze vissute, la diffidenza di chi li accoglie e le incognite dei conflitti coloniali che li rendono prima sudditi tedeschi e poi britannici, riescano a farsi una famiglia e a creare quelle radici che non avevano mai avuto altrove. Che siano essi africani, o tedeschi, di fatto sono tutti esiliati in cerca di riscatto i personaggi di questa saga avvincen te che inizia con il trentenne Khali
fa, di padre indiano e madre africana, sfuggito alla miseria della sua famiglia nel Gujarat, per fare il contabile di un potente quanto scaltro mercante di questa città portuale; e prosegue con Ilyas, allegro idealista che, rapito da bambino da un askaro della famigera ta Schutztruppe (un’accolita di merce nari africani, zulu shangaan, nubiani, nyamwezi, armati e addestrati alla fe rocia dai tedeschi per seminare il ter rore), e cresciuto ed educato da una famiglia tedesca, sparisce nelle guerre coloniali africane; finché entra in sce na, Hamza, diciassettenne che sem bra avere il diavolo alle calcagna tanto da arruolarsi volontario nella temuta Schutztruppe dove si nasconde e poi impara a vivere. Abdulrazak Gurnah evoca un continente africano molto diverso da quello che conosciamo, o che di solito ci prefiguriamo, e la real tà che ci presenta è molto più sfaccet tata e complessa di quanto un libro di storia possa raccontare.
Voci in fuga è l’affresco di una gran de avventura umana intessuto di det tagli etnici e sociali, di reali episodi storici, impreziosito dai risvolti psico logici dei protagonisti, uomini e don ne, solitari, sballottati dagli eventi, so spesi tra varie culture, tra la religione e le tradizioni, alla ricerca di un po’ di felicità. Non è un caso che nel rac conto compaiano spesso frasi e paro le arabe, tedesche, o swahili, lasciate in originale per rispecchiare la natu ra multilingue della società dell’epoca in cui si muovono i personaggi, persi nei meandri di un linguaggio per lo ro a volte misterioso, ambiguo, o in comprensibile. Il romanzo inizia in Africa e finisce in Europa nella metà del 1960, coinvolgendoci sino all’ul timo in un universo denso di storie e di sentimenti, in un modo che non è mai sentimentale nei toni, ma piut tosto sempre alla ricerca di un punto di vista diverso, di una prospettiva di pacata sincerità attraverso lo sguardo dei protagonisti alle volte malinconi co, ironico, o doloroso che però ci por ta a riflettere sul continente africano e sui terribili avvenimenti di un’epo ca controversa che lo coinvolsero e lo devastarono spezzando costumi mil lenari, ma anche catene e servitù, cre andone però di nuove non meno aspre e discutibili.
Il gus to di c a s a!
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 17 ottobre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino CULTURA 37
Blanche Greco
Bibliografia Abdulrazak Gurnah, Voci in fuga La nave di Teseo, Milano, 2022. Keystone
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a scuotere le nostre coscienze
Quando esci da una proiezione del Festival Diritti Umani di Lugano spesso e volentieri sei frastornato, scosso, anche arrabbiato. Ogni film in programma è come un pugno al lo stomaco e ti fa male per ore, anche per giorni.
Lo sanno bene i programmatori, i quali anche quest’anno si sono soffer mati su alcuni temi caldi e hanno cer cato di sviscerarli. Nei cinque giorni della rassegna si potranno vedere 26 opere, di cui 9 in prima svizzera e 15 in prima ticinese.
I luoghi in cui sono in corso con flitti, dove la libertà è una parola sen za senso e dove non si può uscire di casa senza essere sorvegliati sono an cora molti, purtroppo. E la rassegna del presidente Roberto Pomari e del direttore Antonio Prata cerca di met terli in evidenza, grazie a pellicole co raggiose e uniche. Il tutto accompa gnato da dibattiti e approfondimenti. Infatti, dopo le proiezioni, sul palco si alterneranno esperti dei temi narrati nei film, insieme ai registi e ai prota gonisti delle storie appena viste. Un dialogo come sempre aperto anche al pubblico e in particolare ai ragaz zi. Il coinvolgimento degli studenti è un aspetto al quale il Festival ha sem pre dato molta importanza ed è par te integrante della rassegna luganese. Quest’anno sono sei le pellicole pen sate per i giovani. A iniziare da Yuni che tocca la sempre difficile scelta fra tradizione e integrazione, proseguen do per la radicalizzazione con The Return: LifeAfter ISIS, passando per l’analisi del sistema giudiziario russo con The Case, e per le scelte alternati ve con la comunità della ZAD (Zo na da difendere) di Nantes (grazie a L’Étincelle), arrivando alla vita delle seconde e terze generazioni di afrodi scendenti in Svizzera ( Je suis noires), fino alla brutalità dei regimi totalitari (Myanmar Diaries).
Proprio quest’ultimo film è un bell’esempio di quanto appena det to. Presentato al Festival di Berlino quest’anno, è ambientato in un Pae se che vive sotto una dittatura milita re. Dieci cineasti anonimi raccontano la brutalità in cui vivono i cittadini. Si tratta di un collage di brevi do cumentari misti a film che offre al lo spettatore sprazzi di vita e resisten za. Un’opera forte, cruda, intensa e drammatica che inizia in modo sur reale, con una ragazza che balla e, per caso, cattura l’inizio del colpo di Sta to. Oltre alle immagini ci sono an che alcune parole e quelle più signi ficative e intense sono urlate da una signora – che protesta per l’omicidio a sangue freddo di una ragazza – ai soldati in fila dentro i veicoli militari. Il tutto senza mai mostrare un viso e intingendo la penna del racconto an che in momenti di poesia. Alla fine di una delle due proiezioni di Myan mar Diaries, sabato 22 ottobre, vi sarà una conferenza con Tim Enderlin dell’Ambasciata svizzera in Myanmar e Justine Boillat, responsabile del pro gramma di politica di pace in Myan mar del DFAE.
Un altro momento significativo del Festival è contraddistinto dalla pro iezione di Mariupolis e Mariupolis 2 Due opere, anche diverse tra loro, che testimoniano la preparazione e l’arri vo della guerra in Ucraina. Se nel pri mo capitolo, girato nel 2015, i giorni sembrano apparentemente «normali» e delle bombe si sente solo l’eco lonta na (perché i combattimenti nella pe riferia della città non sono mai cessati dal 2014), nel secondo capitolo siamo immersi nel conflitto. Il regista litua
no Mantas Kvedaravičius torna dalle persone che ha filmato sette anni pri ma e le segue. Fino a quando, men tre sta cercando di lasciare il paese con un’auto, viene ucciso da un razzo russo. Il documentario (vincitore del premio speciale della giuria a Cannes) che sarà proiettato giovedì 20 ottobre al Corso, è stato completato dai suoi collaboratori e produttori.
Ma non ci saranno solo i due film di Kvedaravičius, infatti il Festival ha scelto di mettere un focus preci so sull’area influenzata dall’ex URSS. Come? Mostrando i soprusi della po lizia bielorussa nei confronti dei ma nifestanti con Minsk di Boris Guts. Una fiction molto forte che riprodu ce fedelmente le angherie del regime di Lukashenko. «Dopo ogni ripresa, tutti noi ci abbracciavamo perché sen za affetto e intimità quello che stava mo girando era difficile da sopporta re», ha confidato di recente il regista. O ancora sarà proiettato Instruction for survival di Yana Ugrekhelidze sui diritti delle persone transgender nei Paesi dell’Est. Senza dimentica re Klondike di Maryna Er Gorbach, la storia di una famiglia ucraina che abita nel Donbas, proprio sul confine con la Russia.
Un altro appuntamento significa tivo è il film della prima serata. Mer coledì 19 ottobre alle 20.30 al Corso verrà proiettata l’ultima opera di Ja far Panahi (Gli orsi non esistono), pre mio della regia all’ultima Mostra di Venezia. Qui c’è lo stesso regista che sta girando un film al confine tra la Turchia e l’Iran – lui in Iran e la trou pe all’estero – e viene coinvolto in una diatriba locale per una foto che avreb be scattato a due fidanzati clandesti ni. In libertà condizionata dal 2010, Panahi ha continuato comunque a gi rare film da remoto, un modo per ag girare la censura di Teheran. Ma lo scorso 11 luglio Panahi è stato portato nel carcere di Evin, dove è tuttora de tenuto, per aver protestato contro l’ar resto dei colleghi Mohamad Rasou lof e Mostafa Al-Hamad. Un carcere, quello vicino alla capitale iraniana, noto per le incarcerazioni di dissiden ti politici e oppositori di vario gene re e dove è imprigionata anche Ales sia Piperno, la giovane travel blogger italiana.
È altresì utile segnalare l’appun tamento di chiusura del festival che lancia un altro evento cinematogra fico: Castellinaria. Infatti, la sera del 23 ottobre sarà proiettato Alcarràs di Carla Simón, l’opera vincitrice della Berlinale di quest’anno che sarà ri proposta nella rassegna bellinzonese,
che si tiene a Giubiasco tra il 19 e il 26 novembre. Il film è ambientato in una località rurale della Catalogna dove la famiglia dei protagonisti è da genera zioni dedita alla coltivazione delle pe sche. Mentre nei frutteti, sotto il so le bruciante dell’estate, si consumano i rituali del raccolto, all’orizzonte si profilano segnali preoccupanti per il futuro. Infatti, i proprietari vendono il frutteto a un’azienda energetica per installarvi sopra pannelli solari. Ecco, quindi, che la questione ambientale e
in particolare i tanto apprezzati pan nelli solari possono diventare un pro blema per il sostentamento economi co di una famiglia.
Non mancheranno gli eventi col laterali come la mostra sul volume Finestre sull’altrove / 60 vedute per 60 rifugiati, dell’architetto illustratore Matteo Pericoli: dal 18 al 23 ottobre a Villa Ciani saranno esposte le tavo le e i racconti tratti dal libro. E infi ne, sabato 22 ottobre, si celebreranno i 30 anni del CISA con la proiezio
tuo
ne di alcuni cortometraggi realizzati da giovani autori su temi legati ai di ritti umani.
E gli ospiti? Segnaliamo che tra le varie personalità sarà a Lugano la re gista franco-cambogiana Neary Ade line Hay, alla quale venerdì 21 otto bre sarà attribuito il Premio Diritti Umani. Come ha detto il direttore della rassegna Antonio Prata «que sta regista ha consacrato fino ad oggi gran parte del suo lavoro al genocidio cambogiano, alla ricostruzione dif ficile della sua identità personale e a quella di un intero popolo profonda mente segnato da quei tragici eventi». Una presenza che si differenzierà dal le altre sarà quella del rapper Inoki, ospite del dibattito Ritmo e poesia oltre la nera cortina, titolo emblematico, al termine della prima svizzera del film El Arena (sabato 22 al cinema Corso), che racconta dei raduni e delle «batt le» tra rapper provenienti da vari paesi del Medio Oriente.
Tutti gli appuntamenti hanno il compito di scuotere le coscienze e mostrare mondi vicini e lontani che non hanno la libertà e la forza di po ter organizzare un festival sui di ritti umani.
Dove e quando Film Festival Diritti Umani al Cinema Corso e al Cinema Iride dal 19 al 23 ottobre. Informazioni e biglietti si trovano sul sito www.festivaldirittiumani.ch
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 17 ottobre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino CULTURA 39
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FFDUL torna
Cinema ◆ Dal 19 al 23 ottobre a Lugano c’è la nona edizione del Film Festival Diritti Umani Nicola Mazzi Una scena del film documentario Mariupolis
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Sguardi teatrali e narrazioni al femminile
Giorgio
A manifestazione ormai conclusa, la 31esima edizione del Festival Inter nazionale del Teatro (FIT) ha lascia to come sempre un’interessante scia di aspettative sugli sviluppi della sce na contemporanea, con i suoi nuovi linguaggi e le sue spiazzanti modali tà. Sommando le proposte in cartel lone, quest’anno il peso specifico del FIT ha privilegiato la scena più adul ta con un’equa ripartizione fra danza e teatro con una linea editoriale scelta dalla direzione artistica che è riuscita a concentrarsi sulla scrittura al fem minile senza piegarsi a facili tenden ze. Ci piace certamente ricordare Lo ve Me dell’argentina Marina Otero, accanto a produzioni svizzere come Uprising di Tatiana Julien e Chasing A Ghost di Alexandra Bachzetsis (nella foto). Spettacoli di danza contempo ranea che hanno anche contraddistin to la prima metà del Festival, aderenti al tema centrale dedicato alla donna, alla sua inclusione, in contrasto con l’espressività e le logiche ancora in gran parte dominanti del mondo ma schile. È interessante notare lo sforzo voluto nel dare un medesimo orien tamento agli spettacoli della sezio ne rivolta al pubblico dei più piccini, scegliendo giovani firme della coreo grafia femminile. Come per Le Mileu di Valentina Paley o Ha Ha Ha di Eu génie Rebetez.
Non abbiamo seguito tutte le pro poste di Young & Kids, cinque in tutto
se consideriamo anche la scoppiettan te produzione di Tabea Martin. Ma un’idea ce la siamo comunque fatta.
Soprattutto tenendo conto di spet tacoli dove la fantasia creativa viene lanciata a briglia sciolta pronta a con frontarsi con un pubblico di ogni età. In questo senso ha destato una certa sorpresa l’assenza di bambini per la rappresentazione di Ah Ah Ah della Rebetez, un assolo di bravura del per former palestinese-americano Tarek Halabi: poco o nulla in scena per una cavalcata nella fantasia. Un debutto insolito per un artista abituato a con frontarsi con l’esuberante rumorosità dei bambini.
Anche la parte teatrale adulta del FIT ha mantenuto la coerenza edito riale. Già con Amor fugge restando (Lo ving Kills) di Anahì Traversi in scena con Simon Waldvogel. Terzo capito lo del Collettivo Treppenwitz nella ricerca sull’amore. Un esercizio dove viene dato spazio alla parola scrit ta della Traversi riletta con l’aiuto di Francesca Garolla. È uno spettacolo che merita di essere rivisto per poter ne meglio apprezzare le qualità. Pen siamo infatti soprattutto alla sua parte centrale che sostituisce le pur effica ci narrazioni degli attori affidandole a silenziose figurazioni, quadri amorosi in maschera che nulla aggiungono a un’interessante progetto di scrittura.
Sorpresa e ammirazione ha de stato Dr Churz, Dr Schlungg und Dr
Cliché, ma non banale
Böös della zurighese Johanna Heus ser che è riuscita a raccontare tene rezza e amore sfruttando il paradosso del contrasto. In scena due nerboru ti atleti si allenano per lo Schwingen, la lotta svizzera. Come un rituale lai co consumato sull’altare di un classico ring di segatura allestito nel Teatro Studio del LAC, il racconto si snoda partendo da una leggenda urana con una sorta di danza atipica fra metodi ci movimenti ginnici, il racconto e il canto di uno Jodel urlato bocca a boc ca, come in una celebre azione di Ma rina Abramovic con Ulay. Fino all’e vocazione di un quadro montagnoso, con cime di segatura avvolte da fumi di ghiaccio secco. Un progetto auda ce, frutto di un compromesso tra ori ginalità e narrazione, potenza virile e metafora di dolcezza.
Tortuoso invece il percorso del ri torno narrativo al FIT di Manuela Infante con Como convertirse en pie dra, un ambizioso progetto filosofi co incentrato sull’uomo, la memoria e la sua fugacità, concetti espressi at traverso una complessa e prolissa ti pologia teatrale. La Infante punta sulla sostanza simbolica con tre at tori e manichini per un universo dia lettico profondo che tiene in sospeso le azioni rivelatrici con una storia di sfruttamento economico. Bogdapro ste di Catherine Bertoni de Laet e In the Middle of Nowhere di Kristien De Proost hanno siglato questa edizione.
Il primo può definirsi un figlio del la Scuola del Piccolo di Milano diret to da Carmelo Rifici e prodotto dal LAC. Un esercizio accademico, molto scolastico su cui prevale un piano reci tativo ancora acerbo, accordato su no te troppo ambiziose per una tragedia famigliare dai toni cupi.
Altra musica con la brava De Pro ost in scena con il brasiliano Fred Araujo. L’artista fiamminga aggiun ge nuova linfa alla sua cifra surreale (dopo On Track che il FIT aveva ospi tato nel 2016) giocando sul paradosso
dei centri: dove situarli, qual è il lo ro senso in rapporto con tutto il resto, con la vita.
Una performance originale, reci tata in bilico su un piede, suo centro di gravità temporaneo. Finché le si aggiunge il partner, giusto in tempo per animare una panne tecnica che ha messo in primo piano le qualità degli artisti restituendo alla platea una cari ca positiva concludendo nell’improv visazione un festival che ha mostra to parecchie risorse creative e ancora tanta voglia di sorprendere.
Marco Züblin
Avevo speso (6 giugno) parole di provvisorio apprezzamento per il pri mo piccolo ciclo di Cliché. Si confer ma anche dopo le prime due puntate della nuova serie (Un mondo sexy e La fuga), sia per la scelta e la trattazione un po’ obliqua dei temi, sia per l’ar chitettura della trasmissione.
Buone nuove, abbastanza, per il presentautore Buccella. Ho qualche dubbio sulla resa televisiva di certi suoi testi densi e lessicalmente sor prendenti, tra il pop e il letterario, che starebbero bene sulla pagina ma che, pronunciate a mitraglia e con re gistro «di testa», sfuggono comunque un po’ all’attenzione e quindi si per dono; soprattutto quando fanno da brulicante tappeto sonoro a immagi ni anche straviste ma ben montate a mille all’ora, che ghermiscono l’atten zione lasciando poco spazio per altro. Quindi, semplificare e rallentare non sarebbe un dramma, anzi, provare a scrivere «in levare»; e non andrebbe così perso «nella pioggia» quel bel ta lento che Buccella ha di leggere cose e fenomeni. Qui c’è, in generale, an che un tema di ego e di presenziali smo, essenziale per chi va in video ma che in Cliché può infastidire qualcu no. Niente di irrimediabile, forse solo questione di gusti.
Gli ospiti sono scelti con intelli genza e intelligentemente interpel lati (su tutti la Marzano, poi Lerner, Manara e Vignola sul sexy; Lucarel
li e Chatrian sulla fuga). Molto bene e in tema Soldini, sempre acuto in dagatore di figure, Emma Bovary e Carla de Gli indifferenti Parlando di pornografia si è, fe condamente direi, oscillato dal di scorso sull’immagine a quello sulla natura dello sguardo che su di essa si posa. Si sono dette cose interessan ti, non banali, su temi come il rap porto con il corpo, la sua dignità e la sua desessualizzazione tramite la so vraesposizione; sul corpo come luogo dei paradossi, tra fisicità e mediazio ne tramite l’immagine; sulla relazio ne tra sesso ed erotismo. Più organiz zata, attenta, la puntata su un tema bello e fondamentale, quello della fu ga; vi si è accampato con prepoten za l’affabulatore Lucarelli, Carla del Ponte interessante (ma poco in tema), l’acuta incursione nel cinema (mon taggi alternati, fughe e inseguimenti) con Chatrian.
Un magazine culturale riuscito e di arguta originalità, messo in scena con una certa sapienza drammaturgi ca, attorno a temi non ovvi e comun que indagati con la capacità audace (forse astuta) di adottare uno sguar do laterale, ambiguo. Fertilità eccen trica che mi pare uno dei modi giusti per intermediare e stimolare cultu ra nell’audiovisivo «classico». (RSI, LA1, mercoledì, prima serata; produ zione Consuelo Marcoli, regìa Mattia Capezzoli).
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Thoeni
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In fin della fiera
Il Bocciatore Tanghèro
Una doverosa premessa: la città di Torino è la capitale italiana del tango argentino con cinque scuole di altis simo livello. Perciò non ci sorprende sapere che Felice Pautasso, da quando è in pensione, dedica tutto il suo tem po alla grande passione della sua vita: fare il tanghèro.
Per ballare bene il tango è meglio es sere in due, ma per Felice non è mai stato un problema. L’idea di andare a ballare con la Pinuccia, sua legittima consorte da ben 38 anni, non l’ha mai presa in considerazione. Quando la vede ciabattare per casa, Felice pensa a un’auto con l’avantreno squassato da un tram e che nessuna magia di car rozziere riuscirà mai più a rimettere a posto. Con questo non è che invochi per la sua signora la rottamazione, ma il tango è un’altra cosa. Purtroppo le donne sono strane, hanno le loro fisi me e Felice è perfettamente in grado di prevedere le reazioni della Pinuc cia se lui le manifestasse l’intenzione di trascorrere tutti i suoi pomeriggi a
ballare il tango. Per evitare rogne ha deciso di dire alla Pinuccia che andrà a giocare a bocce, ma non può uscire di casa indossando giacca e pantaloni blu, camicia bianca, cravatta a palli ni rossi, scarpine nere e lucide. Eccolo salutare la moglie in jeans, polo spor tiva, giubbotto, scarpe da ginnastica, tenendo in mano una retina con due belle bocce di bronzo, costate una for tuna. Dalla cassiera della sala da ballo ha ottenuto, in cambio di un piccolo mensile, l’utilizzo del suo sgabuzzi no dove può tenere vestito, camicia e scarpe e cambiarsi: entrare crisalide e uscire farfalla, sia pure una farfalla con una pelata a malapena coperta da un lungo ciuffo di capelli che l’attra versa da un lato all’altro, incollata al cranio da uno strato di gel. Nel vortice della danza Felice si tra sforma e volteggia instancabile e pre ciso. Le signore con la ciccia strizzata nella guaina, il vestito aderente, il filo di perle, le scarpine di raso, lo chignon saldamente avvitato in testa, fanno a
Un mondo storto
Il pressappoco universale
La legge suprema dell’universo è il pressappoco. Anche l’orbita della terra attorno al sole non è il bel cerchio che immaginiamo, ma è un cerchio ova lizzato. E non solo. La luna fa oscil lare la terra, per cui l’ovale è anche ondulato. E neppure l’ondulazione è regolare, ma l’attrazione degli altri pianeti crea gobbe ulteriori nel cer chio, che risulta così qualcosa di sgra ziato e più simile a una ruota ammac cata che se la vede un gommista dice che è anche pericolosa. Noi invece ci viaggiamo sopra a 107 mila chilome tri l’ora, che è una velocità da suicidi, considerando anche il tragitto contor to. Pure la terra che dovrebbe essere una sfera, è invece schiacciata ai poli e più gonfia all’equatore, e la luna la de forma continuamente, producendo un bubbone che fa il giro completo ogni 24 ore, che poi anche le ore del gior no sono 24 pressappoco, e così i giorni
Xenia
Nel 1896, quando ci arriva Elin Da nielson, Antignano è un borgo di campagna separato da Livorno, ma conveniente per chi desidera prendere i bagni di mare senza spendere troppo. Elin è una pittrice, e pure abbastanza nota per i ritratti e le figure femminili in interni: in Dopo colazione, del 1890, ha raffigurato una ragazza al tavolo con in bocca una trasgressiva sigaret ta; in Sorelle, del 1891, due fanciulle in salotto all’ora del tè, intente a leggere e cucire. Ma è interessata al mondo del lavoro, e ha dipinto anche Raccoglitri ci di patate (1893) e una Ragazzina al forno (1894). Ad Antignano cerca so le e soggetti per i suoi quadri (lavan daie, contadine). I vicini la notano per l’aspetto (nordica, bionda, graziosa) e per il comportamento: riservata, indi pendente. Insomma, una donna sola. Viene da molto lontano, ma gli italia ni il suo paese non l’hanno mai sen
dell’anno 365 pressappoco, dobbiamo aggiungere ogni tanto un bisestile. E la stella Polare? indica il nord; sì, ma pressappoco. La bussola? anche lei il nord lo indica ma spostato di qualche grado. Che non è lo stesso della stella Polare; anche i pressappoco sono pres sappoco, ognuno è sbagliato in modo diverso. Ogni cosa esistente è tirata da tutte le parti. Sembra ci sia tanto spa zio vuoto, in realtà siamo pigiati co me all’ingresso di un cinema, dove ai primi cento che arrivano dessero sol di, mille euro, e ai secondi un panet tone, e poi pacchi di pasta, scatolet te di tonno ecc. Tutti spingerebbero e sarebbero spinti, chi ha molta cic cia si deformerebbe. Ecco, siamo pi giati così nell’universo, ogni galassia è un cinema che dà regali e gli astri si ammassano, sgomitano, in un ingor go impressionante. Se fossero auto ci sarebbero solo lamiere contorte, tam
gara per essere scelte come dame da un tal ballerino. E così, ballando bal lando, di pomeriggio danzante in po meriggio danzante, attorno a Felice si crea un circolo di fedelissime seguaci che se lo contendono. Ma lui resiste, non si lascia chiudere in gabbia: bal lare è bello se puoi a ogni giro cam biare ballerina, senza l’obbligo di in vitare quella che tiene in casa il tuo costume. Nel frattempo la Pinuc cia, la sua legittima, non è stata con le mani in mano: «Possibile», ha det to al suo Felice, «che, con tutto quel giocare a bocce non vinci mai nien te, neanche uno straccio di coppa da mettere in cima al televisore? Il mari to della signora del terzo piano gioca anche lui a bocce e ha vinto un tro feo bellissimo che lei mostra e tutti». Nel quartiere c’è un negozio che tie ne in vetrina coppe, medaglie, trofei. Felice ci va e compra un oggetto vi stoso: una base quadrata sulla qua le è poggiata una colonna che regge una boccia. Infligge un’altra vistosa
emorragia al suo gruzzolo segreto. Sta per uscire quando il venditore lo ferma: «Aspetti! Dobbiamo incollare la targhetta: cosa ci scriviamo?» Feli ce è preso in contropiede, non ci ave va pensato. Più in là, sul bancone, c’è un trofeo identico al suo, completo di targa. Felice lo indica: «Ne metta una eguale a quella». Gli dei del tango pu niscono chi è troppo sicuro di sé.
La Pinuccia è così orgogliosa del tro feo guadagnato dal suo uomo che lo porta in giro per mostrarlo alle ami che e alle vicine di casa. Compresa quella del terzo piano con un mari to campione nel gioco delle bocce.
Le due donne sono sul pianerotto lo: «Che strano,» osserva la vicina ri girandosi tra le mani il trofeo e leg gendo le parole sulla targhetta. «È uguale identico a quello che ha vinto mio marito. Aspetti». Rientra in casa e ne riesce con il suo. Sono gemelli.
La donna è stupita: «Oreste non mi ha detto che a vincerlo sono stati in due. Quando torna a casa gli chiedo
di spiegarmi il mistero». Dei due ma riti il primo a rientrare è Felice che, quando Pinuccia lo aggiorna, si preci pita in strada, riuscendo a intercettare il vero campione. Non ha il piacere di conoscerlo ma, raccontandogli la ve rità e in nome della solidarietà ma schile, ottiene la sua complicità. La versione concordata: è stato un erro re in buona fede del venditore che ha confuso gli ordini, Felice tornerà nel negozio e farà mettere la targa giusta sul suo trofeo. I due diventano amici, si scambiano i numeri di telefono ma, nel turbine della danza, Felice tiene il suo silenziato. In una pausa scopre che Oreste l’ha chiamato più volte: allarme rosso! Le due signore si stan no recando al bocciodromo per tifa re per i rispettivi mariti. Non c’è più tempo per cambiarsi. Felice con un taxi si precipita sul campo da gioco, con il suo vestito blu, camicia, cravat ta, scarpini neri e lucidi. Diventando per tutti, da quel giorno, il Bocciato re Tanghèro.
tito nominare – del resto la Finlandia è un granducato all’interno dell’impe ro russo. Elin era nata trentanove anni prima a Normaakku, un villaggio sul golfo di Botnia. Nel 1872, a nove an ni, era rimasta orfana del padre, morto suicida: l’aveva cresciuta lo zio mater no, che a quindici anni le permise di frequentare la scuola di disegno a Hel sinki. Si specializzò in nature morte e figure. Sembrava destinata a un’oscura carriera di insegnante ma nel 1883 ot tenne dal Senato una borsa di studio per trasferirsi a Parigi. Frequentò l’a telier di Rodin e poi si spostò in Bre tagna, a Pont-Aven e Concarneau, do ve gli artisti dipingevano paesaggi en plein air. Da allora, alternò ritorni in patria a soggiorni e viaggi nelle capita li europee. Nel 1896, un’altra borsa di studio la ricondusse a Firenze. Dove va prepararsi all’ammissione all’Acca demia. Ma era estate e preferì la costa.
ponamenti e via dicendo, un macello. Ma succede lo stesso tra noi umani: quando ci parliamo ci capiamo? Beh, pressappoco: l’oratore di un partito po litico tiene un comizio. Lo vanno ad ascoltare le persone più diverse. Co me fanno a essere d’accordo e votare per lui? Beh, per il fatto che ognuno lo capisce a suo modo, cioè pressappoco, altrimenti sarebbe impossibile fare un partito; le democrazie si fondano sul pressappoco. A essere giusti ogni per sona dovrebbe costituire un partito. E poi anche una persona non è mai d’ac cordo con sé stessa che pressappoco. I ricordi mutano continuamente, quindi difficile dire che un ricordo è sempre lo stesso, lo è su per giù, e così le opinioni, uno mantiene circa la stessa opinione, e l’identità di una persona è qualcosa di approssimativo; se uno dovesse di scutere col sé stesso di tre giorni prima ci litigherebbe, guarda là cosa sono an
dato a pensare! non mi riconosco! uno si darebbe dell’asino, al sé retroattivo, con grave danno alla compattezza del la persona.
Niente sfugge al pressappoco. Quando parliamo ognuno pronuncia le parole in modo leggermente diverso, da cit tà a città, ma bene o male ci conside riamo dentro una stessa lingua, che è qualcosa però di molto approssimativo.
Sarebbe più comodo fosse tutto per fetto. Ad esempio: per un elementare senso di giustizia, gli esseri umani do vrebbero essere di un solo tipo, si eli minerebbero invidie, delusioni, e tutto questo pressappochismo nella replica zione genetica, che funziona come un motore malfatto.
Però poi non so. Forse questo univer so fondato sul pressappoco è il miglio re degli universi possibili. Ci saranno universi dove c’è una molecola ogni dieci centimetri, equidistante dal
le altre molecole che stanno attorno, e così all’infinito, un universo esatto, che non ha grumi, bolle, irregolarità. Chiedo: sarebbe di soddisfazione? Può darsi lo sia per chi l’ha fatto e lo con templa, ma chi ci vive dentro dopo un po’ non ne può più. Infatti dentro non ci sarebbe nessuno, perché ci fosse sa rebbe un’irregolarità, e ci ritroverem mo col nostro universo, che quindi è l’unico possibile, un universo malfat to, dove regna l’ineguaglianza, e quin di invidie, furti, raggiri, intimidazio ni, corruzione, spavalderie, la politica, l’inganno, la TV con le sue idiozie, le guerre, i suicidi, eccetera, ma anche l’arte, quel capolavoro di pressappo chismo che è l’arte; pittura, letteratu ra, musica, cinema, tutte figlie dell’ap prossimazione, un buon autore non è mai contento, aggiunge, rifà, gli esce qualcosa che è pressappoco, ma può essere un capolavoro immortale.
Ad Antignano incontra un pittore, Raffaello Gambogi, legato al gruppo dei post-macchiaioli. Allievo di Gio vanni Fattori, paesaggista, nel 1894 si è fatto conoscere con Emigranti – sul soggetto del momento: l’emigrazione di massa degli italiani verso le Ame riche. Ha appena vinto un premio per Uscita dalla messa. Nonostante la dif ferenza d’età (lui è più giovane di tre dici anni), di esperienza e di vita, Elin e Raffaello si innamorano, si fidanza no e nel febbraio del 1898 si sposano. Si trasferiscono a Torre del Lago, do ve frequentano il circolo dei sostenito ri di Puccini La bohème. Aggiornato da Danielson, Gambogi progredisce. È il dono di Elin. Anche con l’amore pre cedente era stato così. Fra il 1890 e il 1895 aveva fatto coppia con Gustav Vi geland. Oggi è considerato il principa le scultore norvegese, e Oslo gli ha de dicato un parco urbano con centinaia
di opere. Ma quando incontrò Elin era solo un intagliatore di ventun anni, fi glio di contadini, che sognava di diven tare scultore. I viaggi che fece con lei lo dirozzarono e fecero di lui un’artista. Tuttavia è un periodo felice anche per lei. Un suo quadro, Estate, viene ac quistato dal re d’Italia, Umberto (per 4000 lire), e Sera d’inverno accettato alla Biennale di Venezia. Nell’autun no del 1899 si ammala di tifo, e tra scorre la convalescenza ad Antigna no. Vi dipinge Il filo del bucato: una donna stende la biancheria, nella lu ce calda dell’estate. Immagine di sere nità ingannevole, perché invece Gam bogi la tradisce con la pittrice Dora Wahlroos, amica di lei e loro ospite, e il matrimonio esplode. Un viaggio in Finlandia non migliora la situazione: Gambogi ha un crollo psichico. Al ri torno in Toscana, nel 1902, come l’ib seniana Nora, Elin abbandona il ma
rito e fugge. Poi ritorna e acconsente a seguirlo a Volterra, dove lui inizia a curarsi nel manicomio diretto da Lui gi Scabia. Contrario alla contenzione, lo psichiatra organizza spettacoli e at tività teatrali, e sperimenta l’ergotera pia. I bei tempi della Bohème però non ritornano. Elin deve lottare con la po vertà, la malattia mentale del marito, la solitudine: per gli italiani, è solo la moglie straniera di un «pazzo». Ma non si lascia strappare la pittura. La sua ultima opera, La filatrice, è an cora sul lavoro femminile: una sinfonia rosso e oro in un interno, con una don na di mezza età alla ruota della tessi tura. È un quadro naturalistico, eppu re simbolico. Anche il filo della vita di Danielson è ormai sottile. Muore il 31 dicembre del 1919, di polmonite. Co me almeno cinquanta milioni di abi tanti della terra, vittima dell’epidemia di spagnola.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 17 ottobre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino CULTURA 43 ◆ ●
di Ermanno Cavazzoni
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di Bruno Gambarotta
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di Melania Mazzucco
Elin Danielson
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