Il gusto che viene dal cuore
Marchi Emmi in azione
edizione 42
MONDO MIGROS
Pagine 4 / 6 – 7
SOCIETÀ Pagina 5
Dipendenza da Internet: intervista allo psicologo Pietro Scurti che se ne occupa in un manuale
Il ticinese Mattia Vosti, uno dei più esperti piloti di parapendio, spiega il Cross-country agonistico
TEMPO LIBERO Pagina 15
La selvaggina metterebbe a rischio la rinnovazione dei boschi. Il ruolo di cacciatori e lupi
ATTUALITÀ Pagina 25
L’impronta dei ticinesi a Roma
Shelly Kupferberg, nata a Tel Aviv, di casa a Berlino, racconta la vita di Isidor, una storia di famiglia
CULTURA Pagina 37
16-17
Gli animali sono meglio degli umani?
Le sezioni di Svizzera e Lichtenstein dell’UNHRC (l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati) hanno lanciato appelli per raccogliere fondi a favore dei sudanesi, da oltre 18 mesi in emergenza alimentare. Dieci milioni di persone nel Nord del Paese lottano per la sopravvivenza. Più dell’allarmante richiesta di aiuti, ad attirare la mia attenzione sono stati alcuni sbalorditivi commenti su Facebook che dicevano, più o meno: «Io faccio beneficenza solo per gli animali, che sono molto meglio degli uomini». Inizialmente ho provato rabbia, poi ho cercato di riflettere. Lasciamo perdere lo sprezzo per gli umani affamati che, evidentemente, per questi signori valgono meno di orbettini, libellule o criceti.
E non entriamo nel doloroso capitolo degli animali sfruttati e maltrattati: meritano tutta la nostra attenzione e sensibilità. Chi fa soffrire un animale è un pessimo umano. Ma questo aut
aut inquieta: o aiuto gli animali o aiuto gli esseri umani. Com’è possibile ragionare così? Il problema è profondo: nel comune sentire l’idea della superiorità – diciamo così «morale» –degli animali è molto radicata. Meglio loro di noi, quindi? La domanda è sbagliata in partenza; non siamo paragonabili. Vero che anche quella umana è una specie animale, ma con caratteristiche uniche. Gli uomini possono essere buoni o cattivi; le bestie no, seguono l’istinto, il programmino interno dell’hard disk predisposto dalla natura o da Dio (per chi ci crede). «Sanno» come comportarsi in ogni situazione, perché c’è in loro una voce che li spinge a fare, invariabilmente, ciò che nell’economia della propria esistenza è più utile o necessario: cacciare o nascondersi, procreare o sottomettersi al capobranco. Il tenero agnellino che bruca nel prato non è migliore del lupo che cerca di mangiarlo: ognuno segue semplicemente le leg-
gi iscritte nella propria natura. Siamo noi umani che possiamo decidere di deviare dal programmino dell’hard disk, perfino a nostro svantaggio, se riteniamo che ci sia un valore superiore a cui vale la pena di sacrificarsi. Così, le bestie non deludono mai, al massimo possono spaventarci; nessuno può colpevolizzare lo squalo perché sbrana il piccolo di delfino. A volte ci inteneriscono, ma tendiamo a fraintenderle: magari si strusciano su di noi per fame, non per affetto. Molti le trattano come «bambini» anche quando non sono cuccioli. Povere bestie! Sono intelligenti, a modo loro, soprattutto alcune specie: cavalli e scimmie, per dire. Ma almeno in questo, l’intelligenza, di solito la maggior parte di noi li batte. Di sicuro, rispetto ai nostri simili, sono più «comodi» da gestire. Se metti un felino sulla trapunta, gli servi crocchette al salmone e lo lasci ronfare tra le tue lenzuola, è statisticamente probabile
che non rompa le scatole. L’animale non ti contesta, non ti risponde, non lascia le calze sporche sul pavimento, non ti manda a quel paese. Noi, invece, siamo infidi, ingrati, egoisti. Siamo le bestie più dannose: avveleniamo il pianeta su cui viviamo. Da quel lato, a dispetto del QI, siamo una specie imbarazzante. A giudicare dai tg, molti di noi sono temibili mostri: rubano, uccidono, umiliano, violentano, affamano. Ma allora li definiamo «dis-umani». E sono, crediamo, una minoranza. In numerosissime persone brilla la luce calda della bontà, della generosità, della capacità di aumentare la felicità del mondo, uomini e bestie compresi. Anche per gli umani è un attimo cadere dalla parte delle vittime. Date i soldi a chi volete, ma se non solidarizziamo noi con questa specie di esseri altamente imperfetti alla quale, volenti o nolenti, apparteniamo, chi lo farà? Gli ermellini, i paguri, le termiti, le carpe?
Prendere la vita al volo
Eccellenze di casa nostra
Un viaggio nella Città eterna abb
Percento culturale ◆ Una giuria ha selezionato 33 progetti nell’ambito dell’iniziativa «Vivi la vita»
Ce ne parla Anna Frey, responsabile temi e progetti affari sociali, Direzione società e cultura FCM
Mario Messina
Anna Frey, qual era lo scopo di questo bando di concorso chiusosi il 6 settembre 2024, in cui il Percento culturale Migros cercava progetti e offerte per giovani tra i 13 e i 25 anni, e dove ognuno dei progetti selezionati sarà sostenuto con un importo compreso tra 3'000 e 30'000 franchi?
Il Percento culturale Migros cercava progetti rivolti ad adolescenti e giovani adulti di età compresa tra i 13 e i 25 anni che raggiungessero anche i giovani a rischio di povertà. In Svizzera 374.000 bambini, adolescenti e giovani adulti sono colpiti o a rischio di povertà (fonte: Ufficio federale di statistica 2022). L’obiettivo era quello di sostenere e pubblicizzare il lavoro delle iniziative che operano con i giovani a livello locale, regionale o nazionale per promuovere le pari opportunità. Con i 33 progetti selezionati dalla giuria, il Percento culturale Migros sostiene ora proprio queste iniziative con un finanziamento complessivo di 426’000 franchi.
ticinese vive con un budget limitato e anche molti bambini, adolescenti e giovani adulti ne sono colpiti. C’è quindi bisogno di programmi che rafforzino i giovani e li aiutino a sviluppare prospettive per il futuro, in modo da non lasciarli indietro.
Quali sono i progetti che trova più interessanti?
Info Migros ◆ Un’azienda in visita a un’altra
Itinerario architettonico ◆ Dal Cinquecento Roma è stata dimora e bottega per centinaia di maestranze di casa nostra decise a portare
Anna Frey, responsabile temi e progetti affari sociali, Direzione società e cultura, Federazione delle cooperative Migros.
In totale sono stati scelti 33 progetti, di cui 6 ticinesi: il numero di partecipanti dalla Svizzera italiana è aumentato? In effetti, abbiamo ricevuto un numero relativamente elevato di candidature molto varie dalla Svizzera italiana (le organizzazioni ticinesi selezionate sono SOS Ticino, Assoc. L’ORA, Pro Juventute Svizzera Italiana, Coop. Baobab, SOS Debiti, Assoc. Parlatevi… con noi, ndr). A mio avviso, questo dimostra da un lato la vivacità della società civile ticinese. Dall’altro lato, purtroppo, il Ticino ha circa il 21% della popolazione a rischio di povertà, una media più alta che in altre parti della Svizzera (fonte: Uff. fed. statistica 2024). Circa un quinto della popolazione
In ognuno dei progetti trovo qualcosa che mi ispira. Per esempio, mi piace il progetto «Spazio esplorativo» dell’Associazione L’ORA di Bellinzona, che si rivolge ad adolescenti e giovani adulti senza prospettive dopo la fine della scuola – ogni anno, circa 350 giovani abbandonano il sistema educativo ticinese perché non iniziano la formazione dopo la scuola secondaria o la abbandonano (fonte: Divisione della formazione professionale, Canton Ticino). Questi giovani si trovano spesso in una situazione di precarietà. In questo programma, specialisti e volontari lavorano con i giovani sul loro futuro. Diversi progetti convincono per il loro approccio creativo, come ad esempio il progetto «GroveRoom 2.0» dell’associazione HitProducer di Basilea, che permette a giovani con scarse risorse finanziarie di accedere a spazi di produzione musicale e di sperimentazione in cui realizzare la propria creatività. Interessante anche l’offerta dell’organizzazione friburghese «Association Jeunes Parents», che aiuta le giovani madri che non hanno completato gli studi a ritrovare la strada dell’istruzione. Nel Canton Zurigo, sosteniamo un progetto simile per le giovani madri che beneficiano dell’assistenza sociale, il progetto «AMIE», gestito dall’Ufficio svizzero di assistenza al lavoro di Zurigo. Sono progetti importanti perché affrontano in modo concreto
istruzione.
Diversi progetti coinvolgono i giovani… È un segno di un «malessere» generale?
La maggior parte dei giovani svizzeri sta bene. Tuttavia, è ormai noto che i loro livelli di stress sono aumentati negli ultimi anni, anche a causa di crisi, guerre e insicurezza finanziaria. I contatti sociali, gli hobby e un ambiente favorevole rafforzano i giovani nelle situazioni di incertezza e li proteggono. Ma non tutti i giovani si trovano nelle stesse condizioni. Ad esempio, i giovani che vivono in povertà sono spesso emarginati socialmente. Per questo è fondamentale che abbiano accesso a programmi e spazi gratuiti e a bassa soglia, dove le loro voci siano ascoltate e possano vivere un’esperienza comunitaria.
Quali sono i vostri prossimi passi o progetti?
ins Leben – Vivi la vita» è stato ultimato. Ora inizia la realizzazione dei progetti finanziati. Ci auguriamo di rimanere in contatto con i progetti finanziati e di organizzare un evento su questi temi l’anno prossimo. La promozione di progetti che sostengono nuovi modi di affrontare la povertà in Svizzera rimane una delle priorità di finanziamento del Percento culturale Migros. Attualmente il Percento culturale Migros sta sviluppando un progetto di cooperazione con l’associazione ATD Vierte Welt Schweiz (Tutti insieme per la dignità – Gemeinsam für die Würde aller), che si impegna a sconfiggere la povertà in Svizzera – insieme alle persone che la vivono in prima persona. Il progetto inizierà nella primavera del 2025./Si.Sa.
Informazioni
Intervista integrale: www.azione.ch engagement.migros.ch/vivilavita
L’invito a presentare proposte «Rein
Martedì 8 ottobre i quadri di Migros Ticino si sono dati appuntamento alla Rapelli di Stabio per una giornata aziendale che prevedeva anche una visita allo stabilimento. Oltre a potere ammirare la ricostruzione fedele della bottega avviata nel 1929 dal macellaio Mario Rapelli (a portare avanti l’azienda fu poi suo figlio Silvio) che un tempo si trovava in Via Giulia (nella foto), le collaboratrici e i collaboratori hanno potuto seguire passo passo i processi produttivi all’interno dell’azienda, accompagnati dalle spiegazioni di dipendenti di lungo corso. La Rapelli di Stabio, con i suoi oltre 400 dipendenti, rappresenta uno dei grandi fornitori del gruppo Migros, ed è accomunata alla Cooperativa regionale Migros Ticino dal fatto di essere ticinese e profondamente radicata nel territorio. Un’azienda che, nonostante gli alti standard di qualità e produttivi, ha mantenuto una dimensione umana e non ha mai smesso di coltivare la nobile arte dell’accoglienza.
quando nel 1588 Fontana e Della Porta presero in mano i lavori che terminarono cinque anni dopo.
Si sa, l’autunno, oltre a portare con sé una serie di giorni auspicabilmente più tranquilli, poiché si è ormai lontani dalla frenesia estiva, offre anche una serie di impressioni visive straor-
Concorso
Il sole si è appena alzato su Piazza San Pietro. Da qui cominciano le visite guidate di tanti gruppi organizzati che vogliono conoscere le bellezze dell’Urbe. Ma da qui comincia anche il nostro viaggio nella Roma dei ticinesi. A partire dal Cinquecento, infatti, la Città eterna è stata casa e bottega per centinaia di maestranze ticinesi decise a portare la propria arte e le proprie conoscenze sulle rive del Tevere: architetti, ingegneri, scultori, scalpellini e operai edili di ogni sorta scesero lungo la Penisola per proporre le proprie abilità agli alti prelati e alle famiglie nobili romane. Tra tutti, alcuni nomi spiccano sugli altri: Domenico Fontana, Carlo Maderno, Francesco Borromini e Carlo Fontana.
La Cupola e l’Obelisco Vaticano
«Azione» mette in palio alcuni biglietti per la serata rock del 25 e quella dedicata alla raclette del 26 ottobre 2024. Per partecipare al concorso mandare una e-mail a giochi@azione.ch (oggetto «Rock» o «raclette»: non dimenticate di specificare!), indicando i propri dati, entro domenica 20 ottobre (estrazione: lunedì 21 ottobre 2024). Buona fortuna!
azione
edito da Migros Ticino Fondato nel 1938
Abbonamenti e cambio
Il nostro viaggio parte, al mattino presto, dal Vaticano per incontrare quello che fu il primo dei ticinesi ad arrivare a Roma: Domenico Fontana. Nato a Melide nel 1543, si trasferì qui appena ventenne per raggiungere il fratello maggiore. Di fatto, Fontana fu l’apripista di quella egemonia ticinese nell’ambito architettonico che a Roma durò per quasi due secoli. Qui, a piazza San Pietro, la sua firma si trova in diverse opere. Fu lui, insieme al conterraneo Giacomo Della Porta, a ultimare i lavori di realizzazione del simbolo del Vaticano: la Cupola di San Pietro. Erano trascorsi ormai 23 anni dalla morte del Buonarroti
Di Domenico Fontana è anche la facciata del Palazzo Apostolico che guarda sulla piazza, così come a lui si deve la presenza di un altro simbolo di questo luogo: l’Obelisco Vaticano. Fontana dimostrò una conoscenza della statica senza eguali per l’epoca. Ciò gli permise di innalzare l’obelisco e posizionarlo dove si trova oggi.
La basilica di San Pietro
dinarie. Ci riferiamo a quel paesaggio che, grazie al correre dei giorni verso l’inverno, si tinge di porpore e gialli, suscitando l’incanto di chi lo ammira. Quale cornice migliore, per osservare questo spettacolo, di quella suggestiva del Monte Generoso? Sia in vetta, con un panorama mozzafiato, sia alla stazione intermedia di Bellavista, con i suoi boschi e la biodiversità, le emozioni sono garantite.
Per trovare l’opera di un altro illustre ticinese basta dare le spalle all’Obelisco Vaticano e guardare di fronte a noi dove si staglia la Basilica di San Pietro. A inizio Seicento essa versa-
Segnaliamo a questo proposito uno degli ultimi appuntamenti in vetta, venerdì 25 ottobre, con una serata di rock live al Fiore di Pietra. L’appuntamento musicale sarà condotto dal rock team di Radio Morcote International, radio ticinese che racconta la storia della musica e del rock. In vetta, con l’imperdibile concerto degli Alto Voltaggio, si festeggerà l’ingresso in DAB di Radio Morcote In-
va in uno stato eterogeneo a causa dei tanti rimaneggiamenti avvenuti nel corso dei secoli. A dare alla Basilica l’aspetto che conosciamo noi oggi è stato Carlo Maderno, nipote di Domenico Fontana. Nato a Capolago nel 1556, fu presto mandato a Roma dal fratello della madre che nel frattempo era diventato l’architetto di riferimento della città. Nel corso degli anni, Carlo Mader no si fece strada nei cantieri capitolini fino a diventare, nel 1603, l’architet to-capo della Fabbrica di San Pietro. In quella veste, il ticinese si ritrovò a dover compiere il lavoro più impor tante ma anche più ingrato dell’epoca: finire il lavoro di Michelangelo.
se, l’imponente facciata della Basili ca. Nel disegno originale dovevano
essere presenti anche due campanili che però non furono mai realizzati per problemi strutturali. La mancata realizzazione di questi due elementi architettonici ha donato alla Basilica la forma particolare caratterizzata da larghezza eccessiva per gli standard estetici dell’epoca.
A suon di rock (o raclette) sul Monte Generoso
Susanna alle Terme di Diocleziano. Entrambe portano la firma di Carlo Maderno. La facciata della Chiesa di Santa Susanna è considerata il primo esempio pienamente realizzato di architettura barocca.
Palazzo Barberini
Siamo già a metà mattinata. Per proseguire il nostro tour nella Roma dei ticinesi bisogna lasciare Città del Vaticano e dirigersi a Piazza di San Bernardo. Il traffico ci ricorda che è
bileo 2025 non fanno che rendere tutto ancora più caotico. Ma arrivati de questa piazza speciale: due chiese
te da una strada. Da una parte Santa Maria della Vittoria, dall’altra Santa
ternational! La serata è rivolta a tutte e tutti, e a suon di classic rock, si ripercorreranno cinque decenni, dagli anni 70 ai giorni nostri. Partenza da
Capolago: ore 19.00; partenza per il rientro: ore 23.15. Il costo della serata è di 32 CHF, comprendenti viaggio andata e ritorno con il trenino a
cremagliera, assaggio di risotto e rock music dal vivo.
Per trovare un’altra opera del Maderno basta spostarsi di 500 metri e giungere a Palazzo Barberini. Oggi sede delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, la facciata del palazzo è in via di restaurazione. Una cattiva notizia per chi la visita in questi giorni, ma un’ottima notizia per chi lo farà nei prossimi mesi perché potrà godere a pieno del disegno che fece l’ormai anziano Carlo Maderno coadiu-
Chi invece ai suoni rock preferisce la tranquillità e gli ambienti raccolti e intimi, non potrà perdersi la serata dedicata alla raclette che avrà luogo sabato 26 ottobre al Buffet Bellavista, situato a 1223 metri di altitudine. Partenza da Capolago alle 19.00, partenza per il rientro: 22.00. Compresi nel prezzo di 60 CHF (35 CHF 6-15 anni), il viaggio di andata e ritorno con il trenino a cremagliera, un menù di tre portate (selezione di salumi, raclette a volontà e Tiraminvetta) e… un’atmosfera indimenticabile. Per entrambe le serate la prenotazione è obbligatoria.
Info e prenotazioni
www.montegeneroso.ch
Tel. 091 630 51 11.
SOCIETÀ
L’Europa e le auto cinesi
I costruttori cinesi non propongono solo modelli elettrici, molti sono a benzina e ibridi
Pagina 8
Vivere il Teatro Forum
La Compagnia Uht affronta argomenti delicati con spettacoli in cui il pubblico può intervenire
Pagina 9
Scorte d’emergenza Intervista al Consigliere federale Guy Parmelin sulla campagna di sensibilizzazione nazionale
Pagina 10
Ragazze pazze per la pelle
La skincare routine è diventata una vera moda tra le giovanissime, quali gli effetti?
Pagina 11
Le trappole della dipendenza da internet
Intervista ◆ Lo psicologo Pietro Scurti in un manuale analizza i rischi dell’uso eccessivo dello smartphone e i modi per proteggersi
Dipendenza da smartphone, «nomofobia», «vamping» e «fear of missing out». Sono solo alcuni aspetti della complessa fenomenologia dell’uso eccessivo di internet, spiegati in un manuale appena pubblicato, intitolato Internet Addiction Disorder (FrancoAngeli). Il libro è stato scritto da Pietro Scurti, psicologo, psicoterapeuta e docente di Psicoterapia alla scuola di Formazione Iter a Napoli e Caserta, in collaborazione con colleghe e colleghi.
«Come per le altre dipendenze patologiche, quella da internet provoca ansia, depressione e angoscia ogni volta che ci si allontana dalla fonte della gratificazione»
Pietro Scurti, come funziona la dipendenza da internet?
Prima di tutto bisogna chiarire che Internet non costituisce di per sé un problema, anzi è uno strumento che ci ha permesso, quasi in tempo reale, di connetterci col mondo offrendo confronti e possibilità, mentre prima restavamo circoscritti nel nostro ambito di appartenenza culturale e sociale. Quando si crea una dipendenza patologica è perché si instaura un circuito di gratificazione che va a compensare e a ricreare continuamente un vuoto. Ciò che gratifica non sazia l’utente. Proprio come per le sostanze «classiche», si attiva un meccanismo di tolleranza che spinge a esporsi al comportamento dipendente. Il tempo passato online aumenta progressivamente fino a raggiungere anche picchi tra le 10 e le 14 ore. Giochi virtuali, social e navigazioni su internet prendono sempre più spazio e tempo dentro di sé. Anche quando la sessione sul pc o sul tablet è terminata, si ha difficoltà a staccarsi dall’idea di essere fuori dalla rete. Come per le altre dipendenze patologiche, quella da internet provoca ansia, depressione e angoscia ogni volta che ci si allontana dalla fonte della gratificazione.
Perché si instaura la dipendenza dalla rete?
I motivi per cui sempre più adolescenti, ma anche adulti, intrattengono una relazione problematica (e talvolta patologica) con la rete, sono vari e complessi, riconducibili a fattori di natura psicologica, sociale e tecnologica. Per quanto riguarda l’aspetto psicologico, la rete sembra rappresentare la soluzione immediata a solitudine, stress, depressione e ansia. Internet diventa la strategia per evadere dalla realtà. La virtualità diventa la nuova «comfort zone». Da un punto di vista sociale, dobbiamo considera-
re che siamo immersi nella tecnologia ed essere scollegati potrebbe significare essere tagliati fuori dal mondo. Riguardo, invece, all’aspetto tecnologico, vanno considerati la facilità con cui si può accedere a più metodi di collegamento (a portata di click) e il design coinvolgente, studiato proprio per catturare l’attenzione degli utenti e tenerli incollati allo schermo. Gli interventi terapeutici devono, quindi, orientarsi verso modalità complesse e integrate in cui più figure professionali partecipano alla strutturazione di un programma di recupero della persona e del suo ambiente.
Quali sono le domande da porsi per capire se si ha una dipendenza da internet?
L’elemento chiave è senza dubbio rappresentato dal tempo di esposizione alla rete. All’internauta dipendente risulterà sempre più difficile staccarsi dalla connessione e dalle attività intraprese, social, chat, giochi virtuali, ecc. Sarà assalito da disturbi della sfera somatica e psicologica:
ansia, nervosismo, angoscia, talvolta dolori gastrici. Un altro elemento importante è l’abbassamento della propria autostima e delle performance scolastiche o lavorative.
Nel libro entrate anche nel merito di fenomeni come «nomofobia», «vamping» e «fomo». Ce li può spiegare? Nel panorama delle dipendenze da internet dobbiamo fare i conti con nuove terminologie a cui ovviamente non siamo ancora preparati. La «nomofobia», nota anche come «sindrome da disconnessione», è caratterizzata da un’eccessiva ansia provocata dall’abbandono del telefono, dall’esaurimento della batteria o dalla mancanza di segnale. Il «vamping» è la tendenza a rimanere svegli fino alle prime ore del mattino per giocare, condividere post, messaggi, guardare video o sfogliare i feed sulle varie piattaforme dei social media. Per «fomo» si intende una sorta di ansia sociale caratterizzata da una persistente paura di perdersi eventi piace-
voli, momenti divertenti e opportunità gratificanti, unita all’eccessivo bisogno di restare in contatto con le persone sui social. Sindromi di questo tipo hanno il loro target naturale soprattutto negli adolescenti, generando un abbassamento delle performance diurne e conseguentemente un calo della qualità della vita. Potremmo anche aggiungere come ulteriore aspetto il «phubbing», ovvero la tendenza a snobbare il nostro interlocutore presente per guardare e controllare continuamente il cellulare. Da ricerche effettuate pare che si indugi inutilmente nel verificare il proprio smartphone anche 200 volte al giorno.
Come possiamo vivere bene in mezzo a questo continuo disturbo della rete?
Da una nostra ricerca effettuata su 414 adolescenti abbiamo evidenziato che l’ansia e l’alessitimia (la difficoltà a riconoscere ed esprimere le proprie emozioni) sono fattori determinanti per lo sviluppo della dipendenza
da internet. Abbiamo anche notato che certi stili genitoriali favoriscono la problematicità, e poi l’esplosione della dipendenza dalla rete, in quanto improntati alla negazione dell’accesso a internet per tutelare i figli. Risulta, invece, utile come fattore protettivo, essere orientati al dialogo, alla conoscenza e all’interazione con i propri figli, in relazione all’utilizzo del mezzo tecnologico. Quindi, demonizzare lo sviluppo tecnologico o connotarlo frettolosamente come negativo non solo è anacronistico, ma spezza di fatto la possibilità comunicativa con i giovani. Inoltre, basandoci sulla ricerca, possiamo dire che i genitori devono smarcarsi da una «posizione liquida» e diventare persone reali di riferimento. Navigare su internet insieme ai propri figli, interessarsi a quel mondo e partecipare alla costruzione di un senso condiviso rimane ancora l’ultimo o l’unico baluardo per non essere sconfitti dall’evoluzione tecnologica e ancora peggio esclusi dalla vita delle persone care.
Un piatto che conquista tutti
Attualità ◆ Il Cordon Bleu è una specialità molto popolare anche da noi. Questa settimana alla Migros l’intero assortimento proposto al banco è in offerta speciale
In origine il «Cordon Bleu» (nastro blu) non aveva niente a che fare con la cucina. In effetti, l’espressione era legata alle guerre di religioni, dove nel 16esimo secolo una croce di malta associata ad un nastro blu designava i cavalieri d’alto rango dell’ordine di Santo Spirito. Col passare del tempo la parola entra in cucina, per indicare inizialmente i cuochi più talentuosi e bravi e, successivamente, nel 19esimo secolo, per contrassegnare la deliziosa ricetta che conosciamo tuttora, ossia due fettine di carne (inizialmente di pollo, in seguito anche di vitello e maiale) farcite con del prosciutto e del formaggio, quindi impanate e arrostite. Oggi questo piatto è ormai apprezzato in molte cucine internazionali, ma in Svizzera la specialità è ormai considerata un piatto nazionale a tutti gli effetti.
Ampia scelta alla Migros
Preparare il Cordon Bleu con le proprie mani non è sempre così evidente, soprattutto quando non si è troppo avvezzi ai fornelli o non si ha molto tempo a disposizione. Bisogna infatti procurarsi delle fettine tenere, appiattirle con il batticarne, farcirle con del prosciutto e del formaggio, infarinarle, immergerle nell’uovo sbattuto e nel pangrattato e, infine, friggerle al punto giusto finché risultano ben dorate. Insomma, un lavoro che richiede una certa preparazione e savoir-faire. Per fortuna che i banchi macelleria Migros propongono a tutti i buongustai una completa scelta di Cordon Bleu, preparati freschi al momento, pronti per essere solo fritti in padella. In questo caso la preparazione si rivela un vero gioco da ragazzi. La scelta spazia dai Cordon Bleu di tacchino a quelli di pollo, dalle varianti a base di carne di maiale fino alla specialità fatta con tenerissima carne di vitello. Insomma, ognuno troverà di che soddisfare i propri gusti.
Caramelle artigianali ticinesi
Novità ◆ L’azienda «Il laboratorio dei sogni Sagl» di Lumino produce caramelle a base di miele ticinese, da poco introdotte nell’assortimento Migros Ticino. Abbiamo rivolto alcune domande a Paola Fischer Naeff, caramellaia della famiglia Fischer
Signora Fischer Naeff, la vostra azienda è una faccenda di famiglia. Quando nasce e come è composta? Il nostro laboratorio nasce nel febbraio del 2022 ed è interamente a conduzione familiare: io mi occupo della produzione, del confezionamento e del marketing dei prodotti; mia sorella Cristina dell’amministrazione e dell’organizzazione di eventi; mentre nostro fratello Roberto – maestro apicoltore – si dedica alla produzione del miele e dello sviluppo di nuovi prodotti.
Di cosa vi occupate?
Siamo attivi nella produzione artigianale di caramelle e lecca-lecca al
miele ticinese prodotto da mio fratello, ma anche nella vendita di libri per bambini dai 4 ai 12 anni, di cui sono l’autrice.
Come mai avete deciso di lanciarvi in questa avventura?
Dalla necessità per me di trovare una nuova occupazione consona alle mie competenze e qualità professionali dopo aver perso il posto di lavoro, ma anche dalla voglia e dall’entusiasmo di affrontare nuove sfide.
Cosa contraddistingue i vostri dolci?
Le caratteristiche sono l’unicità di un prodotto fatto a mano a partire
da materie prime semplici e naturali di provenienza esclusivamente svizzera e ticinese, ossia lo zucchero e il miele. Inoltre, oltre ai dolci, anche l’etichetta del sacchetto dallo sgargiante color giallo con l’immagine di un’ape è stampata in loco, attraverso delle macchine tipografiche risalenti all’Ottocento.
Perché la clientela dovrebbe scegliere le vostre caramelle?
Perché sono dei prodotti unici e originali, realizzati in modo artigianale nel pieno rispetto delle buone pratiche apistiche e della tradizione confettiera svizzere. Il nostro slogan è «Una goccia di dolcezza per sostenere le api».
Tutto il buono della zucca
Attualità ◆ È il momento giusto per fare una scorpacciata di zucca. Alla Migros è disponibile ora una scelta di diverse varietà
La zucca è uno degli ortaggi simbolo dell’autunno ed è sinonimo di gusto, versatilità culinaria e benessere, grazie al suo importante contenuto di vitamine e minerali. Che si tratti di contorni, torte, minestre, zuppe, insalate o piatti principali, le ricette che la vedono protagonista sono praticamente inesauribili. Dalla potimaron alla butternut, dalla moscata di Provenza alla spaghetti, passando per la acorn, mandarin, kabocha e fino alla zucca delicata, nei suoi principali supermercati Migros ha alle-
La ricetta
Sminuzzato alla zucca
Ingredienti per 4 persone
• 4 00 g di zucca, pesata mondata, ad es. muscade de Provence
• 5 00 g di patate resistenti alla cottura
• 1 cipolla
• 2 spicchi d’aglio
• 5 00 g di sminuzzato di maiale
• 3 cucchiai di olio d’oliva
• 2 cucchiai di concentrato di pomodoro
• 2 dl di brodo di verdura
• 1 mazzetto di prezzemolo
• 5 cucchiai di ketchup
• 2 cucchiai d’aceto
• sale
stito un’ampia scelta di cucurbitacee commestibili. Tutti gli ortaggi sono di provenienza svizzera o ticinese e anche di qualità Demeter e Bio. Inoltre, è disponibile anche la zucca già tagliata a cubetti o a fette, che semplifica ulteriormente la preparazione dei propri piatti preferiti.
Preparazione
Tagliate la zucca e le patate a cubetti. Tritate la cipolla e gli spicchi d’aglio. Rosolate la carne a fuoco vivo in un tegame. Aggiungete la zucca, le patate, la cipolla e l’aglio e continuate la cottura per ca. 5 minuti. Unite il concentrato di pomodoro e mescolate. Versate il brodo e fate sobbollire il tutto per 15-20 minuti. Tritate il prezzemolo. Versate nel tegame il ketchup e l’aceto e continuate la cottura per alcuni minuti. Condite con sale e pepe e cospargete di prezzemolo.
Offerte ed esperienze invitanti
Trovi tutto il mondo Cumulus su cumulus.migros.ch
In caso di domande puoi contattare l’Infoline Cumulus: 0848 85 0848
5x
Ora con Interhome punti moltiplicati per 5 sulle vacanze invernali nelle Alpi vodesi
Prenota con Interhome una casa o un appartamento di vacanza nelle Alpi vodesi e goditi le vacanze invernali con tanto spazio e un’atmosfera privata.
Durata dell’azione: per nuove prenotazioni effettuate dal 14.10. al 3.11.2024 per vacanze nel periodo dal 30.11.2024 al 28.02.2025.
Per ulteriori informazioni: interhome.ch/it/cumulus
Costruttori cinesi alla conquista dell’Europa
Motori
Mario Alberto Cucchi
Byd, Dongfeng, Omoda. Nomi che sino a un paio di anni fa in Europa non erano quasi mai stati pronunciati. Sono quelli di tre grandi costruttori cinesi che oramai sono sbarcati con i loro modelli in tutta Europa. Basti pensare che il Gruppo Chery, fondato nel 1997, di cui fa parte Omoda produce 1’900’000 veicoli all’anno di cui 900’000 destinati ai mercati esteri. Se ad oggi non è ancora presente in Svizzera, presto probabilmente lo sarà. Da anni assistiamo al lancio di nuovi modelli. Che si tratti di face lifting o versioni completamente inedite, le presentazioni si susseguono a ritmo serrato. Non siamo invece abituati al debutto sul mercato di nuovi costruttori automobilistici.
Tre quarti delle automobili in arrivo dalla Cina hanno un motore a scoppio e i prezzi sono molto interessanti
Anzi. I costruttori europei come Mercedes, Audi, Bmw, Fiat e Peugeot hanno una storia che è iniziata nel Novecento. Ecco allora perché merita particolare attenzione il debutto di nuovi costruttori nel nostro mercato. E se Ferrari, Porsche, Lamborghini ma anche Peugeot e Citroën erano cognomi di persone che hanno fondato Case automobilistiche, il nome
Omoda è invece per esempio stato studiato a tavolino. È formato da due parti, una che indica un tono positivo ed energico, la «O» di ossigeno, l’ingrediente essenziale della vita e «Moda», stile di vita, al passo coi tempi. Ora parliamo di tecnologie. Chi pensa che i cinesi sbarchino in Europa solo con l’elettrico sbaglia. In realtà tutte e tre i marchi hanno alimentazioni esclusivamente termiche (benzina), ibride, oppure completamente elettriche. Va detto: tre quarti delle automobili in arrivo dalla Cina hanno un motore a scoppio. Il modello con cui Omoda debutta sul mercato europeo e che abbiamo potuto provare si chiama semplicemente «5». Si tratta di un crossover lungo 4,40 metri e dalle misure capiamo che è confrontabile con modelli come Dacia Duster o Nissan Qashqai o con auto anche un po’ più grandi come Kia Sportage e Volkswagen Tiguan. Vero che è alimentata a benzina, ma il pianale è già predisposto con uno spazio per ospitare le batterie. Il prezzo di listino? In Svizzera si potrebbe parlare di 30’000 franchi con quasi tutto di serie. Insomma, un ottimo «value for money».
Passando a Dongfeng, ha invece mostrato in occasione del salone di Torino un’utilitaria elettrica lunga 4,02 metri che tra i suoi punti di forza ha il bagagliaio modulabile fino a 945 litri. Si tratta di una vettura
solo elettrica con due taglie di batterie da 32,6 e 43,9 kWh di capacità abbinati a un Power Train da 95 cavalli che promettono un’autonomia che dovrebbe essere tra i 330 e 430 km. Il prezzo? Potrebbe essere di poco superiore ai 20’000 franchi. E in ultimo parliamo di BYD (Build Your Dream). In questo caso abbiamo avuto modo di testare la Han. Si tratta di un’ammiraglia lunga 5 metri con oltre 500 cavalli dove il lusso e la sicurezza sono di serie. Il prezzo? Intorno ai 70’000 franchi. E anche in questo caso ci rendiamo conto che il prezzo
fa la differenza. Diverse decine di migliaia di franchi in meno rispetto ai concorrenti tedeschi. Ed ecco allora che le conseguenze per i costruttori europei si fanno sentire. «Il contesto economico è diventato ancora più difficile e nuovi concorrenti stanno entrando nel mercato europeo», ha dichiarato l’amministratore delegato del gruppo Volkswagen Oliver Blume in un comunicato. Il marchio VW, il più grande del gruppo in termini di vendite, ha contribuito a meno di un decimo dell’utile operativo totale nel primo semestre. Il suo
margine è stato solo del 2,3%, o del 3,6% escludendo i costi di un piano di licenziamento – ha scritto il «Wall Street Journal». In particolare, la casa automobilistica di Wolfsburg ha bisogno di tagliare dieci miliardi di euro di spese entro il 2026. Per farlo, il gruppo starebbe valutando la chiusura di una grande fabbrica di automobili e di un impianto di produzione di componenti (gli analisti indicano come papabili gli stabilimenti di Osnabrück, in Bassa Sassonia, e di Dresda, in Sassonia) e la rottura del patto ormai trentennale con i sindacati: siglato nel 1994, esso prevedeva il congelamento dei licenziamenti fino al 2029. Per il gruppo, proprietario anche di Audi, Seat, Cupra, Škoda Auto, Bentley, Lamborghini e Porsche, l’azienda di Wolfsburg rappresenta la principale fonte di vendite. Ora sarà anche il primo marchio a subire una riduzione dei costi finalizzata alla razionalizzazione delle spese da affrontare per sostenere la transizione verso l’elettrico. Tirando le somme, si deduce che il mercato dell’auto sia in una fase di transizione, non soltanto tecnologica ma anche a livello di brand. Non siamo così certi che tra dieci anni sui cofani delle auto ci saranno ancora i loghi che siamo abituati a vedere oggi. Quindi conviene forse abituarsi a questi nuovi Brand che oggi sono al debutto ma che tra 10 anni potrebbero essere più che consolidati.
Il gioco delle domande sincere
Teatro Forum ◆ La Compagnia Uht porta in scuole, aziende e altri gruppi di persone spettacoli su temi importanti, in cui il pubblico può intervenire per imparare a comunicare meglio
Sara Rossi Guidicelli
La questione del consenso; le nostre fragilità; alzare la voce; indebitarsi; come curare al meglio una persona anziana affetta da demenza… Di tutto si può parlare, di tutto si può chiedere, provare a capire, confrontando le proprie idee con quelle degli altri. Questo ce lo permette una tecnica che si chiama Teatro Forum, che arriva da un metodo nato negli anni Settanta in America Latina, il «Teatro dell’Oppresso», ideato da Augusto Boal. Ancora oggi è considerato uno dei modi più efficaci di metterci in questione. Lo scopo non è tanto trovare risposte o capire tutto, bensì insinuare domande nei nostri cervelli, fare giardinaggio fra le nostre convinzioni, provare a metterci in una situazione conflittuale per vedere come ci si sente e come si potrebbe affrontarla. Funziona così: c’è uno spettacolo, piuttosto corto, con alcuni personaggi che interagiscono e poi quando lo spettacolo è finito gli attori riprendono il copione da capo ma questa volta il pubblico può fermarli e intervenire per dire che cosa si potrebbe fare di diverso.
La scena permette agli spettatori di sperimentare sulla propria pelle le situazioni e le possibili soluzioni
Ho assistito a un pomeriggio di Teatro Forum alle Scuole Medie di Acquarossa, in cui la Compagnia ticinese Uht portava un progetto che praticamente in ogni scuola del Cantone viene proposto a tutte le classi di adolescenti. Il tema è l’utilizzo consapevole dei dispositivi digitali e i rischi che possono derivarne; il titolo dello spettacolo è Per un pugno di like Tre attori in scena, tre giovani che con i telefonini combinano un casino: uno manda alla sua amica una foto piccante e le chiede qualcosa di simile in cambio. «Perché siamo amici», le
Viale dei ciliegi
dice. Lei non vuole, ma alla fine cede; «Solo a te», si raccomanda. Poi però il suo amico la tradisce e manda la foto intima a un altro compagno che ha l’ossessione dei like e che divulga l’immagine a tutta la scuola. La ragazza sarà così sui telefonini di tutti i suoi compagni, in un modo in cui lei non avrebbe mai voluto mostrarsi in pubblico. I ragazzi e le ragazze di Acquarossa ridono in vari momenti dello spettacolo, perché il tono resta spesso giocoso e divertente, ma mormorano quasi in coro «Oh nooooo», quando succede il disastro finale. Gli attori impersonificano vari altri personaggi, anche adulti, come i genitori e gli insegnanti, ognuno con i suoi pregi e i suoi difetti.
Gli attori si fermano, c’è l’applauso e poi un’attrice si presenta come «Joker», cioè la persona che ha un ruolo di coordinamento: «Adesso rifaremo questa storia ma d’ora in avanti voi potete alzare la mano ogni volta che qualcosa vi sembrerà sbagliato nel comportamento dei personaggi». Rimango sbalordita dalla voglia di partecipare a cui assisto; prima alzano la mano solo i più coraggiosi, che comunque sono un bel gruppetto. Poi piano piano la alzano tutti almeno una volta. L’attrice che fa il Joker se li ricorda e sta attenta a chiamarli tutti prima o poi. Non giudica mai ciò che viene detto, non obbliga mai a salire sul palco, ma prova a fare esprimere lo studente e poi propone di prendere il posto di uno dei personaggi per provare a vedere se quell’idea funziona. In generale ci si deve mettere al posto di quello che subisce, per vedere come si può rispondere a un prepotente, a qualcuno che insiste quando tu non vuoi, qualcuno che ti dà fastidio, che ti denigra e così via.
Ne escono spunti interessanti di discussione: ho il diritto di dire di no a un amico che mi domanda qualcosa gentilmente? Quali parole posso usare? Quando posto una fotografia metto quello che piace di più a me o
quello che piace di più agli altri? Cosa faccio se qualcuno mi manda la foto intima di un’amica? Di chi è la foto: della persona che l’ha scattata, di quella che vi è raffigurata o di quella a cui la si manda? Cosa faccio se vedo un amico in difficoltà? E soprattutto: c’è modo e modo per dire le cose. Ci sono parole più efficaci e parole, toni o atteggiamenti che invece non portano a nulla. Il progetto è promosso e accompagnato dal Centro risorse didattiche e digitali del Decs che prepara gli insegnanti a elaborare in classe quello che è avvenuto durante il Forum.
La Compagnia Uht è un’associazione nata nel 2009 da una costola dei Giullari di Gulliver proprio per portare in Ticino i primi spettacoli di Teatro Forum. Gli attori sono Antonello Cecchinato, Piera Gianotti, Claudio Riva, Alessandra Ardia, Gaby Lüthi, Giancarlo Sonzogni, Daniele Stanga e Prisca Mornaghini. Ora hanno una decina di spettacoli già pronti, che le sono stati commissionati da vari enti. Alcune sono proposte dedicate ai giovani, altre al mondo della cura, un’altra ancora affronta la questione dell’indebitamento e uno spettaco-
● Chiara Carminati – Miriam Serafin 54 secondi di ritardo Il Castoro, collana «Mini Romanzi» (Da 7 anni)
È un mini romanzo tutto d’un fiato, come ci dice la quarta di copertina. «Mini romanzo» perché prende il nome dalla collana a cui appartiene, varata quest’anno dal Castoro e convincente sin dai primi volumi. «Mini» allude alla brevità e alla semplicità, ma non ha alcuna accezione riduttiva, anzi, è molto difficile costruire una storia breve e al contempo ben strutturata, con un intreccio avvincente e al contempo ben fruibile da lettori alle prime armi. Oltretutto con una scrittura accurata, senza alcun cedimento alla piattezza di scelte linguistiche stereotipate. Qui, trattandosi della scrittura di Chiara Carminati, l’eleganza (espressa con grazia leggera) è una certezza, confermando ancora una volta l’eccellenza dell’autrice, sia quando scrive romanzi per lettori adulti, o per adolescenti, o per primi lettori, sia nella misura dell’albo illustrato, oltre che, naturalmente, nella poesia, ambito in cui la bellezza sonora delle paro-
le viene particolarmente valorizzata («ama le parole di carta e le parole di voce», così viene presentata l’autrice). È davvero «tutto d’un fiato» questo breve romanzo, non si riesce a smettere di girare pagina, per vedere dove va a finire l’avventura del piccolo Dennis coinvolto suo malgrado da un’eccentrica ragazzina nella ricerca del (di lei) fratello. Una ricerca che li porterà a scorrazzare per la città, facendo cose, incontrando persone, esplorando luoghi. Il tutto narrato con un ritmo impeccabile e con
folgorazioni umoristiche divertentissime e a volte surreali, un po’ alla Achille Campanile. Ma ciò che forse esprime il senso profondo di questo romanzo sta nella dimensione del tempo: un tempo controllato e prevedibile minuto per minuto, come è per Dennis, che si sente al sicuro dentro a giornate scandite dal suo inseparabile orologio, preciso come lui; o un tempo con scarti e deviazioni (a cui allude anche il titolo, con quell’incrinatura del «ritardo» che apre all’inaspettato), come è per Giulietta, complementare a Dennis sotto ogni aspetto. Sarà l’incontro (anzi, letteralmente, lo «scontro») con Giulietta ad aprire per Dennis quasi un varco temporale verso le fantastiche possibilità dell’inatteso. Pur essendo questo un racconto realistico, s’inserisce appieno in quelle vicende di «soglia» che caratterizzano la miglior letteratura per l’infanzia, dove c’è una dimensione gratuita, eccedente, della temporalità (come nel Giardino di Mezzanotte di Philippa Pearce, ad esempio): una dimensione che è come un giardino segreto, in cui solo l’infanzia può stare, e in cui il pensiero razionale lascia posto alle sal-
lo parla di «come invecchiare bene». Sono progetti più che altro finanziati dal Cantone, per cui chi li propone non deve pagarli di tasca propria. Gli attori si sono formati con la regista Sissi Lou Mordasini, allieva di Augusto Boal, inventore di questo metodo. «Cerchiamo di mantenere una certa leggerezza nonostante la delicatezza dei temi, per rilassare il pubblico e indurlo a partecipare di più dopo. È il nostro stile, l’impronta che a noi piace dare», racconta Prisca Mornaghini, che ha quasi sempre il ruolo di Joker, cioè guida l’incontro tra la scena e il pubblico. «Proviamo a spingere la riflessione lontano, incoraggiamo a prendersi una responsabilità nei confronti di una sopraffazione, una violenza, un’ingiustizia che ci riguarda, più o meno direttamente. Tocchiamo poi tanti temi trasversali: per i giovani per esempio il rapporto con sé stessi, con i genitori e con gli insegnanti; per gli over sessanta a cui è dedicato il Teatro Forum sull’invecchiamento, c’è il tema della qualità di vita, la solitudine, l’abuso di alcol. Potremmo inventare spettacoli su molti argomenti conflittuali dei nostri tempi, credo però che l’aspetto
fondamentale giri sempre intorno alla comunicazione non violenta: si fa esperienza di come si possano esprimere le proprie idee, con convinzione ma senza aggressività. A volte è bene aprire un dialogo, altre volte basta un no, e non bisogna per forza argomentare. Ci sono modi per dire qualcosa di negativo a qualcuno senza attaccarlo, c’è la chiarezza e il rispetto di sé stessi e dell’interlocutore, che sono molto importanti da conoscere: sono tutti aspetti di un buon modo di comunicare». Prisca racconta un aneddoto: «Una volta, una figura professionale di una casa anziani che non si occupava direttamente degli utenti, ma che svolgeva una mansione amministrativa ci ha detto: “Dopo il Teatro Forum ho cominciato a salutare le persone anziane che mi passavano davanti al lavoro; prima non rivolgevo mai loro la parola, perché pensavo non fosse mio compito. Adesso le vedo più umane e mi viene naturale guardarle negli occhi e salutarle”. Il Teatro Forum ha anche questa conseguenza: umanizza». «Sperimentando sulla propria pelle – raccontano ancora gli attori di Uht – anche solo da spettatrice, tu vivi le situazioni e le possibili soluzioni meglio che se hai solo letto un manuale con scritte le regole da seguire; ti aiuta a ricordare meglio, diventa più concreto. A volte sai benissimo cosa fare, ma quando ti trovi sulla scena, capisci che non è facile, insomma è un po’ più simile alla vita vera. Magari puoi comprendere meglio anche gli altri: spesso c’è una zona grigia tra il giusto e lo sbagliato e fa bene confrontarsi con le sensibilità delle altre persone. Crediamo che sia questo il potere delle storie: immedesimarsi. E noi proviamo a dare il nostro contributo con il teatro, come sappiamo fare noi, nella lotta alla violenza, alle dipendenze o ai soprusi».
Informazioni giullari.ch/spettacoli-uht
vifiche possibilità dell’immaginario, che non sempre sono «bugie». Chi inventa storie dice bugie? Si chiederanno i due bambini, e noi con loro.
Marianne Dubuc Lucilla e i suoi amici, Autunno
Edizioni La Margherita (Da 3 anni)
Sin dalla copertina, e dai risguardi, ci appare chiaro il cambio di stagione: dopo il giallo, che dominava il primo libro della serie, Estate, ecco ora, per Autunno, un bell’arancione, e autunnali sono i colori in cui si muovono, nel bosco, en plein air, la bambina Lucilla e i suoi amici Leo, Doris, Et-
tore e Mino, rispettivamente un coniglio, una tartaruga, una chiocciola e un topo. A cui andrebbe aggiunto l’orso Toto, ma lui è un outsider, se ne sta in disparte e con la sua mole incute soggezione, tuttavia Toto non è il villain della storia, è un amico a tutti gli effetti, burbero, simpatico, sovente egli incarna il vero motore degli effetti comici o sorprendenti, come quando viene scambiato per un nido caldo in cui mettere dei poveri anatroccoli infreddoliti, che, nel volume Estate, lo scambieranno per il loro papà. Ritroveremo Toto con i suoi anatroccoli anche in questo secondo albo, dedicato appunto all’autunno, insieme a Lucilla e alla sua tenera ed eterogenea combriccola di amici. Ogni albo racchiude tre avventure di questi personaggi, raccontate e illustrate dall’artista canadese Marianne Dubuc, che sa davvero rivolgersi ai bambini, coinvolgendoli e interpellandoli con efficacia e immediatezza. E loro ameranno queste piccole storie autunnali che li faranno sorridere parlando di torte di mele, di feste in maschera, del preannunciarsi dell’inverno, ma anche di amicizia e di gioiosa quotidianità.
È sempre tempo di scorte d’emergenza
Incontri ◆ Il Consigliere federale Guy Parmelin spiega come la Svizzera si attrezza al cospetto di diversi scenari di pericolo e perché anche ai giorni nostri sia importante avere delle scorte d’emergenza
Christian Dorer
Signor Consigliere federale Guy Parmelin, quali sono le sue scorte d’emergenza personali?
Sta sicuramente pensando alle mie scorte di vino (ride)! Scherzi a parte, mia moglie e io abbiamo sempre in casa acqua, riso e patate per una settimana circa. E anche un po’ di contanti.
Perché?
Può sempre succedere un qualche imprevisto. Ed è per questo che tutti dovrebbero essere in grado di vivere in autonomia per qualche giorno. Senza dimenticare le medicine o il cibo per gli animali domestici. È inoltre utile avere una torcia elettrica.
Come mai la campagna per le scorte d’emergenza inizia proprio in questo momento?
Durante la pandemia di Covid e la crisi energetica, le persone erano molto sensibili alla questione. Ma ora è di nuovo subentrata una certa noncuranza. La mia impressione è che – soprattutto tra i giovani e nelle città – la gente pensa di potersi procurare qualcosa da mangiare subito e ovunque. Purtroppo non è sempre così. Per facilitare le cose, ora abbiamo a disposizione un calcolatore delle scorte d’emergenza. In questo modo tutti possono sapere facilmente quali scorte dovrebbero avere in casa.
Entrando nel dettaglio delle minacce: quanto è probabile un conflitto armato?
Nel mondo ci sono vari focolai di guerra dall’esito imprevedibile. La situazione è molto seria. Tutti i Paesi stanno potenziando i loro eserciti. Anche la Svizzera è costretta a farlo. I caccia F-35 e il sistema di difesa aerea Patriot sono un inizio.
Quanto sarebbe grave un blackout su larga scala?
Gravissimo! Tutto dipende dall’energia elettrica. Le scorte d’emergenza sono particolarmente importanti in caso di blackout prolungato e diffuso.
Dobbiamo abituarci a frequenti catastrofi naturali?
Dobbiamo cercare di ridurre al minimo i potenziali danni. E questo richiede investimenti. Ho visitato Lucerna durante l’alluvione del 2021: senza gli investimenti preventivi pari a diversi milioni di franchi, le conseguenze sarebbero state ancora peggiori.
Ci vorranno altri 100 anni prima della prossima pandemia?
Non sappiamo quando arriverà la prossima pandemia. Sappiamo solo che arriverà. Ciò che abbiamo imparato dalla recente esperienza purtroppo ci aiuterà solo in parte, poiché ogni pandemia è diversa. Se, ad esempio, fossero più a rischio i giovani degli anziani, occorrerebbero misure del tutto diverse.
Quanto sono pericolosi i cyberattacchi?
Molte piccole aziende sottovalutano troppo questo rischio. Chiunque può essere vittima di un attacco informatico. Sono felice che ai WordSkills di Lione gli informatici svizzeri si siano laureati campioni mondiali della sicurezza informatica.
Qual è il ruolo dei commercianti al dettaglio come la Migros nell’approvvigionamento del Paese?
Fondamentale! Hanno dimostrato grande flessibilità durante la pandemia. La gente sapeva che entrando in negozio avrebbe trovato tutto ciò
che le occorreva. Solo all’inizio, prima di avere questa consapevolezza, c’è stata la corsa per accaparrarsi più merce possibile.
La Svizzera ha un grado di autoapprovvigionamento del 49%. Ciò si-
Niels
gnifica che quasi la metà delle derrate alimentari viene prodotta in Svizzera. È sufficiente?
Se questa percentuale dovesse diminuire, sarebbe pericoloso. Soprattutto in caso di un’altra crisi. Ho un aneddoto al riguardo: una volta
Scorte d’emergenza: sono ancora un saggio consiglio
La Confederazione raccomanda di tenere scorte d’emergenza. A tal fine, lancia un calcolatore online che elenca automaticamente i requisiti per il proprio nucleo familiare (vedi link alla fine dell’articolo). L’obiettivo è garantire a tutti la possibilità di superare i primi giorni di crisi degli approvvigionamenti, ad esempio in caso di interruzione di corrente o di inondazioni.
In cosa consistono le scorte d’emergenza
Come regola generale, in un’economia domestica ogni persona dovrebbe disporre di una riserva di acqua potabile per tre giorni, l’equivalente di 9 litri a testa. Si raccomanda inoltre di avere cibo per una settimana, una torcia elettrica, candele, batterie o altre fonti di energia e le medicine più importanti. È opportuno fare scorta anche di alimenti pronti per il consumo, come
le fette biscottate, la purea di mele e la frutta secca. Le scorte d’emergenza comprendono anche una piccola somma di denaro contante, nonché carta igienica, mascherine chirurgiche, sapone e disinfettante.
Consumare e sostituire regolarmente le scorte Pur essendo ovviamente costituite da
il ministro indiano del commercio mi disse che la Svizzera avrebbe dovuto smettere di produrre prodotti agricoli. L’India poteva fornirli a costi molto più bassi. Qualche anno dopo, l’India interruppe le esportazioni a causa della siccità. Questo dimostra che la situazione può cambiare rapidamente. In caso di crisi, non si hanno più amici. Ogni Paese pensa per sé.
E allora cosa fa il nostro Paese in caso di crisi, se importa metà dei suoi prodotti alimentari?
La Svizzera ha scorte obbligatorie di riso, olio, sementi, benzina e molto altro ancora. In caso di una grave crisi, dovremmo tuttavia rivedere anche i consumi e cambiare le nostre abitudini, privilegiando una dieta vegetariana.
Gli agricoltori sono molto importanti per l’approvvigionamento del Paese. In primavera ci sono state alcune sporadiche proteste. Cosa fate per evitare che la situazione si aggravi ulteriormente, come nei Paesi vicini?
Gli agricoltori hanno due preoccupazioni: vogliono prezzi più alti per i loro prodotti e meno oneri amministrativi nella loro vita quotidiana. Abbiamo fatto dei passi in questa direzione. Oltre ai controlli statali, esistono ad esempio anche controlli per i marchi privati come IP Suisse o Bio, dove un miglior coordinamento potrebbe ridurre gli oneri amministrativi.
E i prezzi?
Ci sono pressioni da entrambe le parti: gli agricoltori vogliono vendere i loro prodotti al prezzo più alto possibile, mentre i consumatori vogliono acquistarli pagando il meno possibile. In mezzo ci sono le aziende trasformatrici e i rivenditori. La trasparenza non deve essere totale in questa catena, ma ce ne vuole un po’ di più nella fissazione dei prezzi. E possibilmente ciò dovrebbe accadere in maniera volontaria. Dal Parlamento giungono infatti forti pressioni per l’introduzione di nuove disposizioni di legge.
cibi a lunga conservazione, le scorte d’emergenza vanno in ogni caso consumate e sostituite regolarmente. Per questo è importante che gli alimenti siano in linea con le abitudini e le esigenze personali. Idealmente, la scorta di generi alimentari classici come il riso e la pasta fornisce non solo un apporto di carboidrati, ma – abbinata a legumi, cibo in scatola, insaccati e olio – copre anche il fabbisogno di proteine, vitamine e grassi.
Conservare le scorte con un sistema razionale
In generale, i luoghi più adatti per conservare gli alimenti sono quelli asciutti, freschi e bui. È meglio disporre le confezioni in base alla data di scadenza: ciò che deve essere consumato prima va messo davanti.
Il calcolatore elettronico delle scorte d’emergenza
Ora al sito web dell’Ufficio federale per l’approvvigionamento economico del Paese devi solo inserire il numero di persone nella tua economia domestica e la loro età, per avere una lista con tutte le informazioni riguardanti le scorte d’emergenza per te e la tua famiglia. Vai al calcolatore elettronico delle scorte d’emergenza: www. calcolatore-scorte-d-emergenza.bwl. admin.ch/it / Nina Huber
Mia figlia usa più creme di me
Adolescenti ◆ Le ragazze prestano molta attenzione alla skincare, cioè alla cura quotidiana della pelle, e tra creme e maschere trascorrono sempre più tempo davanti allo specchio. Ne parliamo con un dermatologo e uno psicopedagogista
Vittoria Vardanega
Sorride guardando dritto in camera, con un cerchietto che le tiene indietro i capelli. Prende in mano una delle tante boccette e confezioni pronte all’uso, ordinate intorno al lavandino come soldatini. La avvicina alla telecamera del cellulare per riprenderla meglio, mentre picchietta le unghie sulla confezione. Poi applica un velo di prodotto sul viso, raccontando enfaticamente perché le piace, anche se a volte si tratta solo del profumo, della texture, o del colore della boccetta. Ripete la stessa operazione per tutti i passaggi della sua skincare routine.
Non ci sarebbe niente di così strano in questo video, etichettato su TikTok come «get ready with me» e «skincare routine», visto che i social, e in generale Internet, sono pieni di contenuti simili. Se non fosse che la protagonista ha circa 10 anni.
I commenti degli utenti si dividono in due categorie: da una parte, adulti che si chiedono se i prodotti utilizzati siano adatti alla pelle di quella che è ancora una bambina; dall’altra, giovanissimi e giovanissime che invece vorrebbero più dettagli su questo o quel cosmetico.
Non si tratta di un caso isolato: sono sempre di più le e i ragazzine/i preadolescenti (nella maggior parte dei casi ragazzine) ossessionati dalla cura della pelle. Sui social mostrano i loro cassetti pieni di creme antirughe, maschere per il viso, trucchi, tutti prodotti acquistati con la paghetta o chiedendo ai genitori. Si riprendono mentre eseguono la propria skincare routine, imitando le influencer o altre personalità con molto seguito in rete, come nel video descritto qui sopra.
Quelle che si comportano nello stesso modo, senza però condividere i loro video sui social, sono ancora di più. Anche chi è meno giovane, in effetti, ha notato l’aumento di bambine e ragazzine nei negozi beauty. Il fenomeno, ribattezzato «cosmeticoressia», negli Stati Uniti coinvolge milioni di giovanissime/i, e ormai è arrivato in Europa e in Svizzera.
Già un paio di anni fa, un video su TikTok della figlia maggiore di Kim Kardashian era diventato virale: la ragazzina di appena 9 anni mostrava la sua routine di cura della pelle a milioni di followers. Tra i moltissimi commenti ricevuti, alcuni erano ammirati, altri critici. C’era poi chi «difendeva» la giovane, sostenendo che le persone che disapprovavano il video «hanno 30 anni, ma ne dimostrano 60». Commenti di questo tipo normalizzano il comportamento dei giovanissimi, e in un certo senso riflettono quanto i segni dell’invecchiamento della pelle siano ormai stigmatizzati, anche (e probabilmente soprattutto) dagli adulti.
Questa nuova tendenza forse non dovrebbe sorprenderci più di tanto. I più giovani (e non solo) trascorrono molto tempo sui social. Esposti di continuo a consigli su come prendersi cura della propria pelle e «migliorarla» – contenuti che spopolano su TikTok e Instagram – è quasi normale che a un certo punto cerchino di adottare gli stessi comportamenti dei più grandi. Del resto, bambini e bambine hanno sempre imitato gli adulti nei loro giochi, spinti dal desiderio di crescere e assomigliare ai loro genitori o altri modelli di riferimento, e a volte questo significa usare prodotti e trucchi dei genitori. Non si tratta, in fondo, della stes-
sa cosa, solo con nuovi strumenti che fino a dieci o venti anni fa non esistevano? Non proprio, rispondono gli esperti, che sottolineano due aspetti da monitorare.
Gli effetti sulla pelle
I prodotti utilizzati dalle giovanissime spesso sono pensati per clienti adulti, e possono quindi rivelarsi nocivi per la pelle di quell’età, causando irritazioni e dermatiti. Gli esperti consigliano di prestare particolare attenzione ai prodotti anti-age ed esfolianti, che contengono ingredienti più aggressivi.
«Una pelle così giovane non ha bisogno di molti prodotti», spiega il dermatologo Gionata Marazza. «In maniera preventiva si possono utilizzare un sapone detergente e una crema idratante, una o massimo due volte al giorno, senza esagerare». Se con la pubertà compaiono dei problemi di acne, il dottor Marazza consiglia di farsi visitare da un dermatologo, che può indicare la terapia più adatta per il paziente.
«Se invece parliamo di prodotti anti-aging, per macchie solari, seborrea, o in generale ciò che va al di là della semplice idratazione della pelle, è meglio essere prudenti», continua. «Soprattutto nell’utilizzo di maschere per il peeling o altri esfolianti, che spesso includono acidi o derivati della vitamina A, i famosi retinoidi: la pelle dei giovani è delicata, se si applicano prodotti aggressivi si rischia di causare irritazione ed erosioni di superficie». Marazza consiglia poi di essere più prudenti a fine estate, quando la pelle, in seguito all’esposizione al sole, è più delicata. «Anche chi ha la carnagione più scura, dal fototipo 3 in poi, deve prestare particolare attenzione ai prodotti utilizzati, perché ha un rischio di complicazioni più alto rispetto alle pelli più chiare». «In ogni caso, la maggior parte dei prodotti in commercio ha un buon profilo di sicurezza, se usato come indicato», rassicura Marazza. Per evitare l’invecchiamento precoce della pelle le raccomandazioni dell’esperto si concentrano su due aspetti che hanno più a che fare con lo stile di vita che con la skincare routine: «Evitare l’esposizione al sole, o comunque proteggersi con creme solari, e non fumare». Consigli validi a qualsiasi età.
Il possibile impatto psicologico
Prendersi cura della propria pelle fin da giovani, insomma, di per sé non è un problema, ma può diventarlo se si trasforma in un’ossessione. A quel punto può avere un impatto psicologico sui giovanissimi, soprattutto sulla loro autostima, racconta Stefano Rossi, psicopedagogista ed esperto di educazione emotiva. «Questo fenomeno è la cifra del nostro tempo, purtroppo viviamo nella società dell’immagine», afferma. «Il bambino non può più essere semplicemente un bambino, ma inizia a dirottare le sue attenzioni ed energie mentali sull’aspetto fisico». «Oggi c’è una grande pressione sull’estetica, che rende i giovani sempre più fragili. Lo specchio diventa un problema perché non si riescono a raggiungere i canoni imposti, che finiscono per danneggiare l’autostima»,
continua Rossi. «Tutta questa attenzione su un singolo aspetto, quello dell’estetica, toglie ai giovani la possibilità di esplorare altre parti di sé». Secondo l’esperto, la cura ossessiva della pelle è solo una delle modalità in cui si presenta una problematica più ampia, la stessa che è alla radice, ad esempio, dei disturbi alimentari. Ai genitori che si trovano a fronteggiare le richieste del figlio o della figlia di acquistare prodotti che non sono adatti a loro, o che si andrebbero ad aggiungere a una già vasta collezione, Rossi consiglia di provare a ragionare insieme ai ragazzi. «Provate a porgli delle domande per riflettere insieme sulla bellezza, e se si trovi davvero solo nel corpo». Nei suoi incontri con i giovani, racconta, fa spesso l’esempio di Malala Yousafzai, attivista e vincitrice del Premio Nobel per la pace. «Dico loro che è bellissima per il suo coraggio».
Approdi e derive
In dialogo con l’autunno
In questi giorni l’autunno ha iniziato a mostrarsi nella luce degli alberi e a sorprenderci con profumi e colori nuovi e cangianti, in qualche modo sempre inattesi, proprio come la meraviglia che da sempre riesce a suscitare in noi. Spesso ci ritroviamo sospesi tra la gratitudine per la sua bellezza e la nostalgia per tutto ciò che lascia andare come in un tramonto, sullo sfondo del suo sbocciare.
L’incontro con le nostalgie dell’autunno si esprime con delicatezza in queste parole del poeta Vincenzo Cardarelli: «Autunno. Già lo sentimmo venire / nel vento d’agosto, / nelle piogge di settembre / torrenziali e piangenti / e un brivido percorse la terra / che ora, nuda e triste, / accoglie un sole smarrito. / Ora che passa e declina, / in quest’autunno che incede / con lentezza indicibile / il miglior tempo della nostra vita / e lungamente ci dice addio».
Sono parole che raccontano il diveni-
Terre Rare
re del tempo nella profondità delle sue durate e dei suoi passaggi: la lentezza di ogni cominciamento, la lentezza di ogni attraversamento, e quella melanconica del congedarsi.
Ma l’autunno può evocare anche la gioiosa gratitudine per una pienezza rigogliosa, proprio come ricorda l’etimo della parola. La radice latina augere, aumentare, parla infatti di una stagione ricca di frutti e generosa nel raccolto. Ecco allora i bellissimi versi di Emily Dickinson: «Sono più miti le mattine / E più scure diventano le noci / E le bacche hanno un viso più rotondo, / La rosa non è più nella città / L’acero indossa una sciarpa più gaia, / E la campagna una gonna scarlatta. / Ed anch’io, per non essere antiquata, / Mi metterò un gioiello».
In queste splendide immagini nessuna nostalgia, ma al contrario il risuonare della meraviglia per quel «di più» che la sorprende ovunque, riempito di gratitudine verso paesaggi che
Parole d’accesso e disciplina
In questo nostro spazio dedicato alla riflessione sulle nuove tecnologie digitali avrei voluto continuare a parlare di Intelligenza Artificiale ma sono stato richiamato alla realtà analogica da un’esperienza personale. Nell’ambito di uno dei molti incontri legati allo «Sportello Digitale» promosso dall’ATTE, Associazione ticinese terza età, (www.atte.ch/sportello-digitale) mi sono reso conto come per molti utenti la realtà dell’interazione con gli strumenti informatici si fermi molto prima dell’IA. E anche in maniera piuttosto drammatica, limitando cioè in modo determinante l’uso degli apparecchi stessi. Lo scoglio da superare sembrerà banale, ma non lo è, ed è quello dell’uso delle password. Vista la frequenza con cui gli utenti che ho incontrato si trovano incagliati, ho pensato sia utile cercare di stilare un promemoria minimo, utile un po’ a tutti noi.
Dunque: punto primo, occorre disciplina. Consiglio a tutti di prendere seriamente il problema e di istituire un raccoglitore apposito e ufficiale per la conservazione delle proprie password. Basta bigliettini volanti, annotazioni casuali sul primo foglietto trovato in giro: decidiamo una volta per tutte di usare uno strumento unico (librettino, foglio Excel che sia) e solo quello per tutte le pass. E, soprattutto, ricordiamoci dov’è, perché per prudenza andrà messo in un posto accessibile ma sicuro, lontano dagli sguardi altrui. Questo passaggio è fondamentale, per quanto lapalissiano. (E vi assicuro che molti lo trascurano). Come secondo punto, occorre poi rendersi conto di un fatto necessario. L’uso di ogni apparecchio elettronico è per principio protetto da un procedimento di sicurezza. Che si usi il riconoscimento facciale o l’impronta digitale, questo non toglie che ta-
Le parole dei figli
Ghigliottina digitale
La «ghigliottina digitale» entra a fare parte de Le parole dei figli come atto di protesta. Per noi genitori sempre (giustamente) preoccupati dal rapporto che i Gen Z hanno con i social può essere utile capire che cos’è questo modus operandi per essere consapevoli che, dopotutto, gli adolescenti possono essere capaci di guardare le celebrity con uno sguardo critico e di ribellarsi. Il riferimento alla ghigliottina ovviamente richiama la Rivoluzione francese, l’aggettivo digitale fa riferimento al luogo dove si consuma oggi la rivolta giovanile. In sintesi: la «ghigliottina digitale» sta a indicare la decisione di bloccare su TikTok e Instagram gli influencer il cui comportamento va contro i propri valori. L’intento è di limitare la loro visibilità per procurare una contrazione del numero di persone che vedono i loro contenuti (la cosiddetta reach), provocando un
si lasciano accogliere come se nascessero per la prima volta, e con loro anche noi. «Mi metterò un gioiello»: così Emily Dickinson vive il dono di questo intimo, e prezioso, incontrarsi. Prezioso come l’invito rivolto a ciascuno di noi a lasciarsi sorprendere e lasciarsi toccare da questo incontro. Un incontro che rimane troppo spesso straniero ai nostri occhi: quasi sempre guardiamo fuori, osserviamo la natura che ci circonda solo per contenerla nello sguardo, solo per addomesticarla, per renderla un panorama, un arredo piacevole e accogliente ma in qualche modo distante e muto, incapace di metterci in contatto con l’intima coscienza del nostro abitare la vita.
Abituati a vivere ogni esperienza in tempo reale, a camminare dentro un eterno presente, sulla superficie di un tempo senza profondità, anche l’autunno, come ogni passaggio, diventa un invito a stare in ascolto di quel sen-
tire che scandisce silenzioso il ritmo delle nostre giornate, un invito a stare in ascolto della verità dei suoi battiti. Autunno diventa allora la rivincita del tempo, di un tempo soffocato che ritrova nei suoi passaggi e nei suoi paesaggi il respiro più autentico: non solo grazie alla voce dei poeti ma anche, forse soprattutto, nell’incanto del nostro sguardo. Ma altri inviti ancora sono custoditi per noi nelle atmosfere autunnali e nei suoi paesaggi, quando riusciamo ad accoglierli. Penso a quel giorno, ormai imminente, in cui tutte le foglie saranno cadute, a quella mattina in cui all’improvviso anche il tronco dell’albero a me più familiare mi si presenterà nudo nella sua solitudine, infragilito nella sua imponenza, ma rivestito di altra bellezza. In quel momento, qualcosa verrà come a suggerirmi il valore del saper lasciar andare. Il valore di non trattenere ciò che già abbiamo imparato a vedere e quel-
lo di esporci al non ancora visto, capaci di attendere l’inatteso e di scoprirvi il dono di volti impensati della realtà. Qualcos’altro ancora viene poi a suggerirci quel tronco che, pure lui, nella sua solitudine, inizia a esporsi all’attesa: forse un invito a imparare a riconoscere gli intrecci silenziosi dei tempi del morire con quelli dell’attesa di nuove fioriture. Mettersi in ascolto dei risvolti più intimi dei passaggi del tempo non significa prendere le distanze dal malessere e dai problemi del mondo, proiettandosi su una specie di nuvoletta poetica. Al contrario, proprio perché oggi viviamo relazioni sempre più virtuali e disincarnate, attraversare alcune atmosfere di quel di più nascosto della vita, coltivarne la grazia, può aiutarci a incamminarci verso forme più autentiche e più armoniose di convivenza e a restare abbracciati alla nostra umanità, anche in questo mondo così poco ospitale.
li procedure si basino su una forma di autenticazione che richiede, prima o poi un Pin (Personal Identification Number) o un altro identificativo specifico. In un modo o nell’altro, è meglio annotare la procedura di sblocco di ogni dispositivo, smartphone, Pc o tablet. Prima o poi la si dimenticherà, è sicuro (e attenzione: questo PIN è diverso da quello richiesto per lo sblocco dalla SIM, il microchip che permette la connessione telefonica). Chi usa un prodotto Apple, inoltre, dovrà fare i conti con l’uso del proprio Apple Id, un identificativo personale, formato dal proprio indirizzo di posta elettronica e da una ulteriore password. Si tratta di un elemento ineludibile, obbligatorio, l’unico che permette di installare app e utilizzare vari servizi fondamentali o accedere a modifiche della configurazione. Chi usa un dispositivo Android dovrà fare ri-
ferimento invece al proprio account presso Google, anch’esso composto da un’email e una password. Tenete annotati i vostri Apple Id, Google Id e i vostri PIN. Sono essenziali. Terzo punto. Una volta avuto accesso al dispositivo, esistono altri due livelli operativi che richiedono una password. Prima di tutto quello della connessione alla rete Internet. Annotate il nome della vostra rete di casa e la relativa password. Vi servirà magari per i vostri ospiti, ma vi servirà anche ogni volta che sostituirete qualche periferica e persino per il televisore. Oltre a questo sarà importante annotare nome utente e password del vostro indirizzo di posta elettronica. Senza quei dati sarà impossibile a qualsiasi tecnico, o anche solo amico di buona volontà, verificare i malfunzionamenti del vostro apparecchio. Perché prima o poi ci sarà un problema, ad esempio un bloc-
co della posta elettronica causato da qualche aggiornamento automatico di sistema, e allora sarà necessario riconfigurarla. In chiusura, e rimandando a un’altra puntata il prosieguo di questo vademecum, occorre tener conto del fatto che per motivi di sicurezza gran parte dei servizi digitali si sta orientando su procedure «a due fattori», in cui è necessario cioè confermare ogni richiesta con una risposta su un diverso canale digitale: sul cellulare per un servizio erogato via web, nella posta elettronica per un servizio richiesto con uno smartphone. Quindi è fondamentale che le informazioni di accesso, password o PIN, siano sempre disponibili e i canali funzionanti. Coraggio. Fare ordine è necessario, anche perché in caso di richiesta d’aiuto i vostri «salvatori» devono poter contare sulle informazioni necessarie.
peggioramento degli indicatori di performance (visualizzazioni, like, commenti), in modo che i brand arrivino a pagare meno le sponsorizzazioni. L’obiettivo finale è dunque causare loro un danno economico.
Tutto ha inizio il 6 maggio 2024, il primo lunedì di maggio in cui come da tradizione al Metropolitan Museum of Art di New York va in scena il Met Gala, l’evento di moda e charity più prestigioso e glamour del mondo organizzato dalla rivista «Vogue». La modella e influencer Haley Kalil, 32 anni, sfila sul red carpet con un abito floreale che ricorda lo stile di Maria Antonietta, consorte di Luigi XVI e ultima regina di Francia ghigliottinata durante la Rivoluzione francese il 16 ottobre 1793, e dice: «Che mangino brioche!». È la celebre frase attribuita proprio a Maria Antonietta, che rivolgendosi alla folla affamata di
Parigi avrebbe detto: «S’ils n’ont plus de pain, qu’ils mangent de la brioche ». Il 6 maggio 2024 è anche il giorno in cui l’esercito israeliano fa sapere di aver cominciato a chiedere ai palestinesi di evacuare i quartieri orientali di Rafah in vista di una possibile offensiva pianificata nell’area meridionale della Striscia di Gaza. Sui social gli Gen Z mostrano tutto il loro sdegno per la discrepanza fra lo sfarzo del Met Gala e i drammi del mondo. Quel «che mangino brioche» sembra rivolto proprio ai profughi di Gaza. Così scatta la decisione di bloccare su TikTok e Instagram le celebrity che non prendono le parti dei palestinesi. La ghigliottina social viene chiamata Blackout 2024 Nelle settimane successive nascono gli hashtag #celebrityblocklist e #Celebrity Block List of the day che replicano questo modus operandi ad altre situa-
zioni. Con l’aiuto della società DeRev, specializzata in strategia di comunicazione e marketing sui social, andiamo a vedere chi sono i contestati e che contraccolpi hanno. Tra i colpiti, oltre Haley Kalil, Taylor Swift, Kim Kardashian, Zendaya, Gal Gadot, Tom Brady, Selena Gomez. Dal 7 al 14 maggio su Instagram chi ne perde di più è Kim Kardashian (-430mila), seguita da Selena Gomez (-425mila), chi meno Haley Kalil (-24mila). Ma se guardiamo questi numeri in rapporto all’ampiezza della community la diminuzione di Kim Kardashian è dello 0,12%, di Selena Gomez dello 0,099%, di Haley Kalil è dello 0,42%. Mediamente, questo campione di ghigliottinati perde lo 0,16% dei follower. Da inizio anno a oggi alcuni di quelli colpiti da vari Block (come Taylor Swift o Tom Brady), in realtà hanno un saldo positivo (più 1,7% lei, che
corrisponde a 4,6 milioni di follower, e 2,9% lui, cioè 424mila follower). Per gli altri, il saldo del 2024 continua a essere negativo, ma comunque di lieve entità. Su TikTok, invece, fatta eccezione per Selena Gomez che nell’anno (dal primo gennaio a oggi) diminuisce di 900mila follower (1,52%), gli altri risultano tutti in crescita. Roberto Esposito, Ceo di DeRev, osserva: «In specifici gruppi social, le così dette bolle, può apparire che si stia aderendo a un’impresa collettiva, ma sarà probabilmente sempre un’azione parziale. Certamente però la ghigliottina digitale si è diffusa nel gergo dei giovani e molti di loro la utilizzano consapevolmente come atto di protesta». Nonostante il clamore, il danno è molto relativo. Ma dopotutto è da una miccia che si può innescare un incendio. Noi manifestavamo in piazza, loro sui social.
TEMPO LIBERO
Architettura: i ticinesi di Roma
Molto di quello che si vede girando per le strade dell’Urbe è opera di artisti quali Fontana, Maderno, Borromini e di altri ancora
Pagine 16-17
Un gioco di sapori ben riuscito
Succo e scorza di limone conferiscono sapore agli involtini di pollo farciti con prosciutto crudo, pomodori e formaggio
Pagina 19
Nei cieli di tutto il mondo, di corsa
Dal Giappone con serenità
I due giochi da tavolo presentati oggi mettono al bando la violenza dei molti sparatutto per favorire la pace, la dolcezza e la bellezza
Pagina 21
Adrenalina ◆ Il ticinese Mattia Vosti, uno dei più esperti piloti di parapendio Cross-country agonistico si racconta
Moreno Invernizzi
Ci sono le gare di velocità in pista, a corsa, e quelle sull’asfalto, a bordo di potenti macchine o in sella a una moto, o altri mezzi ancora. Ma ce ne sono anche di quelle che «vanno in scena»… sopra le nostre teste, con un tappeto di nuvole a fare da sfondo. Con una vela come «motore». Loro sono gli specialisti del parapendio Cross-country, di cui il ticinese Mattia Vosti è uno dei maggiori esperti alle nostre latitudini. L’abbiamo incontrato per conoscere più da vicino quest’adrenalinica disciplina, sportiva a tutti gli effetti, con tanto di gare e campionati internazionali.
Uno dei tanti appuntamenti, una sorta di Campionato mondiale di parapendio Cross-country, è andato in scena qualche settimana fa nei cieli della Macedonia. Tra i paraglider (piloti di parapendio), anche Mattia Vosti unitamente ad altri quattro svizzeri: «In totale, i partecipanti erano circa un centinaio, provenienti da tutto il mondo. Come gruppo, noi svizzeri ci siamo comportati bene, con tre piazzamenti tra i migliori 25, mentre gli altri due, alla loro prima uscita in una gara simile, hanno approfittato dell’occasione per fare un po’ d’esperienza che tornerà loro utile in futuro», racconta il 23enne ticinese. «Io mi sono classificato 23esimo, un risultato tutto sommato soddisfacente se si considera che ero partito con l’obiettivo di chiudere tra i primi 30, ma che lascia anche spazio a un po’ di rammarico visto che in una delle prove, prima di compromettere tutto con un errore quasi da principiante, ero addirittura tra i primi dieci».
Negli anni, la natura delle competizioni di parapendio è cambiata: se prima per vincere si registrava la distanza più lunga, oggi fa stato la velocità
Vediamo di conoscere da vicino questo sport: di cosa si tratta e come lo si pratica: «Le gare in parapendio non sono nuovissime: fin dagli albori di questa attività c’erano delle competizioni. Negli anni, però, a cambiare è stata la natura di queste gare: una volta ci si batteva prevalentemente sulle distanze; vinceva chi volava più lontano. Nel Cross-country agonistico, invece, a fare stato è la velocità».
A mutare è stata pure l’attrezzatura che viene impiegata in questo tipo di competizioni: «Nel Cross-country agonistico vengono infatti usate vele forse un po’ meno performanti rispetto a quelle che consentono evoluzioni più estreme, ma pur sempre molto performanti per la branca del parapendio e di conseguenza anche più complicate da far volare. Ecco perché
servono piloti comunque esperti per partecipare a questo genere di competizioni. Fortunatamente ci sono molte gare sparse per il mondo, alcune di queste selezionano magari piloti meno forti e creano una gara meno complicata (e più sicura) per quelli più inesperti. La gara che ho vissuto in Macedonia era un misto, con piloti di alto livello e altri alle prime armi. Quindi anche con categorie diverse all’interno della gara. Volendo fare una similitudine con uno sport… sulla terraferma, direi che il Cross-country è affine alla corsa d’orientamento. I direttori di gara ci forniscono le coordinate del percorso da seguire, che integriamo poi nel Gps che impieghiamo per il volo. Dopodiché viene definita una “finestra” di tempo per decollare, e a quel punto ci si alza in volo, con una partenza di massa. Una volta in aria, dobbiamo completare il percorso prestabilito nel minor tempo possibile: vince il primo che arriva, un po’ come in una regata».
Viene facile da immaginare, che siano comunque pochi gli agonisti ticinesi che praticano il parapendio Cross-country e infatti lo conferma anche Mattia Vosti: «Quelli che lo fanno a livello competitivo si contano sulle dita di una mano. Ma quelli che praticano attivamente il parapendio, senza gareggiare, sono molti di più, anche perché ci sono altre discipline, come l’Hike & Fly, prova che si basa su diverse capacità sportive che esulano anche dalla vela “pura”, e che si pratica in solitaria. In termine di numeri, l’Hike & Fly è forse il più popolare in Ticino, anche se le particolarità morfologiche del nostro Cantone sono ideali per il Cross-country com-
petitivo, e per questo mi sto dando da fare per allargare il numero di praticanti alle nostre latitudini». Mattia Vosti è una sorta di… figlio d’arte del parapendio: «Entrambi
i miei genitori sono piloti di parapendio. In più mio padre lo ha anche praticato a livello competitivo. Prendere il volo, per me, è dunque stato quasi… un passo naturale. E da lì, è sta-
to naturale anche provare con le gare, che sono sempre state una mia aspirazione fin dai primi voli». Altre occasioni di andare in aria, dove Mattia Vosti amerebbe stare «il più possibile. Quest’anno, complici anche le varie gare, in Ticino a dire il vero ho volato poco, ma un centinaio di ore di aria le ho fatte. A frenare un po’ le attività, poi, è stata la meteo, con weekend spesso uggiosi o ventosi». Clima che condiziona naturalmente il percorso stesso di una vela e la durata di un volo: «Nei giorni migliori con un volo si possono coprire 300-400 km. Ovviamente le condizioni devono essere ottimali, affinché si possa restare in aria per anche più di dieci ore».
«Ogni volta rimango affascinato dalla tavolozza di colori che ti stanno sotto: dal bianco delle cime al blu dei laghi, passando per il verde dei prati…»
Il posto più spettacolare da cui si è lanciato con la vela è «Grindelwald, arena naturale molto rinomata per questo genere di attività. Lì le montagne tutt’attorno formano una sorta di “parco giochi” per chi vola con il parapendio. Se decolli da First, subito davanti a te vedi stagliarsi la sagoma dell’Eiger, e, più in là, la Jungfrau, mentre sotto, a colorare di blu lo sfondo, ci pensa il lago di Interlaken. Emozioni nelle emozioni, insomma». E si aggiungono alle sensazioni provate quando ci si libra nell’aria: «Quando voli in gruppo, per una gara, la concentrazione è massima, per cui hai meno tempo per contemplare il panorama che ti sta tutt’attorno e sotto, ma al tempo stesso questa tensione, unita all’adrenalina del volo, ti dà tanta energia positiva, che ti spinge. Quando voli in solitaria, la cosa più bella è quando raggiungi una quota di poco inferiore alle nuvole (nelle giornate migliori puoi salire fino a quasi 4mila metri), e da lì sopra ammiri il panorama sottostante fatto di montagne e laghi, che per una volta rimiri a testa all’ingiù. Ogni volta rimango affascinato dalla tavolozza di colori che ti stanno sotto: dal bianco delle cime al blu dei laghi, passando per il verde dei prati… Mi dà veramente pace».
Resta dunque solo da stabilire se per Mattia Vosti esiste una montagna ideale per i lanci: «Non ho una montagna preferita, ma ho la fortuna che sopra casa di mio padre, sotto il Sassariente, ci sia quello che mi piace definire il mio “decollo privato”, dove già andavamo quando eravamo piccoli, con il parapendio biposto, e dove ancora oggi torno volentieri per concedermi un volo più “intimo”».
Un viaggio nella Città eterna abbellita
Itinerario architettonico ◆ Dal Cinquecento Roma è stata dimora e bottega per centinaia di maestranze di casa nostra decise a portare la
Mario Messina
Il sole si è appena alzato su Piazza San Pietro. Da qui cominciano le visite guidate di tanti gruppi organizzati che vogliono conoscere le bellezze dell’Urbe. Ma da qui comincia anche il nostro viaggio nella Roma dei ticinesi. A partire dal Cinquecento, infatti, la Città eterna è stata casa e bottega per centinaia di maestranze ticinesi decise a portare la propria arte e le proprie conoscenze sulle rive del Tevere: architetti, ingegneri, scultori, scalpellini e operai edili di ogni sorta scesero lungo la Penisola per proporre le proprie abilità agli alti prelati e alle famiglie nobili romane. Tra tutti, alcuni nomi spiccano sugli altri: Domenico Fontana, Carlo Maderno, Francesco Borromini e Carlo Fontana.
La Cupola e l’Obelisco Vaticano
Il nostro viaggio parte, al mattino presto, dal Vaticano per incontrare quello che fu il primo dei ticinesi ad arrivare a Roma: Domenico Fontana. Nato a Melide nel 1543, si trasferì qui appena ventenne per raggiungere il fratello maggiore. Di fatto, Fontana fu l’apripista di quella egemonia ticinese nell’ambito architettonico che a Roma durò per quasi due secoli. Qui, a piazza San Pietro, la sua firma si trova in diverse opere. Fu lui, insieme al conterraneo Giacomo Della Porta, a ultimare i lavori di realizzazione del simbolo del Vaticano: la Cupola di San Pietro. Erano trascorsi ormai 23 anni dalla morte del Buonarroti
quando nel 1588 Fontana e Della Porta presero in mano i lavori che terminarono cinque anni dopo.
Di Domenico Fontana è anche la facciata del Palazzo Apostolico che guarda sulla piazza, così come a lui si deve la presenza di un altro simbolo di questo luogo: l’Obelisco Vaticano. Fontana dimostrò una conoscenza della statica senza eguali per l’epoca. Ciò gli permise di innalzare l’obelisco e posizionarlo dove si trova oggi.
La basilica di San Pietro
Per trovare l’opera di un altro illustre ticinese basta dare le spalle all’Obelisco Vaticano e guardare di fronte a noi dove si staglia la Basilica di San Pietro. A inizio Seicento essa versa-
va in uno stato eterogeneo a causa dei tanti rimaneggiamenti avvenuti nel corso dei secoli. A dare alla Basilica l’aspetto che conosciamo noi oggi è stato Carlo Maderno, nipote di Domenico Fontana.
Nato a Capolago nel 1556, fu presto mandato a Roma dal fratello della madre che nel frattempo era diventato l’architetto di riferimento della città. Nel corso degli anni, Carlo Maderno si fece strada nei cantieri capitolini fino a diventare, nel 1603, l’architetto-capo della Fabbrica di San Pietro. In quella veste, il ticinese si ritrovò a dover compiere il lavoro più importante ma anche più ingrato dell’epoca: finire il lavoro di Michelangelo. A Maderno si deve, tra le altre cose, l’imponente facciata della Basilica. Nel disegno originale dovevano
essere presenti anche due campanili che però non furono mai realizzati per problemi strutturali. La mancata realizzazione di questi due elementi architettonici ha donato alla Basilica la forma particolare caratterizzata da larghezza eccessiva per gli standard estetici dell’epoca. Siamo già a metà mattinata. Per proseguire il nostro tour nella Roma dei ticinesi bisogna lasciare Città del Vaticano e dirigersi a Piazza di San Bernardo. Il traffico ci ricorda che è l’ora di punta e i cantieri per il Giubileo 2025 non fanno che rendere tutto ancora più caotico. Ma arrivati sul posto è chiaro il motivo che rende questa piazza speciale: due chiese sorelle. Una affianco all’altra, separate da una strada. Da una parte Santa Maria della Vittoria, dall’altra Santa
alle
Entrambe portano la firma di Carlo
La facciata della
di Santa
è considerata il primo esempio pienamente realizzato di architettura barocca.
Palazzo Barberini
Per trovare un’altra opera del Maderno basta spostarsi di 500 metri e giungere a Palazzo Barberini. Oggi sede delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, la facciata del palazzo è in via di restaurazione. Una cattiva notizia per chi la visita in questi giorni, ma un’ottima notizia per chi lo farà nei prossimi mesi perché potrà godere a pieno del disegno che fece l’ormai anziano Carlo Maderno coadiu-
abbellita dai ticinesi
la propria arte e le proprie conoscenze sulle rive del Tevere
vato da un altro ticinese, Francesco Borromini.
Nato a Bissone nel 1599 con il nome di Francesco Castelli, a Borromini fu affibbiato questo soprannome probabilmente per la devozione che aveva per il più grande dei santi lombardi del suo tempo, Carlo Borromeo. Sia sotto la direzione di Maderno sia sotto quella del Bernini, Borromini realizzerà numerosi particolari costruttivi e decorativi del Palazzo tra cui l’elegante scala elicoidale nell’ala sud. Terminata la realizzazione di Palazzo Barberini, il ticinese di Bissone si spostò di pochi metri per assumere la direzione del cantiere della Chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane.
Tra tutti, alcuni nomi spiccano sugli altri:
Domenico Fontana, Carlo Maderno, Francesco Borromini e Carlo Fontana
Sulle orme di Borromini
Dopo un pranzo veloce decidiamo di seguire idealmente le orme di Borromini e arriviamo davanti la chiesa per ammirare quel gioco di concavità e convessità delle pareti che crea una facciata dinamica. Facciata in cui trova perfettamente posto, nella nicchia posta sopra al portale d’ingresso, la statua di San Carlo Borromeo realizzata da un altro ticinese: lo scultore Ercole Antonio Raggi di Vico Morcote.
Bisogna spostarsi di oltre due chilometri per raggiungere un’altra, straordinaria, opera di Borromini. Nel primo pomeriggio arriviamo a Palazzo Spada – sede del Consiglio di Stato della Repubblica italiana – per ammirare la Galleria prospettica. Un
capolavoro di trompe-l’œil della falsa prospettiva che si trova nell’androne di accesso al cortile. Qui, la sequenza di colonne di altezza decrescente e il pavimento che si alza generano l’illusione ottica di una galleria lunga circa quaranta metri. Nella realtà i metri sono solo otto e la statua che si trova alla fine della galleria che sembra essere di grandezza naturale è alta solo sessanta centimetri.
Palazzo Montecitorio
Lasciamo Palazzo Spada e ci spostiamo in un’altra sede istituzionale della Repubblica. Ormai è pomeriggio inoltrato quando arriviamo a Palazzo Montecitorio, sede della Camera dei Deputati. Palazzo realizzato in parte da un altro Fontana: Carlo. Nipote di Domenico, Carlo Fontana nacque a Rancate nel 1638. Si trasferì a Roma in tenera età per imparare l’arte e le tecniche della costru-
Tra i due litiganti, la Fontana di Piazza Navona
«Non so se conoscete questa storia un po’ barocca tra Bernini e il suo rivale Borromini». Comincia così il brano Non sarò il tuo Borromini del cantautore Andrea Ra. La storia «un po’ barocca» a cui fa riferimento è quella della rivalità tra il ticinese Francesco Borromini e il napoletano Gian Lorenzo Bernini. I due avevano personalità molto diverse: Bernini era brillante, estroverso e mondano; Borromini, schivo, introverso e burbero. I due artisti si sono incontrati e scontrati diverse volte in una storia che ha inizio nel cantiere di San Pietro.
Sotto Papa Urbano VIII, l’architetto-capo della Fabbrica di San Pietro era il ticinese Carlo Maderno, maestro di Borromini. Sarà lui a permettergli l’ingresso in cantiere. Per Bernini, invece, si mosse qualcuno ancora più in alto: il Papa stesso che su di lui aveva grandi progetti.
Il primo fu il celebre Baldacchino in bronzo di San Pietro per la cui realizzazione Bernini fu affiancato, come assistente, proprio da Borromini. Il motivo? Bernini – apprezzato e celebre scultore – non sapeva nulla di fusione in bronzo di cui invece il ticinese era espero. I primi attriti tra i due artisti cominciarono qui.
Ma l’astio divenne odio nel 1629 quando, alla morte di Carlo Maderno, l’incarico di capo-cantiere divenne vacante.
zione e dell’architettura come fatto da altri membri della famiglia. Una famiglia composta, evidentemente, di talenti dell’architettura perché il giovane Carlo non solo riuscì a eguagliare il vecchio Domenico per fama, ma divenne genio ispiratore di tutta la fase costruttiva romana che va dal XVII al XVIII secolo. Le opere di Carlo Fontana a Roma sono davvero tante. Tra queste, la Chiesa di San Marcello al Corso, con la particolare facciata leggermente incavata, la Basilica dei Santi XII Apostoli e la Cupola della Cappella Cybo in Santa Maria del Popolo. Guardiamo quest’ultima opera dalla Terrazza del Pincio, dove termina il nostro tour. Da qui si vede Piazza del Popolo e, in lontananza, la Cupola della Basilica di San Pietro. Il sole sta per tramontare all’orizzonte. Lo stesso in cui si staglia il Cupolone disegnato da Buonarroti e terminato da Fontana. Lì dove ebbe inizio l’epopea dei ticinesi che fecero bella Roma.
I Maestri dei Laghi
A un certo punto della storia di Roma in tutti i cantieri della città si poteva udire il dialetto ticinese, e una ragione c’è: «La risposta è nelle caratteristiche stesse della committenza pubblica romana dell’epoca», spiega la professoressa Maria Vittoria Cattaneo, ricercatrice al Politecnico di Torino ed esperta nelle vicissitudini delle maestranze ticinesi in Italia tra il Cinquecento e l’Ottocento. «La committenza di quest’epoca (papale, aristocratica o ecclesiastica) spingeva per avere il pieno controllo di ogni aspetto decisionale del cantiere. Una volontà di controllo accentrato che trovava degli operai perfetti in quelli che oggi chiamiamo ticinesi», spiega la docente.
Maria Vittoria Cattaneo: «I ticinesi quando arrivavano a Roma facevano sfoggio di una buona formazione di base»
no al di sopra dei «competitor» locali. Se è chiaro, dunque, perché pontefici e aristocratici romani si affidavano ai ticinesi per le grandi opere dell’epoca, bisogna ancora capire perché nella zona che oggi chiamiamo «Canton Ticino» si crearono le condizioni per sfornare nomi come Fontana, Borromini e Maderno. «La prima considerazione da fare e che per ogni Fontana che fece la storia dell’architettura, a Roma c’erano migliaia di altre maestranze e altri lavoratori provenienti dalla regione dei laghi, di cui oggi magari non ricordiamo il nome ma che contribuirono enormemente alla creazione della buona reputazione dei ticinesi. La seconda considerazione da fare è che ciò che abbiamo detto fino a questo momento non vale per tutto il territorio che oggi è il Ticino ma di una parte di esso: la zona del Sottoceneri», afferma Cattaneo.
Ralf van Bühren
Borromini era il successore naturale: sapeva tutto del cantiere e aveva una formidabile conoscenza. Ma a causa del suo carattere burbero e scontroso il ticinese non fu affatto preso in considerazione. E Urbano VIII gli preferì il più celebre Bernini. La supremazia di Bernini su Borromini fu incontrastata fino al 1644 quando la morte di Urbano VIII e una serie di errori gravi nel cantiere spinsero il nuovo Papa Innocenzo X a dare fiducia al ticinese. Borromini, entusiasta di questo nuovo inizio, diede al Pontefice l’idea di realizzare in Piazza Navona una statua che rappresentasse i più
importanti fiumi dei quattro continenti (vedi foto). Qui l’ennesimo smacco: perché Bernini, pur non essendo stato chiamato a partecipare al concorso per la realizzazione dell’opera, riuscì a far avere il suo progetto a Innocenzo che se ne innamorò e decretò che a realizzarla fosse proprio lui: il rivale assoluto di chi quell’idea l’aveva avuta. Questo deve essere stato l’ultimo, insostenibile smacco per Borromini che, in un momento della vita caratterizzato da condizioni fisiche precarie e risentimento alle stelle nei confronti di tutta (o quasi) la Roma del tempo, si tolse la vita nel 1667.
Erano due i fattori che rendevano i professionisti ticinesi dell’epoca perfetti per questo tipo di richieste. Il primo, l’organizzazione del cantiere su base famigliare. I Maestri dei Laghi che giungono a Roma provengono da famiglie in cui tutti o quasi tutti i membri operano nell’ambito edile. Dai semplici manovali alle menti più brillanti, questi si uniscono e creano piccole imprese edili ben strutturate all’interno delle quali è possibile ritrovare professionisti abili nei diversi ambiti. Questa organizzazione non solo garantisce che il lavoro sia svolto bene e in tempi piuttosto ristretti, ma soprattutto permette alla committenza di mantenere facilmente il controllo sui lavori del cantiere.
Una seconda caratteristica riguarda la formazione: «A differenza di architetti, capimastri e manovali provenienti da altri luoghi, i ticinesi quando arrivavano a Roma facevano sfoggio di una buona formazione di base che era stata garantita loro in patria», spiega Cattaneo. Gli edili ticinesi della Roma papale del Cinquecento e del Seicento sapevano leggere, scrivere e far di conto (competenze non scontate per l’epoca) e soprattutto avevano dei buoni rudimenti di disegno e di geometria. Competenze che li poneva-
La tendenza all’emigrazione era tipica di tutto il territorio (perché esso non era in grado di offrire le condizioni per una vita agiata a tutta la popolazione), ma in questa zona si crearono le condizioni per una specializzazione nell’ambito edile e la creazione di una «emigrazione specializzata». I primi «svizzeri» che dal Sottoceneri emigrarono a Roma dovettero riportare in patria una consapevolezza: i lavoratori più preparati avevano più possibilità di farcela. Così in quei luoghi si creò una prassi che prevedeva una buona formazione in giovane età e l’espatrio verso i vent’anni. Formazione, creazione di imprese su base famigliare e organizzazione dei cantieri con diverse competenze fecero sì che i ticinesi fossero egemoni nei cantieri romani fino a tutto il Seicento, poi accadde che «da un certo momento del Settecento, in Italia, si iniziò a creare un tipo di percorso formativo codificato attraverso le accademie e le università», spiega Cattaneo. «Ciò portò a sistemi di ingaggio differenti basati non più sulle caratteristiche delle imprese ma su quelle dei singoli professionisti che per operare necessitavano di formali attestati che, come accade oggi, si acquisiscono dopo aver seguito percorsi di preparazione propri per ogni ambito della conoscenza di cantiere». Novità che posero fine all’epopea dei mastri ticinesi a Roma.
nella vostra Migros
Ricetta della settimana - Involtini di pollo in salsa al limone
Ingredienti
Piatto principale
Ingredienti per 4 persone
4 petti di pollo di ca. 120 g
4 fette di prosciutto crudo
½ mazzetto di basilico
pepe
100 g di pomodori cherry
semi secchi sott’olio, sgocciolati
50 g di sbrinz
1 limone
sale
1 c di burro per arrostire
3 dl di fondo di pollame
2 rametti di rosmarino
2 c di burro freddo
Preparazione
1. Dividete i petti di pollo a metà in senso orizzontale con un coltello affilato. Poi con un batticarne appiattite le fettine di pollo battendole con cautela fino a ottenere uno spessore di circa 3 mm.
2. Dividete le fette di prosciutto a metà. Staccate le foglie di basilico dai gambi e mettetene da parte la metà. Condite le fettine di pollo con il pepe e disponete su ognuna di esse una mezza fetta di prosciutto, qualche foglia di basilico e qualche pomodoro cherry. Con un pelapatate ricavate dallo sbrinz delle fette sottili di formaggio e spargetele sulla farcia. Completate con un po’ di scorza di limone grattugiata.
3. Ripiegate leggermente sulla farcia entrambi i lati più lunghi delle fettine di pollo, poi arrotolate ben stretto. Fissate l’estremità con uno stuzzicadenti. Salate e pepate gli involtini.
4. Rosolate gli involtini nel burro per arrostire a fuoco medio per circa 3 minuti. Tagliate a fette una metà del limone e spremete l’altra. Sfumate gli involtini con il succo di limone e il fondo di pollame. Aggiungete il rosmarino e le fette di limone, mettete il coperchio e lasciate stufare a fuoco medio-basso per circa 10 minuti. Estraete gli involtini dalla salsa e teneteli in caldo.
5. Tagliate il burro a cubetti e incorporatelo alla salsa, mescolando con una frusta. Regolate di sale e pepe. Aggiungete le foglie di basilico messe da parte e gli involtini. Accompagnate gli involtini con delle tagliatelle o un risotto.
Consigli utili
Se preferite salse più dense, aggiungete un po’ di amido di mais alla salsa per legarla.
Preparazione: circa 40 minuti.
Per persona: circa 37 g di proteine, 18 g di grassi, 4 g di carboidrati, 340 kcal.
Iscriviti ora!
I membri del club Migusto ricevono gratuitamente la nuova rivista di cucina della Migros pubblicata dieci volte l’anno. migusto.migros.ch
Ciao. noi siamo innocent
Facciamo piccole bevande naturali, ma i nostri sogni sono belli grandi: vogliamo rendere il mondo un posto migliore dove vivere. È per questo che facciamo smoothie e succhi di frutta realizzati con ingredienti naturali e nient‘altro, doniamo il 10% dei nostri profitti in beneficenza e abbiamo promesso di continuare a diminuire la nostra impronta di carbonio ulteriormente.
Premuto direttamente
Nel reparto refrigerato
Con vitamine extra
Un gioco elegante per afferrare la bellezza
Colpo critico ◆ Sul rimbalzo breve degli haiku e l’orientaleggiante spirito sereno di Rosso di sera, potremo impreziosire quel che è stato frantumato grazie alla filosofia del kintsugi
Andrea Fazioli
«Vecchia palude. / Una rana si tuffa – / Rumore d’acqua». Se il poeta giapponese Bashō non avesse scritto questi versi, non avremmo mai saputo che una rana, nella primavera del 1686, spiccò un balzo per entrare in uno stagno. Invece Bashō era lì a guardare e prese nota dell’evento. Qualcuno potrebbe chiedersi che importanza abbia quel tuffo nella storia del mondo, o anche solo del Giappone. Ma chi siamo noi per definire ciò che è importante? A volte le piccole cose, o i piccoli batraci, causano grandi effetti. Quella rana, per esempio, suscitò un fermento poetico. L’haiku in lingua originale – «furu ike ya / kawazu tobikomu / mizu no oto» – è stato tradotto in varie lingue (solo in inglese esistono più di cento versioni, e qualche decina in italiano). Quando da ragazzo mi imbattei in quei versi, mi nacque una curiosità per la poesia giapponese e per quello sguardo essenziale sul mondo, per quell’attenzione al fluire della quotidianità. Gli haiku sono una scheggia di presente, un’illuminazione di tre versi sempre di cinque, sette e cinque sillabe: «Guizza la trota – / e scorrono le nuvole / in fondo al fiume» (Onitsura); «Ecco l’autunno – / Mi arrendo all’evidenza / dello starnuto» (Yosa Buson); «Convalescenza. / Contemplando
le rose / mi stanco gli occhi» (Shiki). L’atmosfera degli haiku si ritrova in Rosso di sera, un gioco di ruolo di Kamiya Ryo e Shimizu Mike (Studio Supernova / XVgames 2023; edizione originale Yuuyache Kooyache, Shinkigensha, 2018). Siamo a Hitotsuna, una cittadina circondata dalle montagne e attraversata dal fiume Jūron. È un luogo isolato, tanto che i telefoni cellulari hanno campo solo vicino alla stazione e al municipio. Oltre agli esseri umani, nella zona abitano degli henge: piccoli animali che possono assumere la forma umana. Si tratta di volpi, conigli, procioni, cani, gatti e topi che di tanto in tanto si mescolano agli abitanti. Nel manuale si trova tutto il necessario per avviare una partita: uno dei partecipanti avrà il ruolo di narratore e metterà in scena degli spunti narrativi, gli altri assumeranno il ruolo di henge e vivranno piccole avventure che si dipanano nel corso delle stagioni. A differenza di altri giochi di ruolo, qui non ci sono sfide pericolose, esplorazioni o combattimenti. Gli henge aiutano un bambino smarrito a trovare la via di casa, danno una mano alla «nonnina del negozio» o consolano una ragazza innamorata. Non ci sono tabelle con le armi e le attrezzature, ma una «lista di dolcetti» (dalla «cioccomonetina col buco» agli yakisoba, spaghet-
Giochi e passatempi
Cruciverba
Coniglio, allodola e gabbiano. Nell’ordine dato, quali versi fanno questi animali? Risolvi il cruciverba, leggi le lettere evidenziate e lo scoprirai.
(Frase: 4, 6, 8)
ORIZZONTALI
1. Le ali di Zeus
3. Si stringe fra i denti
7. Fa perdere la linea
9. Una delle «Piccole donne»
10. Mammifero americano
12. Le iniziali del pittore Guttuso
13. Pesce dalle carni pregiate
15. Le iniziali del musicista Respighi
16. Repubblica federale dell’America Meridionale
22. Due di noi
24. Andata per Virgilio
25. Iniziali dell’attore Depardieu
26. Due vocali
28. Una consonante
30. I preziosi di famiglia
32. Un essere come l’uomo
35. Formano un imbattibile poker
37. Inzuppati, bagnati
38. Asso inglese
VERTICALI
1. Manca allo svogliato
2. Il segnale dello starter
4. Le ha in testa l’imperatore
5. Preposizione
6. Un’imboscata
8. Lo può essere un boccone
ti alla piastra conditi con verdure). Il meccanismo è semplice: ogni animaletto henge può trasformarsi in umano a certe condizioni; in più ha delle abilità specifiche per superare le prove, cioè le situazioni in cui vuole fare qualcosa di particolare. I giocatori possono regalarsi l’un l’altro dei «punti sogno» per creare dei legami e per ottenere dei «punti meravi-
glia». Se nascono dei conflitti, vengono risolti con discrezione e gentilezza. Rosso di sera è un invito a cogliere l’incanto delle sfumature, mescolandosi agli abitanti di Hitotsuna nelle loro attività di ogni giorno. Un altro gioco da abbinare agli haiku e a Rosso di sera è Broken and beautiful. A Game about kintsugi, creato da Patrick Rauland nel 2023 per
11. Capatina in centro
14. Le iniziali del cantante Britti
17. Prefisso replicativo
18. Nome femminile
19. Le iniziali della giornalista
Gruber
20. Il Murphy attore
21. Parti dell’orecchio
23. Lo seguono le pratiche
27. Fiume della Francia
29. Cadevano dopo le calende
31. Isabella per gli amici
33. Simbolo chimico del platino
34. Le iniziali dell’attore Solfrizzi
36. Le iniziali dell’attore Castellitto
Left Justified Studio e proposto anche in francese nel 2024 con il nome Kintsugi da Palladis Games. Le regole sono brevi e prendono spunto dall’arte giapponese di riparare gli oggetti di ceramica con della lacca e della polvere d’oro. Una tazza o una teiera rotta non sono da buttare, ma possono diventare ancora più belle e, soprattutto, uniche. La filosofia del kintsugi dice infatti che dalle imperfezioni e dalle ferite scaturisce la grazia. Questo concetto è rappresentato in una serie di carte da collezionare. I partecipanti, da due a quattro, possono segnare dei punti con una serie di ceramiche abbinate fra di loro. È possibile tuttavia che alcuni oggetti si rompano; ma se il proprietario li restaura essi diventano ancora più preziosi. Si può scegliere quindi di spaccare le tazze degli avversari, per sottrarre loro dei punti, ma con il rischio che le stesse tazze vengano riparate con polvere d’oro e portino ancora più punti…
Entrambi i giochi sono ben congegnati e, con tocco leggero, stimolano qualche riflessione. Anzi, in certi casi aiutano a raggiungere uno stato d’animo contemplativo: alla fine di una partita a Rosso di sera o a Kintsugi è il momento giusto per creare un haiku. E ora che faccio?
Poso la penna / ed esco a conversare / con una nuvola.
Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell ’apposito
cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del
intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile
Quando la pausa pranzo salta
Certo che sì!
La vita si fa sempre più frenetica e spesso si ha a malapena il tempo per una colazione o un pranzo equilibrati. Quando la fame si fa sentire, è facile cedere a snack di ogni tipo, trascurando la qualità. Emmi I’M YOUR MEAL propone un pasto completo al gusto rinfrescante di un goloso drink completamente privo di lattosio.
IN PIENA ARMONIA CON IL TUO STILE DI VITA
Chi è sempre in movimento e si destreggia tra famiglia, amici e lavoro, ha bisogno di pause e, soprattutto, di ricariche regolari di preziosa energia. Il pasto sostitutivo da bere Emmi I’M YOUR MEAL è l’alternativa
Un drink come pasto?
Lungo sazianteeffetto
38 g* proteina 26 vitamine & minerali
DUE GUSTI, STESSA BONTÀ
intelligente quando si ha poco tempo a disposizione. Con una sola bottiglietta fai il pieno di nutrienti: 38 g * di proteine, f bre e 26 vitamine e minerali. Esattamente ciò di cui il tuo corpo ha bisogno per ripartire alla grande.
Che si tratti di una colazione veloce sull’autobus, di un’alternativa saziante alla pausa pranzo o di una cena energetica dopo il lavoro, Emmi I’M YOUR MEAL è sempre a portata di mano nelle due acclamate varietà di gusto Choco e Vanilla, ovviamente nella qualità imbattibile Emmi. Eat smart. Drink.
Prova subito Emmi I’M YOUR MEAL e approf tta di CHF 3.–di cashback!
ATTUALITÀ
Tra foreste e selvaggina Il rischio per i boschi dato dalla presenza di cervi, camosci, caprioli, cinghiali e stambecchi
Pagina 25
Sui tagli al tasso di sconto Gli effetti della terza riduzione annunciata in un anno dalla Banca Nazionale Svizzera
Pagina 29
Attiviste ultra-ortodosse
In Israele ci sono donne legate alla tradizione che promuovono il cambiamento politico e sociale
Pagina 31
Il pesce della discordia Ogni anno, in occasione della festa del Durga Puja, India e Bangladesh si danno battaglia per l’hilsa
Pagina 35
Perché continua una guerra già finita?
Ucraina/Russia ◆ Nonostante la sconfitta, di fatto Kiev non molla la presa per timore del futuro e guarda all’alleato americano
Lucio Caracciolo
In Ucraina continua una guerra finita. Finita dal punto di vista strategico, poiché persino i leader ucraini ammettono che, nel breve-medio periodo, i territori conquistati dai russi non sono recuperabili. Di conseguenza l’obiettivo di ristabilire la sovranità di Kiev su tutta l’Ucraina nei confini del 1991 è per ora utopia. È finita anche perché il deficit di uomini, ancor prima che di armi, di cui soffre da tempo l’esercito di Kiev, è tale da rendere impensabile una guerra di lunga durata.
La demografia è infatti il punto debole degli ucraini, dato che quasi la metà dei 51 milioni di abitanti censiti nella Repubblica Ucraina del 1991 non esiste più, sia perché rifugiati all’estero sia perché uccisi dai russi (quasi mezzo milione tra civili e militari). Sull’altro fronte Putin ha raggiunto l’obiettivo territoriale minimo: i territori dei quattro Oblast annessi non verranno scambiati con nulla, salvo fosse necessario un piccolo sacrificio per ottenere da Kiev la rinuncia all’adesione alla Nato. Soprattutto, almeno in questa fase, il Cremlino non può permettersi altre grandi of-
fensive senza mobilitare forzatamente altre centinaia di migliaia di soldati, con il rischio di ammutinamenti e fughe di massa. Un altro aspetto che induce a considerare la partita chiusa è il dato etnico. Oggi i russi occupano territori ucraini, abitati quasi esclusivamente da loro compatrioti o da ucraini costretti ad accettare il nuovo padrone.
L’ideale sarebbe l’ammissione dell’Ucraina nella Nato. Probabilità tendente allo zero, nell’immediato futuro ma anche in quello prossimo
Se si spingessero oltre le linee attuali, gli uomini di Mosca, dove vittoriosi, dovrebbero gestire popolazioni ucraine ostili, inasprite dalla guerra.
Perché allora questa guerra finita continua? Perché Zelensky insiste con il suo «piano della vittoria»?
Le risposte possono essere multiple. La più ovvia è che accettare la situazione attuale, ammettendo di fatto la sconfitta salvo abbellimenti
retorici, significherebbe per Zelensky perdere il potere. In ogni caso, prima o poi nell’Ucraina libera dai russi si tornerà a votare e sarà difficile per l’attuale presidente mantenere la carica. Una ragione più profonda è che non solo Zelensky, ma tutto il popolo ucraino vorrebbe ottenere dagli americani e dagli altri alleati occidentali serie garanzie per la propria futura sicurezza. Sufficienti almeno a scoraggiare eventuali ulteriori ambizioni di Putin.
L’ideale, ovviamente, sarebbe l’ammissione dell’Ucraina nella Nato. Probabilità tendente allo zero, non solo nell’immediato futuro, ma anche nel futuro prossimo. Sostituire la determinazione di una data di ingresso nell’Alleanza atlantica con una promessa senza scadenze precise sarebbe vissuto come un azzardo. Già nel 2008 Bush figlio era riuscito a convincere i riluttanti partner europei a promettere un orizzonte atlantico all’Ucraina, senza specificare quando ciò sarebbe diventato realtà, con i risultati che conosciamo. Kiev teme che un cessate-il-fuoco lungo le attuali linee di combattimento sarebbe
solo temporaneo, consentendo ai russi di raggrupparsi e preparare tra un anno o due la spallata decisiva che li portasse a Odessa se non addirittura alla loro capitale. Infine, il rischio che dopo il congelamento del conflitto gli aiuti finanziari e militari dell’Occidente siano drasticamente ridotti è una prospettiva che renderebbe quasi impossibile l’esistenza a medio termine dello stesso Stato ucraino. La palla a questo punto passa a Washington e Mosca. Solo l’America è accettata dalla Federazione Russa come vero interlocutore per un accordo di pace, o meglio di tregua. E solo Washington può convincere Zelensky, o chi per lui, ad accettare il cessate-il-fuoco. Soluzione certamente sgradita e molto inferiore alle aspettative della leadership ucraina fino a pochi mesi fa. Motivo per cui decisivo sarà l’insediamento del nuovo presidente americano, abilitato a dirimere la vertenza. È prevedibile che Trump, come ripetutamente promesso, cercherebbe di risolvere la disputa in tempi brevi, contando sul suo rapporto piuttosto speciale con Putin e sulla
sua influenza sui destini di Zelensky. In caso di affermazione della signora Harris, tutto resta molto indeterminato, perché indeterminata è l’attuale vicepresidente.
In un caso o nell’altro, una parola decisiva spetterà agli apparati americani. I più decisi a congelare la guerra, in attesa di un futuro migliore, sono i servizi di intelligence, in particolare la Cia. Più o meno sulla stessa linea i militari. Refrattari a un compromesso troppo svantaggioso per Kiev sembrano invece i diplomatici. Per tutti vale comunque la difficoltà di vestire da vittoria un’oggettiva sconfitta. Almeno nel breve termine, e nel teatro specifico dell’Ucraina, la Russia potrebbe facilmente indossare l’abito del vincitore. Che poi si tratti di una vittoria molto parziale, se non di una mezza sconfitta, è dimostrato dal fatto che per ottenerla Putin ha dovuto accettare la crescente influenza di Pechino sulla Russia e sulla sua ex area d’influenza centroasiatica. Ma questi saranno i bilanci della storia. L’urgenza oggi è di far finire quella che ormai è diventata una inutile strage.
Gustati l’autunno a cucchiaiate!
20x CUMULUS
Novità
Zuppe Da Emilio zucca & salvia, funghi al tartufo e pomodoro & basilico, per es. zucca & salvia, 570 g, 6.50, (100 g = 1.14)
a partire da 2 pezzi
–.30 di riduzione
Tutti i tipi di pasta M-Classic
500 g, per es. vermicelli, 500 g, 1.80 invece di 2.10, (100 g = 0.36)
2.60
Verdure per minestra Anna's Best
250 g, (100 g = 1.04)
Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. Offerte valide dal 15.10 al 21.10.2024, fino a esaurimento dello stock.
Foresta e selvaggina, un equilibrio difficile
Svizzera ◆ Cervi, caprioli, cinghiali e stambecchi metterebbero a rischio la rinnovazione dei boschi. Il ruolo di cacciatori e lupi
Roberto Porta
«È urgente agire subito». Così hanno scritto qualche settimana fa ben quattro associazioni che si occupano delle foreste del nostro Paese, unanimi nel lanciare un allarme in difesa del bosco. Il Gruppo svizzero per la selvicoltura di montagna, la Società forestale svizzera, BoscoSvizzero e l’Associazione dei proprietari di bosco bernesi concordano nel dire che «la rinnovazione delle foreste è più che mai sotto pressione». E questo a causa della selvaggina che da decenni ormai sta ostacolando e persino bloccando «la crescita dei giovani alberi».
«È quindi importante che i cacciatori capiscano l'importanza di avere popolazioni di ungulati adattate all'ambiente»
Sotto accusa, in particolare, l’incremento costante della presenza di ungulati sul nostro territorio. Cervi, camosci, caprioli, cinghiali e stambecchi che per loro natura si cibano delle foglie e anche della corteccia dei giovani alberi, e questo compromette la rigenerazione dei boschi in ampi settori del nostro territorio. Una tendenza sempre più preoccupante, come ci conferma Luca Plozza, ingegnere forestale e presidente del Gruppo svizzera per la selvicoltura di montagna. «In molte regioni del nostro Paese la rinnovazione del bosco è messa a dura prova dalla pressione degli ungulati. Se non si trova una soluzione, a medio e lungo periodo ci saranno delle conseguenze molto negative, con il rischio di mettere a repentaglio la stabilità dei nostri boschi. Penso in particolare all'importante funzione di protezione dai pericoli naturali».
Un problema noto da tempo, ma troppo spesso preso alla leggera dalle diverse autorità cantonali e federali che si muovono in questo ambito. «Il Gruppo svizzero per la selvicoltura di montagna ha segnalato questa tendenza già nel lontano 1992», fa notare ancora Plozza. «Sono trascorsi più di trent’anni e la situazione non è migliorata, anzi è nettamente peggiorata. Nel nostro Paese si sta del tutto sottovalutando questo problema». A detta di questo ingegnere forestale grigionese, tra i motivi all’origine di questa negligenza c’è anche un problema di comunicazione. «È difficile far capire alla nostra società la portata di questi danni, visto che il cittadino comune si accorge solitamente di questi problemi con ritardo, solo dopo decenni. In questo periodo storico la superficie forestale si estende sempre di più. In un contesto del genere è difficile spiegare ai cittadini che il bosco è in difficoltà. E poi occorre anche fare i conti con la forza politica dei cacciatori». Cacciatori chiamati a intervenire per ridurre le popolazioni di ungulati. Un’attività, chiediamo, che andrebbe intensificata? «Senza l’intervento dei cacciatori il problema non verrà risolto», sottolinea Luca Plozza. «È quindi importante che i cacciatori capiscano l’importanza di avere popolazioni di ungulati adattate all’ambiente. Foresta e selvaggina devono coesistere in giusto equilibrio. Attualmente in molte zone della Svizzera il numero di questi animali va ridotto. Questo compito va però affiancato anche da misure forestali, ad esempio con tagli di alberi in favore proprio dell’attività venatoria». La rigenerazione del bosco passa dunque anche dai cacciatori, secondo il nostro interlocutore.
Tocca davvero a loro incrementare gli abbattimenti di ungulati? Giriamo la domanda a Davide Corti, presidente della Federazione dei cacciatori ticinesi. «Per rispondere a questo quesito è necessario suddividere la caccia in due ambiti distinti. Da un lato c’è la passione venatoria e dall’altro la necessità di regolare gli effettivi di ungulati. Il cacciatore è primariamente orientato a poter svolgere la propria passione secondo principi etici e comportamentali che a volte potrebbero risultare poco compatibili con un prelievo massiccio di ungulati. Ciò non di meno, già da anni i cacciatori si sono assunti questo ruolo». Al classico periodo di caccia alta si aggiunge, ad esempio, la caccia tardo autunnale al cervo. «In Ticino nel 2023 sono stati abbattuti ol-
tre 2500 cervi, di cui quasi un terzo durante le “cacce speciali”», ci dice Corti. «lo stesso dicasi per i cinghiali, e qui va notato che è stato aggiunto anche un periodo di caccia estiva che ha permesso l’abbattimento di oltre mille esemplari in più rispetto agli anni precedenti. Questo per dire che i cacciatori sono consapevoli dell’importanza di un giusto equilibrio in alcune popolazioni di ungulati, in particolare quelle dei cervi e dei cinghiali. I cacciatori hanno sempre risposto con il necessario impegno, anche se alcuni metodi di caccia non fanno del tutto l’unanimità tra i seguaci di Diana». In un ambito in cui il numero massimo di animali da prelevare viene fissato a livello cantonale. A detta di Corti «negli ultimi anni la caccia ha permesso di raggiungere quasi sempre gli obiettivi posti dalle autorità cantonali». Ma se guardiamo ai prossimi anni come la mettiamo? I boschi e la rigenerazione delle piante potranno contare anche in futuro sul supporto dei cacciatori? «La caccia attira ancora molte persone», sottolinea l’intervistato. «Il numero di candidati agli esami di abilitazione è stabile, se non in aumento. Si tratta di una formazione impegnativa che si protrae per due anni. La maggior parte dei candidati risiede in zone urbane e proviene oggi da un contesto sociale e famigliare che non ha alcun contatto con il mondo venatorio. Questo ci permette di dire che anche in futuro ci saranno i numeri per rispondere alle esigenze di contenimento di alcune specie, anche perché notiamo un aumento dei cacciatori interessati a questo tipo di intervento». Ciò detto, non va dimenticato che gli ungulati possono essere regolati anche in modo naturale, e qui a entrare in azione è il lupo. «Il lupo ha un influsso sulla presenza e il comportamento degli ungulati, può quindi dare un contributo alla gestione della selvaggina», osserva dal canto suo Luca Plozza. A suo dire, però, per favorire la crescita del bosco e ridurre i danni degli animali occorre fare affidamento soprattutto sull’aiuto dato dai cacciatori. «Diversi studi scientifici hanno appurato che l’espansione notevole del lupo in Svizzera, ma anche in Francia e in Italia del nord, è stata favorita in modo determinante dall’eccessiva presenza di ungulati. Se gli ungulati vengono regolati e adattati all’ambiente, anche la difficile gestione del lupo nel nostro Paese verrà nettamente facilitata». In ogni caso si tratta di un tema da affrontare con decisione, il bosco non è un malato immaginario.
Troppi funzionari pubblici, che fare?
Canton Ticino ◆ Ridurre gli effettivi dell’Amministrazione è davvero molto difficile. Ecco come mai
Angelo Rossi
Al Canton Ticino fu concessa l’indipendenza nel 1803. Alla fine di quell’anno, la sua amministrazione contava quattro funzionari. L’anno seguente, 1804, per la nomina di un paio di vice e di un pario di uscieri, l’effettivo dell’Amministrazione ticinese era già raddoppiato. Ce lo ricorda la storica Jessica Beffa. Nel Parlamento cominciarono allora a sorgere critiche contro la dimensione dell’Amministrazione e inviti a ridurne la dimensione per non compromettere le finanze del Cantone. I lettori non lo crederanno, ma questa è verità storica. In Ticino, quindi, l’Amministrazione pubblica è sempre stata troppo grande. Dal 1804 a oggi, non si contano gli interventi per ridurla.
Qualcuno, un giorno, ne farà l’elenco. Per il momento quello che si può dire è che nessuno è riuscito, fino ad oggi, a fermare la progressione dei numeri dell’Amministrazione pubblica. E possiamo aggiungere che non ci riusciranno nemmeno i promotori della recente iniziativa con la quale si vuole che l’effettivo dei funzionari del Cantone (esclusi il settore dell’educazione e della salute) non superi l’1,3% della popolazione residente, ossia le 4500-4600 unità. Se l’iniziativa riesce, sarà possibile frenare
per qualche anno la progressione degli effettivi, ma poi la loro crescita riprenderà. Questo perché, da almeno 200 anni, con le dovute differenze da una Nazione all’altra e da una regione all’altra, l’Amministrazione pubblica si espande dappertutto più rapidamente non solo della popolazione, ma anche del Prodotto interno lordo. Non ci riusciranno, tra l’altro, anche perché in uno stato a struttura federalista come il nostro, i Cantoni debbono avere un’Amministrazione in primo luogo efficace e solo in secondo luogo efficiente.
Gli specialisti offrono più di una spiegazione per cercare di far luce sulla crescita permanente degli effettivi dell’Amministrazione pubblica. La più antica e la più conosciuta è la legge di Wagner stando alla quale l’espansione dell’Amministrazione e dei budget pubblici (la quota dello Stato nel Prodotto interno lordo) è una conseguenza inevitabile dello sviluppo socio-economico. Wagner pensava che le prestazioni dello Stato avevano una elasticità di reddito elevata. Di conseguenza la loro domanda aumentava più rapidamente del Prodotto interno lordo. A questa prima spiegazione, che risale alla seconda metà del XIX secolo, ne sono seguite molte altre. I manuali di pubblica Amministrazio-
ne distinguono oggi per comodità tra due gruppi: le spiegazioni che, come quella di Wagner, si fondano su fattori della domanda e quelle invece che mettono in rilievo fattori dell’offerta. Non staremo a presentarle perché sono troppo numerose. Ci limiteremo a ricordare che mentre le spiegazioni che si appoggiano su fattori della domanda tendono in generale a considerare l’espansione permanente
dell’Amministrazione come inevitabile, in un’economia che cresce, quelle che sottolineano il ruolo dell’offerta sono convinte che la crescita dell’Amministrazione sia un fenomeno negativo, quindi da scansare. I tentativi concreti di contenere lo sviluppo degli effettivi delle Amministrazioni pubbliche sono stati numerosi, in particolare a partire dagli anni Ottanta dello scorso secolo. Il bilan-
cio di queste esperienze non è molto positivo. Le ragioni di queste difficoltà sono in generale due. Dapprima è accertato che interventi di drastica ristrutturazione delle Amministrazioni pubbliche possono determinare un peggioramento considerevole delle prestazioni dello Stato e le reazioni critiche degli utenti che potrebbero essere colpiti da questi provvedimenti. La seconda ragione è che queste misure di contenimento possono essere aggirate. Come si è visto nel passato, anche nei Cantoni svizzeri, le misure in questione sono state aggirate con una serie di stratagemmi che consentivano di mantenere le prestazioni, e spesso anche il livello qualitativo delle stesse, con incarichi a persone le cui remunerazioni non erano contabilizzate nel conto di funzionamento dello Stato. Così, molto spesso le misure di ristrutturazione della pubblica Amministrazione hanno generato un aumento del precariato nel settore pubblico e degli effettivi del parastato, un’accelerazione della crescita dei sussidi, o/e un ampliamento dei mandati di prestazione a organizzazioni e aziende private. In conclusione, se il Cantone continuasse a progredire anche l’Amministrazione dello Stato continuerà ad espandersi. Con o senza iniziativa!
ATTUALITÀ
Storie di editori, di libri e di città
Pubblicazioni – 1 ◆ Roberto Cicala per il Mulino racconta in modo originale e personale l’editoria italiana
Stefano Vassere
Più che una storia di luoghi, quella dell’editoria italiana è sempre sembrata una storia per singole personalità. Sentite qui: «Giulio Einaudi ha una corona di lunghi capelli candidi e ondulati al vento; Leonardo Mondadori ha i tratti marcati dei Mondadori: la faccia russa, dice sua madre Mimma; Elisabetta Sgarbi si è sottratta alla sorte che la voleva farmacista e ha dato sfogo alla sua personalità esplosiva in molteplici campi». Sono i ritratti degli editori forniti da Gian Arturo Ferrari nella sua intensa Storia confidenziale dell’editoria italiana di un paio di anni fa.
Parlare di libri è per l’autore anche uno spunto molto invitante per parlare delle città, e soprattutto delle città nei libri
Poi, però, si può pensare a un resoconto di queste vicende per contesti che le hanno ospitate, una storia dei luoghi delle case editrici. È quello che fa con discrezione e merito Roberto Cicala in questo suo ultimo Andare per i luoghi dell’editoria edito dal Mulino (ecco, forse un unicissimo benevolo appun-
to è alle pagine dedicate proprio alla casa editrice bolognese, nove, a fronte delle sette di Mondadori e Feltrinelli, delle sei di Rizzoli). «Andare per…» è espressione che invita a un’operosa peregrinazione in giro per il Paese, e la collana «Ritrovare l’Italia», nella quale sta anche questo libro, consiglia di recarsi in posti intestati a un tema, a un filone, a una categoria sociale: così, negli anni sono uscite le guide a regge e residenze, rifugi, vie militari romane, colonie estive (di Stefano Pivato, molto bella), stadi, luoghi di confino, università, saline, eremi francescani. Qui, appunto, si va nelle regioni e nelle città dove hanno avuto o hanno tuttora sede le imprese editoriali storiche, recenti e in attività. Forse alcune di esse non rappresentano un luogo significativo o che si possa pensare come determinante nell’indurre i destini di questo o quell’altro progetto. Altre sì, come nel caso della sede della Fondazione Feltrinelli vicino a Porta Garibaldi, o di quella della Mondadori a Segrate opera di Oscar Niemeyer con il lago di 20’000 metri quadri e la scultura di Arnaldo Pomodoro, o ancora di quella della Zanichelli risalente agli anni Trenta del Novecen-
Prodotti di culto
to. Altre si segnalano per una specie di mitologia guadagnata a posteriori: l’Einaudi di Via Biancamano, la villa con giardino ai Parioli che ospita la Laterza, il laboratorio di Aldo Manuzio vicino Campo Sant’Agostin. Parlare di libri è però per Cicala anche uno spunto molto invitante per parlare delle città, e soprattutto delle città nei libri. Cosi, non si può non citare l’affascinante immagine di Milano come una foresta, tracciata
chine dei parcheggi: «Proseguendo lungo il canale della Giudecca, verso il porto e la ferrovia, a Santa Marta ecco Marsilio, costruita con mattoni fatti di libri illustrati, cataloghi di mostre, saggi e soprattutto la serie di gialli svedesi».
Handy quando anche lavare i piatti è cool
Un detersivo per stoviglie di culto: da dove arriva il nome e da quando esiste.
da Luigi Santucci alla fine degli anni Sessanta: «Tutto è come fosse di una medesima sostanza, fossile e tuttavia vivente, e Milano ramificasse, dalla grande ceppaia del duomo, in una civile foresta». Bene fa dunque l’autore di questa guida a partire da lì, alla ricerca dei luoghi dell’editoria lombarda. Ancora a Venezia, la modalità della passeggiata avvicina a uno dei posti più belli della città, ai margini delle Zattere in direzione delle ban-
1958
Ma il libro di Roberto Cicala ha un pregio tutto suo nell’indicare e descrivere anche le dimore degli editori di provincia o quasi. Così per esempio a Modena c’è ampio fiato per raccontare la sfortunata biografia dell’editore molto brillante Angelo Fortunato Formiggini, promotore di opere originali come i «25 volumi di aneddotica su personaggi celebri e la collana dei “Classici del ridere”». Perseguitato perché anticonformista e israelita, egli si gettò nel novembre 1938 dalla torre campanaria del duomo cittadino. Una lapide ricorda quel gesto, richiamando la porzione di selciato dove Formiggini morì, che egli stesso volle fosse denominata «al tvajol ed Furmajin» “il tovagliolo del Formaggino”.
La Migros ha introdotto la marca Handy nel 1958. Il nome deriva dalla parola inglese «handy» e significa «maneggevole», «pratico» o «pronto all’uso».
Bibliografia
Roberto Cicala, Andare per i luoghi dell’editoria, Bologna, il Mulino, 2024.
Mary Read, pirata alla ricerca della libertà
Laura Marzi
Il detersivo Handy dal 1958 a oggi: a sinistra il primo flacone, tutto a destra quello del 1961. La confezione con i pallini arriva nel 1976, mentre in primo piano ecco quella attuale.
Saltblood. Sangue salmastro di Francesca De Tores edito da Ne/oN con la traduzione di Chiara Puntil è una storia di pirati, anzi di pirate. Il libro, scritto in prima persona, è la biografia romanzata di Mary Read che davvero si arruolò nella marina, in seguito nell’esercito, infine fu processata per pirateria e morì nel 1721.
Nel romanzo, la madre decide di educarla come se fosse Mark, il figlio nato da un buon matrimonio che però era morto appena dopo il suo stesso padre. Per continuare a percepire la piccola rendita che la nonna concedeva al suo nipote maschio in cambio di qualche visita, la madre inizia a far finta che Mary, la bambina che le è nata a seguito di un rapporto occasionale, sia Mark: «Mà mi ha mostrato, senza mai averne l’intento, che ogni corpo può essere una scelta, e così ogni giorno».
Pubblicazion1 – 2 ◆ Francesca De Tores racconta la saga dell’avventuriera arruolata nell’esercito e processata per pirateria nel 1970
Anche dopo la morte della nonna, Mary continua a essere Mark, nella casa dove va a servizio come sguattero e ancora quando con l’entrata in guerra contro la Spagna decide di arruolarsi nella marina e lo fa facendosi passare per un ragazzo, ovviamente. Nel momento in cui incontra il mare, del resto, poco importa quale sia il suo genere sessuale di appartenenza, la protagonista di questa storia ca-
Tre prodotti Migros nel corso del tempo
pisce dov’è la sua casa: su una nave. Mary inizia a riconoscere il canto di ognuna delle imbarcazioni su cui navigherà, negli anni, come gli ha insegnato il suo primo e unico amico Marston, che decide di seguire arruolandosi con lui nell’esercito per fare qualche soldo in più. Qui incontra Dan e dopo anni di segreti e di nascondimenti, gli rivela di essere una donna. Solo in questo momento lo vengono a sapere anche tutti i commilitoni con cui Mary aveva condiviso anni di sangue, orrore e qualche fragorosa risata. Il matrimonio con Dan segna il momento del congedo dall’esercito per entrambi: si dirigono infatti nelle Fiandre dove lui ha ereditato un’osteria che gestiscono insieme fino a che il destino di Mary non tornerà a bussare alla sua porta con forza e brutalità, riconducendola a salpare per mare. Questa volta non lo fa sotto mentite spoglie, sale a bordo della nave Walcheren come una donna. Il capitano Payton la accetta nella sua ciurma coltivando per anni la speranza che Mary contraccambi il suo amore o quanto meno si conceda, ma lei è un’ottima marinaia e non ha nessuna intenzione di essere di nuovo anche la moglie di qualcuno, però è grazie all’abilità di Payton nei commerci che Mary scopre Nassau: la patria dei pirati, la città protagonista di infinite storie e leggende ed è qui che incontra Anne Bonny, un’altra pirata realmente esistita. Le due diventano inseparabili, scoprono di essere entrambe state costrette, seppur per motivi diversi, a fingersi maschi fin da piccole.
L’attrice Jean Peters nel film Anne of the Indies (1951) interpreta Anne Providence, pirata immaginaria. (Wikipedia)
In Svizzera sono diventati dei veri e propri cult: scopriamo perché Blévita era popolare persino in Cina, quando il cioccolato Frey è arrivato in aereo e come il detersivo per stoviglie Handy è diventato un pesce d’aprile.
Testo: Barbara Scherer
Negli ultimi 12 mesi sono stati acquistati in tutta la Svizzera circa 1,8 milioni di prodotti della marca Handy. Questa cifra include tutti gli articoli Handy, dunque anche le confezioni di ricarica e le edizioni speciali come «Fresh Ocean» o «Handy Pink».
no, finché dura, il sogno della «repubblica di pirati».
1990
Nel 1990 la Migros di Huttwil BE si è concessa un pesce d’aprile. Il 31 marzo un annuncio sul giornale locale pubblicizzava che il giorno successivo sarebbero stati disponibili «Handy a solo un franco» (la parola Handy in tedesco significa cellulare). A quell’epoca era molto diffuso il cosiddetto Natel C. Pertanto, il 1° aprile, di mattina presto, le clienti e i clienti si sono messi in fila fuori dalla Migros per poi scoprire che con «Handy» non s’intendeva un cellulare, ma il detersivo per stoviglie.
A un certo punto il loro amore, forse frutto della fantasia di De Tores o forse no, si intreccia con il desiderio di libertà e la spregiudicatezza di Jack Rackham, il capitano della William, l’imbarcazione che loro stesse hanno contribuito a rubare in un arrembaggio. Insieme a lui le due donne vivo-
Saltblood è un testo a dir poco avvincente, anche se, come Francesca De Tores stessa scrive nella nota storica, la vita reale delle due donne a cui sono ispirate le vicende raccontate lo è stata forse ancora di più. Per questo risulta davvero notevole la sua capacità narrativa e la sapienza che è riuscita ad acquisire in merito alla navigazione, al modo in cui si viveva su una nave a quell’epoca, più in generale alla vita di una pirata. La ricostruzione di ogni singola scena è fatta ad arte, del resto il suo compito era particolarmente arduo: trasformare in letteratura una realtà che è andata ben oltre l’immaginazione. La personaggia di Mary ha inevitabilmente i tratti dell’eroe: non ha bisogno di nessuno e compie ogni singola scelta nel totale sprezzo della morte, ma è anche una donna di mare, come lei stessa si definisce, non sa lasciar andare via niente ed è ossessionata dai suoi fantasmi, mentre Anne «è una donna fatta di fiumi. Cresciuta alle foci, tutta la sua vita è stata una partenza dietro l’altra».
BIbliografia Francesca De Tores, Saltblood. Sangue salmastro Ne/oN Libri, Roma, 2024
2023
Nel 2023 ha fatto il suo ingresso sugli scaf fali della Migros la versione Handy blu «Fresh Ocean». L’imballaggio è realizzato con rifiuti plastici riciclati raccolti sulle coste e sulle spiagge. Ogni singolo flacone contribuisce quindi alla protezione degli oceani.
ATTUALITÀ
Prodotti di culto
Cioccolato Frey lo trovi anche in aereo
La marca di cioccolato della Migros ha un unicorno nel logo Perché questa particolarità?
1887
1887 ed è quindi uno dei
A fondare l’impresa Chocolat Frey sono stati i fratelli Max e Robert Frey che hanno dato al cioccolato non solo il loro cognome, ma anche l’animale araldico della famiglia Frey, ovvero l’unicorno, il quale è ancora oggi parte integrante del logo Frey.
1937
Nel 1937 una tavoletta di cioccolato Frey costava 40 centesimi. I prezzi sono cambiati nel tempo, così come tutti gli altri: oggi una tavoletta di cioccolato al latte Frey costa circa 1.95 franchi.
Chocolat Frey e la compagnia aerea Swiss collaborano dal 2015. Le passeggere e i passeggeri ricevono un cioccolatino della marca Frey su ogni volo. A marzo 2024 è stato annunciato che la compagnia aerea ha esteso la collaborazione per altri tre anni.
2013
Blévita il cracker più famoso
Blévita è un biscotto che crea dipendenza Per fortuna ne esistono 50 varietà diverse
1969
Il nome Blévita è composto da «blé», grano, e «vita», che sta per vitalità. Significa quindi qualcosa come: «Il grano che dà vita».
500’000’000
Ogni anno
50
78%
Il 78% delle svizzere e degli svizzeri conosce la marca Blévita, come mostra uno studio condotto dall’istituto di ricerche di mercato GfK nel 2023.
Esistono più di 50 varietà diverse di Blévita. Tra le prime rientrano «Original», «Classic» e «Sesamo». Ancora oggi, tutti i gusti hanno in comune il fatto di contenere molte fibre e meno di 2 grammi di sale ogni 100 grammi di prodotto.
Rabbrividite di gusto con i Moretti al cioccolato di Halloween
Gli effetti della riduzione del tasso di sconto
Economia ◆ La Banca Nazionale Svizzera, che ha un nuovo presidente, ha annunciato il terzo taglio in un anno. E non è finita qui Ignazio Bonoli
Thomas Jordan, presidente della direzione della Banca Nazionale Svizzera (BNS), che ha lasciato l’incarico a fine settembre, non ha creato sorprese nella sua ultima conferenza stampa. Nella linea di quanto stanno già facendo le banche centrali di altri Paesi, ha annunciato la riduzione dello 0,25% del tasso di sconto in Svizzera, portandolo all’1% e non ha escluso eventuali altri tagli prima della fine dell’anno. Si tratta della terza riduzione consecutiva, dopo che lo scorso mese di marzo la BNS aveva annunciato per prima un’analoga diminuzione, subito seguita dalle altre principali banche centrali.
L’annuncio di probabili altre riduzioni è anche una sorta di risposta a coloro che si aspettavano un passo più consistente. In passato un intervento simile era già stato fatto, ma eravamo in momenti di particolari difficoltà dell’economia, che aveva quindi bisogno di uno stimolo più significativo. Non è il caso oggi, dato che le previsioni di crescita economica, pur essendo contenute, non indicano ancora un forte rallentamento. Gli ultimi mesi dell’anno potrebbero però riservare qualche sorpresa, vista la situazione difficile in Germania, con le inevitabili ripercussioni in Europa.
La manovra del tasso di sconto non ha una grande importanza diretta sull’economia, comunque ha un influsso sui tassi di interesse
Un annuncio di questo tenore è comunque insolito da parte della BNS e testimonia il pericolo di un serio rallentamento dell’economia, soprattutto in Europa. Come sempre, la Svizzera è molto prudente nelle sue decisioni di politica economica e anche monetaria. D’altronde un’ulteriore riduzione dei tassi direttori significherebbe avvicinarsi di molto a quota zero, dopo di che – e l’esperienza è già stata fatta – si potrebbe instaurare una
politica di tassi negativi oppure, in alternativa, si dovrebbe pensare a massicci acquisti di divise estere che starebbero perdendo molto terreno nei confronti del franco svizzero.
Per il momento si sta quindi agendo su un freno ai tassi di interesse di mercato, che dovrebbe anche rendere meno attrattivo il franco svizzero, evitando pericolose rivalutazioni per l’economia d’esportazione. Lo scopo principale della Banca Nazionale – e lo ha confermato il successore di Jordan, Martin Schlegel – è comunque sempre quello di garantire la stabilità dei prezzi in Svizzera, tenendo anche conto dell’evoluzione della congiuntura.
In Svizzera la manovra del tasso di sconto non ha una grande importanza diretta sull’economia, ma ha un influsso sui tassi di interesse, che a loro volta si ripercuotono su diversi altri settori. Per esempio influiscono sui tassi ipotecari, oppure vi si adattano. La tendenza di questi tassi era però già al ribasso. A fine settembre, per ipoteche a tasso fisso a dieci anni, era a livello di 1,94%, a cinque anni dell’1,76%. In sostanza, questo mercato aveva già preso in considerazione un ribasso dei tassi di interesse. Tendenza che viene confermata a vantaggio dei debiti ipotecari. Per le ipoteche basate sul «Saron» (acronimo di Swiss Average Rate Overni-
ght, un tasso d'interesse medio dei prestiti effettuati dagli istituti finanziari in Svizzera nel corso di una notte), i tassi possono variare a seconda del mercato. Anche in questo caso la tendenza viene confermata. Proprio questo mercato sembra attendere altre diminuzioni.
Per i locatari gli influssi sui tassi non hanno effetti importanti. Il tasso ipotecario di riferimento, fissato a inizio settembre, è all’1,75%. A sua volta esso si riferisce al tasso ipotecario medio, che a fine giugno era all’1,67%. Entro fine anno dovrebbe scendere e gli inquilini, il cui contratto si riferisce a questo tasso, potrebbero chiedere una riduzione della pigione. Gli
Ogni mese posso investire 50 franchi Come devo procedere?
influssi sul mercato immobiliare non dovrebbero però provocare una diminuzione dei prezzi degli immobili abitativi. Anzi, i tassi di interesse più bassi possono influire sulla domanda e provocare aumenti dei prezzi, al momento già molto alti. Le spinte al ribasso potrebbero invece verificarsi sui depositi a risparmio e su quelli del terzo pilastro, mentre su altri investimenti l’eventuale calo potrebbe giungere più tardi.
Le ultime decisioni sono frutto di una politica praticata per dodici anni da Jordan
Normalmente questo calo di rimunerazioni dovrebbe influire anche sulla domanda internazionale di franchi e quindi sulle quotazioni sui mercati delle divise. Ma il franco svizzero risente poco di questi movimenti e difatti le sue quotazioni non sono diminuite, nonostante i recenti rialzi, in particolare, dell’euro. In Svizzera la manovra della Banca Nazionale sul franco attraverso i tassi di interesse è però molto meno incisiva rispetto a quella di altre banche centrali. Anche in questo caso le ultime decisioni sono frutto di una politica economica e monetaria praticata per dodici anni sotto la direzione di Thomas Jordan. Politica che ha permesso di superare momenti difficili: dalla crisi finanziaria a quella dell’euro, dalle difficoltà create dal franco forte alla guerra in Ucraina, passando dalla crisi del Credito Svizzero, per citarne solo alcune, aggiungendo per finire anche quelle a livello politico sulla distribuzione degli utili della BNS o sulle enormi somme del suo bilancio. In pratica, in questi dodici anni il rincaro in Svizzera si è limitato al 5,8%, favorito anche dalla poca dipendenza dalle importazioni di energia, dal ridotto debito pubblico, dallo sviluppo moderato dei salari, ma certamente anche dall’azione della stessa BNS, nel rispetto dei ruoli reciproci e anche dell’indipendenza dell’istituto.
La consulenza della Banca Migros ◆ Ecco le procedure più utili per favorire i risparmi regolari e raggiungere gli obiettivi finanziari individuali
È meglio investire gli importi di modesta entità in un piano di risparmio presso una banca, per poter mettere da parte regolarmente del denaro. Si sceglie un importo fisso che viene addebitato, mensilmente o trimestralmente, sul proprio conto. Questa procedura favorisce il risparmio regolare e aiuta a raggiungere gli obiettivi finanziari individuali.
Il denaro messo da parte con un piano di risparmio può essere investito, ad esempio, in un fondo, che include le azioni di diverse società nonché obbligazioni o altri investimenti. I dividendi e gli interessi attivi che si ricevono su questa somma di denaro sono investiti costantemente. In questo modo, il rendimento genera a sua volta un rendimento (effetto dell’interesse composto), cosicché sul lungo termine il patrimo-
nio può crescere esponenzialmente. Nel momento in cui si investe regolarmente, non è essenziale cogliere il momento giusto. Con un orizzonte d’investimento lungo, tra l’altro, le oscillazioni dei corsi hanno un impatto minore. Quanto più lungo è l’orizzonte temporale, tanto più scende il rischio di rendimenti negativi. Negli ultimi 100 anni il rendimento decennale è stato negativo solo in tre anni.
La maggior parte dei piani di risparmio sono flessibili, ciò vuol dire che è possibile modificare l’ammontare dei versamenti o sospendere il piano di risparmio in qualsiasi momento se la situazione finanziaria cambia e si ha necessità di utilizzare denaro dal fondo.
Se si desidera creare un piano di risparmio in fondi si può scegliere tra un fondo indicizzato negoziato in borsa o
un fondo gestito attivamente: un fondo indicizzato negoziato in borsa (ETF) replica un determinato indice azionario, ad esempio l’MSCI World. In altri termini, il fondo ha un andamento identico a quello dell’indice. Nel caso di un fondo a gestione attiva, invece, sono i gestori dei fondi a occuparsi del patrimonio: questi puntano a una performance del valore migliore rispetto al mercato nel suo complesso. Alla Banca Migros è possibile investire in un fondo ampiamente diversificato della Banca Migros già a partire da 50 franchi al mese.
Che si tratti di gestione attiva o passiva, in un fondo il denaro viene sempre distribuito su una varietà di investimenti, per attenuare meglio il rischio di perdite rispetto a un investimento singolo. Inoltre non è necessario selezionare e monitorare singolar-
mente tutti gli investimenti, cosa che richiede tempo e competenza. Consiglio: nella scelta di un prodotto d’investimento è opportuno verificare anche le commissioni applicate, ad esempio, sul deposito e sugli acquisti di titoli. Con un piano di risparmio in fondi della Banca Migros i diritti di custodia costano la metà e gli acquisti e le vendite sono gratuiti.
Investire in un piano di risparmio in fondi Per maggiori informazioni sul piano di risparmio in fondi della Banca Migros e per visualizzare il calcolatore di previsione cliccare qui https://www.migrosbank.ch/ it/privati/investimenti-borsa/ migros-bank-fonds/pianorisparmio-fondi.html
All’opera per riparare la realtà israeliana
Medio Oriente ◆ Uno sguardo alle donne ultra-ortodosse, che assumono il ruolo di catalizzatrici di un cambiamento politico e sociale di cui potrebbe beneficiare l’intera società
Sarah Parenzo
Mentre su iniziativa di Netanyahu e del suo Governo il conflitto si allarga a macchia d’olio verso il Libano, puntando all’Iran, Israele ha affrontato il primo doloroso anniversario del 7 ottobre tra sirene, attentati e funerali. La cerimonia promossa autonomamente dalle famiglie degli ostaggi, e tenutasi in assenza di personalità politiche, ha rimarcato ulteriormente il divario tra le istituzioni e la popolazione civile, la quale subisce la linea aggressiva di leader incoscienti con sempre maggiori angoscia e preoccupazione. Se in Israele il futuro è incerto, a causa dell’escalation di violenza e delle pesanti ripercussioni sull’economia e la salute mentale dei cittadini, all’estero l’antisemitismo dilaga, complice l’esasperazione delle piazze dinnanzi all’appoggio acritico e incondizionato di molti Governi e mass media alle politiche di Netanyahu. Per trovare un barlume di speranza in uno scenario così buio si è costretti a uscire dalle narrazioni mainstream per frugare nei vicoli laterali dove, questa volta, ci imbattiamo nelle attiviste donne provenienti dal mondo israeliano ultra-ortodosso.
Mentre il conflitto si allarga a macchia d’olio, Israele ha affrontato il primo doloroso anniversario del 7 ottobre tra sirene, attentati e funerali
Nell’immaginario collettivo laico le donne ultra-ortodosse rappresentano ancora un enigma che suscita curiosità. Da una parte l’osservatore le classifica come vittime di una società retrograda e patriarcale, ma dall’altra è sempre più evidente il loro ruolo di catalizzatrici di un cambiamento politico e sociale di cui potrebbe beneficiare anche l’intera società. Una sorta di ambivalenza caratterizza l’attivismo ultra-ortodosso femminile anche dall’interno, dove la partita si gioca tra il desiderio di appartenenza e la fedeltà all’ambiente di origine, e quello di unirsi agli altri femminismi, pur conservando la freschezza e le energie di un movimento ancora agli albori. Muovendosi con delicata padronanza su temi che vanno dalla religione alle questioni di genere, dal nazionalismo all’etnia, dalle questioni di classe alle dinamiche identitarie e di potere, le ultraortodosse dimostrano di saper sviluppare un pensiero critico e riflessivo che sfida le dicotomie e i consensi della cosiddetta «politica liberale» delle élite privilegiate.
Nelle comunità di appartenenza l’attivismo si concentra in particolare sul miglioramento della condizione femminile personale e lavorativa, e sulla prevenzione e cura delle violenze sessuali, mentre si adoperano per
ridurre la distanza con il resto della società ebraica in temi quali l’istruzione, il servizio militare e la memoria. Se in riferimento a questi ultimi temi si potrebbe obiettare che l’attivismo femminile ultra-ortodosso serva la causa sionista, promuovendo la cosiddetta «charediut mamlachtit», ovvero una sorta di adeguamento del mondo ultraortodosso alle norme e consuetudini statali, è pur vero che le sue esponenti si rivelano interlocutrici privilegiate delle femministe palestinesi con le quali condividono il linguaggio di minoranza tradizionalista e conservatrice, economicamente svantaggiata e relegata ai margini.
L’attivismo si concentra sul miglioramento della condizione femminile personale e lavorativa, sulla prevenzione e cura delle violenze sessuali
Per vederle all’opera in questo periodo dobbiamo scendere sul campo e a un evento organizzato dal movimento della Sinistra di Fede per il trentesimo anniversario della morte del Professor Yeshayahu Leibowitz (1903-1994) alla cinemateca di Tel Aviv, dove incontriamo Malki Rotner, 38 anni, appartenente alla comunità chassidica Belz della città di Ashdod. Pur avendo rinunciato a prendere la patente per non perdere l’affiliazione con il proprio gruppo, Rotner è uscita ampiamente dagli schemi, ha conseguito studi di storia e sociologia e si è occupata per anni dell’inserimento degli ultra-ortodossi nel mondo del lavoro e di combattere le violenze sessuali.
In un’intervista dello scorso aprile per la piattaforma israeliana «Politically corret» ha definito il proprio attivismo come la creazione di un nuovo linguaggio che possa fungere da contenitore per il cambiamento che cerca
di promuovere. A supporto dei valori che desidera promuovere, Rotner, oratrice dall’autorevolezza armoniosa, chiama in causa le fonti bibliche e le norme di diritto ebraico, auspicando un avanzamento generale della
condizione femminile che passi anche attraverso lo studio più approfondito della Torà e un maggiore coinvolgimento nel servizio divino che le vede ancora passive rispetto agli uomini. Tuttavia, proprio attraverso gli studi di genere, ha compreso che non si tratta solo di uguaglianza tra uomini e donne, bensì del fatto che intratteniamo relazioni con «gli altri» che ci circondano.
Si tratta secondo lei di un’interdipendenza positiva in quanto ha il potere di attenuare e moderare le relazioni di potere. Del resto, lo stesso chassidismo Belz da cui proviene, trapiantatosi in Palestina dalla Galizia, è stato per decenni oppositore convinto dell’Israele laico e del discorso sionista religioso che, ponendo fortemente l’accento sugli elementi territoriali e temporali della redenzione, minacciano le popolazioni preesistenti. Anche il tikkun, la riparazione del mondo, è un concetto di origine chassidica e Rotner, ora più che mai, è indubbiamente mossa da una forte volontà di «riparare» la realtà che la porta ad adoperarsi instancabilmente per cercare di rendere Israele un posto migliore per tutti. Del resto, come dicono le Massime dei Padri (2,16), «non spetta a te terminare il lavoro, ma nemmeno sei libero di esonerartene».
Minestra di crauti con bocconcini di biberli
alla pancetta
Per 4 persone
300 g di crauti cotti
1 cipolla
50 g di lenticchie rosse
1 cucchiaio d’olio d’arachidi
6 dl di brodo di verdura
150 g di formaggio fresco alle erbe sale pepe
Bocconcini di biberli alla pancetta
2 biberli, ad es. farcito, di ca. 75 g ciascuno
8 fette di pancetta paesana
1. Sciacquate i crauti con acqua fredda e lasciateli sgocciolare bene. Tritate la cipolla e fatela appassire nell’olio con le lenticchie. Unite i crauti, sfumate con il brodo e lasciate sobbollire la minestra per 15 minuti.
2. Tagliate i biberli in quadrati di ca. 1,5 cm. Avvolgete ogni quadrato con una fetta di pancetta e rosolate i bocconcini in padella a fuoco forte.
3. Prima di servire, estraete dalla minestra un po’ di crauti e metteteli da parte. Frullate la minestra con un frullatore a immersione. Unite poco alla volta il formaggio fresco e continuate a frullare. Regolate di sale e pepe, completate con i crauti messi da parte e servite con i bocconcini di biberli alla pancetta.
Vellutata di zucca con ras el hanout e limetta
Il ras el hanout, la miscela di spezie nordafricana, si unisce con le zeste e il succo di limetta per regalare a questa minestra un’insolita nota orientale.
Alla ricetta
rivisitate
Queste zuppe si ispirano alle ricette classiche, ma diventano molto speciali in pochi e semplici passaggi e con un tempo massimo di cottura di 30 minuti
Testo: Dinah Leuenberger, Naomi Hirzel
Vellutata alla senape con crostini
La senape dolce bavarese definisce il gusto di questa vellutata preparata con porri e brodo. I crostini di bretzel tostati ne fanno un ottimo piatto forte.
Alla ricetta
Vellutata di barbabietole con pickles
Questa vellutata di barbabietole è cremosa, saporita e vivacizzata dalla varietà di colori e consistenze di yogurt, germogli e sottaceti.
Alla ricetta
Vellutata di sedano rapa con olio alle erbe
Per 4 persone
400 g di sedano rapa
200 g di porro sbiancato
2 scalogni
2 spicchi d’aglio
2 cucchiai d’olio
1 dl di vino bianco o succo di limone
1 l di brodo di verdura
2,5 dl d’olio di girasole
40 g d’erbe aromatiche, ad es. erba cipollina o prezzemolo
1 dl di panna
sale
50 g di cipolle arrostite
1. Affettate finemente il sedano rapa, il porro, lo scalogno e l’aglio. Fate soffriggere il tutto nell’olio. Sfumate con il vino. Aggiungete il brodo. Fate cuocere per circa 15 minuti, finché le verdure risultano belle morbide.
GUSTO
Ricetta
Passato di cavolo piuma con patate blu
Per 4 persone
1 cipolla
2 spicchi d’aglio
400 g di patate farinose
3 cucchiai d’olio di colza
200 g di foglie di cavolo piuma, pesate mondate
1,2 l di brodo di verdura
sale
pepe
ca. 8 patate blu , ad es. Blu di San Gallo
4 cucchiai di semi di zucca
150 g di feta
Tritate la cipolla e l’aglio. Tagliate le patate farinose a fettine sottili. Scaldate l’olio in una pentola e rosolatevi la cipolla, l’aglio e le patate per ca. 3 minuti. Unite le foglie di cavolo piuma e sfumate con il brodo. Mettete il coperchio e lasciate sobbollire a fuoco medio per 25-30 minuti. Frullate le verdure e conditele con sale e pepe. Nel frattempo, cuocete le patate blu in acqua, poi estraetele e tagliatele a fettine sottili. Tritate i semi di zucca. Servite il passato nei piatti e guarnitelo con le fettine di patata blu, i semi di zucca e la feta sbriciolata. Gustate subito.
2. Per l’olio alle erbe, predisponete una ciotola con acqua ghiacciata. Foderate un colino con un filtro da caffè o della garza. Tritate grossolanamente le erbe e mettetele in un frullatore ad alta potenza. Riscaldate l’olio a 60-70 °C. Versatelo sulle erbe. Frullate finemente. Attraverso il colino preparato in precedenza filtrate l’olio in una scodella. Mettete la scodella nell’acqua ghiacciata e fate raffreddare l’olio. Aggiungete la panna alla minestra. Frullate fino a ottenere una crema omogenea. Aggiustate di sale. Versate la vellutata nei piatti e servitela con l’olio alle erbe e le cipolle arrostite. Una prelibatezza con del pane. Piu ricette di zuppe su migusto.ch
Utilizzare gli avanzi: ottima idea!
Il tuo frigorifero è pieno di alimenti che hanno visto giorni migliori? La parola d’ordine è allora zuppa, zuppa e ancora zuppa. Soprattutto adesso che fuori le temperature si stanno lentamente abbassando.
Verdure
Le verdure sono probabilmente gli ingredienti che più si prestano per una zuppa: puoi abbinarle praticamente tutte di tra loro e svuotare così il frigorifero. Carote rammollite, cavolo riccio appassito o porri avvizziti trovano nuova vita nella pentola per la zuppa. Lo stesso vale per patate, peperoni e cavolfiori raggrinziti.
Pollame
Secondo le nonne di tutto il mondo, le zuppe di pollo sono energizzanti. Comunque sia, il caldo e piacevole senso di sazietà che si diffonde dopo averle mangiate è garantito. Non è necessario preparare un pollo intero per la zuppa: sono sufficienti anche gli avanzi del giorno prima che si addicono benissimo, per esempio, per un brodo o una zuppa di noodle. Tra l’altro, pure i resti dell’arrosto di maiale o di manzo sono ottimi nella zuppa di noodle asiatica!
Croccantezza
Perché non aggiungere un po’ di croccantezza a una zuppa cremosa? Bastano, per esempio, una fettina di formaggio con pane raffermo, crostini fatti in casa con vecchie fette di pane per toast, patatine o popcorn avanzati o sottaceti come cetrioli, zucchine o cipolline. Anche il cavolo riccio cotto al forno garantisce la giusta dose di croccantezza.
Cremosità
Ti hanno regalato un olio aromatizzato, ma dimentichi sempre di usarlo? Aggiungilo alla zuppa. A seconda dell’intensità, inizia con poche gocce, quindi aggiungi-
ne altre all’occorrenza. Sarà una gioia anche per gli occhi. Pure il parmigiano grattugiato o un altro formaggio dà alla zuppa un tocco sensoriale. La tua zuppa preparata con gli avanzi sarà ancora più cremosa e un pochino più pregiata con un uovo in camicia.
Gusto deciso Avanzi di lenticchie, pasta, fagioli, couscous o ceci? Oppure hai trovato un barattolo in fondo alla dispensa dopo anni? Fai bollire i resti nel brodo e poi, a seconda dell’ingrediente, servi la minestra (per esempio con la pasta o il couscous) oppure frulla il tutto con un frullatore a immersione fino a ottenere una purea (lenticchie, fagioli, ceci). Non dimenticare di aggiungere all’occorrenza del liquido per evitare che la zuppa diventi troppo densa.
Dinah Leuenberger, Naomi Hirzel
Un amore tenerissimo
Scopri la nostra nuova creazione
20x CUMULUS
Novità
3.20
Il pesce della discordia
Fili di seta ◆ Ogni anno, in occasione della festa indù del Durga Puja, India e Bangladesh si danno battaglia per l’hilsa
Francesca Marino
Possiamo rilassarci: per le feste in India tutti (o meglio, tutti quelli che se lo sono potuto permettere) hanno avuto nel piatto un pezzo di «Ilish maach», un pesce chiamato hilsa (nella foto) apprezzato, a Calcutta e dintorni, quanto e più di un’astice. E, fatte le debite proporzioni, altrettanto costoso e pregiato. Un pesce che non può assolutamente mancare sulla tavola di ogni alto-borghese durante le festività annuali: è come se sulle tavole natalizie da questa parte del mondo mancasse il tacchino o, a Napoli, il capitone. Per questo, di recente, abbiamo avuto, dopo la famosa «diplomazia del cricket» che regolava in passato i tumultuosi rapporti tra India e Pakistan, un altro capitolo della famosa «diplomazia del pesce» che regola invece i rapporti tra India e Bangladesh.
Riassumendo: l’hilsa, un pesce vagamente imparentato con le aringhe che prospera nel Golfo del Bengala, è considerato il «pesce nazionale» del Bangladesh tanto da essere stato riconosciuto nel 2017 come «indicatore geografico» del Paese. Questo pesce rappresenta circa il 12% della produzione ittica totale del Bangladesh e contribuisce per circa l’1% al suo Pil. I pescatori catturano ogni anno fino a 600’000 tonnellate di hilsa, su cui sono in vigore restrizioni all’esportazione. Per anni, però, il divieto di esportazione era stato in qualche modo aggirato in concomitanza del Durga Puja, la più
importante festività annuale a Calcutta e in tutto lo Stato del Bengala occidentale (che si festeggia tra settembre e inizio ottobre): perché anche i bengali indiani sono, come i loro cugini del Bangladesh, grandi estimatori dell’hilsa che riveste oltretutto un ruolo di primo piano nei banchetti festivi. «Il Governo precedente revocava il divieto durante il festival Durga Puja Lo chiamavano “regalo”. Questa volta non credo sia necessario fare un regalo perché, se lo facciamo, la nostra gente non sarà in grado di mangiare il pesce mentre è permesso esportarlo in India in grandi quantità. Molto pesce continua a passare dal Bangladesh all’India nonostante il divieto. Questa volta non permetteremo all’hilsa di attraversare il confine». Queste parole, pronunciate da Farida Akhter, consigliera del Ministero della pesca e dell’allevamento del nuovo Governo transitorio di recente insidiatosi in Bangladesh, sono cadute come una secchiata d’acqua fredda sui bengali indiani e sono suonate, alle orecchie di molti, come una vera e propria dichiarazione di guerra. Soprattutto, la posizione del nuovo Governo segna, se ce ne fosse ancora bisogno, il deciso cambio di strategia nei riguardi dell’India e un netto distacco dalla «diplomazia dell’hilsa» di cui sopra. L’ex-premier Sheikh Hasina inviava difatti cassette di hilsa a Mamata Banerjee, prima ministra del Bengala occidentale in occasione del-
le feste. E nel 2017, nella speranza di risolvere un’annosa disputa sull’acqua, aveva perfino inviato 30 chili di hilsa all’allora presidente indiano (e nato a Calcutta) Pranab Mukherjee. Si è appena celebrata la più importante festività cittadina, il Durga Puja o Navaratri, che a Calcutta assume però aspetti peculiari rispetto al resto dell’India. Si tratta di nove notti (e rispettivi giorni) dedicati alla dea Durga che, secondo la mitologia induista, sconfigge il demone Mahishasura. Simbolicamente si tratta di una celebrazione della vittoria del bene sul male, della luce sulle tenebre e, per le popolazioni tribali, anche di un’antica festa del ringraziamento. Le donne
sposate tornano in quei giorni a visitare i loro genitori, i figli lontani tornano a casa. Per diversi giorni e notti in tutta l’India mistici e gente comune osservano un digiuno più o meno stretto, ci si dedica alla preghiera o, nel caso degli artisti, all’esercizio continuo della pratica della propria arte (in India viene considerata di per sé una preghiera). In ogni quartiere vengono installate grandi statue della dea sotto tendoni appositamente costruiti e, il settimo giorno della festa, ci si reca di sera a visitare le installazioni più belle e sfarzose. La festa si conclude con una cerimonia solenne davanti alle statue della dea, che vengono poi por-
tate in processione fino al più vicino corso d’acqua e gettate nel fiume tra canti e preghiere. A Calcutta, invece che l’invincibile guerriera, Durga viene considerata la figlia sposata che torna a casa dei genitori una volta l’anno: di conseguenza deve essere festeggiata, vezzeggiata, viziata e coccolata. Più che digiuni e preghiere, in città si celebrano feste, si organizzano concerti, si offrono pranzi e cene. Pranzi e cene in cui, come da tradizione, non può proprio mancare l’hilsa: impanato con spezie e fritto, al cartoccio avvolto dentro foglie di banano e insaporito da una crosta di senape e via cucinando e mangiando. Il povero hilsa senza più passaporto minacciava quindi di rovinare la festa a molti. Sarà stata l’ondata di proteste sui media, sarà stata una calcolata strategia da parte del Governo del Bangladesh ormai formato da integralisti islamici che non perde occasione per prendersela con l’India, sarà che il nuovo premier Muhammad Yunus è troppo vecchio per essere credibile come Grinch, ma la faccenda è stata alla fine risolta: Dacca graziosamente e «come gesto di buona volontà» ha finalmente acconsentito a esportare in India 3000 tonnellate di hilsa in occasione del Durga Puja. I cittadini di Calcutta hanno potuto dormire sonni tranquilli, la tavola festiva è stata salvata, i cuochi hanno affilato i coltelli e l’incidente diplomatico è stato rimandato al prossimo anno.
Annuncio pubblicitario
Fogli di carta compostabili 1
Decorati
Versatili
1 I fogli di carta sono compostabili in casa conformemente alla norma NF T 51-800 e compostabili a livello industriale secondo EN 13432/EN 14995. Lo smaltimento nei rifiuti organici può essere limitato e variare da regione a regione. Informarsi presso l›azienda locale per lo smaltimento dei rifiuti. Per il compostaggio, assicurarsi che i fogli di carta non siano stati utilizzati con sostanze non compostabili o pericolose.
Economici
Plenty
Vorteilspacks, per es. Plenty Original 16x45 fogli, 15.50 invece di 25.85 40%
CULTURA
Storie di editori, di libri e di luoghi
Nel racconto personale di Roberto Cicala dell’editoria italiana i libri diventano uno spunto per parlare delle città e delle città nei libri
Pagina 38
Un sogno veneziano
Dal 21 al 27 ottobre al LAC di Lugano arriva Titizè – A Venetian Dream l’atteso debutto della più recente regia di Daniele Finzi Pasca
Pagina 39
Sulla mappa
Pablo Creti racconta Sulla mappa - 30 anni di RAP in Ticino, il primo documentario digital first della RSI disponibile sul web
Pagina 41
Isidor Geller, l’uomo che si era fatto da sé
Romanzo ◆ Prima in tedesco per Diogenes, ora in Italiano per Keller, Shelly Kupferberg racconta una storia di famiglia
«Nella nostra famiglia non vi sono oggetti trasmessi di generazione in generazione, o cose che raccontano le storie e le vite della nostra famiglia. Mancano essenzialmente per due motivi: la cacciata e le uccisioni. Tutto ciò rende ancora più importanti le storie sopravvissute. E la loro trasmissione».
Quella di Isidor Geller, il cui vero nome è Israel, morto a soli 52 anni il 17 novembre del 1938, è una storia sopravvissuta alla guerra, al nazismo e all’oblio del tempo di cui oggi veniamo a conoscenza grazie al lavoro di ricerca di Shelly Kupferberg, classe 1974, nata a Tel Aviv, cresciuta a Berlino Ovest, giornalista e moderatrice di casa nella capitale tedesca.
Isidor è il suo romanzo d’esordio, uscito in tedesco per il Diogenes Verlag e ora in italiano per Keller Editore con la traduzione di Federica Corecco mantenendo nelle due lingue lo stesso titolo Isidor. Una storia ebraica e la medesima suggestiva immagine di copertina (nella foto) che con il romanzo ha una stretta relazione su cui torneremo più avanti. Intanto Shelly Kupferberg ci dice come tutto sia iniziato per caso. «Cinque anni fa mi chiesero di moderare una conferenza sul tema dell’arte rubata, delle spoliazioni naziste. Preparandomi venni a conoscenza del fatto che i nazisti sottrassero agli ebri seicentomila opere d’arte di cui oggi se ne sono state ritrovate circa quindicimila, una piccolissima parte. Rimasi così colpita e allo stesso tempo irritata da questo dato che decisi di saperne di più. Soprattutto, però, mi vennero in mente i racconti di mio nonno Walter. Mi raccontava sempre di suo zio Isidor che a Vienna abitava in un sontuoso palazzo ed era molto ricco. Mi sono detta che allora anche lui doveva aver posseduto delle opere importanti. Così ho inoltrato una richiesta di informazioni all’Archivio di stato austriaco che mi ha dato conferma di quanto già sapevo, ma nulla sulle opere. Ho iniziato a indigare, prima a titolo personale, poi, man mano che le storie si moltiplicavano e l’esistenza di Isidor si arricchiva di dettagli affascinanti, ho deciso di ricostruire la sua vita e di farne un libro».
Se da un lato, dunque, sono stati d’aiuto gli incartamenti, le foto, i vecchi documenti, le lettere di famiglia risalenti ai primi quarant’anni del secolo scorso che Shelly Kupferberg ha reperito con le sue ricerche, dall’altro sono stati preziosi i racconti in famiglia del nonno Walter che hanno instillato in lei il seme della conoscenza e della consapevolezza che qualcosa o qualcuno prima di lei aveva vissuto una storia importante.
Chi era Isidor e cosa lo rendeva cosi speciale, l’autrice lo rivela subito in apertura: «Lo zio di mio nonno era un dandy. Il suo nome era Isidor. O Innozenz. O Ignaz. In realtà si chiamava
Israel. Ma quel nome era troppo eloquente. Quindi, meglio Isidor o Innozenz o Ignaz. Era un arrampicatore, un eccentrico, un parvenu, un multimilionario, a volte un fanfarone, un uomo d’azione e di mondo, era ostinato e pieno d’orgoglio. Come spiegare, altrimenti, la sua ascesa da uno sperduto e misero angolino della Galizia orientale fino al cuore di Vienna, imperialregia capitale, dove divenne Cavaliere del Lavoro e consigliere economico dello Stato austriaco? Come avrebbe altrimenti potuto, partendo da Lokutni – Lokutni vicino a Tlumač, Tlumač vicino a Kolomea, Kolomea vicino a Leopoli – inerpicarsi sin lassù? Fino al giorno in cui persone come lui sarebbero state sterminate».
Da queste poche righe prorompe con forza la particolarità di una storia che fa luce su due aspetti in particolare. Da un lato l’ascesa di Isidor, ebreo della Galizia Orientale, quinto di cinque figli cresciuti con genitori religiosissimi e professanti l’antica ortodossia, giunto a Vienna per studiare all’Università e diventare avvocato.
Dall’altro, la descrizione di una Vienna ricca e pomposa in cui l’antisemitismo si respirava già ben prima del nazismo, capitale votata alla modernità che all’improvviso si trasforma in una trappola mortale per migliaia di ebrei. C’è chi riconosce il pericolo per tempo e fugge. C’è chi, come Isidor, pensa di essere immune perché cittadino modello perfettamente inserito nelle maglie della società e del potere austriaco.
C’è un passaggio del libro che ci aiuta a capire: «Cavaliere del Lavoro, senza figli, Isidor era un anfitrione munifico, amava il lusso e sapeva quel che voleva. E, soprattutto, quel che non voleva. Era orgoglioso della strada che aveva fatto (…) Aveva preso in mano il suo destino, e spesso annuiva tra sé e sé: Sì! Ce l’aveva fatta! Lo corteggiavano, lo consultavano, seguivano i suoi consigli su questioni legali e finanziarie, persino tra le più alte sfere dello Stato. Se si aveva bisogno di un consulente in materia di investimenti, quello di Isidor era tra gli indirizzi più quotati a Vienna. Egli stesso viveva dei generosi interessi che maturavano sul suo capitale. Mai più avrebbe incontrato le difficoltà economiche che aveva conosciuto nella sua infanzia e nella sua gioventù, di questo era certo».
Si resta colpiti anche dalla descrizione del Palazzo in cui viveva e dai suoi arredi: «1935. Come ogni domenica Walter andò a pranzo dallo zio. Nell’elegante Canovagasse, primo distretto di Vienna, proprio dietro il Musikverein e nei pressi di Karlsplatz, zio Isidor occupava un piano del palazzo del barone Eugène de Rothschild. Dieci splendide sale con stucchi e soffitti affrescati. Tappeti persiani ricoprivano il parquet a mosaico. Le maniglie delle porte erano decorate con corone a sette punte. Isidor viveva lì tutto solo, insieme alla sua ricca collezione di opere d’arte. Ogni volta che andava a trovarlo, Walter, all’epoca appena sedicenne, rimaneva incantato dall’elegante arredamento. E dai numerosi libri conservati nella sala di lettura appositamente allestita, tra cui esemplari unici di volumi in latino rilegati in pelle, l’intera letteratura mondiale e prime edizioni di classici francesi e tedeschi. C’era anche una stupenda edizione illustrata in dieci volumi de Le mille e una notte, custodita in una libreria barocca con le vetrinette». Tra le bellezze di questa storia spicca il rapporto tra lo zio e il sedicenne Walter che pende dalle sue labbra e seguirà le sue orme di avvocato benché il suo sogno siano la letteratura e la poesia. Affascina, invece, la storia d’amore con la bellissima cantante Ilona Hajmássy, di origini ungheresi che scappa da Vienna e diventa una star di Hollywood («Somiglia alla Dietrich, parla come la Garbo, ed è solo una questione di tempo prima che ci sorrida dalle copertine delle riviste patinate» scriveva di lei il “New York Times”»). In generale, quelle ritratte in questo romanzo sono figure femminili di grande forza, come ci racconta Shelly Kupferberg. A partire da Franziska, la sorella di Isidor. «Mi piace dire che questo è un racconto di uomini e donne che si sono fatti da sè, che con le loro sole forze hanno lottato per uscire dal milieu in cui sono cresciuti per nascita e si sono aperti la loro strada. Di Franziska il nonno Walter mi diceva sempre che era una donna orgogliosa che aveva preso in mano il suo destino e le piaceva vestirsi in modo elegante». Il suo vero nome era Fejgale, dalla parola yiddish «uccellino» ma, come Isidor, anche lei cambiò nome. Un’abitudine che Shelly Kupferberg ci spiega
così: «Se osserviamo la scena culturale e sociale a cavallo del Novecento vediamo come molte persone famose che avevano nomi ebrei adottano nomi tedeschi come Karlheinz o Hermann. È un elemento sul quale riflettere, un indizio che ci dice come l’antisemitismo fosse già presente prima dell’avvento del nazismo. Si evince molto bene, ad esempio, leggendo la stampa del tempo».
Eppure Isidor pensava, grazie al
suo status sociale, alla sua ricchezza, al suo nome tedesco, di essere uno di loro. «La Vienna di inizio Novecento, spiega l’autrice, abbracciava la modernità, il progresso e molti ebrei in Europa videro realizzarsi in questo slancio il concetto di uguaglianza per cui, ad un certo punto, non aveva più importanza da dove venivi». La storia ci dice tutt’altro, purtroppo, e per gli ebrei che vivevano in Austria al tempo di Hitler ci furono ad un tratto tutte le avvisaglie per capire che la propria vita era in pericolo. Com’è possibile, anche in virtù delle cerchie potenti che frequentava, che Isidor non avesse previsto il peggio come aveva fatto Walter, che per altro lo mise in guardia, e espatriò in Palestina? «Resta un mistero. Credo che non volesse accettare la realtà, non si sentiva chiamato in causa da quanto stava accadendo in virtù di quanto aveva fatto nella sua vita per lo stato austriaco. Nel 1926 entrò a far parte del consiglio di esperti della Commissione per la statistica commerciale nel ministero federale del Commercio e dei Trasporti». Tradito dal suo autista e dalle sue due dome-
stiche che entrarono nelle file del partito nazista, Isidor fu arrestato come qualunque altro ebreo, venne percosso e maltrattato fino ad essere annientato nell’anima e nel corpo. E spogliato di tutto. «Di lui è rimasto ben poco. Soltanto una grande scatola con un servizio di posate d’argento per ventiquattro persone. (…) Le posate sono una muta testimonianza delle aspirazioni alto borghesi di un uomo convinto che nulla avrebbe potuto scalfirlo nel cuore della buona società viennese». Isidor venne sepolto nel settore ebraico del cimitero centrale di Vienna ed è qui, in questo luogo, che il romanzo si chiude con un’apparizione magica (legata all’immagine di copertina) che sostanzia le parole di Shelly Kupferberg. «Ricostruire la biografia di Isidor mi ha regalato grande gioia. Ho potuto dare alle persone una nuova vita, ho potuto dare loro un posto nella storia».
Bibliografia
Shelly Kupferberg, Isidor. Una storia ebraica, Keller Editore, Rovereto, 2024.
Storie di editori, di libri e di città
Pubblicazioni – 1 ◆ Roberto Cicala per il Mulino racconta in modo originale e personale l’editoria italiana
Stefano Vassere
Più che una storia di luoghi, quella dell’editoria italiana è sempre sembrata una storia per singole personalità. Sentite qui: «Giulio Einaudi ha una corona di lunghi capelli candidi e ondulati al vento; Leonardo Mondadori ha i tratti marcati dei Mondadori: la faccia russa, dice sua madre Mimma; Elisabetta Sgarbi si è sottratta alla sorte che la voleva farmacista e ha dato sfogo alla sua personalità esplosiva in molteplici campi». Sono i ritratti degli editori forniti da Gian Arturo Ferrari nella sua intensa Storia confidenziale dell’editoria italiana di un paio di anni fa.
Parlare di libri è per l’autore anche uno spunto molto invitante per parlare delle città, e soprattutto delle città nei libri
Poi, però, si può pensare a un resoconto di queste vicende per contesti che le hanno ospitate, una storia dei luoghi delle case editrici. È quello che fa con discrezione e merito Roberto Cicala in questo suo ultimo Andare per i luoghi dell’editoria edito dal Mulino (ecco, forse un unicissimo benevolo appun-
to è alle pagine dedicate proprio alla casa editrice bolognese, nove, a fronte delle sette di Mondadori e Feltrinelli, delle sei di Rizzoli). «Andare per…» è espressione che invita a un’operosa peregrinazione in giro per il Paese, e la collana «Ritrovare l’Italia», nella quale sta anche questo libro, consiglia di recarsi in posti intestati a un tema, a un filone, a una categoria sociale: così, negli anni sono uscite le guide a regge e residenze, rifugi, vie militari romane, colonie estive (di Stefano Pivato, molto bella), stadi, luoghi di confino, università, saline, eremi francescani. Qui, appunto, si va nelle regioni e nelle città dove hanno avuto o hanno tuttora sede le imprese editoriali storiche, recenti e in attività. Forse alcune di esse non rappresentano un luogo significativo o che si possa pensare come determinante nell’indurre i destini di questo o quell’altro progetto. Altre sì, come nel caso della sede della Fondazione Feltrinelli vicino a Porta Garibaldi, o di quella della Mondadori a Segrate opera di Oscar Niemeyer con il lago di 20’000 metri quadri e la scultura di Arnaldo Pomodoro, o ancora di quella della Zanichelli risalente agli anni Trenta del Novecen-
to. Altre si segnalano per una specie di mitologia guadagnata a posteriori: l’Einaudi di Via Biancamano, la villa con giardino ai Parioli che ospita la Laterza, il laboratorio di Aldo Manuzio vicino Campo Sant’Agostin. Parlare di libri è però per Cicala anche uno spunto molto invitante per parlare delle città, e soprattutto delle città nei libri. Cosi, non si può non citare l’affascinante immagine di Milano come una foresta, tracciata
da Luigi Santucci alla fine degli anni Sessanta: «Tutto è come fosse di una medesima sostanza, fossile e tuttavia vivente, e Milano ramificasse, dalla grande ceppaia del duomo, in una civile foresta». Bene fa dunque l’autore di questa guida a partire da lì, alla ricerca dei luoghi dell’editoria lombarda. Ancora a Venezia, la modalità della passeggiata avvicina a uno dei posti più belli della città, ai margini delle Zattere in direzione delle ban-
Mary Read, pirata alla ricerca della libertà
chine dei parcheggi: «Proseguendo lungo il canale della Giudecca, verso il porto e la ferrovia, a Santa Marta ecco Marsilio, costruita con mattoni fatti di libri illustrati, cataloghi di mostre, saggi e soprattutto la serie di gialli svedesi». Ma il libro di Roberto Cicala ha un pregio tutto suo nell’indicare e descrivere anche le dimore degli editori di provincia o quasi. Così per esempio a Modena c’è ampio fiato per raccontare la sfortunata biografia dell’editore molto brillante Angelo Fortunato Formiggini, promotore di opere originali come i «25 volumi di aneddotica su personaggi celebri e la collana dei “Classici del ridere”». Perseguitato perché anticonformista e israelita, egli si gettò nel novembre 1938 dalla torre campanaria del duomo cittadino. Una lapide ricorda quel gesto, richiamando la porzione di selciato dove Formiggini morì, che egli stesso volle fosse denominata «al tvajol ed Furmajin» “il tovagliolo del Formaggino”.
Bibliografia
Roberto Cicala, Andare per i luoghi dell’editoria, Bologna, il Mulino, 2024.
Pubblicazion1 – 2 ◆ Francesca De Tores racconta la saga dell’avventuriera arruolata nell’esercito e processata per pirateria nel 1970
Laura Marzi
Saltblood. Sangue salmastro di Francesca De Tores edito da Ne/oN con la traduzione di Chiara Puntil è una storia di pirati, anzi di pirate. Il libro, scritto in prima persona, è la biografia romanzata di Mary Read che davvero si arruolò nella marina, in seguito nell’esercito, infine fu processata per pirateria e morì nel 1721.
Nel romanzo, la madre decide di educarla come se fosse Mark, il figlio nato da un buon matrimonio che però era morto appena dopo il suo stesso padre. Per continuare a percepire la piccola rendita che la nonna concedeva al suo nipote maschio in cambio di qualche visita, la madre inizia a far finta che Mary, la bambina che le è nata a seguito di un rapporto occasionale, sia Mark: «Mà mi ha mostrato, senza mai averne l’intento, che ogni corpo può essere una scelta, e così ogni giorno».
Anche dopo la morte della nonna, Mary continua a essere Mark, nella casa dove va a servizio come sguattero e ancora quando con l’entrata in guerra contro la Spagna decide di arruolarsi nella marina e lo fa facendosi passare per un ragazzo, ovviamente. Nel momento in cui incontra il mare, del resto, poco importa quale sia il suo genere sessuale di appartenenza, la protagonista di questa storia ca-
pisce dov’è la sua casa: su una nave. Mary inizia a riconoscere il canto di ognuna delle imbarcazioni su cui navigherà, negli anni, come gli ha insegnato il suo primo e unico amico Marston, che decide di seguire arruolandosi con lui nell’esercito per fare qualche soldo in più. Qui incontra Dan e dopo anni di segreti e di nascondimenti, gli rivela di essere una donna. Solo in questo momento lo vengono a sapere anche tutti i commilitoni con cui Mary aveva condiviso anni di sangue, orrore e qualche fragorosa risata. Il matrimonio con Dan segna il momento del congedo dall’esercito per entrambi: si dirigono infatti nelle Fiandre dove lui ha ereditato un’osteria che gestiscono insieme fino a che il destino di Mary non tornerà a bussare alla sua porta con forza e brutalità, riconducendola a salpare per mare. Questa volta non lo fa sotto mentite spoglie, sale a bordo della nave Walcheren come una donna. Il capitano Payton la accetta nella sua ciurma coltivando per anni la speranza che Mary contraccambi il suo amore o quanto meno si conceda, ma lei è un’ottima marinaia e non ha nessuna intenzione di essere di nuovo anche la moglie di qualcuno, però è grazie all’abilità di Payton nei commerci
che Mary scopre Nassau: la patria dei pirati, la città protagonista di infinite storie e leggende ed è qui che incontra Anne Bonny, un’altra pirata realmente esistita. Le due diventano inseparabili, scoprono di essere entrambe state costrette, seppur per motivi diversi, a fingersi maschi fin da piccole.
A un certo punto il loro amore, forse frutto della fantasia di De Tores o forse no, si intreccia con il desiderio di libertà e la spregiudicatezza di Jack Rackham, il capitano della William, l’imbarcazione che loro stesse hanno contribuito a rubare in un arrembaggio. Insieme a lui le due donne vivo-
no, finché dura, il sogno della «repubblica di pirati». Saltblood è un testo a dir poco avvincente, anche se, come Francesca De Tores stessa scrive nella nota storica, la vita reale delle due donne a cui sono ispirate le vicende raccontate lo è stata forse ancora di più. Per questo risulta davvero notevole la sua capacità narrativa e la sapienza che è riuscita ad acquisire in merito alla navigazione, al modo in cui si viveva su una nave a quell’epoca, più in generale alla vita di una pirata. La ricostruzione di ogni singola scena è fatta ad arte, del resto il suo compito era particolarmente arduo: trasformare in letteratura una realtà che è andata ben oltre l’immaginazione. La personaggia di Mary ha inevitabilmente i tratti dell’eroe: non ha bisogno di nessuno e compie ogni singola scelta nel totale sprezzo della morte, ma è anche una donna di mare, come lei stessa si definisce, non sa lasciar andare via niente ed è ossessionata dai suoi fantasmi, mentre Anne «è una donna fatta di fiumi. Cresciuta alle foci, tutta la sua vita è stata una partenza dietro l’altra».
BIbliografia
Francesca De Tores, Saltblood. Sangue salmastro Ne/oN Libri, Roma, 2024
Un sogno veneziano al LAC
Spettacoli – 1 ◆ Dal 21 ottobre va in scena Titizè della Compagnia Finzi Pasca
Giorgio Thoeni
Dal 21 al 27 ottobre a Lugano arriva l’atteso debutto della più recente regia di Daniele Finzi Pasca di uno spettacolo creato per celebrare i 400 anni del Teatro Goldoni di Venezia dove è rimasto in scena per tutta l’estate. Accanto all’artista di casa nostra per la sua realizzazione ritroveremo i suoi compagni storici, da Maria Bonzanigo, autrice delle musiche e inseparabile costola creativa (che ritroviamo nell’intervista qui a lato) allo scenografo Hugo Gargiulo dal produttore Antonio Vergamini alla costumista Giovanna Buzzi oltre a una fitta schiera di attori e acrobati alcuni dei quali fanno parte da tempo della grande famiglia artistica della Compagnia che festeggia i 40 anni di esistenza.
Quello di Daniele è un ritorno a casa, l’affermazione dell’essere e del divenire, come nel titolo del suo spettacolo, Titizé: come un suono, quasi un manifesto programmatico come lui stesso ci racconta. L’intuizione è di mio fratello Marco. Stavamo cercando una parola che potesse avere un senso con ciò che si stava creando e che potesse essere pronunciata facilmente in diverse lingue nei Paesi dove siamo soliti viaggiare. Titizé, chi sei, è una domanda ma anche una bella riflessione.
Da dove siete partiti nella costruzione dello spettacolo?
Questo progetto nasce dal desiderio del Teatro Goldoni di creare qualcosa che facesse vivere il teatro anche d’estate. E mi hanno chiesto di fare uno spettacolo di prosa senza parole: un azzardo! Uno spettacolo pensato per un pubblico di turisti, nel contempo sarebbe dovuto essere in grado di poter viaggiare per il mondo rispettando la nostra estetica ma che soprattutto piacesse ai veneziani. E parlare di Venezia evitando gli stereotipi era la grande questione. Mi sono dunque immerso negli studi del periodo goldoniano e pre-goldoniano andando a cercare dettagli, piccole cose, mettendole insieme con una geometria da caleidoscopio e utilizzando il linguaggio dell’acrobazia, della danza e della musica costruiti come un sogno.
Quali sono i maestri che hanno influenzato la sua fantasia, ieri e oggi?
Del passato certamente Strehler, ricordo l’inizio della Tempesta di Shakespeare. Quei primi secondi che trasformano il buio iniziale in un mare in tempesta… l’artificio del teatro e gli inventori delle macchine sceniche mi hanno sempre affascinato tantissimo. Fingere a teatro non funziona mentre funziona il creare illusione che diventa allusione, poesia, metafora… Invece, riguardo alla contemporaneità ogni
volta che c’è una nuova invenzione la sperimentiamo. Dal profilo pittorico nello spettacolo facciamo riferimento a Giandomenico Tiepolo e a quel Pulcinella che è una maschera napoletana che apparve a Venezia durante un Carnevale. Mentre per l’Arlecchino abbiamo scelto con Giovanna Buzzi quello di Pablo Picasso. Sono 40 anni che ogni creazione viene concepita con Maria Bonzanigo, con le sue musiche. Ma soprattutto in questo spettacolo nel gioco tra la sonorità e l’acrobatica siamo andati in zone che nessuno aveva ancora sperimentato.
La fascinazione di questo spettacolo passa attraverso le maschere senza cadere nella trappola della tradizione.
Nel nostro lavoro sulla clownerie ho sempre fatto riferimento a Gustave Doré, al velarsi. Come quando nelle sue «gravures», nelle sue incisioni, si vede Mosé scendere dal Sinai con le Tavole della Legge: una figura velata che successivamente avrebbe svelato e, in senso più profondo, rivelato. Analogamente il mascheramento del nostro clown è di radice italiana e a differenza di quello francese, col naso rosso e il trucco, pone l’attore come con un velo che poi si trasforma in un modo invisibile: non si truccano ma si svelano. Anche Venezia non si maschera ma si vela, è anche un modo di ammiccare, di osservare. Per aggiungere magìa a questo concetto abbiamo fatto capo a un artista uruguaiano che lavora il cuoio, cosa che ormai non fa più nessuno, che ha creato per noi delle maschere gigantesche e meravigliose. C’è anche un elefante, un rinoceronte, un ippopotamo, un cavallo… tutto quello che è grande mi affascina, mi fa una tenerezza bestiale.
Titizé è uno spettacolo acrobatico senza parole. Le parole non ci sono per raccontare una storia. Sono dei quadri in cui succedono determinate cose. Viviamo un’epoca dove occorre sempre
Tra musica e scena
Spettacolo – 2 ◆ Intervista a Maria Bonzanigo
Elisabeth Sassi
Tra i fondatori della Compagnia
Finzi Pasca, compositrice e coreografa, Maria Bonzanigo ci racconta le musiche create e composte per Titizé – A Venetian Dream
Partiamo dall’inizio…
definire tutto. È una modalità strana perché così si tracciano dei confini che non esistono nel teatro che già basta da sé come parola. Sì, è un teatro acrobatico ma non circense, un termine che mi fa venire il latte alle ginocchia, perché è una definizione storicamente impropria oltre che un’invenzione di comodo. In questo caso occorreva specificare con il termine acrobatico perché il pubblico del Teatro Goldoni doveva essere avvertito che non ci sarebbero state molte parole…
Una quarantina di spettacoli, 3 cerimonie olimpiche, gli spettacoli creati per il Cirque du Soleil, 8 opere liriche, oltre 600 palcoscenici in 46 Paesi di tutto il mondo e un esercito di collaboratori: non ha nostalgia di un teatro più intimo?
Ma certo. In repertorio continuano ad esserci Icaro, Bianco su Bianco, 52… e ci sono progetti legati alla semplicità che continuiamo a sviluppare. Fare cose grandi è complicatissimo ma fare cose semplici è altrettanto difficile. Il fatto che dopo 40 anni lo stesso nucleo di persone continua ad occuparsi in sordina della ricerca e dello sviluppo di certi progetti fa parte della nostra quotidianità.
Dopo la pandemia per la Compagnia tutto è tornato ad essere come prima?
Per nulla. Forse per i grandi eventi e spettacoli più piccoli in un certo senso non è cambiato niente, ma per ciò che sta nel mezzo si fa molta fatica. Si è dovuto riacchiappare il pubblico, le tournées internazionali, i festival, … Per riuscire a tenere in piedi la Compagnia ci siamo indebitati parecchio e stiamo ancora pagando.
Anche il «sistema teatro» ha subìto un cambiamento?
Sicuramente, tutto succede all’ultimo momento e rispetto a prima si pianifica molto meno. Organizzatori e sponsor vogliono più certezze e sono venuti a mancare
Ho letto la storia di Venezia, mi sono documentata su tanti aspetti. Mi sono posta il problema di come richiamare una tradizione senza banalizzarla. Per prima cosa ho scritto le musiche, che successivamente ho registrato con l’Orchestra di Padova e del Veneto diretta da Pasquale Corrado. Poi, però, sulla scena arriva anche il momento di vestire un interprete con la musica, e allora, durante le prove, prendo le misure. Che sia un musicista professionista o qualcuno che magari fa qualcosa di semplice musicalmente: il mio obiettivo è riuscire a dar spazio all’interprete perché possa esprimersi al meglio nel suo colore. Questo è come mi piace lavorare con chi sta sulla scena. Bisogna trovare una specie di aggiustamento, far sì che uno si senta a suo agio. Sono aperta a costruire la musica anche sulla scena.
Nello spettacolo ascoltiamo musica dal vivo e brani registrati. Quali strumenti ha scelto di mettere in risalto nelle musiche incise con l’orchestra?
Tra gli strumenti dell’orchestra ho messo in risalto gli archi, certi loro particolari colori musicali. Gli archi sono stati per Venezia importantissimi. Per me l’orchestra aveva il compito di restituire l’effetto dell’acqua in continuo movimento, senza un punto fermo, quest’acqua che si alza che si abbassa. Poi c’è anche il coro Città di Piazzola sul Brenta del maestro Paolo Piana, mentre in scena è presente un controtenore, che fa pensare a Farinelli, a un certo uso della voce e di certi abbellimenti che si sono sviluppati proprio a Venezia.
La Serenissima porta con sé un immaginario ben codificato: come valorizzare la tradizione musicale senza scadere in stereotipi?
Titizé, nel titolo, nasce da una frase in dialetto veneziano: ti ti zé, «tu
sei». Parole che aprono alle domande: chi sei? Com’è questa Venezia? Chi sei tu? Domande che abbiamo voluto rivolgere anche al pubblico, con l’idea che ciascuno possa ritrovare il proprio sogno veneziano.
L’atmosfera è onirica, ci sono delle sonorità che ci riportano ai giorni nostri?
C’è un momento più vicino al jazz, l’ho pensato per raccontare una Venezia anacronistica: nello spettacolo ci sono accostamenti musicali tra quello che uno s’immagina della Venezia del Settecento, del Seicento, insomma del momento in cui Venezia era al suo massimo splendore e poi anche una Venezia più vicina a noi, magari anche più moderna, all’epoca dell’apertura del Lido, della Mostra del Cinema. Questi abbinamenti anacronistici ci restituiscono una Venezia a tutto tondo. Ma comunque per me, al centro di tutto, c’è il desiderio di rappresentare il suono dell’acqua, attraverso i colori orchestrali che ho usato in certi momenti, che sono più dei passaggi che dei brani veri e propri, oppure attraverso sonorizzazioni che ho registrato in giro per Venezia e che poi ho utilizzato nello spettacolo.
La parola in questo spettacolo si fa rarefatta e allora la musica diventa protagonista insieme alla scenografia e agli interpreti. Per Titizé mi sono ispirata a certi proverbi e alla loro musicalità. Ogni brano ha un titolo che corrisponde a un proverbio veneziano, come ad esempio: «Se no ghe fosse el ponte el mondo sarìa un’isoea» (se non ci fosse il ponte, il mondo sarebbe un’isola). Per me i proverbi racchiudono tanto di un luogo, racchiudono il sentire della gente. Intenzionalmente c’è poco testo per proporre lo spettacolo a un pubblico internazionale, però c’è anche un po’ di veneziano: ci sono due interpreti, artisti multidisciplinari, che in una scena recitano in veneto e lì il testo diventa quasi suono; i veneziani lo capiranno, ne saranno felici e divertiti, ma anche chi non lo capisce resterà affascinato dalla sonorità delle parole.
QUANDO ARRIVATE A VALLE PRIMA DELLA BICI.
Noi vi raggiungiamo rapidamente in tutta la Svizzera.
Diventare sostenitrice o sostenitore
Il rap ticinese ha ancora qualcosa da dire
Musica ◆ Sulla mappa – 30 anni di RAP in Ticino è il titolo del documentario digital first della RSI disponibile sul web
Eleonora Antognini, nome d’arte Ele A, classe 2002, nata a Besso è considerata la nuova promessa del rap italiano. Carlotta Sisti su «Rolling Stone» l’ha definita «la nuova rapper più stimata della scena italiana (anche se è svizzera)» mentre per Neffa è la ragazza che ha portato la rivoluzione nel rap, tra l’altro con «un’attitudine al rap – sempre secondo Carlotta Sisti – in grado di far risorgere i fasti dell’old school anni 90». E non a caso Ele A è sulla mappa del documentario prodotto dalla RSI, il primo documentario digital first che racconta 30 anni di storia rap e hip hop in Ticino. Un lavoro presentato in anteprima al Lux di Massagno qualche settimana fa che ora si può facilmente trovare sul sito Play della RSI e che, lo diciamo subito, può appassionare tanto gli intenditori di musica, chi quella scena musicale dagli anni Novanta in poi l’ha vissuta, quanto chi non ne sa niente. Anzi, grazie alle potenti e vivide immagini di archivio della RSI, è affascinante non solo conoscere i protagonisti della scena di allora, ma anche ripercorrere con loro i luoghi cult dell’hip hop che rendevano Lugano, Bellinzona o Chiasso più vive e autentiche.
Ma partiamo dalle origini, dall’idea del documentario e lo facciamo con Pablo Creti, autore del lavoro che intreccia 32 interviste fatte ai rapper di ieri e di oggi (alcune verranno pubblicate a parte sul sito RSI come continuazione e materiale di appro-
fondimento). «Lo spunto è venuto da Matteo Pelli e Lorenzo Buccella che mi hanno raccontato del concerto pazzesco al Foce dei Sangue misto nel ‘95. Era il primo gruppo rap italiano, è stato un concerto e un evento incredibile per il Ticino con la gente in fila fuori che non riusciva ad entrare. Si chiamava La grande notte rap».
Si parte da qui dunque, da quella notte e da quegli anni in cui il rap iniziava a diffondersi e a spaccare anche qui in Ticino con il sogno di avere successo in Italia. «Volevo andare a suonare a Palermo, in Sardegna, volevo stupire chi non conosceva la realtà ticinese» dice Maxi B e poi ricorda come a quei tempi dire «vengo da Lugano» aveva un che di esotico. C’era la voglia di farsi conoscere all’estero, di conquistare altri luoghi, ricorda Jay – K (classe 1979, bellinzonese, cresciuto nella scena hip hop italiana) – il Dj partito alla conquista della Svizzera, dell’Europa, dell’America e poi del mondo. I punti di ritrovo della scena rap di quegli anni il documentario ce li racconta bene e sono i portici luganesi, l’autosilo Motta o, come dice Maxi B, classe 1974, oggi voce di Radio3i, considerato un pioniere del genere in Ticino, «davanti all’Inno». O, ancora, il Porta ticinese a Bellinzona che aggregava tutta la città. Era una scena musicale in fermento, vivace, le sue voci e i suoi protagonisti avevano qualcosa di importante da dire e avevano trovato il modo di farlo e di farsi
Effetto Voce
Musica ◆ Torna la rassegna musicale a Bioggio
Vox Nova, il gruppo corale diretto da Roberta Mangiacavalli, tornerà ad esibirsi per un nuovo importante appuntamento concertistico domenica 20 ottobre alle 17.30 alla Chiesa Parrocchiale di Bioggio.
Effetto Voce, variazioni sul canto, questo è il titolo della rassegna che quest’anno giunge alla sua sesta edizione, e vedrà la partecipazione degli Alterati, vocal ensemble novarese che proviene da percorsi canori che spaziano dalla musica rock, New Age fino al Musical. Il loro repertorio viaggia dai canti sacri alla musica contemporanea, passando per raffinati arrangiamenti di musica pop. Composto da otto voci (nella foto), Alterati, il nome dell’ensemble, si ispira ai segni di diesis o bemolle in testa (in chiave) ad uno spartito, ma ha in sé anche la parola «altri» che
vuole connotarne la particolarità e l’eccezionalità.
Il 20 ottobre sarà per loro la prima volta che suonano in Svizzera esibendosi insieme all’ensemble dei Vox Nova, gruppo corale ticinese attivo dal 1989 che crede in una musica senza confini e dimensioni che tocca l’anima, il cielo e conduce in un viaggio sospeso sullo spartito universale (come recita il sito sul quale si trovano tutte le info dell’evento: www.voxnova.ch). / Red.
Dove e quando
Effetto Voce, variazioni sul canto Chiesa Parrocchiale di Bioggio, domenica 20 ottobre alle 17.30. Entrata gratuita.
ascoltare anche al di fuori dal confine. Ma il documentario non vuole essere un prodotto nostalgico e per questo sin da subito alle voci old school alterna i nuovi protagonisti come Mattak (nella foto intervistato da Pablo Creti che è di spalle), classe 1994, luganese, tra i rapper più influenti del momento: «L’hai capito, sono Mattak, ehi / Porto Lugano sulla mappa, ehi / Mollami che sto andando up, fra’, uoh / Guardami, ma adesso, perché dopo il disco volo su / Sono Mattak, ehi / Porto Lugano sulla mappa, uoh». O Ele A affascinata dal mondo rap che l’ha preceduta: «Vengo da dove c’è un mare di soldi, ma niente di più, niente di / nuovo / E sempre di poco si parla al
bar ed è più caldo sul viso del globo / La febbre dell’oro, yeah, ma non basta un antidolorifico / Uno shot e sei già meno timido, non ti cura, ma calmerà il sintomo / Tu hai visto mai un uomo morire ma per diventare best seller? /(Yeah)».
Pablo Creti ci spiega il suo intento. «Ci tenevo che il documentario non evocasse soltanto il passato. Certo, però, dagli anni Novanta in poi in Ticino si è mosso qualcosa di importante sulla scena musicale del rap, c’è stato un momento in cui questo genere ha preso davvero piede, c’era un gruppetto di persone che il rap lo facevano bene senza farsi trasportare dalle mode del momento ma tenendo fede al rap
old school, con le punch line, le rime fatte bene. Ed era giusto evocarlo, dargli spazio ma andare anche oltre perché oggi c’è un seguito notevole che propone cose nuove ma si rifä anche a chi c’è stato prima».
Ele A ad esempio, veste come i rapper degli anni Novanta con il maglione della Kangol, i pantaloni larghi, l’anello doppio, ha ripreso il look di quegli anni.
E se il look è importante, un segno distintivo, come dicono due ragazzini intervistati dall’allora TSI nel 1994, è il linguaggio, quello che il rap ha da dire: «Il rap ha qualcosa di giusto, di massiccio qualcosa che le altre musiche non hanno, esprime qualcosa» e lo fa oggi come allora. Maxi B nel 2012 diceva: «L’arte del rap è dare voce a chi voce non ha / L’arte del rap è intrattenere, educare, è una chance / L’arte del rap è fare il rap, non fare la star / L’arte del rap è nel coraggio della verità / La gente vera vuole artisti veri. Sempre». Forse i giovani rapper di oggi hanno qualche difficoltà in più rispetto a chi è stato pioniere e ha potuto inventare qualcosa di nuovo. Senza contare l’ipervelocità dei social, come Aki Aki, rapper ticinese di origini serbe, ha raccontato a Pablo Creti: «Per noi oggi è un casino: o ci omologhiamo o non esistiamo. Mi ritrovo con gli altri rapper che ogni giorno su Tik ok pubblicano una canzone. Non è possibile, non ce la si fa è tutto troppo veloce». / Red.
In fin della fiera
Un anno cruciale nella storia d’Italia
«Colpito in fronte da nemica palla»: inizia così una lapide marmorea fissata a uno dei muri perimetrali della chiesa della Madonna di Campagna, nell’estrema periferia di Torino. Recita: «Colpito in fronte da nemica palla / all’assalto di Perugia / lì 14 settembre 1860 / cadde ucciso alla testa / de’ suoi granatieri / il capitano / Tancredi Ripa di Meana / Fregiato d’onori / Alle guerre d’Italia / e di Crimea / la madre e la famiglia / tutta inconsolabile / unirono alla salma del padre / della sorella, dei nipoti / le onorate spoglie dell’amato / congiunto / che visse anni 32 mesi sei / nel compianto / implorano da Dio / la pace dei giusti». Cerchiamo di inquadrare storicamente l’episodio. Il 1860 è un anno cruciale nella storia d’Italia. Il 6 maggio, con lo sbarco a Marsala, è iniziata l’impresa dei Mille di Garibaldi. La città di Perugia era sotto il diretto controllo della Chiesa, iniziato fin dal 1540. I soldati italiani si battevano per liberare quelle terre dal dominio del Papa
Pop Cult
Pio IX che il 26 marzo di quel 1860 aveva emanato una scomunica rivolta non solo alla persona del re Vittorio Emanuele II, ma in generale a tutti coloro che avevano contribuito a quel «sacrilegio». Lo Stato della Chiesa non aveva un suo esercito ma ricorreva ai mercenari svizzeri che quel giorno a Perugia dominavano il terreno dall’alto della Rocca Paolina, una grande fortezza architettata da Antonio da Sangallo il Giovane e costruita tra il 1540 e il 1543. L’edificio era di cinque piani sovrapposti con tutto un sistema di sproni e di casematte. Un’altra minore fortezza, detta la Tenaglia, era spostata a valle. Ora restano soltanto i muraglioni, è stata abbattuta dopo l’avvento del Regno d’Italia. I nostri granatieri avevano il compito di conquistare la Rocca Paolina. Luigi Bonazzi, nella sua Storia di Perugia scrive: «Per errato consiglio di una guida perugina, il nerbo delle truppe si diresse alla porta S. Margherita, più cancello che porta e quindi più facil-
Caso «Diddy», il re è nudo
Sebbene, da un punto di vista sociologico, gli ultimi anni ci abbiano abituati a parecchi eventi più o meno spiazzanti, si può dire che nel mondo della cultura pop vi siano stati pochi terremoti paragonabili a quanto recentemente accaduto nell’ambito della musica R’n’B e hip hop di matrice americana – dapprima con la condanna a un totale di 31 anni di reclusione del cantante R. Kelly (tra il 2021 e 2023), e, solo pochi giorni fa, con i gravi capi d’accusa presentati a carico del popolarissimo performer e produttore Sean Combs, già noto al grande pubblico come Puff Daddy e, in seguito, semplicemente «Diddy». In entrambi i casi, i reati in questione sono di stampo sessuale, e vanno dalla tratta di esseri umani alla coercizione e sfruttamento di innumerevoli vittime a scopo di abuso; nel caso di Combs, le indagini si sono infat-
Xenia
ti concentrate sull’abitudine, da parte del cantante, di indugiare in periodici festini orgiastici (noti come freak offs), i cui partecipanti risultano essere stati perlopiù non consenzienti. E questo è solo l’inizio, dal momento che il percorso legale a cui due figure pressoché mitiche della musica statunitense si sono dovute sottomettere nell’arco di un paio d’anni, sembra dimostrare come qualcosa sia definitivamente cambiato perfino nel dorato universo delle «intoccabili» superstar musicali. Ma allora, cosa si cela dietro all’improvviso «disvelamento» e condanna mediatica di fatti tanto sordidi, dei quali la maggior parte dei fan era del tutto all’oscuro? Di certo, alla base vi è una nuova, rinnovata consapevolezza, da parte dell’opinione pubblica, nei riguardi di quel senso di onnipotenza tipico dell’universo delle rockstar (e, in fondo, dei divi in genera-
mente atterrabile. Se non che, per atterrarla, dové fare una sosta, durante la quale, in quel luogo ampiamente scoperto, la truppa era esposta da più lati al tiro degli inimici, e specialmente dei frati di S. Domenico: e vi moriva tra gli altri un capitano piemontese». Per sapere il nome di questo capitano dobbiamo ricorrere a un altro storico, Giustiniano degli Azzi, nel suo Per la liberazione di Perugia e dell’Umbria, che ci offre un profilo completo del nostro eroe. Azzi scrive: «L’ufficiale perito nel fatto d’armi di Perugia era il Capitano Tancredi Ripa di Meana, nato di nobile famiglia torinese il 12 marzo 1820 dal marchese Vespasiano e dalla marchesa Onorina Doria di Ciriè. Ai primi clangori di guerra per l’indipendenza corse ad arruolarsi come soldato volontario nel 1° reggimento Granatieri di Sardegna, e come tale combatté valorosamente in più scontri. (..) Promosso capitano il 15 ottobre ’59, entrato col suo reggimento nell’Umbria, cadeva d’un colpo di moschetto
dinanzi alla porta di S. Margherita di Perugia, mente colla voce e coll’esempio eroicamente ne guidava e incoraggiava all’assalto i suoi granatieri». Una testimonianza diretta la troviamo in una lettera alla madre scritta dal conte Antonio Visconti di Saliceto: «Alle 5 del 14 settembre si partì alla volta di Perugia. Il nostro battaglione, che si trovava all’avanguardia, aveva avuto l’ordine d’entrare in città non per la prima porta che si trovava, ma per l’altra a sinistra, che ha il nome di S. Margherita. Si videro in alto sulle mura della città gli svizzeri che ci aspettavano; ma noi si aveva avuto ordine di andare a Porta S. Margherita, e là bisognava andare. Quando fummo a tiro, essi ci fecero una scarica addosso, alla quale noi non potemmo rispondere, visto che eravamo in una posizione svantaggiosissima, perché dominati dal nemico e del tutto allo scoperto. Però ci facemmo coraggio e si corse alla Porta, sperando di trovarla aperta, o facilmente atterrabile; ma
giunti colà, trovammo la Porta chiusa e fortemente sbarrata, e i nostri due zappatori e noi tutti, per quanti sforzi facessimo, non riuscimmo a nulla. Intanto il fuoco continuava da parte del nemico ed era così nutrito che pareva che grandinasse. Fortuna volle che di fianco alla Porta vi fosse un murello di cinta, dietro il quale, alla meglio, il battaglione poté porsi al riparo. (Con l’intervento di un cannone e dei soldati del Genio riescono a sfondare la Porta). La prima scarica, che ci colpì in pieno, mentre correvamo all’assalto, uccise il capitano Ripa di Meana, comandante l’VIII compagnia. Egli mi cadde al fianco». Siamo all’ultimo atto: il 27 settembre il Regio Commissario di Perugia autorizza l’esumazione della salma del capitano e il suo trasporto sino al sepolcro gentilizio della famiglia Ripa di Meana nel cimitero della Madonna di Campagna presso Torino. Ecco spiegato il motivo della collocazione della lapide nella chiesa parrocchiale.
le), e che da sempre pervade il mondo dalla forte connotazione sessuale nel quale tali star si muovono; del resto, si sa come i «favori» in tale ambito costituiscano spesso il mezzo più semplice per guadagnarsi l’ingresso tra le cosiddette beautiful people Tuttavia, il caso di Diddy presenta ramificazioni ben più ampie, dal momento che le innumerevoli denunce firmate da centinaia di vittime (e accumulatesi, nel giro di poche settimane, sul tavolo del procuratore federale di New York) daranno presto luogo a un processo nel quale l’accusato rischia, come massima pena, l’ergastolo; il che ha spinto molti a rimarcare come l’immunità alla quale lo status multimiliardario della star sembrava darle diritto sia ora stata revocata.
In più, l’effetto «domino» di tale scandalo promette di lasciare una
Un gatto nero tatuato dietro il ginocchio
Lo trovano a notte fonda sulla rampa del garage, con le gambe fratturate. È precipitato dal decimo piano. Si stava calando lungo la grondaia: così pensano gli inquilini quando chiamano insieme l’ambulanza e la polizia. Si sporgono a guardare dai balconi, perché sono un mito i ladri acrobati georgiani, ma non ne hanno mai visto uno. Professionisti e organizzati, colpiscono sempre senza lasciare traccia. Come e perché questo invece sia caduto lo ignorano. Fra la barella, gli infermieri e il lampeggiante vedono solo un braccio tatuato e istoriato come la pagina di un libro e un cranio spelacchiato. Non è giovane. Il che rende la sua ascesa in qualche modo degna di ammirazione. Chi si intende di alpinismo paragona la facciata del palazzo – in realtà una specie di torre – a una parete di quarto grado.
Le impronte digitali rivelano una sfilza di denunce e condanne per lo stesso reato – furto, effrazione, violazione di domicilio. Lo processano che ha ancora le gambe trafitte da viti di titanio e si becca parecchi mesi di prigione, anche perché non collabora e non fa i nomi dei complici che lo hanno mollato a terra, portandosi via il borsone: la refurtiva infatti non viene recuperata. La polizia lo ritiene un delinquente incallito ancor prima dell’espatrio. Al cappellano sembra taciturno, quasi asociale. Lo sorprendono a studiare le mura del cortile, con un’attenzione quasi scientifica. Arrampicarsi ed evadere sarebbe per lui quasi un gioco. Tuttavia non lo fa. Chiede anzi di partecipare alle attività riabilitative e si iscrive al corso di teatro. Mesi dopo, finirà per raccontare alla regista che non gli dispiace stare qualche tempo
rinchiuso. Si riposa, impara. La volta precedente, tre anni prima, aveva seguito lezioni di lingua italiana e ora sa scrivere. In Georgia non ha frequentato la scuola. Istituti, riformatorio, strada.
Si chiama Levan. Il medico gli dice che si è sbriciolato le ossa (fratture scomposte) e non camminerà mai più come prima. Non ho bisogno di camminare, ride, cinico, io volo. Appena esce, ricomincia. Non ha mai creato rogne – né ai compagni di cella né alla penitenziaria. Ma solo all’infermiere ha raccontato come mai quella notte, per la prima volta in trentacinque anni da uomo ragno, qualcosa è andato storto. A Levan piace entrare nelle case degli altri, anche perché non ne ha mai avuta una. Osserva. I mobili, i vestiti, il modo in cui gli abitanti dispongono il tavolo, la televisione, le poltrone. Gli oggetti par-
lunga scia dietro di sé, a partire dall’imminente pubblicazione della lista di «complici» di Diddy – tra cui molti colleghi superstar, che presto sconteranno il prezzo del loro silenzio; mentre molti whistleblower hanno già profetizzato che le ripercussioni dell’arresto di Diddy si faranno sentire su tutta Hollywood, date le profonde connessioni tra il mondo della musica da classifica e quello degli studios cinematografici. Ma ora che, come si suol dire, il re è nudo, c’è da chiedersi come potrà la scena musicale statunitense – per intenderci, quella dei grandi nomi internazionali – riprendersi da un tale shock: in altre parole, come restituire agli ascoltatori una qualche sorta di fiducia nei riguardi dei propri beniamini, o presunti tali? Forse la risposta sta proprio nella speranza che ciò non sia del tutto possi-
bile: perché se è vero che il «Diddygate» sembra suggerire come i giorni dell’impunità – in cui le star potevano indugiare in qualsiasi perversione o inconfessabile desiderio, senza nessuna conseguenza – siano finiti per sempre, è altrettanto vero che anche il grande pubblico ha dei doveri al riguardo: primo fra tutti, evitare di idealizzare personaggi che, per quanto celebri, e (a volte) talentuosi possano essere soggetti alle medesime tentazioni – e, in questo caso, abiezioni –dei «comuni mortali», con in più l’aggravante rappresentata dal fatto che i guadagni miliardari rendono assai più facile soddisfare tali pulsioni. E se la rovinosa caduta in disgrazia di Diddy e dei suoi accoliti dovesse infine permettere ai fan (e non solo) di comprendere tutto ciò, allora si potrà affermare con certezza che almeno un risvolto positivo ci sarà stato.
lano. Nella casa della torre non c’era niente. Chi aveva fatto i sopralluoghi aveva sbagliato a dargli il numero dell’appartamento. Non ci abitava gente coi computer, i gioielli e la cassaforte, ma una vecchia signora con la pelle di carta velina, i capelli bianchissimi – uno scheletrino con la vestaglia a fiori. Dormiva in poltrona, e lui se l’è trovata davanti. Ha frugato in borsa e nei cassetti, cercando almeno i bancomat e la carta di credito, ma la vecchia non li aveva. A parte la fede al dito, neanche un orecchino. Stava perdendo tempo. Poi – acciambellato sul divano – ha notato il gatto. Un esemplare da mostra felina – col pelo lungo e gli occhi maligni fosforescenti. I gatti così si vendono bene. Lo ha ficcato nel borsone, ed è sgusciato sul balconcino per iniziare la discesa. Ma il gatto si contor-
ceva, graffiava, miagolava. Era già all’altezza del terzo piano quando le unghie hanno perforato la stoffa e gli si sono conficcate nella gola. Sicché si è sbilanciato, e sono volati giù entrambi.
Il gatto, illeso, si agitava ancora, quando i suoi complici lo hanno portato via. Levan ha rubato qualunque cosa, e non conosce il rimorso. Però è diventato allergico al pelo dei gatti. E qualche volta si immagina la vecchia signora, che si sveglia la mattina, e il suo compagno e unico bene non c’è più. La prima cosa che ha fatto quando lo hanno liberato è stato tatuarsi un gatto nell’unico spazio libero della sua epidermide: dietro il ginocchio. È per quel tatuaggio che lo riconoscono, all’obitorio. Coltellate, una lite per il bottino, una resa dei conti. Non si è mai saputo.
Hit della settimana
14.–
5.10
3.30
2.60
Tutti i pannolini Pampers (confezioni multiple escluse), per es. Premium Protection, tg. 1, 24 pezzi, 6.55 invece di 9.75, (1 pz. = 0.27)
1.95 invece di 2.95
Banane Migros Bio, Fairtrade Colombia/Perù/Ecuador, al kg 33%
gio. – dom.
1.75
Settimana Migros Approfittane e gusta
e verdura
Da croccante a succoso
3.40
Lattuga foglia di quercia Migros Bio 150 g, (100 g = 2.27)
Riempi la bag di mele e pere e paga un prezzo forfettario
26%
7.50
invece di 10.15
Mele e pere con Vitamin Bag, da riempire (prodotti bio, Demeter, Sélection e Extra esclusi), Svizzera, almeno 2,9 kg, (1 kg = 2.59)
3.50
invece di 4.50
Extra clementine foglia Spagna, al kg 22%
3.70
Zucca a fette Ticino, al kg, (100 g = 0.37) 30%
invece di 5.30
2.40
invece di 3.30
Cavoletti di Bruxelles
Svizzera/Paesi Bassi, sacchetto da 500 g, (100 g = 0.48) 27%
3.50
invece di 4.50
Spagna, 400 g, confezionati, (100 g = 0.88) 22%
Cachi mini
3.15
CONSIGLIO FRESCHEZZA
Pomodori a grappolo Svizzera/Olanda/Spagna, al kg 20%
invece di 3.95
I cavoletti di Bruxelles si mantengono freschi fino a 8 giorni se conservati in frigo avvolti in un panno umido. Per far sì che mantengano colore e consistenza da cotti, incidi la base a croce e raffreddali in una ciotola di acqua ghiacciata dopo la cottura. Scaldali in padella con un po' di burro prima di servirli.
3.20
Affumicato, impanato o appena pescato?
Filetti di salmone senza pelle M-Classic, ASC d'allevamento, Norvegia, in conf. speciale, 380 g, (100 g = 3.14) 34%
11.95 invece di 18.20
Suggerimento: squisiti con la mousse di rafano
9.70
Filetti di trota affumicati Migros Bio d'allevamento, Danimarca, 2 x 100 g, (100 g = 4.85) conf. da 2 30%
invece di 13.90
8.30
invece di 13.90
Filetti Gourmet à la Provençale Pelican, MSC prodotto surgelato, 2 x 400 g, (100 g = 1.04)
14.95 Trota salmonata affumicata Labeyrie, ASC d'allevamento, Norvegia, in conf. speciale, 220 g, (100 g = 6.80)
Filetti di limanda e filetti di merluzzo, Anna's Best e filetti di pangasio in pastella M-Classic per es. filetti di limanda, pesca selvatica, Pacifico nordorientale, MSC, 200 g, 5.55 invece di 6.95, in self-service, (100 g = 2.78)
Delizie per un pranzo veloce
conf. da 3
33%
Ravioli Anna's Best, refrigerati mozzarella e pomodoro o ricotta e spinaci, per es. mozzarella e pomodoro, 3 x 250 g, 9.90 invece di 14.85, (100 g = 1.32)
Lasagne La Trattoria prodotto surgelato, verdi o alla bolognese, per es. verdi, 2 x 600 g, 6.90 invece di 10.40, (100 g = 0.58)
25%
invece di 22.–
Mini pizze Piccolinis Buitoni prodotto surgelato, in confezione speciale, al prosciutto o alla mozzarella, 40 pezzi, 1,2 kg, (100 g = 1.38)
conf. da 2
20%
Cornatur nuggets o scaloppine mozzarella e pesto, per es. nuggets, 2 x 225 g, 6.30 invece di 7.90, (100 g = 1.40)
5.90
Focaccia all'alsaziana Flam'Fine raclette o chorizo, 2 pezzi, 360 g, (100 g = 1.64)
20x CUMULUS
Novità
Menù Premium Anna's Best
Chicken Curry Noodles, Oriental Meatballs, Asian Stir Fry Noodles e Stroganoff con manzo, per es. Chicken Curry Noodles, 400 g, 9.95, in vendita nelle maggiori filiali, (100 g = 2.49)
Creazioni autunnali e dolci
2.80 Pane delle Alpi IP-SUISSE
380 g, prodotto confezionato, (100 g = 0.74)
20%
Il nostro pane della settimana: un classico apprezzato da decenni. Croccante fuori e soffice dentro, perfetto per la fondue di formaggio.
Tutti i cake Petit Bonheur per es. cake alla finanziera, 330 g, 3.– invece di 3.80, prodotto confezionato, (100 g = 0.91)
20%
Fagottini di spelta alle pere Migros Bio, bastoncini alle nocciole o fagottini alle pere per es. fagottini di spelta alle pere Migros Bio, 3 pezzi, 225 g, 2.80 invece di 3.50, (100 g = 1.24)
Disponibile solo per poco tempo
1.30
Limited Edition, 70 g, in vendita sfusa, disponibile nelle maggiori filiali, (100 g = 1.86) 20x
Cornetto ai semi di zucca
20x
1.40
Fagottino di spelta ai fichi con noci
Limited Edition, 90 g, in vendita sfusa, disponibile nelle maggiori filiali, (100 g = 1.56)
Inforchetta e immergiti
Fondue Moitié-Moitié
Le Gruyère, Vacherin
(100 g = 3.05)
invece
Fondue moitié-moitié Caquelon Noir, AOP
Le Gruyère e Vacherin Fribourgeois, 2 x 400 g, (100 g = 1.88)
Formaggi e latticini
Ma con la panna, per favore!
Formaggio Cave d'Or
Le Gruyère, Emmentaler e raclette bio a fette, per es. Le Gruyère AOP, per 100 g, 2.40 invece di 3.05, prodotto confezionato 20%
Grana Padano grattugiato Da Emilio 3 x 120 g, (100 g = 1.94) conf. da 3 20%
7.–invece di 8.85
20x CUMULUS
Novità
6.95
New Roots bio La Raclette Vegan al naturale, 200 g, in vendita nelle maggiori filiali, (100 g = 3.48)
1.35 invece di 1.70
Emmentaler dolce per 100 g, prodotto confezionato 20%
2.40
Sole del Ticino per 100 g, prodotto confezionato 15%
invece di 2.85
2.15
Formaggella ticinese 1/2 grassa per 100 g, al banco 15%
invece di 2.55
5.25
invece di 6.60
Formaggio fresco Cantadou aglio ed erbe aromatiche, mix di pepe o rafano, 2 x 140 g, (100 g = 1.88) conf. da 2 20%
Tutti i formaggi freschi Cantadou (confezioni multiple escluse), per es. aglio ed erbe aromatiche della Provenza, 140 g, 2.65 invece di 3.30, (100 g = 1.89)
Sono la pagina per la voglia di dolci
a partire da 2 pezzi 20%
Tutto l'assortimento Lindt per es. palline al latte Lindor, 200 g, 8.80 invece di 10.95, (100 g = 4.38)
10%
9.40 invece di 10.50
Kinder Schoko-Bons in conf. speciale, 500 g, (100 g = 1.88)
30%
Cialde finissime Classico, Noir o Black & White, M-Classic per es. Black & White, 3 x 200 g, 8.80 invece di 12.60, (100 g = 1.47) conf. da 3
Cioccolato al latte con nougat di mandorle e miele
14.95 Toblerone Tiny Milk 496 g, (100 g = 3.01), in vendita nelle maggiori filiali
22%
Bastoncini alle nocciole, zampe d'orso o schiumini al cioccolato, M-Classic in conf. speciale, per es. bastoncini alle nocciole, 1 kg, 6.95 invece di 9.–, (100 g = 0.70)
6.50
Caramelle Ricola menta glaciale e zucchero alle erbe, per es. zucchero alle erbe, 400 g, (100 g = 1.63) 20x
La novità fra le nostre squisite specialità di biscotti
20x CUMULUS Novità
3.20 Cuoricini Créa d'Or 100 g
Da bere e sgranocchiare
10.–
Rivella
rossa, blu o gialla, 6 x 1,5 litri, (100 ml = 0.11) conf. da 6 33%
invece di 14.95
Arricchito con vitamine
conf. da 8 25%
5.70 invece di 7.60
Mitico Ice Tea al limone o alla pesca, 6 + 2 gratis, 8 x 500 ml, (100 ml = 0.14)
1.–di riduzione
Chips Zweifel
280 g e 175 g, per es. paprica, 280 g, 4.95 invece di 5.95, (100 g = 1.77)
conf. da 10 43%
3.35
invece di 5.90
20x CUMULUS
Novità
Capri Sun Multivitamin, Multivitamin Zero o Monster Alarm, 10 x 200 ml, (100 ml = 0.17)
3.45
Streetfood Snackmix Mitsuba Coconut & Peanut Satay Style, 140 g, (100 g = 2.46)
Tutti i succhi freschi Anna's Best a partire da 75 cl per es. succo d'arancia, 1 litro, 2.80 invece di 3.95 a partire da 2 pezzi 30%
20x CUMULUS Novità
Snack bio per bambini Freche Freunde disponibili in diverse varietà, per es. snack alla fragola, 12 g, 2.95, (10 g = 2.46)
Super croccanti, senza aromi aggiunti
Snack Mogli in diversi gusti, per es. palline di farro bio pomodoro-carota, 40 g, 4.75, (100 g = 11.88) 20x
Veloce preparazione, lunga conservazione
a partire da 2 pezzi 20%
Tutta la frutta secca e le noci, Sun Queen (Sun Queen Apéro escluse), per es. datteri, 300 g, 2.95 invece di 3.65, (100 g = 0.97)
a partire da 2 pezzi 30%
Müesli Farmer Plus Crunchy Fibre, Crunchy Protein e Crunchy Mix, per es. Crunchy Fibre, 600 g, 4.20 invece di 5.95, (100 g = 0.69)
conf. da 4 30%
a partire da 2 pezzi –.30 di
Tutti i tipi di pasta M-Classic 500 g, per es. vermicelli, 500 g, 1.80 invece di 2.10, (100 g = 0.36)
Caffè Exquisito, in chicchi o macinato 4 x 500 g, per es. in chicchi, 26.– invece di 37.20, (100 g = 1.30)
Tutto l'assortimento di condimenti liquidi e in polvere, Aromat per es. Aromat, 90 g, 2.40 invece di 3.–, (100 g = 2.67) 20%
a partire da 2 pezzi 20%
Tutte le minestre Bon Chef per es. zuppa di vermicelli con pollo, in busta da 65 g, 1.30 invece di 1.60, (10 g = 0.20)
conf. da 3 20%
Funghi prataioli o funghi misti, M-Classic per es. funghi prataioli, 3 x 200 g, 7.– invece di 8.85, (100 g = 1.17)
conf. da 4 20%
Conserve di verdura svizzera o purea di mele, M-Classic disponibili in diverse varietà, per es. piselli e carote, fini, 4 x 260 g, 5.40 invece di 6.80, (100 g = 0.52)
Tutto l'assortimento Mister Rice per es. Carolina, 1 kg, 3.45 invece di 4.30, (100 g = 0.34)
Tutto l'assortimento Kikkoman e Saitaku per es. salsa di soia Kikkoman, 500 ml, 4.60 invece di 5.80, (100 ml = 0.92)
16.95
Ghirlanda a LED zucca o fantasma con 8 lampadine, il pezzo
8.45
Super mix Head Bangers in conf. speciale, 400 g, (100 g = 2.11)
9.45
8.60
Cioccolato Villars 20 pezzi, 200 g, (100 g = 4.30)
6.95 Carambar Family in conf. speciale, 800 g, (100 g = 0.87)
7.95 Tarantula Trolli 975 g, (100 g = 0.82)
Big Party Mix Swizzels in conf. speciale, 900 g, (100 g = 1.05)
9.45 Mega Fête Haribo in conf. speciale, 1 kg
7.95
All in One Trolli in conf. speciale, 1 kg, (100 g = 0.80)
Tutta la cura di
Con principi particolarmenteattivi delicati e dermocompatibili
Prodotti pH Balance per es. gel doccia, 2 x 250 ml, 5.60 invece di 7.–, (100 ml = 1.12) conf. da 2 20%
conf. da 3 20%
Fazzoletti di carta o salviettine cosmetiche, Linsoft, FSC® per es. scatola, 3 x 150 pezzi, 5.40 invece di 6.75
2.05
Bastoncini d'ovatta Primella, FSC® in scatola di cartone, 2 x 200 pezzi
Assortimento di prodotti per il viso Nivea, Nivea Men e Nivea Baby (prodotti Sun, confezioni da viaggio e confezioni multiple esclusi), per es. siero antimacchie Luminous 630 Nivea, 30 ml, 24.75 invece di 32.95, (10 ml = 8.24) a partire da 2 pezzi 25%
Fazzoletti Kleenex per es. Ultra Soft Cube, 3 x 48 pezzi, 6.– invece di 7.50
20x CUMULUS Novità
conf. da 2 20%
Dischetti d'ovatta Primella o bio per es. dischetti d'ovatta Primella, 2 x 80 pezzi, 3.10 invece di 3.90
Prodotti per la cura del viso o del corpo Nivea per es. struccante per occhi per trucco resistente all'acqua, 2 x 125 ml, 8.70 invece di 11.60, (100 ml = 3.48)
4.25
6.95 Compresse Doppelherz D3 + K2 + Calcio + Magnesio 30 pezzi, (1 pz. = 0.23)
20x CUMULUS Novità
5.95
da 2 25% 5.95 Spray Doppelherz vitamina D3 8 ml, in vendita nelle maggiori filiali, (10 ml = 7.44) 20x CUMULUS Novità
Fazzoletti di carta Linsoft Classic, FSC® in conf. speciale, 42 x 10 pezzi
Caring Beauty Rose Labello 4,8 g, (10 g = 12.40)
Tanta roba, poca spesa
40%
Tutto l'assortimento di biancheria da uomo da giorno e da notte (prodotti Hit esclusi), per es. pantaloncino Essentials medium, in cotone biologico, grigio, il pezzo, 7.75 invece di 12.95
Detergenti Potz o M-Classic per es. detergente per il bagno Potz con confezione di ricarica, 2 x 500 ml, 5.40 invece di 6.80, (100 ml = 0.54) conf. da 2 20%
15.50 invece di 25.85
Carta per uso domestico Plenty, FSC® Original, 1/2 strappo o Fun Design, in confezioni speciali, per es. Original, 16 rotoli 40%
conf. da 2 23%
9.95
invece di 13.–Candele profumate Migros Fresh Cassis, Macaron Blanc o Bali, per es. Cassis Noir
Minirose M-Classic, Fairtrade disponibili in diversi colori, mazzo da 20, lunghezza dello stelo 40 cm, il mazzo 20%
7.95
invece di 9.95
da 2 20%
Cestelli o detergenti per WC Hygo in confezioni multiple o speciali, per es. Flower Clean, 2 x 750 ml, 5.60 invece di 7.–, (100 ml = 0.37)
9.95
Smartstore Classic con 4 scomparti 40 x 15 x 12 cm, il set Hit
conf. da 10 40%
9.–invece di 15.–
Lumini da cimitero con coperchio
partire da 2 pezzi
Tutti gli ammorbidenti Exelia per es. Florence, in conf. di ricarica, 1,5 litri, 4.20 invece di 6.95, (1 l = 2.78)
Contenitori pieghevoli disponibili in diversi colori e misure, il pezzo, per es. 18 litri, il pezzo, 7.15 invece di 8.95
1.95
Lumini da cimitero con coperchio disponibili in diversi motivi, il pezzo Hit
Prezzi imbattibili del weekend
Solo da questo giovedì a domenica
30%
1.75
invece di 2.50
Uva bianca senza semi
Italia, vaschetta da 500 g, (100 g = 0.35), offerta valida dal 17.10 al 20.10.2024
conf. da 6 43%
5.10
invece di 9.–Pomodori pelati triturati Longobardi
6 x 400 g, (100 g = 0.21), offerta valida dal 17.10 al 20.10.2024
33%
2.60
invece di 3.90 Ossibuchi di vitello IP-SUISSE in conf. speciale, per 100 g, offerta valida dal 17.10 al 20.10.2024