Dagli anni Novanta a oggi la robotica in sala operatoria
forte evoluzione
Stampa digitale: tecniche e modi di procedere, attrezzature necessarie e costi complessivi
Dagli anni Novanta a oggi la robotica in sala operatoria
forte evoluzione
Stampa digitale: tecniche e modi di procedere, attrezzature necessarie e costi complessivi
mondo
Fra i mali del nostro tempo vi è senza dubbio quello del traffico stradale, fagocitatore seriale di tempo, nervi, risorse e soldi. In Ticino lo sa bene chi dal sud della Svizzera tra le 6 e le 8 di mattina cerca di raggiungere Lugano o Bellin zona e chi, tra le 17 e le 19 vuole ritornare ver so sud: i veicoli allineati e affiancati in coda si trasformano in una sorta di immenso blob va riopinto che avanza a passo d’uomo, scansan do i lavori in corso e la segnaletica disseminata lungo il tracciato. Quando poi, e non accade di rado, si verifica un incidente – basta un tampo namento anche minimo – la stampa non si esi me dal tirare in ballo la terminologia religiosa, alludendo addirittura al sacrificio e parlando di itinerari di «passione» che possono durare anche ore.
Una situazione destinata a non migliorare, come dimostra il quadro stradale giornaliero di Mendrisiotto e Luganese, considerato uno dei peggiori su tutto il territorio nazionale. Una soluzione sembra dunque più urgente che mai, al cospetto delle decine e decine di mi
gliaia di veicoli (secondo le statistiche, in Ti cino, gli spostamenti quotidiani per lavoro con mezzi individuali motorizzati sarebbero oltre 150mila) che percorrono giornalmente la tratta dell’A2 in questione, e l’Ustra, l’Ufficio federa le delle strade, sembra averla individuata in un allargamento della carreggiata. In altre paro le, nell’aggiunta di una cosiddetta terza «corsia dinamica», utilizzabile secondo necessità (dun que sempre?) al fine di fluidificare gli ingorghi, poiché, ha affermato Marco Fioroni dell’Ustra, «a parità di chilometri percorsi, un veicolo in colonnato inquina il doppio di un veicolo che procede a 80 km/h». Il progetto PoLuMe (Po tenziamento Lugano Mendrisio) pare quindi a questo punto essere l’unica risposta federale a un problema la cui portata diventa ogni giorno più difficile da gestire, e che sul piatto della bi lancia sembrerebbe mettere solamente i già ci tati tempo, risorse e soldi, mentre salute e be nessere generale di cittadine e cittadini, senza contare la qualità di vita, non paiono godere di alcuna priorità.
O almeno, è ciò che hanno voluto sottolineare, manifestando, un gruppo di cittadini e rappre sentanti di associazioni di tutela dell’ambiente e del territorio, datisi appuntamento il mese scor so a Riva San Vitale per sfilare parallelamente all’arteria tanto martoriata ed esprimere la pro pria opposizione al progetto PoLuMe. E for se anche per chiedere, con tale protesta (sebbe ne PoLuMe sia supportato dalla maggior parte dei Comuni del Mendrisiotto), delle soluzioni votate alla ricerca di vere alternative, come po trebbero esserlo il car sharing o il contingenta mento dei veicoli, e, non da ultimo, un ulteriore potenziamento dei mezzi pubblici – oggi anco ra troppo spesso affollati all’inverosimile – rea le e tale da rendere treni e bus più appetibili del mezzo privato (più veloci, al cospetto del caos negli orari di punta, già lo sono).
Una domanda però, al di là di soluzioni via rie a breve, medio e lungo termine, dovreb be sorgere anche in chi non è di parte: perché la salute pubblica non entra in considerazio ne nel caso di progetti di questa portata? Per
ché, nonostante l’appello di medici che osser vano un preoccupante e pericoloso incremento delle malattie alle vie respiratorie in bambini e adulti, soprattutto nel Sottoceneri, la salute viene ancora considerata un semplice e sorvo labile effetto collaterale di questo nostro frene tico vivere del 21esimo secolo?
Con piglio certamente più ironico e azzeccato del nostro, Adriano Celentano lamentava que sto approccio ai tempi moderni già nel suo Al bero di trenta piani nel 1972, esattamente cin quant’anni or sono: «Non ci devi far caso / se il cemento ti chiude anche il naso, / la nevrosi è di moda: / chi non l’ha ripudiato sarà. / Ahia, non respiro più, / mi sento / che soffoco un po’». Celentano, nella sua ingenuità comunque piena di intuito, ancora prima del boom, della rivoluzione dei trasporti pubblici e di una cer ta consapevolezza ecologica condivisa, indica va la strada imboccata dall’uomo moderno co me quella sbagliata. Nel 2022 invece, c’è chi proprio quella strada la vuole rendere ancora più ampia.
TEMPO
Un nuovo modo di comunicare Uniwording, un linguaggio gestuale universale che permette di creare ponti tra persone che non parlano lo stesso idioma
I robot sono stati utilizzati in medici na a partire dagli anni Novanta e da allora si sono costantemente evoluti. «Se i primi dispositivi potevano esse re d’aiuto negli interventi chirurgici, oggi riuscirebbero a mantenere a ma lapena il passo con i sistemi odierni». A parlare è il dottor Andrea Cardìa (primario di neurochirurgia del Neu rocentro Svizzera italiana EOC) con il quale concorda il primario di uro logia ORL Andrea Gallina, aggiun gendo che «il robot rappresenta il più raffinato strumento attualmente di sponibile in chirurgia perché grazie a un computer e a un sistema di mani polazione a distanza, il chirurgo è in grado di riprodurre i movimenti del la mano umana all’interno del campo operatorio, tutto ciò con una aumen tata precisione del gesto chirurgico».
Sono le premesse con cui ci adden triamo nel mondo di questa innovati va tecnica ausiliaria entrata di recente in uso sanitario, ma che sta indubbia mente segnando un grande progresso nell’ambito specifico della chirurgia. È subito chiaro che l’introduzione di questi sofisticati macchinari non deb ba spaventare nessuno, ribadiscono all’unisono i due medici: «I robot non agiscono in autonomia e sono con trollati interamente dal chirurgo che decide come e quando intervenire: in questo modo, non solo facilitano gli interventi chirurgici più difficili, ma
in futuro permetteranno di eseguire operazioni sempre più complesse».
Rispetto alla chirurgia tradiziona le, l’uso della robotica presenta alcu ne differenze importanti così riassunte dal dottor Gallina: «Negli interventi di urologia, il chirurgo non è fisica mente sul campo operatorio ma siede a una consolle adiacente dotata di un monitor, dalla quale comanda il mo vimento dei bracci robotici per mezzo di un sistema complesso. A fianco del paziente troviamo l’infermiera stru mentista e un medico che funge da assistente al primo operatore passan do i fili o cambiando gli strumenti ro botici. L’impiego dei bracci meccanici, unito al vantaggio di una visione tridi mensionale e magnificata dei dettagli anatomici, permette un incremento della precisione della chirurgia».
Cardìa osserva che sono lontani i tempi in cui l’anatomia si studiava sui libri e perciò era spesso oggettiva mente difficile da trasporre alla realtà del corpo umano: «Grazie alla robo tica, oggi la si acquisisce sempre me glio in corso d’opera e in tre dimen sioni». Apprendiamo che i robot per gli interventi di urologia differiscono da quelli d’uso in neurochirurgia. «Si utilizzano due differenti tipi di robo tizzazione: in urologia l’intervento è svolto da remoto: si opera sul pazien te ma il chirurgo non è sterile ed è davanti allo schermo da dove mano
vra i bracci del robot», spiega l’uro logo che sottolinea come l’operazione non differisca da quella tradizionale, ma favorisce la visione e la manuali tà chirurgica togliendo la fatica di ore al tavolo operatorio, con il vantaggio di essere molto meno invasiva perché evita un grosso taglio al paziente.
Per quanto attiene il campo neu rochirurgico, Cardìa ne riassume l’i storiato: «Dal microscopio degli anni Ottanta si è giunti ai sistemi di na vigazione degli anni Novanta che si sono a loro volta sempre più evoluti, soprattutto per la colonna vertebrale sempre più di competenza neurochi rurgica: la TAC intraoperatoria e la possibilità di informatizzazione robo tica hanno portato alla realtà aumen tata di una chirurgia di precisione assoluta, ad esempio, nell’inserzio ne delle viti. Ciò porta a diminuire il margine di errore dal 17 per cento all’1-2 per cento». Inoltre: «Con l’au silio del robot, diversi neurochirurghi sono in grado di eseguire l’intervento con la stessa precisione».
La tecnologia comporta altresì co sti, in termini di apparecchiature e di presa a carico. «Il grande investimen to sta nell’acquisto di questi robot: og gi quello neurochirurgico costa circa un milione di franchi e non necessita di una spesa fissa per ogni intervento come invece succede per il robot uro logico. Quindi, i costi aggiuntivi so
no molto ponderati». Così si esprime il dottor Cardìa che però ne sottoli nea i vantaggi: «Non bisogna trascu rare i benefici insindacabili di cui può godere il paziente: sebbene l’opera zione con l’ausilio della robotica ab bia costi superiori a quella tradizio nale, bisogna considerare la riduzione dei tempi di degenza ospedaliera e dei connessi costi, senza tralasciare il mi glioramento sostanziale della qualità interventistica, con i relativi benefici di recupero post-operatorio».
Dal canto suo, il dottor Gallina spiega che questa differenza econo mica risulta meno evidente in urolo gia, per quanto attiene alla laparosco pia con l’ausilio del robot. Il processo di robotizzazione è avviato e la sua evoluzione è oramai inevitabile: «An dremo sempre più verso una realtà virtuale che ci sarà di grande aiuto in sala operatoria, grazie alla sovrappo sizione anatomica delle immagini, ai filtri che ci permetteranno di ricono scere masse tumorali e via dicendo».
Possiamo ipotizzare che in un fu turo prossimo la chirurgia roboti ca consentirà il diffondersi delle ap parecchiature e il miglioramento dei sistemi in modo da poter operare a distanze sempre maggiori. D’altron de, oggi nei centri spaziali è possi bile azionare dei robot inviati sulla luna o ancora più lontano. Ciò po trebbe portare a pensare che un gior
no sarà usuale operare da una parte all’altra della terra, mettendo a dispo sizione di tutti le migliori e più spe cifiche professionalità ed eccellenze sanitarie.
Quel che resta da chiedersi è se in un futuro, anche lontano, alcuni in terventi potranno essere eseguiti in teramente da un robot. A questo pro posito, i due medici hanno risposta unanime che «è quantomeno ambi zioso pensare a un intervento roboti co privo di fattore umano. Quest’ulti mo è sempre necessario perché è vero che l’uomo può programmare il robot insegnandogli a reagire a un grande ventaglio di variabili cui il chirurgo si può trovare mentre opera, ed è ap purato che la macchina impara a rea gire secondo miliardi di combinazio ni possibili. Ma il chirurgo rimane il fattore umano imprescindibile, per ché la scelta delle variabili e delle complicanze che si possono verificare in corso d’opera, e in tempo reale, non sono risolvibili dal robot… a meno che, un giorno, non si crei un cosid detto “alter ego umano”, ma quest’i potesi la lasciamo alla fantascienza».
Evento Martedì 25 ottobre, alle 18.30, avrà luogo una conferenza pubblica virtuale, con i dottori Andrea Cardìa e Andrea Gallina. Vedi link: https://bit.ly/3EHDGGu
La fumettista francese Emma mette in luce alcune «trappole» in cui spesso cadono le mogli e le madri di famigliaPagina 15
Inside The Glaciers Nelle distese glaciali dei massicci del Vallese emergono molte informazioni utili da conservare
Impulsività, bisogno di immediatez za, avversione ai limiti sono caratteri stiche comuni dell’adolescenza. Sono però attributi distintivi anche dell’u tilizzo di Internet, per cui il passaggio all’età adulta unito al potente mezzo di comunicazione digitale può rive larsi problematico. Fino a pochi de cenni fa a inquietare i genitori con fi gli fra i dieci e i quindici anni erano soprattutto le sostanze psicoattive, oggi è l’accesso a Internet attraverso lo smartphone. La tendenza a entra re in possesso di quest’ultimo sempre prima, accentua le difficoltà di chi, soprattutto nella preadolescenza, non riesce a gestirlo. Quali segnali di ri schio dovrebbero cogliere la famiglia e la scuola? Quale approccio privile giare per intervenire in una fase così delicata dello sviluppo della persona lità? Abbiamo rivolto questi interro gativi a Dario Gennari, psicologo con una lunga esperienza nel campo delle dipendenze che oggi lavora in team con un pediatra e un educatore per af frontare la problematica da un punto di vista multidisciplinare.
Secondo alcuni esperti, nel caso di Internet, è corretto parlare di uso problematico, eccessivo o compulsivo
«Nel caso di Internet – tiene subito a chiarire lo psicologo – è più appro priato definire la questione quale uso problematico, eccessivo o compulsi vo, piuttosto che come dipendenza. A livello teorico non c’è infatti con vergenza su questo termine, perché Internet sovente si rivela essere solo il nuovo vettore attraverso il quale si manifestano problemi preesistenti co me è il caso del gioco d’azzardo». Su un concetto però tutti sembrano esse re d’accordo: Internet è uno strumen to potentissimo dal doppio volto. Le sue specificità sono infatti ricollegabi li ad altrettanti rischi. Dario Gennari ne identifica quattro: immediatezza, disponibilità illimitata, pseudo-ano nimato, isolamento. La prima può degenerare in un uso compulsivo, la seconda in una iperconnessione, il terzo può favorire comportamenti ag gressivi e violenti (fino al cyberbulli smo) e infine l’isolamento tradursi in un ritiro sociale.
Ed è proprio questo aspetto a do ver preoccupare maggiormente chi osserva il comportamento di preado lescenti, adolescenti o giovani adulti nell’impiego dei dispositivi digitali. «Anche il tempo di utilizzo è in gene re un indicatore – precisa lo psicolo go – ma l’isolamento in camera unita mente a relazioni difficili in famiglia
azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938
Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Simona Sala, Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Romina Borla, Natascha Fioretti Ivan Leoni
è un segnale ancora più rilevante». I risultati dello studio svizzero JAMES (2020) indicano che il 97% dei giova ni fra i 12 e i 13 anni usa lo smartpho ne e Internet. Altro dato significativo: il 79% dei tredicenni fa uso dei social media quasi ogni giorno.
Non stupisce quindi che per i ge nitori possa essere difficile capire in quale misura i comportamenti dei fi gli vadano tollerati poiché imputabili alla fase adolescenziale o siano il sin tomo di un abuso. Al riguardo Dario Gennari evidenzia un’ulteriore diffi coltà. «All’interno della coppia ge nitoriale l’autorevolezza (solitamen te rappresentata dalla figura paterna) e l’accoglienza (preponderante nel la madre) tendono a equilibrarsi nel ruolo educativo. Se ciò non avviene o se i genitori sono su posizioni op poste sull’utilizzo dello smartphone e sui limiti da porre, la situazione si complica».
Ecco comparire una parola chiave in questo ambito, ossia il limite. Por lo, non porlo perché tanto non serve a nulla, essere drastici piuttosto che concilianti. Per il nostro interlocuto re il limite è utile pur essendo norma le da parte dell’adolescente il desiderio di oltrepassarlo. «Se i genitori non de finiscono un orario entro il quale spe gnere lo smartphone, la figlia o il figlio continuerà a utilizzarlo magari anche fino all’una di notte. Se invece fisso il limite alle 23, quest’ultimo sarà maga ri superato, ma solo fino alle 23.30 o a mezzanotte. I genitori devono resiste re evitando però interventi categorici con effetti controproducenti. Lo è di sicuro “staccare la spina” mentre è in corso un gioco multiplayer. Questo ge sto provoca rabbia, perché interrompe il momento ludico, impedisce di me morizzare il livello raggiunto e il gio catore fa una figura barbina di fronte agli altri partecipanti. Bisogna quin di privilegiare l’obiettivo di moderare l’utilizzo piuttosto che quello di inter romperlo bruscamente. Meglio ancora se alcune regole sono valide per tutti i membri della famiglia».
Quando l’uso è eccessivo si riscon trano in genere conseguenze anche a scuola. In questa sede si colgono se gnali come la stanchezza (dovuta a insufficienti ore di sonno) e la man canza di concentrazione. «Il sonno – precisa lo psicologo – è una com ponente importante del processo che trasforma la memoria a breve termi ne in memoria a lungo termine, per cui svolge un ruolo chiave nel percor so scolastico». Per affrontare questo tipo di situazioni Dario Gennari la vora in collaborazione con il pediatra Valdo Pezzoli e l’educatore Emanue le Guaia. I tre specialisti hanno mes so a punto una consulenza multidi
Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI)
Telefono tel + 41 91 922 77 40 fax + 41 91 923 18 89
Indirizzo postale Redazione Azione CP 1055 CH-6901 Lugano
sciplinare chiamata eMotiv@re che affronta il problema da altrettante an golazioni corrispondenti ai rispettivi settori di competenza. Spiega Dario Gennari: «Partendo dal benessere fi sico valutato dal pediatra (compren dente la citata questione del ritmo sonno-veglia) si integrano la dimen sione educativa e quella psicologica. La prima prevede ancora un interven to diretto con la ragazza o il ragazzo di cui si considera il contesto relazio nale e la situazione scolastica e/o la vorativa. Vengono analizzati l’utiliz zo degli strumenti digitali e le relative ripercussioni disfunzionali. La secon da, di mia competenza, si concentra sulla famiglia, in particolare sulle sue dinamiche. Si affrontano, quasi sem pre solo con i genitori, la relazione con i figli, il concetto di coppia geni toriale e tematiche relative agli adole scenti quali l’autostima, l’identità, le relazioni tra pari, il ritiro sociale».
La convivenza con la rivoluzione digitale passa in primo luogo dalla consapevolezza e dalla moderazione, due concetti in contrasto con le carat teristiche adolescenziali. Inoltre, en trare in possesso di uno smartphone nell’età della scuola elementare, co me dimostra l’attuale tendenza, non fa che acuire la mancanza di matu razione ed esperienza necessarie per gestire l’influente dispositivo, in gra do non solo di permettere l’accesso a innumerevoli informazioni e intera zioni, ma pure di sollecitarlo. Dispo
Posta elettronica info@azione.ch societa@azione.ch tempolibero@azione.ch attualita@azione.ch cultura@azione.ch
Pubblicità Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino tel +41 91 850 82 91 fax +41 91 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch
sitivo che inoltre è diventato lo spec chio della propria immagine, come spiega ancora il nostro interlocutore. «L’adolescente, mentre oscilla fra il bisogno di differenziarsi dalla fami glia e quello di riferirsi a un gruppo di appartenenza, dispone oggi di uno strumento che amplifica la propria immagine nel bene e nel male. Qui ritorna anche il problema dell’imme diatezza del mezzo che rende chi è impulsivo più a rischio. Riguardo alla rappresentazione del sé, i social me dia – Instagram, Snapchat e TikTok i più utilizzati al momento dai gio vani – sono diventati il modo per di mostrare la propria esistenza, mentre i relativi “Like” un meccanismo con una connotazione commerciale simi le a quella di un prodotto. Pertanto sui social media si cerca di mostrare solo il meglio di sé stessi. Non a ca so tutti sembrano sempre divertirsi o essere in vacanza. Per migliorare la propria rappresentazione si applicano i filtri con il rischio di un grande scol lamento fra immagine e realtà. Il giu dizio degli altri e i modelli da emula re diventano un credo che si traduce in comportamenti problematici reali come quando una ragazza di quarta media necessita di due ore per prepa rarsi ad andare a scuola perché segue modelli esasperati attraverso i tutorial o l’influencer di turno».
Le tendenze sono però in conti nuo mutamento con persino qual che indicazione positiva. Sul tema
Editore e amministrazione
Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino tel +41 91 850 81 11
Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria – 6933 Muzzano
Tiratura 101’177 copie
dell’immagine del sé Dario Genna ri cita BeReal, la piattaforma in forte ascesa che punta alla spontaneità. Li mitando l’intervallo fra scatto e post fa in modo che l’immagine rifletta la vita reale. Grande importanza conti nua comunque a rivestire la preven zione. Oltre a partecipare a eventi informativi e di sensibilizzazione, lo scorso ottobre Valdo Pezzoli e Dario Gennari, unitamente a esperti di al tri settori, hanno animato un corso di formazione rivolto ai pediatri. Ai let tori l’intervistato segnala l’opuscolo Lo smartphone: alleato o nemico? Consi gli per una vita digitale sana e bilancia ta, pubblicato di recente dalla IBSA Foundation for Scientific Research e di cui sono autrici le ricercatrici Laura Marciano e Anne-Linda Camerini. Con un approccio innovativo per il Ticino gli specialisti di eMotiv@re lavorano quindi in tre ambiti distinti ma interconnessi per riportare chi ha perso il controllo delle proprie azioni a un utilizzo degli strumenti digitali che può essere appunto definito sano e bilanciato. Il lavoro sul singolo e in gruppo – con l’intenzione di aprire in futuro questa modalità anche al pub blico – permette di capire i meccani smi legati a queste pratiche per poi riuscire in maniera graduale a modi ficare le proprie abitudini a favore di un benessere globale nel mondo reale.
Informazioni www.emotivare.chAbbonamenti e cambio indirizzi tel +41 91 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch
Costi di abbonamento annuo Svizzera Fr. 48.–Estero a partire da Fr. 70.–
Attualità ◆ La carne di vitello IP-SUISSE è un prodotto di alta qualità che permette di cucinare piatti eccellenti a ogni occasione. Provate ad esempio a cimentarvi con la ricetta che vi proponiamo in questa pagina
Ingredienti per 4 persone
4 costolette di vitello di ca. 250 g ciascuna
3 cucchiai d’olio di colza
1,5 dl di fondo bruno
0 g di gelatina di mele cotogne
00 g di spinaci
sale pepe ai fiori
Scaldate il forno statico a 90 °C. Salate e pepate le costolette da entrambi i lati. Scaldate la metà dell’olio in una padella ampia e rosolatevi la carne a fuoco alto ca. 5 minuti per lato. Mettetela in forno e lasciatela riposare per ca. 10 minuti. Sfumate il fondo di cottura con il fondo bruno. Unite la gelatina di mele cotogne e la sciate sobbollire la salsa per ca. 5 minuti. Scaldate il resto dell’olio in una padella ampia. Aggiun gete gli spinaci lavati, ma non sgocciolati. Mettete il coperchio e stufateli finché si afflosciano. Condite con sale e pepe. Servi te gli spinaci con le costolette e la salsa alle mele cotogne. Ideale con della pasta.
Tenera, succosa e a basso contenuto di grassi, la saporita carne di vitel lo è di fatto un ingrediente base in dispensabile per alcuni noti piatti ti pici come l’ossobuco in gremolada, la scaloppina alla viennese, la piccata, lo sminuzzato alla zurighese o anco ra per preparare un gustosissimo ar rosto per le occasioni più importanti. Uno dei tagli particolarmente apprez zati dai consumatori è costituito dal le costolette con l’osso. Quest’ultime sono ricavate dal carré (o quadrello), situato nella parte dorsale dell’anima le. Prima di prepararle, si consiglia di
battere le costolette per appiattirle e dar loro la forma adatta, in modo che possano cuocere uniformemente. Per quanto riguarda il grado di cottu ra del taglio, dipende molto dai gu sti di ogni commensale. Infatti, esso può essere servito sia al sangue sia ben cotto. Nel primo caso la carne risul terà particolarmente tenera e succosa, mentre con una cottura più avanza ta diventerà soda. Per mettere tut ti d’accordo, si consiglia un grado di cottura medio, che corrisponde a una temperatura interna di ca. 58 °C (ro sa al cuore).
La carne contrassegnata con il mar chio IP-SUISSE proviene da animali nati e allevati in Svizzera nel rispet to della specie. I vitelli sono tenuti in gruppo e hanno la possibilità di usci re regolarmente all’aperto. L’area di riposo è costituita da lettiera in pa gliericcio. I vitelli vengono nutriti con latte di mucca per almeno 8 settima ne e almeno 1000 litri durante l’inte ra durata di vita. In aggiunta, essi ri cevono quotidianamente anche fieno fresco. Il rispetto delle norme è con trollato da organi indipendenti.
Ristoranti Migros di S. Antonino, Agno, Grancia e Serfontana ogni settimana propongono nuove deliziose proposte culinarie a un prezzo vantaggioso
Attualità
I Ristoranti Migros sono da sempre apprezzati non solo per l’ottimo rap porto qualità-prezzo, ma anche per l’ampia selezione di bontà per tutti i gusti e preferenze culinarie. Ogni pietanza è preparata fresca dagli esperti chef utilizzando ingredien ti di prima scelta, stagionali e, lad dove possibile, di provenienza regio nale. Accanto ai piatti classici tanto amati da grandi e piccoli buongustai, la scelta annovera menu vegetariani sempre diversi, un ricco buffet servi sol, gli hit del giorno a prezzi ancora più vantaggiosi e irresistibili dessert
per chiudere in dolcezza qualsia si pasto. Naturalmente i Ristoran ti Migros per molti sono anche un punto di ritrovo giornaliero irrinun ciabile per momenti conviviali e di relax, sia sorseggiando un buon caf fè a colazione sia concedendosi una fetta di torta tra un acquisto e l’al tro. Inoltre in tutti i nostri ristoranti si possono raccogliere preziosi pun ti Cumulus e navigare comodamen te in internet grazie alla connessione wifi gratuita. A lato, trovate i menu a prezzo speciale che vi aspettano que sta settimana nei Ristoranti Migros.
Novità ◆ Il saporito Chavroux conferisce a molti piatti quel qualcosa in più
Con l’arrivo della stagio ne fredda è bene proteggersi in modo adeguato dai rischi di infezione. Le pastiglie da succhiare al gusto di frutta e menta Cistus-Echinacea Im munFIT di Sanactiv aiutano a respingere in modo natura le virus e batteri. Il comples
so a base di cisto ed echina cea si deposita come un vero e proprio scudo sulle mucose della faringe e del cavo ora le, sostenendo così la difesa contro le infezioni prima che esse penetrino nel corpo. Il meccanismo di difesa fisico evita che si creino fenomeni
Cistus-Echinacea ImmunFIT Sanactiv 30 pastiglie Fr. 7.35* invece di 9.20
tutto l’assortimento Sanactiv, dal 25.10 al 07.11.2022
di resistenza. In aggiunta, la gomma arabica contenuta nel prodotto allevia la tosse secca e irritativa. Il dosaggio con sigliato è quello di succhiare 1 pastiglia 3-6 volte al gior no per gli adulti, mentre per i bambini sopra i 6 anni 1 pa stiglia al giorno.
Voglia di stupire e sperimen tare in cucina? In questo ca so il nuovo formaggio grat tugiato di puro latte di capra Chavroux è il vostro nuo vo alleato. Dolce e fonden te, questa specialità francese renderà davvero unici molti piatti tradizionali come gra
tin, pizze, paste, toast e mol to altro. Un’autentica bontà è per esempio l’abbinamen to con un grande classico della cucina francese, la tar te flambée alsaziana. Pro vare per credere. I formaggi Chavroux sono tra i prodot ti a base di 100% latte di ca
3.95
pra più apprezzati dai consu matori. Il nuovo formaggio grattugiato va ad aggiunger si agli altri prodotti del mar chio già presenti sugli scaf fali Migros, nella fattispecie il tendre bûche, il formaggio fresco da spalmare e la va riante a fette.
Cosa succede quando persone che parlano lingue differenti si scon trano con la barriera linguistica? Quando le condizioni lo consento no, si ricorre all’inglese; al di là di ciò, si tende generalmente a farsi aiutare dalla gestualità. Gestualità che effettivamente sta alla base di una, o meglio tante, lingue, quelle dei segni (di cui ogni paese o enti tà linguistica ha la propria), le quali consentono alle persone non uden ti di comunicare tra di loro e con il loro entourage. La gestualità è però un bene di tutti, che merita di essere valorizzato e, nello specifico, utiliz zato per una comunicazione che va da al di là della distinzione tuttora esistente tra chi parla con la voce e chi con i gesti.
Da questo tipo di considerazioni nasce – peraltro proprio nel nostro Cantone – Uniwording, che vuol es sere una lingua segnica universale, ovvero per tutti. L’idea che sta al la base del progetto è che chiunque (a partire addirittura dai due anni di età) possa imparare questa lingua gestuale in poco tempo e con facili tà. Lo sviluppo della lingua dei segni Uniwording è iniziato nel 2012 con la creazione dell’omonima Associa zione, con sede a Castel San Pietro. Come si può immaginare, si tratta di un progetto che richiede un tem po lungo per la sua piena realizza zione. L’obiettivo principale si riterrà infatti raggiunto quando un nume ro importante di persone – udenti e non udenti – avrà assimilato questa competenza linguistica ausiliaria, in grado di abbattere le barriere lingui stiche di cui si parlava in apertura.
Ma procediamo con ordine. «Quando lavoravo come giornalista alla radio, avevo fatto un servizio sul modo in cui comunicano le persone sorde e avevo trovato le lingue per non udenti molto belle e interessan ti», racconta Mirella De Paris, coor dinatrice del progetto Uniwording e Presidente dell’omonima associazio ne, «un giorno poi, nei pressi della funicolare di Lugano, mi è capitato di notare due ragazze che chiacchie ravano vivacemente tra di loro. Ep pure, sebbene io fossi a pochi passi, non sentivo nulla. Allora ho capito che si trattava di due persone sorde che usavano, con armonia e natu ralezza, i segni della loro lingua. È proprio in quel momento che è na ta l’idea di Uniwording» In questo progetto l’ex giornalista radiofoni ca è affiancata da un team di validi e motivati collaboratori, che in die ci anni è riuscito a raggiungere im portanti traguardi. «Guardando a ri troso, possiamo dire di aver fatto un lavoro incredibile. Abbiamo dovuto inventare una lingua che non esiste va, cominciando dalla scelta di qua li parole potessero essere utili per una comunicazione di base», spiega Mirella De Paris, «ne abbiamo in dividuate 1500 e per ognuna di esse abbiamo cercato tra le varie lingue segniche il segno che ritenessimo migliore e più intuitivo. Nei casi in cui il segno mancava o non ci con vinceva, l’abbiamo inventato. Dopo diché, abbiamo dovuto pensare a co me insegnare questa lingua».
A riguardo, il team di Uniwor ding ha creato un sistema didattico innovativo che si basa su delle carte (reali o su schermo) su ognuna del le quali è rappresentato un segno del
I primi 10 anni del progetto Uniwor ding saranno festeggiati sabato 29 ottobre a La Filanda di Mendrisio, a partire dalle ore 15. L’evento sarà un’occasione per parlare della bel lezza e della storia delle lingue dei segni e mettere in evidenza questa lingua segnica nuova e particolare, rivolta alle persone udenti, con la quale i presenti potranno poi fare un po’ di pratica, grazie alle attività pro poste dal Team Uniwording. Sempre a La Filanda, il sabato suc cessivo, il 5 novembre, prenderà av vio un mini-corso introduttivo gratu ito di Uniwording della durata di 5 lezioni, con inizio alle ore 10.30.
vocabolario tramite un disegno, cor redato da frecce che indicano il mo vimento delle mani e supportato da una didascalia che l’utente legge nel la propria lingua. Alla base di que sta scelta, vi è la constatazione che il disegno didattico risulta un sistema migliore per cogliere il segno e po terlo depositare in un’area non fuga ce della memoria rispetto ai filma ti dei vari segni che generalmente vengono utilizzati in rete per le lin gue gestuali. Un altro unicum nella didattica è la volontà di dotare ogni carta di un codice QR che riman di all’animazione grafica del segno, attualmente disponibile su YouTu be. «In futuro tale codice si troverà anche sulle carte virtuali», commen ta De Paris. Uno dei grandi progetti dell’Associazione è infatti la creazio ne di un’App, che possa un doma ni consentire alle persone in ogni angolo del mondo di auto-impara re questa lingua universale. «Per la diffusione di Uniwording puntiamo molto sulla futura App, ma al mo mento mancano i fondi per poterla realizzare», commenta l’ex giornali sta radiofonica.
Come materiale didattico è al momento disponibile quello carta ceo, in particolare le «flash cards» (quelle di cui parlavamo in preceden za, con le quali è attualmente possi bile apprendere mille segni) e le car te da gioco, con le quali si imparano una settantina di segni giocando in
famiglia. «In occasione dell’evento previsto per i 10 anni presenteremo un’altra possibilità per avvicinarsi ludicamente alla lingua dei segni per tutti e cioè un memory », aggiunge le presidente dell’Associazione.
Il progetto Uniwording si po ne, come visto, degli obiettivi mol to belli e altrettanto ambiziosi. «In questa fase il nostro scopo è di pre parare la lingua, che sarà pronta quando per tutti i segni avremo un disegno didattico, la didascalia, la traduzione, ecc; per la fase succes siva, quella della divulgazione, fon damentale sarà trovare dei grandi partner», commenta l’ideatrice. Ri spetto all’esperanto, che pure mira va a diventare una lingua universale, Uniwording ha un altro approccio: «L’esperanto era una lingua mol to intellettuale e di nicchia, mentre Uniwording parte dal gesto, che è già naturale di per sé, e si caratte rizza per la simpatia e l’empatia che crea», continua. La grammatica, nel caso di Uniwording, è estremamen te semplificata. I verbi sono sempre all’infinito e molti segni rappresen tano «famiglie di parole». Ciò con sente di riuscire a comunicare già in poco tempo, anche perché il fatto di parlare gestualmente induce a col mare eventuali lacune con inventiva. Inoltre, essendo questa lingua com plementare a quella orale, la comu nicazione che si instaura è spesso bi modale: «mentre faccio un segno, mi verrà spontaneo verbalizzare la pa rola, che magari il mio interlocutore pronuncerà pure nella sua lingua», esemplifica Mirella De Paris. Così che il ricorso a Uniwording non mortifica le lingue orali, ma piutto sto le valorizza.
Per la sua praticità, questa lin gua dei segni può rivelarsi utile, ol tre che per il turismo, in alcune si tuazioni specifiche, come l’ambito medico, sociale e umanitario, per le quali l’Associazione intende mettere a punto dei pacchetti di segni essen ziali che si possano imparare in po chi giorni. «Con le famiglie in arrivo dall’Ucraina una cosa che è emersa da subito è stata l’impossibilità di comunicare. Sarebbe stato bello ave re già a disposizione questa lingua per poter trasmettere un senso di ac coglienza», conclude la presidente dell’Associazione Uniwording.
Aula 151B. Entriamo. Al centro un tavolo e quattro sedie sulla superfi cie di un tappeto, nessuna cattedra né banchi, bensì molto spazio intor no e un’ampia finestra: è la più silen ziosa dell’intera università e in pochi istanti se ne può facilmente intuire il motivo. Si trova nel palazzo princi pale dell’ateneo luganese ed è acces sibile ogni giorno, dalle 8 alle 20. Si tratta della Cappellania universitaria, un nuovo spazio di preghiera e me ditazione istituito negli scorsi mesi dall’Università della Svizzera italiana a disposizione di studenti, professo ri, ricercatori e personale del campus, aperto a tutti, indipendentemente dal proprio orientamento culturale e religioso e riunisce meditazione lai ca, preghiera cattolica, protestante e musulmana.
A gestire lo spazio è don Kamil Cielinski, sacerdote polacco, co-par roco della Basilica del Sacro Cuore, situata a Molino Nuovo, a pochi me tri dall’ateneo. L’iniziativa è già pre sente in tutte le università svizzere – le cappellanìe, che in francese so no denominate Aumônerie, in tede sco Seelsorge e in inglese Chaplaincy, «si mettono al servizio delle comunità accademiche, per curarne gli aspetti spirituali». Come si è arrivati a istitu irla anche a Lugano?
«In qualità di responsabile per la pastorale universitaria tempo fa ho avuto l’occasione di partecipare in Svizzera interna a un incontro dei re sponsabili della cappellanìe universi tarie, una realtà assente a Lugano e così, dopo quel meeting, ho ritenuto che potesse essere interessante istitu ire qui un analogo spazio e ho chie sto all’allora decano dell’USI, Bo as Erez, il quale dopo qualche mese, saputo del progetto a livello svizzero, ha dato luce verde. E così, durante lo scorso semestre primaverile, a febbra io, è nata ufficialmente la cappellanìa nel campus. Il progetto si inserisce nell’ambito di un progetto più am pio, denominato “USI in ascolto”, che contempla fra l’altro un servizio di so stegno psicologico a disposizione de gli studenti».
Come è stato accolto questo spa zio spirituale all’interno dell’univer sità? Ci sono state critiche? «Sì, nel la fase di preparazione del progetto ho ricevuto delle telefonate da al cuni professori che hanno espresso contrarietà all’iniziativa. Ma la cap pellanìa universitaria di Lugano si inserisce in un progetto nazionale, non è un’iniziativa ticinese o lugane se, bensì un progetto che rientra nel contesto delle università svizzere. Al cuni professori si sono mostrati molto
drastici, sostenendo di non volere la religione all’interno dell’ateneo. Ma noi non portiamo la religione all’u niversità. Nessuno di noi va a evan gelizzare gli studenti o a esortare le persone alla teologia. Niente di tut to questo. Quello che è stato fatto è semplicemente creare uno spazio, al la stessa stregua dell’istituzione del la mensa universitaria, senza nessuna imposizione».
L’aula 151B è aperta sia alla me ditazione laica sia a più religioni –cattolica, protestante e musulmana. Prosegue don Cielinski: «Lo spazio è aperto a tutti ed è neutro, è un luo go silenzioso. Chiunque può entrare e nessuno viene offeso, perché all’inter no non ci sono simboli religiosi espli citi. Chi vuole può trovare in un cas setto i testi della propria religione e, se ne avverte il bisogno, può metterli accanto a sé, nel luogo in cui prega. Ma non necessariamente».
A otto mesi dalla sua inaugurazio ne, quali riscontri ha ottenuto la cap pellanìa universitaria? «Tutto procede lentamente. La cappellanìa propone dei momenti di preghiera, però il pro getto si trova ancora in una fase ini ziale. Il mio sogno è che presto ci sia tutto: la meditazione laica, momenti per lo yoga, la preghiera. Cosa succe derà in futuro non so dire. So che da qualche tempo la gente inizia a pas sare, questa è già una cosa bella. Vedo degli studenti meditare e quindi mi pare di poter dire che adagio adagio comincia a essere frequentata».
Regolarmente – si legge sul sito dell’università (www.usi.ch) – uno o più cappellani (oltre a don Cielinski sono presenti il pastore Daniele Cam poli e l’Imam Samir Radouan Jelas sie) propongono alla comunità acca demica delle attività. L’interazione tra più religioni in uno stesso spazio rappresenta un ostacolo? «Assoluta mente no. Da subito i miei confratel li, Campoli e Samir Radouan Jelassie si sono mostrati felici del progetto». In occasione dell’inizio del nuovo an no accademico, la programmazione per il semestre autunnale 2022 preve de ogni martedì alle 12.30 una messa alla Basilica del Sacro Cuore, segui ta dal pranzo comunitario nel Cen tro Cittadella (corso Elvezia 35). E ogni due settimane, durante la pausa pranzo, nell’aula di preghiera e medi tazione sono previsti alcuni incontri, denominati «Insight», dove chi vuole può fermarsi e pregare con le Comu nità Shalom (17 novembre e 15 dicem bre 2022 alle 12.30) e Taizé, preghiera fatta soprattutto di silenzio, medita zione della parola e canto (3 novembre e 1 dicembre 2022 alle 12.30).
Idiomi ◆ Uniwording offre un modo semplice per comunicare anche con chi non parla la nostra linguaIl progetto di Uniwording permette di comunicare con chiunque in un tempo relativamente breve.
solo presentando la carta Cumulus alla cassa prima del pagamento o facendone la scansione alla cassa automatica (anche pagando con la Migrol Private Card) e non è cumulabile con altre riduzioni.
Offerta 2: olio da riscaldamento Fino al 30 ottobre 2022, per ogni nuova ordinazione fino a 9000 litri di olio combustibi le, i clienti privati ricevono 1000 punti bonus supplementari (oltre ai consueti 100 punti Cumulus ogni 1000 litri).
Offerta 3: revisione della cisterna
Per ogni nuova ordinazione entro il 30 ottobre 2022 i clienti privati ricevono fr. 50.–di riduzione (non cumulabile) su ciascun ordine di revisione della cisterna e un accredito di 1000 punti bonus (oltre ai consueti punti Cumulus). Basta immettere il codice del buono «CUTR10» al momento dell’ordinazione.
Ordina ora con il tuo numero Cumulus su migrol.ch oppure chiamando lo 0844 000 000 (tariffa normale).
La ripresa della scuola, le e-mail che dopo due settimane di vacanza sem brano fare esplodere la posta elettro nica, il bambino che è cresciuto di 3 cm e non ha più pantaloni che gli vanno bene, le nuove richieste del ca po, il dubbio che ci sia da fare il ri chiamo del vaccino contro il morbillo da verificare con il pediatra, l’agen da di appuntamenti che torna a riem pirsi come se non ci fosse un doma ni, le attività sportive dei figli che ci impongono un gioco d’incastri, la li sta della spesa che va riprogramma ta sui ritmi dell’autunno, e l’elenco può continuare. La sentenza a Il caf fè delle mamme, dove non siamo soli te lamentarci, è lapidaria: «Settembre è sempre un incubo, tutto si sovrap pone, è come se fatta una cosa se ne moltiplicassero cento». Per dare un nome al cortocircuito che si crea nella nostra testa, e che poi continua a con tagiare anche gli altri mesi dell’anno, la mia amica Ilaria mi invita a leg gere Bastava chiedere della fumettista francese Emma (ed. Laterza 2020), un’autrice che qualche anno fa su «Azione» la collega Sara Rossi Gui dicelli, illustrandone le opere, aveva definito «femminista inclusiva e ri voluzionaria». Eccole, le due parole che fotografano meglio di ogni altra il nostro stato: fatica mentale! Emma la descrive con scene di vita quotidia na ad alto tasso di immedesimazione. Vediamone alcune per poi capire se e come possiamo correre ai ripari.
L’organizzazione della quotidianità pesa quasi universalmente sulle spalle delle donne, causando un importante carico mentale
Prima situazione. A casa sono ar rivati gli ospiti per la cena, ma pri ma di sederci a tavola vanno sbrigate in contemporanea due incombenze: preparare da mangiare e sfamare il piccolo di casa. Così a un certo punto la cena finisce per terra! Compare il marito che dice: «Bastava chiedere, ti avrei aiutata».
Seconda situazione. Il compa gno rientra in casa dal lavoro (già con un’ora di ritardo) e annuncia fie ramente: «Vado a fare la doccia. A dopo!». Intanto i bambini chiedono attenzione tra compiti da finire e ri
chieste di giocare insieme, e c’è sem pre la cena da preparare in tempo per metterli a letto a un’ora decente.
Terza situazione, la più famosa tra le vignette di Emma. C’è da sgom berare il tavolo dopo la cena: inizia mo a prendere un oggetto da mettere a posto, ma strada facendo notiamo che l’asciugamano è sporco e lo an diamo a buttare nel cesto del bucato, che è già pieno; quindi già che ci sia mo carichiamo la lavatrice; ed ecco poi che riempiendo il frigorifero con gli avanzi della cena vediamo che per il giorno dopo manca l’insalata, che è da aggiungere alla lista della spe sa. Morale: «Alla fine riusciremo a mettere in ordine il mio tavolo solo dopo due faticose ore di lavoro». Se chiediamo di mettere a posto il ta volo ai nostri mariti, loro si limite ranno a spostare le cose mettendoci dieci minuti!
Attenzione: a Il caffè delle mamme siamo (quasi) tutte donne decisamen te fortunate con mariti che ci aiuta no! Eppure, se utilizziamo lo sguardo di Emma per re-interpretare le nostre giornate ci accorgiamo che: la cena la cucina il marito (nel mio caso il cuo co migliore del mondo), ma la deci sione su cosa cucinare e quando per tentare un minimo di alimentazione equilibrata è nostra; al supermercato spesso ci vanno, ma la lista della spe sa la dobbiamo fare noi; al campo di calcio o di pallavolo a ritirare i figli si offrono di passare, ma l’orario glie lo dobbiamo ricordare; la program mazione su come organizzarci è tutta sulle nostre spalle, poi basta chiedere e l’aiuto arriva.
Sono solo esempi, che non han no la presunzione di essere esaustivi né di fotografare tutte le situazioni né tantomeno di essere offensivi, ma che possono essere utili per arrivare alla seguente conclusione: anche nel mi gliore dei casi, la stragrande maggio ranza delle volte i mariti/compagni fanno di buon grado quello che c’è da fare, ma non hanno il pensiero di pro grammare quello che c’è da fare. Em ma lo definisce così: «Il carico menta le consiste nel dover sempre pensare a cosa c’è da fare. E ricade quasi esclusi vamente sulle donne. Un lavoro con tinuo, sfiancante e invisibile». Il pro blema è che pianificare e organizzare è di per sé un lavoro a tempo pieno: «Quello che i nostri partner stanno
davvero dicendo quando ci chiedono di dir loro cosa c’è da fare – riflette Emma – è che rifiutano di prendersi la loro parte di carico mentale».
Insomma: i papà moderni sono pronti ad aiutare, ma il più delle volte sotto richiesta o direttiva della mam ma a cui resta sulle spalle (o meglio nella testa) il compito di pianificare le giornate minuziosamente in modo da finire il maggior numero di cose nel minor tempo possibile. Il significato di Bastava chiedere è tutto nei com menti che accompagnano l’uscita del libro: oggi i padri cambiano addirit tura i pannolini, vestono i figli e dan no loro da mangiare; non ci si chiede però, chi nota che la scatola dei pan nolini è vuota, chi toglie dall’armadio i vestitini che non vanno più e chi si preoccupa di che cosa deve mangia re un bambino. Per molte s’aggiunge il carico continuo e sempre invisibi le dell’essere continuamente attente
ai bisogni emotivi degli altri, su tutti quelli del proprio marito: «Sei stan co? Hai bisogno di qualcosa? Sei di cattivo umore?». Il benessere emoti vo di chi ci circonda è preoccupazio ne costante.
La domanda che si impone a Il caffè delle mamme è se c’è soluzione a tutto ciò. Perché – è la nostra con vinzione – la stanchezza mentale è peggio di quella fisica. La scrittrice Michela Murgia nell’introduzione di Bastava chiedere dice: «Per molte di noi vedersi in questo libro sarà una rivelazione, per altre un dolore, per tutte un’opportunità preziosa». Forse il primo passo, allora, è la consapevo lezza. Per potere rispondere di tanto in tanto alla domanda «cosa cucino stasera?» un bel «pensaci tu!». Eppoi: l’asciugamano sporco può essere but tato da lavare anche in un altro mo mento, la lista della spesa fatta tutti insieme quando siamo seduti a tavo
la, gli orari delle attività sportive ap pese al frigorifero in modo che tutti le possano vedere e ai bambini appe na sono un po’ più grandi si insegna a tornare a casa con i mezzi pubblici, per ritagliarsi magari il tempo men tre giocano a calcio o a pallavolo di andare a farsi mettere lo smalto se mipermanente sulle unghie. Ci pro viamo? A chi già lo fa vanno tutti i complimenti de Il caffè delle mamme PS: Prima di inviare l’articolo l’ho fatto leggere a mio marito Riccar do, domandandogli: «Ti sei offeso?». Risposta: «Per niente amore, perché sappiamo bene che a casa nostra non funziona così!». Dubbio personale: forse, anche se è il mio mestiere, non so comunicare abbastanza bene…
Bibliografia Emma, Bastava chiedere. 10 storie di femminismo quotidiano. Laterza, 2020.
«Il ghiaccio non ha futuro. Tutto quello che ha è il passato racchiuso dentro di sé. Il ghiaccio può preserva re le cose in questo modo – estrema mente pulite, distinte e vivide come se fossero ancora vive. Questa è l’essen za del ghiaccio». La citazione non è di uno scienziato o di qualche ecologista, ma dello scrittore giapponese Haruki Murakami (tratto dal racconto breve L’uomo di ghiaccio), la cui sensibilità e arte si attagliano perfettamente a trat tare l’argomento, meglio di tanti da ti o proclami che, purtroppo, nell’era dell’iperconnessione non arrivano più a bersaglio.
La prima frase è terribile. Una con danna senza appello, che suona anche come una minaccia. Mai come oggi quel mondo perfetto di infinite sfu mature di bianco, grigio e azzurro, al gido, apparentemente remoto e silen zioso, ci sembra vicino. È entrato di prepotenza nelle nostre case con i vi deo dei distacchi di imponenti masse di acqua, detriti e ghiaccio che hanno travolto vite e stravolto equilibri che si mantenevano da decenni, cambian do l’aspetto delle nostre montagne. Nel 2019 in Islanda è persino andato in onda il funerale fatto all’Okjökull, la cui coltre perenne è svanita inesora bilmente, privando la montagna (oggi solo Ok) del titolo di jökull, che vuol appunto dire ghiacciaio. E poi si sente sempre più parlare della riduzione ver tiginosa delle calotte glaciali in An tartide e in Groenlandia, dell’agonia della banchisa e delle specie animali che abitano al Polo Nord. Il ghiaccio che si scioglie fa sempre più rumore.
Oltre ai danni derivati dai fenome ni che stiamo osservando, il rischio è quello di perdere un’importante fonte di dati sul passato del nostro pianeta, che i ghiacci, da decine, centinaia di migliaia di anni (a volte di più) custo discono. Informazioni che rischiano di sciogliersi letteralmente come neve al sole. Un patrimonio di conoscenze inestimabili.
Per scongiurare questa perdita è nato, nel 2014, il progetto Inside The Glaciers (https://bit.ly/3xQNTME), inaugurato con il primo Campo In ternazionale di Speleologia Glaciale sul Ghiacciaio del Gorner, originato e gestito da un team internazionale di ricercatori e scienziati, che insieme a glaciologi e speleologi, anno dopo an no, organizza campagne di esplora zione nel cuore dei ghiacciai alpini, ma non solo, per monitorarne lo sta to e l’evoluzione in questa fase critica.
Il progetto, guidato dai geologi e speleologi italiani Francesco Sauro (professore a contratto presso il Di partimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali di Bologna) e Alessio Romeo (esploratore e foto
In merito all’evoluzione dei ghiacciai ticinesi, a partire dalla fine dell’Otto cento sino a oggi, è stata allestita una mostra itinerante che porta proprio il nome La memoria dei ghiacciai. In buona sostanza, l’allestimento offre una panoramica storico-divulgativa di come la realtà fisica di questi giganti bianchi si stia modificando.
Non dunque memoria custodita nel ghiaccio, ma la memoria dei ghiacciai custodita dal grande lavoro di misura zione svolto negli anni dalla Sezione forestale cantonale. Lavoro che pre vede sopralluoghi, raccolta e condivi sione di tutte le informazioni utili. La
grafo, autore delle foto che accom pagnano questo articolo), coinvolge diverse università, centri di ricerca, associazioni speleologiche svizzere, italiane e francesi, aziende specializ zate in rilievo 3D e fotogrammome trico, voli con droni impact tollerant con sensori multispettrali ad alta riso luzione (la svizzera Flyability – www. flyability.com – e l’italiana Virtual Geographic Agency – www.vigea.it).
Per la presenza di un’importan te quantità di distese glaciali nei suoi massicci, il Vallese è un territorio par ticolarmente adatto per capire la situa zione direttamente «nel cortile di casa nostra». Ed è proprio qui che il pro getto sta raccogliendo anno dopo an no interessanti informazioni.
Scendere nel ventre blu di questi giganti implica però un impegno lo gistico non indifferente, che prevede competenze che vanno dall’alpinismo, alla speleologia, alla subacquea, non ché il ricorso a materiali adeguati e at trezzature avanzate. È solo dalla fi ne degli anni Ottanta che lo studio di grotte di ghiaccio nei ghiacciai tem perati del Pianeta ha potuto decolla re, aprendo la via alla ricerca scientifi ca sul campo in settori come biologia, microbiologia, biochimica e studi paleo-climatici.
Partendo dalla glaciologia, uno de gli obiettivi del progetto è la mappa tura e documentazione delle cavità a contatto tra ghiaccio e roccia, dove ac qua e aria insieme hanno un impat to significativo sul processo di fusione e collasso dei ghiacci. È possibile così raccogliere dati stagionali e annua li sulla variazione di questi ambienti, che minaccia la stabilità delle masse di ghiaccio, creando rischi concreti alle comunità a valle. L’espansione del la copertura detritica sopra-glaciale, la deposizione di polvere minerale e «black carbon», (vedi articolo Il «pode roso respiro» del massiccio dell’Adula, di Jacek Pulawski a pagina 19) nonché la crescita di alghe sui ghiacciai si stan no registrando su tutte le principali catene montuose del Pianeta. Feno meno ormai noto come «annerimento dei ghiacciai», aggrava l’assorbimen to della radiazione solare e rinforza la fusione.
Conoscere meglio questi giganti e le loro cavità endoglaciali, in partico lare, ci aiuterà a comprendere meglio il funzionamento della rete idrologica interna e possibili scenari futuri.
Anche se li vediamo come ambien ti estremi, deserti freddi, inaccessibili e inospitali, i ghiacciai non sono privi di vita. Brulicano di microrganismi, or ganizzati in comunità complesse, co stituite principalmente da batteri. En triamo qui nel dominio dell’ecologia microbica. Sulla superficie della mag
gior parte dei ghiacciai si trovano pic cole pozze di acqua di disgelo con se dimenti sul fondo. Hanno un nome curioso: coppette crioconitiche. Sog gette a condizioni estreme, come bas se temperature e alta radiazione solare, ospitano comunità batteriche con ele vata biodiversità tassonomica e funzio nale, e il progetto mira anche ad espan dere le conoscenze che ne abbiamo.
Altro fronte di estremo interesse è
lo studio delle interazioni tra minerali e microorganismi estremofili (che vi vono in condizioni estreme). Esperti di nanobiochimica stanno cercando la presenza d’inquinanti (elementi orga nici, metalli pesanti, nanoparticelle e microplastiche), studiando la resisten za di tali microrganismi in presenza di questi elementi di origine antropi ca. I fenomeni climatici e geologici so no stati per lungo tempo i principali
motori delle trasformazioni delle su perfici terrestri. Ora, anche grazie al le indagini sulla memoria del ghiac cio, stiamo studiando come l’Uomo, al tempo dell’Antropocene, sia sem pre più all’origine della maggior parte delle trasformazioni in atto.
Ghiaccio e ghiacciai stanno diven tando insomma un argomento caldo, che va affrontato prima che le prove svaniscano.
mostra incentrata sulla storia e mor fologia delle nevi eterne ticinesi, e sui temi climatici a esse legati, con foto grafie, documenti e un filmato che raccontano per l’appunto la loro evo luzione negli ultimi 130 anni, è orga nizzata dalla Divisione dell’Ambiente del Dipartimento del Territorio. Dal 25 ottobre, giorno dell’inaugura zione, la mostra si troverà, fino al 3 novembre, presso il Campus SUPSI di Mendrisio. Dal 24 gennaio al 27 febbraio (lu 8.00-21.00; ma-ve 8.0019.00; sa 9.00-13.00) si sposterà in vece nella Biblioteca cantonale di Bellinzona.
La lezione dell’Adula L’alpinismo di alta montagna non è soltanto una prestazione fisica, ma una vera prova di resistenza
Dell’affascinante operazione di stam pa di negative abbiamo già parlato in una precedente puntata (v. «Azione» del 4 luglio 2022, C’erano una volta i ricordi di carta). Ci eravamo sofferma ti in particolare sulla stampa in bian co e nero in quanto, per la sua relati va semplicità e duttilità rispetto alla stampa a colori, era la più diffusa tra gli appassionati di fotografia. C’era bisogno di poco: una stanza oscura bile, una lampadina rossa, un piano su cui appoggiare carte, ingrandito re ed eventuali altri strumenti (forbi ci, timer, cartoncini per bruciature e mascherature…), tre o quattro baci nelle, un termometro, acqua corrente per il lavaggio delle stampe, e il gio co era fatto. A un costo relativamente contenuto, per l’acquisto del materia le di base e quello di consumo, si po tevano passare ore e ore nella semio scurità, immersi negli effluvi chimici dei bagni di sviluppo e, volta a vol ta, nella trepidante attesa dell’imma gine che sarebbe di lì a poco venuta alla luce.
Tutti i consigli utili per ottenere un buon risultato non sostituiscono il provino di stampa che aiuta a correggere il tiro
Al di là della trepidante attesa, con la stampa digitale di tutto questo ri mane ben poco. E altri sono i proble mi da affrontare: il modo di procede re, le attrezzature necessarie e i costi complessivi che dobbiamo affronta re. Va fatta qui una breve precisazio ne: stampa digitale è un’etichetta che in realtà comprende vari tipi di tec niche di stampa, tra cui anche quella su materiale fotosensibile. La stampa digitale di cui parliamo in questo ar ticolo è quella prodotta dalle stam panti a getto d’inchiostro, tra le più utilizzate a livello popolare per la stampa fotografica «fai da te».
Una prima e ovvia caratteristi ca che distingue le due tecniche di stampa è l’ambiente in cui vengo no svolte. In una fioca penombra la stampa negativa, come detto sopra, in piena luce quella digitale. Come già sappiamo, la luce non è mai neutra, e dunque della sua influenza dovre mo tener conto allestendo il nostro ambiente di lavoro. La sua intensi tà, ad esempio, modificherà la nostra percezione delle immagini a scher mo. Una luce ambiente molto forte tenderà a farcele vedere scure, e vi ceversa. Quindi, una luce d’intensità media, costante – che eviti gli sbalzi dovuti, ad esempio, alla luce esterna –, e il più possibile diffusa rappresen ta una buona soluzione da adottare.
Inoltre, ogni fonte di luce ha una
sua temperatura, la quale ne determi na la colorazione di fondo: dal bian co caldo, giallastro/bruno, al bianco freddo, bluastro, passando dal bian co neutro, che per definizione è quel lo della luce del sole (a mezzodì, cie lo terso, eccetera). Ed è proprio solo con quest’ultimo tipo di luce che pos siamo avere una lettura corretta dei colori delle immagini stampate, co sa che dunque implica il dover dotare di lampade «daylight » («luce del gior no», sui 5000°K) il locale in cui stam piamo. Naturalmente, come già detto nella scorsa puntata, è del tutto inuti le adottare queste precauzioni se poi per il nostro lavoro abbiamo a dispo sizione uno schermo qualunque: per avere una consistenza nel lavoro, è in dispensabile dotarsi di uno schermo di qualità e calibrarlo regolarmente.
Un’altra notevole differenza tra le due tecniche, negativa e digitale, è il modo di produrre l’immagine: con la stampa negativa, analogica, l’imma gine viene «estratta» attraverso una reazione chimica da un foglio foto sensibile. La stampa digitale invece «dipinge» l’immagine spruzzando microscopiche goccioline d’inchio
stro su fogli di carta o altri supporti inerti. Diventa dunque rilevante, ri spetto a quest’ultimo tipo di stampa, tenere in conto il modo in cui il sup porto cartaceo (o altro), dovuto alle sue intrinseche caratteristiche, inte ragisce con l’inchiostro e restituisce l’immagine stampata.
A nostra disposizione troviamo oggi in commercio un ventaglio am plissimo di materiali da stampa. Co sa buona potrebbe essere quella di te starne diversi tipi fino a trovare quelli che, per le loro caratteristiche, meglio si adattano al nostro gusto e al tipo d’immagini che facciamo.
Associati ai vari supporti trovia mo i cosiddetti profili di stampa. Que sti altro non sono che degli insiemi di dati che trasmettono alla stam pante delle indicazioni concernen ti la distribuzione dell’inchiostro in relazione al supporto utilizzato. Al cuni di questi profili sono già pre senti nei driver delle stampanti (al meno in quelle dedicate alla stampa fotografica). I profili mancanti sono messi a disposizione nei siti delle ca se che producono il materiale da noi utilizzato.
Al momento della stampa, quan do saremo interfacciati alla macchi na, non lasciamo a quest’ultima la gestione del colore ma riserviamo questa operazione al nostro software di elaborazione immagini. Solo così potremo interagire attivamente, pilo tando la stampante con il profilo più adatto al tipo di supporto che stiamo utilizzando.
Quindi, a causa delle proprie spe cifiche caratteristiche fisiche, ogni supporto ha un suo modo particola re di rispondere all’inchiostro e, di conseguenza, di tradurre l’immagi ne stampata. La quale, in ragione di questo fatto, potrebbe cambiare – ri sultando più o meno brillante, più o meno contrastata, più calda o fredda – rispetto a come l’avevamo prepa rata in postproduzione e la vedeva mo a schermo. Grazie allo strumento del soft proofing – strumento che tro viamo in ogni buon programma di elaborazione immagini – possiamo simulare a schermo con certa appros simazione quel che risulterà in stam pa, e sulla base di ciò apportare del le ulteriori correzioni ai file per poter raggiungere il risultato voluto. Inol
tre, col tempo e con l’uso ripetuto di certi supporti – quelli da voi utilizza ti di preferenza – acquisirete l’abilità sufficiente per valutare a priori qua li correzioni è meglio adottare a di pendenza del supporto scelto. L’even tuale stampa di un provino ci potrà dare infine un responso più preciso e definitivo sulle ultime modifiche da apportare.
Non resta a questo punto che pro cedere con la stampa finale e sperare che nulla si inceppi…
Ecco, molto brevemente e con ine vitabili lacune, quelli che a mio av viso sono tra i punti più rilevanti le gati al processo di stampa digitale. In realtà, lungo questo percorso ci troviamo confrontati con tante al tre questioni non indifferenti – qua le stampante scegliere, in primis, ma poi anche relative alle dimensioni di stampa e ai files, agli spazi colore e gli intenti di rendering, alla produzione da sé dei profili di stampa, eccetera – che non possono essere sviscerate con un semplice articolo. Per questa ragione, vi rimando ai tanti ed eccel lenti tutorial che potrete trovare in internet sui singoli argomenti.
Lo zafferano in giardino Fioriscono in ottobre, tempo anche di raccolta, le colorate piantine di Crocus sativusPagina 23
Da Loèche a Martigny Sono quasi cinquemila gli ettari vitati che si trovano nel Vallese: un terzo del vigneto svizzeroPagina 24
Pronti per Halloween? Simpatici mostriciattoli fatti in casa per raccogliere quanto ricevuto durante «dolcetto o scherzetto»Pagina
Si sale, sempre un po’ più in su. Dopo il Monte Generoso (1701 mslm) e il Pizzo Gallina (3060 mslm) è la volta della regina delle vette del nostro can tone, ovvero l’Adula che raggiunge i 3402 mslm e dà il nome alle omoni me alpi anche dette Alpi Mesolcine si. Queste corrono lungo il confine tra canton Ticino e canton Grigioni e co stituiscono la parte più orientale delle Alpi Lepontine, al di là del Passo del Lucomagno.
«La siccità e il caldo hanno reso la vita di capanna sempre più estrema; la mancanza d’acqua ha reso aggressivi serpenti e vipere»
La catena delle Alpi dell’Adula con ta 39 vette, e la montagna più alta e più significativa del gruppo, l’Adula per l’appunto, è anche la più ambita dagli alpinisti in quanto ardua e ca pace di sorprendere ogni volta che la si affronta. È anche il posto in cui mi reco all’inizio di ogni stagione alpini stica per ricordarmi di portare rispet to all’alta montagna: è una maestra severa, e delle lezioni sempre nuove che mi impartisce ogni anno, capisco l’importanza sempre dopo, durante le successive scalate.
Quella di tanti alpinisti, come la mia, è ogni volta una sfida persona le, che nel mio caso e in questa cir costanza assume le sembianze di una partita a scacchi tra un giovane arzil lo e il nonno esperto, sempre pronto a fermare il gioco per spiegarne stra tegie fondamentali e trucchi di ogni genere. Qui, sull’Adula, ho infatti ca pito che l’alpinismo di alta montagna non è soltanto una prestazione fisica, bensì una vera prova di pazienza e re sistenza riservata a pochi.
Parto dalla diga di Compietto con l’intenzione di raggiungere la capan na Adula CAS per la via alta della Val Carassina. Si tratta della via più diffi cile, che si apre però sull’intera valle di Blenio, regalando gli scatti più belli. Dopo un primo tratto di sentiero che si snoda quasi interamente nel bosco giungo alla Cima Sgiu (2375 mslm).
Le condizioni atmosferiche sembra no ancora buone e, se non fosse per le fortissime folate di vento, non note rei il temporale che sta giungendo dal lontanissimo Nord. Non faccio bene i conti con l’alta montagna. E questo è un errore grave del quale mi renderò conto troppo tardi: mai applicare i cri teri di valutazione adeguati alla pianu ra. Mi rimetto in marcia.
In montagna gli spostamenti so no molto più lenti e la fatica cresce in modo esponenziale rallentando ulte riormente il ritmo di marcia. Conti nuo verso la Cima di Pinadee (2486 mslm). In condizioni atmosferiche ideali la via alta della Val Carassina è consigliabile a tutti coloro che non soffrono di vertigini e siano volente rosi di intraprendere un cammino in saliscendi, date le tante salite e disce se. Il percorso è un miscuglio di trat ti tecnici e vie ferrate che si alternano piacevolmente a pezzi di sentiero sui quali si avanza molto rapidamente.
Giunto in Cima di Pinadee, mi ac corgo di avere alle spalle il tempora le. Accelero il passo proseguendo ver so la Cima di Bresciana (2390 mslm), dalla quale si scende verso la capanna Adula CAS che dista circa 400 m più in basso. Durante la marcia, l’impatto con la tempesta di minuscole particel
le di ghiaccio, che mi sorprende, non è tra i più piacevoli. Il calo di tempe ratura tronca anche l’entusiasmo e le condizioni del terreno lasciano a de siderare. Mi manca un’ultima discesa per raggiungere il rifugio, ma le 3,5 ore di continui piegamenti di gambe e saltelli di roccia in roccia hanno ri dotto fortemente la reattività e la for za dei muscoli.
Decido di evitare le lastre di gra nito ormai scivolose come il ghiaccio e procedo attraverso i fitti cespugli fuori sentiero. Giungo infine al ripa ro. Alla capanna Adula CAS (2000 mslm) incontro il responsabile Berry Stefanelli, che mi servirà la cena. È un personaggio dalle maniere curate, di poche parole e per niente banale. Il profumo che arriva dalla cucina mi
A partire dalla metà di settembre si sconsiglia nel modo più assoluto la scalata dell’Adula per la via normale.
La presenza di nuovi crepacci e fra ne di sassi la rende particolarmente insidiosa.
A testimonianza della sua pericolosità molte guide si rifiutano di accompa gnare i propri clienti fino in vetta. Ed è stato confermato proprio di recen te anche da un comunicato in meri to alle verifiche effettuate dall’Ufficio dei pericoli naturali degli incendi e dei progetti (UPIP): «L’arretramento me dio dei ghiacciai è di 2-3 volte superio re a quanto rilevato negli ultimi anni e,
rispetto a quanto misurato nel 2021, si registrano i seguenti arretramenti: Basòdino 29 metri, Valleggia 29 metri, Bresciana (Adula) 18,5 metri, Corno 16 metri, Tencia (Croslina) 15 metri».
Arretramenti che generano per l’ap punto nuovi pericoli. La via panora mica rimane la più sicura. Si hanno tuttavia allarmanti notizie di cadute rocciose anche su questo percorso. Agli alpinisti più temerari si consiglia dunque di prendere contatto con le guide locali allo scopo di informar si sulle vie da intraprendere, e ca pire quale periodo è più opportuno programmare.
fa capire che sappia in che cosa con siste la tradizione ticinese. Ci con frontiamo sui cambiamenti climati ci: la siccità e il caldo hanno reso la vita di capanna sempre più estrema; la mancanza d’acqua ha reso aggres sivi serpenti e vipere; e il ghiacciaio si sta ritirando nella sua lunghezza, lar ghezza e spessore. Berry mi racconta le preoccupazioni del geologo canto nale che, in visita a metà ottobre, si dice sempre più pessimista in merito al futuro del ghiacciaio soggetto allo scioglimento. Un processo accelerato dal riscaldamento di rocce scure che circoscrivono lo spazio da esso occu pato, per non parlare del pulvisco lo scuro che il vento getta sul manto bianco sporcandolo e causando a sua volta un’accumulazione di calore. Al tro fattore che determinerà la sua fu tura scomparsa. (vedi articolo Istan tanee del passato, di Amanda Ronzoni a pagina 12).
Dopo cena, ricordiamo con di spiacere anche la tragedia che qual che anno fa coinvolse tre alpinisti del Mendrisiotto e di come la vet ta dell’Adula sia diventata ancor più insidiosa (vedi box). Quelli di Ber ry sono racconti di vita che toccano. Mi sposto nella mia stanza, pron to per dormire, ma quella notte non chiuderò occhio. Il vento che inve ste la capanna sembra così potente da poter penetrare fin sotto le coper te di lana.
La colazione ha luogo alle 05.00. Parto subito dopo e raggiungo la ca panna Utoe (2400 mslm). Investi to da un forte vento ghiacciato, è la seconda volta che smarrisco il sorri so. Capisco che toccare il crocifisso sulla vetta sarà molto più complicato del previsto. Nonostante l’ottimo ab bigliamento sto letteralmente conge lando. Proseguo nella marcia, diven tata ormai contro vento e quindi lenta e faticosa. Un’ora dopo, sono sul pun to di valutare il mio abbandono e di tornare in capanna, quando incontro un gruppo di tre esperti alpinisti at
trezzati di corda e piccozze. Uno di loro era una guida delle Alpi berne si. Nella fitta nebbia si stavano ripa rando dal vento che a questo punto è diventato talmente forte da frenare qualsiasi camminata.
L’alta montagna necessita di riser ve mentali ed esperienza. Fattori che non si possono acquistare in un nego zio di alpinismo, tantomeno si pos sono allenare in palestra. È il tempo a fornirceli, ed è la montagna a de cidere quando si è pronti a riceverne le nozioni. Quell’incontro fortuito e inaspettato è per me una sorta di li berazione, un’iniezione di autostima e fede. Rispetto a me non erano in migliori condizioni fisiche, ma si di stinguevano per la capacità di valu tare la situazione in un modo che io non potevo nemmeno immaginare. In seguito a istruzioni ben precise mi propongono di seguirli.
Attacchiamo la vetta senza l’uso dei ramponi fino all’Adulajoch. Ri spetto alle due volte precedenti, ho la sensazione che il ghiacciaio sia me no consistente e in alcuni punti spro fondo fino alle ginocchia. Avanzia mo comunque in molta sicurezza e senza correre rischi, quei rischi che tanto temevo alla mia partenza dal la capanna. Lungo la corona di rocce sento e vengo investito dal «poderoso respiro» del massiccio dell’Adula. So no venti freddi e potenti che ricorda no uno tsunami di nevischio e che ci travolgono a una velocità di circa 90 km/h. Mi accascio sul ghiacciaio per poi rialzarmi e continuare fino alla prossima ondata di polvere bianca.
Giunti al bivio dell’Adulajoch mettiamo i ramponi e, di nuovo com pletamente esposti alla brutale forza del vento, ci prepariamo alla conqui sta della vetta, dove ci aspetta una vi sta spettacolare sul Güferhorn e sulla valle in cui sorge il Reno.
Informazioni Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica.
Desiderate un risotto allo zafferano a «metro zero»? Sarà un po’ difficile per quanto riguarda la produzione in ca sa del riso necessario, ma non si può dire la stessa cosa per la spezia sapo rita e colorata necessaria a conferire alla pietanza principale il giallo ca ratteristico del risotto cosiddetto al la milanese. Sappiate, infatti, che si possono ottenere piccoli quantitativi di zafferano anche con una coltiva zione casalinga, risparmiando anche qualcosina. Non è una novità, infatti, l’espressione con cui è definita que sta preziosa e costosa spezia, detta per l’appunto: oro rosso.
Lo zafferano è ottenuto dalla col tivazione dei bulbi di Crocus sativus.
Una produzione casalinga richiede qualche attenzione, ma ripaga con la soddisfazione di poter raccogliere ve locemente il frutto del proprio lavoro e gustarlo nel piatto. E dunque come si procede?
La prima operazione sarà quella di procurarsi i cormi (nome corretto del bulbo), da poter coltivare nell’or to o anche in vaso sul balcone. Ideal mente si può cominciare impiantan do una decina di cormi, purché siano di buona qualità: calibro superiore a due-tre centimetri, asciutti, intatti e senza alcun marciume. È importante la dimensione del bulbo poiché, oltre a produrre il fiore, dovrà anche pro durre in primavera dei nuovi bulbilli, che andranno a moltiplicare anno do
po anno la quantità di zafferano che produrrete.
La coltivazione in vaso è la più semplice, mentre se decidete di met terli nell’orto, vi consiglio di creare una piccola parcella delimitata da assi orizzontali e riempita con un bel po’ di terreno soffice, fertile e molto dre nato, visto che suoli compatti, argil losi e con ristagno idrico portano alla comparsa di una malattia, il fusarium; si tratta in pratica di un attacco fun gicida del bulbo, che lo porta veloce mente alla morte.
Oltre alla scelta di un buon terre no e di uno strato drenante, si può in tervenire anche con una pratica chia mata «concia dei bulbi», ovvero un bagno preventivo dei cormi in ossi cloruro di rame (tecnica ammessa an che in agricoltura biologica), da ese guirsi a giugno dopo aver estirpato i nuovi bulbi dal terreno. L’impianto dei cormi nella terra viene fatto nel mese di agosto, a circa dieci centime tri di profondità e con una distanza di dieci-venti centimetri tra un bulbo e quello successivo.
Non è il caso di creare delle prote zioni per l’inverno, poiché sopporta no senza problemi il freddo e le gela te; in ottobre si assiste alla fioritura, preceduta nel mese di settembre dal la comparsa di un ciuffo di foglie fili formi, color verde smeraldo, che per dureranno per tutto l’inverno. Il fiore spunterà dalla rosetta di queste foglie;
è molto bello grazie al colore viola dei suoi petali, che all’interno presenta gialle antere e tre stimmi, ovvero i fi lini rossi che daranno poi origine allo zafferano vero e proprio.
Se volete ottenere uno zafferano gustoso, non dovete aspettare che il fiore si apra completamente, ma do vrete raccoglierlo in giornata e proce dere con la mondinatura, ovvero con l’eliminazione dei petali viola e delle antere con il polline, tenendo da par te solo gli stimmi arancioni. Questi
ultimi andranno essiccati nel forno di casa o in un essiccatore casalingo e successivamente conservati in un vasetto di vetro ben chiuso e tenuto al buio, dove potranno restarci per qualche anno.
E i cormi ancora nel terreno?
Si può decidere se estirparli ogni anno a giugno, metodo miglio re per un impianto casalingo poi ché il terreno viene sostituito ga rantendo così un substrato ricco e una buona produzione di zaffera
pexels.com
no, oppure lasciarli indisturbati per tre-quattro anni.
Nelle colture annuali, dovreste scegliere questa opzione, si procede lasciando indisturbati i bulbi fino a giugno (bagnandoli se rimangono in un vaso a tetto), in seguito andranno delicatamente tolti dal terreno e con servati al buio fino ad agosto.
Un ultimo consiglio: i bulbi se non interrati nello stesso anno andranno gettati, poiché esauriscono le sostan ze accumulate in pochi mesi.
Il vigneto vallesano si estende da Loèche a Martigny e copre una su perficie di circa 4850 ettari, vale a di re quasi un terzo del vigneto svizzero. Il Vallese beneficia di un clima mol to particolare, marcato soprattutto da lunghe estati calde e soleggiate e da autunni tardivi. Alle lunghe giornate di sole e a una flebile presenza di nu bi, dobbiamo aggiungere i benefici ef fetti che apporta il Föhn, questo vento caldo e alle volte violento che soffia da sud, il quale spazzando le nuvole eser cita un’azione positiva contro il peri colo di muffe.
Sono ben cinquantatré i vitigni diversi (trentuno bianchi e ventidue rossi) rappresentati nelle varie regioni del Canton Vallese
La vigna prospera e matura per la maggior parte sui costoni e sulle altu re ben esposte in pieno mezzogiorno sulla riva destra del Rodano, ad alte altitudini che variano tra i 450 e 800 metri s.l.m., ed eccezionalmente ar rivano a più di mille metri. È il caso del famoso vigneto di Visperterminen (1378 m), orgoglioso non solo di es sere il vigneto più alto d’Europa, ma anche di essere una delle superfici più importanti dell’Alto Vallese.
Tuttavia in prossimità dei ghiac ciai le vigne non sono esenti da gelate primaverili. La geologia ha profonda mente segnato la topografia, la geo grafia e il clima del Vallese nel corso delle varie ere, non un metro del ter ritorio è sfuggito al gigantesco scon tro in seguito all’emergere dei rilievi alpini avvenuto milioni di anni or so no, e ai conseguenti scoscendimenti di terreni, e di frane di ghiaie, sabbia e limo, causati da impetuose piene di torrenti; il Vallese insomma presen ta un’incredibile complessità di terre ni che formano dei terroir unici e per lopiù semi-aridi, dato l’effetto del già citato e frequente Föhn, che ha per complici la poca pioggia e il molto so le; da secoli i vallesani hanno costru
ito chilometri di canali d’irrigazione (bisses) che troveremo nel nostro giro tra i vigneti.
Certo è che per mettere a dimo ra la vite in Vallese la si deve amare fortemente: i pendii vitati superano spesso il 60-70%, e se da una parte è positivo perché l’esposizione favorisce l’azione dei raggi solari che portano a delle ottime maturazioni, allo stesso tempo genera tutta una serie di pro blemi. Ad esempio, bisogna combat tere l’erosione dei terreni con dei ter razzamenti, e il consolidamento dei muri costituisce una sfida permanen te per gli uomini, anche perché tutto viene fatto a mano visto che il terreno difficilmente permette l’uso di mac chine meccaniche.
Nel corso dei secoli i Vallesani hanno imparato dalle caratteristiche
del suolo, dall’altitudine e dall’espo sizione, qual è il vitigno che meglio saprà sfruttare tali peculiarità; qui l’accordo va trovato quindi tra terreno e vitigno, combinazione non sempre immediata e che necessita di gran de esperienza se si considera che so no ben 53 i vitigni diversi (31 bianchi e 22 rossi) rappresentati in Vallese. Un numero che permettere ai terro ir vallesani di esprimere tutte le lo ro potenzialità, sebbene siano solo tre quelli che fanno la parte del leo ne occupando il 75/80% della super ficie viticola: parliamo del Pinot Nero e Gamay tra i rossi e lo Chasselas tra i bianchi. Ciononostante vengono col tivati sempre di più alcuni vitigni au toctoni molto ricercati tra gli amanti del «divin nettare» come l’Amigne, la Petite Arvine tra i bianchi, l’Humagne
Rouge e il Cornalin tra i rossi, ma non mancano vitigni internazionali come il Syrah, il Merlot e la Marsanne Blan che, che si stanno imponendo (soprat tutto il primo) tra gli intenditori della buona tavola.
Ogni vitigno qui ha una sua sto ria e una sua origine che alle volte si confonde nel corso dei secoli, sareb be bello poter scrivere di origini del la viticoltura, ma lo spazio ce lo im pedisce. Per chi vuole saperne di più consigliamo il libro Cépages suisses, histoires et origines, éditions Favre, scritto dal vallesano Dr. José Vouil lamoz, genetico della vigna di fama internazionale.
Seguendo la valle del Rodano, ri salendo il corso del fiume da Marti gny, zigzagando tra la riva destra e quella sinistra, è il tragitto che abbia
mo percorso oggi per meglio cono scere la realtà vitivinicola vallesana. Dopo un buon bicchiere di Gamay, ci siamo diretti a Fully, Saillon con il suo incantevole borgo del XIII seco lo, poi Leytron, qui il panorama che appare è unico e non ci lascia indif ferenti, fino a raggiungere i pressi di Chamoson, dove per pranzo gustia mo degli ottimi asparagi bagnati dal locale Sylvaner, meglio conosciuto con il nome di Johannisberg
Ci fermiamo a Saint-Pierre-deClages per ammirare la superba chie sa romana e attraverso un mare di vigne raggiungiamo Ardon con il vi gneto che si snoda lungo l’argine ai piedi delle gole della Lizerne. Pausa a Vétroz regno dell’Amigne. Qui non perdiamo l’occasione per degustare il Cornalin dal profumo di ciliegie e un Syrah di corpo dal profumo speziato e di violetta.
Proseguiamo per Conthey, guada gniamo Sensine tra gli innumerevoli villaggi sparsi tra le vigne, e arrivia mo a Ormône dove possiamo ammi rare le bisses che trasportano le acque dei ghiacciai.
Preceduta da due ammassi roc ciosi, attraversiamo Sion, la capitale del cantone. Ci fermiamo a St-Léon ard-Uvrier, visitiamo la celebre bisse di Clavau e i vertiginosi muraglioni che sostengono i terrazzamenti. Una raclette sarà la compagna ideale per il nostro Fendant (Chasselas) e una Dôle (Pinot Noir-Gamay) è ideale con le di verse salsicce grigliate. Una breve so sta sul pittoresco poggio di Granges, un tour veloce tra i magnifici vigne ti di Veyras, Venthône, Randogne, Ollon per scendere a Sierre. E infi ne raggiungiamo Salquenen, idillia co villaggio sperduto nella vastità dei suoi vigneti, dove il Pinot Nero go de di una reputazione internaziona le; dopodiché la lunga persistenza di un Ermitage (Marsanna Blanche) con i suoi sentori di miele di rara intensi tà, prodotto da una vendemmia tar diva che accompagna un plateau di formaggi, rende meno greve il nostro rientro in Ticino.
Pronti per dolcetto o scherzetto?
Piccoli pipistrelli, colorate zucche e un simpatico Conte Dracula sono i personaggi protagonisti di que sto tutorial di Halloween. Queste figure classiche che potrete crea re con l’aiuto dei bambini, in attesa della festa più spaventosa dell’anno, saranno poi perfetti contenitori per i dolcetti che in questa ricorrenza non possono mancare.
Misure dei tetrapak utilizzati (se i vostri hanno misure diverse potreste dover adattare il cartamodello): Dracula – misura 9x18cm; Zucche e pipistrelli – 6x11cm. Aiutandovi con un taglierino togliete il rivestimento stampato dalle confe zioni di tetrapak.
Dipingete con il colore scelto le con fezioni. Nero per i pipistrelli e Dra
«Carlo sono agitatissimo, ho avuto un’esperienza premorte!»
– «Calmati, hai visto la luce?»
Scopri la risposta dell’amico leggendo a cruciverba risolto le lettere nelle caselle evidenziate.
(Frase: 2, 1, 8, 7, 2, 3)
cula e arancio per le zucche. Lasciate asciugare. Ora dal cartoncino nero ritagliate un volto per la zucca, e incollatelo.
Per il Conte Dracula potete utilizza re un rettangolo rosso per il vestito, uno grigio per il volto e uno nero per i capelli, ritagliateli in base alle misure dei vostri contenitori e applicateli con la colla a caldo o la colla universale.
Aggiungete dei bei dentoni bianchi a Dracula e ai pipistrelli e dettagli a piacere.
Prendete la striscia rossa, rivoltate un paio di cm di stoffa sul lato lungo per creare un orlo e con un filo da rica mo eseguite un punto filza. Lasciate 20cm di filo da ambo i lati. Tirateli entrambi per arricciare il mantello e adattatelo attorno al vostro Dracula fissandolo dove necessario con qual che punto di colla. Ottenuto l’effet to desiderato annodate i fili e tagliate l’eccedenza. Se necessario adattate anche la lunghezza del mantello.
Incollate gli occhi ai personaggi di Dracula e dei pipistrelli. Per Dra cula due tappi rossi con al centro un occhio movibile ognuno. Per i pipi strelli alternate tappi e occhi movibi li per un effetto più divertente. Un po’ di carta crespa arancione in cui nascondere le caramelle e le vo stre spaventose e molto decorative confezioni sono pronte per un per fetto Halloween party. Buon divertimento!
• Confezioni tetrapak (anche di misure diverse)
• Pittura acrilica nera e arancione
• Pennelli piatti
• Forbici, taglierino
• Pennarello indelebile nero
• Una striscia di stoffa (o carta crespa) rossa 10x40cm circa
• Ago e filo da ricamo rosso
• Tappi delle bottiglie in pet rossi
• Occhietti movibili
• Colla a caldo
• Resti di carta/cartoncino nei toni del rosso/nero/grigio
(I materiali li potete trovare presso la vostra filiale Migros con reparto Bricolage o Migros do-it)
Tutorial completo azione.ch/tempo-libero/passatempi
Nell’ultima rubrica ho raccontato quanto poco io ami gli anniversari ed ecco che me ne occupo nuovamen te: sono un esempio vivente di uma na incoerenza. Ma ho almeno la scu sante di un anno, questo 2022, con troppe tentazioni. Cinquecento anni fa, il 6 settembre 1522, la Victoria entra nel porto di Siviglia. È l’unica sopravvissuta di una flotta di cinque navi, in pessi me condizioni; sembra restare a gal la solo per una speciale grazia divina. A bordo, diciotto marinai supersti ti sfiniti e macilenti, su duecentocin quanta ch’erano partiti. Inutilmente si cercherebbe tra loro l’ammiraglio Ferdinando Magellano, morto in uno scontro con gli indigeni in un’i sola delle Filippine. Anche dal pun to di vista politico e commerciale il fallimento è completo. Eppure, da un diverso punto di vista, la Victo ria ha portato a termine una delle più grandi imprese dell’umanità: in due
anni, undici mesi e diciassette giorni ha compiuto la prima circumnaviga zione del globo, dopo aver scoperto e attraversato lo stretto di Magellano, la via di comunicazione tra l’oceano Atlantico e il Pacifico. È l’alba della globalizzazione, il pri mo, incerto passo verso il mondo contemporaneo. Il viaggio di Ma gellano è ricco di scoperte, sorprese, meraviglie, a cominciare dal giorno perduto navigando sempre verso oc cidente. Quando i suoi uomini sosta no alle isole di Capo Verde, credono sia mercoledì, ma scoprono che per i portoghesi è invece giovedì. E poi l’altro anniversario. Cento cinquant’anni fa, il 2 ottobre 1872, un gentleman inglese, Phileas Fogg, parte insieme al suo cameriere fran cese Passepartout. Dopo un’accesa discussione con gli altri soci del cele bre Reform Club di Londra, Fogg ha scommesso una fortuna che riuscirà a compiere «Il giro del mondo in ot
Nella luce autunnale di un tardo po meriggio a metà ottobre, quando la rugosità delle querce è riconforto as soluto, quattordici scalini in beton bocciardato scendono in un boschet to. L’arrivo è un ruscello suburbano. Il camminamento s’interrompe un po’ prima, lasciando uno spazio – co me una pausa musicale – tra il passeg giatore e questo rigagnolo scampato alle maxi lottizzazioni per atroci pa lazzoni. Le petit Voiret, verso il qua le è stato orientato questo parchetto criptico realizzato negli anni ottanta a Lancy: comune-città di quasi trenta quattromila anime a qualche fermata di tram da Ginevra. Un pezzettino di terra smarrito, rimasto al margine, un terreno di scarto ridefinito dall’archi tetto paesaggista ginevrino Georges Descombes, classe 1939.
Sull’ultimo gradino, seminascosti dalle foglie di roverella, tre quadra tini di maiolica blu con un triango
lino azzurro sbiadito. Altri ventisei scalini, più in là, portano sempre per pendicolarmente, al petit Voiret e fi niscono apposta davanti a un onta no: tragitto che mi strappa un sorriso.
Disappunto, invece, per la mancanza d’acqua nel bacino triangolare della fontana vuota, piena di foglie morte.
La particolarità dei due muretti con mattoni elementari a vista che forma no il triangolo, è quella di una diver sa altezza e lunghezza. Così si tocca no appena, stabilendo un’asimmetria esplicita: elogio dell’errore, tentativo di stupire attraverso l’intempestività.
Muretti come lego, tracce, accenni, piste, un parco-rebus già non facile da decifrare che purtroppo con l’incuria diventa di difficile lettura. Sconforto quando trovo sbarrato il pezzo forte del parco di Descombes a Lancy (398 m), meglio noto come Parc en Sauvy.
La passerella-tunnel sopra il ruscello e sotto la strada dove stanno facendo
tanta giorni». Comincia così l’opera più conosciuta di Jules Verne. Strada facendo, ma solo per neces sità narrative, Fogg dovrà superare numerosi ostacoli e le sorprese non mancheranno, sino al colpo di sce na finale (che non riveliamo), ispira to proprio alla vicenda di Magellano. Ma nel suo significato profondo il romanzo di Verne è piuttosto l’esal tazione dei nuovi mezzi di trasporto (ferrovia, piroscafo) e delle moderne vie di comunicazione, prima tra tutte il canale di Suez (1869). Soprattutto è espressione di un mondo prevedibi le, regolamentato in ogni suo aspet to, che si muove al tempo esatto e in calzante dell’orario ferroviario.
Di tutti i romanzi di Jules Verne, Il giro del mondo è quello meno fanta sioso e visionario. Dopotutto già nel 1870 un geniale ed eccentrico im prenditore americano, George Fran cis Train (nomen omen) aveva anti cipato il record di Fogg; e nel 1889 la
coraggiosa giornalista Nellie Bly fu la prima a compiere lo stesso viaggio senza essere accompagnata da uo mini. Ma c’è di più. In quello stesso 1872 il primo agente di viaggi della storia, l’inglese Thomas Cook, con dusse un gruppo di turisti intorno al mondo, percorrendo quarantami la chilometri in 222 giorni. Ovvia mente, non avendo record da bat tere, Cook se la prese più comoda, con frequenti visite turistiche. «Ho imparato a circumnavigare il glo bo» disse una volta tornato a casa, con un’inconsapevole eco del sogno di Magellano. «Il mondo appartiene a Thomas Cook», scrissero invece i giornali. E in effetti non erano pas sati nemmeno dieci anni da quando l’agente di viaggi aveva condotto un primo, piccolo gruppo di viaggiatori in Svizzera, affacciandosi al di fuori del Regno Unito.
Sono due giri del mondo così diver si: l’uno esplorativo, difficile, tra
gico, l’altro invece con un itinera rio ben definito, facile, sicuro… Al tempo di Magellano il planisfero era pieno di spazi bianchi, dove proiet tare l’immaginazione e il desiderio di scoperta. Quando Verne scriveva il suo romanzo invece l’espansione coloniale stava sciogliendo gli ultimi misteri della geografia, a comincia re dalle sorgenti del Nilo. Un mon do misterioso rispetto a uno troppo conosciuto? L’età d’oro dei viaggi e il suo triste declino nel turismo? È una conclusione facile e per questo tentatrice.
In realtà il giro del mondo, allora e poi, era forse solo un sottile filo ros so disteso intorno a tutta la superficie della Terra. Il suo sin troppo eviden te valore simbolico non deve farci di menticare che il nostro pianeta, oggi come allora, è avventuroso, inquie tante e misterioso; ma solo per chi sa guardarlo con occhi nuovi, per chi sa andare oltre le apparenze.
di Oliver Scharpfdei lavori per l’estensione della linea di tram quindici. Cantiere che au menta la confusione del territorio fe rito, trasformato cento anni fa con bo nifiche-drenaggi per serre industriali e soffocato in seguito da unità abita tive peggio di gabbie per conigli. La vori in corso che però non dovrebbero influire sui percorsi possibili in questo parco sbilenco e riflessivo.
Osannato alla fine degli anni ottan ta su riviste come «Domus» e al qua le hanno consacrato un prezioso li bro di centosettantadue pagine – Il territorio transitivo (1988) – con te sti di Franco Purini, André Corboz, Herman Hertzberger, David Coo per, Giordano Tironi, e di Georges Descombes stesso, oggi è trascurato. Tunnel casereccio ispirato dai giochi avventurosi fatti da bambino proprio qui: il ruscello spariva in una cana lizzazione dove s’introduceva con i suoi amici «e la cui memoria mol
Domenica 20 novembre alle 17.00, Qatar ed Ecuador apriranno la Cop pa del Mondo più insanguinata del la storia. Da quel plumbeo 2 dicembre del 2010, quando dagli uffici zurighesi della FIFA è uscito il verdetto relativo all’assegnazione della manifestazione, è partito un treno carico di perplessità. Ci si chiedeva cosa c’entrasse quell’e mirato arabo con il calcio. Che sen so avesse gareggiare in un paese in cui le donne vengono pesantissimamente discriminate. Un paese in cui ascoltare musica è considerato un reato.
Tuttavia non si è gridato allo scandalo fino a quando un’inchiesta del «Guar dian», pubblicata nel febbraio dello scorso anno, ha messo a nudo le con dizioni disumane di lavoro, i sopru si, lo sfruttamento, i morti. Ben 6500 lavoratori sono state le vittime sacri ficali di una Coppa del Mondo fuori dal tempo (si giocherà tra autunno e
inverno), e fuori da ogni ragionevo le logica. In pochi anni questi uomi ni hanno contribuito alla costruzio ne di sette nuovi stadi con capienza variabile tra 40mila e 86mila posti. Loro sono morti. Gli stadi rimarran no, è il caso di dirlo, come cattedrali nel deserto.
La perplessità si è quindi tramutata in indignazione. In Svizzera, i primi a fare la voce grossa e a raccomandare il boicottaggio della manifestazione, sono stati i Giovani Socialisti, «Vox clamantis in deserto». La loro risolu zione, adottata nel giugno dello scor so anno, ha avuto scarso seguito. Ora però ci si avvicina al calcio d’inizio. Si moltiplicano i segnali di disagio, di malcontento, di protesta. Ma nes suno, almeno fra chi conta e avrebbe un peso specifico enorme, lancia stra li che possano far vacillare lo svolgi mento della rassegna iridata.
Amnesty International parla di «Mondiali della vergogna». Molte città, le francesi in testa, hanno an nunciato di non voler aderire agli en tusiasmi popolari, evitando quindi l’allestimento di Fan Zone con tanto di mega schermi. Già lo scorso anno, in Norvegia l’idea del boicottaggio da parte della Nazionale scandinava, era stata bocciata dai vertici federali, ma solo perché temevano le rappresaglie minacciate dalla FIFA. Il portavoce dei tifosi aveva comunque dichiara to che giocare in «Qatar sarebbe sta to come giocare nei cimiteri». Philipp Lahm, ex capitano della Nazionale tedesca ha detto di non voler far parte della delegazione del suo paese: «Pre ferisco restare a casa. I diritti uma ni devono avere un ruolo maggiore nell’assegnazione delle manifestazio ni sportive».
In Danimarca, lo sponsor principale
to precisa giocava sul cupo, l’eco, il mormorio dell’acqua e la voce rim bombante» racconta Descombes. In mezzo c’era anche un rischioso pun to d’osservazione del traffico, un ca mino d’accesso verticale aperto sulla strada. Un luogo dunque sia sotterra neo che aereo. È questo dispositivo, gioco perfetto inaccessibile agli adul ti, che Descombes ha cercato di resti tuire attraverso un tubo di lamiera in acciaio ondulato del diametro di tre metri e lunghezza di trenta. In mez zo al quale c’è uno squarcio zenitale che ad André Corboz ha fatto pensa re alle settecentesche gallerie in rovi na dipinte da Hubert Robert. Come il divieto nelle fiabe puntual mente trasgredito, non posso non prendermi il rischio di avventurar mi in questo sottopassaggio: aggiro la ramina, mi aggrappo in qualche mo do, salto dentro la passerella. I pas si sul legno sono attutiti da un letto
di foglie, il cammino è rassicurato da fronde ancora verdi tutto intorno. Sparisco nel buco nero del tunnel di lamiera d’acciaio imbullonato sul po sto, all’epoca. Inciampo in qualcosa e quasi cado, indagare a fondo il pae saggio è un lavoro pericoloso. Una pensilina che richiama le serre da pia nura orticola-industriale e una pergo la ad arco – ritrovo attuale per can naioli garbati di periferia – sono due altri dispositivi architettonici da do ve partono i tragitti per il ruscello. Il terzo, trovato adesso, era, in origine, un angolo giochi di sabbia per bam bini che alludeva dichiaratamente alle case abbattute dei contadini. Un par chetto di delicata denuncia. Con un filo di speranza: «nuove fondazioni proposte ai piccoli dell’uomo». Oggi le erbacce hanno preso il posto della sabbia e i perimetri dei muret ti ricordano solo fondamenta di ca se demolite.
della Nazionale ha deciso di rinun ciare alla sua visibilità sulla maglietta, proponendo ai suoi calciatori tre tute in tinta unita. Una rossa, una bian ca (ovvero i colori tradizionali), e una nera, a sottolineare il lutto per i lavo ratori scomparsi. Insomma da qui al calcio d’inizio vedremo altre azioni di protesta. Tutte lodevoli. Tutte lascia no trasparire tristezza e imbarazzo. Ma con ogni probabilità, giovedì 24 novembre alle 11.00, quando la Na zionale rossocrociata inaugurerà il suo mondiale contro il Camerun, molti di noi saranno sul divano di casa. A tre pidare, a gioire, a piangere, o a im precare contro quel signore che fino ad alcuni anni fa era vestito di nero.
Perché il calcio – e lo sport in genere, lo si voglia o no – veicola passioni ir razionali che trascendono classi, raz ze, generi, età.
In fondo la stessa cosa è capitata pochi
mesi fa con i Giochi Olimpici inver nali di Pechino. Potremmo tentare un esercizio. Appendiamo su una parete in salotto la scritta «Questi Mondiali sono costati la vita a oltre 6500 esseri umani». Saremmo capaci di non ac cendere TV? Forse qualcuno ci riu scirà. Probabilmente una minoranza, non sufficiente per far capire al signor Gianni Infantino e ai delegati del la FIFA che quel lontano 2 dicembre del 2010 hanno preso una decisione infausta.
È comunque doveroso fare in modo che una situazione simile non si ri peta. Disposti a gioire fra poche set timane? D’accordo, siamo fragili e cedevoli all’effimero. Ma dovremo es sere pronti anche a scendere in campo vestiti da stopper implacabili, qualora ai signori che dirigono il calcio in FI FA-Strasse 20 a Zurigo, venisse an cora qualche malsana tentazione.
Leonid Wolkow, dissidente russo vicino ad Alexei Navalny, spiega le aberrazioni di un Paese in preda al putinismo
Dove si rifugiano le vedove
A Vrindavan vivono oltre diecimila donne in miseria che, dopo il marito, hanno perso la loro casa e ogni diritto
Gli esperti parlano della fine dell’abbondanza e di una grande incertezza sul futuro a breve, media e lunga scadenza
Congresso del Partito comunista ◆ Xi Jinping sprona i cinesi a uno spirito guerresco che attinge al linguaggio di Mao Zedong. Intanto nasconde i problemi più scottanti dell’attualità come la frenata dell’economia e i lati oscuri della politica «zero Covid»
Quale visione del mondo emerge dal congresso del Partito comunista ci nese? Un pessimismo profondo. De cifrando con attenzione il linguaggio di Xi Jinping, una conclusione è allar mante: questo leader implicitamen te considera che le possibilità di una guerra con gli Stati Uniti sono in au mento. Su Taiwan o per qualche al tro casus belli. E lui vuol essere sicuro che sia la Cina a prevalere. Dalla sua retorica sono svanite espressioni che un tempo erano comuni nei discorsi dei leader cinesi, come il riferimento a uno «sviluppo armonioso» della co munità mondiale o alla globalizzazio ne vista come un «win-win», un gioco a somma positiva in cui tutti hanno qualcosa da guadagnare. Adesso nel descrivere la situazione mondiale pre valgono altri temi. Xi sprona i cinesi a uno «spirito di lotta» che attinge al linguaggio di Mao Zedong.
Va ricordato che Mao affrontò pe riodi di grave tensione internaziona le in cui la guerra sembrava vicina, di volta in volta con gli Stati Uniti (in ef fetti le due superpotenze si combatte rono direttamente in Corea dal 1950 al 1953) e con l’Unione Sovietica (rot tura Mao-Kruscev dopo la destali nizzazione; scontri militari fra truppe cinesi e russe nel 1969 sulla frontiera lungo il fiume Ussuri). Xi Jinping in siste sul tema della sicurezza naziona le, che declina in tutte le direzioni e con molti dettagli: sicurezza energe tica, sicurezza alimentare, sicurezza tecnologica. L’economia cinese nel la sua visione deve diventare sempre più autosufficiente, ai limiti dell’au tarchia. Anche qui l’idea della guerra non è lontana, si scorge sullo sfondo, è come se Xi stesse già immaginando una Cina colpita da sanzioni e quin di in una posizione analoga a quella della Russia. Vuole costruire una eco nomia-fortezza, meno esposta verso l’Occidente, meno vulnerabile in caso di ritorsioni. La parola «lotta» è stata ripetuta una cinquantina di volte nel suo discorso. È come se la legittimità di Xi dipendesse da questo: un clima di mobilitazione nazionale contro av versari esterni, l’America in testa.
Il tema del «ringiovanimento na zionale», altro slogan caro a Xi e ripe tuto nel suo discorso al congresso, va visto in quest’ottica. Sotto questo leit motiv lui ha condotto diverse campa gne come quella contro la corruzione. In questo caso il «ringiovanimento» è di tipo politico e morale, per rico struire una forte tempra etica pren dendo ispirazione dalle origini del co munismo. «Ringiovanimento» si lega al tema del riscatto: Xi vuole passare alla storia come il leader che ha resti tuito al suo popolo uno status domi nante, un primato fra le Nazioni, così riscattando il «Secolo delle umilia
zioni» (l’Ottocento, le guerre dell’op pio, i momenti più bui del declino). È un leader che coltiva il rancore verso l’Occidente, America in testa, a cui attribuisce l’intenzione di impedire l’ascesa della Cina.
La Cina rappresenta la sfida più ro busta al teorema sulla «fine della sto ria», elaborato esattamente trent’anni fa nel saggio di Francis Fukuyama con quel titolo: l’idea cioè che la liberal democrazia sia il sistema politico più avanzato. Dopo l’avvento di Xi al po tere nel 2012 la leadership di Pechi no ha costruito una contro-teoria sulla superiorità del proprio sistema politi co. Per un certo periodo è parsa plau sibile: i risultati in termini di sviluppo, modernizzazione, diffusione del be nessere, erano impressionanti. Il Par tito comunista sembrava aver raggiun to una felice combinazione tra valori etici della tradizione confuciana (spi rito di sacrificio, senso di dovere verso la comunità, rispetto delle gerarchie), selezione meritocratica delle élite, promozione di tecnocrati competenti al vertice dello Stato. Ma il modello mostra i suoi limiti. Anzitutto, come ha osservato l’economista Garrett Jo nes, i cinesi coronati da maggiore suc
cesso sono quelli che vivono fuori dal la Cina (a Taiwan, a Singapore o negli Stati Uniti), il che non depone a favore del sistema comunista. Inoltre l’equi librio tra tecnocrazia, confucianesimo e comunismo si è rivelato effimero. La tentazione autocratica si è impadroni ta di Xi. Ha abbattuto quelle regole – limite massimo di due mandati, di rezione collegiale – che impedivano un’eccessiva concentrazione di pote re personale. La maledizione dell’uo mo solo al comando è visibile. Xi ac cumula errori – dal Covid all’Ucraina – che nessuno ha la forza di segnala re, tantomeno correggere. Il trionfa lismo della sua propaganda non può occultare questa verità: non esiste un «sogno cinese» esportabile nel resto del mondo. La Cina propone agli altri Paesi emergenti una cultura del risen timento verso l’Occidente. È un col lante che funziona. Ma è troppo po co per fondare un nuovo modello dalla legittimità universale.
È singolare quanto Xi abbia igno rato nel suo intervento al congresso i problemi più scottanti dell’attualità. Non ha neppure citato la guerra in Ucraina. Non ha accennato a un bi lancio critico sulla politica «zero Co
vid» né ha promesso allentamenti mentre si avvicina il terzo anno di re strizioni. Non ha praticamente parlato della brutale frenata della crescita eco nomica cinese.
I problemi in casa sua si accumula no e lui li ignora. Ad esempio, in Ci na è in corso una protesta segreta di cui Xi non ha fatto menzione nel suo discorso al congresso. Ma tutti ne so no al corrente. Non è una rivolta po litica contro il regime, è una «disob bedienza» economica: sta crescendo il numero di famiglie cinesi che non pagano le rate dovute sui loro mutui casa. Hanno una sacrosanta ragione per farlo. Le loro case non esistono e forse non verranno mai alla luce. Chi gli ha venduto quegli appartamenti o villette monofamiliari è fallito prima di ultimarne la costruzione, i cantie ri sono incompiuti e forse non ripren deranno mai l’attività. Gli ultimi dati certi sulla crisi del settore immobilia re risalgono al 2021 e si riferiscono al crac del colosso Evergrande che ha la sciato 1,3 milioni di unità abitative in complete. Gli acquirenti però avevano già versato cospicui anticipi e per fare quei pre-pagamenti si erano indebita ti con le banche. Ora quei cittadini si
rivalgono come possono, cioè a dan no delle banche, cessando i rimborsi delle rate sui mutui. È illegale, ma è moralmente comprensibile che non vogliano continuare a pagare interes si per l’acquisto di un bene che non avranno mai.
Il disastro immobiliare colpisce uno dei tradizionali motori inter ni della crescita cinese, che non a ca so è rallentata ai minimi storici: il Pil crescerà del 3,3% nel 2022. Le conse guenze si estendono alla fiducia dei ri sparmiatori e alla solidità del sistema bancario. Per decenni l’acquisto della casa è stato l’investimento prediletto di centinaia di milioni di famiglie, ma ora i prezzi del mattone scendono in tutte le grandi città e i risparmiatori hanno già subito perdite pesanti. Le ripercussioni negative si estendono al bilancio pubblico; non solo perché lo Stato deve intervenire a pompare li quidità in alcuni gruppi immobiliari e forse bancari, ma anche perché le ven dite di terreni edificabili e concessioni edilizie erano una delle fonti di finan ziamento delle amministrazioni loca li. Nella miglior tradizione totalitaria, ciò di cui tutti parlano era il tema tabù al congresso.
Si intitola Putinland, il Paese di Pu tin, il libro che Leonid Wolkow ha pubblicato (in tedesco per le edizio ni Droemer Knaur, in italiano non è disponibile) per spiegare il nocciolo delle aberrazioni politiche, sociali ed economiche di una Russia in preda al putinismo. Ovvero «la follia im periale, l’opposizione in Russia e la cecità dell’Occidente», per citare il sottotitolo di queste fulminanti 232 pagine. L’autore da tre anni vive ri fugiato a Vilnius, la capitale della Li tuania, e da lì dirige l’ufficio politico della Fbk, la «Fondazione anti-cor ruzione» fondata dal dissidente rus so Alexei Navalny. Nel 2018 è stato Wolkow – che di formazione è un ingegnere informatico – a guidare la campagna elettorale di Navalny per le elezioni politiche in Russia. Già nel 2013, alle elezioni amministra tive di Mosca, in cui Navalny spun tò un sensazionale 27 per cento dei voti, fu sempre Wolkow a program mare la campagna elettorale del più importante dissidente e di fatto «il nemico numero uno nella Russia di Putin», come Wolkow lo definisce. È dal lontano 2011, dai primi passi in politica di Navalny con il suo clicca tissimo blog di protesta, che i due si conoscono.
«Sono ottimista e credo fermamente nella possibilità di uno sviluppo democratico nel mio Paese»
Anche dopo il micidiale attentato contro Navalny, in cui i Servizi segre ti russi cercarono di eliminarlo con il veleno Nowitschok, c’era Wolkow nella camera dell’Ospedale berlinese della Charité mentre Navalny si ri svegliava dal coma. «Quell’attentato – osserva oggi lui – è stato un fatale errore di Putin. Da allora la gente in Russia sa che, per quanto criminale e pericoloso, Putin non è onnipotente e può anche fallire». Wolkow è ottimi sta riguardo alle sorti del movimento
di opposizione in Russia: «Sono un ottimista per natura e credo ferma mente nella possibilità di uno svilup po democratico nel mio Paese». In tanto nessuno conosce più a fondo di lui i perversi meccanismi del gigan tesco, devastante sistema di corruzio ne che oggi pervade sino nei minimi dettagli la società e politica russa.
Per farci intuire al volo i livelli di corruzione in cui è precipitata la vita quotidiana nella Russia di Vladimir Putin, Wolkow parte nel libro da una piccola «mazzetta» da 500 rubli, circa 9 euro. Tanto in genere occorre diret tamente dare al poliziotto che a Mosca o in una delle città di Putinland ti fer ma per un’infrazione stradale. «Esatto, oggi tutto in Russia si basa sulla cor ruzione. Anche un insignificante mi nistro nell’Oblast di Murmansk, spe cifica lui, la regione più povera nella Federazione russa, è arrivato tramite soldi sottratti allo Stato a comprarsi a Lucerna un palais da 40 milioni di eu ro!». Dal furto del vigile urbano ai mi lioni sgraffignati da governanti e mi nistri, tutto in Putinland gira intorno a un vortice di «tangenti» sempre più astronomiche. Sino ad arrivare ai fiumi di miliardi che servono a Putin stesso, al suo clan di familiari e ai fedelissimi boiari per finanziarsi le sontuose ville, squadre di calcio o mega-yacht.
Non si tratta di fantapolitica. La «Fondazione anti-corruzione» di Navalny ha documentato in un vi deo tutte le stanze, gli arredamenti principeschi e i parchi del «Palazzo di Putin» che lo zar si è fatto erigere sul Mar Nero. «Quel video – spiega Wolkow – è stato visto da oltre 120 milioni di persone, che ora sanno co me la Russia potrebbe essere ricca e stabile, se il regime non rubasse al meno il 70 per cento delle risorse che gli derivano dal gas e dal petrolio». Lo scalpore non deriva tanto dal fat to di possedere un palazzo da sceic co, quanto dalla corruzione endemica di un sistema politico-economico con cui Putin controlla, con metodi ma fiosi, l’intera Federazione. La sua Pu tinland per l’appunto.
«In Occidente non si vede ancora in Putin e nel suo regime un enorme clan malavitoso, ma tutto il suo po tere è costruito con i classici metodi dell’organizzazione mafiosa». Se que sti sono i metodi con cui Putin, dal 2000, controlla i vertici dello Stato, è anche chiaro che, una volta crollato il «Padrino», nessuno dei suoi corrotti accoliti potrà sostituirlo al Cremlino. «Quando il regime crollerà – prevede Wolkow – resterà qualche nostalgico di Putin, ma il putinismo è tale che nessuno dei suoi fedeli ministri potrà sopravvivere alla fine del boss». Dun que è solo la comprensibilissima paura dei cittadini a reggere in piedi la so cietà russa. Ed è solo con la martel lante propaganda, in tv e internet, che Putin conserva il consenso.
Ma qualcosa sta cambiando. Ri prende Wolkow: «Stimiamo che pri ma della guerra in Ucraina almeno il
30 per cento della società civile fos se contraria al regime. Il disastro ini ziato lo scorso febbraio, e accelerato dalla mobilitazione, non può che aver aumentato la protesta interna». Di fatto, sostiene il nostro interlocutore, più di 40 milioni di russi sono scetti ci rispetto alla politica di Putin e av versi alla tragedia in Ucraina. Cer to, dopo il blitz in Crimea, nel 2014, Putin credeva che anche per l’Ucrai na gli sarebbe bastata «un’operazione militare speciale». «Un fatale errore di calcolo – spiega Wolkow – che ci fa capire quanto male lo zar sia infor mato dai suoi generali e dai suoi ser vizi». E che ci fa anche toccare con mano quanto Putin sia lontano dal la realtà: «Il suo distacco dalla realtà ha raggiunto nei due anni del Coro navirus livelli schizoidi. Già Angela Merkel aveva notato e detto chiara mente che Putin “è staccato dal mon
do”. Ma in Occidente pochi hanno recepito il giudizio della ex Cancel liera tedesca».
Quali saranno ora le conseguen ze dell’agghiacciante guerra in Ucrai na? Cosa significherà il conflitto per la tenuta di Putinland e come cam bierà ora l’opposizione interna? «Per quanto tragica, la guerra in Ucraina segnerà una svolta nella politica e nel la società russe», risponde Wolkow. «La nostra società è ora matura per la democrazia e i cittadini russi se la meritano dopo tutte le catastrofi vis sute dall’inizio dell’Unione Sovietica ad oggi. E iniziate proprio in Sviz zera, a Zurigo». La città da cui Le nin, da anni in esilio, partì il 9 aprile del 1917, in treno, dentro un vagone piombato scortato da soldati tedeschi, alla volta di San Pietroburgo. Con il sogno di instaurare la «dittatura del proletariato».
Il volto di Vladimir Putin con attac cata al naso la canna di un fucile e la scritta: «La mia non è un’invasione».
Ci si riferisce all’ostinazione con cui il presidente russo definisce l’aggres sione a Kiev «un’operazione militare speciale volta a denazificare l’Ucrai na». Come non pensare subito a Pi nocchio… In un’altra vignetta – in titolata «Nostalgia» – si vede sempre lui, lo zar, occhi da matto, braccia na scoste dietro la schiena, cappello mi litare con stella rossa, falce e martello, nonché uniforme sovietica zeppa di medaglie: dell’ordine di Lenin e della Rivoluzione d’ottobre, delle Bandie re rosse, della Guerra nazionale, de gli Eroi dell’Unione Sovietica, della Vittoria, ecc.
C’è poi l’immagine con la carti na dell’Europa, colorata con i moti vi della bandiera americana. Sotto la scritta: «La guerra della Russia contro l’Ucraina ha prodotto cambiamenti storici e inattesi sul quadro strategico europeo, in primis la possibile adesio
ne di Finlandia e Svezia alla Nato».
Ma c’è anche il simbolo del gene re femminile, ovvero il cerchio con sotto una croce, trasformato in ber saglio. Rovinato, graffiato, bucato da pallottole. Ridotto a un colabrodo in somma. Si spiega: «Anche nel 2022 i femminicidi continuano a rappresen tare un cancro sociale endemico, di cui non riusciamo a liberarci». Giusto per dare qualche cifra: l’Ufficio fede rale per l’uguaglianza fra donna e uo mo, sul suo sito, segnala: «Ogni due settimane una persona muore a causa della violenza domestica; in media 25 l’anno». Manco a dirlo, si tratta nel la maggior parte dei casi di donne. Su www.stopfemizid.ch sono elencati i femminicidi commessi ogni anno nel nostro Paese: 14 nel 2022 (più 4 ten tati); 26 nel 2021 (11 tentati).
Ma torniamo alle vignette. Quel le che vi abbiamo descritto sono so lo alcune delle 130 contenute nel libro Dove sta Zazàr? La satira al tempo del la guerra in Ucraina ma non solo (Edi
zioni San Giorgio). Vignette disegna te da uno dei più conosciuti umoristi del cantone, Lulo Tognola, e arricchi te da brevi testi esplicativi di Alessan dro Tini, giornalista Rsi.
Si tratta il tema della guerra ma si parla anche di violenza di genere, del caro vita, della regina, del lupo in Val Rovana ecc.
Vi si tratta il tema della guerra, dice vamo, con i suoi aspetti più inquie tanti, ricordiamo ad esempio l’im magine di una bombetta (copricapo) – «Questa è una bombetta…» – con accanto la stilizzazione di una bomba col simbolo giallo del nucleare: «Que sta no!». E gli aspetti meno conside rati: la statuina di un gatto nero che piange una lacrima di sangue e ci in terroga «… e noi?». La didascalia: «Il diritto internazionale non prevede re ali forme di tutela degli animali nel
corso delle ostilità e dei conflitti ar mati. È tuttavia opportuno ricono scere che le vittime della guerra sono anche gli animali».
Le opere di Tognola non rimanda no solo alla crisi ucraina, come detto
parlano anche di violenza di genere, adesione della Svizzera all’Ue, caro vi ta; della regina Elisabetta, del lupo in Val Rovana ecc. Ci colpisce la vignet ta in cui si vede un uomo delle caver ne che impugna una clava borchiata e indossa una tunica a stelle e strisce: «Sì alle armi, no all’aborto… Per noi è normale!». Si riferisce alla decisione del 26 giugno scorso della Corte su prema degli Stati Uniti di abolire la storica sentenza Roe v. Wade con cui nel 1973 aveva legalizzato l’aborto. Tutte istantanee che raccontano l’attualità – il 2022 – in maniera lu cida, a volte feroce, ma senza urla re. Lasciandoci l’amaro in bocca e la mente che lavora. Il libro è anche la raccolta delle immagini che hanno animato la trasmissione di Teleticino, Radar, dove Tognola e Alfonso Tuor raccontavano il mondo contempora neo. Il ricavato della vendita del sag gio andrà a favore della Catena della solidarietà, in particolare alle azioni di sostegno al popolo ucraino.
Il libro ◆ Dove sta Zazàr? raccoglie numerose vignette di Lulo Tognola che raccontano l’attualità con grande lucidità e ironia Romina Borla
Frey
Fine cioccolato svizzero come contributo a lungo termine al la sostenibilità? È proprio questo l’obiettivo cui mira, sin dal 2012, l’esclusiva partnership tra la co operativa Necaayo e la società di produzione Migros Delica. La co operativa fornisce a Delica 1500 tonnellate di fave di cacao all’an no, di cui l’azienda svizzera può garantire la tracciabilità fisica e la catena del valore con la massima trasparenza. Regolari sopralluoghi in Costa d’Avorio consentono al team sostenibilità di Delica di co noscere più da vicino gli agricoltori e di recepirne meglio le esigenze in loco. Le visite rafforzano, inoltre, il rapporto di fiducia con i membri della cooperativa e permettono di verificare sul posto il rispetto degli accordi contrattuali.
Non da ultimo, per ogni tavolet ta della linea Côte d’Ivoire ven duta, 50 centesimi vanno diretta mente alla cooperativa Necaayo. La sovvenzione viene utilizzata per implementare progetti socia li sostenibili di cui beneficia non solo la comunità locale, ma anche l’ambiente.
mano
piantagione
2 Alunni della nuova scuola di Guiré
Quando ogni centesimo vale tanto oro quanto pesa Grazie al contributo di 50 centesimi per ogni tavoletta di cioccolato venduta è possibile finanziare, ad esempio, il materiale scolastico per circa 1000 alunni ogni anno.
Da sinistra a destra:
Côte d’Ivoire Noir 65 % 100 g Fr. 2.45
Côte d’Ivoire Noir 65 % al limone, 100 g Fr. 2.45*
Côte d’Ivoire al latte 100 g Fr. 2.45*
Côte d’Ivoire al latte al torrone e caramello 100 g Fr. 2.45
* in vendita nelle maggiori filiali
1
India ◆
«Ricordo ancora quel giorno, lo sa pevo che prima o poi sarebbe arriva to. Lo stavo aspettando. Quel giorno quando mio figlio e sua moglie han no indicato la porta di casa e mi han no detto che non potevo più stare con loro, che dovevo andare via. Ero una vedova, non potevano mantenermi, dovevo aiutarmi da sola». Quel giorno per Dayita, 75 anni, è arrivato poco dopo un anno dalla morte del marito. La incontro fuori da uno degli ashram (luogo di meditazione) di Vrindavan, la città delle vedove. È qui, in que sta cittadina quasi a metà strada tra Delhi e Agra, che trovano rifugio molte donne indiane che hanno per so il marito e che le famiglie non vo gliono più sostenere.
Sono più di 10mila e arrivano da tutta l’India. Tante sono vestite con un sari bianco (il bianco è il colore del lutto in questo Paese), vivono nei va ri templi della città. Essere vedova in India significa la perdita di ogni dirit to e l’emarginazione sociale, ancora di più per chi appartiene alle caste pove re. Addirittura un tempo, per «sfug gire» a questa condizione, c’era il rito della «sati», cioè la pratica di immolar si sulla pira insieme al marito defun to. Oggi per molte di loro non rimane che rifugiarsi in questa città sacra per gli indiani. Perché è qui, a Vrindavan, che fu portato Krishna subito dopo la nascita e dove visse la sua infanzia.
In passato in India era diffuso il rito della «sati», cioè la pratica di immolarsi sulla pira del marito defunto
Le vedove pregano per ore, con lita nie e canti, durante il mattino e nel pomeriggio nei vari ashram cittadini e in cambio ricevono un piatto di riso e lenticchie. E un posto dove dormi re sul pavimento all’interno del tem pio. Tutto quello che hanno è quello che si portano addosso. Le vedi cam minare nelle strade polverose, alcune appoggiate a un bastone, altre rasen tando i muri di calce. La popolazio ne qui non le ama molto e le rispet ta meno di altre donne. «Quello che mi danno da mangiare non mi basta e allora chiedo l’elemosina. Mi ver gogno ma ho fame», dice Bani, se duta al margine di una strada, sfio rata dai motorini e dal vociare dei giovani, mentre allunga la mano in cerca di un’offerta e con davanti una ciotola di metallo con dentro poche rupie. Ha gli occhiali spessi Bani, il suo sari da bianco è diventato grigio come i suoi capelli. «Lo so – conti
nua con il suo accento del Bengala – è un’umiliazione per me. Ma era mol to più umiliante come venivo trattata dai miei figli e dalle loro mogli do po essere diventata vedova. Per loro ero diventata un peso, un fardello da sopportare. Mi riempivano di paro lacce, mi consideravano una schiava, non mi davano da mangiare». Intan to con le mani nodose Bani si sistema la sciarpa bianca che le copre i capel li. «Dicevano addirittura che porta vo sfortuna. Allora, senza dire niente a nessuno, ho deciso di andarmene, allontanarmi da casa per venire qui».
In questa cittadina le vedove ven gono spogliate di tutti quei simbo li che ricordano la loro condizione prima del lutto: i capelli devono es sere corti, nessun sari colorato, nes sun gioiello. Vrindavan è attraversata dalle acque limacciose del fiume sa cro Yamuna, dove lungo le sue spon de, nel pomeriggio quando il sole sta per tramontare, si celebrano rituali e preghiere in onore di Krishna. Occi dentali seguaci del culto si mischiano agli indiani. Si accendono fuochi, si canta e si suonano tamburi. Un ritua le bello e spirituale, ma non sufficien te a rasserenare l’animo di Deepali, una vedova che guarda da lontano la cerimonia e che dice di avere 70 anni, ma la sua pelle e il suo sguardo dico no molti di più. Sussurra la sua storia, simile a tante altre: cacciata di casa dopo essere rimasta vedova, non più amata o forse mai amata dai suoi fi gli, sola senza sapere dove andare. La
fame unita al disprezzo delle persone vicine. «E così sono arrivata a Vrin davan, con il mio sari bianco. Nes suna delle altre donne mi ha chiesto la mia storia. Qui siamo tutte simili, quasi sorelle in questa cattiva sorte, ognuna con il nostro dolore». Fa un
respiro profondo Deepali, mi guar da e accenna un sorriso mesto e poi si allontana, curva sulle spalle, avvol ta dalla luce arancione del tramonto e i suoi passi sembrano quasi sospesi sulla terra rossa.
In una nazione vasta e piena di
contraddizioni come l’India, la discri minazione nei confronti delle donne è forte e radicata (discriminazione co munque diffusa, in forme diverse, in tutto il mondo). Una condizione so ciale difficile da cambiare. Assogget tate al patriarcato, quando diventano vedove perdono ogni diritto, anche se la Costituzione indiana non discrimi na i due sessi. Restano sottomesse agli uomini, che tendenzialmente non vo gliono cambiare mentalità.
Dalla porta di un tempio escono litanie e preghiere. L’interno è semi vuoto; il profumo dell’incenso cer ca di nascondere l’odore stantio che pervade la grande sala. Poche don ne accovacciate sotto una fioca lam pada intonano canti a Krishna. Nella penombra altre dormono sdraiate sul pavimento, avvolte in vecchie coperte, con la ciotola del riso accanto. Sem brano tutte appese a questo limbo di tempo, in attesa, nel loro purgatorio di Vrindavan, rassegnate allo scorrere della loro vita fatta di canti, preghie re ed elemosina. E forse sognano e ri cordano il tempo in cui portavano sari colorati, capelli lunghi e neri, quan do la loro esistenza era certamente più dignitosa. Con accanto il marito e i loro figli.
Su www.azione.ch si trova una più ampia galleria fotografica.
Annuncio pubblicitarioHai
ancora
mare
ricca
freschi
e
già porzionati. A te non resta che decidere la ricetta. Oltre a poter scegliere tra un’ampia selezione di
certificati MSC, ASC e bio, chi ha a cuore la sostenibilità trova in M-Check un valido strumento di valutazione per il pesce proveniente da fonti responsabili. Sono fonti responsabili quelle che preservano gli ecosistemi a lungo termine e garantiscono condizioni di lavoro socialmente eque lungo tutta la catena di approvvigionamento.
Economia ◆ Gli esperti parlano della fine dell’abbondanza e di una grande incertezza sul futuro a breve, media e lunga scadenza. Intanto cerchiamo di capire i motivi alla base dell’impennata dei prezzi
Ignazio BonoliSegnali provenienti da praticamente tutti i Paesi del mondo segnalavano – già da parecchi mesi – una chiara tendenza inflazionistica. A metà ot tobre i dati nazionali indicavano, per esempio, un 8,2% negli Stati Uni ti, un 10% in Germania, un 8,9% in Italia. Interessante l’analisi dei dati disaggregati ad esempio per l’Italia: il rincaro è dovuto nella misura del 15,5% alla spesa per generi alimenta ri, del 17,10% per i servizi e del 44,5% per l’energia. In Svizzera siamo rima sti al 3,5%, perfino con una piccola diminuzione rispetto al dato prece dente. Ma questo è dovuto soprattut to alla forza del franco, che impedisce di importare inflazione, ma nel con tempo può danneggiare il turismo e le esportazioni.
A che cosa è dovuta questa im provvisa fiammata dei prezzi? Una gran parte degli economisti che se guono giorno per giorno l’evoluzio ne dei prezzi sono concordi nell’at tribuire a un eccesso di domanda il primo aumento dei prezzi, in segui to sostenuto anche da disturbi nell’of ferta. Tradotto in termini più sempli ci si tratta di un’eccessiva immissione di moneta nel sistema economico, che ha favorito uno sviluppo eccezionale della domanda. Un esempio tipico di questa situazione, anche in Svizzera, può essere visto nell’eccezionale svi luppo immobiliare, iniziato ben pri ma delle spinte provocate dalla guerra in Ucraina.
In questo contesto si accentuano anche le disparità sociali, perché l’inflazione colpisce in misura più marcata i ceti meno abbienti
A questa situazione già precaria è se guita la guerra, ma soprattutto l’im pennata dei prezzi dell’energia. Non solo del gas russo, ma anche di tanti altri fattori energetici, dal petrolio al la corrente elettrica. Qui i prezzi sono saliti a limiti vertiginosi (da sei a die ci volte i prezzi di prima della crisi). Analizzata in termini di teoria eco nomica, siamo qui di fronte a un’in flazione da offerta. Cioè perfino di un’offerta che è venuta a mancare o almeno a ridursi di parecchio rispet to a prima. In economia si sa che l’au
mento del prezzo di un bene è dovuto alla sua rarità. Questo spiega l’im provviso forte rincaro dei prezzi sui mercati dell’energia. Probabilmente non tutto il rincaro, poiché vi è sicu ramente molta speculazione, ma con ta il fatto che sia i venditori sia i com pratori prevedono un peggioramento della situazione che durerà probabil mente qualche anno, per cui anche i cosiddetti «futures» (cioè l’acquisto al prezzo di oggi di un bene che ri ceverò in futuro) registrano prezzi in aumento.
L’attuale diminuzione dei prez zi del petrolio e soprattutto del gas (metà ottobre) serve probabilmente a correggere alcune storture del merca to, dovute in gran parte alla specu lazione. La tendenza di fondo non è cambiata. Anzi, si sono visti fornito ri che non hanno riversato sul consu matore finale il vantaggio di prezzo ottenuto, grazie proprio ai «futures».
consulenza della Banca Migros
Probabilmente il timore che i prezzi possano continuare a crescere ha in dotto i fornitori a proteggersi con un immediato adeguamento dei prezzi al consumo.
Va anche detto che i prezzi dell’e nergia hanno un influsso immediato sia sui prezzi alla produzione (azien de molto dipendenti dal fattore ener getico), sia sui prezzi al consumo (per esempio i trasporti o prodotti agrico li coltivati in serra). Tutto questo si gnifica che l’attuale inflazione ha basi molto solide e rischia di durare a lun go nel tempo.
Le autorità monetarie mondiali (soprattutto le banche nazionali) so no in gran parte responsabili dell’in flazione da domanda, poiché han no fornito capitali in abbondanza sia alla produzione, sia al consumo. Questo però con l’obiettivo dichiara to di riportare l’inflazione al massi mo al 2%, tasso ritenuto «normale»
per un’economia di mercato. L’er rore è stato fatto nel lasciar scende re i tassi di interesse al limite massi mo sopportabile, per poi rilanciarli, tramite i tassi di sconto, ma in un momento molto critico per l’econo mia mondiale.
Qualche autore, analizzando la si tuazione, l’ha definita «fine dell’ab bondanza», seguita da una grande incertezza sul futuro a breve, media e anche lunga scadenza. Le banche centrali proseguono ora la loro poli tica di rincaro del costo del denaro, ma così facendo rendono la vita dif ficile tanto ai produttori, quanto ai consumatori.
In questo contesto si accentuano anche le disparità sociali, perché l’in flazione colpisce in misura più mar cata i ceti meno abbienti. Il celebre economista e politico liberale italia no Luigi Einaudi l’aveva definita «la tassa sui poveri». Per evitare dan
ni maggiori gli Stati mettono in atto politiche di sostegno sia per le azien de, sia per la popolazione. Dal can to loro i sindacati chiedono aumenti di salario per compensare la perdita di potere d’acquisto. Questo rischia di vanificare gli sforzi della politica monetaria, il cui obiettivo è quello di ridurre l’eccessiva domanda, tramite l’aumento dei prezzi, ma anche soste nendo un’offerta che si sta sgretolan do (fallimenti di aziende).
Recenti stime indipendenti valu tano che la situazione si protrarrà al meno fino al 2026. Periodo in cui si verificherà anche una recessione (Pil in calo). Se ciò sarà accompagnato anche dalla disoccupazione (aziende che chiudono per i costi dell’energia), si avvierà la classica spirale «prezzi salari» che porterà il sistema in una fase di «stagflazione», con gravi in cognite sia sull’entità della crisi, sia sulla durata.
Prima di optare per un investimento è necessaria una riflessione approfondita
Ho diversi fondi e adesso mi ser ve una grossa somma in contanti. Posso uscire da un fondo in qual siasi momento?
Dipende dal tipo di fondo, ovve ro d’investimento effettuato. Nel caso dei fondi chiusi il capitale degli investitori rimane vincolato nel fondo per un periodo di tempo prolungato; gli investitori diven tano coimprenditori in un pro getto di investimento e di norma non possono riaccedere al proprio denaro nel breve termine. La cosa è possibile solo con diritti parti
colari, che in genere comportano costi extra.
Nel caso dei fondi aperti, invece, gli investimenti vengono nego ziati. Le quote possono essere ri scattate o vendute a breve termine.
I fondi aperti sono classici stru menti di investimento su cui si basa la maggior parte dei piani di risparmio.
Chi ha sottoscritto un piano di ri sparmio in fondi di Banca Migros e ha urgente bisogno di denaro, per esempio, può uscire dal fondo in qualsiasi momento senza pagare
alcuna trattenuta. Se si è costret ti a vendere in urgenza, tuttavia, si corre il rischio di uscire nel mo mento peggiore.
Per questo prima di decidere un investimento è opportuno valutare attentamente se si può fare a meno del capitale investito per un certo periodo di tempo. Nel caso delle azioni servono almeno dieci anni per ammortizzare gli alti e bas si dei mercati. Per rendersi le cose più semplici è consigliabile diffe renziare gli investimenti. Innan zitutto un fondo cassa, per coprire
le spese a breve termine, che do vrebbe contenere circa tre stipen di mensili netti. Poi un fondo di sicurezza per investimenti piani ficabili, come ad esempio l’acqui sto di una nuova auto nei cinque anni a venire. Infine un investi mento di crescita per aumentare il capitale o come previdenza per la vecchiaia.
Consiglio Contattate il vostro consulente bancario per sapere se è possibile prelevare denaro da altri fondi.
Recentemente si è tenuto a Villa Ne groni, a Vezia, il primo Non Profit Day, ossia la prima giornata di stu dio sulle tecniche e le soluzioni da ap plicare per risolvere i problemi delle aziende del settore non profit che rag gruppa le fondazioni, le associazioni e le cooperative del nostro Cantone che orientano la loro attività verso sco pi diversi da quelli di conseguire un profitto. Una settimana dopo circa, il vescovo Valerio Lazzeri annunciava pubblicamente di voler rinunciare alla sua carica tra l’altro perché gestire la diocesi era diventato per lui un com pito superiore alle sue competenze e, si pensa, anche alle sue forze. Peccato che il Ceo della maggiore azienda del settore non profit ticinese abbia aspet tato una settimana per comunicare le sue dimissioni. L’avesse fatto al Non Profit Day il suo intervento avrebbe potuto diventare il key speech di quella giornata di studio.
Ora l’attenzione dell’opinione pubbli
ca ticinese si volge verso tre aspetti le gati alla nomina del possibile succes sore. In primo luogo si vorrebbe sapere chi potrebbe essere. In secondo luogo si teme che non sia più un ticinese e che l’autonomia della diocesi di lingua italiana possa essere rimessa in discus sione e, in terzo luogo, si formulano ipotesi sulla lunghezza del periodo di transizione dal vecchio al nuovo ve scovo. A parte la questione della pos sibile perdita dell’autonomia, si tratta di quisquilie.
I problemi veri della diocesi di Lu gano sono infatti di un altro ordine: è necessario trovare nuove soluzioni per riequilibrare le sue entrate e le sue uscite. Infatti, finanziariamente par lando, la chiesa cattolica ticinese fa acqua da tutte le parti. Da anni si par la di queste difficoltà dovute, è bene sottolinearlo sin dall’inizio, all’insuf ficienza dei ricavi, ma finora nessuno sembra aver trovato una soluzione va lida. La diocesi è un’azienda che for
nisce servizi, soprattutto di carattere religioso, gratuitamente o quasi, alla popolazione di religione cattolica (che è sempre ancora la maggioranza del la popolazione residente). Per svolgere questi servizi occupa un battaglione di collaboratori, remunerati più male che bene. Inoltre possiede un enorme pa trimonio immobiliare (pensiamo sola mente alle più che 600 chiese e oratori dispersi in tutto il territorio cantona le) che richiede costi di manutenzione ingenti e non produce, salvo rare ec cezioni, un centesimo di rendita. Le fonti di entrata sono numerose e non staremo a enumerarle. Tuttavia carat teristica comune delle stesse è che so no insufficienti.
Da qualche anno la diocesi segue una politica di austerità finanziaria: la stessa però non sembra dare i frutti sperati. I disavanzi di esercizio si ac cumulano. Sembra che nel 2021 ab biano largamente superato il milione di franchi. Quest’anno, con l’infla
Sta nascendo, in Italia, il primo Go verno guidato da una donna, e il primo Governo guidato da una leader espres sione della destra radicale, quella ere de del Movimento sociale. È una svolta storica. La vittoria di Giorgia Meloni non avrebbe potuto essere più netta: il 25 settembre nel Paese; poi al Senato, dove il suo candidato Ignazio La Rus sa è stato eletto presidente al primo col po, senza i voti di Forza Italia ma con almeno 19 voti di esponenti dell’oppo sizione. Eppure per Meloni il difficile viene adesso. Perché la donna che da oggi è la front-runner del centrodestra, per il consenso popolare e per la capa cità di farlo valere nel Palazzo, deve af frontare il vero nodo. Ovvero decidere se stare con l’Europa o con i sovranisti, con Zelensky oppure con Putin, con il partito del rigore o con quello dello scostamento di bilancio.
C’è ovviamente una questione di rap porti dentro la maggioranza. Un’inte
sa va trovata e non può passare per l’u miliazione di Berlusconi, che resta pur sempre il fondatore del centrodestra. È interesse anche di Meloni evitare che il fallimento, quindi la vendetta, diventi la missione della vita del Cavaliere. Ma la vera questione è il rapporto con l’Eu ropa. Meloni deve affrontare uno dei momenti più drammatici della storia europea. In questo secolo abbiamo già superato crisi terribili: l’11 settembre, il crollo di Wall Street, la pandemia; ma i prezzi restavano stabili. Ora i prez zi sono impazziti, mentre sui confini orientali del Continente scoppiava una guerra senza quartiere. In un’Europa priva di leader, senza Angela Merkel e con un Emmanuel Macron dimez zato, tornano gli egoismi nazionali, a partire dalla Nazione economicamente più grande, la Germania. Ma farsi con durre su quel sentiero è forse nell’istin to, ma certo non nella convenienza di Meloni. Mai come oggi l’interesse na
Corrono tempi bui, «mala tempora», e per di più permeati di rassegnazio ne. Perché proprio questa ci sembra la cifra di questa nostra epoca: la rasse gnazione, che sempre più si accompa gna al disincanto e al fatalismo. Come se il corso della storia fosse già prede finito e quindi incontrastabile, dalle relazioni internazionali alla politica locale. Si preferisce non immischiar si, astenersi, e quindi delegare ad altri, non necessariamente ai più virtuosi, il governo della cosa pubblica. Altro che «libertà è partecipazione», come cantava Giorgio Gaber. Ora prevale l’attesa alla finestra. Sul palcoscenico occidentale gli unici attori che ancora osano scendere in piazza sono i gio vani di Fridays For Future, per il resto silenzio o quasi. Perfino il movimento pacifista appare smarrito e diviso su quali azioni intraprendere, pur aven do non lontano dall’uscio di casa una
guerra che rischia di trascinare tutti nel baratro nucleare.
Ecco, il pacifismo. Tra qualche set timana la città di Basilea – già sede nel 1897 del primo raduno sionista –ricorderà il Congresso della pace te nutosi nel novembre del 1912, ossia centodieci anni fa. All’incontro, pro mosso dall’Internazionale socialista (o Seconda Internazionale), conven nero oltre cinquecento rappresen tanti dei maggiori partiti socialisti del Continente al grido «Krieg dem Kriege!», guerra alla guerra. Nume rosi i dirigenti di spicco della social democrazia europea, non ancora lace rata dalle scissioni che sarebbero poi intervenute durante e subito dopo la grande guerra del 1914-18: Jean Jau rès, James Keir Hardie, Viktor Adler, August Bebel, Clara Zetkin, Alek sandra Kollontaj… Motivo della mo bilitazione era la ripresa delle ostili
zionale passa dai buoni rapporti con la Commissione di Bruxelles, da cui l’I talia deve incassare in tutto 191 miliar di, con la Banca centrale, che deve con tinuare a comprare i titoli di Stato dei Paesi più indebitati, con il Cancelliere Olaf Scholz che non può boicottare per sempre il tetto al prezzo del gas, e con la Francia che resta il partner economi co naturale dell’Italia. Meloni non è Mario Draghi. Per esse re credibile in Europa deve al più presto stabilizzarsi in patria. Dopo aver trova to con Sergio Mattarella l’accordo sul la lista dei ministri, dovrà collaborare con il premier uscente nella delicata fa se di passaggio dei poteri e garantire la tenuta della propria maggioranza. Ero al Senato settimana scorsa e due cose mi hanno colpito. La calma di Matteo Salvini, all’evidenza soddisfatto dal le promesse: le Infrastrutture per sé, con i denari del Recovery da spendere; la presidenza della Camera per il suo
zione, il disavanzo supererà quasi cer tamente i due milioni. Come si è già ricordato, il deficit della chiesa catto lica ticinese è strutturale e con il tem po non può che aumentare. Perché, lo ripetiamo, le entrate sono carenti. Se condo noi, per por rimedio a questa situazione non restano aperte che tre strade. La prima è quella di alienare il patrimonio immobiliare. Pochi so no però gli usi alternativi che si posso no fare di chiese e oratori. Gli esempi però non mancano. In altri Cantoni, e per iniziativa di altre chiese, quel la protestante in primis, sono stati fat ti esperimenti interessanti. Le chiese sconsacrate sono diventate centri so ciali, centri seminariali o addirittura sale per spettacoli e intrattenimenti.
Agli investitori e agli speculatori più degli edifici religiosi potrebbero però interessare le superfici che questi oc cupano per costruirvi, che so, un nuo vo supermercato, un albergo o un pa lazzo amministrativo. L’alienazione di
parte del patrimonio immobiliare non costituirebbe però che una soluzione transitoria che consentirebbe al mas simo di ridurre il pericolo del deficit per qualche anno.
La seconda strada che la diocesi po trebbe seguire (e in parte sta già se guendo) è quella della ristrutturazione con la riduzione drastica del numero delle parrocchie e dei servizi religiosi offerti. È tuttavia probabile che que sto tipo di ristrutturazione si ripercuo ta negativamente anche sulle entrate. La terza strada sembra per finire la so la che prometta una soluzione stabile. Si tratterebbe, come è uso in altri Cantoni, di introdurre l’imposta di culto obbligatoria per i cattolici ticine si. Basterebbe un gettito pro-creden te modesto, probabilmente inferiore ai 100 franchi annui, per allontanare, per un paio di decenni almeno, le dif ficoltà finanziarie dal novero dei pro blemi di cui dovrà occuparsi il futu ro vescovo.
vice Lorenzo Fontana; gli Interni per un tecnico d’area; gli Affari regionali per un fedelissimo, con l’autonomia da conquistare. Lo stesso Giorgetti all’E conomia non sarebbe una sciagura per Salvini: se facesse bene sarebbe un suc cesso per il Carroccio, se fallisse sareb be un fallimento suo.
Dall’altra parte, la confusione di Ber lusconi – che prima impone ai suoi di astenersi e poi in un attimo di distra zione di Licia Ronzulli, la sua «donna forte», si fa accompagnare al voto da Daniela Santanché – se ha reso pos sibile la vittoria di giornata di Meloni, alla lunga può diventare un problema per il suo Governo. Ecco perché ser ve un’intesa che non generi rancori ma stabilità. Fratelli d’Italia, che ora ha sia Palazzo Chigi (sede del Governo) sia Palazzo Madama (sede del Senato) do vrà alzare il livello: non accontentan do i capricci degli alleati ma formando una squadra solida, aperta ai compe
tenti, competitiva in Europa, non mi nata in partenza dalle piccole beghe di casa nostra. Gli italiani, mai così in dif ficoltà, non capirebbero. E l’innamora mento diventerebbe presto disillusione. Meloni finora si sta muovendo in modo accorto. Che la destra faccia la destra è nelle cose. La vittoria che ha ottenuto il 25 settembre non è solo politica ma culturale. Se la destra vince a Sesto San Giovanni, a Modena, a Pistoia, a Pi sa, a Livorno, a Siena, se Fratelli d’Ita lia è il primo partito in Toscana, allora la vittoria non è solo un fatto nume rico, denota l’incapacità della sinistra non solo di rappresentare i ceti popo lari e i territori che governa da sempre, ma pure di proteggere la memoria di sé stessa. Nella trattative con Berlusconi, Giorgia Meloni ha confermato di ave re un piglio da leader. Il Governo sarà giudicato, più che dai nomi, dai fatti. Sarà una prova durissima e l’Europa non appare molto ben disposta.
di Orazio Martinettità nell’area balcanica, dove gli eserciti di Bulgaria, Serbia, Grecia e Monte negro si erano coalizzati contro l’im pero ottomano. In quel teatro bellico le grandi potenze europee non erano intervenute direttamente, ma è certo che se il fronte si fosse esteso nella fa scia nordafricana lo scontro tra i vari imperialismi sarebbe stato inevitabi le. Di qui l’allarme generale e l’invi to a non cedere alla propaganda dei guerrafondai: «Il congresso constata che tutta l’Internazionale socialista è unita su queste idee essenziali della politica estera. Esso chiede ai lavora tori di tutti i Paesi di opporre all’im perialismo capitalistico la forza della solidarietà internazionale del proleta riato; avverte le classi dirigenti di tut ti i Paesi di non accrescere ancora con azioni di guerra la miseria inflitta alle masse dal modo di produzione capi talistico. Chiede, esige la pace».
Purtroppo le cose andarono diversa mente. Mire coloniali e le ataviche rivalità tra le grandi potenze – l’In tesa da un lato (Francia, Gran Bre tagna, Russia e dal 1915 l’Italia) e gli Imperi centrali dall’altro (Germania e Austria-Ungheria) – innescarono nell’estate del 1914 una reazione a ca tena mai vista prima e che coinvolse anche gli esponenti socialisti che due anni prima avevano sottoscritto la ri soluzione di Basilea. Nel giro di pochi mesi il conclamato internazionalismo della classe operaia europea cedette di schianto; i principali partiti del Con tinente, tra cui l’ammirata e superor ganizzata socialdemocrazia tedesca, abbandonarono l’Internazionale per schierarsi con i rispettivi Governi. Il Kaiser Guglielmo II ringraziò di cuo re gli ex avversari per la ritrovata uni tà: «Nella lotta che ci attende non ve do più partiti nel mio popolo. Tra noi
ci sono solo tedeschi». La fratellanza universale e la solidarietà svanirono, tranne che nei Paesi rimasti neutrali, in Svizzera e, fino al maggio dell’an no successivo, nel Regno d’Italia. Nel 1934 lo scrittore francese Louis Aragon ne riprese idee e contesto nel romanzo Les cloches de Bâle (Le cam pane di Basilea), con un occhio già ri volto ai possibili, infausti sviluppi: «A Basilea, le campane sono sia quelle della vigilia del Quattordici, sia quelle del Trentanove che si sta approssiman do». Funerei rintocchi che risuonaro no anche nelle pagine che nel 1940 Ernest Hemingway avrebbe dedicato alla sua esperienza in Spagna nelle file dei repubblicani antifranchisti: «… e dunque, non chiedere mai per chi suo na la campana. Essa suona per te». Os sia per tutti noi, increduli e turbati per tutta la violenza che vediamo correre in groppa ai cavalli dell’Apocalisse.
La francesista Daria Galateria in un brillante saggio uscito per Sellerio racconta l’importanza degli animali nella vita e nell’opera di Proust
Pagina
Non si può certo dire che il grande sforzo per indagare l’ignoto messo in campo dalla Triennale di Milano in occasione della 23esima Esposizio ne internazionale, intitolata Unknown Unknows, non lasci il segno. Uscen do spossati dal monumentale palaz zo progettato da Giovanni Muzio nel 1933, dopo aver trascorso alcune ore a percorrere gli oltre 10’000 metri qua drati sui quali si dispiegano le diver se esposizioni che compongono questa edizione, dopo aver visto centinaia di opere d’arte e di oggetti di design, do po aver guardato innumerevoli filmati, dopo aver ascoltato le voci di filosofi, scienziati, progettisti e architetti, do po aver letto decine di testi introdut tivi e didascalie, si ha tuttavia l’im pressione, che tutto questo accumulo di sapere e di conoscenza non riesca minimamente a scalfire l’enorme mole di cose che non sappiamo, e che pro babilmente non sapremo mai, sull’u niverso in cui viviamo. Ci si potreb be quindi chiedere se fosse veramente necessario mettere in piedi questo di spendioso e impegnativo tour de force per poi approdare all’antichissimo, so cratico, «sapere di non sapere», che in questa occasione viene riproposto con formula leggermente rinnovata: «quel lo che non sappiamo di non sapere».
Non è tuttavia una semplice con statazione della vanitas di ogni for
ma di conoscenza umana, l’obiettivo degli organizzatori, ma, come sot tolinea Stefano Boeri nell’introdu zione al volumetto di saggi – alcuni di grande interesse – che accompa gna l’esposizione, l’intento è piuttosto quello di proporre una riflessione sui profondi cambiamenti che stanno se gnando il nostro modo di relazionarci con il mondo.
Al centro di Unknow Unknows vi è infatti quella vera e propria rivoluzio ne copernicana che si è affermata ne gli ultimi anni a partire da una mes sa in discussione della pretesa alterità dell’uomo rispetto a tutte le altre spe cie che con lui condividono il piane ta terra. Come scrive lo stesso Boeri, l’erosione «del dualismo tra umano e non-umano inteso come presupposto concettuale del nostro essere al mon do, ha avuto e sta avendo un immedia to riscontro nell’estensione della sfera dell’ignoto, di quanto non sappiamo, non mappiamo, non controlliamo. Un contraccolpo radicale, che ha il tono e la potenza di una nuova prospettiva sul mondo». Se il nostro essere nel mon do non può più basarsi, come nel pas sato, sulla «distanziazione cognitiva e culturale dal mondo stesso», ecco che l’ignoto non è più un territorio ancora da conquistare, da colonizzare, ripor tandolo così entro i confini del nostro sapere e del nostro controllo come l’ hic
sunt leones delle antiche cartografie medievali. L’ignoto, in questa nuova prospettiva, è ovunque, intorno e den tro di noi, e quindi, come scrive sem pre Boeri, deve diventare «una condi zione da abitare ed esplorare senza più alcun anelito totalizzante».
La grande mostra al centro di que sta edizione della Triennale, curata dall’astrofisica Ersilia Vaudo, si muove così lungo i bordi dell’ignoto contem poraneo con un approccio interdisci plinare che mira a evidenziare quelle esperienze in ambito artistico, scien tifico e progettuale che con spirito di esplorazione e di ricerca si spingono ol tre i confini del noto non più per rica varne come in passato modelli e stru menti di dominio o di sfruttamento economico delle risorse naturali, ma piuttosto per immaginare soluzio ni inattese e imprevedibili che possa no aiutarci ad affrontare le emergen ze del nostro tempo a partire da una prospettiva nuova, fondata sull’agire simbiotico tra l’uomo e le altre specie. Una prospettiva, e questo va sottoline ato, perseguita con coerenza, visto che l’allestimento è stato realizzato con stampanti 3D direttamente negli spa zi espositivi e utilizzando materiali di origine naturale. Del resto, come testi monia in maniera ampia e documen tata la mostra La tradizione del nuovo, realizzata a partire dalle collezioni del
Museo del Design e dagli Archivi del la Triennale, il design italiano fin dal dopoguerra è stato attraversato da uno spirito di ricerca e di innovazione che lo ha portato a confrontarsi con l’igno to per immaginare soluzioni e progetti con cui contribuire alla trasformazione radicale della società.
Se nella mostra principale, come abbiamo visto, prevale la dimensione cosmica e l’approccio scientifico, a ri portarci sulla terra ci pensa la mostra Mondo reale curata dalla Fondation Cartier di Parigi che attraverso le ope re di una ventina di artisti contempo ranei ci invita a guardare all’ignoto e al mistero che ogni giorno si fanno lar go nella nostra quotidianità. Seguendo la misteriosa traiettoria dell’uomo nu do seduto a prua di una barca di Ron Mueck (Man in a Boat, nell’immagi ne) che piega leggermente il capo per osservare qualcosa che sta dietro le no stre spalle, passando per i cieli sfuma ti dipinti da Sho Shibuya sulle prima pagine del «New York Times» e finen do con il surreale interrogatorio di una scimmia accusata di omicidio da parte di David Lynch, la mostra è un invito ad abbandonarsi allo stupore che nasce dentro le pieghe della realtà.
Ma nella costellazione di mostre e progetti che compongono il fitto programma di questa edizione del la Triennale ci sono molte altre cose,
come le 23 sale dedicate alle parteci pazioni nazionali dove, oltre alle nu merose presenze di paesi africani, si segnalano in particolare quella fran cese e quella olandese, oppure la pro posta, a dire il vero un po’ affettata e manierata del Corridoio rosso imma ginato dagli storici dell’arte Giovan ni Agosti e Jacopo Stoppa. E poi an cora, le strutture architettoniche di Francis Kéré, le seminali esperienze con il mondo della tecnologia di Et tore Sottsass negli anni della collabo razione con la Olivetti e infine il film dedicato all’architettura visionaria di Andrea Branzi.
Quasi sempre, e anche quella della Triennale non fa eccezione, le esposi zioni internazionali sono delle gran di macchine che vengono calate come delle reti a strascico dentro la contem poraneità nel tentativo, spesso fru strato, di riuscire a catturare in questo modo quell’entità sfuggente e inde cifrabile che è lo spirito del tempo. Questa volta la Triennale, come già era accaduto in alcune ormai storiche edizioni del passato, sembra però aver raggiunto lo scopo.
Dove e quando Unknown Unknows, Triennale di Milano, fino all’11 dicembre 2022. Ma-do 11.00-20.00. www.triennale.org
L’artista e poeta francese attraverso la sua arte ridà voce e sostanza a corpi disprezzati ed esclusi regalandogli finzioni narrative alternativePagina
La cultura della cancellazione Oggetto di un fiorire di pubblicazioni, la cancel culture è un fenomeno complesso, ricco di significati e ricadute sulla società occidentale
Se agli happy few che hanno letto da cima a fondo i sette volumi della Re cherche si chiedesse all’improvviso di elencare senza indugio alcune delle immagini che più efficacemente illu strano i rapporti di Proust con le for me e i colori della natura, penso che quasi tutti menzionerebbero i bianco spini che nel mese di Maria adorna no l’altare di sant’Ilario, a Combray; i lillà che levano i loro pennacchi al di sopra del muro di cinta della te nuta di Swann; le ondulanti ninfee della Vivonne; gli asparagi monda ti da Françoise e dipinti da Elstir; le cattleye che nel linguaggio segreto di Swann e Odette («faire cattleya») al ludono metaforicamente al rapporto sessuale. Elencherebbero, insomma, delle immagini riguardanti il regno vegetale.
Ma in alcuni di loro, forse, il ricor do delle cattleye applicate ai capelli e lungo le scollature degli abiti di Odet te richiamerebbe all’istante un’altra orchidea: quella che attende di essere fecondata dal calabrone attentamen te osservato dal narratore nel cortile del palazzo dei duchi di Guermantes, dove avviene l’incontro, seguito poco dopo da un non visto ma rumoroso (e necessariamente infecondo) rapporto carnale tra il barone di Charlus e l’ex farsettaio Jupien.
Il calabrone che compare all’ini zio di Sodoma e Gomorra (la cui prima parte è anche un piccolo saggio sull’o mosessualità) è uno dei molti anima li presenti – come figure reali o me taforiche – nel complesso e variegato mondo della Recherche: «un’arca di Noè, in cui Proust ha messo in salvo, a centinaia, i suoi animali perduti». Così si legge in apertura del saggio Il
bestiario di Proust, opera recente del la francesista Daria Galateria, la qua le aggiunge: «Di un centinaio, scelti quasi a caso, si prova qui a riassume re come entrano in scena – tra lettere, poesie, novelle, fogli persi, quaderni preparatori, romanzi – e poi cosa di ventano, e in che ruoli recitano».
Il saggio è diviso in due parti. La prima è una sequenza di brevi capito li a tema (Arca di Noè, Contro la cac cia, Sadismi, Contro lo zoo, Animali che fanno ribrezzo, Animali parricidi, Amori sterili, ecc.), la seconda una sor ta di dizionario formato da 115 sche de che trattano di altrettanti animali. Del calabrone sopra menzionato, ad esempio, si parla alla voce «Calabro ne» e alla voce «Insetto», dove ritro viamo un imenottero già incontrato nel capitolo intitolato Bestie come me («Proust spesso, per parlare di sé in modo profondo, lo fa identificandosi con animali»), nel quale Galateria ri porta il passo di una lettera a Gaston Gallimard in cui lo scrittore, citando Fabre e Mečnikov, si paragona alla vespa scarificatrice. «Ma è in Miche let» aggiunge Galateria «che Proust ha raccolto l’dea (falsa) che la morte attende la vespa subito dopo aver pre disposto il cibo per la sua discendenza – per lo scrittore, il cibo spirituale per i lettori del futuro.»
Se, all’inizio della Recherche, l’io narrante (che non corrisponde esat tamente a Marcel Proust) si identifi ca con una rondine di mare, e in Sodoma e Gomorra con un gufo, in una lettera all’amico Robert Dreyfus, Proust si paragona a un baco da se ta. È invece un poney in alcune let tere indirizzate all’amante Reynaldo Hahn, che lo aveva così soprannomi
nato, mentre in una poesiola, desti nata anch’essa a Reynaldo, diventa «il tuo bassotto miserando / che non può seguirti come un cane vero». Il tema dell’identificazione è tra i più forte mente e significativamente aggregan ti nel saggio di Galateria sul bestiario proustiano. Lo è al pari di altri due: l’omosessualità, di cui ho già detto, coi suoi rapporti sessuali sterili, e il sadismo, che ha la sua esemplifica zione più impressionante in uno dei cinque capitoli intitolati Amori par ricidi, nel quale si racconta un sogno del narratore che adombra ciò che Galateria chiama «la leggenda “ne ra” di Proust», e che secondo il gran
Di solito gli insegnanti evitano di avere i propri figli tra i loro alunni. Un maestro elementare di Vigevano, invece, un po’ per anticonformismo e un po’ per masochismo, il figlio se l’è fatto mettere in classe. Lo stipendio è magro, quindi fa di tutto per otte nere perlomeno la stima dei superiori (basta partecipare a qualche cenaco lo pedagogico, battere le mani, evita re di sbadigliare) e delle famiglie degli allievi (bastano i voti alti in pagella). Avendo una direttrice non troppo ge nerosa nel concedergli la propria sti ma, il maestro si gode qualche siga retta in classe, giusto per il gusto della trasgressione (anche uno dei miei pro fessori all’università fumava duran te le sessioni di esame). Solo che un giorno, tra voluttuose boccate di fu mo, mentre gli allievi svolgono il te ma «Perché devo essere serio» (!), la direttrice entra all’improvviso e lo scopre rimproverandolo e umiliando lo davanti a tutti. Una volta a casa, la moglie e la suocera gli chiedono del foro nella stoffa. Sarà il figlio a rivela re il misfatto (non svelo qui il motivo della delazione: gli interessati recupe rino il testo). Lo sguardo soddisfatto che le due donne si scambiano porterà alla seconda umiliazione della giorna ta per l’uomo.
È questo, in sintesi, il fulminan te racconto La sigaretta di Lucio Ma stronardi, noto anche per essere stato
antologizzato in una raccolta di pez zi brevi (curata da Bruno Beffa, Giu lia Gianella e Guido Pedrojetta) che ha fatto la fortuna di tanti insegnan ti ticinesi (e si spera anche di qualche studente).
Qui (e, con ben altra complessità, nella vicenda di Zeno Cosini) il fatto che un personaggio si accenda (o me no) una sigaretta non è proprio un ge sto insignificante, ma, tranne che in casi clamorosi come questi, confesso di non averci mai prestato particolare attenzione (se non retroattivamente).
Del tipo: va bene, Tizio prima di par lare estrae il pacchetto dalla tasca, ma vediamo di andare un po’ rapidamen te a quel che dice.
Sarà invece buona cosa farci caso nella raccolta di Stuart Evers, Dieci storie sul fumo, ora disponibile anche nella traduzione italiana (l’originale è del 2011 e ha segnato l’esordio dello scrittore inglese). L’autore fa della si garetta addirittura l’oggetto su cui si regge l’intero macrotesto, ed è chia ro che, con un titolo simile, il letto re (un po’ come il fumatore) brama la prossima sigaretta, fino all’ultima di cui leggerà (o che fumerà), e alla qua le è significativamente dedicato l’ul timo pezzo.
Così, attorno alla sigaretta si cri stallizzano temi e motivi, come quel lo della crisi di coppia, in cui il fumo può costituire un elemento più o me
no rilevante dal punto di vista narra tivo. Come nel caso di Peter e Jean. Lui, appena si conoscono, le parla del proprio disturbo del sonno, adducen do motivazioni ereditarie, ma quando lei gli chiede di sposarla, Peter le rive la che forse, a causa di una sigaretta, è responsabile della morte di trentuno persone. O come capita nella vicen da di Angela e Marty, che si ritrova no parecchi anni dopo la loro sepa razione. Lei lo intercetta su internet e lo invita a raggiungerla in un hotel di Swindon. Fanno l’amore, poi lei si accorge che qualcosa non torna: «Hai smesso di fumare?», gli chiede in to no accusatorio avvertendo il cambia mento dell’odore della pelle di lui. «Da cinque anni o giù di lì», rispon
de biografo David G. Painter è una realtà attendibilmente testimonia ta: e cioè che Proust, nel 1917-19, fece portare più volte dei topi nel bordello per omosessuali di Alfred Le Cuziat (nella Recherche è diventato Jupien), dove raggiungeva l’orgasmo guardan do alcuni giovani opportunamente ammaestrati che li trafiggevano con degli spilloni o li uccidevano a basto nate: topi che rappresentavano mol te cose, ma soprattutto i genitori e la loro riprovazione per l’omosessualità del figlio.
Ma quale fosse il sentimento pro fondo di Proust davanti alle manife stazioni di crudeltà nei confronti de
gli animali, lo apprendiamo (oltre che dalla sua avversione per la caccia e gli zoo) dalle parole che in Jean Santeu il commentano i gesti e le esclama zioni crudeli con cui la domestica Er nestine (che nella Recherche diventerà Françoise) uccide un pollo destinato ad essere magistralmente cucinato: «Tolleriamo l’agonia di pecore, polli e buoi senza pensarci, perché neces saria al nostro piacere; e non sono le uniche vittime incolpevoli che lascia mo sacrificare ogni giorno».
Daria Galateria, Il bestiario di Proust, Sellerio, Palermo, 2022.
de lui. Lei lo guarda delusa, nulla può più essere ricostruito.
Anche in altri pezzi il fumo si fa correlativo oggettivo delle disillusio ni dei personaggi. È il caso del rac conto più riuscito, in cui Linda va a trovare nella loro lussuosa villa il fra tello, la cognata e il nipotino di sei anni. Ora però, nel momento di of frirglielo, il maglione che ha con tan to entusiasmo lavorato a maglia per lui le appare disgustoso: sghembo il ricamo dei cavalli, nauseante il fu mo di cui si è imbrattato nel suo mo nolocale, che icasticamente fissa l’e sclusione dalla famiglia del fratello. Ed è significativo, infine, come pro prio attorno alle sigarette si costru isca la parabola sentimentale di Joe: dopo la dolorosissima separazione da Andrea e il trasloco presso l’ami co Mark, conosce Coco, una donna ucraina che vende sigarette di con trabbando. A ogni stecca acquistata, con cadenza settimanale, i due scam biano una parola in più. Finché un giorno, a quell’angolo di strada, Co co non c’è più.
Quello del fumo non è l’unico ele mento ad attraversare la raccolta, ma i richiami interni (le amicizie tra uo mini, la presenza di abitazioni spes so molto piccole, le nevrosi di un ceto medio dai desideri infranti) non sono tuttavia sufficienti a garantire la tenu ta complessiva dell’opera. Si ha l’im
pressione che il gusto per il racconto (spesso a sua volta inserito in un al tro racconto) sostituisca la capacità di isolare il dettaglio davvero memo rabile e la ricerca dell’istante da cui muovere per accedere alla comples sità del Mondo. Sono piuttosto rari i momenti letterariamente ben riu sciti, come nel caso della descrizione del piccolo appartamento di Brooklyn che Rob condivide con O’Neil, e che sui due personaggi dice molto più di tante pagine: «Il soggiorno non era molto grande, appena sufficiente per un divano di velluto a coste marrone di seconda mano, un televisore, uno stereo, un tavolino e due librerie. Ci sforzavamo di tenerlo pulito e ordina to – O’Neil aveva la fobia di un’infe stazione di roditori – e lo illuminava mo con lampadine a basso voltaggio. Il parquet era ricoperto di tappeti bei ge e sopra il televisore c’era un poster di Gold Marilyn Monroe di Warhol. Appena lo avevo appeso O’Neil lo aveva preso in antipatia e mi aveva chiesto di toglierlo. Avevamo gioca to a sasso-carta-forbice. La carta av volge la pietra, quindi Marilyn era ri masta dov’era». Non sarà ai livelli dei migliori minimalisti, ma a mio modo di vedere una bella pagina.
Bibliografia Stuart Evers, Dieci storie sul fumo Bollati Boringhieri, Torino, 2022.
Pubblicazione ◆ I dieci brevi racconti intorno al fumo dello scrittore inglese Stuart Evers
Dopo aver recensito su queste pagine, in varie occasioni, alcuni album di Marco Santilli nei panni del compo sitore e dell’esecutore in ambito jazzi stico, arriva ora l’occasione di parlare della sua esperienza «cantautoriale». Da qualche anno infatti il musici sta ticinese ha dato spazio a una sorta di suo «alter ego». Sulla piattaforma MX3 sono pubblicati vari esempi di questa sua produzione, singoli che spaziano tra il 2016 e il 2021 che as sieme ad altri brani inediti, conflui scono ora nell’album Fiori d’ombr a, che sarà presentato ufficialmente in Ticino al Teatro Sociale di Bellinzo na il prossimo 29 ottobre. L’evento ci dà l’occasione di chiacchierare con lui di questa parte della sua carriera.
Marco, scoprirti come cantante è una sorpresa. Sembra di avere a che fare con qualcosa del tipo Dr. Jeckyll e Mr. Hyde…
Sì, me l’hanno già detto. Del resto proprio per marcare questa diffe renza, le mie canzoni le firmo come Marco Santilli Rossi, aggiungen do il cognome di mia madre; non volevo ricorrere a uno pseudonimo, poiché troppo impersonale. Ma di fatto per me sono solo aspetti diver si della mia stessa attività, un modo di cogliere opportunità che possono aprire nuove prospettive. Ho sempre avuto interesse per la forma canzone, canto da tempo e suono la chitarra fin da quando ero adolescente, stru mento col quale accompagno esclu sivamente i miei brani. Mi definisco piuttosto un «musicista che canta», però mi piace l’idea di sperimentare anche queste forme espressive. Ho la fortuna di poter collaborare con un produttore di grande esperienza in ternazionale, Urs Wiesendanger, che dà ai miei brani un respiro veramen te moderno, corposo.
Sì, è vero, direi che gli arrangia menti sono quasi da musica pro gressive, tanta è la ricchezza dei timbri, delle atmosfere. Ti ringrazio per l’osservazione, in ef fetti alcuni mi dicono che non sono semplici «canzoni» ma piuttosto com posizioni articolate con una ricerca
29
volmente. Alcuni di questi elemen ti della mia attività «strumentale» tornano anche nelle canzoni: i bra ni possono sforare nell’armonia ja zz (come in Se tu non ci sei). Non mi pongo limiti stilistici, all’interno di questo album pop ci sono anche pez zi con un’ispirazione apparentemen te sacra, come Ave Maria. L’album è disponibile dal 14 ottobre, scaricabile dalle piattaforme online.
Per il concerto dal vivo rifarai gli arrangiamenti presenti sui dischi o i brani saranno riarrangiati? Potre mo ascoltare Dr. Santilli che ese gue Mr. Rossi?
particolare sia nella costruzione dei testi, sia nella scelta delle sonorità. E il produttore contribuisce con la sua esperienza alla ricchezza dell’atmosfe ra. Ci sono pure alcuni accorgimen ti compositivi con cui cerco un po’ di ovviare alla poca duttilità della lingua italiana cantata. Sembra un paradosso, vero? Eppure la lingua italiana ha del le chiare difficoltà ad accordarsi con certa musica a livello ritmico: ci sono per esempio troppe poche parole tron che e quindi occorrono degli aggiu stamenti nella scrittura non indiffe renti. Devo dire che per quello che mi riguarda faccio affidamento e prendo ispirazione molto di più dal songwri ting inglese: è la lingua che si adatta meglio proprio per la sua concisione all’espressione musicale.
Questo significa che nel tuo caso le musiche funzionano pure come so le melodie?
Sì, direi proprio di sì. Ci sono motivi che mi girano in testa e che poi solo in un secondo momento si rivestono di parole. Direi che i miei brani sono
Forse non è nemmeno così improprio che il sistema linguistico italiano parli di cancel culture senza cercare di fornir ne un’espressione italiana equivalente. Benché non manchino (anzi!) mani festazioni anche clamorose in ambi to italiano, il fenomeno ha un luogo di origine, che è indubbiamente la re altà statunitense. Il tema è complesso e riconducibile con fatica a un’essen za unica. Attorno al termine cancel si aggregano per esempio i significati di «esclusione», «boicottaggio», «delegit timazione», «emarginazione», «cen sura», «allontanamento»; e gli ambiti e i contenuti possono essere moltepli ci, riguardando tra gli altri la violazio ne di quanto sia ritenuto politicamen te corretto, la censura se non la messa all’indice di autori e opere letterarie di tutte le epoche (cinematografiche, te atrali, musicali ecc.), l’abbattimento di statue e monumenti, la messa in di scussione nelle università di intere cul ture come accade agli antichi latini e
greci a causa della loro sensibilità verso il genere femminile, temi contingenti (la guerra in Ucraina, le vaccinazioni Covid-19 tra i più attuali). Insomma, un arcipelago di argomenti cui è diffi cile dare sistematicità, pur potendo re gistrare modi indubbiamente comuni.
Cercano di sistemare un po’ questo disordine numerose pubblicazioni, che configurano un tema à la page in di versi ambiti della pubblicistica attuale.
Tra le migliori opere in italiano ci sono
prima musicali al 90 per cento. Sarà per questo che le melodie funziona no pure strumentali.
E i testi come nascono? Sento ri flessioni talvolta «distaccate», si mili al «Lied»…
Devi considerare che nella mia attivi tà da musicista indipendente trascor ro molto tempo da solo, per studiare e comporre. Mi capita di essere in giro a lungo per prove e concerti, per non parlare poi del periodo di lockdown.
Ho quindi per forza di cose «l’occa sione» di pensare molto e mi capita di soffermarmi su argomenti particola ri, su discorsi e temi che mi saltano in testa. A volte possono nascere spunti da cose che mi fanno arrabbiare, op pure letture che mi colpiscono, come Das Parfum di Süskind o un testo di Shakespeare. Ci sono poi anche di scorsi un po’ (auto)ironici. I miei testi nascono così, non parlano di politi ca, ma piuttosto di umanità, rara mente d’amore, preferisco raccontare delle storie… magari una riflessione sul tempo passato, sul nostro attuale
tempo tecnologico. Ci sono brani bio grafici, una canzone che parla della bellezza della natura, un sentimento però che viene rovinato dalla man canza della donna amata. Parlo anche dei giochi estivi durante l’adolescenza (All’ombra dei vigneti). C’è insomma anche una riflessione etica sul rappor to tra l’uomo e la natura. Per quel che riguarda la scrittura dei testi, mi piace giocare con i suoni, con le parole, cer care delle consonanze. Sono cose che rendono complesso anche il cantarli, devi allenarti, ci sono inserimenti di battute tranello.
E come descriveresti il nuovo al bum in uscita?
È un ulteriore tassello della mia at tività musicale. Come compositore porto avanti parallelamente progetti dalla fisionomia diversa: come cla rinettista suono propri brani in solo, in duo, quartetto, col mio nonetto e compongo per grandi formazio ni oppure cameristiche… Sono tutte cose che gestisco contemporanea mente, diverse ma vissute consape
La sfida è quella di proporre fedel mente dal vivo gli arrangiamenti e le atmosfere dei brani dell’album sep pure con una strumentazione meno ampia; tuttavia allargando talvolta le strutture con assoli improvvisa ti, aggiungendo delle variazioni col lettive o ripetendo delle sezioni solo brevemente accennate negli origina li. Ogni tanto collego due brani che si «richiamano» in qualche modo, ad esempio attraverso un interludio pia nistico. In generale sarà una versione un po’ meno elettronica rispetto alle registrazioni, non rinunciando però ai suoni elettrici di chitarre e tastiere. Durante il lockdown era sorta l’esi genza di trovare validi musicisti a chi lometro zero (in zona Zurigo) e che ci fosse armonia tra i singoli. Solo così riesco a lavorare e ad esprimermi. Per questo sul palco sarò accompagnato dalla chitarra di Monika Hagmann, da piano e tastiere di Simone Me nozzi e dalla batteria di Urs Bringolf. Saremo un quartetto più una special guest, Zora Slokar, primo corno soli sta dell’OSI. Per l’occasione mi sono sbizzarrito ad arrangiare delle parti per questo versatile strumento. Direi che in questa occasione uscirà l’arran giatore che c’è in me: e io per primo sono curioso di ascoltarne il risultato.
Dove e quando Marco Santilli Rossi, Teatro Sociale di Bellinzona, 29 ottobre, ore 20.45. Per informazioni e biglietti: info@teatrosociale. ch, tel. 091 8202444.
certamente Non si può più dire niente. 14 punti di vista su politicamente corret to e cancel culture (Utet) e Scorrettissimi.
La cancel culture nella cultura america na (Laterza). Quest’ultimo richiama il fatto che queste posture culturali ven gono dagli Stati Uniti e sono quindi determinanti per l’intero mondo occi dentale, che da quella società mutua da un po’ parte rilevante dei propri valori.
Valori che sono in ballo anche quando si parli per esempio di chi imbratta la
statua di Indro Montanelli ai Giardini di Milano o di chi chiede di affianca re autori ucraini ai corsi su Dostoevskij all’Università (statale) della stessa città. Sull’università varrà la pena di aggiun gere che si tratta, insieme a quello del le scuole, di milieu delicato, in quanto sono spesso attività che vi si svolgono a essere oggetto delle «macellerie» che vedono tra gli attori i giovani studen ti e i loro genitori: ne sa qualcosa chi abbia assistito, nella bella e inquietan te serie Netflix The Chair, alle disav venture di uno sciagurato professore di letteratura in una università piegata da attenzioni politicamente corrette e da studenti incendiari e intransigenti che finiscono per assicurare al loro in segnante una giustizia dal basso tanto sommaria quanto fuori misura.
Nell’affollato panorama della cul tura della cancellazione alcuni filoni paiono interessanti al di là delle loro improvvisate soluzioni: può essere im portante porsi domande a proposito
della necessità di ricorrere a content o trigger warnings, avvertenze di lettura che spiegano le opere; o ci si può in terrogare sulla legittimità del mette re alla berlina una scrittrice non nera che decida di occuparsi del razzismo contro gli afroamericani; o, nei ca si più estremi, si può chiedersi se l’o pera di uno scrittore di valore esteti co indiscusso possa finire emarginata o cancellata per fatti, ancorché incre sciosi, che riguardino la vita privata di chi l’ha prodotta.
Insomma, tema infinito e scivolo so, e certo cruciale, sul quale si acca nisce di sovente uno spazio pubblico (e social ) indurito, deprivato del dialogo come lo si intende tradizionalmente e che costituisce una specie di intolle rante tribunale collettivo. In ballo sono però le società, il valore e l’accettazio ne della produzione culturale, l’inse gnamento scolastico e universitario e qualche modalità suprema di convi venza civile. Chiamiamolo poco!
Fenomeni culturali ◆ La cancel culture è fenomeno ricco di significati e ricadute sulla società occidentale
Acido ialuronico, retinolo o vitamina C... Sul mercato svizzero è disponibile tutta una serie di principi attivi anti-age. Dall’inizio dell’anno, sugli scaffali si trova sempre di più anche l’ingrediente Bakuchiol.
Un intervista con l’esperta NIVEA nella cura del viso, Dr. Ute Breitenbach, del centro di ricerca per la cura del viso Beiersdorf di Amburgo.
Dr. Breitenbach: il Bakuchiol è un principio attivo anti-age di prossima generazione. Secondo le ricerche più recenti, il Bakuchiol incrementa significativamente l’attività delle cellule dell’epidermide e la produzio ne del collagene proprio della pelle.
Il Bakuchiol agisce proprio dove inizia l‘invecchiamento della pelle. Questo principio attivo superstar stimola le cellule e ne ringiovanisce il comportamento. Attraverso test indipendenti abbiamo potuto dimostrare che il Bakuchiol incrementa la produzione di collagene del +48% in sole 4 ore* dopo l’applicazione e quindi contrasta efficacemente il processo di invecchiamento della pelle.
Già dal 1° giorno la pelle è tangibilmente più liscia, compatta e la carnagione è come rigenerata. Dopo una sola settimana i contorni del viso sono visibilmente definiti e persino le rughe profonde vengono ridotte.
Abbiamo confrontato Bakuchiol con il noto principio attivo anti-age retinolo e siamo rimasti entusiasti del risultato. Studi scientifici hanno dimostrato che Bakuchiol svolge un’azione simile al retinolo, ma la sua tolleranza cutanea è migliore. Inoltre, nei nostri studi abbiamo potuto dimostrare la superiorità del Bakuchiol. Il Bakuchiol favorisce infatti l’attività cellulare e protegge le cellule dai radicali liberi in modo migliore rispetto al retinolo*. Abbiamo verificato gli ottimi risultati in qualità di team di esperti NIVEA nella cura del viso e attraverso istituti indipendenti. Sulla base di questi risultati è stata creata la nuova serie NIVEA CELLULAR Expert Lift. Le formule con Bakuchiol sono adatte a tutti i tipi di pelle. Possono utilizzarla senza problemi anche le consumatrici con pelle delicata. * in vitro
INCONTRO CON L’ESPERTA La Dr. Ute Breitenbach esperta nella cura del viso
L’arte di Tarek Lakhrissi (nella foto) è tutto fuorché liscia e rassicurante. Quello che la caratterizza è piuttosto una volontà rivendicata di trasforma re l’invisibile, la marginalizzazione «banalizzata» di una diversità fasti diosa, invisibile. La traduzione di sentimenti repressi attraverso la pa rola diventa l’arma con la quale af frontare un mondo dominato da una soffocante e unilaterale «normalità».
Questa volontà sprezzante di gridare una verità celata si esprime nei suoi lavori attraverso una corporalità in domita e rivoluzionaria.
Tarek Lakhrissi e i suoi performer abitano letteralmente la scena utiliz zando la propria persona come stru mento di rivendicazione identitaria. Si tratta di corpi spesso scomodi, ati pici e volutamente fluidi che escono dall’ombra diventando i protagoni sti indiscussi di una narrazione che (troppo) spesso li esclude. Le ope re di Tarek trasformano la scena in una sorta di «terra di nessuno» do ve esprimere delle verità «alternati ve» scandite da corpi cyborg (per ri prendere un concetto caro a Donna Haraway) che lottano per imporre la propria unicità.
L’arte di Tarek Lakhrissi ridà voce e sostanza a corpi disprezzati ed esclusi regalandogli finzioni narrative alternative
Artista e poeta francese con un back ground in letteratura, influenzato dal le teorie femministe e queer di auto ri quali Elsa Dorlin, Kaoutar Harchi, Jean Genet, Monique Wittig e José Esteban Muñoz, Tarek Lakhrissi si esprime attraverso installazioni, per formance, video e scrittura. Interessa to da sempre alle questioni politiche e sociali legate a narrazioni alternative nelle quali il linguaggio si trasforma in messe in scena bizzarre e liberato rie, i suoi lavori sono dominati da at mosfere spiazzanti che si nutrono di esperienze queer e minoritarie. Le sue opere sono state esposte in istituzioni artistiche prestigiose quali il Palais de
Tokyo, la Fondation Pernod Ricard di Parigi (che lo accoglie attualmen te in residenza), il Wiels di Bruxelles o ancora l’Espace Arlaud di Losan na, senza dimenticare la sua parteci pazione alla ventiduesima Biennale di Sydney. Un percorso internaziona le che dimostra quanto il suo discorso e la forza sovversiva delle sue creazio ni siano universali.
Tra le sue opere più potenti ritro viamo Unfinished Sentence II, instal lazione multisensoriale che gioca con i suoni e le luci per creare un uni verso unico nel quale il reale è messo costantemente in pericolo. Presenta ta nel 2020 al Palais de Tokyo, Unfi nished Sentence II è un’opera globale creata in collaborazione con l’artista e musicista parigino Ndayé Koua gou, anche lui fautore di universi nei quali si affrontano tematiche legate alla legittimità, alla libertà e all’amo re. Lo spazio espositivo è dominato da trenta lance di metallo sospese al soffitto con delle catene. Grazie al movimento degli spettatori che de ambulano nella sala, queste armi al contempo minacciose e poetiche oscillano creando dei riflessi iride scenti sulle pareti e sul pavimento. Ornamentali ma anche e soprattutto metaforiche e teatrali, queste armi si riferiscono direttamente all’universo bellicoso dalle guerrigliere di Moni que Wittig.
Con Les guérillères, opera pub blicata in un momento chiave per il «Mouvement de libération des fem mes», la poetessa, scrittrice e militan te femminista francese mette in scena un gruppo di amazzoni femministe lesbiche che lottano contro il «mito (pericolosamente essenzialista) della «donna» ma anche contro la lettera tura intesa come luogo di dominazio ne patriarcale. Tarek Lakhrissi rein terpreta le rivendicazioni di Wittig avvalendosi dei miti della sua infan zia: Buffy l’ammazza vampiri e Xena la guerriera. Il risultato è una misce la esplosiva che comprende elementi di un passato mitologico ma anche di un futuro utopico che ci spinge a ri flettere sulle identità queer e «razzia lizzate». Lo spazio espositivo diventa
una sorta di campo di battaglia nel quale ricostruirsi al di fuori di una norma soffocante e unificante.
Sick Sad World (2021) fa parte della stessa corrente di rivendicazioni que er. Accompagnato a livello dramma turgico e coreografico dall’artista vi sivo, ballerino e coreografo filippino (trasferitosi a Bruxelles per frequen tare la famosissima scuola P.A.R.T.S)
Joshua Serafin, Tarek esplora i sen timenti di alienazione e alterità che diventano, grazie alla scena, bellezza sovrannaturale. Tra confidenze inti me dal sapore adolescenziale, parole tratte dal repertorio operistico e Lip Sync queer, Sick Sad World trasporta lo spettatore in un universo parallelo nel quale sogni e chiacchierate sotto le coperte si mescolano regalandoci uno spazio di libertà nel quale tutto sembra possibile.
Con il video/performance Spira ling (2021), coprodotto in collabo razione con la Shedhalle di Zurigo e creato in binomio con il musicista
Fatma Pneumonia (pseudonimo di Victor da Silva), Tarek sfida, attra verso la potente metafora della forma spirale, l’architettura austera e molto geometrica del luogo espositivo (una galleria dell’Haus der Kunst). Ispira to all’opera Untitled (Go-Go Dancing Platform) dell’artista e attivista cuba no Félix Gonzàlez-Torres, Tarek La khrissi si avvale dei movimenti rota tori prodotti della ballerina e attivista per i diritti queer Mila Furie così co me della sua stessa voce che recita un racconto Coming of age per creare un mondo filmico altamente seducente che unisce poesia, erotismo e cultura pop. Lo scopo di questo complesso dispositivo, al contempo provocan te e provocatorio, è quello di riflette re sullo sguardo (posato sull’altro) in quanto strumento di potere.
Cos’è l’arte se non un grido di ri volta contro un modello narrativo che esclude sistematicamente l’anorma le, il non conforme, in poche parole il mostro? L’arte di Tarek Lakhrissi ridà voce e sostanza a corpi disprezzati ed esclusi regalandogli finzioni narrati ve alternative nelle quali valorizzare la propria identità.
Cinema ◆ Le voci sul suo abbandono della scena sono un’occasione per ripercorrerne la carriera
Giovanni MedolagoL’annuncio del suo ritiro dalle sce ne non ha certo suscitato lo sconcer to provocato dalla decisione di Roger Federer di lasciare i campi da tennis. Anche perché non è stato chiaro e perentorio come quello di King Ro ger: «Woody Allen non girerà più un film», scrive un quotidiano spagno lo; non è vero, si affretta a ribattere il suo entourage, Woody è solo deluso dall’industria cinematografica ormai fagocitata dai serial televisivi, ma ve drete che tornerà sul set.
Che Allen non nutra molta sim patia per la TV è cosa nota: «Gli americani non buttano mai i loro ri fiuti: li trasformano in show televi sivi» disse in un’intervista, mentre a J.L. Godard che gli chiedeva cosa pensasse dei film sul piccolo scher mo (erano appena apparse le video cassette VHS) rispose: «Il cinema è un’arte, la televisione è un elettrodo mestico». Un’avversione che si spiega con le traversie vissute negli studi te levisivi, dove iniziò la sua carriera e vide stravolto il suo umorismo. Gli chiedevano di puntare di più su ses so e violenza, temi lontano un mi glio dalla sua vis comica ; lui se andò sbattendo la porta e rimanendo di soccupato. Fu anche per questo che decise di offrirsi personalmente al pubblico vestendo i panni dello stand up comedian. Reggendosi al microfo no per vincere la timidezza, sparava battute come questa: «Sono stato ful minato dalla filosofia leggendo Kant e la sua Critica della ragion pura. Ho subito sentito, d’istinto, d’aver nella testa quello che sarebbe diventato il mio primo bestseller: Critica del tor to marcio ».
Arriva al momento giusto: gli USA vivono ancora l’euforia della guerra appena finita, si godono l’American Way of Life, il numero di lau reati è quadruplicato in pochi anni e non è più di nicchia il pubblico che ride a crepapelle sentendolo confes sare: «Mi hanno espulso dal corso di metafisica! Durante un test mi han no beccato a sbirciare nell’animo del mio compagno di banco». Declina – e rinnova a suon d’ironia – l’umo rismo yiddish dei Fratelli Marx. Si accorgono di lui anche i produttori cinematografici, che lo ingaggiano quale sceneggiatore di Ciao, Pussycat, affidandogli una particina accanto a Ursula Andress, Peter Sellers, Romy Schneider e Peter O’Toole. Il film incassa parecchio, ma per lui è un’al tra ferita al suo talento e promette a sé stesso che avrebbe continuato nel cinema solo quando gli fosse sta to garantito il controllo assoluto su un film. Deve aspettare sino al 1969,
ma quando esce Prendi i soldi e scap pa è il boom!
Si accorgono di lui non solo i cri tici cinematografici, bensì pure intel lettuali come Umberto Eco («Tenete d’occhio quell’omino lentigginoso», avvertì su «L’Espresso»), entusiasti sia del film sia dei suoi libri umoristi ci, basati su una comicità che spazia con disinvoltura dai racconti chassi dici alle cronache sportive (Woody è un ultras del baseball), da Kirke gaard a Mickey Spillane, dalla psi canalisi agli amatissimi Groucho Marx e Ingmar Bergman, da An tonioni a Fellini. Quando gli chie dono se si considera già un grande comico risponde, col suo classico intercalare: «Beh… ecco… sape te, io ho ancora molto da imparare da Richard Nixon: da anni, col suo show Watergate sta facendo ridere mezzo mondo».
«Il cinema è un’arte, la televisione è un elettrodomestico»
Da allora – e da più di mezzo se colo – Allen regge il ritmo inferna le di un film all’anno. Lui dice che così facendo si garantisce il lavoro dei suoi fidati collaboratori: lo sceno grafo Santo Loquasto, la montatrice Susan Morse, il mago del b&n Gor don Willis e le sue attrici/compagne di vita Diane Keaton e Mia Farrow. Da allora conosciamo i suoi interessi e le sue idiosincrasie: la psicanalisi, la prestidigitazione, il jazz e quell’eter no femminino con cui riesce solo a sprazzi a venire a patti. Gli dobbiamo molti film memorabili: Amore e guer ra, forse l’apoteosi del suo umorismo; Io&Annie, unica commedia ad ag giudicarsi ben 4 Oscar; Manhattan; il film nel film La rosa purpurea del Cairo, il suo personale amarcord Ra dio Days e tra gli altri Un’altra donna Ha diretto il gotha hollywoodiano, le star facevano la coda pur di appari re in una sua pellicola, almeno sino a quando non sono ri/esplose nei suoi confronti le accuse di molestie ses suali, regolarmente respinte e finite in nulla nei tribunali. Una sua colpa certa? L’averci proposto anche alcu ne insulsaggini (Vicky Cristina Barce lona, To Rome with Love), girate tanto per far conoscere la Vecchia Europa a sua moglie Soon-Yi.
Tornerà ancora sul set, il buon Woody? Chissà: certo è che, a par te le sbandate dell’industria cinema tografica verso la TV, l’anagrafe non è dalla sua parte: il 1° dicembre com pirà 87 anni.
A lui i nostri auguri anticipati!
Filetti di salmone bio con pelle d'allevamento, Irlanda/Norvegia, al bancone e in self-service, per es. in self-service, per 100 g, 4.45 invece di 5.60
di 16.05
Salmone affumicato bio d'allevamento, Norvegia, 2 x
Gamberetti tail-on cotti bio d'allevamento, Ecuador, in conf. speciale, 240
Tutti i sushi e tutte le specialità giapponesi per es. Maki Mix, tonno: pesca, Pacifico; salmone, allevamento, Norvegia, 200 g, 6.95 invece di 9.20
Migros Ticinodi 19.80
Filetti di pangasio Pelican, ASC prodotto surgelato, in conf. speciale, 1,5
di 23.90
Gamberetti tail-on Pelican cotti, ASC prodotto surgelato, in conf. speciale, 750
(prodotti
Tutti
L'extra vergine è la crème de la crème fra gli oli d'oliva. La spremitura delle olive della prima raccolta dell'anno avviene a freddo (max 27 gradi). In questo modo i preziosi componenti e il gusto squisito rimangono intatti, motivo per cui il re degli oli d'oliva viene servito preferibilmente freddo.
caffè
(prodotti
il piaceredi un caffè intutta comodità
l'assortimento Handymatic Supreme (sale rigeneratore
Elan,
Powder
Color Powder,
conf di ricarica, per
Spring Time,
igieniche Tempo camomilla
M-Classic, Fairtrade disponibile in
mazzo
stelo
lunghezza
igienica Tempo, FSC® Classic, Premium
Ognissanti
Mio Star 2000 Heat Tower termoventilatore ceramico, per locali
a 25 m2, funzione timer, con interruttore antiribaltamento,
funzione