Anno LXXXIV 8 novembre 2021
Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura
edizione
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MONDO MIGROS
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SOCIETÀ
TEMPO LIBERO
ATTUALITÀ
CULTURA
Un paziente su dieci ospedalizzati è vittima di incidenti di corsia: serve più cura e più sicurezza
Il tratto di costa del Golfo dei Poeti fu frequentato da artisti e scrittori, ma anche da corsari
Alla conferenza sul clima di Glasgow Stati Uniti e Cina, e nord e sud del mondo, restano lontani
Ritratto di Sferico, il pittore e scultore locarnese che ama definirsi «un selvaggio dell’arte»
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Enrico Martino
L’epica di un’Irlanda antica
Enrico Martino
Clima, urgenza non fa rima con fattibilità Peter Schiesser
Archiviata la prima settimana, con i discorsi di reali e governanti (alcuni come Xi Jinping e Vladimir Putin hanno brillato per l’assenza) e le manifestazioni di protesta corollarie, la esima conferenza sul clima di Glasgow entra nel vivo: in questi giorni si deciderà quanto avanti ci porterà nella lotta al surriscaldamento dell’atmosfera. Sarà un successo, un insuccesso? Dipende dalle aspettative. Siccome i nefasti mutamenti del clima sono già palpabili, non si tratta più di prevenirli ma di evitare il peggio: l’urgenza richiede decisioni drastiche e vincolanti, piani di azione concreti per la riduzione delle emissioni di CO, finanziamenti per centinaia di miliardi di dollari per aiutare i paesi più poveri a decarbonizzare le loro economie, visioni e investimenti per sottrarre CO dall’atmosfera su vasta scala. Ma la realtà purtroppo è un’altra, ogni Stato, ogni regione geografica ha altri interessi, altre priorità, altri funzionamenti. Glasgow, a meno di un insuccesso come la conferenza di Copenaghen nel , sarà probabilmente un’ulteriore tappa in un processo decen-
nale, cominciato a Rio de Janeiro nel . Per gli uni sarà un bicchiere mezzo pieno, per gli altri mezzo vuoto. Mezzo vuoto perché un successo solo parziale significherebbe che l’obiettivo fissato a Parigi sei anni fa di contenere al di sotto dei gradi l’aumento della temperatura terrestre dovrà essere abbandonato. Se consideriamo che già un aumento di , gradi porta con sé molti rischi e cataclismi (siamo a , gradi e già ce ne accorgiamo), ogni aumento superiore comporterà conseguenze ancora peggiori. Come ricostruito dal «New York Post», seguendo la tendenza in atto prima delle decisioni prese a Parigi, alla fine del secolo la temperatura globale sarebbe stata di gradi in più, oggi considerata la rapida crescita dell’uso di energie rinnovabili si limiterebbe l’aumento a gradi (pur sempre catastrofico), e se ogni paese implementasse davvero le riduzioni di emissioni di CO annunciate l’aumento sarebbe di ,-, gradi. Sempre troppo. Tuttavia, anche questo è in dubbio. Poiché un’economia a zero emissioni, come promessa da più
parti, oltre ad essere prevista tardi, fra il (Stati uniti e Unione europea), il (Cina) e il (India), va resa concreta, e invece ne siamo ben distanti. In particolare, né Cina né India hanno piani precisi e finanziamenti previsti per l’abbandono del carbone, da cui traggono gran parte dell’elettricità. Ciò vale per tutti i paesi dell’Asia, la regione al mondo che ad oggi emette in termini reali la maggior quantità di CO e domani ancor di più. Dovrebbero essere i primi a preoccuparsi, centinaia di milioni di persone vivono in riva al mare, ma ondate di calore, siccità, inondazioni, innalzamento del livello del mare pesano meno della crescita economica. I paesi in via di sviluppo ribadiscono il diritto a un benessere materiale. Parallelamente, ricordano che è l’Occidente a portare la responsabilità storica, sono stati la sua rivoluzione industriale e poi l’enorme progresso e benessere materiale che hanno portato agli squilibri climatici attuali. A questo punto, l’unica soluzione per motivare i paesi asiatici, latinoamericani, africani, è di concretizzare la promessa di soste-
gno finanziario e tecnologico alla riconversione delle loro economie e società. Pur con tutti i rischi che comporta (in inefficienza e corruzione), è il pegno storico che l’Occidente è chiamato a pagare, e prima lo fa meno peggio se la cava. C’è poi un’altra dimensione: è urgente frenare fino ad azzerare le emissioni di CO, ma la concentrazione attuale nell’atmosfera resta comunque eccessiva, e crescerà per decenni. Duemila anni fa si era a parti per milione, dalla metà del secolo scorso la linea si è fatta verticale e oggi si superano le parti. Va ridotta, anche se sarà possibile solo sul lungo termine. Piantando più alberi da una parte, ma anche investendo in macchinari che risucchiano il CO dall’aria. In Svizzera lo fa da anni la Climeworks a Hinwil, ora ha aperto anche un impianto in Islanda. Altre ditte simili esistono nel mondo, la tecnologia è ancora carissima, ma se applicata su vasta scala i costi scenderanno. È la nuova frontiera della lotta ai cambiamenti climatici. Il bicchiere mezzo pieno è dato dall’evoluzione tecnologica e dalla volontà di utilizzarla.
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azione – Cooperativa Migros Ticino
MONDO MIGROS ●
Una cultura aziendale basata sulla salute
Friendly Work Space ◆ Migros Ticino ha superato con ottimi risultati e per la terza volta consecutiva la rivalutazione sul suo impegno per l’equilibrio psicofisico delle collaboratrici e dei collaboratori
Dal la Cooperativa applica in modo sistematico i principi della gestione della salute in azienda dettati da Promozione Salute Svizzera e può fregiarsi di questo prestigioso label. Nell'ambito della valutazione sono stati giudicati come particolarmente positivi aspetti quali le buone condizioni d’assunzione e di lavoro, le ottime prestazioni sociali e la gestione partecipativa del personale, con una particolare attenzione verso l’equilibrio psicofisico delle collaboratrici e dei collaboratori. Le misure sono costantemente verificate e, all’occorrenza, migliorate.
Cos’è FWS Il marchio Friendly Work Space® è assegnato alle aziende che si impegnano a gestire il rapporto con i propri dipendenti secondo criteri di protezione della salute. È l’unico sigillo svizzero riconosciuto che attesta una gestione della salute in azienda di qualità e di successo. È assegnato alle aziende che adottano un approccio sistematico per offrire buone condizioni di lavoro ai propri dipendenti. La salute dei dipendenti è alla base della produttività e della redditività. È una condizione necessaria per il successo a lungo termine dell’azienda. In Svizzera 84 organizzazioni hanno ottenuto il label e Migros Ticino è l’unica nel nostro cantone.
«Per l’azienda è un grande orgoglio poter confermare il riconoscimento, un traguardo ancorato negli obiettivi strategici della Cooperativa» Una piacevole atmosfera sul posto di lavoro e condizioni lavorative ideali costituiscono il presupposto affinché i collaboratori siano motivati e raggiungano i propri obiettivi professionali. L’azienda desidera che i suoi collaboratori si sentano a loro agio e che possano sviluppare le proprie capacità. Si impegna dunque per offrire un luogo di lavoro sano, perché solo in questo modo Migros Ticino è in grado di mantenere la sua posizione sul mercato e porre le basi per un successo duraturo. La responsabile del Dipartimen-
Il team Risorse Umane alla consegna del Label Friendly Work Space per MigrosTicino.
to risorse umane di Migros Ticino, Rosy Croce spiega come si è ottenuta la rivalutazione: «Per poter adempiere ai requisiti di qualità richiesti per l’ottenimento del label abbiamo dovuto analizzare quanto già esisteva e rivalutare il sistema della gestione della
salute in azienda, ottimizzando e revisionando la nostra organizzazione, i processi, gli strumenti e le misure implementate in ambito di gestione dei collaboratori, con un approccio molto più strutturato e volto al miglioramento continuo. Dai dirigenti ai collabo-
ratori, si è oggi più attenti e sensibili ai temi legati alla salute e a una politica di gestione partecipativa, attraverso una conduzione attenta ai bisogni sia del singolo sia dell’azienda. Per la Cooperativa è un grande orgoglio poter confermare il riconoscimento del
Label Friendly Work Space® ed essere accreditata quale azienda che si distingue nella gestione dei propri collaboratori con un approccio sistematico attento alla gestione della salute, un traguardo ancorato negli obiettivi strategici della Cooperativa».
Moderatori cercansi per momenti speciali Caffè Narrativi
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Si terrà a Bellinzona il prossimo 17 novembre un corso introduttivo
La Rete caffè narrativi è una piattaforma partecipativa per le persone interessate all’esperienza della narrazione e dell’ascolto, alla moderazione e all’organizzazione dei caffè narrativi. Si rivolge a chi apprezza il potere del racconto e desidera consentire lo scambio di idee ed esperienze, in maniera trasversale alle culture, alle generazioni e ai paesi. Uno scambio finalizzato al rafforzamento della coesione sociale. Il network promuove la creazione e lo sviluppo di caffè narrativi sul territorio nazionale dal . In una «Carta per un’accurata moderazione dei caffè narrativi» sono formulate le aspettative nei confronti dei moderatori e delle moderatrici e il quadro in cui si devono svolgere i caffè narrativi partecipativi. In questo senso è stata allestita una
condurre al meglio un Caffè narrativo e come comportarsi in caso di situazioni particolari. Le regole non sono molte ma il rispetto di alcune di queste è essenziale per una buona riuscita dell'incontro. Un ulteriore obiettivo del corso è la conoscenza reciproca nell'ottica della creazione di una rete di moderatori in Ticino. Coordinatori della Rete nel nostro cantone sono Valentina Pallucca e Marcello Martinoni. Il corso è aperto a tutti gli interessati al metodo del Caffè narrativo. Iscrizione richiesta annunciandosi a info@caffenarrativi.ch
Uno scambio che rafforza la coesione sociale.
«Guida per facilitare la pianificazione dei caffè narrativi». La guida ha lo scopo di incoraggiare il maggior numero di persone possibile ad avviare e te-
nere regolarmente un caffè narrativo. Tutti questi documenti sono pubblicati sul sito dell’associazione www. caffenarrativi.ch
azione
Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI)
Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Romina Borla, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Telefono tel + 41 91 922 77 40 fax + 41 91 923 18 89
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Il prossimo mercoledì novembre, dalle . alle . si terrà a Bellinzona un corso introduttivo per moderatori. Servirà a scoprire come
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Demografia Un recente convegno di Coscienza Svizzera ha affrontato il tema del calo demografico in Ticino
Istantanee sui trasporti Quarant’anni fa un risicato voto popolare sancì l’obbligatorietà dell’uso delle cinture di sicurezza
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Cure sicure e appropriate Sicurezza sanitaria
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Tra mercatino e portineria A Mendrisio abbiamo visitato il mercatino RiTrovo, un progetto di Pro Senectute
L’Atlante dei Mammiferi Un nuovo e interessante strumento scientifico, didattico, formativo e anche divulgativo
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Verso un cambiamento culturale per una medicina di qualità
Maria Grazia Buletti
«Secondo esperti internazionali, un paziente su dieci ospedalizzati è vittima di incidenti di corsia (cadute, infezioni nosocomiali e via dicendo…), la metà dei quali evitabili». A parlare è il direttore sanitario e primario di medicina interna all’OBV di Mendrisio dottor Brenno Balestra che contestualizza i numeri nel nostro Paese: «In Svizzera, uno studio del effettuato negli ospedali vodesi conferma purtroppo queste cifre. Con l’adozione sistematica di protocolli della Fondazione svizzera per la sicurezza dei pazienti, maggiore attenzione ai principi di igiene ospedaliera e una migliore comunicazione fra curanti e pazienti, si stima che si potrebbero evitare mila infezioni nosocomiali e circa decessi all’anno».
Per prima cosa, bisogna registrare e analizzare tutte le segnalazioni di errori in corsia per adeguare correzioni e contromisure Cifre che turbano la popolazione ma servono a scuotere il nostro sistema sanitario, pur valutato tra i migliori al mondo, dove la qualità è molto percepita ma ancora troppo poco misurata. Errore medico, qualità e sicurezza delle cure sono temi che, racconta, lo accompagnano da vent’anni lungo l’esercizio della sua professione medica e di direzione sanitaria del nosocomio mendrisiense: «Prima del parlare di errore medico era ancora un tabù, un pregiudizio che la Task force dell’Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp) ha cominciato a scalfire a partire dal , varando il Programma per un sistema sanitario più sicuro». Da lì in poi, la strada è stata aperta ed è percorsa costantemente, anche se «non si fa mai abbastanza perché ogni errore è già un errore di troppo: una tragedia per la persona che si affida per essere curata, e magari subisce un danno, seppur involontario, legato alle cure; ma pure per il curante stesso, in quanto seconda vittima». Per la comprensione del tema è utile il confronto con il mondo dell’aviazione: «Parliamo di un’organizzazione complessa, ad alta affidabilità, che durante gli ultimi anni ha saputo ridurre drasticamente gli incidenti grazie a specifici protocolli e a un’analisi sistematica del rischio». Gli ospedali, invece, «pur essendo strutture altrettanto complesse e vulnerabili, faticano a reagire per affrontare quel cambiamento culturale necessario a rendere il sistema sempre più sicuro». Un «cambiamento culturale» necessario e promosso nel marzo del dall’iniziativa popolare «Per la qualità e sicurezza delle cure ospedaliere» di cui il nostro interlocu-
tore era primo firmatario, con l’obiettivo di migliorare e uniformare i criteri di qualità e di sicurezza delle cure ospedaliere in Ticino, sia negli enti pubblici sia presso i privati. Iniziativa peraltro ritirata ad agosto di quest’anno, in seguito al Messaggio con il quale Consiglio di Stato e Parlamento vogliono dare seguito a quanto richiesto dai promotori: «Le proposte contenute nel Rapporto del Governo intendono rafforzare quanto già implementato dal Cantone, abbracciando e concretizzando le richieste dei promotori per lo sviluppo di cure sanitarie di qualità, sicure e appropriate: i finanziamenti degli istituti di interesse pubblico (ospedali e cliniche), pari al per cento della spesa, sarà garantito o erogato in base a questi criteri». Tra le linee guida, Balestra indica che «per prima cosa, è importante registrare e poi analizzare tutte le segnalazioni di errori (o possibili errori), per individuare le adeguate correzioni e contromisure da applicare spesso a livello organizzativo, di gruppo e non del singolo curante». Un primo passo che chiede al paziente e ai suoi famigliari di segnalare «la benché minima sensazione che qualcosa non sia adeguato, sia esso una mancanza o un errore», invitando altresì i curanti a segnalare senza pregiudizio situazioni di questo genere «affinché possano essere analizzate e corrette». Poi, è importante «sorvegliare il tasso di infezioni ospedaliere e promuovere la disinfezione sistematica delle mani, come d’altronde ha ampiamente ricordato l’atteggiamento richiesto dalla pandemia». Riguardo alla cosiddetta check-list prima e dopo ogni intervento in sala operatoria: «Una garanzia per evitare errori di organizzazione e passaggio delle consegne, che si somma a un altro importante tassello riguardante i farmaci: si tratta della prescrizione informatizzata dei medicamenti del paziente che stiamo sviluppando sempre meglio, la cui diretta conseguenza è la somministrazione degli stessi, contribuendo a ridurre l’errore del fattore umano; un modo per incentivare una farmacologia più sicura, insieme alla massima comunicazione e trasparenza fra personale curante (senza barriere gerarchiche), pazienti e famigliari che vanno coinvolti attivamente nel percorso terapeutico». A questi criteri va aggiunta l’esigenza di ridurre il carico di lavoro e lo stress dei curanti, tema pure ripreso dall’iniziativa Applaudire non basta, per cure migliori, che il prossimo mese di novembre vedrà il popolo al voto. «Ridurre il carico di lavoro e lo stress dei curanti è un altro importante criterio che conduce verso una medicina più sicura e di qualità», spiega Bale-
Il direttore sanitario e primario di medicina interna all’OBV di Mendrisio dottor Brenno Balestra. (Stefano Spinelli)
stra che «nella valutazione dei benefici per il paziente», si spinge verso l’intersezione fra sanità e legislatore, annoverando fra i criteri menzionati l’economicità delle cure e l’equilibrio fra ente pubblico e privato: «Per una concorrenza virtuosa, bisogna potersi confrontare allo stesso livello, con basi di partenza uguali: la massima trasparenza dei conti e criteri di lavoro simili per tutti. Inoltre, equilibrio fra bisogni e offerta sanitaria non devono essere solo strutturali ed econo-
mici, ma di qualità e sicurezza per il paziente; parliamo di un concetto legato all’ottenimento del finanziamento pubblico basato sull’appropriatezza delle cure erogate, con cui dovremmo abbattere la sovra-offerta sanitaria del - per cento circa delle prestazioni erogate», afferma il nostro interlocutore che invita a «parlare di qualità in modo meno generico». Il dottor Brenno Balestra pone sempre il paziente al vertice delle sue considerazioni, perseguendo l’i-
dea di «una medicina basata su prove di efficacia, più sobria, indicatrice del rispetto delle linee guida promosse all’interno dei nosocomi: questi i requisiti che il legislatore dovrebbe tematizzare» verso un cambiamento culturale e un cambiamento di alcuni paradigmi, affinché, conclude, «qualità, sicurezza e appropriatezza siano la costante della presa a carico dei pazienti per i quali l’errore medico, non sempre evitabile, non debba mai tramutarsi in un evitabile orrore».
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Crea il tuo cesto regalo dei Nostrani del Ticino! Attualità
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Un dono ideale per stupire amici e parenti con tipiche specialità gastronomiche del nostro territorio
La Fondazione Diamante
Ecco un’idea regalo azzeccata e originale: il cesto regalo dei Nostrani del Ticino! Disponibile in tre diverse grandezze, è personalizzabile secondo i propri gusti scegliendo tra una cinquantina di articoli della regione e può essere ritirato in tempi brevi nel negozio Migros di propria scelta. Dalle tradizionali bevande come lo sciroppo al sambuco, la gazosa e la tisana, ai fragranti dolci quali i biscotti alla farina bona, i crefli e le ciambelle al mais, fino ai sempre apprezzati pro-
dotti alimentari ticinesi come il miele, l’aceto e le farine per polenta… ognuno troverà l’ispirazione giusta per creare un bellissimo regalo che sappia sorprendere i propri cari. Il cesto di paglia può essere composto comodamente online da casa, collegandosi al sito nostranidelticino.ch, scegliendo tra tre varianti differenti: cesto piccolo ( articoli), cesto medio ( articoli) e cesto grande ( articoli). I cesti sono confezionati in collaborazione con gli utenti della Fondazione Diamante,
istituzione che promuove l’inclusione di persone in situazione di handicap. Clicca, componi, e ritira nella tua filiale Migros più vicina! Acquisto e informazioni Nostranidelticino.ch
Incontri con lo scrittore
Attualità ◆ L’autore Federico Iannaccone sarà ospite del reparto libri Migros di Lugano e S. Antonino per presentare la sua ultima fatica letteraria
Lo scrittore Federico Iannaccone vi aspetta a Lugano e S. Antonino.
I sabati novembre (presso la Migros di Lugano) e novembre (a S. Antonino), a partire dalle ore ., lo scrittore ticinese d’adozione Federico Iannaccone incontrerà il pubblico e firmerà copie del suo nuovo romanzo Ti ho visto guardare il mare. Già autore di romanzi di successo, non solo in Ticino, quali Come radice nella pietra, Un ultimo fiocco di neve e Il profumo della natura, Iannaccone nei suoi libri si è sempre distinto per la sua particolare sensibilità verso le tematiche ambientali e del rispetto verso gli animali. La sua nuova opera lettera-
ria è dedicata alla nipotina Clara, nata durante la pandemia. L’impossibilità di conoscerla a causa delle restrizioni, spingono l’autore ad affidare ad un libro i suoi pensieri e le sue emozioni nei confronti della nuova nata. Partendo dalle proprie esperienze personali, Iannaccone racconta episodi di vita vissuta, dall’infanzia all’età adulta, affrontando le tematiche essenziali a cui inevitabilmente si va incontro durante le fasi dell’esistenza umana. Attraverso il romanzo, profondo ma a volte anche ironico, l’autore dedica a Clara un testo da leggere quando sarà
Dal 1978 la Fondazione Diamante promuove l’inclusione di persone in situazione di handicap tramite i suoi laboratori protetti, le sue unità abitative ed i suoi servizi di inserimento lavorativo. Distribuita capillarmente su tutto il territorio ticinese, la Fondazione Diamante, grazie al numero di collaboratori, ai rapporti commerciali ed alla varietà di attività realizzate, è un importante attore economico della realtà cantonale. Attualmente gestisce 13 laboratori, 4 unità abitative (foyer e appartamenti protetti), 6 negozi, 4 servizi di sostegno abitativo e 5 servizi di inserimento
lavorativo. Si occupa complessivamente di oltre 600 utenti ed impiega più di 200 operatori sociali. La Fondazione Diamante è attiva in tutti i settori economici (primario, secondario e terziario). La differenziazione delle attività permette di corrispondere in modo individualizzato alle aspettative degli utenti e della clientela. Grazie alla sua capacità di adattamento e alla sua flessibilità, la Fondazione Diamante si distingue per un approccio innovativo a favore dell’inclusione.
Tempo di zuppe
grande, ricco di consigli per affrontare e sopportare meglio i problemi e le difficoltà che ci può riservare la vita. Ricordiamo che gli incontri con lo scrittore Federico Iannaccone avverranno nel pieno rispetto delle norme anticovid.
Con l’arrivo del freddo non c’è niente di meglio di una buona zuppa fumante. Le zuppe fresche pronte al consumo del marchio DimmidiSì sono perfette non solo per soddisfare l’appetito, ma stuzzicano tutti i palati grazie alla decina di varietà di gusti disponibile al reparto refrigerati Migros. Ricche di verdure e preparate secondo ricette classiche della tradizione culinaria italiana, sono senza conservanti né glutammato, sono adatte ai vegetariani e sono una fon-
te di proteine e vitamine. Sono pronte in pochi minuti riscaldandole nel forno a microonde o in pentola. Dal minestrone di verdure alla pasta e fagioli, dalla zuppa ligure al passato di verdure, dalla zuppa ortolana alla vellutata di zucca e carote fino alla zuppa al farro… nessuno resterà a bocca asciutta. Azione 31% su tutto l’assortimento di zuppe DimmidiSì dal 9 al 15.11.21
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Giocattoli sostenibili
Attualità ◆ Le maggiori filiali Migros propongono diversi giochi realizzati con materiali a ridotto impatto ambientale. Ecco qualche esempio
Alla Migros il fantastico mondo dei giocattoli offre una vastissima scelta di idee regalo che faranno brillare gli occhi di ogni bambino. Tra queste, non mancano nemmeno delle proposte particolarmente ecologiche, a base di materiali riciclati o scarti vegetali. EcoCreate è una gamma di giochi creativa e educativa, che consente ai bimbi di realizzare tanti oggetti per giocare o decorare la propria stanzetta, riutilizzando degli imballaggi casalinghi e imparando a riciclare altri materiali. La confezione contiene tutto il necessario per creare fantastici articoli, come piani di montaggio, vernice, pennello, parti in legno, plastica, lana e colla. I mattoncini didattici BioBuddi permettono di realizzare tante favolose figure, dalla nave all’aereo, dal dinosauro all’animaletto preferito, fino alla casa. Le possibilità sono davvero infinite. I blocchetti sono prodotti con dei resti di piante di canna da zucchero, sono riciclabili e sicuri. Un bellissimo gioco che aiuta a sviluppare le capacità cognitive e manuali dei piccoli a partire da mesi è il Chicco Rocking Dino Eco+. La sfida è quella di combinare i cilindri sul simpatico dinosauro, cercando di bilanciarli correttamente senza farli cadere. Il gioco è prodotto con almeno l’% di plastica riciclata. Infine, non c’è niente di più coccoloso da abbracciare dei peluche ecologici Keeleco.
La gamma include diversi animali da collezionare, tutti realizzati – imbottitura compresa – al % con poliestere riciclato da rifiuti di plastica, come p. es. da bottiglie in PET. Gli occhi sono invece realizzati con un ricamo di morbido cotone.
Una selezione di giocattoli sostenibili, disponibile presso le principali filiali Migros del cantone.
Giocogiornale Migros L’opuscolo dedicato ai giocattoli non solo è ricco di spunti per i regali natalizi, ma contiene anche info per partecipare ad un grande concorso che mette in palio tre fantastici pernottamenti per 4 persone in un villaggio igloo; la lista dei desideri con pratici adesivi dei giochi preferiti e originali idee da incollare e colorare per il bricolage di Natale. Il Giocogiornale è disponibile nelle maggiori filiali.
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Chi va e chi viene
Demografia ◆ Un recente convegno di Coscienza Svizzera ha affrontato il tema del calo demografico in Ticino. Ne parliamo con l’ex capo dell’Ufficio cantonale di statistica, Elio Venturelli Fabio Dozio
Come sta di salute il Ticino? Il Cantone ha raddoppiato la sua popolazione negli ultimi settant’anni. Mentre dal siamo di fronte a un calo demografico: ’ abitanti cinque anni fa, ’ lo scorso giugno. Il tema diventa virale. C’è chi propone di nominare un mister demografia o chi invoca l’immancabile task force. Intanto, incominciamo a elencare i difetti del Ticino che potrebbero spiegare, in parte, il calo demografico. Stipendi decisamente sotto la media svizzera (dal al %), ma prezzi pressoché identici: basta guardare quanto costa una casa unifamiliare. Città che offrono poco o niente per i giovani, vedi le recenti osservazioni su Lugano del rettore dell’USI Boas Erez. Scarso spirito imprenditoriale degli indigeni. Mancanza di asili nido e di strutture a favore delle famiglie. E l’elenco potrebbe continuare.
Il calo demografico esiste, ancorché non drammatico, e Coscienza Svizzera (CS), gruppo di studio e di riflessione, ne ha discusso nel Convegno «Sfida demografica: il malessere del Canton Ticino». Il tema è stato affrontato da diversi punti di vista: anziani, famiglia, lavoro, territorio, immigrazione e giovani, ponendo l’accento su quella che viene definita la «fuga dei cervelli». I termini hanno la loro importanza e forse non bisognerebbe enfatizzare. I giovani si spostano da sempre dal Ticino per studiare, anche se c’è l’USI, e non solo. Il mondo negli ultimi decenni si è rimpicciolito. Le comunicazioni e le relazioni sono più facili, la globalizzazione ha avvicinato paesi lontani e molti giovani si muovono per il piacere di cambiare e di scoprire. Questa decrescita è grave? «Dipende dalle cause del calo demografico. – ci spiega Elio Venturelli, ex capo dell’Ufficio cantonale di statistica, relatore al Convegno – La forte crescita della popolazione del dopoguerra è legata all’immigrazione di manodopera stagionale e dimorante, e al ricorso al frontalierato, per la realizzazione delle grandi infrastrutture, gallerie autostradali e ferroviarie, dighe, scuole, ecc.: in genere manodopera poco qualificata. Ogni qualvolta che c’è stata una crisi economica, come ad esempio negli anni , l’immigrazione è calata drasticamente, generando un calo dei residenti e, parallelamente, anche un calo del numero di frontalieri. La recente decrescita, oltre a manifestarsi solo in Ticino e nel canton Neuchâtel, parallelamente al forte calo di giovani immigrati, ha visto aumentare invece il numero di frontalieri. Si tratta di un fenomeno nuovo, tutto da interpretare». Questa strana forbice – meno residenti stranieri e più frontalieri – come si spiega? «Non sono in grado, proprio per mancanza di statistiche, di dire se c’è un effetto di sostituzione oppure se è il risultato di tenden-
Keystone
Saldo naturale negativo, aumento delle partenze dei giovani ticinesi, diminuzione dell’immigrazione e aumento del frontalierato, sono tra le cause del calo demografico: un fenomeno che necessita indagini più approfondite e precise
Popolazione residente e non in Ticino, secondo il sesso, nel 2020 101 96 91
DONNE
UOMINI
86 81 76 71
66 61
40-64 anni
56
28,6%
51
23,85%
47,6%
58,6%
22,6%
18,7%
46 41
20-39 anni
36
30,3%
31
23,1%
46,6%
52,3%
24,5% 23,2%
26 21 16 11 6 1 -5000
-4000
-3000
-2000
-1000
0
1000
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3000
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SVIZZERI / STRANIERI / FRONTALIERI Fonte dati: Ufficio cantonale di statistica, elaborazione Elio Venturelli
ze indipendenti: crisi nel comparto a basso valore aggiunto, sviluppo di un frontalierato molto qualificato? È abbastanza demoralizzante non riuscire a capire le tendenze in atto. Mi chiedo come i politici riescano a prendere delle decisioni in un simile contesto». Un fattore strutturale all’origine del calo demografico attuale è il saldo naturale negativo degli svizzeri. È un dato assodato: si fanno meno figli. Inoltre, da una decina di anni, sono aumentate le partenze, soprattutto dei giovani svizzeri della fascia di età tra i e i anni. Per i giovani si parla di «fuga di cervelli». Come la valuta Venturelli, che già nel mise in rilievo l’esodo dei giovani? «Il comparto giovani è un tassello di un quadro socio-economico interconnesso. Un approccio sistemico e intergenerazionale è inevitabile. Oggigiorno i giovani di tutta Europa migrano per studiare, perfezionarsi, conoscere
nuove realtà. Lo fanno pure i giovani ticinesi anche, ma non solo, per studiare. Il Ticino però è un triangolo di Svizzera in Lombardia. Oltrepassare il Gottardo li mette a confronto con realtà linguistiche, economiche e culturali completamente diverse. Il rientro in Ticino non è evidente, tanto più che il mercato del lavoro non è molto attrattivo, in particolare tenuto conto delle condizioni salariali sfavorevoli. Se fino alla fine degli anni il saldo tra arrivi e partenze era positivo, in seguito si è passati a valori sempre più negativi. Il cambiamento di tendenza è sicuramente legato alla struttura economica cantonale. In questi ultimi anni si parla molto dell’importanza dello sviluppo che sta avvenendo nel nostro cantone di centri di eccellenza, di ricerca all’avanguardia, degli sviluppi di USI e SUPSI. Sforzi lodevoli che dovrebbero caratterizzare il Ticino del futuro. Per il momento, per quanto ne so, i ticinesi nei posti
prestigiosi sono in minoranza. È un problema di formazione che il Ticino non può offrire, vista l’esiguità del contesto? A questi livelli di qualifica non penso sia un problema salariale». A proposito di mercato del lavoro, se assistiamo a una «fuga», va registrato anche un «arrivo». Basta frequentare i nostri ospedali per sincerarsi che senza la manodopera qualificata italiana, confederata o straniera, il sistema sanitario ticinese collasserebbe. E anche il mondo della scuola vede da anni un numero crescente di italiani, basta aggirarsi alla SUPSI o all’USI, ma anche alle scuole medie o nei licei. Oggi, in Ticino, il % degli occupati è frontaliere. Nel era il %. Che posti occupano? Fino a una trentina di anni fa era chiaro: fabbriche ed edilizia. Ora anche il terziario, ma in che misura? «Senza un’informazione esaustiva sulla struttura delle aziende, – precisa Elio Venturelli – collegata con la dinamica del mercato del lavoro, non riusciamo a capire le trasformazioni in atto. Con la rinuncia, nel , a effettuare il censimento della popolazione, sostituendolo con l’armonizzazione dei registri amministrativi, abbiamo perso molte informazioni capillari. Se la diminuzione della popolazione è dovuta alla presenza di aziende molto tecnologizzate e che quindi necessitano di poca manodopera, ma molto qualificata, allora questo rovesciamento di tendenza non può che essere considerato positivo. Per il momento, l’unica cosa certa è che il Ticino è un cantone che manca da sempre di imprenditorialità. Non sono io che lo dico, ma molti studiosi, in primis Angelo Rossi. Un repentino cambiamento andrebbe perlomeno documentato e inserito in un contesto generale». Gian Paolo Torricelli, dell’Osservatorio dello sviluppo territoriale, intervenuto al Convegno di CS, ha messo in luce che la demografia del
Ticino è assimilabile a quella della vicina Italia, piuttosto che al resto della Svizzera. Se la sfida è cercare nuovi residenti, ha detto, bisogna attirare imprenditorialità, non imprese. Bisogna offrire politiche sociali più incisive, che attirino la popolazione giovane e ha affermato, toccando un tema quasi tabù, che «non dovremmo aver paura di chiudere ditte che impiegano soltanto personale frontaliere». Lo storico Marco Marcacci ha ricordato che da sempre il Ticino è paese di emigrazione e di immigrazione. All’inizio del Novecento era rilevante l’immigrazione confederata e i nostri politici temevano un intedeschimento del cantone. Poi l’immigrazione italiana ha preso il sopravvento senza che venisse mai considerata una risorsa. In definitiva, oggi, il Ticino è italianizzato. «In Ticino – ha detto Marcacci – non si è mai veramente creduto nell’immigrazione quale strumento per lo sviluppo della popolazione. E, a dire il vero, sembra che anche oggi si pensi piuttosto di risolvere la crisi demografica impedendo le partenze dei ticinesi o rimpatriando i cervelli emigrati all’estero o nel resto della Svizzera». Anche Rosita Fibbi, dell’Università di Neuchâtel, dopo aver analizzato la mobilità dei migranti, ha concluso il suo intervento invitando a promuovere una politica dell’accoglienza dei residenti stranieri, ripensando l’immigrazione nel quadro di una race for talent, una gara di talenti. Inoltre, Fibbi propone di sviluppare «una narrativa di accoglienza dei residenti stranieri, dei lavoratori e delle loro famiglie, nell’interesse generale, accantonando approcci stigmatizzanti della presenza immigrata». Elio Venturelli non guarda solo ai numeri. Le sue osservazioni finali all’incontro di Coscienza Svizzera non sono rosee. «Durante il Convegno – ci dice – tutti hanno auspicato un Ticino dell’innovazione, che attiri giovani qualificati, ticinesi o meno. Non posso che essere d’accordo con questi auspici e le premesse ci sono: Officine a Bellinzona, centri universitari e di ricerca avanzata, ecc., progetti che si stanno fortunatamente concretizzando. Le mie esitazioni si riferiscono alle modalità con le quali il Ticino ha realizzato negli ultimi decenni la sua ricchezza. Un Ticino che ho definito “dai soldi facili”, riferendomi alla svendita del territorio, ai Casinò, alla prostituzione, al riciclaggio, alla speculazione immobiliare, alla mafia, ecc. Contro queste modalità, insite nei cromosomi di una determinata fascia della popolazione, che paragonerei a dei virus, bisognerebbe trovare un antidoto per evitare che il nostro territorio non sia terra di conquista per imprenditori attirati solo dalle facilitazioni fiscali e dai bassi salari, ma intenzionati a mettere radici nella nostra realtà». Il nostro interlocutore sottolinea a più riprese l’impellente necessità di indagare sulla situazione ticinese. Chi fa che cosa? Chi va e chi viene: dove e perché? USI, SUPSI, IRE, USTAT: vale a dire Università, Scuola universitaria, Istituto di ricerche economiche, Ufficio di statistica: abbiamo un po’ po’ di ricercatori che dovrebbero e potrebbero colmare questa lacuna. Dati certi sullo stato dell’economia e della società sono preziosi, anche perché possono ammutolire pregiudizi e facili speculazioni politiche infondate.
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SOCIETÀ
Cinture di sicurezza, una valutazione dopo 40 anni Istantanee sui trasporti
◆
Il 30 novembre 1980 un risicato voto popolare sancì l’obbligatorietà dell’uso delle cinture di sicurezza
Riccardo De Gottardi
rale a introdurre misure riguardanti il disciplinamento del traffico. Il provvedimento generò subito reazioni di disappunto, tanto che due automobilisti inoltrarono altrettanti ricorsi al Tribunale federale denunciando la presunta incompetenza del Governo per mancanza di una base legale, rispettivamente evidenziando addirittura la pretesa incostituzionalità del principio. L’anno successivo il Tribunale accertò l’effettiva insufficienza della base legale e di fatto annullò l’obbligo di allacciarsi. Tutto ritornò dunque come prima, ma l’elevato numero degli incidenti e delle relative conseguenze spinse il Consiglio federale a tornare alla carica. Questa volta per assicurarne la legalità il governo propose una revisione parziale della Legge sulla circolazione stradale. L’esito del dibattito parlamentare fu chiaro. La modifica di legge fu così approvata il marzo . Nella Svizzera romanda si fece tuttavia largo un ampio fronte contrario, tanto che un comitato referendario raccolse con successo le firme necessarie. Si andò alle urne il novembre . Da un lato i sostenitori delle cinture comprendevano la pressoché totalità dei partiti, le maggiori associazioni padronali e quelle a favore dell’ambiente mentre gli oppositori godevano dell’appoggio del solo partito liberale (allora distinto dal partito radicale democratico) e dei Repubblicani (partito che si sciolse nel ) nonché dell’Unione delle arti e mestieri. Il dibattito
Conseguenza degli incidenti stradali con/senza cintura di sicurezza in Svizzera, 2020 100% 90% 80% 70%
67.6
60%
in %
L’Ufficio federale di statistica ha recentemente pubblicato un agile opuscolo che illustra l’evoluzione degli incidenti nel settore dei trasporti in Svizzera nel . Un rilievo si riferisce in particolare alle conseguenze degli incidenti automobilistici, distinguendo tra coloro che erano allacciati alla cintura di sicurezza e chi invece non lo era. Il risultato non lascia adito a dubbi: la cintura salva vite e riduce la gravità delle ferite riportate. Infatti, tra i protagonisti non allacciati il % circa ha trovato la morte contro lo ,% di quelli allacciati. I feriti gravi sono stati all’incirca il % tra i primi contro il % dei secondi e i feriti leggeri circa il % contro il %. Quella che oggi è più o meno diventata una ovvietà e un principio generalmente osservato non è da sempre scontato. Anzi, l’introduzione dell’obbligo di allacciare la cintura è stata combattuta. Il tutto ha avuto inizio nel quando in Svizzera sono state ammesse alla circolazione solo automobili provviste di cinture. Ben presto ci si accorse che il loro uso era molto basso. Nell’ambito delle misure per ridurre le conseguenze degli incidenti della circolazione il Consiglio federale decise dunque di introdurre l’obbligo di allacciarsi a partire dal primo gennaio del attraverso la modifica di una ordinanza che si appoggiava sull’articolo della Legge sulla circolazione stradale. Quest’ultimo autorizzava in termini molto generici il Consiglio fede-
50%
92.4
40% 30% 20%
25.3
10% 0%
0.6
7
7.1
con cintura feriti leggeri
senza cintura feriti gravi
morti Fonte: UFS, elaborazione propria
e l’esito del voto evidenziò una spaccatura tra le regioni linguistiche, un vero e proprio Sprachengraben. Infatti, nei Cantoni Ginevra, Vaud, Neuchâtel, Friborgo, Giura e Vallese non tutte le sezioni dei partiti storici seguirono la parola d’ordine favorevole del referente federale o lasciarono libertà di voto. In Ticino le sezioni dei tre partiti del centro-destra scelsero la via dell’opposizione. Le sezioni del partito liberale
di Basilea città e di Basilea campagna si distanziarono invece dal no del loro riferimento nazionale aderendo alla riforma. La campagna referendaria fu molto emozionale. I favorevoli puntarono essenzialmente sul miglioramento della sicurezza sottolineando l’efficacia della misura. Gli oppositori ritennero per contro che il provvedimento fosse gravemente lesivo delle libertà persona-
li, in particolare della libertà di azione riguardo alla protezione della propria salute e integrità corporale. Ciò che per i favorevoli costituiva invece una limitazione giustificata dal preminente interesse pubblico della protezione della collettività dai pericoli della circolazione stradale conformandosi pienamente al principio di proporzionalità. Il risultato del voto fu, a grande sorpresa, molto risicato. Prevalsero i favorevoli al provvedimento con il ,% dei voti e il sostegno di tredici Cantoni della Svizzera tedesca. L’opposizione fu chiara nei cantoni della Svizzera centrale di Uri, Svitto, Obvaldo e Nidvaldo e fu addirittura quasi plebiscitaria nei Cantoni romandi e nel bilingue canton Friborgo. In Ticino l’% dei votanti rimandò la proposta al mittente. Il quesito posto oltre anni fa ha dunque avuto una risposta e successivamente i numeri hanno confermato l’efficacia del provvedimento. Analogie con le odierne discussioni sull’obbligatorietà o meno della vaccinazione contro la pandemia da Coronavirus non sono fuori luogo. Ma questa è comunque una storia ancora da scrivere. Le istantanee Questo articolo è il primo di una serie curata da Riccardo De Gottardi direttore, fino al 2019, della Divisione dello sviluppo territoriale e mobilità del Dipartimento del territorio Annuncio pubblicitario
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SOCIETÀ
Professioni per un nuovo futuro
Giovani ◆ L’11 novembre torna la giornata nazionale che permette a ragazze e ragazzi di immergersi in professioni atipiche per il loro genere Guido Grilli
Pro Senectute ◆ A Mendrisio è nato un mercatino che è anche una portineria di quartiere e che con il suo ricavato aiuta l’associazione Alessia
Stefania Hubmann
Un RiTrovo per reperire mobili, suppellettili e altri oggetti usati, come pure quale punto d’incontro per residenti e visitatori. Gioca di nuovo sul doppio senso del suo nome la più recente portineria di quartiere aperta dalla Fondazione Pro Senectute Ticino e Moesano nel Mendrisiotto. Come l’osteria sociale BarAtto e l’atelier di sartoria DaCapo di Morbio Inferiore, il mercatino situato in zona svincolo autostradale a Mendrisio (via Borromini ) al di là della sua funzione pratica ha obiettivi di natura sociale che trascendono il focus di Pro Senectute sugli anziani. Quest’ultimo progetto crea addirittura un ponte con le generazioni più giovani, in particolare con i bambini bisognosi di cure pediatriche. Il ricavato delle vendite viene infatti devoluto all’associazione Alessia che già beneficia dell’incasso di analoghi mercatini nel Sopraceneri. Due enti con finalità diverse ma animati da un medesimo spirito di servizio hanno a loro volta trovato un punto d’incontro dando vita ad una nuova sinergia. Pro Senectute dal Mendrisiotto guarda alla possibilità di sviluppare una rete di portinerie di quartiere anche nel Sopraceneri, mentre l’associazione Alessia, maggiormente radicata in quest’ultima parte del cantone, coglie l’occasione di farsi conoscere più a sud. Ai primi eventi promossi al RiTrovo – la festa serale di fine estate e la castagnata autunnale – seguirà un aperitivo natalizio organizzato dall’associazione. Lo spazio del mercatino è messo a disposizione gratuitamente da Alloggi Ticino, proprietaria dei quattro edifici residenziali che ospitano complessivamente oltre sessanta appartamenti. Il grande locale è occupato dall’arredo che Pro Senectute raccoglie attraverso il servizio ConTatto. Quest’ultimo è attivo sull’insieme del territorio cantonale occupandosi di ritirare il mobilio soprattutto di persone in età avanzata che lasciano il proprio domicilio il più delle volte per trasferirsi in casa anziani. In questa delicata fase di spostamento esse apprezzano di poter affidare i loro beni a un ente che li riutilizzerà a scopo benefico. Un deposito a Novazzano permette di gestire il flusso della merce in entrata e uscita dal mercatino. All’esterno di quest’ultimo vi è uno spazio adatto per organizzare animazioni e incontri. Pure presente un parco giochi che sarà ripristinato nella sua funzione. Nel complesso re-
sidenziale vivono in prevalenza anziani e famiglie, ai quali si sono aggiunti di recente alcuni studenti del vicino campus SUPSI. A causa di diverse situazioni di fragilità, il tessuto sociale è piuttosto labile e necessita di essere attivato. «Questo è il primo obiettivo della portineria di quartiere», spiega Carmine Miceli, responsabile del Servizio Lavoro Sociale Comunitario di Pro Senectute. «Come già avvenuto a Morbio Inferiore, la nostra presenza nel quartiere è volta a stimolare l’integrazione facendo in modo che gli abitanti diventino protagonisti della vita sociale locale. L’osteria, la sartoria e il mercatino sono luoghi d’incontro dove vengono promosse la partecipazione e la solidarietà. Fino ad alcuni decenni fa questi comportamenti erano spontanei, mentre nella società odierna in determinati contesti hanno bisogno di essere stimolati e strutturati». Un secondo obiettivo del progetto evidenziato dal nostro interlocutore è l’inserimento sociale. Esso avviene attraverso le misure AUP (Attività di utilità pubblica) gestite dall’Ufficio del sostegno sociale e dell’inserimento. «Queste misure consentono alle persone in assistenza di ritrovare un’attività basata per lo più sulle loro competenze artigianali ma pure sulle loro passioni; una combinazione che permette al mercatino di animarsi». Quest’ultimo, aperto la scorsa primavera, ha già i suoi fedeli visitatori che tornano alla ricerca di quadri, dischi e altri oggetti che attirano l’attenzione degli appassionati dell’usato. L’apertura verso l’esterno è un aspetto importante del progetto, come sottolineano gli educatori Michele Ferrari e e Jacopo De Pol, ai quali è affidata la gestione della struttura. Precisa Ferrari: «Siamo aperti dal lunedì al venerdì (-/-), giorni durante i quali garantiamo ai residenti servizi di prossimità senza però essere custodi degli stabili. La presenza di una marcata interculturalità implica la necessità di fornire consigli e informazioni sui servizi a disposizione o sul funzionamento di determinate pratiche. Sovente però queste persone hanno solo bisogno di parlare, di essere ascoltate. Stiamo diventando un punto di riferimento che collabora intensamente con l’Ufficio antenna sociale e l’Ufficio famiglie e giovani della Città». Sui giovani si concentra Jacopo De Pol che può contare su una lunga esperienza con la prima infanzia. «La popolazione dei bambini è la più sem-
plice da avvicinare. Le attività che abbiamo proposto hanno avuto successo anche se siamo ancora in una fase di monitoraggio. I partecipanti sono stati coinvolti nella visione del parco giochi del comparto e nella più ampia iniziativa comunale organizzata in occasione del Democracy Day lo scorso settembre. È stato loro chiesto di progettare e costruire il loro parco giochi ideale. Un approccio che si inserisce nell’ottica del progetto internazionale “La Città delle bambine e dei bambini” al quale Mendrisio ha aderito». Ai bambini malati e alle loro famiglie va invece il ricavato del mercatino. La collaborazione di Pro Senectute con l’associazione Alessia risale all’apertura dell’osteria sociale BarAtto, per la quale si è fatto capo ai mercatini attivi in suo favore per buona parte dell’arredo. L’associazione è impegnata dal principalmente su due fronti: il sostegno materiale e morale alle famiglie con bambini che necessitano di cure particolari in centri specialistici oltre Gottardo (circa ogni anno) e la partecipazione allo sviluppo delle cure pediatriche in Ticino con l’acquisto di macchinari, nuove infrastrutture e materiale. In quasi vent’anni di attività ha colmato diverse lacune con l’incubatrice da trasporto per ambulanza e elicottero, l’ambulanza pediatrica e un simulatore robotico per la chirurgia pediatrica. Ha pure provveduto a dotazioni meno appariscenti ma altrettanto importanti quali le borse pediatriche per le ambulanze e un manichino pediatrico per le esercitazioni del personale. Ascoltare, fornire informazioni, promuovere l’incontro, assicurare solidarietà come pure sostegno concreto alla creatività del singolo sono i ruoli essenziali della portineria di quartiere di Pro Senectute che li promuove associandoli di volta in volta ad un’attività pubblica. Il desiderio di creare nuove reti sta già prendendo forma con la portineria di quartiere VIAVAI a Bellinzona e l’innovativo cine-caffè che dovrebbe essere aperto entro fine anno a Gordola. Le linee guida del progetto sono sempre le medesime, lo spunto e l’ubicazione dipendono invece dalle dinamiche presenti sul territorio. Informazioni Mercatino e portineria di quartiere RiTrovo: tel. 077 432 88 79 Associazione Alessia: www.associazione-alessia.ch
Nuovo Futuro è un progetto che nasce dalla cooperazione tra la scuola, il mondo del lavoro e i genitori Il programma di base della Giornata Nuovo Futuro – Prospettive diverse per ragazze e ragazzi prevede che gli alunni accompagnino sul posto di lavoro uno dei genitori – idealmente il papà per le ragazze e la mamma per i ragazzi – o un proprio parente o conoscente. L’importante è aprirsi a nuovi panorami, conoscere dei mestieri atipici dal punto di vista del genere e considerare nuovi progetti di vita per il pro-
prio avvenire professionale, di qui il nome dell’iniziativa. Nei progetti supplementari contemplati dalla Giornata vengono invece coinvolte centinaia di organizzazioni, enti, scuole professionali e università, che si mettono in campo per far scoprire ai giovani, attraverso attività specifiche, il mondo del lavoro e molte professioni, con l’obiettivo di aprire loro nuovi orizzonti e stimolarli a scoprire il lavoro dei propri sogni. Il progetto si prefigge nel contempo di favorire la parità di genere nel mondo professionale. Se oggi donne e uomini possono seguire le stesse formazioni, la visione tradizionale dei ruoli maschili e femminili influenza ancora in modo importante la possibilità di scelta. Nuovo Futuro, progetto promosso dagli Uffici e dalle Commissioni per le pari opportunità cantonali e sostenuto finanziariamente dalla Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione, si prefigge di superare i ricorrenti stereotipi del «lavoro da donna» e del «lavoro da uomo», offrendo una visione più ampia e completa nella scelta professionale. «L’ novembre – fa sapere la delegata per le pari opportunità del Canton Ticino, Rachele Santoro – circa adolescenti potranno immergersi per un giorno in professioni atipiche, grazie alla disponibilità di un ampio ventaglio di aziende, istituzioni e scuole attive nel settore della tecnica, dell’agricoltura, dell’informatica, del settore sanitario, socio-assistenziale e dell’insegnamento». Come già avvenuto con successo nelle edizioni precedenti, le ragazze potranno così ad esempio vivere una giornata da poliziotta nella sede della Polizia cantonale ticinese o indossare il camice bianco, avvicinare lo sguardo e toccare con mano le diverse fasi di analisi alla Sezione della protezione dell’aria, dell’acqua e del suolo del Dipartimento del territorio. I ragazzi potranno invece compiere in un balzo di prospettiva, passando da allievi a docenti e, chissà, iniziare a coltivare la passione dell’insegnamento. Soprattutto: compiere una prima esperienza nel mondo del lavoro, illuminare la propria strada di idee, capire «che non bisogna essere maschio o femmina per fare un determinato lavoro» e iniziare a progettare un nuovo futuro. Informazioni www.nuovofuturo.ch
nuovofuturo.ch
Un RiTrovo per tutti
«Cogliete l’attimo, rendete straordinaria la vostra vita». La celebre frase rivolta agli studenti dall’attore Robin Williams nel ruolo di professore nel film L’attimo fuggente può rappresentare un valido invito in occasione della Giornata Nuovo Futuro in programma giovedì novembre in tutta la Svizzera, Ticino incluso. Si tratta di un’opportunità unica per gli allievi di seconda e terza Media per sperimentare una professione… inimmaginabile (letteralmente che non si immagina facilmente). In Svizzera si contano infatti mestieri. Eppure, la maggior parte dei giovani si pone dei limiti di fronte alla fatidica scelta, orientandosi su settori prevalentemente «femminili» o «maschili», con la conseguenza che ragazze e ragazzi escludono delle reali possibilità professionali. L’intento di Nuovo Futuro (ogni informazione sull’importante iniziativa che si rinnova ogni anno il secondo giovedì di novembre si trova sul sito www.nuovofuturo.ch inclusa la testimonianza di numerosi partecipanti) è dunque quello di fornire agli alunni un cambiamento di paradigma, prospettando loro la scoperta di mestieri atipici o poco conosciuti. In concreto, nella Giornata dell’ novembre le ragazze potranno ad esempio sperimentare un lavoro nel bosco, come forestali, avvicinarsi a progetti per la costruzione di edifici come ingegnera o, ancora, sviluppare programmi come informatica. Allo stesso modo, i ragazzi potranno ad esempio dedicarsi alla cura di un paziente o di un anziano e scoprire la vocazione di infermiere o vivere una giornata da fiorista.
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SOCIETÀ
Dall’idea all’oggetto, passando per il LAD Artigianato digitale ◆ Per le scuole in Ticino esistono due laboratori dove le nuove tecnologie convivono con le attività manuali artigianali. Ora uno apre anche al pubblico
Valentina Grignoli
Metti insieme gli attrezzi del nonno e la tecnologia del nipote, a casa del figlio. Metti generazioni e abilità a confronto, professionalità che si contaminano in nome di un sapere trasversale. E mettici un laboratorio scolastico, due docenti curiosi, e tanti progetti diversi che aspettano di essere realizzati. Questi sono i laboratori di artigianato digitale, i LAD. In Ticino che ne sono due, a Mendrisio e Bellinzona, e io sono andata a incontrare chi per primo ha avuto l’idea di aprirli: Mattia Rossi e Manuel Weiss, che attualmente gestiscono il LAD all’interno della Filanda di Mendrisio. Che cos’è il LAD? Una fucina di idee lì da realizzare. Ovvero: se un docente o una classe vuole costruire una radio, ma non sa da che parte iniziare, può cominciare da qui. Con una buona dose di ingenuità, quel digitale nel nome mi suggeriva una stanza simile a un laboratorio di informatica, e invece… un kayak mi pende sulla testa (più per scaramanzia che utilità, scoprirò poi), un angolo è adibito a bottega del falegname, sulle mensole molte realizzazioni manuali in materiali più disparati, stampanti D, taglierine di vari i tipi, tavoli e sgabelli, spazio d’azione e materie prime grezze. In un tavolo al centro, Mattia e Manuel mi accolgono con l’entusiasmo di chi è particolarmente felice del luogo in cui lavora, soprattutto se se lo è creato da solo. Sono docenti delle scuole medie: il primo di scienze naturali, l’altro di arti plastiche, e si sono incontrati a una formazione per l’abilitazione all’opzione robotica che viene proposta in quarta media. Tenendo questa opzione insieme, con due gruppi nella stessa aula, hanno subito aderito alla dimensione laboratoriale del lavoro, trovandosi a condividere saperi diversi in vista di una creazione finale, in questo caso addirittura la costruzione di un dirigibile! «Nel è arrivata la stampante D – mi racconta Manuel – ora sembra banale, ma allora era incredibile. Dopo aver visto su youtube di cosa si trattava ci siamo detti che sarebbe stato bello provare a fare qualcosa con la scuola, sperimentarla per un uso didattico. Abbiamo potuto iniziare a documentarci grazie a uno sgravio orario e capire cosa fare, a livello anche teorico, con i ragazzi. Con l’acquisto da parte
Il laboratorio è fornito di strumenti di ogni tipo che permettono ai ragazzi di sperimentare attività tecnico artigianali digitali.
della scuola di una stampante D abbiamo iniziato a metterci direttamente mano con gli studenti». Dopo questa esperienza i due docenti si accorgono che è un peccato limitarsi a un una stampante D a uso sperimentale… il laboratorio funziona bene, e allora vanno a bussare le porte direttamente al Centro di risorse didattiche e digitali (Cerdd), un servizio del Decs. Il progetto di creare un laboratorio dedicato alle nuove tecnologie applicate alla costruzione piace, e viene creata così una nuova opzione per la scuola media dedicata alle attività tecnico artigianali digitali, dove si integrano alla stampante D attività manuali in un contesto laboratoriale fornito di strumenti di ogni tipo. Mattia Rossi continua: «Nel frattempo abbiamo scoperto il mondo dei FabLab. Dopo una formazione a Torino, ci siamo accorti che ne volevamo uno anche da noi, per le nostre scuole. Il direttore del Cerdd ha dato credito al nostro sogno ed ecco che il nasce il posto in cui siamo qui ora, il laboratorio di artigianato digitale, il nostro FabLab, il nostro Maker Space». Ma facciamo un passo indietro, per chiarire a chi come me non ne aveva mai sentito parlare, cosa intendiamo quando parliamo con questi termini. «Nei maker space nasce tutto! – mi aggiorna Manuel Weiss – Sono
degli spazi dove le persone a cui piace costruire, fare, i maker per l’appunto, creano. La connotazione del maker è legata anche all’uso del digitale: per esempio macchine a controllo numerico o elettronica». «Una delle caratteristiche del movimento culturale dei maker – continua Mattia – che nascono negli USA negli anni è trovarsi in laboratori, organizzare eventi come le fiere (la più grande in Europa è la Maker Faire di Roma, ma anche a Zurigo esiste una mini faire in questo senso), condividere tecniche e software che prima utilizzavano solo gli architetti o gli ingegneri, e fare in modo che tutti possano accedere alla conoscenza. Quello che interessa a noi, perché si avvicina al mondo della scuola, è il fatto che in questo movimento si veda in maniera più orizzontale il rapporto tra docenti e allievi. In un ambiente maker si è livellati, non c’è un maestro che sa tutto, e qui succede spesso che i ragazzi ne sappiano più di noi!». Un’altra importante caratteristica dei Maker è la condivisione del sapere, e la sua diffusione nella comunità. Ciò presuppone che ci sia una rete a livello globale che unisca questi movimenti in tutto il mondo. Mattia mi racconta che «c’è una comunità di FabLab, circa , in tutto il mondo, nella quale per iscriverti basta ave-
re un laboratorio e partecipare alla discussione». Un altro passo indietro, e cosa sia un FabLab questa volta me lo spiega Manuel: «L’idea l’ha avuta un docente del MIT, l'Istituto di tecnologia del Massachusetts, che si trovava di fronte a ragazzi bravissimi al computer ma frustrati dall’impossibilità di vedere realizzate manualmente loro idee. Ha creato quindi uno spazio mettendo insieme ciò che la tecnologia già offriva, stampante D e taglio laser per esempio, e le ha integrate agli strumenti più tradizionali come il martello e lo scalpello in un luogo dove si potesse realizzare un po’ di tutto, versatile, non settorizzato. Per realizzare qualcosa di concreto, tridimensionale». Va da sé che il laboratorio piace, non solo ai suoi allievi ma anche alla scuola tutta e anche a chi non studia al MIT, e così nasce il FabLab, un luogo aperto a tutti, con le stesse caratteristiche, che genera attorno a sé una comunità di persone e saperi eterogenei. Mattia mi dice che quello che mancava a loro per entrare nella rete di connessione FabLab era proprio questo, la comunità: «eravamo aperti solo alle scuole, ma ora finalmente possiamo aprire anche alla popolazione tutta, per mezza giornata alla settimana». Una comunità quindi, fatta di ragazzi, ma anche professionisti, pen-
sionati, curiosi, che potranno realizzare o aggiustare le loro idee, tutti i martedì pomeriggio dall’ novembre dalle . alle .. «Il primo LAD è questo, aperto nel , poi ne esiste uno a Bellinzona. L’ideale sarebbe avere diversi poli, centri di competenze, in tutto il cantone. Questa è un’aula scolastica, uno spazio aperto a tutti gli attori delle scuole. Siamo aperti ai diversi ordini, principalmente alle scuole dell’obbligo ma anche alle superiori, speciali, professionali. Quando ci sono occasioni di creazione, idee da realizzare, noi ci siamo». Sul sito www.lad.edu.ti.ch si possono vedere tutte le proposte che il LAD mette a disposizione. Si va dal sostegno e aiuto per la realizzazione di una richiesta specifica da parte di docenti o allievi, a proposte per avvicinarsi al LAD di una mezza giornata come workshop mirati e monotematici. Ma quello che i due docenti preferiscono è lavorare per progetti: «Realizzare una richiesta specifica, terminare manualmente un progetto iniziato in aula con il docente di una materia. Come quando per esempio una classe della scuola speciale ha realizzato qui i cartelli per l’orto in modo che non si rovinassero. O una sezione di asilo ha costruito un razzo per riportare il loro amico alieno sulla luna. O ancora una classe delle medie ha creato con la docente di italiano delle spille con la loro immagine mitologica a compimento di un percorso legato ai miti. Noi poi lo diciamo subito che le cose non le sappiamo per forza, che dobbiamo lavorare insieme. Ci mettiamo a disposizione, ci mettiamo in gioco, è bellissimo». Mi sorge spontanea una domanda però, rispetto a questa filosofia di apprendimento trasversale. Dove si situano gli artigiani e ingegneri professionisti, se tutti possiamo imparare a fare e creare, realizzando e aggiustando con le nostre mani un po’ di tutto? Manuel Weiss è molto chiaro in questo senso: «La cosa importante di un laboratorio di questo tipo è creare la comunità, quando c’è questa attorno poi ogni persona con le sue competenze può partecipare e contribuire. E il contributo e mutuo sostegno di artigiani professionisti è un prezioso aiuto che spinge la crescita e permette le realizzazioni».
Lo sguardo nascosto
Violenza in famiglia ◆ In Svizzera sono molti i minori esposti alla violenza tra le mura domestiche. Al tema sarà dedicata una serata pubblica giovedì 11 novembre La violenza domestica è un tema purtroppo molto attuale nel nostro Paese. La politica lo sta (finalmente) affrontando con una serie di iniziative e strategie a livello nazionale e cantonale. Anche il Ticino si sta dotando di un Piano di azione contro la violenza domestica in sinergia con il Programma cantonale di promozione dei diritti, di prevenzione della violenza e di protezione dei bambini e dei giovani presentato lo scorso aprile. D’altra parte le statistiche sono impietose: a livello nazionale si registrano circa mila reati di violenza domestica all’anno, in Ticino si calcola una media di interventi di polizia al giorno.
Nella metà di questi interventi sono coinvolti dei minori, bambini e ragazzi che assistono a episodi di violenza tra le mura di casa divenendo a loro volta vittime anche se la violenza non è direttamente rivolta contro di loro. Sono definiti «vittime di violenza assistita» e in realtà non si ha un’idea precisa del loro numero perché sono ancora tante le situazioni che non giungono a conoscenza delle autorità. Ciò che invece oggi si sa con certezza, come denuncia l’organizzazione internazionale Save the children, è che l’esposizione alla violenza all’interno delle mura domestiche può provocare nei bambini e negli adolescen-
ti una grave instabilità emozionale, ha un impatto sullo sviluppo fisico e cognitivo oltre che sul comportamento. Del tema si discuterà in una serata pubblica dal titolo «Minori e violenza in famiglia. Lo sguardo nascosto» promossa dal Dipartimento delle istituzioni in collaborazione col Dipartimento della sanità e della socialità nel quadro delle iniziative volte a sottolineare la Giornata internazionale per eliminare la violenza contro le donne del novembre. Durante la serata prevista giovedì novembre al Cinema Lux di Massagno (dalle .) si affronterà il tema partendo dalla visione del film di Xavier Legrand L’af-
fido. Una storia di violenza premiato a Venezia nel . Seguirà un dibattito aperto al pubblico, nel quale interverranno Sonia Giamboni, pretore di Leventina e giudice della Pretura penale di Bellinzona; Letizia Vezzoni, avvocata e membro del Gruppo di accompagnamento in materia di violenza domestica; Cristiana Finzi, Delegata per l’aiuto alle vittime di reati; Domenico Didiano, psichiatra e psicoterapeuta del bambini e dell’adolescente; Ilario Lodi, direttore di Pro Juventute sezione Ticino, con la moderazione di Chiara Orelli Vassere, coordinatrice istituzionale in tema di violenza domestica presso il DI. / BM
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SOCIETÀ
L’atlante svizzero dei novantanove mammiferi
Biodiversità ◆ Pubblicata dopo sei anni di lavoro e oltre un milione di osservazioni la nuova raccolta delle specie selvatiche che popolano la Svizzera e il Liechtenstein Elia Stampanoni
Si legge e sfoglia volentieri, ritrovandoci coinvolti dalle descrizioni e dai temi trattati. Parliamo del voluminoso, oltre pagine, nuovo Atlante dei mammiferi della Svizzera e del Liechtenstein, pubblicato quest’anno dalla Società svizzera di biologia della fauna (Ssbf): è un interessante strumento scientifico, didattico, formativo e anche divulgativo, parte di un ampio progetto volto a raggiungere svariati obiettivi. Filo conduttore dell’opera sono le specie di mammiferi viventi nella Svizzera e nel Liechtenstein, monitorate e censite nel corso degli anni. In totale, nella banca dati nazionale Info fauna sono state raccolte, a partire dal , ’’ osservazioni che hanno costituito la base del nuovo atlante, pubblicato nelle lingue italiano, tedesco e francese a oltre anni dall’uscita del precedente (Hausser, ), da tempo esaurito e in molte parti non più attuale.
Le ricerche per allestire il nuovo Atlante hanno permesso anche di scoprire 12 nuove specie rispetto all’ultimo bilancio del 1995 Come indicano gli autori Graf e Fischer nella loro prefazione, il volume «è più di un libro», vuole essere un punto di riferimento per futuri lavori e una base pratica per la protezione delle specie. Questo progetto editoriale ha anche permesso di coinvolgere e formare nuove persone esperte nel settore, aumentando l’attuale numero limitato di specialisti capaci di eseguire i monitoraggi. Non da ultimo, il progetto punta a coinvolgere il vasto pubblico, offrendo una lettura interessante in tutte le sue pagine, riccamente completate con fotografie, grafici, schemi, disegni, elenchi, indici e mappe di distribuzione. Alla redazione hanno lavorato oltre autori, a cui si aggiungono molti più osservatori coinvolti nella raccolta degli elementi, la quale si è basata sui dati acquisiti tramite di-
Famiglia di Ermellini in un muro (da pag. 270, Patricia Huguenin).
verse piattaforme online o altre vie di comunicazione e confluiti in Info Fauna. Il progetto del nuovo atlante ha quindi stimolato ulteriormente le osservazioni e le segnalazioni, con monitoraggi che si sono avvalsi di differenti tecniche: dall’esplorazione diretta, all’indagine di orme e tracce, dalle vocalizzazioni alle analisi genetiche, dalle catture ai ritrovamenti, senza dimenticare l’analisi di escrementi, borre o peli o l’utilizzo di sempre più performanti trappole fotografiche. Procedimenti che hanno permesso anche di scoprire nuove specie rispetto all’ultimo bilancio del , come il Vespertilio criptico, un pipistrello censito con due colonie in Ticino e San Gallo. Un rilevamento che non si può però definire concluso, dato che i mammiferi selvatici, per loro definizione, sono animali che vivono per lo più in luoghi appartati e nascosti, sono timidi, a volte notturni e quindi difficilmente rilevabili. Il grande lavoro ha comunque permesso di rimarcare che, mentre specie come Lupo o Lontra sono di ritorno, altre come il Toporagno del Vallese o il citato Vespertilio criptico sono specie scoperte solo di recente. Oltre ai nuovi mammiferi osservati, è stato riscontrato un sensibile aumento della
presenza di Lince eurasiatica, Gatto selvatico, Castoro europeo o Cervo rosso, mentre altri animali di piccole o medie dimensioni subiscono una forte pressione. Per il Ticino, come evidenzia Damiano Torriani, membro di comitato della Società svizzera di biologia della fauna, «rispetto al primo atlante è stato accertato il passaggio della Lontra, della Genetta e del Muflone, così come è stata confermata la presenza del Mustiolo». Anche a Sud delle alpi si ratifica la presenza sempre più importante di alcuni «grandi mammiferi» e pure l’arrivo della Nutria e della Minilepre, a cui si dovrebbe presto aggiungere pure lo Sciacallo Dorato, già avvistato anche in Ticino nel . «Grazie al progetto del nuovo atlante si sono pure migliorate le conoscenze per talune specie, ma non si sono più trovate tracce di altre, come la Puzzola, il Topolino delle risaie o il Coniglio selvatico, in contrapposizione al preannunciato arrivo di Scoiattolo grigio, Scoiattolo di Pallas o Istrice», conclude Torriani. Nel libro, i mammiferi sono raggruppati e presentati per ordini e, delle trenta specie di chirotteri elencate, oltre la metà sono sulla Lista Rossa. La loro precarietà viene collegata
nell’atlante alla modifica dei suoi habitat, alla diminuzione del cibo, soprattutto insetti, all’aumento dell’inquinamento luminoso o all’utilizzo improprio di alcuni biocidi ambientali. Dopo il nutrito capitolo dedicato ai chirotteri, anche gli insettivori sono descritti con dettagli su ambienti di vita, biologia e conservazione, ma anche fotografie, schemi e mappe di distribuzione. La Crocidura minore è per esempio un piccolo toporagno minacciato che, legato ad ambienti ricchi di muri a secco, siepi e terreni incolti, si trova oggi solo a sud delle Alpi. Tra i carnivori, invece, si registra per esempio un aumento della popolazione della Lontra, considerata estinta dal , ma che da alcuni decenni è tornata lungo l’Aar, l’Albula, l’Inn, il Reno o il Ticino. Il Cane procione, originario dell’Asia orientale, si è da parte sua diffuso anche in Europa dopo l’introduzione in Russia e, in Svizzera, oggi sono stati osservati solo alcuni individui. Dall’Asia proviene pure il Muflone, un artiodattilo che in Svizzera si trova attualmente unicamente nello Chablais vallesano, con circa individui. La Lepre bianca e la Lepre comune sono tra i lagomorfi ab-
bastanza diffusi sul nostro territorio, al contrario degli altri due presenti in Svizzera, il Coniglio selvatico e la Minilepre. L’ultimo gruppo in successione cronologica è quello dell’ordine dei roditori, con le sei famiglie e le specie descritte, tra cui il Ghiro o lo Scoiattolo, i ratti, i topi o le arvicole. Anche qui si scoprono molte informazioni interessanti e pure particolarità, come per esempio sulla Marmotta, che suda solo dai piedi e sopporta meglio il freddo del caldo. Ulteriori specie sono poi elencate in un successivo capitolo. Si tratta di animali che potrebbero già essere presenti in Svizzera (e Liechtenstein) ma per cui mancano ancora delle osservazioni precise, oppure di mammiferi che potrebbero tornare presto nel nostro paese. In quest’ultima categoria rientra per esempio il Bisonte europeo che, assieme all’Alce è uno dei pochi «grandi» mammiferi che non ha ritrovato un suo spazio dopo il , anno dell’entrata in vigore della legge sulla caccia, la quale ha permesso a Cinghiali, Stambecchi, Camosci, Cervi, Linci o anche Lupi, Orsi e Castori di lentamente tornare a vivere su una buona parte del territorio. Oltre alle specie, di cui autoctone, l’atlante propone pure delle pagine su temi legati alla natura e agli animali selvatici, come la presentazione di alcuni metodi di monitoraggio o progetti di reintroduzione. Questi capitoletti, chiamati Focus, s’inseriscono nel volume e permettono di aggiungere ulteriori elementi a una già valida e interessante opera scientifica, ideata sì per specialisti quali studenti, insegnanti, pianificatori, autorità o consulenti ambientali, ma anche ideale a tutti coloro che, apprezzando la natura, s’interessano ad essa con un’attenzione particolare ai mammiferi selvatici. Bibliografia: Graf R.F. & Fischer C., 2021: Atlante dei mammiferi della Svizzera e del Liechtenstein, Società svizzera di biologia della fauna SSBF; Edizioni Haupt, Berna.
Non basta acquistare un’auto elettrica
Motori ◆ Per agire davvero a favore dell’ambiente vanno presi in considerazione più aspetti: dalla produzione in fabbrica alle fonti energetiche Mario Alberto Cucchi
Basta comprare un’auto elettrica per avere un comportamento green? Andrebbe in realtà analizzato l’intero processo produttivo. In alcuni Paesi, come la Cina, i problemi sulle fonti energetiche sono più che evidenti. Le fabbriche inquinano molto, anche quelle di vetture. Il presidente cinese Xi Jinping ha dichiarato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite che la Cina non costruirà più centrali a carbone. L’obiettivo finale del Paese è raggiungere la neutralità carbonica entro il . Questo per dire che è indubbiamente importante sapere quanto inquinamento ha prodotto la costruzione dell’auto elettrica che stiamo comprando. Il paradosso sarebbe infatti quello di guidare un’auto elettrica costruita da una fabbrica che va a carbone. In seconda battuta è importante sapere da dove arriva l’elettricità che utiliz-
ziamo per fare il pieno. A Stoccarda lo sanno bene. Per questo hanno ideato il progetto Mercedes Me Charge (nella foto) che assicura una ricarica sempre green. Gli uomini della stella a tre punte affermano che in questa rete, conta mila punti in Europa, viene
immessa energia elettrica prodotta solo da fonti rinnovabili. E questo vuol dire molto ma non basta ancora. Guidare elettrico significa prendere coscienza di nuove dinamiche e lo abbiamo testato con EQA che oggi rappresenta la porta d’accesso al mon-
do elettrico di Mercedes. Ad esempio, «navigando» con Electric Intelligence si pianifica in modo intelligente il percorso più veloce, includendo anche le soste per la ricarica. Se un classico calcolatore dell’autonomia si basa sul passato, la navigazione con Electric Intelligence di EQA guarda anche al futuro. Nel calcolo del tragitto confluiscono, tra gli altri, l’autonomia elettrica attuale, il consumo di corrente momentaneo, la topografia e le temperature presenti che hanno effetti poi sul tempo di ricarica. Meno male che tutti questi calcoli vengono svolti autonomamente. Tornando alla nuova EQA, la parentela con il SUV GLA è evidente anche se la tecnologia che le permette di muoversi è completamente differente. Niente carburante ma solo elettricità. Il pieno si fa alla spina e in poco tempo. Il merito va al caricatore di bordo che consente di in-
terfacciarsi anche con le stazioni di ricarica rapida in corrente continua con una potenza massima di kW. In quest’ultimo caso occorrono circa minuti per portare il livello della carica dal sino all’ per cento. Ma il pieno si può anche fare a casa con una presa domestica oppure con il wallbox sino a kw in corrente alternata. Grazie alla batteria da , kWh, la EQA promette di percorrere sino a chilometri a emissioni zero. Il propulsore elettrico è capace di erogare una potenza massima di kW ovvero cavalli e una coppia massima di Newton metro già a mille giri al minuto. Tradotto in prestazioni, EQA accelera da ferma a cento orari in , secondi ed è in grado di raggiungere una velocità massima di orari limitati elettronicamente. Prezzi a partire da ’ franchi. Energia a parte.
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SOCIETÀ / RUBRICHE
Approdi e derive
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di Lina Bertola
Prigionieri del nostro sguardo sulla vita ◆
Quando una persona apprezzata ed amata ci lascia, molto spesso le manifestazioni di affetto e di cordoglio si intrecciano con un gran parlare di sé stessi. Anziché limitarsi a ricordare le qualità della persona, ci si ritrova spesso a raccontare di sé, a evocare momenti della propria vita: di quel giorno in cui abbiamo bevuto un caffè insieme e gli ho raccontato che…; di quell’occasione in cui mi ha salutato cordialmente mentre stavo facendo quella cosa lì…; di quando le ho parlato di quel mio bel progetto… Raramente il ricordo è solo un ricordo delle qualità di un Lui o di una Lei, raramente sappiamo parlare di Loro semplicemente nel loro esserci stati, della loro presenza tra noi e di quello che hanno fatto. Viene sempre molto più facile parlarne dentro un racconto, spesso dettagliato, di noi stessi. Il fenomeno è ben visibile nei social ma questo non deve farci credere che sia solo una questione di esibizione, di un
bisogno di partecipare in prima persona allo spettacolo della vita. Rispetto all’attuale spirito del tempo che incoraggia a mettere in scena la propria vita, rispetto al bisogno di raccontarla e di esibirla per poter esistere, questi comportamenti hanno radici ben più profonde. L’approccio autoreferenziale con cui oggi entriamo in relazione con l’Altro può essere infatti considerato solo un’ultima deriva di un’antica abitudine della ragione. L’ultima spiaggia di un modo di ragionare che viene da molto lontano e che da sempre impedisce di nominare ciò che è diverso semplicemente nella sua differenza, nella sua alterità. È la nostra razionalità che funziona così. Se ad esempio osserviamo un colore nuovo, mai visto prima, per poterlo definire saremo costretti a confrontarlo con un altro colore, un po’ simile ma anche un po’ diverso. Da questa esigenza della ragione nel nominare e nel comprendere le cose,
La società connessa
al modo in cui cerchiamo di conoscere le persone che incontriamo, il passo è breve. Anche quando desideriamo comprendere l’Altro, da sempre ragioniamo distinguendo, confrontando, misurando. E come accade per il colore, ritenuto più o meno bello di quelli già conosciuti, alla fine anche la conoscenza dell’Altro porterà con sé un giudizio di valore. Incapaci di nominarlo come altro e basta, lo mettiamo sempre in relazione con qualcosa di già conosciuto e questo «già conosciuto» diventa spesso il modello, il punto di riferimento in base a cui, non solo comprendere, ma anche giudicare ciò che è diverso. Si tratta di un comportamento della ragione ben visibile fin dalle radici della nostra cultura quando, ad esempio, lo scienziato Aristotele descrive rigorosamente le differenze tra femmina e maschio nelle diverse specie animali, comprese quelle tra uomini e donne. Il confronto e la mi-
sura diventano poi giudizio di valore. Si distinguono le qualità fisiche dal più al meno (più o meno peli, più o meno forza, piedi più o meno grandi…) e da questo confronto la donna risulta mancante rispetto all’uomo, ovvero rispetto al modello ideale di riferimento. Siamo ancora lì, quando guardiamo il mondo e le persone che lo abitano con il nostro sguardo sulla vita, con i nostri valori come punto di riferimento. Siamo ancora lì, quando per conoscere ciò che ci circonda restiamo prigionieri del nostro sguardo. Da qui derivano certamente anche gli attuali comportamenti autoreferenziali che, come detto, ci invitano a parlare sempre di noi, in ogni racconto della vita. Ma c’è dell’altro ancora. Come già quello di Aristotele nei confronti della donna, il nostro sguardo contiene spesso anche effetti ideologici non trascurabili. Per questo rischiamo di essere ancora lì, quando parlia-
mo dello straniero, del migrante, in generale di chi è diverso. Non so se una presa di coscienza etica, oggi più che mai necessaria, riuscirà a liberarci dalle prigioni del nostro sguardo sulla vita quando vede muri e alimenta esclusioni. A me pare di intravedere una speranza nei comportamenti dei più giovani. I nostri bisnonni dicevano «mogli e buoi dei paesi tuoi», qualcuno forse continua a crederci. Per i ragazzi di oggi questo sembra non aver più alcun senso. È facile che si innamorino di una ragazza cinese incontrata sotto casa, tutta protesa all’efficienza e alla competizione, e così magari capiscono che c’è dell’altro nella vita. Qualcosa d’altro, e di diverso, che possono riconoscere nello sguardo colorato di quell’amica con cui danzano la salsa, o di quell’amico che gli ha parato un goal. Mi piace pensare che l’etica possa offrire nuove fioriture proprio a partire dagli sguardi più liberi dei giovani.
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di Natascha Fioretti
Lo spirito del tempo ◆
Pedala, pedala, è il mio nuovo motto, non importa se piove o fa freddo, copriti e parti. Una domenica mattina nel Parco del Piano di Magadino pedalo tra pascoli e cavalli placidi intenti a mangiare il fieno sotto l’acqua. Io coperta di strati per non bagnarmi. Pare facile, invece scopri che basta uno strato in più o un tessuto sbagliato e all’improvviso muori di caldo. Non solo, continuo a litigare con la mia nuovissima giacchetta rossa col cappuccio antivento, antipioggia, antitutto, che non mi dà pace. Ogni cinque minuti mi devo fermare per regolare il capuccio che non vuole stare fermo sopra la mia testa. Tiro una, due, tre volte i fantastici laccini, alla fine ci riesco. Certo se piove con insistenza la pioggia sulla faccia non te la risparmi ma quant’è bello sentire sulle guance rosse di calore il fresco della piog-
gia? Intanto pedalo, saluto i miei amici quadrupedi e la mia mente pesca nei ricordi. Mi rivedo pedalare a sei anni in Germania sulla bicicletta rossa regalatami dai nonni lungo il fiume Nahe in mezzo a tutti quegli orti pieni di fiori che d’estate diventavano oasi di libertà e svago per la gente del paese. I genitori della mia amica Eva ne avevano uno bellissimo, molto grande con una casetta di legno e una veranda. Aveva persino la classica porta d’ingresso con il cuore intagliato. Ci si stava bene anche le domeniche pomeriggio d’inverno a bere la cioccolata calda davanti alla stufetta accesa. D’estate ci si godeva il fresco dell’acqua del fiume che riempiva la vasca in sasso in mezzo ai fiori. Nei miei giri in bici però la meta era Flicka, un pony sauro parcheggiato tutto solo in un grande prato. Quando mi vedeva arrivava trotterellando tut-
La nutrizionista
ta contenta perché sapeva che in tasca avevo gli zuccherini. Quasi quattro decenni dopo non è cambiato molto. Pedalando di cavalli ne incontro davvero molti, ci sono le mucche, gli scoiattoli che in questi giorni scendono dagli alberi a fare scorta di cibo e in sottofondo ti accompagnano la luce smeralda e il rumore del fiume. Ascolto, guardo e intanto pedalo felice alimentando il mio ritmo interiore, quel ritmo che tendiamo a dimenticare soffocato sotto strati di ansie, impegni, frenesie e distrazioni inutili. Quando riaffiora e ci pervade d’improvviso ci riscopriamo esseri armonici in sintonia con ciò che ci circonda. Sono momenti di serendipità in cui tutto torna a posto, gli incontri, le esperienze dei giorni passati ti scorrono davanti come una moviola e riesci a trarne l’essenza. Ripenso alla serata di premiazione
ATG, all’atmosfera di festa, al piacere ritrovato di incontrarsi e scambiare due chiacchiere tra colleghi. Una comunità che solitamente è in contatto via social o via mail che finalmente ha l’occasione di rincontrarsi dal vivo. Ripenso a Dario Olivero qualche settimana fa al LAC quando diceva che «Robinson» intercetta e spiega lo spirito del tempo. Pedalo, ci penso, ma non riesco a metterlo a fuoco lo spirito del tempo. Penso alle notizie che arrivano dal COP a Glasgow, l’impegno contro la deforestazione, l’impegno per la riduzione delle emissioni di metano, le parole del Premio Nobel Giorgio Parisi sul «Corriere della Sera» «Dai grandi solo parole un vero piano non c’è» mentre Greta Thunberg e i giovani attivisti gridano «Stop al tradimento climatico». Sui giornali si parla di risalita dei contagi e terza dose. Si discute dei rider
che ci consegnano il sushi a domicilio per centesimi al minuto o della Lugano alternativa che ormai è sparita. La NZZ parla del ritorno di Trump per le presidenziali del . La pandemia aggrava la situazione economica dei media, ci dice lo studio di Zurigo. Arriva la salita, devo concentrarmi (non penserete che ho la bici elettrica!). Giunta dall’altra parte prendo un bel respiro. Mi viene in mente l’intervista dell’altro giorno a Thomas Hürlimann, ospite questa settimana degli Eventi Letterari. Penso alle sue passeggiate serali col gatto, quel gatto che gli ha insegnato a guardare il mondo con occhi diversi. Penso alle sue malattie, a quante volte, proprio come i gatti, si è salvato. Non so dirvi quale sia lo spirito del tempo di oggi, cerco anch’io di scoprirlo ogni giorno mentre coltivo il mio giardino e pedalo.
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di Laura Botticelli
Meglio friggere ad aria ◆
Buongiorno Laura, sono una buona forchetta ma so che devo cambiare qualcosina delle mie abitudini se no rischio di aumentare troppo di peso e che il mio colesterolo (sempre vicino al limite massimo) esploda. Amo i cibi ben saporiti e quindi soffriggo e friggo spesso. In questa maniera mangio anche più volentieri la verdura. So che non è il massimo, ma ho visto in giro le friggitrici ad aria e mi chiedo, sono veramente valide? Sono più salutari? Prima di spendere dei soldi magari inutilmente mi saprebbe rispondere per favore? / Antonio Gentile Antonio, bravissimo, sono proprio i piccoli cambiamenti che portano a grandi risultati col tempo. Quindi, cosa posso dire sulle friggitrici ad aria? Una friggitrice ad aria è un piccolo forno ventilato che produce risultati simili a quelli della frittura tradizionale ma senza sporcare o emanare odori. Fanno circolare il calore ad
alte temperature per friggere, grigliare o cuocere senza usare olio e riuscendo comunque a creare uno strato esterno croccante e lasciando il cibo umido e gommoso all’interno. Effettivamente, friggere ad aria, rispetto alla frittura tradizionale, riduce significativamente l’apporto calorico complessivo. Sono anche efficienti in termini di tempo, si possono cuocere per esempio le patatine più velocemente in una friggitrice ad aria che in un forno tradizionale, e non si spreca neanche troppo tempo poi nella pulizia finale perché risulta in generale più facile. Un altro vantaggio è che rende golosi pure alimenti che purtroppo non piacciono a tutti, come le verdure, rendendole croccanti e quindi più invitanti. Nel complesso mi sento dunque di rispondere alla sua domanda con un sì, sono valide ma, c’è un ma anche questa volta: attenzione, non si può mangiare cibo fritto ogni giorno! In merito
all’aspetto salutistico ci sono ricerche contrastanti sul fatto che la frittura ad aria possa o meno produrre sostanze potenzialmente nocive, come l’acrilammide. Che cosa è? È una sostanza chimica scoperta nel , che si forma naturalmente negli alimenti contenenti amido durante le cotture ad alta temperatura, come appunto la frittura, per via di un processo noto come «reazione di Maillard», che avviene tra gli amminoacidi delle proteine e gli zuccheri. Questa reazione è quella che alla fine della cottura conferisce al cibo l’aspetto e il sapore «abbrustolito». Studi sugli animali hanno dimostrato che l’acrilammide accresce la probabilità di sviluppare mutazioni genetiche e tumori, ma ha effetti negativi anche sul sistema nervoso e dell’apparato riproduttivo maschile. A livello umano, nel l’EFSA (European Food Safety Authority) ha pubblicato la sua prima valutazione completa dei
rischi derivanti dalla presenza di acrilammide negli alimenti. Secondo questo studio, gli esperti concludono che la sostanza potenzialmente aumenta il rischio di sviluppare il cancro nei consumatori di tutte le fasce d’età. Inoltre, va bene la cottura povera o senza grassi ma non bisogna dimenticarsi che anche loro, soprattutto quelli a base vegetale come l’olio di oliva extravergine o l’olio di riso (vedi articolo su «Azione» del aprile ), sono importanti per la nostra salute e la maggior parte dei meravigliosi benefici dipendono dal loro consumo a crudo. Anche aumentare il consumo di verdure è eccezionale, ma non solo fritte: adesso che si è abituato un po’ al loro sapore potrebbe iniziare ad apprezzarle al vapore o crude. Molte vitamine sono infatti termolabili, ciò significa che con la cottura si degradano. Sarebbe per questo opportuno mangiarle anche crude.
Inoltre la maggior parte dei dispositivi cuoce da uno a tre chili di cibo per volta, e se si è una famiglia numerosa queste quantità possono essere poche, mentre se a cucinare è una persona sola o una coppia, le quantità sarebbero troppe e questo porta con sé il rischio di mangiare comunque molto cibo. Il mio consiglio, per concludere, è quello di acquistarla perché è un buon prodotto: riduce il consumo di calorie e grassi, ma per quello che riguarda una buona alimentazione, sarebbe meglio prendere in considerazione quanto ho riportato sopra: non si dovrebbe esagerare col consumo di cibi fritti e nutrirsi con porzioni calibrate. Informazioni Avete domande su alimentazione e nutrizione? Laura Botticelli, dietista ASDD, vi risponderà. Scrivete a lanutrizionista@azione.ch
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TEMPO LIBERO I Celti d’Irlanda Sulle tracce di un mondo impalpabile composto da una lingua e molti miti
Il vino tra mura medievali Un giro enogastronomico da Gavorrano a San Gimignano, terre di ulivi e vigneti pregiati
Pagina 17
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azione – Cooperativa Migros Ticino 15
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Le varianti della pancetta Diffusa in tutte le regioni italiane, insaporisce ripieni ma è anche buona al naturale
Meditazione floreale Stagni e laghetti da giardino diventano ancora più belli e rilassanti grazie alle ninfee
Pagina 19
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Terra di corsari e artisti
Itinerari
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Il Golfo dei Poeti e le sue destinazioni più popolari: Portovenere e Tellaro
Simona Dalla Valle, testo e foto
«Un nirvana tra mare e cielo, tra le rocce e la montagna verde», questo era il borgo di Tellaro raccontato dalla penna del poeta novecentesco Mario Soldati. Ci troviamo nel Golfo di La Spezia, conosciuto anche con il nome di Golfo dei Poeti, alle cui estremità si trovano due popolari destinazioni turistiche: Tellaro a oriente, e a occidente il paese di Portovenere. Scogliere punteggiate da pini e ulivi, sentieri a picco su insenature azzurre; questi paesaggi drammatici hanno attratto artisti e scrittori per molto tempo. Le origini di Tellaro sono antichissime: sebbene si dice fosse abitato già dall’epoca etrusca, nel Medioevo occupava senza dubbio il ruolo di avamposto difensivo, anche a causa della posizione strategica dalla quale era possibile osservare l’intero golfo. Il nome stesso del paese farebbe riferimento alla parola latina telus, il dardo usato dagli arcieri per difendere le fortificazioni, oppure a «tela», per via del commercio di tessuto proveniente dalla vicina Toscana. Tellaro è un paese immerso nella pace e nella tranquillità, dal momento che gli stretti carruggi impediscono il passaggio a qualsiasi mezzo a motore. Il belvedere all’ingresso del paese, che consente di ammirare Tellaro e il Golfo dall’alto, è dedicato alla maestra elementare Eoa Rainusso, che insegnò per tutta la durata della sua carriera nella scuola del paese. Alla Sotto-ripa si arriva attraversando una cancellata settecentesca in ferro battuto; lunga circa metri e larga due, fu costruita intorno al . Dai grandi finestroni era possibile controllare e contrastare l’assalto dei corsari saraceni, catalani e dei predoni locali, che fino al XIX secolo infestarono queste zone. Sulla Chiesa di San Giorgio, costruita nel XVI secolo sullo sperone di roccia all’estremità sud del paese, esiste una leggenda popolare a base «ittica»: si narra che in occasione dell’attacco da parte dei pirati saraceni, gli abitanti del paese furono allertati niente di meno che da un polpo, il quale, uscito dal mare, suonò le campane della chiesa con i suoi enormi tentacoli. Da allora il polpo è simbolo di Tellaro e compare su ceramiche, dipinti e targhe in commemorazione della città, nonché in svariati nomi di alberghi e ristoranti. Il polpo alla tellarese, condito con i prodotti locali, è il piatto tipico della sagra paesana che si svolge in agosto. Bel ringraziamento! Viaggiando in direzione di La Spezia, da Tellaro si raggiunge Fiascherino, il paese che incantò lo scrittore David Herbert Lawrence. Insieme alla compagna Frieda von Richthofen, il romanziere britannico si innamorò
di questa natura selvaggia tanto da ispirarsi a essa per l’opera L’arcobaleno, pubblicata nel settembre del , e la raccolta epistolare Lettere da Fiascherino, nella quale descrisse ai connazionali le sue giornate in Liguria, a contatto con la gente del luogo. Questo breve tratto di costa fu frequentato da innumerevoli artisti, poeti e scrittori tra i quali vorrei ricordare almeno Henry James, Virginia Woolf ed Eugenio Montale; quest’ultimo descrisse il paesaggio circostante come una «polifonia di limoni e arance». Villa Magni era il nome della proprietà alla periferia di Lerici (nella foto in alto, il porticciolo di Lerici) nella quale vissero Mary Shelley, autrice di Frankenstein, e il marito Percy Bysshe Shelley, poeta romantico. Rientran-
do da Livorno a bordo della sua barca a vela, l’ luglio Percy Bysshe Shelley fu sorpreso da una tempesta improvvisa e annegò. Il suo corpo fu ritrovato sulla spiaggia di Viareggio. La baia era apprezzata anche da un altro scrittore inglese amico degli Shelley, Lord Byron, il quale, vuole la leggenda, era solito attraversarla a nuoto da Portovenere tuffandosi dallo scoglio della Cala dell’Arpaia. La grotta, rinominata «Grotta di Byron» con tanto di placca in suo onore, è situata sotto la Chiesa di San Pietro (nella foto in basso), il «cristiano tempio» decantato da Montale. Qui lo scrittore traeva ispirazione per le sue opere letterarie. Tanto amava il nuoto, che nel fu la prima persona ad attraversare lo stretto dei Dardanelli e anni dopo percorse la laguna di Venezia e l’intero Canal Grande in tre ore e tre quarti. Ma i romantici non furono gli unici scrittori a essere attratti dalla bellezza del Golfo: secoli prima, anche Dante e Petrarca avevano amato questo scorcio di Liguria. Il Golfo dei Poeti è oggi una località turistica di fama mondiale. Ma forse non tutti sanno che, in queste zone così in voga, nel corso dei secoli si avvicendarono storie di mercanti, corsari e pirati con rapimenti, assalti, ruberie ed efferati delitti. La conformazione del territorio, ricca di insenature e nascondigli, rendeva la zona un rifugio ideale per lo sviluppo di una fiorente marina com-
merciale e piratesca. Tra i più noti e i più temuti pirati di Portovenere, Giuliano Gattilusio, nato a Mitilene da una nobile famiglia genovese e vissuto intorno alla metà del , all’epoca della sua scomparsa era ricercato per aver attaccato le navi fiorentine, alleate di Genova. Ma è forse il suo protetto Iacopo Bardella ad avere avuto un’importanza ancora più determinante per il territorio, quando nel fu protagonista dell’astuto salvataggio del paese dall’attacco degli aragonesi. Insieme alle donne di Portovenere, il pirata sparse abbondante sego sulla scogliera. Il grasso impedì ai nemici di raggiungere il borgo, facendoli scivolare in acqua: trascinati a fondo dalle pesanti armature, persero la vita in mare. Vale la pena ricordare anche la figura a metà tra storia e leggenda del marinaio spezzino Giovan Battista Cavicioli, celebre con il soprannome di Bacicio do Tin (dall’isola del Tino, al largo di Portovenere) per le sue scorribande a bordo dello sciabecco «Lanpo». Come raccontato dalla penna di Alberto Cavanna, Bacicio fu corsaro imperiale alla corte di Napoleone prima e spietato pirata «in proprio» poi. Catturato e incarcerato a Genova con condanne multiple, fu impiccato a Portovenere nel all’età di trentun anni. Informazioni: Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica
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Anno LXXXIV 8 novembre 2021
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TEMPO LIBERO
In cerca di celti e Banshee Reportage
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L’Irlanda tra la penombra del mito e la storia
Enrico Martino, testo e foto
Paesaggi reinventati a ogni istante da un vento che spazzola le brughiere e trasforma le colline in un chiaroscuro teatrale di nuvole che galoppano in cielo. Frammenti di un gigantesco puzzle che ognuno può completare cavalcando la propria immaginazione, perché «l’Irlanda è prima di tutto un clima» ha scritto George Bernard Shaw. Sono le atmosfere, più che i monumenti, a evocare la presenza di un popolo sospeso nel tempo, i celti, tra le malinconiche croci di qualche cimitero dove ogni ombra evoca una Banshee, la donna-fata che con il suo pianto annuncia la morte, o quando il vento che fa cantare le mura di un forte di pietra si trasforma nella musica delle ballate dei giorni di Samhain in cui i viventi possono impunemente dare uno sguardo all’Aldilà.
Dingle è una penisola irlandese aspra e sottile che conta oltre duemila siti archeologici e chiese paleocristiane Sull’«Isola di Smeraldo», mai conquistata dal mondo greco-romano, druidi e santi hanno convissuto per secoli persino nel trifoglio simbolo della Trinità per i cristiani ma anche pianta sacra per i druidi. Cresce ovunque tra l’erba umida di pioggia, anche oltre il cling-clang di un vecchio cancello che si apre su un mare d’erba senza confini, un luogo da respirare più che da visitare. Una collina apparentemente uguale a tante altre lungo la valle del fiume Boyne, l’unica differenza è una serie di morbidi avvallamenti circolari, quello che resta della mitica Tara dove regnavano gli Árd Rí na hÉireann, gli Alti Re a cui i capi dei clan giuravano obbedienza, mentre proseguivano imperterriti le loro faide infinite. All’interno del Ràth na Riogh, il Recinto Reale sulla collina più alta, si alza ancora la pietra fallica del Lia Fáil, la Pietra del Destino che ogni nuovo re doveva sfiorare con il suo carro lanciato a tutta velocità, facendole lanciare un triplice ruggito che sarebbe risuonato in tutta l’isola. A Tara, San Patrizio nel quinto secolo sfidò il potere reale accendendo un fuoco sulla vicina collina di Sleane, finendo per convertire al cristianesimo l’Alto Re Laoghaire, e da qui inizia anche l’Inseguimento di Diarmuid e Grainne. Un poema epico che racconta l’amore proibito tra Grainne, figlia di re Cormac, e il guerriero Diarmuid con un’inevitabile tragica fine, perché l’epica non prevedeva quasi mai un Happy End, la morte dell’amato nella Grotta di Grainne. Un luogo oscuro che la tradizio-
ne identifica con il gigantesco tumulo di Newgrange nel cuore di Bru Na Bòynne, un vasto sito neolitico Patrimonio dell’Umanità UNESCO che guarda dall’alto dei suoi cinquemila anni persino le piramidi d’Egitto. Forse era un luogo sacro, forse un calendario astronomico come testimonierebbe il raggio di sole che a ogni solstizio d’inverno scivola per pochi minuti fino alla camera interna, uno spettacolo per i pochi fortunati che vincono un’apposita lotteria, sperando che quel giorno una nuvola non oscuri il sole. Non lontano, un mare di colline ondulate nasconde un altro calendario neolitico, Loughcrew Hills, dove basta arrampicarsi sul panettone d’erba e di pietre del Cairn T e strisciare nel buio di un angusto corridoio fino a una camera centrale dove solo la luce di una torcia rivela cerchi, soli e spirali. Arcaici simboli sostituiti nel sesto secolo dalle torri rotonde, aguzze come punte di frecce, di un cristianesimo in salsa celtica che aveva fatto dell’«Isola dei santi e dei sapienti» il cuore culturale e spirituale di un’Europa di monasteri. Uno dei più famosi si specchia tra le anse del fiume Shannon, è il potente monastero di Clonmacnoise fondato nel da Saint Ciaràn dove si ritrovavano sapienti, monaci e pellegrini di tutto il mondo cristiano, poi i vichinghi, e la «normalizzazione» di Roma di una chiesa orgogliosa della propria autonomia, lo hanno ridotto a una malinconica geografia di chiese in rovina, torri rotonde e grandi croci scolpite. Monoliti di arenaria alti fino a quattro metri affollati di suonatori e guerrieri, testimonianze di un mondo celtico-gaelico sopravvissuto più a lungo a sud di Galway dove il vento scaglia le onde dell’Atlantico contro gli strapiombi delle scogliere di Mohair, l’ultimo confine del Burren. Un paesaggio lunare dove il dolmen di Poulnabrone sembra un’astronave di pietra puntata verso il cielo e i monasteri raccontano storie e leggende di santi famosi come rockstar. Da San Fachtna, cui è dedicata la minuscola cattedrale in rovina di Kilfenora, a San Colmano fondatore di Kilmacduagh con la sua torre rotonda sbilanciata in una spericolata imitazione celtica della Torre di Pisa. San Tolla, patrono del mal di denti, ha invece fondato Dysert O’Dea perso lungo una romantica stradina che attraversa un bosco. L’estremo occidente di questo mondo celtico, e dell’Irlanda, è un dito di pietra lungo una cinquantina di chilometri conficcato nell’Atlantico che precipita nel mare spumeggiante di Slea Head sulla penisola di Dingle.
Sopra Burren, monastero di Kilmacduagh vicino a Gort, uno dei complessi monastici più importanti d’Irlanda. Qui a fianco Dingle, paesaggio vicino al passo Connor. Sotto a sinistra Poulnabrone Dolmen, tomba neolitica. A destra Penisola di Dingle. Slea Head, il capo più occidentale dell’Irlanda.
«La prossima parrocchia è Brooklin» dicono i pochissimi abitanti di Dún Chaoi, un pugno di case nel cuore di uno degli ultimi gaeltacht, i fazzoletti di terra dove gli anziani parlano ancora gaelico. Decisamente più difficile ritrovare i celti in quello che il Merlino disneyano avrebbe probabilmente definito un «guazzabuglio globale», la Dingle turistica dove il proprieta-
rio americano di una guesthouse chiede compulsivamente se sei happy, il cameriere dall’inglese oxfordiano è bulgaro e giù al porto i pescherecci francesi hanno equipaggi magrebini. Eppure questa penisola aspra e sottile conta oltre duemila siti archeologici, chiese paleocristiane come l’oratorio di Gallarus con il suo profilo a forma di carena di barca rovesciata, l’unico modello d’ispirazione per i pescatori
locali, o una rara pietra ogham della chiesa di Kilmalkedar che testimonia l’inizio della letteratura irlandese con le sue incisioni utilizzate per trascrivere l’antica tradizione orale. «È piuttosto complicato definire i celti – conferma Isabel Bennett, curatrice del West Kerry Museum di Ballyferriter – In realtà sono un contenitore in cui ognuno può inserire quello che vuole perché in Irlanda hanno lasciato un’impressionante quantità di manufatti e gioielli ma, archeologicamente parlando, il periodo celtico è uno dei meno tangibili. Abbiamo trovato tombe e molti forti, che però risalgono all’Età del Bronzo e sono stati probabilmente riutilizzati dai celti, quello che ha resistito fino ai nostri giorni è la lingua gaelica, e un ricco patrimonio di tradizioni e toponimi geografici». L’universo celtico è sfuggente come una di quelle spirali che piacevano tanto a questo popolo di principi e druidi, impastato di terra, nuvole e maree che raccontano storie incerte tra la penombra del mito e la storia. Informazioni Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica
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Il buon vino della Toscana centrale Bacco giramondo
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Scelto per voi
Non solo «Cantucci» e Vin Santo – Seconda parte
Davide Comoli
LigaDue
La provincia di Grosseto è ritenuta la Maremma per eccellenza; è costituita da una pianura al di sotto del livello del mare che verso l’interno diventa collinare. Il paesaggio è costellato di ulivi e vigneti. All’uscita di Gavorrano, siamo saliti al piccolo villaggio sopracitato, dove l’amico Carlo, maremmano puro sangue, ci ha fatto provare un Monteregio rosso, Sangiovese in purezza, dai tannini vellutati e di un’inaspettata struttura, gustato con un buon «formaggio pecorino» stagionato. Un veloce «risotto alla marinara» lo consumiamo a Porto Santo Stefano, dove gustiamo un esclusivo Parrina bianco (Trebbiano-Vermentino), all’ombra del Monte Argentario con vista sul golfo di Talamone. Con la nostra «guida», risaliamo verso Scansano, dove il vino Morellino di Scansano è diventato la bandiera della enologia Maremmana. Il clima caldo e la scarsa piovosità permettono al Sangiovese, al raro Alicante Bouschet, al Canaiolo e al Ciliegiolo, una buona maturazione. Arroccato tra mura medioevali, il piccolo villaggio ospita un simpatico Museo del vino e accoglie pure noi. La sosta ci permette di gustare un Morellino Riserva, che ha subìto un’evoluzione in botte per mesi: l’assemblaggio di Sangiovese per cento e Alicante per cento ha creato nel vino un meraviglioso connubio di forza e armonia; matrimonio d’amore, quello con lo «stufato di cinghiale con prugne secche». Seguiamo la SE e attraversiamo un tratto panoramico prima di raggiungere Pitigliano. La sosta è d’obbligo per gustare il famoso Bianco di Pitigliano, prodotto un tempo solo da Trebbiano e Malvasia, ma oggi anche con l’ausilio dello Chardonnay, che dà origine a un vino gradevole e fresco, ottimo accompagnatore per i tipici «crostini», il più classico degli antipasti toscani. Molti chilometri ci separano dalla prossima meta. È tardo pomeriggio quando, girato a destra di San Quirico e passata Pienza, arriviamo a
Il Bacialé
Montepulciano, luogo incantevole di grande suggestione. Su terreni per lo più argillo-sabbiosi, tra ciottoli e fossili, le uve di Sangiovese, chiamato in loco Prugnolo Gentile, e quelle di Canaiolo, permettono vini dalle caratteristiche diverse a dipendenza del luogo in cui sono coltivate, che varia da un’altitudine situata tra i e i mslm. Il vino Nobile di Montepulciano con il Brunello di Montalcino sono stati i primi vini rossi a ricevere la D.O.C.G. nel . Il Nobile Montepulciano, della tavola serale, ha un per cento di Foglia Tonda, antico vitigno senese, molto usato in Val d’Orcia. Al naso si apre con un erbaceo di muschio che vira alle bacche di bosco e alla liquirizia, dal corpo pieno e un tannino forte, ma non spigoloso; è il complemento ideale per la nostra Fiorentina di pura chianina allevata a pochi chilometri da qui, a Sinalunga in Val di Chiana, e, per conciliare il sonno, niente di meglio che dei «Cantucci» inzuppati nel Vin Santo prodotto da uve passite di Trebbiano e Malvasia. Ritornando verso Siena, in località di Torrenieri svoltiamo a sinistra e ci arrampichiamo sul fianco della collina che ci porta a Montalcino, cittadina che ha conservato, oltre a una parte della cinta del XIII sec., una
magnifica Rocca costruita nel con alte mura ritmate di cinque torri. Di origine pre-etrusca, Montalcino in epoca comunale fu oggetto di contesa tra Siena e Firenze: le alte mura resistettero per ben quattro anni agli assedi portati dagli eserciti di Carlo V e del pontefice Clemente VII, prima di capitolare. Il territorio di produzione del Sangiovese – qui chiamato Brunello, per sottolineare il colore scuro degli acini rispetto agli altri biotipi di Sangiovese – copre un diametro quasi circolare di chilometri. Abbiamo il privilegio di essere ospiti di Jacopo Biondi-Santi a Villa Greppo. Il Brunello di Montalcino, un emblema della viticoltura toscana è legato a doppio filo con la famiglia Biondi-Santi: fu infatti Ferruccio Biondi-Santi che nel selezionò un clone particolare di Sangiovese nella tenuta in cui siamo ospiti, e ne vinificò le uve in purezza, sottoponendo il vino da esse ottenuto a un lungo affinamento. Dopo la sosta alla storica vigna culla del Brunello, visitiamo le cantine dove Jacopo ci mostra con orgoglio, custodite in una celletta come un tesoro, le pochissime bottiglie rimaste del e del . La degustazione in verticale di diverse annate che ne è seguita rimar-
rà indelebile nella nostra memoria. Ottimi poi il Rosso di Montalcino D.O.C. (Sangiovese allevato fuori dal territorio del Brunello) con la «lepre in umido» e il profumatissimo Moscadello con un trancio di «Panforte». Scendendo verso Siena, la collina che domina la conformazione morfologica, alternando scorci coltivati a vite e ulivo al caldo colore della chiazza mediterranea. Superiamo Monteroni d’Arbia, dove vengono prodotti discreti vini bianchi, ma dove si eccelle nella produzione del Vin Santo. A malincuore sfioriamo Siena e, attraversando il fiume Elsa da Poggibonsi, svoltiamo a sinistra per entrare a San Gimignano da Porta San Giovanni, chiedendoci se per qualche miracolo temporale siamo stati sbalzati nel Medioevo. Le quattordici torri che caratterizzano il profilo di San Gimignano (nella foto) sono le superstiti delle settanta di un tempo. Il vitigno autorizzato per la denominazione Vernaccia di San Gimignano si distingue per la qualità e l’originalità, poiché i quasi ettari in cui è coltivata questa varietà possono considerarsi unici, grazie alla composizione di sabbie gialle e argille sabbiose. Armonioso è stato l’abbinamento di questo vino dagli intensi aromi di mandorla con una «sogliola alla mugnaia».
La famiglia Bologna, negli anni Settanta, ha rilanciato l’enologia astigiana, trasformando la Barbera d’Asti in uno dei vini più pregiati della regione (Bricco dell’Uccellone). Il merito va a una straordinaria figura entrata nella mitologia di queste terre con il suo vino: Giacomo Bologna, scomparso più di trent’anni or sono. Oggi sono i figli a proseguire con bravura la sua opera a Rocchetta Tanaro (AT). Il Bacialé che oggi vi proponiamo è prodotto con uve vinificate in modo separato: Barbera, Cabernet S., Cabernet F., Merlot e Pinot Nero. È un vino dal colore rubino intenso, che si fa percepire al naso con intense sfumature di frutta a bacca nera, dove prevale l’amarena e una leggera speziatura data dal passaggio in legno. Tannini morbidi e un grado alcolico che dà calore, conferiscono a questo vino un’eccezionale struttura lungo il finale in bocca, che richiama i profumi sopra accennati. / DC
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Arrotolata, steccata o tesa
Gastronomia ◆ Diversi i processi di lavorazione che danno forma alla pancetta, sempre molto saporita che sia al naturale, affumicata, cotta, o semplicemente molto speziata
assi di legno allo scopo di mantenere il prodotto compatto ed evitare infiltrazioni d’aria. Infine, la pancetta tesa è di forma quadrata e conserva la cotenna; viene chiamata anche carnesecca o rigatino e può essere aromatizzata con pepe, peperoncino, aglio e semi di finocchio. Tutti e tre i tipi vengono stagionati per - giorni se piccoli, - se di grandi dimensioni. La pancetta affumicata si distingue per il grasso giallino: prima dell’affumicatura viene cosparsa con spezie, erbe, sale e pepe; non viene stagionata e ha gusto dolce e gradevole. La pancetta può anche essere insaporita con peperoncino, e in questo caso il grasso è inevitabilmente rossiccio. Si chiama coppata la pancetta avvolta attorno a un taglio di coppa di maiale che ne costituisce il cuore. Questo salume conosce numerosi impieghi in cucina, in Italia. La pancetta tesa e quella steccata vengono utilizzate tagliate a cubetti e soffritte per insaporire un gran numero di piatti: frittate, uova strapazzate, maccheroni alla chitarra, pasta alla carbonara o all’amatriciana, risotti, verdure ripiene, ragù alla bolognese, cavoli, zuppe di fagioli, di fave o di orzo. In commercio si trovano pancette, sia dolci sia affumicate, già tagliate a cubetti, pronte per l’uso; questi ultimi possono essere anche mescolati all’impasto del pane prima della cottura. Tritata è uno degli ingredienti di infiniti ravioli. La pancetta arrotolata viene invece tagliata a fette e utilizzata per avvolgere la carne magra prima della cottura: fagiani, faraone, quaglie si avvantaggiano di questa bardatura, ma anche ortaggi come gli asparagi possono essere avvolti nelle fette di pancetta. La pancetta è ottima anche gustata al naturale in fette sottili come antipasto.
Come si fa?
Puamelia
Uno scrive di tanti argomenti, poi un giorno il computer ti ricorda che non hai mai parlato di uno dei più onnipresenti ingredienti della cucina italiana ed europea: la pancetta. Lo so, l’ho citata in tantissime ricette, ma non ne ho mai parlato per esteso. Mi spargo il capo di cenere e colmo la lacuna. È un salume ricavato dal tessuto adiposo della regione ventrale del maiale. Si distingue per la caratteristica alternanza di strati di grasso bianco e venature di colore variabile dal rosso vivo al rosa della carne. È diffusa in tutte le regioni italiane in numerose varianti (con o senza cotenna, tesa, arrotolata, naturale, conciata, affumicata eccetera) che dipendono dai differenti processi di lavorazione. Lo stesso vale pressoché per tutti i paesi europei. Dopo il rassodamento in cella frigorifera, la pancetta viene innanzitutto rifilata (le parti grasse eliminate sono impiegate per la preparazione del salame), quindi sottoposta a salagione ed eventualmente aromatizzata con spezie varie (chiodi di garofano, noce moscata, cannella, bacche di ginepro); spesso si usa aggiungere aglio. Il processo di salagione è decisivo per le caratteristiche organolettiche del prodotto finito, che sono essenzialmente determinate dalla penetrazione della mistura salina nelle carni. Compiuti i trattamenti di rifilatura e salagione, si possono confezionare tre prodotti diversi: la pancetta arrotolata, quella steccata e quella tesa. Nella prima, il pezzo di carne viene arrotolato lasciando la parte più dura rivolta verso l’esterno, cucito con un filo ai bordi e legato strettamente con spago robusto; questo tipo di pancetta viene insaccato soltanto se è stato privato della cotenna; di gusto delicato, risulta piuttosto morbida. La pancetta steccata viene invece posta a stagionare compressa tra due
Pixabay.com
Allan Bay
Dire come si fa il mio amatissimo bollito misto è vano, dato che lo sanno fare tutti e la cottura dipende dal tipo ma soprattutto dalla qualità delle carni. Vi do qui solo un po’ di sommarie indicazioni. Si possono usare tutte le carni, ma è meglio evitare di usare parti troppo nobili – che peraltro vengono esalta-
te da altre cotture. Poi la carne deve essere sempre grassa, quella troppo magra resta stopposa dopo la cottura, un (bel) po’ di grasso è indispensabile per renderla tenera e succosa. In sintesi: meglio evitare la carne magra di vitello, filetto e controfiletto bovino (ma provate a bollire il cordolo,come viene buono!),l’agnello e i salumi nobili come i prosciutti. Moltissimi tagli possono essere cotti insieme, alcuni però no: quelli troppo ricchi di collagene, come la testina, i salumi e la lingua intorbidirebbero il brodo. Quanto alle verdure che si aggiungono nella bollitura, sono canonici: cipolle, carote, sedano e mazzet-
to aromatico. Attenzione però: non devono cuocere più di ora, altrimenti intorbidano il brodo, quindi toglietele a tempo – o aggiungetele ora prima di fine cottura. Anche pepe in grani e chiodi di garofano sono di prammatica. Salsa di accompagnamento? A me piacciono due classiche (cioè: la salsa verde e la mostarda di Cremona), e una modernissima,vale a dire il chutney. Ognuno farà comunque quello che vuole. Meglio non salare il brodo. Quasi tutti i condimenti che arricchiranno questo piatto sono salati e quindi la prudenza è doverosa. Si salerà alla fine, a preparazione ultimata.
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Ballando coi gusti
Oggi due ricette dove compaiono due degli ingredienti di mare più onnipresenti e amati: cozze e vongole.
Spaghettini con cozze, vongole e gamberi
Frittata di cozze e vongole, con cipolle e patate
Ingredienti per 4 persone: 300 g di pasta formato spaghettini – 700 g di cozze mondate – 700 g di vongole mondate – 200 g di code di gamberi mondate – prezzemolo– aglio – concentrato di pomodoro – olio di oliva – sale e peperoncino.
Ingredienti per 4 persone: 8 uova – 700 g di cozze – 700 g di vongole – 2 cipolle – 2 patate medie – prezzemolo – brodo vegetale – olio di oliva – sale e pepe.
In un ampio tegame fate aprire le cozze, scolatele in una terrina e filtratene il liquido di cottura. Lo stesso fate con le vongole. Versate nel tegame i fondi di cottura, unite cucchiai di olio, spicchi di aglio pelati e schiacciati e punta di concentrato di pomodoro. Mescolate e fate restringere la salsa. Lessate gli spaghettini e scolateli minuti prima del tempo consigliato; versateli nel tegame, unite i frutti di mare e le code di gamberi. Terminate di cuocere gli spaghettini nel tegame a fuoco allegro, unendo acqua di cottura se fosse necessario. Regolate di sale e di peperoncino, spolverate con prezzemolo tritato e servite.
In un ampio tegame fate aprire le cozze a fuoco vivace, sgusciatele e filtratene il liquido di cottura. Lo stesso fate con le vongole. Tagliate le cipolle a rondelle e rosolatele in cucchiai di olio fino ad ammorbidirle. Unite alle cipolle le patate sbucciate e tagliate a fette sottili. Mescolate e cuocete per minuti, unendo poco brodo vegetale se necessario. Sbattete le uova con il sale, unitevi le cipolle e le patate, le cozze e le vongole, il loro liquido di cottura e, infine, il prezzemolo. Spolverate un po’ di pepe e mescolate per amalgamare. Imburrate una tortiera, versatevi il composto e cuocete la frittata in forno a ° per circa minuti o sino a quando la superficie non sarà marroncina. Servitela tiepida.
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TEMPO LIBERO
Fiori a fil d’acqua
L’errore comico
Anita Negretti
Ennio Peres
L’autunno porta con sé non solo i colori della natura che cambia d’abito, ma anche un clima che ci invita al relax, in contrapposizione alla dinamicità dei mesi estivi che si protraggono ogni anno un pochino di più verso la stagione fredda. E con le piogge e il fresco, nasce la voglia di calma e meditazione: voglia di una tinozza calda, da una parte, o di un laghetto per ammirarne la tranquillità per chi ama mantenere lo sguardo all’esterno, anche solo verso il proprio giardino, dove per l’appunto potrebbe creare una zona d’acqua, come si usa per ricreare un ambiente conciliante. Soprattutto se ci impegniamo per decorarlo con qualche ninfea. Le Nymphaea rustiche sono piante antichissime, che possono rimanere immerse per un minimo di venti centimetri a un massimo di un metro e cinquanta centimetri di acqua. Non temono il freddo e men che meno il gelo, per cui non è nemmeno necessario ritirarle durante l’inverno anche qualora l’acqua dello stagno dovesse ghiacciarsi. Le ninfee necessitano di un terreno composto da / di letame di mucca ben invecchiato, / di sabbia e / di terra da giardino ben mescolata; andranno piantate in vasi con fondo piatto e senza fori, per evitare che le radici si propaghino sul fondo, con il rischio di rovinare il telo impermeabile. Al momento della piantumazione, sarà necessaria anche un’ulteriore accortezza: bisogna evitare di interrare la corona del rizoma, ovvero è fondamentale fermarsi al colletto. L’intera bellezza di questa pianta, com’è risaputo, è contenuta tutta nei suoi meravigliosi fiori che sembrano galleggiare a filo d’acqua: essi si aprono al mattino e si richiudono la sera, mentre nei giorni nuvolosi o di pioggia restano chiusi. Tra le ninfee rustiche a fiore grande troviamo alcune varietà molto belle, come «Virginalis», dal colore bianco purissimo e con fiori e foglie enormi; «Caroliniana» e «President Viger» con
Nymphaea «Marliacea carnea». (Amanda Slater)
colori dei petali rosa intenso e molto profumati, oppure la mutevole «Marliacea carnea» con foglie che dal marrone cupo diventano nel corso delle settimane verdi e striate di rosso carico, mentre i grandi fiori, passano dal rosa tenero al bianco crema. Se amate i colori allegri, vi è la gialla «Marliacea chromatella», con la caratteristica di essere molto rifiorente e in grado di tollerare bene anche la mezz’ombra. Per stagni o bacinelle alte solo trenta-cinquanta centimetri è indicata la coltivazione della varietà «Graziella», che presenta fiori giallo rosa e che nel corso dei giorni diventano rosso rame, che ben si abbinano alla rossa e brillante «Bory de Saint Vincent», anch’essa molto rifiorente. Più alte ma sempre nei toni del rosso, vi segnalo «James Brydon» che presenta fiori dalla curiosa forma sferica, stami color oro e un ottimo profumo, oltre a una fioritura continua per tutta l’estate; nel caso in cui vi dovesse capitare la fortuna di trovare una pianta della varietà «Escarboucle», non lasciatevela sfuggire: si tratta di ninfee che hanno la caratteristica di avere i fiori più grandi tra tutte le varietà esistenti. Se l’elenco delle ninfee rustiche dalle dimensioni medio-grandi è as-
sai fornito, non lo è di meno quello delle nane, la cui altezza si aggira tra i dieci e i quindici centimetri, come «Pygmaea helvola», dai petali crema e stami giallo oro, «Pygmaea rubra» in rosso, «Pygmaea alba» color bianco latte, alle quali si aggiunge la francese «Laydekeri lilacea» che – come suggerisce il nome – ha fiori lilla intenso con corolla semplice, composta da una quindicina di petali dalla colorazione sfumata di bianco verso le punte e una dimensione di cinque-sei centimetri a fiore aperto. Al contrario di quelle rustiche descritte fino ad ora, le ninfee tropicali vanno invece ritirate in inverno, togliendole dal laghetto e ponendo le radici in sabbia umida, collocandoli in locali luminosi a una temperatura tra i ° e i ° C, avendo l’accortezza di coprire i vasi con una rete scura per evitare che germoglino in anticipo. Da marzo si eliminerà la rete scura e li si lascerà vegetare fino a che non si deciderà di riporli nuovamente nello stagno. Tra le varietà più belle di questo gruppo si hanno «Yellow Dazzler»a fiore giallo limone, «August Kock» color lilla-celeste, dal buon profumo e molto robusta e «Missouri» con fiori bianchi che rimangono aperti anche di notte.
Giochi di parole ◆ Pochi quelli commoventi come «Io speriamo che me la cavo», meglio è evitarli
Io speriamo che me la cavo è il titolo di una raccolta di sessanta temi sgrammaticati, svolti dagli alunni di una scuola elementare della città di Arzano (un comune dell’entroterra nord di Napoli), pubblicata nel dal loro maestro, Marcello D’Orta. Il libro incontrò un successo inaspettato, vendendo oltre due milioni di copie. Inoltre ispirò, nel , un film diretto da Lina Wertmüller e, nel , una commedia musicale con brani composti dal cantautore napoletano Enzo Gragnaniello. Una tale clamorosa affermazione può essere giustificata principalmente dal fatto che gli errori linguistici (commessi da altri...), costituiscono spesso una fonte di coinvolgente comicità. In assoluto, però, nella fase di costruzione delle frasi, è opportuno non commettere errori di alcun genere. Anche se si riesce a farsi capire lo stesso, si rischia di apparire come delle persone ignoranti. Provate a verificare come ve la cavate, in termini di conoscenza della lingua italiana, sottoponendovi al seguente test. In ognuna di queste quindici frasi è contenuto almeno un errore linguistico (ortografico, grammaticale o sintattico). Quanti ne riuscite a individuare? E quanti ne riuscite a correggere?
. Non sò spiegarmi come mai, ma oggi non stò molto bene. . Per cortesia, potessi versarmi un pò di licuore in questo bicchierino? . Qual’è il problema? Se tu non c’è la fai, mi rivolgerò a qualcun’altro. . Se a mia moglie gli dico che è bella, lei squote la testa per farsa modestia. . Mi dispiace che tu non hai superato l’esame, ma per il resto, è tutto apposto? . Sei daccordo con me, si o no? . Mi dia un paio di salcicce e tre etti di prociutto crudo. . Se non sai propio deciderti, sarò costretto a intimarti un out out. . Il tipo di tua conoscienza, non è capacie di risquotere tutte le quote. . Stai molto attento, perché quel flacone contiene della soda acustica. . È inutile sfasciarsi la testa prima di rompersela, ma non desidero che il nostro amore finisce. . Se lei non si trova bene quì, vadi pure da un altra parte. . Questo palazzo è protetto da un’impianto dall’arme. . In coscenza, ritengo profiquo che tu richiedi l’esanzione dal ticket. . Post criptum. Erano molto buone le noccioline platinate che mi hai offerto ieri.
Soluzioni . Non so spiegarmi come mai, ma oggi non sto molto bene. . Per cortesia, potresti versarmi un po’ di liquore in questo bicchierino? . Qual è il problema? Se tu non ce la fai, mi rivolgerò a qualcun altro. . Se a mia moglie le dico che è bella, lei scuote la testa per falsa modestia. . Mi dispiace che tu non abbia superato l’esame, ma per il resto, è tutto a posto? . Sei d’accordo con me, sì o no? . Mi dia un paio di salsicce e tre etti di prosciutto crudo. . Se non sai proprio deciderti, sarò costretto a intimarti un aut aut. . Il tipo di tua conoscenza, non è capace di riscuotere tutte le quote. . Stai molto attento, perché quel flacone contiene della soda caustica. . È inutile fasciarsi la testa prima di rompersela, ma non desidero che il nostro amore finisca. . Se lei non si trova bene qui, vada pure da un’altra parte. . Questo palazzo è protetto da un impianto d’allarme. . In coscienza, ritengo proficuo che tu richieda l’esenzione dal ticket. . Post scriptum. Erano molto buone le noccioline pralinate che mi hai offerto ieri. Post Scripum: Inoltre si scrive: «Speriamo che io me la cavi» (e non: «Io speriamo che me la cavo»).
Mondoverde ◆ I colori pastello delle ninfee incoraggiano a rilassarsi non meno di quanto inviti a farlo il laghetto che le ospita
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Settimanale di informazione e cultura
Anno LXXXIV 8 novembre 2021
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azione – Cooperativa Migros Ticino
TEMPO LIBERO
Il calendario dell’Avvento Crea con noi
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Materiali di recupero e naturali per creare una bella decorazione e aspettare il Natale giorno dopo giorno
Giovanna Grimaldi Leoni
Una ghirlanda decorativa che è anche calendario dell’avvento e accoglie i pacchetti che scandiranno i giorni che mancano alla festa più attesa dell’anno, il Natale. È creata con materiali di recupero e elementi naturali nei toni neutri del bianco e della carta craft. Nei pacchetti troveranno spazio pic1 doni, 2 dolci, fotografie di 3 fami-4 coli glia o frasi significative. 8 9 Perfetto sia per gli adulti che per i bambini. 11
Procedimento Utilizzando il piatto e la ciotola come misura disegnate sul cartone corone e ritagliatele con il taglierino. Fissate con un po’ di colla a caldo l’inizio della fettuccia quindi rivestite / della . corona semplicemente avvolgendo la fettuccia attorno al cartone senza lasciare spazi vuoti. 5 restante / con la 6forbice7o Nel un punteruolo praticate nel cartone diversi buchi 10 abbastanza vicini tra loro.
Cercate di creare una composizione piacevole. Iniziate incollando gli elementi più grossi e in seguito riempite gli spazi con quelli più piccoli. Ora preparate i pacchetti. Con carte diverse nei toni del bianco/beige e un po’ di spago preparate i pacchetti. Tagliate quindi a metà la seconda corona. Praticate nel perimetro interno degli intagli a circa cm di distanza tra loro. Preparate una quindicina di pezzi di spago lunghi circa -cm, con un nodo a un’estremità, e infilateli nelle fessure. Incollate con la colla a caldo questo semicerchio sul retro della corona preparata in precedenza mettendo la colla dalla parte dei nodini. Fissate i pacchetti allo spago (- per spago fino a esaurimento). Stampate il cartamodello. Rivestite un cartone con il foglio oro, riportate sul retro a rovescio il numero e ritagliatelo. Fissatelo all’interno della corona aiutandovi con alcuni spilli. Ritagliate delle stelline in oro e bianco e usatele per decorare i pacchetti. Potete velocizzare questa operazione ritagliando le stelline con le apposite fustelle che trovate in vendita nei reparti bricolage Migros o nei Migros do-it. Buon Avvento.
Giochi per “Azione” - Novembre 2021 Sargentini Stefania
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Tagliate dei pezzetti di fettuccia di ca. cm e tenendoli doppi infilateli nel buchi fissando con poca colla in modo da formare dei ciuffetti. Ora che la base è rivestita incollate i materiali naturali.
Materiale
• Cartone spesso di riciclo • Un piatto rotondo di almeno 25 cm e una ciotola di ca. 15cm • (di carta o normale, servono solo per disegnare il cerchio in alternativa ad un compasso) • Forbici, taglierino • Nastro o fettuccia color panna • Colla a caldo • Materiale naturale • (pigne in diverse misure, ghiande, castagne,…) • Carta da pacco o regalo nelle tonalità bianco/beige • Spago • Fustelle per stelline • Cartoncino oro (I materiali li potete trovare presso
la vostra filiale Migros con reparto G I U A T E O M A Bricolage o Migros do-it) Tutorial completo L A A G E azione.ch/tempo-libero/passatempi R L I T I R O N I A C E R A Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba D Ne una A delle 2 K I Eda 50 V franchi R carte regalo con il sudoku P A E S E Sudoku A C E R ORIZZONTALI 1. Cacciare con una muta... che 3 7 non abbaia N OiScoprite T I E 5 N8 3 numeri 7. Conseguire, ottenere corretti 1 8. Lo sono alcuni gas F I O N A O da inserire 9. Ripetute in una spezia nelle caselle 6 3 2 5 10. Audaci colorate. N I A A T I 11. Un libro della Bibbia 12. Nota musicale 9 6 1 4 7 13. Si mangia tra il primo e la O frutta C O P I A 16. Una parente
Giochi e passatempi 14
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Cruciverba
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Per la sua velocità come viene 25 chiamato il soggetto della foto? Per quale altro motivo viene chiamato 27 28 così? Trova le risposte a cruciverba 29 ultimato leggendo nelle caselle evidenziate. (Frase: 5, 4 – 3, 2, 5, 7)
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17. Un pesce 18. Opere... poetiche 20. Si possono fare nel buio... 21. Leggendario calice 22. Nella mitologia greco-romana era un semidio 23. Sermoni sacri
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(N 45 - Pesce vela, per la pinna dorsale) 1
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P E S C A R E 8 9 3 2 1 VERTICALI 4 Auno dàVla propria, E R E L 1. Se si impegna 2. Si è presa la libertà... 3. Gravi, R importanti A R I PSoluzione E della settimana precedente 4. Croce Rossa Italiana La bandiera è del: GUATEMALA. Il bianco al centro simboleggia la 5. Le iniziali del fisico della O S I R Upurezza T dei suoi valori e l’azzurro ai lati…: GLI OCEANI CONFINANTI. relatività 6. Nominata per una carica 6 2 9 4 7 1 5 3 8 G I U A T E O M A 9. Ragazzo per Giulio Cesare L A P I E T A N Z A 11. Quartieri 3 5 1 8 6 2 9 4 7 L A A G E R L I T 13. Sono acuminate Nsua capitale U O R I RA O N I EA C E DR A 8 4 7 9 5 3 1 6 2 14. A Katmandu è la 2 1 4 5 3 6 7 8 9 D N A K I E V R 15. Nome femminile 16. Si pagaT per un 9 8 3 7 1 4 6 2 5 S E P AR C EE R Ouso temporaneo N N OP A E O 17. Una chitarra persiana 5 7 6 2 9 8 3 1 4 N O T I E N 18. Scorrono senza far rumore... S A L T I G R A A L 7 3 8 1 4 5 2 9 6 F I O N A O 19. I raggi del vate 20. In forse... 4 6 5 3 2 9 8 7 1 I A N A T I 21. Le iniziali dell’opinionista O E O M E L I E E R 1 9 2 6 8 7 4 5 3 O C O P I A Mughini
Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, cinque carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 6315, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata 1 2 3 4 5 6 7 8 9 esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.
(N 46 - ... dell’amore per la su forma a cuore) 10
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Settimanale di informazione e cultura
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TEMPO LIBERO / RUBRICHE ●
Viaggiatori d’Occidente
di Claudio Visentin
Pecore e capre nelle strade di Madrid ◆
Lo confesso: questa settimana avrei dovuto scrivere d’altro. La cronaca, del resto, mi propone spunti sempre nuovi. Per esempio, a partire da lunedì novembre gli Stati Uniti riaprono le frontiere ai viaggiatori vaccinati. Erano divieti in vigore dal gennaio , ancora al tempo del presidente Trump; per questo, pur tra dubbi e limitazioni, è un segno forte di ripartenza del turismo internazionale. O preferite forse una notizia curiosa? Da tempo diversi musei si lamentano perché i loro nudi artistici sono censurati sui social network. Nel per esempio Instagram oscurò un quadro di Rubens perché violava le regole della community contrarie a ogni nudità. Ma lo zelo dei censori, siano umani o algoritmi, non conosce limiti: e così nel Facebook ha rimosso considerandola pornografia una foto… della Venere di Willendorf. È una statuetta in pietra alta undici centimetri risalente a mila anni or so-
no, in pieno Paleolitico, custodita al Museo di storia naturale di Vienna; raffigura una donna bene in carne, simbolo di fertilità e prosperità. Un altro museo viennese, il Leopold Museum, ha dovuto censurare in Germania, Regno Unito e Stati Uniti i suoi manifesti con nudi del pittore espressionista Egon Schiele, anche se questo è morto nel lontano («Ci dispiace. Anche dopo cent’anni sono ancora troppo audaci» la scritta utilizzata per coprire le nudità). Ecco perché, stanco di tanta ottusità, con intelligenza e ironia l’ufficio del turismo di Vienna ha deciso di aprire un profilo su OnlyFans, una piattaforma online conosciuta per i suoi contenuti espliciti, dove proporre liberamente i propri capolavori. Di questo avrei dovuto parlare e di molto altro. Ma tutti questi argomenti sono passati in secondo piano quando più di mille pecore e capre hanno invaso le strade di Madrid, guidate
Passeggiate svizzere
dai loro pastori in abiti tradizionali, tra due ali di pubblico incantato e meravigliato. La Festa della transumanza, sospesa durante la pandemia, è tornata. E di nuovo, per un giorno, le auto hanno dovuto farsi da parte e il suono dei clacson è stato sostituito da quello dei campanacci. I pastori hanno così ribadito il loro antichissimo diritto di condurre il bestiame dal nord della Spagna (Castiglia o Leon) sino ai pascoli più meridionali dell’Estremadura e dell’Andalusia per il periodo invernale, seguendo le antiche vie; e pazienza se qualcuno nel frattempo ci ha costruito sopra una capitale. Immagini simili sono giunte anche da Pavia, dove domenica ottobre un fiume di pecore bianche ha attraversato l’imponente Ponte della Becca, alla confluenza di Po e Ticino, diretto verso l’Oltrepo. L’infinito gregge bianco era punteggiato solo da qual-
che asino grigio, con gli agnelli nelle grandi tasche laterali, per farli riposare o per impedire che il branco li calpesti nei passaggi più stretti. La transumanza, patrimonio immateriale UNESCO, mi ha sempre affascinato ma non è facile riuscire a vederla ancora. A partire dagli anni Sessanta del Novecento le greggi vengono trasportate con treni o camion. Anche così qualcosa rimane. Molte strade infatti, percorse dai mezzi pesanti carichi di ovini, ricalcano antichi percorsi di transumanza, per esempio il tratturo magno L’Aquila-Foggia. Il settembre, giorno di san Michele Arcangelo, i pastori abruzzesi cominciavano il loro cammino di centodieci chilometri in tre settimane verso il Tavoliere delle Puglie: «Settembre, andiamo. È tempo di migrare…» (Gabriele D’Annunzio, I pastori). Sarebbero tornati solo nel maggio seguente. Quando Alfonso d’Aragona nel riorga-
nizzò il Regio tratturo (che esisteva di suo da tempo immemorabile) la strada era larga più di centodieci metri. Poi quelle vie sono state sepolte dall’asfalto, oppure si sono perse nella vegetazione incolta. Pochi tratti erano ancora percorribili ma da qualche tempo sguardi attenti le ricercano e le riscoprono, segnandole con modernissimi GPS. In Svizzera, la transumanza (v. «Azione» dell’.. di Simona Dalla Valle) è più spesso di bovini (pittoresca e molto conosciuta è quella di Charmey, in Canton Friborgo, a fine settembre). E così per un giorno noi moderni e disincantati cittadini impariamo a fare un passo indietro, a lasciare spazio a queste poetiche tradizioni d’altri tempi: per sentire ancora sotto l’asfalto il profumo dell’erba, per respirare la polvere sollevata dal calpestio degli animali, per risentire il rumore allegro delle mandrie in cammino.
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di Oliver Scharpf
La forêt jardinée di Couvet ◆
Sul giornale, un mattino di qualche anno fa, c’era un articolo a proposito di una comitiva di professori messicani in visita alla forêt jardinée di Couvet. La fôret jardinée inspire le Mexique titolava quel trafiletto su «L’Express» – sfogliato facendo colazione al Café de la Poste di Fleurier per via di un’escursione alle sorgenti dell’Areuse sulle tracce della viverna – rimasto impresso. Al punto di volerci tornare, da quelle parti, a darci un’occhiata. E così, una giornata in cui i boschi mostrano tutta la loro magia autunnale, a cinque chilometri da dove questa notizia, quattro anni fa, si è sedimentata nella mia mente, m’incammino alla scoperta di questa foresta venerata dai professori di scienze forestali di tutto il mondo. Creata nel da Henry Biolley (-), eminente selvicoltore nato a Torino e morto proprio a
Couvet, la fôret jardinée sarebbe traducibile come foresta disetanea. Eppure è uno di quei tecnicismi da latte alle ginocchia perciò la lascerei volentieri, come la crème caramel, in versione originale. Del resto giardinare in italiano è un verbo legato alla falconeria e se giardiniera è riferito a verdure miste tagliate fini, con foresta-giardino si entrerebbe nel mondo del foraging. Ad ogni modo, disetanea, vale a dire di età differente, rivela una caratteristica della meta di oggi, dove entro un bel pomeriggio ai primi di novembre. Specialità della Val de Travers al pari dell’assenzio e del prosciutto all’asfalto, al quale ho dedicato un reportage nell’ottobre , la prima fôret jardinée ( m) sperimentale è quella di Couvet. Colpisce subito, dappertutto, il manto di muschio verde chiaro, filamentoso, fiabesco quasi, sul quale cadono le foglie gialle degli aceri e
Sport in Azione
rossicce dei faggi. Il dominio però è degli abeti bianchi. Alcuni si elevano maestosi mentre altri, più giovani, si notano qua e là. Tagliare qua e là alcuni alberi di una foresta per mantenerla è un po’ il significato, stringato, del giardinaggio in foresta. Tecnica atavica, perfezionata, attraverso «il metodo di controllo», da Biolley, omaggiato di una targhetta in bronzo posata qui, nel giugno , da qualche parte. Attrazione, oltre al Sapin Président – l’abete bianco più alto della Svizzera – del posto. Distratto dalle possibilità micologiche, lascio il sentiero didattico, indicato – per una volta tanto, senza inquinare con cartelli eccetera – con delle stelline gialle, incavate nel legno, del genere bacchetta magica delle fate. Per passeggiare sul muschio fatato dove spuntano dei Lactarius salmonicolor che ravvivano, a inginocchiarsi per vederli co-
me si deve, il già variato sottobosco. Aggiungendo così questa tonalità ai tocchi di giallo acceso e rossiccio ruggine che chiazzano il verde scuro, profondo, prevalente, degli Abies alba e pecci (Picea abies). Seppur esposta a nord, ombrosa di natura, la foresta è luminosa. Risultato di forza e finezza. Sulla corteccia di un abete bianco si nota il segno per designare l’albero da abbattere: uno spazio scorticato da cui lacrima resina. Altri segni del linguaggio forestale sono punti rossi sprayati, triangoli, una numerazione che potrebbe distrarre dai numeri, discreti, quasi nascosti, delle postazioni del percorso da seguire. Anche se le stelline si perdono di vista, strada facendo. Perdipiù altri sentieri segnalati con i classici cartelli giallo pannocchia, oltre a uno indicato dai cartelli helsana trail, creano un po’ di confusione. Mi perdo e mi ritrovo più volte. Per
miracolo, seguendo, così, a naso o per disperazione perché ho girato per ore in lungo e in largo quasi per tutto il bosco, l’ultimo sentiero possibile, trovo il Sapin Président. Non lontano da una panchina, ecco erigersi, imponente, l’abete bianco germinato nel e alto cinquantotto metri e qualcosa. Fino a poco tempo fa era l’albero più alto della Svizzera, superato, pare, da un abete di Douglas argoviese. Rimane comunque il più alto abete bianco svizzero e uno dei più alti d’Europa. Lo abbraccio. Poco distante, scopro – c’ero passato davanti prima senza farci caso – su una roccia ricoperta di muschio, tra le felci, la targhetta di bronzo in omaggio a Henry Biolley. Autore di testi teorici sulla selvicoltura che hanno fatto scuola – «ottenere il bello cercando l’utile» era il suo motto – e di una sorprendente poesia sulla nobiltà degli abeti.
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di Giancarlo Dionisio
Premi, promesse, polemiche ◆
Si entra nella stagione dei premi e delle gratificazioni. Un esercizio che può anche creare frustrazione. Messi o Jorginho? A chi, il Pallone d’oro? Staremo a vedere, non è di loro che mi voglio occupare. Certo, i premi contano, fanno piacere, ma non sono l’aspetto più importante della carriera di uno sportivo. In quest’ottica, il tempo non sempre è galantuomo. Se, ad esempio, il pubblico televisivo svizzero fosse stato chiamato, a metà ottobre, ad esprimersi su chi, fra gli atleti di casa, ha dispensato le emozioni più vibranti, probabilmente non si sarebbe ricordato delle imprese di Lara Gut-Behrami tra gennaio e marzo . Le ricordo brevemente: sei vittorie in Coppa del Mondo; seconda nella classifica generale dopo un’appassionante lotta con la vincitrice, la slovacca Petra Vlhová; dominio nella classifica finale del Super G; oro ai Mondiali,
sia nel Super G, sia in Gigante; medaglie condite in agrodolce dal bronzo in Libera. A fine marzo era difficilissimo immaginare un’altra sportiva elvetica in grado di fare altrettanto. Ma ai Giochi Olimpici di Tokyo, le nostre ragazze si sono scatenate. Belinda Bencic, tennista tanto talentuosa quanto incostante, si è portata a casa l’oro nel singolare e l’argento nel doppio, con Viktorija Golubic. La tiratrice Nina Christen si è messa al collo un oro e un bronzo. La biker Jolanda Neff ha dominato la gara di cross country. Di eccezionale, in stagione, ha fatto solo quello, ma quel giorno, alle sue spalle, giunsero altre due connazionali, Sina Frei e Linda Indergand, a completare un podio storico, leggendario, mitico, interamente rossocrociato. Quel luglio, in patria, ci fu per molti una overdose di lacrime e di emozioni. Se si fosse votato a fine luglio,
Jolanda, Nina e Belinda si sarebbero giocate il titolo di Regina elvetica dello sport . Le imprese di Lara sarebbero passate in secondo piano. Lontane, nel tempo, in una società in cui anche la fruizione degli eventi soggiace alla brutale legge dell’usa e getta. Tuttavia, il calendario suggerisce anche repentini cambi di rotta. Il ottobre, sul ghiacciaio austriaco del Rettenbach, sopra Sölden, è ripartita la Coppa del Mondo di sci. Il primo Gigante stagionale ha subito messo in vetrina le tre grandi campionesse che, al netto di non auspicabili infortuni, si giocheranno fino a marzo la conquista delle Sfera di cristallo. Sul gradino più alto, la statunitense Mikaela Shiffrin, che ha dato l’impressione di aver superato il pesante contraccolpo psicologico dovuto alla scomparsa del padre. Subito sotto, staccata di pochi centesimi, La-
ra Gut-Behrami. Era dal che la campionessa di Comano non cominciava così bene la stagione. Guarda caso, proprio in quella circostanza, fu capace di reggere fino alla primavera, e di riportare a casa la Coppa del Mondo, anni dopo la leventinese Michela Figini. Sul gradino più basso, infine, ci è salita la slovacca Petra Vlhová, lo ribadiamo, la migliore alla fine della scorsa stagione, allenata da alcuni mesi dall’airolese Mauro Pini. Un podio che sa di promessa. Che ci fa venire l’acquolina in bocca. Che ci mette nella prospettiva di vivere una stagione esaltante, che, prima del suo climax, proietterà tutti sul prestigioso palcoscenico olimpico di Pechino. Situazione analoga in campo maschile, con il nostro Marco Odermatt che ha posto il suo prestigioso sigillo sulla prova di apertura. Non so se riuscirà a laurearsi Re nazionale dello sport.
I suoi Mondiali sono stati buoni, ma non stellari. Sono convinto che sia lui, sia Lara sarebbero lieti di potere essere incoronati. Tuttavia, sono altrettanto convinto che non baratterebbero questo eventuale riconoscimento con una medaglia olimpica o con il trionfo in Coppa del Mondo. Alcuni giorni fa, quando la Federazione mondiale di atletica ha diramato i nomi dei dieci candidati al titolo di atleta dell’anno, la stampa italiana si è indignata per la mancata designazione dell’oro olimpico del salto in alto, Gianmarco Tamberi, e soprattutto per l’assenza di Marcell Jacobs, oro sui metri e nella staffetta x , dopo che in primavera aveva conquistato il titolo europeo indoor sui . È vero che quest’ultima esclusione grida allo scandalo. Ma se c’è qualcuno che l’ha presa con sana filosofia è proprio il diretto interessato.
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ATTUALITÀ
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Nord e Sud divisi sul clima I paesi emergenti sono poco disposti a sacrificare l’economia per combattere l’effetto serra
Una relazione privilegiata La Cina ha legami stretti con i Talebani, per motivi geopolitici e per isolare i separatisti uiguri
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Migranti senza difese In Libia sempre più spesso le forze dell’ordine incarcerano illegalmente e uccidono i richiedenti l’asilo
Credi agli UFO? In mancanza di prove, l’esistenza degli extraterrestri è essenzialmente una questione di fede
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Stati Uniti e Cina, troppe contraddizioni sul clima COP26 ◆ Joe Biden vanta l’esempio dell’America nella lotta contro i mutamenti climatici, ma un prossimo presidente potrebbe rovesciare la sua politica – Xi Jinping resta lontano dal vertice, promette di rinunciare al carbone, ma intanto ne aumenta la produzione Federico Rampini
Joe Biden descrive la sua tournée europea come un trionfo della nuova America: all’insegna del multilateralismo, dell’impegno per la lotta al cambiamento climatico, del rafforzamento delle alleanze. Punta il dito contro i grandi assenti, Xi Jinping e Vladimir Putin, per descrivere Cina e Russia come i reprobi che non partecipano agli sforzi globali per la protezione dell’ambiente. Ma la propaganda della Casa Bianca non riesce a occultare le tante contraddizioni di questo presidente, anche sul terreno ambientale. Mentre lui riafferma l’obiettivo della transizione verso un’economia a zero emissioni, è ancora fresco il ricordo del suo appello all’Opec – il cartello dei paesi produttori di petrolio – perché aumentino la produzione di greggio al fine di calmierare i rincari. Peraltro gli stessi Stati Uniti hanno aumentato le proprie esportazioni di gas naturale verso il resto del mondo, Cina inclusa: e benché il gas sia meno inquinante del carbone, è pur sempre un’energia fossile. Infine, buona parte dell’agenda ambientalista di Biden è racchiusa dentro il piano decennale di miliardi di dollari di investimenti in energie rinnovabili e tecnologie verdi. Quel piano deve ancora essere approvato al Congresso. Quand’anche dovesse diventare legge, una maggioranza repubblicana al Congresso e un futuro presidente repubblicano potrebbero smontare quasi tutto ciò che questa Amministrazione democratica sta avviando. Delle contraddizioni di Biden sono consapevoli gli alleati europei, ormai ammaestrati dal passato: nell’alternanza da Bill Clinton a George W. Bush, da Barack Obama a Donald Trump, la politica americana su energia e ambiente ha dimostrato di essere soggetta a sterzate continue.
Il presidente americano sottolinea gli sforzi per un’economia a zero emissioni ma poi aumenta la produzione di gas Le contraddizioni cinesi non sono da meno. La partecipazione a distanza di Xi Jinping alla Cop ha un chiaro valore simbolico: il presidente cinese non è neppure intervenuto in videostreaming, limitandosi a mandare a Glasgow il testo scritto del suo intervento. La diplomazia della sedia vuota coincide con una battuta d’arresto nella transizione cinese verso un’economia a zero emissioni. Sul cambiamento climatico Xi non vuo-
le rendere conti a nessuno. A casa sua affronta una crisi energetica ancora più grave di quella che colpisce l’Europa. La ripresa dell’economia cinese e il boom delle esportazioni verso il resto del mondo si sono scontrati con il vincolo dei carburanti e della corrente. Penurie di benzina e gasolio hanno provocato i primi razionamenti. Dei blackout elettrici hanno costretto a chiudere fabbriche, e da due mesi la produzione industriale cala. Xi cerca aiuto dalla più inquinante di tutte le fonti: il carbone. Ha rimesso in servizio miniere di carbone dismesse, al punto che questa produzione aggiuntiva supera tutto il carbone estratto in un anno in Europa occidentale. Già prima di queste misure di emergenza la Cina con il % del suo fabbisogno energetico legato a questa fonte consumava da sola più carbone di tutto il resto del mondo.
La Cina soffre una crisi energetica e userà ogni fonte disponibile, compresi carbone ed energia nucleare Xi non rinuncia ai suoi piani sulle tecnologie sostenibili. La sfida ambientalista lui la interpreta in chiave geostrategica, come la competizione per dominare le tecnologie del futuro. La Cina ha già conquistato una supremazia mondiale nei pannelli solari (dove le sue esportazioni sottocosto hanno fatto fallire tanti concorrenti occidentali), nell’eolico, nelle batterie; punta verso un semi-monopolio nelle terre rare e nei metalli indispensabili alla produzione di auto elettriche. Prosegue con i suoi piani ambiziosi nel nucleare che considera a pieno titolo come una fonte rinnovabile. Ma Xi non è disposto a bruciare le tappe nell’abbandono delle energie fossili, se questo implica delle rinunce sulla crescita economica, il benessere, la stabilità sociale del suo paese. La sua assenza fisica da Glasgow tradisce anche l’insofferenza verso le prediche dei governi occidentali o gli slogan apocalittici. Questa presa di distanza ha un peso sostanziale perché la lotta all’inquinamento si decide in Cina, già oggi responsabile per il % delle emissioni planetarie di CO, più di Europa e America messe insieme. Nell’immediato la posizione di Xi ha creato un’opportunità per Joe Biden. Nel sospendere i dazi contro l’acciaio e l’alluminio europeo, Biden ha introdotto il principio di
una tassazione ambientalista contro «l’acciaio sporco», quello prodotto in Cina con altiforni a carbone. L’idea di una carbon tax alla frontiera, un dazio verde, circolava già in Europa. La Cina produce il % dell’acciaio mondiale, anche in questo settore ha conquistato un ruolo soverchiante. Le convergenze atlantiche prefigurano un nuovo protezionismo che viene incontro a una richiesta ambientalista: l’esigenza di fermare quella corsa al ribasso per cui il commercio internazionale ha consentito di aggirare le regole contro l’inquinamento. Come la global minimum tax vuole invertire decenni di favori alle multinazionali nei paradisi fiscali, così il dazio verde si candida a ostacolare la delocalizzazione delle produzioni sporche negli inferni ambientali. La diplomazia a distanza di Xi segna un’era diversa rispetto a cinque anni fa, quando al World Eco-
nomic Forum di Davos il presidente cinese era parso l’anti-Trump, il difensore della globalizzazione contro i sovranismi. Però il suo «realismo ambientalista», che rifiuta di sacrificare la crescita economica, ha una risonanza ampia, si candida a raccogliere consensi fra le nazioni emergenti, e nei ceti medio-bassi dei paesi occidentali. I leader delle due superpotenze devono affrontare problemi simili, anche se sono molto diversi i loro livelli di sviluppo, di consumo energetico pro capite, di impronta carbonica. La transizione verso un mondo che funzioni con «zero emissioni» carboniche deve essere sostenibile anche da un punto di vista economico e sociale. Esiste il rischio che il costo dell’abbandono di energie fossili pesi sui ceti sociali più deboli e sui paesi più poveri. Un esempio è la carbon tax, cioè la tassa che penalizza l’uso di energie inquinanti: nel
breve termine può gravare in modo prevalente sui pendolari che devono usare una vecchia automobile a benzina o gasolio, perché non possono permettersi di comprare un’auto elettrica o di abitare nei centri urbani vicino ai loro luoghi di lavoro. Ci sono categorie operaie che rischiano la disoccupazione, se le industrie in cui lavorano vengono smantellate: dalle miniere a certi altiforni siderurgici. I paesi poveri hanno problemi simili su scala ancora superiore. Cina, India, Brasile, l’Africa intera, a lungo avranno ancora bisogno di usare il carbone per generare energie elettrica. Bruciare le tappe del suo abbandono, significherebbe ritardare lo sviluppo economico e condannare centinaia di milioni di persone alla povertà, che uccide più del cambiamento climatico. La ricerca di una transizione sostenibile è essenziale per non perdere il consenso della maggioranza dei popoli.
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ATTUALITÀ
Sud contro nord nella lotta sul clima
COP 26 ◆ I paesi in via di sviluppo, con l’India in prima fila, sono poco disposti a sacrificare la crescita economica sull’altare dell’impegno contro i cambiamenti climatici e accusano i paesi ricchi di esserne i responsabili storici Alfredo Venturi
Narendra Modi aveva parlato chiaro fin dal G di Roma e le sue parole pesano come pietre sulla Cop, la conferenza di Glasgow sui cambiamenti climatici: noi, aveva detto, non prenderemo impegni che possano frenare la ripresa economica. Poi il primo ministro indiano ha precisato il punto: l’accordo di Parigi? L’impegno a contenere l’aumento della temperatura globale nel limite di un punto e mezzo percentuale rispetto ai valori preindustriali? Certo che l’India ci sta, ma dateci tempo fino al ! In altre parole: continueremo per un altro mezzo secolo ad alimentare la nostra economia con il carbone, sia pure in misura decrescente.
Ragazzi al lavoro in una miniera di carbone illegale a Bokapahari, nello Stato indiano di Jahrkhand. (Keystone)
Soltanto unita la comunità internazionale può affrontare e risolvere il surriscaldamento dell’atmosfera terrestre, ma al momento sono possibili solo dei compromessi, insufficienti per raggiungere gli obiettivi definiti con gli Accordi di Parigi nel 2015 Narendra Modi esprime un’opinione assai diffusa nel vasto mondo in via di sviluppo: quando si parla di valori preindustriali ci si riferisce agli anni che precedettero la grande rivoluzione produttiva dell’Occidente. Ma noi, si dice in quei Paesi, siamo tuttora in una fase preindustriale, perché mai dovremmo sacrificare la crescita della nostra economia sulla base di una stima che mette a nudo responsabilità non nostre? Voi occidentali ci avete avvelenati per più di due secoli, e ora ci chiedete di non ripetere il «vostro» errore! Fatto sta che molti Paesi contrappongono agli auspici di Glasgow foreste di ciminiere che spediscono nell’atmosfera sostanze capaci di perpetuare il surriscaldamento di questo povero pianeta. Mentre l’Unione europea assicura che arriverà alle emissioni zero nel (saremo i primi!, annuncia Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea), in Asia si stanno costruendo o progettando duecento nuove centrali a carbone. Fra tutti i modi di produrre energia questo è il più gravido di effetti deleteri sulla salute del mondo. In India per far posto agli insediamenti industriali sono scomparse migliaia di chilometri quadrati di boschi di mangrovie e palme. Per non parlare della foresta amazzonica in Brasile, il polmone della Terra bersaglio di una devastante aggressione speculativa. Intanto i ghiacci continuano a sciogliersi e il livello dei mari a salire, mentre le acque sempre più acide compromettono la vita animale e vegetale sconvolgendo la catena alimentare. Nella città scozzese che ospita la Cop i rappresentanti dei piccoli Stati insulari lanciano un SOS che dà il senso della loro disperazione: il mare non ci è più amico, le coste stanno arretrando di fronte all’oceano che incalza. Se si applica la lenta cronologia d’intervento prospettata da Modi, e resa assai probabile dalla reticenza di molti altri governi, intere isole rischiano di scomparire fra le onde. E così vasti tratti costieri in tutti i continenti, e le città sul mare. Non basteranno certo sbarramenti mobili come
il sistema Moses a salvare Venezia e la sua laguna... Nell’argomentazione di chi ritiene a pieno diritto di poter procrastinare le misure contro l’effetto serra si annida un paradosso: chi pronuncia quelle parole ha insieme ragione e torto. Ha ragione, perché effettivamente è stato l’impetuoso sviluppo delle economie occidentali a provocare la crisi che oggi ci angoscia. Ha torto, perché se a quelle parole seguiranno i fatti la crisi diventerà irreversibile e tutti quanti, sviluppati ed emergenti, ricchi e poveri, ne pagheremo le conseguenze. E così l’esercizio di un diritto sovrano si trasformerà in una condanna globale. La conferenza di Glasgow procede con parziali successi, come il freno alla deforestazione o l’intesa di massima sul metano o infine il vitale assenso della grande finanza alle emissioni zero. Ma ci sono perduranti
difficoltà, in primo luogo le resistenze di Paesi come la Cina e la Russia e l’insistenza dei più disagiati sulla necessità che il mondo sviluppato paghi per le ferite inferte all’ambiente. Sullo sfondo risuona il grido d’allarme di quell’ecologismo militante che ha trovato in Greta Thunberg la sua personificazione. La giovanissima paladina dell’ambiente lamenta di non essere stata invitata alla Cop, eppure lei stessa, qualche mese fa, aveva dichiarato che non intendeva parteciparvi, visto che prevedibilmente sarebbe stata una rassegna di promesse ipocrite e disinteressate al destino del pianeta, il solito bla bla privo di contenuti. Facendo a Glasgow gli onori di casa il primo ministro britannico Boris Johnson, nel presentare la conferenza come ultima spiaggia («siamo a pochi minuti dalla mezzanotte, bisogna fer-
mare l’orologio dell’Apocalisse...») ha ripreso letteralmente quelle espressioni deplorando l’inconcludenza delle vane chiacchiere, delle promesse destinate a non essere mantenute. Forse lo avvicina al mondo di Greta l’indole fanciullesca che sembra trasparire dal suo aspetto, in vivace contrasto con il ben noto fiuto politico. Fatto sta che Johnson ha lanciato un segnale verso l’ambientalismo giovanile, facendo propria la protesta delle nuove generazioni che non vogliono ereditare una Terra morente. Ma lo ha fatto maledettamente tardi, dopo che la scienza ha parlato ripetutamente di una situazione ormai a rischio di precipitare verso il collasso del pianeta. Fa parte del bla bla denunciato da Greta e da Johnson la reiterata affermazione che nessun singolo Stato può venire a capo di un simile problema, soltanto unita la comunità internazio-
Asia, la regione cruciale Patria di molte economie emergenti, l’Asia è la regione del pianeta in cui si decideranno le sorti della lotta ai cambiamenti climatici. Come riporta in un dossier l’«Economist» (..), Asia e Australia producono e consumano tre quarti del carbone al mondo, in Cina la metà dell’elettricità è generata dal carbone, in India tre quarti; e se nel la regione è stata responsabile di un quarto delle emissioni mondiali di CO, nel si è giunti al per cento. Ora un cambiamento di rotta viene annunciato anche in quella parte del pianeta: Cina e Indonesia intendono raggiungere la «neutralità carbonica» nel , l’India nel . Ma per contenere l’aumento della temperatura globale questo non basta, i tempi sono troppo lunghi e – come calcola L’Agenzia internazionale dell’energia – per restare al di
sotto di un aumento di gradi centigradi, come convenuto a Parigi nel , l’Asia dovrebbe ridurre di quattro quinti le emissioni di CO causate attualmente e di due terzi le emissioni previste nei piani di contenimento. A ciò si aggiunge il fatto che le future riduzioni di emissioni di CO non sono supportate da un concreto piano di azione, le dichiarazioni rappresentano al momento attuale soltanto una volontà di intenti. A parte la Cina, dove il governo ha il potere di controllare e dirigere più capillarmente l’economia, gli altri paesi asiatici che hanno promesso una massiccia riduzione di gas serra in realtà non hanno le capacità amministrative, per non parlare della volontà, di implementare una politica di decarbonizzazione dell’economia. Eppure proprio l’Asia risulta la regione più interessata dall’innalzamento del livello
dei mari, che mette a rischio l’esistenza di centinaia di milioni di persone. Da una parte ci sono forti interessi di importanti attori economici, dall’altra la popolazione locale è più interessata ad uscire dalla povertà che risolvere un problema che appare ancora lontano. Un esempio, ricordato da «Economist»: nel l’Indonesia ha vietato di disboscare le foreste vergini per trasformarle in piantagioni di palma da olio, ma nel Greenpeace ha constatato che la deforestazione si è persino accelerata da allora. Di capitale importanza risulterà dunque quanto i paesi ricchi saranno disposti a sostenere quelli più poveri nella riconversione energetica e industriale. L’Indonesia, per esempio, ha dichiarato che potrà tagliare le emissioni di CO del per cento entro il se sarà aiutata, ma solo del per cento se dovrà fare da sola. / PS
nale potrà affrontarlo e risolverlo. È un argomento talmente ovvio da rasentare la banalità. Certo che ci vorrebbe l’unità, visto che i fumi venefici non conoscono frontiere, ma la storia della diplomazia ambientale che dura ormai da una trentina d’anni, da quel che vide aprirsi piena di incoraggianti speranze la Conferenza di Rio de Janeiro, dimostra che procedere insieme è semplicemente impossibile. Alla frattura storica fra i Paesi che si sono sviluppati inquinando la Terra e quelli che vogliono svilupparsi a costo di peggiorare il bilancio ambientale si aggiungono il vezzo di usare questo tema come elemento di rivalità fra le potenze e gli interessi di chi, producendo combustibili fossili, non intende rinunciare a un’attività così redditizia. Come insegna una elementare regola diplomatica, quando non c’è pieno accordo bisogna ripiegare sulla linea del compromesso. È quello che si sta cercando di fare a Glasgow, ma non è ricorrendo al compromesso che si ferma l’orologio dell’Apocalisse evocato dal primo ministro Johnson. Anche perché il declino dell’emergenza pandemica, sia pure lento, passibile di ricadute e caratterizzato da molti squilibri che penalizzano una volta ancora i Paesi sottosviluppati, ha favorito una ripresa globale dell’economia. Questo rilancio ha determinato un improvviso aumento dei consumi energetici, e un altrettanto improvviso rincaro dei combustibili, che almeno ci si augura possa indurre a investire di più nelle energie rinnovabili. In attesa che questo accada, mentre il clima impazzito devasta con cicloni tropicali aree tradizionalmente temperate, e gli abitanti degli Stati insulari dei Caraibi e del Pacifico spiano ansiosamente le maree sempre più alte, i produttori di carbone e petrolio fanno affari d’oro. E le emissioni zero? Nonostante i cauti progressi di Glasgow, a livello mondiale rischiano di rimanere un miraggio.
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ATTUALITÀ
Quel rapporto privilegiato coi Talebani
Afghanistan ◆ La Cina sostiene da tempo gli integralisti islamici che hanno ripreso il potere a Kabul, sia per evitare che diano appoggio ai separatisti uiguri, sia per la posizione strategica del paese nella Belt and Road Initiative Francesca Marino
«I cinesi sono i benvenuti. Se hanno fatto degli investimenti nel paese assicureremo certamente la loro sicurezza. È molto importante per noi che stiano al sicuro... Siamo stati in Cina molte volte, e abbiamo un’ottima relazione con il governo cinese». Così parlò Suhail Shaheen, portavoce dei Talebani, rilasciando un’intervista al «South China Morning Post». Aggiungendo che i Talebani «non hanno intenzione di permettere ad alcun gruppo, incluso l’East Turkistan Islamic Movement di operare in Afghanistan». Da anni ormai difatti il Partito comunista cinese adotta una pragmatica strategia nei confronti dei gruppi estremisti islamici, inclusi i Talebani. Da una parte non capisce e non approva l’Islam così come non capisce e non approva alcun credo religioso che possa intralciare la lealtà nei confronti dello Stato. Dall’altra, è acutamente consapevole di come le politiche draconiane adottate nello Xinjiang nei confronti degli Uiguri di religione islamica possano spingere i gruppi terroristici che operano ai confini cinesi a fornire assistenza al Movimento Islamico dell’est Turkestan che combatte per liberare gli Uiguri di cui sopra. E siccome, come da copione recitato anche dall’inviato usa per le trattative con i Talebani Khalilzad, per accordarsi con i terroristi bisogna parlare con chi i terroristi li gestisce, le agenzie di intelligence cinesi, sotto l’egida del ministero per la Sicurezza nazionale, si sono rivolte ai servizi segreti pakistani. Chiedendo all’Isi (Inter-Service Intelligence), che ha creato e ancora gestisce non soltanto i Talebani ma anche le varie organizzazioni terroristiche che operano nell’area geopolitica, di adoperare la loro influenza su gruppi come la Lashkar-i-Toiba. Organizzazione terroristica di primo piano che, al contrario dei Talebani, ha un’agenda di jihad internazionale che spazia dallo Xinjiang alla Spagna passando per la Sicilia. L’accordo è in realtà molto semplice: il Pakistan non permette ai gruppi terroristici che sponsorizza nemmeno di pronunciare la parola «Uiguri», figuriamoci fornire supporto logistico e militare ai combattenti dello Xinjiang. In cambio, la Cina si è impegnata in sede internazionale a sostenere in vari modi l’uso che il Pakistan fa dei gruppi terroristici come
strumenti di politica estera. Per anni la Cina si è opposta all’inclusione del capo della Jaish-e-Mohammed, Masood Azhar, nella lista dei terroristi internazionali, e si oppone tuttora, ad esempio, all’inclusione del Pakistan nella lista nera della Fatf per il finanziamento e il sostegno dato a gruppi terroristici vari.
Aiuti umanitari cinesi in arrivo a Kabul, 29 settembre 2021. (Keystone)
Mediatore fra Cina e Talebani è il Pakistan, che da sempre li sponsorizza e vuole un governo amico a Kabul. Allo stesso tempo anche il Pakistan è un tassello importante nella rete geopolitica che Pechino sta costruendo nell’Asia centrale La relazione con i Talebani è di vecchissima data. La Cina aveva ai tempi ufficialmente condannato l’invasione russa dell’Afghanistan adottando tuttavia, sempre ufficialmente, una politica di non intervento. Mantenendo però, attraverso il Pakistan, sempre un canale aperto, più o meno segreto, con i Talebani e con altri gruppi della zona. L’ex inviato speciale della Cina per l’Afghanistan, l’ambasciatore Sun Yuxi, ha iniziato a occuparsi della questione afghana nel , quando ha contribuito a fornire armi cinesi ai mujaheddin. Quando i Talebani hanno preso il potere nel , la Cina, sempre con l’aiuto del Pakistan, è stata ben felice di trattare il gruppo terroristico come un normale governo. Infatti, nel novembre , l’allora ambasciatore cinese in Pakistan, Lu Shulin, è stato il primo alto rappresentante di un paese non musulmano a incontrare il mullah Omar. Secondo Abdul Salam Zaeef, ex inviato talebano in Pakistan, l’ambasciatore cinese era in quel momento l’unico diplomatico straniero a mantenere buoni rapporti con la loro ambasciata a Islamabad. Lu Shulin, ai tempi dell’incontro con il mullah Omar, sperava di ottenere dai Talebani garanzie riguardo ai combattenti Uiguri che si nascondevano nel paese. Il mullah Omar sperava dal canto suo che la Cina riconoscesse il suo governo, e soprattutto che impedisse all’Onu di emanare ul-
teriori sanzioni nei confronti di Kabul. Nessuna delle parti ha mantenuto completamente gli accordi: la Cina si è difatti soltanto astenuta dal votare ulteriori sanzioni, mentre i Talebani non hanno espulso i combattenti uiguri come chiedeva Pechino ma gli hanno soltanto impedito di compiere attentati contro la Cina. Sia la Cina che il Pakistan hanno in ogni caso continuato a mantenere rapporti con i Talebani ben dopo l’ settembre. Fino a che nel , quando Barack Obama annunciò l’intenzione degli Stati Uniti di ritirarsi dall’Afghanistan e quando, successivamente, Xijinping lanciò la Belt and Road Initiative, i vecchi contatti sono tornati utilissimi. Perché la stabilità dell’Afghanistan diventava cruciale non soltanto per la sicurezza dei confini con lo Xijiang ma anche per il progetto di connettività globale (leggi: imperialistico) di Pechino. Alla fine del , una delegazione di Talebani che, non dimentichiamolo, erano in quel momento terroristi che compivano stragi contro il governo legittimo dell’Afghanistan, si è recata in segreto in Cina per incontrare una serie di alti funzionari del governo. Non solo: nel , Pechino ha organizza-
to, sempre in segreto, un incontro tra Talebani e rappresentanti del governo afghano. A Urumqui, capitale dello Xinjiang. Simili incontri venivano organizzati, sempre con la imprescindibile presenza dei cinesi, anche in Pakistan. Il cui ruolo come «mediatore» tra il governo legittimo in Afghanistan e i terroristi Talebani creati e sposorizzati dall’Isi, veniva fortemente e ufficialmente sostenuto dalla Cina. E non senza ragione. Negli anni, con la scusa del progetto di connettività economica lanciato alla fine con grande fanfara da Xi Jinping, la Cina ha praticamente colonizzato il Pakistan. I cui interessi convergono, per motivi diversi, con quelli di Islamabad in Afghanistan: i generali sognano da sempre la profondità strategica, Pechino ha in mente la Belt and Road Initiative. E per entrambi l’Afghanistan è di vitale importanza. In questa chiave, sia Islamabad che Pechino hanno continuato a parlare con i Talebani sia durante gli anni della «war on terror» che durante la fragile tregua dei governi democratici succedutisi a Kabul. Pechino è uno dei maggiori investitori stranieri in Afghanistan. Il Logar Aynak, il progetto di estrazione del ra-
me, ad esempio, è finora il più grande investimento straniero nel paese. Pechino investe in Afghanistan, e cerca di controllare il governo, qualunque governo, per due ragioni principali: perché il paese è geopoliticamente e strategicamente significativo sia come rotta di trasporto che per le potenziali fonti di energia, e perché teme che l’instabilità politica dell’Afghanistan possa rafforzare le attività separatiste nello Xinjiang. E siccome la Cina non possiede remore etiche o morali, ha prontamente ricevuto a Pechino una delegazione del neonato governo talebano che ha preso il potere in Afghanistan. L’ambasciata cinese, assieme a quella pakistana, è una delle poche a non aver mai chiuso i battenti a Kabul. La difesa degli interessi economici di Pechino in Afghanistan, in Pakistan ma anche nel Tajikistan, nel Turkmenistan e in genere nell’Asia Centrale, è la scusa preferita della Cina per adottare quella che, alla fine, è sempre stata la politica estera pakistana: ci sono terroristi buoni e terroristi cattivi, e quelli buoni, che servono a proteggere i propri interessi, sono i benvenuti. Con buona pace del diritto internazionale, dei diritti umani e dei diritti civili. Annuncio pubblicitario
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L’inferno dei migranti
Il golpe traballa
Francesca Mannocchi
Pietro Veronese
Libia ◆ Numerosi arresti e violenze nelle aree abitate a Tripoli dai rifugiati, che diventano facili prede dei traffici di esseri umani
La protesta davanti alle strutture dell’ONU a Tripoli, il 9 ottobre 2021. (Keystone)
«Esprimo vicinanza alle migliaia di migranti, rifugiati, e in generale a tutte le persone che hanno bisogno di protezione in Libia». Sono parole di Papa Francesco, pronunciate durante l’Angelus della settimana scorsa. Parole cui ne fanno seguito altre, ancora più dure, tese a scuotere coscienze intimidite, o peggio addormentate: «Non dimentico gli uomini, le donne e i bambini sottoposti a violenze insensate e disumane – ha detto il Pontefice – sento le vostre grida». Non è la prima volta che Papa Francesco esorta i governi a favorire i corridoi umanitari, stavolta però le sue parole veementi sono ancora più significative perché il destino delle persone migranti in Libia sembra essere sparito dai radar del dibattito pubblico europeo. Il fenomeno migratorio, i pericoli cui vanno incontro migliaia di vite nel Mediterraneo Centrale sembra non essere più un tema infuocato come pochi mesi fa, non è più il fuoco delle campagne elettorali e, di conseguenza, smette di essere anche al centro della discussione pubblica. Eppure dall’altra parte del Mediterraneo non si smette di soffrire, così come non si smette di morire in mare. Negli ultimi tempi, inoltre, in Libia si stanno verificando fenomeni molto preoccupanti, a partire da un mese fa quando, secondo l’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, le autorità libiche hanno condotto dei raid e degli arresti arbitrari in aree densamente popolate da rifugiati e richiedenti asilo. Secondo le ricostruzioni delle organizzazioni internazionali, tra cui Human Rights Watch, gruppi armati e unità di polizia legate al Ministero dell’Interno del governo di unità nazionale (GNU) di Tripoli, hanno fatto irruzione intorno all’area di Gergaresh, dove vivevano molti migranti africani e richiedenti asilo, il ° ottobre e nei giorni successivi, presumibilmente per interrompere le reti di droga illecita, arrestando almeno persone, tra cui donne e bambini e richiedenti asilo e rifugiati registrati dall’UNHCR. Nel corso dei raid sono morte almeno sei persone e migliaia sono state ricondotte in prigione, negli ormai tristemente noti centri di detenzione gestiti dal Ministero dell’Interno di Tripoli, dove le persone migranti denunciano di subire torture e estorsioni alle famiglie per ottenere un riscatto. L’UNHCR ha chiesto con urgenza un intervento, è solo l’ennesimo ap-
pello, senza equivoci, e senza sconti, come i precedenti: le Nazioni Unite affermano che il governo libico debba affrontare la terribile situazione in cui sono costretti a vivere richiedenti asilo e rifugiati e apporta prove di crimini contro l’umanità commessi ai danni di migranti intercettati in mare da motovedette finanziate dall’Europa e ricondotti in Libia. Anche Amnesty International tre mesi fa ha riferito che i dieci anni di violazioni cui abbiamo assistito dopo la caduta del regime di Gheddafi continuano tuttora, e che anche durante tutto il i crimini contro i migranti sono continuati senza sosta, nonostante le ripetute promesse di affrontarli da parte delle autorità libiche. A ulteriore conferma della ferocia che i migranti subiscono nei centri di detenzione, due settimane fa il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha inserito sulla lista delle sanzioni uno dei capi del traffico di uomini di Zawhia, Libia occidentale, che era anche a capo del centro di detenzione locale, dove decine di persone sarebbero state vittime di violente torture e decine sarebbero state uccise: Osama al Kuni Ibrahim viene descritto dalle Nazioni Unite come il «gestore di fatto» del centro al Nasr e gli abusi perpetrati dal suo clan definiti «gesti di orribile natura». La sua figura e l’ambiguità delle funzioni che ricopriva – da un lato dipendente del Ministero dell’Interno e gestore del centro di detenzione, dall’altro leader di fatto del traffico di uomini locale – sono la sintesi perfetta del funzionamento dei traffici illeciti in Libia e dell’opacità del controllo statale e governativo, tanto che tra le motivazioni delle sue sanzioni si legge che Osama al Kuni è a capo dello «sfruttamento sistematico dei migranti africani nel centro di detenzione». È così, semplicemente, che funzionava e funziona. Osama al Kuni fa parte dello stesso clan di due dei trafficanti di uomini più ricercati del paese, Abdel-Rahman Milad, detto Bija, e del leader della milizia, il cugino Mohammed Koshlaf, che in quella zona gestisce anche il traffico di carburante e gli ospedali privati. Tutto in quella zona è gestito dal clan Koshlaf, e tutto si lega: petrolio, esseri umani, soldi pubblici e anche, naturalmente, fondi europei. Dopo il raid e gli arresti arbitrari più di duemila richiedenti asilo e rifugiati che sono riusciti a scappare agli arresti, si sono accampati di fron-
te al Daily Center delle Nazioni Unite a Tripoli. Le baracche in cui vivevano sono state distrutte dalle autorità libiche e oggi hanno bisogno di riparo, cibo e medicine. Vivevano tutti nella zona di Hai al Andaluos, quella particolarmente colpita dagli arresti, le autorità hanno giustificato la violenza dell’azione sostenendo che volessero sgominare una potente rete criminale. Qualunque fosse la ragione oggi migliaia di persone restano senza un tetto e senza mezzi per sostentarsi e per di più esposti al rischio di essere prelevati dalla strada con la forza dai trafficanti e ricondotti nel gorgo del traffico di uomini. Human Rights Watch ha denunciato la condotta delle autorità libiche: «con la demolizione dei rifugi di fortuna dei migranti e richiedenti asilo – ha affermato Hanan Salah, direttore per la Libia di Human Rights Watch, in un comunicato dopo i raid – le autorità libiche hanno creato una crisi umanitaria lasciando migliaia di persone per le strade. La Libia e gli Stati europei dovrebbero rispondere con urgenza a questa situazione in rapido deterioramento poiché le persone sono esposte alla violenza e mancano di qualsiasi aiuto di base per i loro bisogni primari». Un richiedente asilo originario del Sud Sudan ha dichiarato che i gruppi armati e i funzionari del Ministero dell’Interno hanno circondato il quartiere con veicoli blindati e armi pesanti terrorizzando donne, uomini e bambini e che i pochi che sono riusciti a scappare sono rimasti nascosti per giorni tra gli arbusti vicino al mare per paura di essere scovati, bevendo acqua di mare per dissetarsi. Oggi il centro diurno di UNHCR è chiuso per ragioni di sicurezza e le migliaia di rifugiati senza dimora non ricevono assistenza da parte di nessuna organizzazione, i pochissimi aiuti giungono solo da privati cittadini. Non hanno accesso ai servizi igienici e non hanno modo di ripararsi dalla pioggia e dal freddo. Molti di loro – riferiscono i pochi operatori umanitari locali che li hanno incontrati – hanno sul corpo segni di arma da fuoco, segni di torture, ossa fratturate, ferite da colpi traumatici alla testa. L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, dal canto suo, è in difficoltà. Le sue azioni sono ostacolate dalle restrizioni imposte dalle autorità libiche, e dalla mancanza di una reale volontà da parte dei paesi europei di trovare soluzioni reali sulle evacuazioni.
Sudan ◆ La protesta popolare mette in difficoltà il generale al Buhran, nuovo capo di Stato
Per la seconda volta in due anni, è stata la resistenza popolare ad allontanare i militari dal potere in Sudan. Per la verità, nel momento in cui scriviamo, l’esito finale del colpo di Stato del ottobre appare ancora in forse. Il primo ministro rimane agli arresti domiciliari e il generale al Burhan sembra controllare la situazione. Ma il Paese è paralizzato dagli scioperi, l’isolamento internazionale dei golpisti è totale e la loro ultima mossa – proporre al primo ministro, che tengono sotto sorveglianza armata, di formare un nuovo governo – ha tutta l’aria della goffa ricerca di una via d’uscita. Nel frattempo, la mobilitazione popolare prosegue a Khartoum, la partecipazione è altissima. Decine di migliaia di persone si sono riversate per le strade sfidando lo schieramento di polizia ed esercito. L’economia è di fatto bloccata a causa della straordinaria decisione dei bancari sudanesi di avviare una campagna di disobbedienza civile a oltranza. La loro associazione di categoria la ha definita una «escalation rivoluzionaria». I bancomat sono una rarità in Sudan e senza la possibilità di rifornirsi di contanti agli sportelli le famiglie sono rimaste in pochi giorni senza soldi. È una situazione che fa riaffiorare la memoria lontana della rivoluzione iraniana del , quando l’adesione alle proteste da parte dei commercianti del bazar di Teheran preannunciò il crollo del regime dello scià. Eppure il colpo di Stato era stato preceduto da manifestazioni di protesta, che chiedevano a gran voce per le strade della capitale una presa di potere da parte dei militari. La rivoluzione del – che aveva portato alla caduta del regime di Omar al Bashir grazie all’inquieta alleanza tra rivolta di piazza e forze armate – aveva finito per deludere le aspettative. La lunga transizione guidata da un governo composto di civili e generali, incaricato di preparare le elezioni per il , non aveva dato i frutti sperati. Il Paese ha continuato ad affondare in crescenti difficoltà economiche, la mancanza di lavoro ha disilluso la gioventù che era stata l’anima delle proteste. E le speranze si sono spente. I militari hanno pensato che fosse giunto il loro momento; ma immediatamente le barricate sono sorte in vari nodi stradali di Khartoum e la coralità della reazione popolare – costata per il momento almeno venti vittime tra i manifestanti, secondo stime americane – ha dimostrato che i loro calcoli erano sbagliati. Gli esperti di affari internazionali e geopolitica sono convinti che dietro la mossa del generale al Burhan ci
sia l’attivo suggerimento degli Emirati Arabi e il beneplacito della Russia. Ma nessuno, sulla scena diplomatica, ha osato pronunciarsi in favore del colpo di Stato; mentre il fronte dei contrari, capeggiato dagli Stati Uniti, ha agito subito e compatto. Le condanne sono fioccate da ogni parte, i governi africani sono stati unanimi. L’Amministrazione Biden ha immediatamente sospeso gli aiuti al Sudan, nell’ordine dei milioni di dollari, vitali per la sopravvivenza del Paese e del suo apparato militare e statale. Jeffrey Feltman, inviato speciale della Casa Bianca, è sbarcato a Khartoum accusando il generale golpista di doppiezza e malafede – «Diceva di sostenere la via costituzionale alle elezioni, ma agiva all’opposto, sabotando la collaborazione tra militari e civili». Feltman ha chiesto il pronto rilascio dei prigionieri, a cominciare dal primo ministro: «il popolo sudanese ha fatto capire con chiarezza che non accetterà tentativi di mettere fuori causa la transizione democratica per la quale si è duramente battuto». Questa contrapposizione frontale ha fornito al rappresentante Onu in Sudan, lo stimato tedesco Volker Perthes, l’opportunità di tentare una mediazione, facendo la spola tra la residenza del premier Abdalla Hamdok e al Burhan. Forse l’idea, all’apparenza paradossale, di chiedere al prigioniero di capeggiare un nuovo governo è il primo frutto dei suoi sforzi. Nei colloqui di Perthes c’è un terzo incomodo. Oltre ad al Burhan e Hamdok, l’inviato Onu sta incontrando un secondo generale, Mohammed Hamdan Dagalo, generalmente noto con il soprannome di Hemeti, che dobbiamo considerare l’anima nera del Sudan. Hemeti viene dal Darfur, dove ha combattuto nella lunga rivolta di quella remota regione guidando delle spietate milizie filogovernative. Dei suoi servigi è stato ricompensato con la cooptazione negli alti ranghi militari e l’inquadramento delle sue bande armate come Forza di intervento rapido dell’esercito. Dalla caduta del regime di al Bashir nel , Hemeti è sempre stato il numero due. I bene informati dicono che non sarà mai il numero uno, perché è di origini troppo modeste ed è privo di formazione. Ma il suo potere è molto grande, così come la fortuna che ha accumulato negli anni fino a diventare uno degli uomini più ricchi del Paese. Nessuno oggi può pensare di governare il Sudan senza o contro di lui. Hemeti non figura mai in prima fila, ma dietro le quinte è lui ad avere le chiavi del futuro del Sudan. La protesta popolare contro al Buhran è massiccia. (Keystone)
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Primo comandamento: credere
UFO ◆ Non essendoci prove della loro esistenza nei cieli della terra, il dibattito attorno agli extraterrestri è questione di fede, non di conoscenza – Ciò non toglie che resta una credenza diffusa Luciana Grosso
Avete presente la domanda «Tu credi agli UFO»? Se la si guarda da vicino, si scopre che la parte più importante di quella frase sta nel verbo. «Credere» è il verbo che si usa per tutto quello che non si vede, non si tocca, non supera la prova della logica, ma che comunque si considera indiscutibilmente vero. E, non a caso, è anche il verbo che si usa per gli UFO. Non si chiede mai «Tu cosa sai degli UFO?» ma solo «Tu credi agli UFO?». Il verbo è credere, non sapere. La scelta non è casuale, perché, allo stato delle cose, essere convinti dell’esistenza degli UFO è una faccenda di fede, più che di prove e di conoscenza. Perché gli UFO, con buona pace dei milioni di video che girano on line e di chi dice di avere le prove, non li ha mai visti, davvero, nessuno. Sia chiaro: questo articolo non vuole dire che gli extraterrestri non esistono. Solo, vuol dire che non lo sappiamo, perché non li abbiamo mai visti. E non abbiamo prove che quelle cose che ogni tanto vengono riprese dai cellulari siano visitatori dallo spazio. Forse no, o forse sì, al momento, non ci sono prove che arrivino da qualche parte a migliaia di anni luce da qui. Però ci sono prove di un’altra cosa. Ossia del fatto che gli UFO, per come li intendiamo oggi, ossia forme di vita intelligente ed evoluta che vogliono
entrare in contatto con noi, per salvarci o per distruggerci, sono stati sia un formidabile che un controproducente strumento di propaganda ai tempi della guerra fredda. La faccenda funziona così: fino al , l’ipotesi di vite diverse, in altri mondi, lontano dal nostro era, appunto, solo un’ipotesi. Ma nessuno, fino al giugno di quell’anno, aveva mai davvero parlato o sentito parlare né di UFO. Poi un giorno, il giugno del , Kenneth Arnold, un pilota in ricognizione vicino al monte Rainier, nello Stato di Washington, tornò dal suo giro dicendo di aver visto, mentre era in volo, nove oggetti misteriosi: disse che erano argentei lucidi, di forma tondeggiante e allungata, velocissimi e che si muovevano «come farebbe un disco che volasse sull’acqua». Non solo quell’Arnold fu il primo a vedere degli UFO (oggetti volanti non identificati) ma fu anche il primo a usare l’espressione dischi volanti. L’eco del racconto di Arnold fu enorme e suscitò enorme curiosità. Una curiosità che, dopo meno di una settimana, fu alimentata delle voci sull’incidente di Roswell. Lì, nel luglio del’, cadde un velivolo sperimentale americano. Poiché la notizia era coperta dal segreto militare e poiché arrivata poco più di una settimana l’avvistamento di Arnold, in mol-
ti pensarono che si trattasse di uno di quegli strani dischi. La notizia prese a circolare e a gonfiarsi man mano che passava di città in città e, dopo essere stata ripetuta per molte volte, prese a diventare vera. Gli avvistamenti di UFO, nei cieli dell’America dei primi anni ’, si moltiplicarono, fino a diventare centinaia all’anno. E man mano che crescevano le segnalazioni, cresceva anche la paranoia, che generava altri avvistamenti e segnalazioni, che generavano altra paranoia. Un sentimento sul quale l’amministrazione di Harry Truman, impegnata nell’inizio della Guerra Fredda, seppe soffiare con perizia. Perché, in fin dei conti, che quegli avvistamenti fossero veri o no, che si trattasse di un’allucinazione collettiva o no, che quelle cose nel cielo arrivassero dallo spazio o dalla nemica Russia, importava poco: l’importante per il governo dell’epoca era che le persone continuassero a temere di essere invase, minacciate, accerchiate. E dunque che, per reazione, sostenessero con maggiore vigore e patriottismo la causa americana. Non solo: ma poiché in quegli anni l’aeronautica militare USA stava conducendo esperimenti su esperimenti, aveva tutto l’interesse a che chiunque vedesse nel cielo qualcosa di mai visto prima pensasse a un’astronave in-
Una cittadina americana si prepara ad accogliere gli alieni, dopo un annuncio del loro prossimo arrivo. (Keystone)
vece che a una nuova arma segreta. Dunque, anche se l’amministrazione americana non si espresse mai a favore delle teorie che parlavano di extraterrestri, le lasciò prolificare, pensando che non facessero male a nessuno. Questo però non era del tutto vero. Da un certo punto in poi, la convinzione collettiva di quegli avvistamenti prese a crescere a dismisura, fino a centinaia all’anno, e a mangiarsi la differenza tra il falso e il vero e, persino, l’equilibrio delle persone. I documenti della CIA di quegli anni, infatti, mostrano preoccupazione per
il crescente numero di avvistamento di UFO. Così, dalla fine degli anni la CIA prese a tenere basso il livello di attenzione sugli UFO e a provare a raffreddare l’ambiente e gli animi. La cosa funzionò, ma solo in parte: da un lato l’attenzione generale verso il tema svanì; dall’altro però si formarono gruppi molto compatti di persone convinte non solo che gli extraterrestri esistono, ma che la paradossale prova regina della loro esistenza sta proprio nel fatto che non ci sono prove. E come si sa, niente può scalfire la convinzione di chi «Want to believe». Annuncio pubblicitario
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In commissione no a maggiori oneri per i giovani Previdenza professionale ◆ Il compromesso fra le parti sociali, ripreso dal Consiglio federale, viene ridimensionato dalla Commissione della sicurezza sociale del Nazionale Ignazio Bonoli
Nonostante il compromesso fra le parti sociali, volto a trovare finalmente una soluzione condivisa sulla riforma del sistema di previdenza professionale (vedi «Azione» del ..), una maggioranza a favore di questa soluzione fatica a trovarsi già in fase di esame commissionale. Il Consiglio federale, nel suo messaggio, aveva fatto propri i termini dell’accordo, ma non aveva proposto una soluzione al problema del trasferimento degli oneri di finanziamento dalle generazioni di pensionati a quelle dei giovani contribuenti. Un tema di ampia portata, che coinvolge tutto il sistema previdenziale svizzero, i cui «tre pilastri» sembravano dover resistere a lungo all’usura del tempo e all’evoluzione demografica in atto da anni. D’altro canto non è pensabile uno stravolgimento senza correre il rischio di importanti conseguenze, tanto sul piano politico, quanto su quello economico. Da qui la necessità, tipicamente elvetica, di procedere per passi prudenti e, appunto, a forza di compromessi. Le discussioni in atto nella Commissione della sicurezza sociale del Consiglio Nazionale, per il momento, non sembrano però ancora giungere a quell’accordo che permetterebbe di ricucire una maggioranza in Parlamento nel prossimo mese di dicem-
bre. I punti di disaccordo concernono in primo luogo la riduzione del tasso di conversione del capitale di vecchiaia in rendite, che dovrebbe scendere dall’attuale ,% al %. Tasso per altro già ritenuto ancora troppo alto dagli esperti del settore. Il disaccordo cresce però sui dettagli della misura. Già il Consiglio federale prevedeva compensazioni per le fasce d’età che vengono pensionate in base al nuovo sistema. Mentre prevedeva compensazioni per tutti i nuovi pensionati, in commissione si delinea una proposta che concerne il -% dei pensionati toccati dalla riforma. Inoltre la rendita verrebbe confrontata con il minimo legale, maggiorato del supplemento, che a sua volta dovrà tener conto delle prestazioni sovra-obbligatorie della cassa pensione interessata. Il supplemento verrebbe distinto per tre classi d’età di cinque anni. Dopo anni il governo fisserà la compensazione secondo le risorse disponibili. Per quanto concerne il finanziamento, la commissione propone di ripartire gli oneri su tutti gli assicurati, ma solo dopo aver utilizzato tutti gli accantonamenti costituiti dalle singole casse. Queste ultime dovranno inoltre pagare almeno una parte dei supplementi di rendita con mezzi propri. Il sistema decentralizzato do-
L’accordo fra le parti sociali raggiunto 2 anni fa è in bilico. Da sinistra Pierre-Yves Maillard, Valentin Vogt, Adrian Wüthrich. (Keystone)
vrebbe rispondere alla critica di usare anche qui il sistema solidale dell’AVS (cioè di distribuzione e non di capitalizzazione). Un altro tema che farà parecchio discutere è quello del versamento al fondo AVS degli interessi negativi percepiti dalla Banca Nazionale. Il tema tornerà al Nazionale, poiché gli Stati si sono opposti all’iniziativa in merito. Si tratta di ,- miliardi di franchi all’anno. Se ap-
plicati retroattivamente al , si tratterebbedicircamiliardicheaffluirebbero nel fondo AVS. Sul tema dell’AVS vi è anche l’aumento dell’età di pensionamento delle donne che potrebbe accentuare le difficoltà di un ampio accordo in Parlamento. Sull’AVS si dovrà poi votare il prossimo anno e più tardi per la previdenza professionale. Qui non sono scomparsi gli oppositori a un sistema che premia, in
misura differenziata, coloro che vengono pensionati nei primi anni del nuovo sistema, senza tener conto nemmeno di coloro che non ne avrebbero bisogno. Il compromesso raggiunto tra sindacati e imprenditori ha alleggerito il compito del Consiglio federale, ma non convince parecchi ambienti economici. C’è perciò chi teme che già in Parlamento il progetto non possa ottenere una maggioranza di consensi. La proposta commissionale riduce il numero dei beneficiari di supplementi, in modo da ridimensionare, almeno in parte, il trasferimento di finanziamenti dalle generazioni anziane a quelle giovani, e questo anche tenendo conto delle molte rendite della parte sovra-obbligatoria delle casse. A questo contribuisce anche l’onere chiesto alle casse pensioni di farsi carico di parte dei supplementi da versare. Al momento non è possibile farsi un’idea di come sarà la nuova previdenza professionale. Né si può prevedere in che misura raggiungerà lo scopo di ridurre l’attuale trasferimento di oneri verso le generazioni più giovani. Generazioni che in ogni caso dovranno sobbarcarsi i costi derivanti dal pensionamento di classi d’età molto numerose degli anni di forti aumenti delle nascite. Annuncio pubblicitario
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ATTUALITÀ
Il Mercato e la Piazza
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di Angelo Rossi
Anche l’inflazione è un fenomeno complicato ◆
Con il termine inflazione gli economisti definiscono il fenomeno di aumento dei prezzi. Un aumento dei prezzi è sempre inflazionistico. Tuttavia ci sono aumenti che preoccupano e aumenti che possono essere trascurati. L’inflazione diventa preoccupante, nell’esperienza del nostro Paese, quando il tasso annuale di aumento dei prezzi supera il % e si mantiene sopra questo livello per diversi trimestri. Se il tasso di aumento dei prezzi è invece inferiore all’%, come è il caso da noi oramai da diversi anni, possiamo dire che nell’apprezzamento della congiuntura l’inflazione può essere trascurata. In relazione all’aumento dei prezzi sono in generale due i problemi di cui ci si occupa nei commenti economici. In primo luogo naturalmente del ritmo con il quale i prezzi sono aumentati sin qui, in particolare negli ultimi mesi. Se, per misurare l’inflazione, prendiamo l’indice dei prezzi
al consumo ci accorgiamo che la sua variazione annuale, dopo aver toccato un minimo, vicino al –,%, nell’aprile dell’anno scorso, ha continuato ad aumentare raggiungendo, nel mese di settembre di quest’anno, lo ,%. A far crescere il livello dei prezzi è soprattutto il prezzo del petrolio (aumento annuale superiore al %). Siccome questa componente dell’indice dei prezzi al consumo è piuttosto fluttuante, da quasi anni l’Ufficio federale di statistica calcola anche un indice dei prezzi senza il prezzo del petrolio. Di conseguenza esistono da noi due tassi annuali di variazione dei prezzi: quello dell’indice dei prezzi globale e quello dell’indice dei prezzi senza il prezzo del petrolio. In settembre la variazione annuale di questo secondo indice è stata pari allo ,%. Siccome la Svizzera è una piccola nazione quasi priva di materie prime, nel valutare l’inflazione da noi
gioca un ruolo particolare un terzo indice, ossia quello dei prezzi dei beni importati. In settembre lo stesso ha raggiunto la quota del %, che è più vicina ai valori dell’inflazione nei paesi confinanti dai quali, è bene ricordarlo, continua a provenire una quota importante delle nostre importazioni. Concludendo questa carrellata sui valori dell’inflazione e sulla sua evoluzione più recente crediamo di poter affermare che se da un lato il tasso di aumento dei prezzi, per il momento, non è preoccupante, nel giro di meno di un anno e mezzo, questo tasso è però cresciuto di quasi punti e mezzo (dal –,% allo ,% ) il che indica che esiste una pressione al rialzo dovuta in modo particolare all’aumento dei costi dell’energia e dei trasporti. Il secondo problema è quello delle previsioni. Come evolverà il livello dei prezzi nei prossimi mesi? Se il rincaro sperimentato negli ultimi me-
si dovesse continuare è chiaro che, a fine , il tasso annuale di inflazione, misurato dalla variazione dell’indice dei prezzi al consumo, potrebbe superare, come nei paesi vicini, il %. Ora, nessuno degli istituti di previsione svizzeri avanza per il momento una previsione del genere. Il gruppo di esperti della Confederazione per le previsioni congiunturali stimava, ad inizio settembre, che la variazione dell’indice dei prezzi al consumo, l’anno prossimo, sarà pari allo ,%. La BNS, sempre in settembre, indica in ,% il rincaro dell’indice dei prezzi al consumo per il prossimo anno. Ci si attende insomma che il surriscaldamento del , dovuto a fattori che sono considerati passeggeri, scompaia nel . A questo punto diventa importante poter accertare in che misura queste attese sono condivise da esperti e agenti dell’economia. Il rapporto di
settembre della Banca nazionale svizzera offre qualche lume in proposito. Cominciamo con gli esperti. Stando ai risultati dell’inchiesta mensile del Credito svizzero tra gli esperti del mercato finanziario, la quota di coloro che pensano che il tasso di inflazione prossimamente calerà è salita in agosto al %. Quella di coloro che reputano che l’inflazione aumenterà è scesa al %. In questo gruppo, l’incertezza quanto alle prospettive dell’inflazione, è misurata solo dal fatto che il restante % degli esperti non si pronunciano. È questo un atteggiamento abbastanza comune tra gli esperti quando la situazione sta cambiando. Il parere dei consumatori è invece chiaro: quasi il % prevede un aumento dei prezzi superiore all’% nel prossimo anno. Anche gli imprenditori sono pessimisti: per il essi si attendono addirittura un rincaro dell’,%.
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In&Outlet
di Aldo Cazzullo
Zemmour, l’inatteso ◆
Dopo la Germania, tocca alla Francia. Ma se le elezioni tedesche, pur nell’apparente discontinuità (a una cancelliera democristiana succederà un cancelliere socialdemocratico), hanno di fatto garantito una continuità politica, in Francia sta accadendo di tutto. Inclusa l’ascesa di un nuovo, inatteso protagonista. Alla vigilia della semifinale dei Mondiali tra Germania e Brasile, il giornalista e polemista Eric Zemmour previde una netta sconfitta dei tedeschi, ormai contaminati dal sangue arabo e africano, e non più «dolicocefali biondi»: termine tratto dalla pubblicistica razzista di inizio Novecento. La Germania vinse clamorosamente a in casa dei brasiliani. Ma la profezia sbagliata non frenò l’aspirante profeta. Zemmour sta per annunciare la propria candidatura alla presidenza della Repubblica francese. Si vota nella
primavera del . Ma il personaggio pare uscito dagli Anni Venti del secolo scorso. Di solito si racconta che Jean-Marie Le Pen, il fondatore della dinastia che ha ricostruito l’estrema destra europea, sia figlio di Vichy, di Pétain, della Francia collaborazionista. Ma è una definizione ingenerosa. Orfano di padre, affondato su una mina con il suo peschereccio, a sedici anni Jean-Marie decise di combattere i nazisti e si presentò a una figura leggendaria della Resistenza, il colonnello Valin, che gli disse: «Ragazzo, torna da tua madre». Le Pen è certo un reazionario, ma la sua destra è semmai quella dell’Algeria francese e dell’Oas, l’Organizzazione dell’esercito segreto che considerava De Gaulle un traditore (Jean-Marie aveva combattuto in Indocina e in Algeria). Eric Zemmour viene da una famiglia di ebrei algerini. Si definisce «ebreo
Il presente come storia
berbero». Eppure è accusato di venature antisemite. All’apparenza, un enigma della storia e della politica. Un leader amato dai giovani – Génération Z si chiamano i suoi attivisti – che riapre ferite secolari: dubita dell’innocenza di Dreyfus, cita Maurras e Barrès, evoca le pulsioni parafasciste della Francia tra le due guerre, arriva a elogiare Pétain che «sacrificò gli ebrei stranieri per salvare gli ebrei francesi»; il che oltretutto è falso. Ci si chiede come possa un ebreo criticare la scelta di Chirac, il primo capo dello Stato a riconoscere le responsabilità della Francia nella retata degli ebrei al Velodromo d’Inverno. Eppure Zemmour l’ha fatto: secondo lui Chirac sbagliò a chiedere perdono per la tragedia del Vél d’Hiv, il cui principale responsabile, il capo della polizia René Bousquet, antisemita fanatico. I leader della comunità ebraica lo de-
testano. Francis Kalifat, presidente del Consiglio delle istituzioni ebraiche di Francia, ha dichiarato a «Le Monde»: «Non un solo voto ebreo deve andare al candidato potenziale Zemmour». Però lo stesso giornale ha intervistato ebrei che, pur preferendo restare anonimi, per «il candidato potenziale» hanno espresso simpatia: il problema, dicono in sostanza, non è la memoria storica; il problema oggi è l’immigrazione islamica, la «sostituzione etnica», di cui Zemmour addita il simbolo nella stazione del metro delle Halles, dove il sabato pomeriggio i figli degli immigrati calano dalla banlieue nel ventre di Parigi. Ovviamente, Zemmour non farà campagna sugli Anni Venti. Si presenterà come l’erede dell’ala destra del gollismo, «la destra popolare e bonapartista, che tiene insieme i ceti popolari e la borghesia patriota». Programma: blocco dell’immigrazione,
fine dello ius soli e dei ricongiungimenti familiari, «preferenza nazionale» per casa e lavoro. Più formule vaghe che però a molti francesi piacciono, tipo «Napoleone è nostro padre, il Re Sole nostro nonno, Giovanna d’Arco nostra bisnonna». Nei sondaggi Zemmour è dato al %, un punto sopra Marine Le Pen. Questo non dispiace a Jean-Marie, che nel gennaio ha incontrato Eric insieme con la figlia di Ribbentropp, il ministro degli Esteri della Germania nazista. Nella realtà, nessuno crede che Zemmour possa diventare presidente. Sembra improbabile che riesca ad arrivare al ballottaggio. Non è detto neppure che la sua candidatura regga fino al voto: Zemmour ha alle spalle due condanne per istigazione all’odio razziale e religioso, più spiacevoli denunce per aggressioni sessuali. Però rappresenta la novità di questa campagna elettorale.
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di Orazio Martinetti
C’è vita sul pianeta Ticino ◆
È da salutare con favore il risveglio della società civile ticinese, quelle associazioni e quei circoli informali che negli ultimi tempi hanno avvertito il bisogno di intervenire su temi rimasti impaludati nelle sabbie mobili del rinvio e dell’attesa. Anche l’opinione pubblica più attenta ha capito che qualche ingranaggio si è inceppato nell’albero motore della politica cantonale, ostruendo i tradizionali canali in cui solitamente scorrono progetti e decisioni. Si è iniziato con la demografia, argomento complesso e dai mille risvolti, che dalle coppie, dalle loro scelte private, si allarga a tutta la società. Dopo anni di ascesa ininterrotta, la curva demografica si è arrestata, per anzi leggermente calare. Dobbiamo preoccuparcene? A prima vista no, perché i numeri assoluti sono ancora bassi. Ma chi studia da vicino questi fenomeni sa che per invertire la rotta
occorrono anni, decenni, come rinfoltire una foresta distrutta dal fuoco. Non esistono ricostituenti dagli effetti immediati. Occorre innanzitutto ripristinare un clima di fiducia, ridare ossigeno alle famiglie; in secondo luogo organizzare una rete di sostegno, consultori e asili nido. Dalle imprese, pubbliche e private, devono giungere messaggi che non penalizzino la donna attiva professionalmente: non corse ad ostacoli ma agevolazioni nel conciliare famiglia e lavoro. Procreare è sempre più un fatto sociale. Le sue ricadute impattano sul sistema previdenziale, sul rapporto tra le generazioni, sui percorsi formativi, e più in generale sulla mobilità tra valli e centri urbani, e infine sulla disponibilità di alloggi a prezzi accessibili. Soluzioni miracolistiche non esistono, ma individuare le aree critiche è già un buon punto di partenza. Invecchiamento e denatalità non sono
fenomeni ignoti, le statistiche parlano chiaro. Meno appariscente era invece fino a ieri la cosiddetta «fuga dei cervelli», i giovani che dopo aver compiuto i loro studi negli istituti superiori d’oltralpe (università e politecnici), preferiscono non più rientrare nel cantone natale. Da un lato è un bene che una consistente fascia di accademici colga l’occasione per perfezionarsi nella disciplina in cui si sono laureati, migliorando pure le loro competenze in campo linguistico e relazionale. Ma dall’altro lato, questo mini-esodo dà la misura del persistente affanno dell’economia cantonale, che nonostante gli sforzi e i progressi nel campo della formazione non riesce ancora a raggiungere i vagoni di testa del convoglio nazionale. I salari inadeguati sono un indice eloquente, specchio di un mercato del lavoro distorto, che anche nei momenti di squilibrio può sempre contare su un bacino di manodo-
pera, quello lombardo e piemontese, pressoché inesauribile. Già ora le maestranze straniere (frontalieri più residenti) superano in cifre assolute quelle autoctone. Conseguenza: il destino di un buon numero di settori produttivi, dall’edilizia alla sanità, è nelle mani dell’Italia settentrionale e dei suoi saliscendi congiunturali. I rami economici ora occupati prevalentemente da frontalieri non saranno mai attrattivi per i ticinesi. Il Ticino è infatti il cantone che registra il maggior tasso di maturità liceale della Confederazione. È quindi improbabile che le famiglie accettino per i loro rampolli una riduzione delle aspettative e delle prospettive di carriera. Siamo realisti: nei cantieri e nelle fabbriche le giovani generazioni non torneranno più. L’unico sbocco sicuro è dato dai settori più promettenti, come la ricerca biomedica, l’industria farmaceutica e i profili professionali
definiti con l’acronimo inglese Stem, in italiano «scienza, tecnologia, ingegneria e matematica». Ma anche qui, per convincere i talenti a rientrare, occorrerà che le imprese creino posti interessanti e ben retribuiti. Com’è ormai chiaro, non c’è molecola del nostro vivere in società che abbia una vita autonoma. Per questo è bene che le singole iniziative emerse negli ultimi anni (animate da Coscienza svizzera, dal «Manifesto per una trasformazione ambiziosa del Ticino» e dal gruppo «per.lugano») trovino ascolto sia nell’opinione pubblica attraverso i media, sia nei luoghi deputati alla decisione politica. Anche i partiti potrebbero riguadagnare prestigio e credito nel loro ruolo di cinghia di trasmissione tra la società civile e l’attività dei legislativi. L’auspicio è che i diversi attori riescano a parlarsi, accantonando rivalità e presunti primati.
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PUBBLIREDAZIONALE
A colloquio con i due testimonial del marchio FOCUSWATER Pat Burgener e Corinne Suter su temi quali preparazione per la stagione, motivazione, swissness e i loro momenti «Flow»
«PERCHÉ È UN PRODOTTO SVIZZERO» Chi è Pat Burgener? Una persona un po’ folle, che segue il proprio cuore e si diverte – uno snowboarder, musicista e filmmaker. Nello snowboard sei molto ambizioso. È sempre stato così? Nelle cose che fai con piacere diventi automaticamente ambizioso, mettendoci tutta la tua energia. Come ti prepari per una nuova stagione? Normalmente siamo in pista fino ad aprile e facciamo pausa fino a settembre. In questo periodo mi dedico completamente alla musica e faccio due, tre settimane di ferie. A causa delle Olimpiadi quest’anno è diverso. Non avrò infatti molto tempo, forse andrò una settimana a Los Angeles per surfare e fare musica. Altrimenti ci prepareremo a tutto gas per i Giochi Olimpici di Pechino, perché febbraio arriva presto. È piuttosto intenso, ma sono super eccitato di essere tornato dopo il mio infortunio. Qual è stata la sensazione di tornare sulla neve dopo l’infortunio? Folle. Ho constatato che anche dopo il periodo difficile la mia vita va avanti, che la mia carriera sportiva e musicale ha un futuro. Cerco di guardare la vita in modo positivo e di fare ciò che è importante per me. Come affronti la pressione del successo? Concentrandomi sul momento e rallegrandomi di essere lì. Quando mentalmente sono a posto, scio al meglio e sono rilassato. Questo ho dovuto impararlo, perché a 16 anni ero ancora incasinato. Quanto svizzero è Pat Burgener? Mi sento svizzero al 100%. La Svizzera per me è il paese più bello e a Crans Montana mi sento a casa. È un grande
privilegio poter vivere qui e viaggiare ovunque con il mio passaporto. E rappresentare la Svizzera durante le competizioni, è una bellissima sensazione. Essere svizzero per me significa anche consumare possibilmente prodotti svizzeri e sfruttare il mio status di personaggio pubblico per promuovere buoni prodotti. Poiché siamo ciò che consumiamo.
Tu condividi la tua vita sui social media: oltre a quella pubblica, ce n’è una anche privata? No, condivido la mia vita con i suoi alti e bassi. In realtà non c’è nulla di privato nella mia vita, dato che consiste nel fare snowboard e musica. Quando sei nel perfetto «Flow»? In verità quasi sempre, tranne quando sono ma-
lato. Ma mi alleno ogni giorno per essere nel giusto «Flow». E più uno si allena e vive in modo sano, più raramente ha una brutta giornata. Perché la FOCUSWATER è perfetta per te come testimonial? Perché per me avere il «focus» è sempre importante, sia nello sport che nella musica. Inol-
tre, la FOCUSWATER è cool, è un prodotto svizzero, ha poco zucchero, ha una bella immagine, la bevo volentieri e le bottiglie sono prodotte in modo ecologico. Qual è il tuo messaggio per i tuoi follower come persona, musicista e sportivo di successo? Vivi i tuoi sogni, fai quello che ami e sii la persona che sei.
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MONDO MIGROS
L’ACQUA VITAMINICA SVIZZERA Esiste una versione pubblica e una privata di te? No. Ci sono semplicemente alcune cose private che appartengono solo a me. Altrimenti condivido volentieri la mia vita sui social media, soprattutto durante la stagione delle gare. Non è sempre facile trovare il giusto mix e, essendo una persona riservata, ho dovuto imparare a gestire tutta questa attenzione.
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«UNA SANA ALTERNATIVA»
Quanto è svizzera Corinne Suter? Direi molto. Non potrei immaginare un altro paese in cui vorrei vivere. Rappresentare la Svizzera ai Giochi Olimpici mi rende molto orgogliosa. La mia casa è circondata da laghi e montagne, ma tutto è così vicino. Il mio luogo preferito è Ibergeregg, dove tutto è iniziato. Lì da bambina ho iniziato a sciare per la prima volta e ancora oggi ci vado volentieri. Quando sei nel “Flow” perfetto? Quando sono tranquilla, rilassata e concentrata prima della gara, sapendo di aver fatto tutto il possibile per raggiungere la migliore prestazione. Perché sei la testimonial perfetta per la FOCUSWATER? Mi piace molto, in tutte le sue varietà. Inoltre, come sportiva sono contenta di avere una sana alternativa all’acqua, che alla lunga diventa un po’ noiosa nei quantitativi richiesti.
Chi è Corinne Suter? Una persona estroversa, che ama la vita e ha una grande passione: lo sci. Do tutto per raggiungere i miei obiettivi.
Qual è il tuo motto nella vita? Non smettere mai di sognare. Questo mi ha accompagnato per tutta la vita, e i miei sogni sono la mia motivazione.
Sei sempre stata così determinata? Penso di sì. Se mi piaceva fare qualcosa, ho sempre voluto essere brava a farlo. Com’è la tua preparazione mentale per una competizione? Il mentale è fondamentale. Tutti possono sciare bene e veloci nella Coppa del Mondo, ma alla fine è una questione di testa. Per questo lavoro con un mental coach. Con gli anni impari a rilassarti e a concentrarti prima della gara. Impari ad ascoltarti, a provare ciò che funziona per te e a sviluppare piccoli rituali.
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I tuoi successi ti mettono sotto pressione, oppure ti ispirano? Mi hanno piuttosto ispirata, perché ho potuto togliermi un po’ di pressione. Ma ad ogni stagione ricominci da zero. Inoltre quest’anno è particolare, con le Olimpiadi, dove vorrei vincere una medaglia.
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CULTURA
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Un lavoro ideale La giovane scrittrice giapponese Tsumura Kikuko racconta di un burnout superato felicemente
Disco solista per Ashcroft Il cantante del gruppo cult dei Verve propone un album acustico e riprende alcuni dei suoi successi
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Jazz e classica Alcuni compositori del 900 tra cui Stravinsky hanno ascoltato con attenzione la musica neroamericana
Macerie in un podcast Intervista ad Olmo Cerri che sta creando un’originale serie di contenuti sull’autogestione
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Le forme liquide di Sferico Arte
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Le opere dell’artista ticinese si muovono tra misterioso simbolismo e ricerca della bellezza
Alessia Brughera
Sferico. È questo il nome che ha scelto per presentare sé stesso lo scultore e pittore ticinese Andrea Savi. Un aggettivo per la precisione, il cui utilizzo palesa l’esigenza di qualificare immediatamente il proprio pensiero artistico, nella perfetta coincidenza tra persona e opera. Per dare un fondamento ancor più solido alla propria ricerca, Sferico elabora, ancora adolescente, lo Sferismo, condensando in una pubblicazione in italiano e in inglese (presentata tra l’altro dal premio Nobel Sir John Eccles) le linee guida della sua concezione dell’arte. «Se il Cubismo sezionava e scomponeva l’oggetto ritraendolo dalle diverse angolature, lo Sferismo fa confluire tutte le caratteristiche di un dato oggetto rimodellandolo in una visione unitaria, vale a dire in una forma a tutto tondo», scrive l’artista per spiegare il suo linguaggio fatto di andamenti circolari e di volumetrie fluide che si fondono armoniosamente con lo spazio. Antidoto all’arte passiva che secondo lui ha preso il sopravvento a partire dal secondo dopoguerra, l’indagine di Sferico si schiera dalla parte di un ritorno al fare artistico, di un’esplorazione che ha come obiettivo il raggiungimento di una «sintesi tra storia e contemporaneità, tra ideale e contingente, arrivando alla forma archetipa nella quale si incarna la volontà di ogni uomo nella sua carica motivazionale». Nato a Locarno e con una laurea in architettura, Sferico è sempre stato un viaggiatore pronto a raccogliere stimoli provenienti dal presente e dal passato attraverso cui costruire la propria cifra espressiva. Lugano, Düsseldorf, Milano, Venezia, Parigi, l’Egitto, Israele e, di recente, il Vietnam (dove soggiorna spesso per lavorare a sculture realizzate con il tipico marmo cristallino del Paese) sono solo alcune delle mete toccate per approfondire la storia dell’arte e tracciare un personale cammino, caratterizzato, più che dagli insegnamenti accademici, proprio dalla conoscenza diretta e dall’assidua sperimentazione. È Sferico stesso a definirsi un «selvaggio dell’arte», un’anima raminga a caccia di suggestioni che possono arrivare dalla preistoria così come dalle tendenze più attuali del design, mantenendo costantemente al centro della propria attività la ricerca sull’uomo, poiché è in lui che si trova «tutto il necessario per rappresentare simbolicamente il resto del cosmo». Nei lavori plastici dell’artista ticinese si colgono, tra gli altri, richiami al repertorio formale dello scultore britannico Henry Moore nonché alle opere dalle sagome arrotondate di Jean Arp che si muovono con eleganza tra astrazione e figurazione. In
Sferico, Salvation, tecnica mista, impresso su tela e dipinto a olio a velature.
ambito pittorico, poi, i riferimenti si fanno ancor più manifesti, con quella ricchezza inventiva e quell’approccio visionario che lo avvicinano allo stile del maestro olandese Hieronymus Bosch e con quella stravaganza tutta surrealista che svela il suo interesse per i paesaggi della psiche di Salvador Dalí e per l’adunanza di creature bizzarre di Joan Miró. Le opere di Sferico, come ha anche testimoniato di recente la mostra allestita presso il Museo Gipsoteca Gianluigi Giudici a Lugano, dove è stata presentata una piccola ma significativa selezione di sculture e dipinti, sono universi eccentrici dominati dal bisogno di riconquistare la bellezza che riflette il miracolo del-
la vita, di «risalire la storia fin dentro l’infanzia dell’uomo e rivelare lo squisito dell’armonia perduta». Ed è interessante notare come tutti i lavori dell’artista si presentino sempre rigorosamente senza data, poiché egli li considera «mondi aperti» suscettibili di aggiunte o modifiche in qualsiasi momento. I pezzi scultorei vengono realizzati da Sferico in pietra (basalto, marmo o arenaria) e in bronzo, documentando un abile procedere al confine tra spazio e materia capace di arrestare la forma nel suo movimento più espressivo. Con i loro profili curvilinei, le figure dell’artista seguono un principio circolare che attrae e avvolge, come se le flessuose volumetrie dei
corpi vivessero di un dinamismo congenito che cattura l’osservatore. Alla base di queste sculture dalla grande libertà compositiva c’è sempre un disegno preciso, tappa imprescindibile nel processo creativo di Sferico, in cui la linea morbida e sciolta dà struttura all’idea tracciando motivi che già possiedono una componente tridimensionale. I dipinti dell’artista colpiscono invece subito per l’esuberante tavolozza cromatica e per i soggetti fantastici, con strutture e personaggi dalla forte carica simbolica che popolano la scena permeandola di un seducente mistero (si vedano Il Peccato Originale o La Persistenza della Vita, dove in un’armonica babele compaiono esse-
ri antropomorfi dai contorni sinuosi e una miriade di strani oggetti apparentemente privi di senso). Queste creazioni sono esempi della «pittura filosofica» di Sferico in cui ogni elemento rappresentato diventa parte di una narrazione allegorica. Gli accorti giochi di sfumature, la luce intrinseca alle forme che costruisce i volumi abolendo le ombre, le figure delineate con nitidezza e lo spazio definito con estremo equilibrio da più prospettive (eredità degli studi di architettura dell’artista), rendono questi dipinti delle realtà immaginifiche che fanno viaggiare lo spettatore lungo le traiettorie del sogno, visioni utili al pensiero umano per interrogarsi sull’enigma dell’esistenza.
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CULTURA
Il mestiere ideale si incontra Editoria
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Dal Giappone un intrigante romanzo sulla centralità del lavoro
Sebastiano Caroni
Ci sono esperienze che contribuiscono a plasmare la nostra identità, e che cristallizzano gli alti e i bassi della nostra epoca. Il lavoro è una di queste, solo che spesso non ce ne rendiamo conto. Chi non ne ha uno, infatti, rischia di venire marginalizzato, perché il lavoro è un vettore integrativo agli occhi della comunità e del singolo. Può capitare, anche, che chi ne ha uno continui a rincorrere il sogno, legittimo e diffuso, di trovarne un altro. E chi è fortunato, invece, ha un impiego che gli piace e che non cambierebbe per nulla al mondo.
La giovane scrittrice giapponese Tsumura Kikuko racconta degli sviluppi dopo un burnout Tutti questi scenari si intrecciano in maniera sorprendente nel romanzo Un lavoro perfetto della giovane autrice giapponese Tsumura Kikuko. A trasportarci attraverso le tonalità dei possibili lavorativi è la voce narrante di una giovane donna che, vittima di un burnout professionale, dopo una pausa forzata decide di ripartire con un unico proposito: quello di trovare un impiego poco impegnativo e, soprattutto, che non la coinvolga troppo a livello emotivo. «Tutto è cominciato», ci rivela la voce del-
la protagonista parlando del proprio reinserimento professionale, «quando sono andata dalla mia consulente del lavoro e le ho chiesto un impiego con mansioni semplici, tipo stare seduta tutto il giorno a controllare l’estrazione del collagene per i cosmetici. Non credevo che potesse davvero soddisfare le mie richieste, ma in fondo non avevo niente da perdere». E infatti la signora Masakado, sua consulente all’ufficio di collocamento, si dimostra subito molto abile nel proporle offerte puntuali, e dei contratti a tempo determinato, che le permettono di rilanciarsi. Messe dunque da parte quelle velleità che normalmente contraddistinguono la ricerca di un nuovo impiego, la protagonista del romanzo di Tsumura si ritrova ben presto coinvolta in una serie di ruoli e compiti spesso improbabili ma, perlomeno inizialmente, piuttosto rassicuranti. Sorvegliare da una telecamera nascosta la quotidianità ripetitiva e abitudinaria di un anonimo scrittore sospettato di essere coinvolto in un’operazione di contrabbando, impreziosire le confezioni di una marca di cracker di riso con delle frasi ad effetto, oppure affiggere dei manifesti ecologisti per ordine del governo, sono alcune delle mansioni che svolge, e che ben rispecchiano i suoi nuovi propositi. Ma l’esistenza, si sa, non è un esperimento scientifico in cui si possono controllare esiti e va-
Particolare dalla copertina dell’edizione inglese di Un lavoro perfetto.
riabili. A differenza dell’ambiente sigillato del laboratorio, la vita conserva sempre il suo carattere imprevedibile, la sua apertura al possibile, pertanto anche i risvolti più inaspettati spesso si manifestano nelle situazioni in apparenza più prevedibili. E così questi lavori, sulla carta così semplici e ripetitivi, nasconderanno qualche sorpresa tale da trasformare l’iniziale e prospettata banalità in un progressivo coinvolgimento personale. Ognuno di questi lavori finirà addirittura per infondere alla protagonista un ritrovato, ancorché intermittente, piacere di lavorare; tanto da
farle crederle, in alcuni momenti, di aver trovato il lavoro perfetto. Forse proprio perché è ormai libera da aspettative ingombranti, la giovane donna sarà in grado di accogliere piccole ma decisive lezioni di vita, grazie a cui scendere a patti con il lascito di paure, incertezze e timori legati al suo vissuto precedente; tanto da poter affermare, nel finale: «è arrivato il momento di abbracciare di nuovo i miei alti e bassi. Non so quali problemi mi stiano aspettando dietro l’angolo, ma cambiare cinque lavori in così poco tempo mi ha insegnato una cosa molto semplice: non si può mai sape-
re. Qualsiasi cosa si stia facendo, non c’è mai modo di sapere come andrà a finire: bisogna solo cercare di dare sempre il massimo, e sperare. Sperare che vada tutto per il meglio». Così come si dice, prendendo in prestito il titolo di una poesia di John Donne, che nessun uomo è un’isola, lo stesso si può dire del tema del libro: ovvero che nessun lavoratore o lavoratrice è un’isola; e che nessun lavoro, per quanto semplice e isolato, è al riparo dal mondo esterno, dal contatto e dall’incontro con nuove persone e situazioni che possono portare a esiti tanto confortanti quanto spiazzanti. Il pregio del libro è di affrontare un tema così importante, delicato e centrale come quello del lavoro con leggerezza, spensieratezza, e un pizzico di surrealismo, senza comunque mai cadere nella banalità. Dal Giappone contemporaneo, Tsumura ci racconta una storia dai risvolti umani e psicologici in cui qualsiasi lettore può facilmente ritrovare parte della sua vicenda personale. È una storia, semplice e complessa, che ci mostra che nessun lavoro è mai veramente perfetto, ma che tutti i lavori possono, in circostanze particolari, diventarlo. Basta aprirsi al soffio imprevedibile della vita. Bibliografia Tsumura Kikuko, Un lavoro perfetto, Marsilio 2021. Annuncio pubblicitario
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MONDO MIGROS
QUANDO LA FONDUE È ANCHE VEGANA Con l’inizio della stagione invernale la marca Migros V-Love lancia la sua prima fondue vegana. È prodotta in collaborazione con il ristorante zurighese Samses ed è disponibile nelle maggiori filiali Migros
I momenti conviviali possono essere apprezzati anche con una fondue a base vegetale, afferma Ornella Lo Giusto. «Mi alimento in modo vegano e per molti prodotti trovo buone alternative vegetali, ma per la fondue non era così», spiega la proprietaria del ristorante zurighese Samses. Con la sua capa cuoca Kati Skybova ha pertanto sviluppato una variante vegana della fondue al formaggio. Per trovare la giusta consistenza e il sapore pieno, le due donne hanno sperimentato a lungo. Quando nel servirono finalmente la loro prima fondue vegana, furono però ricompensate: «L’entusiasmo dei nostri clienti era grande, non solo da parte dei vegani», assicura Lo Giusto. La ricetta originale di Samses
In tempo per l’alta stagione della fondue Lo Giusto e Skybova hanno collaborato con la marca Migros V-Love. La fondue vegana con la ricetta originale di Samses è da subito disponibile nelle maggiori filiali Migros. «Siamo incredibilmente orgogliose che la gente di ogni parte del paese possa gustare la nostra fondue», afferma la ristoratrice. La fondue deve solo essere portata ad ebollizione e condita e affinata a piacere, per esempio con funghi, aglio o pomodori secchi. Sulla forchetta si possono infilare i classici come pane e patate, ma anche pezzetti di frutta, verdure e molto altro.
È saporita: la ristoratrice Ornella Lo Giusto (a sinistra) e la cuoca Kati Skybova testano la fondue vegana V-Love nel ristorante Samses.
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Foto: Lukas Lienhard
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Richard Ashcroft e la nostalgia Dischi
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Il frontman dei Verve ripercorre in chiave acustica i capisaldi della propria carriera a beneficio dei fan di vecchia data
Benedicta Froelich
Per tutti coloro abbiano vissuto quello che, alla fine degli anni , è stato senz’altro uno dei momenti d’oro della scena musicale britannica, il nome della formazione dei The Verve resta uno dei più amati – e questo sebbene, in realtà, il gruppo sia andato incontro ad alquanto prematuro scioglimento già nel , ponendo fine a diversi anni di continui bisticci (anche legali) tra i suoi membri. Da allora, nonostante una momentanea reunion (che, nel , diede origine a Forth, quarto e ultimo album dei The Verve), il frontman Richard Ashcroft è riuscito a mantenersi tenacemente sulla cresta dell’onda come cantante solista, per quanto, dopo il fortunato esordio del (Alone With Everybody), non sia più riuscito a replicare gli incredibili successi conosciuti con la sua band. Oggi, il enne Ashcroft può tuttavia contare su uno «zoccolo duro» di fan che lo considera come uno degli artisti più significativi della scena pop-rock degli ultimi vent’anni, e sull’ammirazione di celebri colleghi che molto devono ai The Verve sia dal punto di vista melodico che interpretativo (fra gli altri, Chris Martin dei Coldplay e gli inossidabili fratelli Gallagher); uno status che, nel , gli ha permesso di ricominciare a incidere dopo una lunga pausa. Oggi, Ashcroft è di nuovo sulla breccia, e il suo nome suscita ancora grande interesse – come dimostra la controver-
sia sollevatasi l’estate scorsa intorno alla sua decisione di abbandonare il Tramlines Festival di Sheffield dopo aver scoperto che l’ingresso sarebbe stato permesso solo ai portatori di «passaporto covid».
Il titolo del disco lascia intendere un’imminente nuova uscita?
Le liriche dei brani sembrano essere messe in rilevo dall’impianto minimalista degli arrangiamenti Ecco quindi che, come accaduto a molte star in seguito ai recenti lockdown pandemici, anche Ashcroft decide oggi di rivisitare il proprio catalogo a beneficio dei numerosi fan di vecchia data: e facendo il verso al titolo del leggendario album Urban Hymns, che nel catapultò i The Verve ai vertici di tutte le classifiche mondiali, l’ex frontman pubblica oggi questo Acoustic Hymns, il quale offre riletture rigorosamente acustiche dei migliori classici del gruppo e di suoi pezzi solisti. Naturalmente, uno dei brani più attesi nel contesto di una rilettura minimalista è il cavallo di battaglia per eccellenza della band, ovvero il tormentone Bittersweet Symphony, che qui mantiene comunque l’iconico accompagnamento orchestrale a base di archi – e sebbene la forza melodica del brano sia sufficiente a tenerlo a galla anche in una chiave meno ela-
borata rispetto all’iperprodotto singolo originale, l’effetto è quello di una versione per certi versi un po’ troppo strascicata, quasi la velocità di riproduzione fosse rallentata e pervasa da una sorta di eco. In effetti, la trasposizione minimalista sembra funzionare meglio quando eseguita su altri pezzi iconici tratti da Urban Hymns: si vedano Lucky Man – la cui forza e impatto nulla perdono rispetto all’originale, mantenendone intatto l’innegabile trasporto emotivo – e la ballatona The Drugs Don’t Work, i cui toni intimisti e drammatici vengono enfatizzati e rinvigoriti dal sound mini-
malista, rendendo ancor più coinvolgente e significativo il messaggio delle liriche. Ma non sono solo i classici a beneficiare di questo trattamento. Un altro eccellente risultato è rappresentato da due dei brani solisti di Ashcroft presenti in quest’album: Break The Night With Colour, qui travolgente e accattivante come nella versione elettrica del , e A Song For The Lovers, primo brano inciso da Richard dopo lo scioglimento dei The Verve. Lo stesso si può dire di Velvet Morning, il cui irresistibile ritornello dai toni quasi epici (e, val la pena di ricordarlo, estrema-
mente britpop nelle sfumature sonore) acquista nuovo, rinnovato respiro ed enfasi melodica. In effetti, si potrebbe affermare che uno dei punti di forza di questo disco stia nel fatto che lungo tutta la tracklist, Richard mostra tatto e coerenza, donando ai suoi fan esattamente ciò che essi si aspetterebbero da lui, senza voler rischiare più di tanto: i riarrangiamenti dei brani ricalcano infatti da vicino le versioni originali, anche perché le rivistazioni proposte da Acoustic Hymns non possono considerarsi come davvero scarne o ridotte all’osso (per intenderci, del genere offerto da un set unplugged dei bei tempi andati). Il tappeto sonoro qui intessuto da Ashcroft resta però molto intricato, presentando in ogni brano il contributo cruciale di un’intera sezione di archi, oltre a sassofoni, mandolini e chitarre; tanto che This Thing Called Life può addirittura vantare un coro in stile gospel a infarcire il tutto. E dato che il titolo completo di quest’album (Acoustic Hymns, Vol. ) lascia chiaramente intendere come questo sia solo il primo esperimento di una serie, gli estimatori di Ashcroft possono certamente atttendersi dal loro eroe nuovi, soddisfacenti exploit acustici – volti, in fondo, ad alimentare una volta di più quello straziante «effetto nostalgia» che oggi sembra affliggere (e non solo in termini musicali) chiunque sia stato giovane negli anni . Annuncio pubblicitario
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Settimanale di informazione e cultura
Anno LXXXIV 8 novembre 2021
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azione – Cooperativa Migros Ticino
CULTURA
Riflessi del jazz in Europa Musicologia
◆
Marsalis graffia
Il rapporto tra la musica afroamericana e la tradizione colta del vecchio Continente
Dischi ◆ Un’opera che critica il sistema dell’intrattenimento americano
Carlo Piccardi
Nella storia della cultura non sarà mai abbastanza considerato lo sconvolgente segno lasciato dalla prima guerra mondiale. Non solo essa chiudeva il capitolo di un secolo che aveva cullato l’illusione del tempo fermato nelle sue estenuate forme di decadentismo e di epigonismo, ma aveva anche profondamente contribuito a mettere in crisi il principio di eurocentrismo, il cui venir meno rappresenta un fattore accostabile al processo di usura interna del linguaggio, per importanza nello sviluppo dell’arte musicale occidentale oltre le prospettive dissolutrici. In fondo già i risvegli nazionalistici sorti da istanze idealistiche ma indotti dalla ricerca di identità a scoprire livelli arcaici o marginali rispetto alla cultura dominante, in determinati casi (Stravinsky, Bartok, ecc.) disvelando una diversa organicità linguistica aprirono falle irreparabili nell’unità e nell’omogeneità dei mezzi di espressione musicale. Ora non è un caso che tutte queste mutazioni siano avvenute a ridosso o come conseguenza del grande conflitto mondiale il quale, cancellando dalla carta d’Europa i confini dei grandi imperi sopravvissuti come entità iperboliche a potenti realtà centrifughe, agì profondamente come soluzione di continuità retta da desuete motivazioni centrifughe. Non per niente se fu la stessa guerra a riaccendere in Stravinsky la ragione di un nazionalismo russo, che trovò il suo scopo nella valorizzazione del patrimonio etnico delle favole e dei canti della vecchia Russia, fu la sua fine a segnare l’affievolimento delle stesse ragioni e l’apertura di una fase (quella neoclassica) ormai sciolta da intenzioni di ricerca di identità. Soprattutto la guerra, avendo indotto a intervenire nel destino d’Europa paesi d’oltremare, ufficializzava nuovi rapporti attraverso i quali non era più possibile garantire una gerarchia di valori una volta di più risolta a favore del vecchio continente. Il contributo degli Stati Uniti alla svolta decisiva del conflitto, l’irruzione del peso economico della potenza nordamericana, indussero l’Europa di poi ad agire a porte spalancate sul resto del mondo. Emblematica appare una composizione come il Ragtime di Stravinsky () che rende già assai bene conto di un livello simpatetico che, all’attivismo sfrenato del jazz sottoforma di
Monumento commemmorativo dedicato a Igor Stravinsky a Kiev. (Shutterstock)
frenetica manualità strumentale, fa corrispondere l’essenza di una musica parimenti riduttiva rispetto alla sostanza allusiva del linguaggio musicale, e ugualmente personificata nella materialità timbrica degli strumenti. Nel suo Ragtime Stravinsky ha saputo istintivamente riprodurre l’estroverso divisionismo timbrico di un linguaggio le cui crude sonorità adombravano una formidabile lezione di estetica capace di liquidare senza il minimo rimpianto la stagione del sentimento ostentato e dei suoi residui. Certamente in questa composizione la voce del clarinetto risuona cupa nel registro basso nella maniera vagamente spiritata con cui lo strumentale accompagna i suoi canti russi dell’epoca e incapace di abbandonarsi agli esilaranti acuti dei virtuosi afro-americani. Parimenti non bastano i glissandi del trombone o i gargarismi della tromba in sordina a sottrarre questa musica al profilo popolaresco di una scrittura che, attraverso la presenza dei martellanti e arruffati arabeschi del cymbalum, vincola il discorso al recupero di una arcaica identità contadina europea. In verità non vi è nulla di spurio in tale combinazione, al punto che la singhiozzante catena di sincopazioni riprodotta come calco ritmico della danza d’oltreoceano può addirittura apparire come una filiazione della dirompente eccitazione
ritmica che aveva travolto le sue opere fauves e che, nella configurazione stilistica delle composizioni nate durante la guerra, continuava ad affermare il principio dell’iterazione ossessiva. In questo senso è comprensibile che Stravinsky non avesse nulla da imparare dal jazz, che egli semplicemente incontrava sulla strada di una ricerca che aveva gettato premesse di linguaggio in parte assai simili. L’interesse nasceva appunto dalla sensazione di veder confermata tale direzione in un’espressione musicale proveniente da un contesto geografico e culturale lontano, che soprattutto si presentava come spontanea rivendicazione di massa di ragioni estetiche di chiaro fondamento attivistico e edonistico. Come fenomeno sociale il modello dell’intrattenimento americano tracciava una linea netta di demarcazione rispetto alle esigenze del divertimento ancora dominante nell’Europa del primo ventennio del secolo, abolendo qualsiasi forma di cedimento nostalgico a lirismi enfatici ormai appassiti. Irrobustita da sferzante nerbo ritmico capace di scandire il suo gesto travolgente nell’appello alla concretezza di una timbrica ridotta al denominatore di suoni percepiti nella loro sensuale fisicità, l’espressione nordamericana non solo conquistava l’Europa, ma le consentiva di abbreviare la distanza
tra le pratiche popolaresche del divertimento e i livelli più avanzati dell’esperienza culturale. In effetti gli anni Venti furono il decennio del secolo in cui il radicale mutamento del costume introdusse nelle attività di intrattenimento uno slancio, in cui l’accesa componente di novità indusse i protagonisti del rinnovamento artistico a entrare in rapporto dialettico con le forme leggere dell’espressione, non più considerate come manifestazioni marginali e subalterne della parte peritura della cultura, bensì come rivelazione di un filone rigenerato di esperienze socializzanti, in grado di conquistare una posizione a cui la cultura potesse tornare a guardare come a un punto di partenza. È una premessa che valeva per il Gruppo dei Sei in Francia (Milhaud, Honegger, Poulenc, Auric, ecc.), per Hindemith, Weill, Krenek in Germania, per Prokof ’ev, Šostakóvič, Mosolov in Russia, per Bohuslav Martinu e Emil Burian di Cecoslovacchia, per Constant Lambert in Inghilterra e per molti altri. Finora tali esperienze sono state trattate come episodi più all’interno di singole biografie artistiche anziché come un capitolo di civiltà. Un suo studio globale potrebbe essere esemplare come messa a fuoco di un livello di coscienza estetica in fondo non ancora sorpassato.
È uscito lo scorso anno, proprio in concomitanza con il momento più critico della pandemia e questo forse non ha contribuito alla sua diffusione. D’altro canto è vero che i lavori della Jazz at Lincoln Center Orchestra di Marsalis (fatte salve alcune occasioni pop, come la collaborazione con Eric Clapton) non sono per definizione opere destinate al largo pubblico. Marsalis e compagni continuano un percorso di approfondimento, studio e rinnovamento della tradizione nero-americana profilato e critico verso l’establishment culturale. Il recente The Ever Fonky Lowdown è un kolossal che lascia basiti per la sua perfezione formale, il suo graffiante sarcasmo, la sua totale fisionomia in controtendenza con i gusti del mercato. Mettersi all’ascolto è un’impresa: un’ora e minuti di sorprese, di pura complessità musicale costruita attorno al filo di un’ipotetico spettacolo di vaudeville. Si tratta in realtà di un’opera ideologica, dalle ambizioni diremmo wagneriane/ellingtoniane, la cui realizzazione ha coinvolto un cast impressionante di fuoriclasse. In prima fila le cantanti, che affrontano brani di una complessità melodico-ritmica spaventosa, con una nonchalance e una leggerezza che lascia basiti. La trama del musical è un’evidente sfida lanciata al pensiero dominante: guardate dove ci sta portando una cultura che non conosce le sue radici, dice Marsalis. This is jazz. / AZ
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Anno LXXXIV 8 novembre 2021
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azione – Cooperativa Migros Ticino
CULTURA
Suoni dalle macerie Una storia nata da una poesia Incontro ◆ Il regista Olmo Cerri propone un podcast in cui riflettere sull’autogestione
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È dai primi anni Settanta che sul nostro territorio ci sono state manifestazioni di aggregazione giovanile, soprattutto legate alla rivendicazione di uno spazio autogestito e alternativo a un sistema votato alla logica del profitto. La loro storia è anche cronaca di diversità, di differenti punti di vista nell’affrontare i problemi legati a un luogo autonomo a dimostrazione di una responsabilità sociale che vive e si forma collettivamente. Nei rapporti con le istituzioni la gestione della relazione non sempre si è rivelata possibile. Come più recentemente, quando ha assunto i contorni di un dialogo fra sordi per alimentare una storia infinita all’ombra delle macerie dell’ex-Macello abbattuto dalle ruspe. Macerie ampiamente metaforiche. Pesano infatti sulla coscienza collettiva di un’intera città, Lugano nella fattispecie, di una comunità allargata che ingloba tutti i suoi attori principali: i giovani, la cultura, la classe politica, l’amministrazione, l’ordine pubblico, la popolazione. Olmo Cerri, videomaker, realizzatore di film e documentari per la radio e la televisione, da ottobre coordina un podcast collettivo sulla storia dell’autogestione in Ticino dal titolo Macerie (spreaker.com/show/macerie). È un documento prezioso, un racconto a più voci che ricostruisce e restituisce la memoria come un ingranaggio collettivo: «un modo per riflettere su quello che siamo e su quello che vogliamo diventare», recita la presentazione, «per risalire il fiume del tempo, per socializzare la nostra storia con occhio critico, per costruire narrazioni che possano innescare un conflitto». Una narrazione che non vuole essere una presa di posizione bensì il ricordo di un’esperienza, istantanee di luoghi, situazioni e stati d’animo di chi è rimasto orfano di qualcosa di essenziale e alternativo. Oggi un’assenza colpevole che chiama a confronto le premesse culturali e la tolleranza necessaria per dare spazio all’autogestione. «È un racconto appassionato ed è chiaro che sono molto vicino a questa storia, politicamente ma anche affettivamente», racconta Olmo Cerri. «Era importante per me ma anche per tutto il gruppo di persone che ci hanno lavorato di non fare un progetto con un taglio pubblicitario. Il Molino in anni ha avuto anche momenti di difficoltà. È un’esperienza che coinvolge tantissime persone, anche con le loro contraddizioni, aspetti forse difficili da capire (…) ma era importante raccontare anche quei momenti. È chiaro che c’è della passione e del rispetto. Però c’è anche un po’ di senso critico sulle cose che non hanno
funzionato e forse che era inevitabile che non funzionassero. Perché si parte con delle aspettative altissime, con ideali e utopie e poi si scontrano con la realtà della società». Con l’esperienza dell’autogestione si viene a creare una microsocietà dalle regole decise collettivamente. È in quel momento, come ci raccontano alcune testimonianze, che rischiano in effetti di crearsi delle gerarchie, dei meccanismi di potere che non si vorrebbero ma che in parte sono tuttavia presenti anche nell’assemblea, organismo e vera voce collettiva da cui nascono tutte le decisioni... «È inevitabile», continua Cerri, «appena inizi a costruire e a organizzare, sia l’assemblea sia la gestione degli spazi richiedono dei compromessi. Il bello del Molino – lo si capisce dal podcast – è che in tutte le sue fasi ha cercato attivamente di fare qualcosa per evitare che si creassero dei leader, dei portavoce identificati in una sola persona oppure dei comitati che prendono il potere sull’assemblea dove vengono davvero prese tutte le decisioni. È un esercizio costante volto a smontare meccanismi di potere che potrebbero portare a un’organizzazione piramidale». Quante persone sono state coinvolte per la realizzazione di Macerie? «Siamo una decina. Un gruppo si occupa dell’aspetto editoriale e un altro della parte tecnica, cioè la post produzione e il mixaggio finale. C’è un musicista per la colonna sonora, Victor Hugo Fumagalli e i ragazzi di ComplicePress a cui è stata affidata la grafica e l’immagine del podcast». A questi si aggiungono anche coloro che contribuiscono con la propria testimonianza. Fino ad ora sono venticinque e corrispondono a decine e decine di ore di interviste. «Sono storie intricate. Ci vuole un po’ di tempo per capirle. Bisogna mettersi d’accordo, prendere appuntamento. Qualcuno di loro nel frattempo ha lasciato il gruppo per fare altro. Non è facile ma è bello e i momenti dedicati alle interviste sono sempre arricchenti. Sono stato per molti anni molto vicino al Molino però certe cose non le sapevo. L’occupazione non l’avevo vissuta e ho scoperto tanti elementi interessanti, emozionanti e divertenti. Tutti i protagonisti si rendono conto che questa è una storia che ha una certa importanza e che non è ancora stata raccontata». Una storia che vogliono raccontare ma raccontarla bene, con un grande senso di responsabilità a dimostrazione di una realtà svuotata dai sogni e dalle utopie. «Una città senza Molino», conclude Olmo, «è più povera». È nato a Lugano nel 1984. (RicardoTorres)
◆
Proposte molto interessanti per la settimana cinematografica ticinese
Dal l’Istituto superiore Cine-tv Rossellini di Roma diploma tecnici per il cinema e la televisione. Tra queste aule è nata l’idea del documentario L’acqua, insegna la sete (Storia di classe) di Valerio Jalongo in uscita in Ticino da domani. È una settimana di nuovi arrivi nelle sale, molti dei quali interessanti, considerando anche Nowhere Special dell’italo-inglese Uberto Pasolini, già noto per il bellissimo Still Life. È la storia del trentacinquenne lavavetri John, che cresce da solo un bambino di quattro anni ma è malato terminale e, con i servizi sociali, cerca una famiglia cui affidare il piccolo Michael e garantirgli un futuro. Uno dei film più commoventi degli ultimi anni, senza fronzoli, delicato, profondamente umano, con un bambino meraviglioso che guarda il mondo intorno a lui in modo perplesso e già disincantato. L’acqua, insegna la sete parte dalla suggestione di una poesia di Emily Dickinson per riportare il professor Gianclaudio Lopez alla ricerca dei suoi vecchi allievi del Rossellini. Nell’anno scolastico / una sua classe prima partecipò al progetto di un videodiario, filmandosi dentro e fuori la scuola, raccontando sogni e difficoltà dell’adolescenza. Quasi anni dopo il professore, che a fine anni aveva condotto la trasmissione Geo su RaiTre, li incontra di nuovo, ricor-
Un fotogramma dalla pellicola di Valerio Jalongo.
dando vecchie lezioni e compiti in classe e facendo un punto esistenziale di un gruppo eterogeneo di trentenni. Molti di loro, che provenivano spesso da situazioni familiari delicate, hanno abbandonato gli studi oppure hanno preso altre strade, quasi nessuno lavora nel cinema o nella televisione. Il film, che alterna continuamente immagini nei due momenti temporali, risulta un ritratto vivace di giovani tra delusioni, speranze, fallimenti e riscatti. Selezionato a Vision du Réel a Nyon, a Soletta e in numerosi altri festival, il documentario ricorda ricorda Le cose belle di Agostino Ferrente e Gio-
vanni Piperno. Jalongo, cineasta italo-svizzero, vive tra Roma e Lugano, ha realizzato i lungometraggi Sulla mia pelle e La scuola è finita e i documentari Di me cosa ne sai e Il senso della bellezza. Il regista sarà presente con il protagonista Lopez ad alcune anteprime: domani sera alle . al Lux di Massagno, presentati da Silvana Bezzola, coproduttrice per la Rsi; giovedì alle . al Forum di Bellinzona; venerdì alle . all’Otello di Ascona, presentati da Antonio Prata. Ci saranno anche due proiezioni speciali a Blenio (mercoledì alle .) e ad Airolo (sabato alle .). Annuncio pubblicitario
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Anno LXXXIV 8 novembre 2021
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CULTURA
L’italiano e le sue parole Linguistica
◆
Il saggio di una vita di Ugo Cardinale, tra teoria della neologia e nuove parole nell’Italia del Novecento
Stefano Vassere
Nel firmamento della lessicografia italiana brillano le voci di ricercatori che nella storia ne hanno marcato letteralmente gli strumenti. Così Niccolò Tommaseo, Bernardo Bellini, Salvatore Battaglia, Nicola Zingarelli, Fernando Palazzi, Gianfranco Folena, Manlio Cortelazzo, Michele Cortelazzo, Paolo Zolli, che hanno dato il nome a vocabolari e dizionari. Tra di essi è Ugo Cardinale, che con Manlio Cortelazzo curò, verso la metà degli anni Ottanta del secolo scorso, un fortunato Dizionario di parole nuove, dando avvio compiuto a una nel frattempo consolidata tradi-
zione di studi della neologia in Italia. Questo Storie di parole nuove. Neologia e neologismi nell’Italia che cambia è la somma di molti approfondimenti sul lessico e le sue evoluzioni. Una specie di bilancio dello studioso a parecchi decenni da quella memorabile prova, un’occasione per tirare fila generali e teoriche su uno dei temi più battuti dalla linguistica nazionale. Lo studio delle parole nuove è materia particolarmente scivolosa, essendo il lessico la buccia più estrema del sistema; quella che più di sovente si modifica (spesso anche senza metodo) sotto l’influsso di avvenimenti e costumi sociali. Conferire a questi fenomeni lo statuto di materiale di studio espone molto gli specialisti, occupati come sono a cercare regolarità e categorie là dove non è facile distinguerle. Così uno dei pregi del libro-testamento di Cardinale è quello di tracciare le caratteristiche di ciò che lui chiama con etichetta definitiva «la teoria e i principi della neologia». Una sezione che fa da preludio a una serie di cornici (frames) nella quale è suddivisa «la storia politica italiana degli ultimi sessant’anni». La quale, partendo da una certa maniera politica e quindi linguistica della fine degli anni Sessanta, si estende ai «banali anni Ottanta», all’arrivo della Seconda repubblica, ai governi Berlusconi fino agli episodi e alle figure più recenti. Seguendo un cammino ben conosciu-
Ugo Cardinale. (Youtube)
to, ognuna di queste epoche ha parole simboliche, vedette di un quadro di significati e di usi che va oltre il senso etimologico, rimandando a un mondo di atteggiamenti e di valori. Valga su tutti il capitolo esemplare sull’era della Pandemia, con i riferimenti alle metafore belliche («Siamo in guerra»), al lockdown, la quarantena, gli asintomatici, le droplet, l’infodemia; termini ancora a noi tanto vicini,
tuffati come siamo nel frame di questo periodo. Il tutto è, detto, sostenuto da un’attrezzatura di approccio della quale Cardinale è, dopo tutto questo tempo, affidabile titolare. E che prevede che le lingue cambino, sia pure con un movimento che i parlanti faticano a percepire derivandone un’impressione di immutabilità; e che certifica un principio di sta-
bilità per cui le diverse generazioni che riescono a convivere contemporaneamente in uno spazio linguistico non hanno comunque problemi a comprendersi. Al libro è anteposto un testo di saluto di Luciano Canfora, di grande dignità scientifica e storica; l’immagine iniziale è quella di Lucrezio, che nel libro primo del De rerum natura è di fronte all’affanno di non riuscire a rendere con parole latine nozioni e concetti per il quale il greco aveva lessico adeguato; ed è costretto a colmare il vuoto inventando nuovo vocabolario nella sua lingua. Non lo fa Canfora, ma è bello riprendere il passo: «So quello che il Greco scoprì, ma non è facile esporlo in chiari versi latini: per tante oscure scoperte di cui occorre parlare molte parole mi mancano per la povertà della lingua e gli argomenti inusuali. Ma per te, Memmio, e il piacere di esserti amico, affronto questa fatica, per cui nelle notti serene io resterò a vegliare pensando alle giuste parole e ai versi capaci di darti con dolce chiarezza tutti i lumi che occorrono perché tu riesca a scoprire, traendolo fuori dal buio, il mondo della natura». Bibliografia Ugo Cardinale, Storie di parole nuove. Neologia e neologismi nell’Italia che cambia, Bologna, il Mulino, 2021. Annuncio pubblicitario
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25% 2.95 invece di 3.95
Champignon bio Svizzera/Olanda, vaschetta da 250 g
Offerte valide solo dal 9.11 al 15.11.2021, fino a esaurimento dello stock.
Carne e salumi
Di cosa hai voglia oggi?
CONSIGLIO DEGLI ESPERTI Al bancone della carne trovi i consigli dei cuochi professionisti per la preparazione dei piatti, anche per quelli già pronti per la cottura. I patti pronti di carne contengono già tutti gli ingredienti e devono solo essere cotti a puntino. In caso di domande sulle dosi necessarie i nostri professionisti ti aiutano volentieri.
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Filetto d’agnello M-Classic per 100 g, in self-service
Costolette di vitello IP-SUISSE per 100 g, in self-service
In v e ndit a ora al banc one
20% Pietanze di carne cotte in padella in vendita al banco per es. sminuzzato di manzo alla Stroganoff, Svizzera, per 100 g, 3.65 invece di 4.60
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Aletta di manzo IP-SUISSE per 100 g, in self-service
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7.50
Filetto di maiale Surchoix Sélection il pezzodi maiale Surchoix in un pezzo unico Sélection Svizzera, per 100 g, in self-service, in vendita nelle maggiori filiali
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Fettine di pollo Don Pollo prodotto in Svizzera, con carne della Francia/dell’Ungheria, per 100 g, in self-service
Ali di pollo Optigal al naturale e speziate, per es. al naturale, Svizzera, al kg, 9.70 invece di 14.50, in self-service
Una de liziosa ce n pronta , se rv it aa subit o c ontorno d'insa c on lata conf. da 2
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Hamburger di manzo classici Svizzera, 2 x 120 g
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Novità
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Petto di pollo Rapelli in crosta con albicocche e mirtilli rossi Svizzera, 600 g, in self-service
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Délice di pollo Don Pollo prodotto surgelato, in conf. speciale, 1 kg
Te ne ra c ar n es fat t orie IP- v izze ra da SUIS SE
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4.95 Migros Ticino
Mini burger di salsiccia Rapelli Svizzera, 6 pezzi, 130 g, in self-service, in vendita nelle maggiori filiali
20% Tutta la carne per fondue chinoise Finest prodotto surgelato, per es. manzo, 450 g, 23.95 invece di 29.95 Offerte valide solo dal 9.11 al 15.11.2021, fino a esaurimento dello stock.
Carne e salumi
Una buona scelta per il vassoio degli aperitivi
Hit 4.90
Tartare di manzo prodotta in filiale con carne Svizzera, per 100 g, in self-service
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Hit 5.35
Bresaola Casa Walser Italia, per 100 g, in self-service
30% 3.70 invece di 5.30
Piatto misto ticinese prodotto in Ticino, per 100 g, in self-service
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4.50
Migros Ticino
Mix di mini salsicce per grill da tavola Grill mi Svizzera, cipollata, mini salsicce al formaggio, cipollata di maiale al naturale e curry, 8 salsicce, 160 g, in self-service, in vendita solo nelle maggiori filiali
25% 5.95 invece di 7.95
Saucisses à rôtir de porc Tradition Svizzera, in conf. speciale, 4 pezzi, 500 g
25% 3.90 invece di 5.20
Pancetta a dadini TerraSuisse in conf. speciale, 240 g
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Novità
4.40
Novità
Prosciutto alle erbe Sélection, IP-SUISSE per 100 g, in self-service, in vendita nelle maggiori filiali
6.50
Prosciutto affumicato di campagna Sélection Svizzera, per 100 g, in self-service
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Novità
11.95
Un aperit iv o nobile un piccolo happy per hour
PUNTI
Novità
Carne secca dei Grigioni al tartufo Limited Edition, Svizzera, 100 g, in self-service, in vendita nelle maggiori filiali
5.80
Novità
Pancetta contadina Sélection Svizzera, per 100 g, in self-service
8.95
Mini terrina di vitello allo zafferano Sélection Svizzera, 6 pezzi, 150 g, in vendita nelle maggiori filiali
conf. da 2
40% Paté di vitello Rapelli o terrina alle spugnole Rapelli per es. pâté di vitello, Svizzera, 2 x 300 g, 13.95 invece di 24.–
Migros Ticino
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Pesce e frutti di mare
Per piatti più gustosi
30% Filetti di salmone senza pelle, ASC
CONSIGLIO DEGLI ESPERTI
per es. M-Classic, d'allevamento, Norvegia, per 100 g, 3.– invece di 4.30, in vendita in self-service e al bancone
12.75
I piatti pronti di pesce contengono già tutti gli ingredienti e devono solo essere cotti a puntino. In caso di domande sulle dosi necessarie i nostri professionisti ti aiutano volentieri.
invece di 16.05
30% 11.– invece di 15.80
In v e ndi ta o r a al banc one
20% Pietanze di pesce cotte in padella in vendita al banco per es. merluzzo al peperoncino, MSC, pesca, Atlantico nordorientale, per 100 g, 3.25 invece di 4.10
Migros Ticino
20% Gamberetti tail-on cotti bio d'allevamento, Ecuador, in conf. speciale, 240 g
Orata reale M-Classic, ASC d'allevamento, Croazia, 720 g, in self-service
20x PUNTI
Novità
6.50
Gamberi della Groenlandia, MSC prodotto surgelato, 450 g
Pane e prodotti da forno
Aroma irresistibile
e lla d e n a p o r Il nost n una mol lic a : co a n a m i g us t o t t n e s u e a d i um morbida e zie al le c ast ag ne do l c e g r a
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Pane alle castagne Limited Edition, 400 g, confezionato
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Novità
1.90
a partire da 2 pezzi
20% Tutte le farine bio (prodotti Alnatura e Demeter esclusi), per es. farina bianca, 500 g, 1.30 invece di 1.60
Migros Ticino
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Baguette del forno di pietra 260 g, confezionata
20% Fagottini di spelta alle pere bio, bastoncini alle nocciole e fagottini alle pere per es. fagottini di spelta alle pere bio, 3 pezzi, 225 g, 2.60 invece di 3.30, prodotto confezionato
1.20
Panini di Sils con sesamo, IP-SUISSE 70 g
20% Torta Foresta Nera e torta al kirsch, 2 pezzi per es. torta Foresta Nera, 244 g, 4.30 invece di 5.40, prodotto confezionato
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Formaggi, latticini e uova
Prelibatezze per colazione, pranzo e cena
20% 1.40 invece di 1.75
Le Gruyère dolce, AOP ca. 450 g, per 100 g, confezionato
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Caseificio Leventina prodotto in Ticino, per 100 g, confezionato
21% 1.25
Appenzeller dolce per 100 g, confezionato
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Novità
3.–
Appenzeller Höhlengold forte, aromatico, ca. 250 g, per 100 g, confezionato
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Formaggella Blenio «Ra Crénga dra Vâll da Brégn» prodotta in Ticino, per 100 g
Un de lizia da fonde re: c on ta far prote ine e for nte mag g io sv izze ro
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Migros Ticino
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Emmentaler e Le Gruyère grattugiati, AOP 2 x 120 g
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Philadelphia Original, Balance o alle erbe aromatiche, per es. Original, 2 x 200 g
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Formaggio fuso High Protein Oh! 6 fette, 180 g
a partire da 2 pezzi
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Tutti i tipi di Caffè Latte Emmi
Drink Ovomaltine
per es. Macchiato, 230 ml, 1.55 invece di 1.90
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Yogurt con proteine del siero del latte Oh! vaniglia o mango, per es. vaniglia, 180 g
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Migros Ticino
15 x 53 g+
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Uova svizzere da allevamento all’aperto
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Crème brûlée M-Classic 2 x 100 g
1.75
Tiramisù M-Classic 2 x 80 g
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Dolce
Per addolcire l’attesa del Natale
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Biscotti margherita o biscotti al burro
Original, Double Cream o Golden, per es. Original, 3 x 154 g
per es. biscotti margherita, 3 x 210 g, 3.80 invece di 5.70
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Tutti i prodotti natalizi Merci e Toffifee per es. confezione dell'Avvento Toffifee, 375 g, 5.35 invece di 5.95
Tutti i prodotti natalizi Smarties per es. borsa regalo, 198 g, 5.60 invece di 7.–
Praline di ci Lindor assort it e occolato da sc die tro 24 port ic inoprire e
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Calendario dell'Avvento Lindt Lindor 299 g
6.90
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Yummy Napolitains Frey in sacchetto da 250 g
9.80
Palline di cioccolato Freylini Vanilla Crunch Frey in sacchetto da 480 g
Migros Ticino
Articoli vegetariani e vegani
Novità da provare e amare
a partire da 2 pezzi
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Tutti i prodotti natalizi After Eight
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Tutto l'assortimento di biscotti natalizi Grand-Mère per es. milanesini, 200 g, 2.90 invece di 3.40
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Palline di cioccolato al latte ripiene, UTZ in conf. speciale, sacchetto da 1 kg
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Croccanti novità per gli amanti degli aperitivi
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Pancho Villa
alla paprica e al naturale, in conf. speciale, per es. alla paprica, 400 g, 3.– invece di 6.–
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Grissini casarecci alle olive Sélection Limited Edition, 200 g
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Chips di patate dolci Sélection Limited Edition, 100 g
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Dalla pasta alla granola, tutto sempre a portata di mano
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Tutti i tipi di pasta M-Classic per es. maccheroni dell’alpigiano, 500 g, –.60 invece di 1.30
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Chicken Satay o Dim Sum Sea Treasure Anna's Best, ASC per es. Chicken Satay, 2 x 400 g, 12.– invece di 15.–
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Patate fritte o patate fritte al forno M-Classic
Ravioli M-Classic
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Tutti i tipi di aceto e i condimenti Ponti
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Farm Rösti Gruyère bio, AOP 500 g, in vendita nelle maggiori filiali
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Una cosa fantastica per i più piccini
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Grucce appendiabiti disponibili in nero o bianco, per es. bianco
Fiori e giardino Da produzione e quosolidale
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Carta per uso domestico Twist
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