Azione 46 del 14 novembre 2022

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Intervista a Massimo Polidoro che nel suo ultimo libro raccoglie le geniali lezioni di James Randi

LIBERO Pagina 17

Gérard Moccetti di Figino racconta la passione per la camminata sui carboni ardenti che pratica da anni

ATTUALITÀ Pagina 25

Cop27, il rilancio delle energie fossili rende ancora più utopistici gli obiettivi di Parigi 2015

Le litografie di Marc Chagall in mostra alla Fondazione Braglia fino al 18 dicembre ci parlano d’amore

Chiara

Valerio Bellavia

Se Trump piange, l’America non ride

Peter Schiesser

den a presidente. Ma nei cosiddetti swing States non sono riusciti a convincere gli elettori mode rati. Questo ha contribuito a frenare la crescita dei repubblicani e sta suscitando ripensamenti all’interno del partito: diventa evidente che l’in fluenza di Trump rappresenta un ostacolo alla riconquista del Congresso come pure della Ca sa Bianca, entrambi persi durante l’era Trump. Il grande perdente di queste elezioni è quindi proprio lui. E questo potrebbe preludere ad una sua uscita di scena, sul medio termine. Trump non aspettava altro che di annunciare la sua di scesa in campo nella corsa presidenziale, trat tenuto a stento dal partito dall’annunciare la candidatura prima delle elezioni di Midterm per timore che diventassero ancor più un refe rendum su di lui, e contava di farlo nei prossi mi giorni. Se lo farà nonostante sappia che la sua parabola è discendente, sarà per contrastare altri candidati repubblicani alla presidenza, in particolare uno, Ron DeSantis, eletto governa tore della Florida con un vantaggio di 20 pun ti percentuali sul candidato democratico, stella

nascente del partito repubblicano ed ex pupillo di Trump (vedi Rampini a pagina 27). DeSantis viene considerato un Trump con buone maniere, affabile ma altrettanto estremo nelle sue visioni e scelte politiche, ciò che ovviamente impensie risce l’ex presidente, il quale ha già minacciato di attaccarlo qualora annunciasse la sua candidatu ra a presidente: Ron DeSantis potrebbe infatti riuscire a trovare il consenso sia dei repubblicani trumpiani sia dei più moderati. Al di là delle lotte, intestine e fra i due partiti, per il controllo politico del paese, queste elezio ni hanno fornito un altro risultato: un desolante quadro dei rapporti fra le due Americhe, quel la repubblicana e quella democratica. Sono due Americhe che non solo non si parlano e non si ascoltano, ma si odiano, con i repubblicani un passo più in là con la dichiarata volontà di non volere accettare le sconfitte elettorali (se perdo no è perché il voto era truccato), di volere in fluenzare le commissioni elettorali ed eleggere governatori disposti a non certificare l’elezione di un prossimo presidente democratico. Donald

Trump lascia dunque un’America invelenita. Ci sono sempre cause profonde, collettive, all’ori gine della salita al potere di personalità autocra tiche. Trump è un figlio naturale dell’America divisa e squilibrata dagli effetti della globaliz zazione (la dislocazione all’estero di molte in dustrie), non è stato imposto da nessuno. Do podiché, ha reso più drammatica la situazione, dapprima durante la sua presidenza, poi aizzan do i suoi simpatizzanti ad assaltare il Congresso il 6 gennaio 2021, infine rendendo dominante nel suo partito la menzogna delle elezioni ru bate, con tutto il corollario di fake news. Anche se Trump dovesse mancare la rielezione a presi dente ed uscire di scena, il paese non guarireb be d’incanto, perché candidati, da una parte e dall’altra, che sappiano unire un’America con un tale fossato culturale, politico, anche democra tico, non se ne vedono all’orizzonte. Forse non si arriverà a una guerra civile, come paventano alcuni, ma un grande esempio di coesistenza de mocratica gli Stati Uniti oggi non lo sono dav vero, ciò che ha un impatto sul mondo intero.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 14 novembre 2022 Cooperativa Migros Ticino
46 ◆ ● G.A.A. 6592 San t’Antonino
edizione
MONDO MIGROS Pagine 6 – 7 CULTURA Pagina 39
TEMPO
SOCIETÀ Pagina 5 ◆
Di Giorgio Pagina 10
Il Gran Paradiso di Claudia

Farò il macchinista

Il fascino di una professione che permette di essere sempre in viaggio

Pagina 8

L’eredità di André Corboz

il Teatro dell’Architettura dedica una mostra all’intellettuale e studioso del territorio svizzero

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La vita di una guardiaparco Claudia Linty è guardiaparco al Gran Paradiso: un lavoro fatto di dedizione, attenzione e solitudine

Pagina 10

Noi di fronte all’ambiente

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Affaticati da una valanga di informazioni

Media ◆ Cresce il numero dei cosiddetti «deprivati di notizie» ma anche di coloro che soffrono di un «sovraccarico informativo», ne parliamo con la giornalista Laura Silvia Battaglia

È un cammino sempre più arduo, quello del giornalismo. Ce lo dicono, con una certa costanza, analisi e ri cerche condotte su tutto ciò che ruo ta attorno al mondo dell’informazio ne. Di recente l’università di Zurigo ha pubblicato il proprio studio annua le sulla qualità dei media in Svizze ra. Tra i tanti dati messi in evidenza val la pena citare quello dei cosiddet ti «deprivati di notizie», persone che non si informano, senza che questo sia per loro un problema. Ebbene in Svizzera questa categoria rappresenta il 38% della popolazione, percentuale che cresce di anno in anno. Lo scorso mese di settembre la fondazione fran cese Jean Jaurès, un think tank che si dice al servizio del progresso e della democrazia, ha pubblicato un pro prio studio sul rapporto tra cittadini e giornalismo ed è arrivata alla con clusione che quasi il 50% del pubblico francese dice di essere stanco, affati cato dall’informazione e dalla valan ga di notizie che ogni giorno circola sulla stampa tradizionale o sui mez zi tecnologici che abbiamo ormai co stantemente a disposizione.

Non per nulla questa ricerca parla di «sovraccarico informativo» e persi no di «info-obesità». «Il pubblico non ha del tutto torto. Il bombardamen to informativo e un modello di gior nalismo basato sulla notizia spot, sul le breaking news, sulla corsa contro il tempo anche a discapito della verifi ca della notizia, dell’approfondimen to, dei “come” e dei “perché” generano insoddisfazione tra il pubblico e sfi ducia nei confronti della categoria», ci dice Laura Silvia Battaglia, direttrice del Master di giornalismo dell’Uni versità Cattolica di Milano, giornali sta e reporter per il «Washigton Post» e per la RSI.

Secondo uno studio della fondazione Jean Jaurès il 50% del pubblico francese dice di essere stanco della quantità di notizie che ogni giorno circola sulla stampa e online

Se il pubblico ha la sua parte di ragio ne va però anche detto che le reda zioni non possono chiudere gli occhi. Viviamo in un periodo di crisi multi ple: pandemia, guerra in Ucraina, in flazione, crisi energetica e climatica, per citare solo le principali sfide del momento. Il giornalismo non ne do vrebbe riferire, anche con titoli di ri chiamo – solo per evitare al pubblico il rischio di un sovraccarico di infor mazioni? «Certo che il giornalismo ne deve parlare, ma la chiave sta nel come. Di sicuro non 24 ore su 24, con toni urlati, assertivi, sensazionalistici,

catastrofisti, appiattendo tutto sulla parola chiave (di volta in volta guerra, pandemia…) perché aiuta ad aumen tare il numero di clic digitali o incre menta l’audience nei dibattiti televi sivi», fa notare Laura Silvia Battaglia. Il dato della ricerca francese e quel lo sulla qualità dei media in Svizzera ci dicono sostanzialmente una cosa: il fossato tra pubblico e mondo dell’in formazione si sta allargando sempre più. Forse anche perché la vita di tut ti noi si è fatta più frenetica, diventa così difficile trovare tempo da dedi care all’informazione, ci si acconten ta dei titoli, dei push che riceviamo sui cellulari o di quanto troviamo con un colpo di pollice sui principali social media. Un modo di vivere l’informa zione in antitesi rispetto a quanto af fermava Ignacio Ramonet, negli anni ’90 del secolo scorso, con il suo S’in former fatigue, titolo di un suo edito riale apparso nell’ottobre del 1993. Il mondo dell’informazione era molto diverso da oggi ma Ramonet sotto

lineava concetti che rimangono validi anche nel bel mezzo della rivoluzione digitale che stiamo attraversando. «Il fatto stesso di volersi informare senza sforzo è un’illusione – scriveva – Oc corre mettere in conto anche la fati ca, ma questo è il prezzo da pagare affinché il cittadino possa acquisire il diritto di partecipare in modo in telligente alla vita democratica. (…) Si tratta di un’attività tutto sommato nobile, in una società democratica, a patto che il cittadino accetti di con sacrarvi parte del suo tempo e della sua attenzione». In altri termini Ra monet alzava l’asticella e chiedeva fa tica, in nome anche della democrazia. Una sfida di ieri che rimane tale oggi ma con una difficoltà in più, dobbia mo fare i conti con il flusso di notifi che, post e informazioni, spesso non giornalistiche, che ci arriva attraver so la digitalizzazione e le piattaforme social. E i dati ci dicono che stiamo assistendo – tra «deprivati di notizie», disinformazione e sovraccarico infor

mativo – ad una risposta contraria ri spetto agli auspici di Ramonet. Non la «fatica di informarsi» ma il minor sforzo possibile nel seguire l’attualità. In questo contesto come possono riuscire le redazioni – e i giornalisti con il loro lavoro – a riportare que ste persone verso l’informazione? Do manda rivolta ancora a Laura Silvia Battaglia. «Credo che la ricetta pos sa riassumersi così. Acquisire una for ma mentis naturalmente curiosa del mondo, non giudicante, non rispon dente a logiche e ideologie preordina te, ed eliminare così stereotipi duri a morire. E poi occorre promuovere la digital literacy – la competenza digita le – a partire dalle scuole elementari, perché è anche vero che il cittadino è passivo nella fruizione dei media e anche non educato a eseguire un factchecking di quanto trova indicizzato su internet e sui social. E aggiungo an che che si deve cambiare totalmen te il modello di business nel giorna lismo: meno breaking, meno dirette,

meno sensazionalismo; più slow news, approfondimenti e investigazioni. In sostanza, iniziare ad accorgerci che, nelle cinque W, quella più importan te è il perché, lasciata oggi sempre per ultima». Insomma tornare alle cinque domande di fondo, ai cinque pilastri del giornalismo, che in inglese inizia no tutti con la lettera W: chi? cosa? dove? quando? e perché? Con un ap profondimento, appunto, sul come e sul perché si è arrivati a un determi nato fatto. Insomma i push fanno or mai parte dello schema informativo di oggi ma occorre far sempre più le va sulla spiegazione, sul mettere a di sposizione del cittadino gli strumenti per capire l’attualità. Siamo dentro la rivoluzione digitale, non esistono ri cette predefinite ma forse il «sovrac carico dell’informazione» si combatte anche così. E così si stimola pure la volontà dei cittadini a fare un po’ di fatica. Lo richiede l’informazione – e anche la democrazia – in un mondo, questo è vero, sempre più complesso.

SOCIETÀ ● ◆ 4 Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 14 novembre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino
L’evoluzionista Telmo Pievani al Festival Sconfinare di Bellinzona ha parlato di eque responsabilità
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Roberto Porta

Tredici lezioni per diventare un genio

Intervista ◆ Le ha raccolte in un libro sorprendente il divulgatore scientifico Massimo Polidoro dopo averle apprese dall’illusionista di fama mondiale James Randi - Un viaggio tra razionalità scientifica e paranormale

«Che cos’è il genio? È fantasia, intu izione, decisione e velocità d’esecu zione», diceva a metà degli anni Set tanta Philippe Noiret, alias Giorgio Perozzi, nella mitica commedia di Monicelli Amici miei. Sarà, ma chi cerca di capire in modo più scientifi co che cos’è davvero la genialità deve strutturare meglio le sue definizioni. Ci ha provato anche Massimo Poli doro nel volume apparso pochi mesi fa Geniale. 13 lezioni che ho ricevuto da un mago leggendario sull’arte di vivere e pensare, Feltrinelli editore. Lo ab biamo intervistato.

Questo libro parte da quel «ge niaccio» di James Randi. Chi è James Randi?

James Randi è stato un personaggio importante del XX secolo soprat tutto per ciò che riguarda l’indagine con approccio scientifico di fenome ni ai confini della realtà. Ha preso il testimone dall’illusionista francese Houdini che all’inizio del Novecen to si era impegnato in una battaglia contro i ciarlatani dello spiritismo. Essendo lui un creatore di illusioni e di magie, si era accorto che riusci va ad individuare i trucchi di que sti personaggi in maniera molto più efficace rispetto a chi si occupava di scienza, fossero fisici, chimici, bio logi e addirittura premi Nobel. Per ché quello era il suo mestiere: creare illusioni, sapere come funzionano, sapere come indurre le persone a cre dere in qualcosa di non vero. Aveva quest’arma in più.

E Randi?

Anch’esso prestigiatore e illusio nista in tutto il mondo, negli anni Cinquanta Randi inizia a interessar si alle affermazioni straordinarie sul mondo del paranormale: gente che diceva di leggere il pensiero, muove re oggetti, prevedere il futuro, ecce tera. E come Houdini vedeva attra verso il fumo e si accorgeva che molti personaggi utilizzavano dei trucchi che egli stesso usava come prestigia tore sul palcoscenico. Grazie anche alla sua passione in ambito scientifi co, diventa un punto di riferimento per la comunità scientifica interna zionale per tutto ciò che riguarda af fermazioni ai confini della realtà.

Come nasce il libro?

Ho avuto la fortuna di diventare suo allievo e di affiancare una personalità così straordinaria e davvero genia le nel lavoro quotidiano e di impara re il suo metodo. Tutto questo grazie a una borsa di studio che mi ha dato Piero Angela. Con questo libro ho voluto recuperare una serie di ragio namenti e di principi che sono di ventati il fondamento della mia vita e

azione

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938

Redazione

Peter Schiesser (redattore responsabile), Simona Sala, Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Romina Borla, Natascha Fioretti Ivan Leoni

presentano un omaggio al mio mae stro James Randi a poco tempo dalla sua scomparsa (Randi è morto alla fine del 2020).

Perché tredici lezioni?

Perché il tredici ha fama di essere un numero magico e tredici sono le car te da gioco di un seme qualunque, dall’uno al dieci e poi le tre figu re. Un omaggio al gioco delle carte, cioè al mondo della magia da dove venivano Houdini e Randi. E infat ti, all’inizio di ogni capitolo c’è una carta da gioco a partire dal Jolly che ha il volto di Randi.

Randi aveva promesso un milio ne di dollari a chi riusciva a ripro durre un fenomeno paranormale in situazione di controllo scientifi co, giusto?

Era un’idea ereditata da Houdini che negli anni Venti del ’900 aveva mes so in palio 10 mila dollari per chiun que ci riuscisse. Randi aveva fatto lo stesso negli anni Sessanta. Partito dai 10 mila dollari di tasca sua era salito a 100 mila negli anni Ottan ta e negli anni successivi si era saliti al milione.

Ma nessuno ha mai vinto il premio. Infatti. Si sono presentate centina ia di persone in tutto il mondo. In Italia eravamo noi del CICAP (Co mitato italiano per il controllo del le affermazioni sulle pseudoscienze) a condurre i test preliminari. Già a quel livello si capiva che c’era qual cosa che non andava. Un’interpreta zione sbagliata di quello che accade va, che le persone si illudevano, o in qualche raro caso cercavano di alte rare la realtà con dei sotterfugi.

Per esempio?

Ad esempio i rabdomanti, che asse rivano di poter trovare l’acqua grazie alle bacchette e poi però non riusci vano a trovare neanche una bottiglia d’acqua che veniva nascosta all’inter no di una scatola: di fatto non trova vano in quale scatola fosse. Oppure c’è un caso che ho indagato insieme a Randi di quella signora che asseri va di poter vedere l’aura delle perso ne. (L’aura, in ambito paranormale, è l’alone luminoso invisibile alla nor male percezione, che circonderebbe e animerebbe tutti gli esseri viventi come una sorta di bozzolo o alone, capace di riflettere l’anima dell’indi viduo cui tale aura appartiene, ndr).

Cos’è

successo?

Lei diceva di poter vedere questo alone delle persone e in base ad esso descrivere il loro stato di salute o la loro personalità. Secondo lei l’aura si estende per dieci-quindici centime

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tri sopra la testa delle persone, così noi abbiamo allestito dei box, dei pa raventi, che coprivano il corpo del le persone nella loro altezza e poi le abbiamo chiesto di descrivere queste auree. Abbiamo montato dieci box, dentro c’erano dieci persone e la si

L’autore

Massimo Polidoro, giornalista, scrit tore, docente universitario e divul gatore scientifico, è autore di oltre cinquanta libri e più di mille articoli pubblicati su diverse testate interna zionali. Autore, conduttore e consu lente di numerosi programmi tele visivi, è stato una presenza fissa a Superquark accanto a Piero Ange la. Noto per le sue indagini scientifi che su bufale e presunti misteri, ha co-fondato e dirige il CICAP (Comita to italiano per il controllo delle affer mazioni sulle pseudoscienze), per il quale coordina anche l’organizzazio ne del CICAP Fest, festival scientifi co con un’affluenza di oltre 25.000 persone a Padova. Ha insegnato Psicologia dell’insolito all’Università di Milano e insegna Comunicazione della scienza ai dottorandi dell’Uni versità di Padova. Svolge una viva cissima attività sui social, con oltre 300.000 follower sulle diverse piat taforme, che accompagna a una se rie di podcast di successo per Audi ble e molti altri progetti al suo attivo.

Posta elettronica info@azione.ch societa@azione.ch tempolibero@azione.ch attualita@azione.ch cultura@azione.ch

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gnora ha visto la loro aura. Poi ab biamo tirato delle monetine per de cidere dove mettere solo tre persone: tre box erano occupati da persone, gli altri erano vuoti. Beh, la signora ha visto l’aura estendersi sopra tutti i box… Quindi la persona credeva di vedere qualcosa, una questione per cettiva. Un autoinganno.

Tra i tanti fenomeni «strani» che sono stati studiati, ce ne saranno alcuni che rimangono inspiegati… Sì. Ma la parola chiave è «inspiega ti», non – come si dice sempre – «in spiegabili». Ci sono diverse cose che restano senza una spiegazione, per molte ragioni. Non perché la scien za non ci aiuta a capire il fenome no, ma perché non abbiamo tutti gli elementi per trarre delle conclusio ni, non è possibile condurre una ve rifica. Per esempio, sul famoso san gue di San Gennaro, come CICAP abbiamo ipotizzato, col laboratorio di chimica dell’Università di Pavia, che si tratta di una sostanza tisso tropica, cioè di una sostanza che si poteva realizzare nel Medioevo con sostanze solide che si trovano in na tura, che però con degli scossoni di ventano liquide, e con altri scossoni diventa di nuovo solida, eccetera, a seconda di come manovri le ampol le. Lo abbiamo scritto su «Nature» e la notizia è stata ripresa in tutto il mondo. Siccome non ci è dato il permesso di verificare che cosa con tiene quell’ampolla, restiamo al gra do delle ipotesi.

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Spesso si sente dire che noi utiliz ziamo soltanto il 10 per cento del cervello e che se lo sapessimo uti lizzare tutto potremmo fare cose pazzesche, come ad esempio spo stare oggetti col pensiero… Qui c’è un’idea che nasce da un fraintendimento. I primi a usare questa espressione negli anni Venti, la intendevano in modo diverso: se ci mettiamo a studiare più a fondo, se usiamo più tenacia in ciò che ci ap passiona potremo ottenere risulta ti nettamente migliori. Col tempo, questa espressione è stata trasformata dalla letteratura pop e paranormale: abbiamo un 90% di cervello che non conosciamo e che nasconde chissà quali poteri.

E non è così?

No. Basta chiedere a un neurologo cosa ne pensa. Se noi avessimo anche solamente un 5% di cervello di cui ignoriamo il funzionamento e non usiamo vorrebbe dire che c’è una le sione grave nel cervello e anche un 1% di lesione significa non poter vi vere in maniera completa. Non ci sono parti sconosciute del cervello. Certo, un impiego più razionale dei modi in cui sfruttiamo le nostre ca pacità di ragionamento aiuta. Ma un premio Nobel intelligentissimo non riesce a sollevare i tavoli col cervello.

Il titolo del libro è Geniale. Lei propone un percorso quasi filoso fico in cui sembra che la genialità sia il risultato di un cammino fatto seguendo determinate regole del «ben pensare». Significa che la ge nialità non è innata?

Qui c’è un discorso che va avanti da decenni e coinvolge chi studia che cos’è il genio, come funziona e come nasce. Indubbiamente c’è un aspetto genetico che aiuta. Ma poi tantis simo conta l’ambiente in cui cre sciamo, gli stimoli che riceviamo, le occasioni che abbiamo di metterci alla prova. Se c’è una predisposizio ne, tutto questo non può che darci la possibilità che si manifesti. Se invece c’è la predisposizione ma l’ambien te ci impedisce di manifestarla allora è possibile che la genialità non rie sca a manifestarsi. In ogni caso, tutti i personaggi che noi consideriamo geni, da Leonardo a Mozart, han no in comune il fatto di aver dedica to migliaia di ore alla loro formazio ne. Un recente saggio calcola che ci siano diecimila ore di attività, prima di iniziare a mostrare qualcosa di ge niale, che usciva dalle capacità tra dizionali. Mozart inizia da bambino piccolissimo a comporre cose che so no già state sentite e banali, ma dopo anni di quotidiano impegno comin ciano a uscire cose geniali.

Abbonamenti e cambio indirizzi tel +41 91 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75

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Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 14 novembre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino 5
Massimo Polidoro con James Randi nel giardino della casa di Randi pochi anni prima della sua scomparsa avvenuta nel 2020.

Pere svizzere, che delizia

Attualità ◆ Frutta di provenienza indigena: un concentrato di bontà, proprietà benefiche e sostenibilità

Conference

zuccherina,

Come procedere

Le pere sono dei frutti particolar mente sensibili e devono essere ma neggiate con delicatezza. Una fa se particolarmente delicata è quella della raccolta: affinché non subisca no danni, devono essere collocate accuratamente in scatole più piccole rispetto alle mele, le cugine più resi stenti. Grazie a una attenta selezione delle varietà e a una conservazione

ottimale in speciali celle ad atmosfe ra controllata, le pere indigene so no disponibili sul mercato da ago sto fino alla primavera. In Svizzera il principale produttore di pere è il Vallese che, grazie al suo clima mo derato, produce oltre tre quarti del le pere svizzere. Le pere sono amate non solo per la loro seducente dol cezza, ma anche per il loro prezio

so contenuto di vitamine, sali mine rali, acido folico e fibre alimentari. All’incirca la metà delle pere sviz zere vengono trasformate in distil lati, succo e frutta secca. Malgrado nel nostro paese siano state identifi cate oltre 800 varietà di pera, le più diffuse e apprezzate sono le tipologie Williams, Kaiser Alexander, Confe rence e Buona Luisa.

Kaiser Alexander

Questa varietà è la più amata dai consumatori. Saporita, croccante e succosa, con polpa giallognola, lie vemente granulosa e buccia ruvida, rugginosa di color cannella. Ideale da cuocere.

1. Scaldate il forno statico a 180 °C. Tagliate il pane a dadi, dimezzate le pere e privatele del torsolo. Tagliate due pere a dadi e trasferite negli stampini con il pane. Tagliate la pera restante a fettine sottili e distribuite negli stampini.

2. Sbattete il latte con le uova e lo zucchero e versate il composto ottenuto negli stampini. Tritate grossolanamente le mandorle e cospargetele sui gratin. Gratinate al centro del forno per 20-25 minuti.

Autentici sapori del sud

Pane della settimana ◆

La ciabatta dei Nostrani del Ticino è preparata secondo i crismi della vera tradizione italiana

I prodotti di panetteria della Migros sono parte integrante dell’alimenta zione quotidiana di molte persone. Tra le numerose e invitanti proposte del reparto pane, non può certo man care la ciabatta, una tradizionale spe cialità di origini venete che ha ormai conquistato i palati di tutto il mon do con la sua inconfondibile fragran za e sapidità. Rispetto ad altre tipolo gie di pane, la ciabatta si caratterizza per l’alto tenore di umidità dell’impa sto, aspetto che permette di ottenere una mollica porosa e soffice, mentre la crosta si presenta croccante e ben do rata in superficie. Grazie al suo aro ma intenso e caratteristico, la ciabatta è un vero classico quando si tratta di preparare ricchi panini imbottiti con ingredienti genuini e saporiti, ma si presta altresì bene per accompagna re molti piatti della cucina di tut ti i giorni.

Per la produzione della ciabatta di

Migros Ticino viene utilizzata esclu sivamente farina di frumento ottenu ta da cereali coltivati sul nostro ter ritorio secondo i criteri IP-SUISSE della produzione integrata. Quest’ul timi vengono accuratamente trasfor mati sotto la supervisione del Mulino Maroggia. Abbiamo chiesto ad Ales sandro Fontana, titolare dell’azienda, qual è la farina più indicata per ot tenere un’ottima ciabatta. «Per rea lizzare un buon prodotto di questo tipo – spiega l’esperto – l’ideale sa rebbe utilizzare una farina semibian ca o bianca, dove le parti di buccia del chicco (crusca) sono state separa te dalla mandorla farinosa ed elimi nate dalla farina. Le farine chiare, in generale, si contraddistinguono per la maggiore elasticità, questo permette alla ciabatta, per esempio, di svilup parsi maggiormente durante la lievi tazione e di formare i classici buchi presenti nella mollica».

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 14 novembre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 6 Azione 20% Su tutte le pere sfuse dal 15.11 al 21.11.2022 Ciabatta nostrana IP-SUISSE 280 g Fr. 3.75
La ricetta Gratin di pane e pere Ingredienti per 4 persone
250 g di pane raffermo, ad es. treccia
3
pere
3,5
dl di latte
2
uova
2
cucchiai di zucchero greggio
2
cucchiai di mandorle
Buona Luisa Disponibile da settembre a gennaio, molto dolce, succosa e aromatica. Ideale per il consumo crudo. Possie de una polpa bianca con buccia dal le striature verdi-gialle-rossastre. Williams Fine, succosa e dal sapore fondente, la pera Williams si presta bene per il consumo crudo o per composte. Ha una buccia di color verde chiaro giallastro e polpa bianca. Succosa e la pera Confe rence è ottima per la preparazione di dolci, composte e conserve. La sua buccia giallo-verde racchiude una polpa di color bianco-giallastro.
Flavia Leuenberger Ceppi
LE PRINCIPALI VARIETÀ DI PERE SVIZZERE

Specialità al tartufo

Gli amanti del tartufo nei nostri principali negozi trovano una sele zione di raffinati prodotti provenien ti direttamente dalle Langhe, regio ne notoriamente conosciuta a livello internazionale per il profumatissimo e pregiato fungo. Il marchio «Ori di Langa» è sinonimo di passione per i prodotti del territorio, passione che si trasforma in una selezione di spe cialità uniche nel loro genere per condividere l’amore per il buon cibo e la tradizione più genuina.

Lasciatevi tentare da queste chicche realizzate con una sapiente combi nazione delle migliori materie pri me, come i Tajarin all’uovo con tar tufo da condire semplicemente con una noce di burro o un filo di olio di oliva; dalla Crema al parmigia no reggiano e tartufo da gustare su paste o crostini di pane o ancora dal le croccanti Patatine con tartufo da servire in occasione dei vostri aperi tivi più sfiziosi.

Quali novità appena entrate a far parte della gamma, troverete il Con dimento piccante con miele al tar tufo bianco, una ricetta ricca di per sonalità per accompagnare formaggi o per arricchire vinaigrette, glasse o marinate; e la Salsa tartufata con tartufo bianco, una specialità ver satile e gustosa da utilizzare sia su piatti freddi che caldi.

un tocco di originalità alle proprie pietanze

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 14 novembre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 7
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Macchinista, una professione a tutto vapore

Lavoro ◆ I giovani ne sono affascinati perché si è letteralmente sempre in viaggio e chi ci si butta lo fa soprattutto per passione, come conferma Marco Derungs, formatore dei macchinisti FFS

«Un giorno – dice sorridendo uno del gruppo, indicando la cabina di guida in testa alla locomotiva – lo condurremo noi il treno». Siamo alla stazione di Mendrisio, in uno di quei momenti sospesi in cui i convogli so no fermi nell’attesa di ripartire. E a voler decollare senza indugio per una nuova professione sono tre giovani fra i 25 e i 30 anni nel pieno di una formazione alle FFS che incontria mo accanto ai binari – chi proviene dal settore edile, chi dal commercio, «stanchi di quella routine iniziata sin dall’apprendistato» che tra meno di un anno, superati gli esami, si diplo meranno macchinisti ferrovieri. «È decisamente un lavoro interessan te, ben retribuito, si è letteralmen te sempre in viaggio, con la vista del paesaggio in primo piano, impossi bile annoiarsi» – prefigura accenden do l’orizzonte sul proprio futuro un altro del terzetto senza staccare lo sguardo dai vagoni allineati.

«In qualità di macchinista fate gran di cose: trasportate circa 458 milioni di persone all’anno insieme a noi per FFS Viaggiatori» – promette e an nuncia trionfalmente una delle pagine del sito Internet delle ferrovie federali svizzere. Per saperne di più sul per corso formativo e sul fascino di una professione antica, ma che da un po’ di tempo sembra attrarre con deciso slancio nuove generazioni di giovani, abbiamo interpellato Marco Derun gs, formatore dei macchinisti FFS .

Quali sono i requisiti e i passi ne cessari per diventare macchinisti?

I requisiti di massima consistono nel non avere alcuna iscrizione nel ca sellario giudiziale, un’età minima di 20 anni e avere concluso un tirocinio professionale riconosciuto della durata di almeno tre anni (attestato federale di capacità) oppure essere in posses so di una maturità o maturità profes sionale. Occorre inoltre essere fluenti sia a livello orale sia nella produzio ne scritta nella lingua del luogo di la voro e conoscere una seconda lingua nazionale a livello A1. Possedere una perfetta visione cromatica (nessuna ridotta percezione del rosso/verde),

Viale dei ciliegi

Una storia rotonda... come un’aran cia, ci dice la quarta di copertina di questo piccolo libro perfetto per le prime letture, in cui Quarzo e Ma riniello trovano un’armonia felice tra parole e immagini per raccontarci la vicenda di quest’arancia, «l’aran cia più bella del mondo», che passa di mano in mano e di intenzione in intenzione. La metteremo in cima al carretto, in bella mostra al mercato, dicono il vecchio Calò e il giovane Calì, senza accorgersi che l’arancia lungo la strada rotola giù. La porterò a mia moglie questa sera, dice un pe coraro, raccogliendola da terra. Ma l’arancia prenderà il volo, nel becco di Merlo Rubicchio, e la storia con tinuerà, ancora e ancora, con il rit mo iterativo e circolare di tante fiabe

godere di buona salute fisica e avere un indice di massa corporea (BMI) inferiore a 35, conformemente ai re quisiti richiesti dall’Ufficio federale dei trasporti. Consigliamo di parte cipare a un evento informativo sulle professioni. In seguito, suggeriamo di candidarsi tempestivamente online a un posto vacante. Il processo di can didatura dura dai tre ai cinque mesi e prevede tra l’altro esami di idoneità medica e psicologica.

Entriamo nel vivo della forma zione: dove si svolgono e attra verso quali contenuti si sviluppa no i corsi?

Per i macchinisti ticinesi la forma zione si svolge in Ticino, presso il centro di formazione FFS a Bellin zona. Dura dai 14 ai 16 mesi, a se conda della sede e delle competenze richieste: i contenuti principali sono suddivisi in una parte teorica, tratta ta nelle giornate di presenza in aula con formatori professionisti e di auto apprendimento, e una parte pratica con giornate ai simulatori di guida. Vi è poi una seconda parte pratica e di esercitazioni sui veicoli e sulle tratte/stazioni, con corsi specifici sui veicoli. Naturalmente, la formazio ne termina con esami scritti e orali e infine una sessione di esami pratici. Durante la formazione gli aspiranti macchinisti percepiscono un salario che dipende dall’età, dall’esperienza e dalla località.

Il macchinista rappresenta una professione sicura dal profilo sa lariale e della garanzia occupazio nale? Quante chances possiede un neo macchinista al termine della formazione di poter lavorare presso le FFS? Inoltre, il mercato consen te di poter scegliere il Cantone in cui lavorare o chi viene assunto de ve essere disponibile a lavorare in ogni località della Svizzera? Sia a livello salariale che occupazio nale è una professione sicura. Per poter intraprendere il percorso di formazione come aspirante macchi nista, bisogna comunque candidar si presso un’impresa di trasporto e

quindi chi si candida presso FFS, al termine della formazione è automati camente assunto dalla stessa. In base al contratto firmato all’inizio della formazione, il candidato sa in antici po in quale Cantone/sede lavorerà; si ha comunque sempre la possibilità di cambiare sia Cantone sia sede in un secondo momento, a condizione di conoscere la lingua del nuovo luogo di lavoro e che vi siano disponibilità di posti come macchinista.

Annoverate anche donne interessa te a diventare macchiniste?

Sì, ad oggi il 6% dei posti per mac chinisti FFS è occupato dalle donne, con la prima assunzione che risa le al 1991.

Dove risiede, a suo avviso, il fasci no per questa professione? La crisi delle compagnie aeree acuitasi a se guito della pandemia ha contribui to a eleggerla quale valida alterna tiva al lavoro di steward e hostess per coloro che amano essere co stantemente in viaggio?

Il fascino è rappresentato da una professione che garantisce a chi la

svolge un posto di lavoro con la vi suale migliore: ai comandi di treni moderni e veloci o treni merci pe santi. Il macchinista percorre corse in solitaria sulle linee di montagna innevate, oppure transita a veloci tà elevate le gallerie di base. L’orgo glio è quello di essere ai comandi di un treno con la piena consapevolezza di essere responsabile dei viaggiatori o delle merci che trasportiamo ogni giorno. Sicuramente la crisi delle compagnie aeree o la pandemia avrà avuto il suo peso come alternativa, ma ritengo che il desiderio di intra prendere questa professione rimanga principalmente dettato da una scelta di cuore e di passione.

Quali sono i curricula più frequen ti e l’età media dei candidati che scelgono di abbandonare la loro precedente professione per diven tare conducenti di treni? Come profili di candidature ricevia mo di tutto e di più: elettricisti, cuo chi, venditori, falegnami, manager, persone attive nella logistica, mecca nici. Non abbiamo una categoria che prevale maggiormente sulle altre.

L’età media dei candidati è ampia e si aggira intorno ai 25-45 anni.

Insomma, per mettersi alla testa di un treno e per sentire le vibrazio ni del viaggio non sembra mai tardi. Per ottenere maggiori informazio ni su questa professione decisamen te attraente, e per taluni persino «ir resistibile», è possibile consultare il seguente indirizzo Internet: https:// company.sbb.ch/it/impieghi-car riera/metti-in-movimento-la-sviz zera-insieme-a-noi/ferrovia/mac chinista.html. Il prossimo incontro informativo sulla formazione per macchinista sarà in agenda l’8 di cembre in remoto. Navigando sul web dedicato delle Ferrovie federali svizzere si possono pure conoscere le esperienze formative e professiona li di chi ha deciso di compiere que sta singolare scelta lavorativa – talora intraprendendo una vera e propria riqualifica – mettendosi ai comandi di un treno per sfrecciare lungo una rete ferroviaria che ad oggi raggiun ge i 3030 chilometri di lunghezza e che dispone di convogli sempre più all’avanguardia.

tradizionali, il cui patrimonio Guido Quarzo è da sempre bravissimo a ri visitare e riconfigurare con brio. Un brio, e una vena umoristica af fettuosa e calda, che Cecco Mari niello riprende da par suo nel rac contare i personaggi, in particolare i giovani soldati, i quali, al ricordo di tutte le cose buone che a casa si fa cevano con le arance, fuggono dalla guerra e dalla gloria. Bella da leg gere ad alta voce, ascoltandone il

ritmo sapiente, bella da leggere in autonomia, ammirandone le deli ziose immagini.

Le

streghe di Brooklyn

Il Castoro (Da 9 anni)

Un graphic novel carino e leggero per la fascia «middle age», della preado lescenza (9-12 anni grosso modo), su un tema certo non nuovo, quello del la giovane protagonista che scopre di essere una strega e che, una volta raggiunta la consapevolezza dei suoi poteri, non si affida solo a quelli per aiutare gli altri e risolvere i problemi, ma prima e soprattutto usa la saggez za del suo cuore. Questo tema è tut tavia rinvigorito dalla freschezza con cui l’autrice, la francese (trasferita a Brooklyn, dov’è ambientata la storia) Sophie Escabasse, lo conduce. Una freschezza che non esclude uno sguar do profondo sull’adolescenza e il biso gno di scoprire sé stessi che quest’età comporta: la metafora dei propri su

perpoteri esprime il senso di saper co gliere la propria unicità e l’importanza di seguire i propri talenti.

Dopo aver perso la mamma, Effie vie ne affidata dai servizi sociali a due anziane ed eccentriche zie, a cui lei inizialmente si rapporta con un atteg giamento oppositivo e diffidente, ca rico di tutta la rabbia e il dolore che si porta dentro. Ma sarà proprio l’ec centricità di zia Selimene e zia Carlota, capaci di trovare modi empatici, sen

sibili e non scontati di rivolgersi a lei, che farà sciogliere il ghiaccio che Effie ha nel cuore, rendendola capace di ri trovare fiducia negli altri e nella vita. Del resto le due vecchie signore sono streghe guaritrici, e questa è anche una storia di guarigione.

Guarisce Effie, dalle sue ferite inte riori, ma guariscono anche altri per sonaggi. Principalmente Tily Shoo, la popstar preferita di Effie, che si ri trova con il volto rossissimo per via di una crema sbagliata: chiederà aiuto al le anziane guaritrici, ma sarà soprat tutto Effie a indicarle la via della gua rigione, che porta a concentrarsi sul dono della musica, e non sull’apparire. Ma anche altri personaggi, grazie alla magia molto umana di queste streghe, imboccheranno senza più paura la loro strada: ad esempio Martin, il giovane assistente di Tily, che troverà il corag gio di inseguire i propri sogni. Ognu no può trovare un po’ di umana magia nella vita, sembrano suggerirci queste streghe di Brooklyn, se solo provasse ad ascoltare di più gli altri e sé stesso.

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di Letizia Bolzani Guido Quarzo Illustrazioni di Cecco Mariniello, Edizioni Città Nuova, collana «I nuovi colori del mondo» (Da 5 anni)
Keystone

La città di André Corboz

Mostre ◆ Il Teatro dell’Architettura di Mendrisio dedica una retrospettiva al lavoro e agli studi dell’intellettuale ginevrino

Il territorio come palinsesto, l’eredità di André Corboz è il titolo della mostra inaugurata lo scorso 3 novembre al Teatro dell’Architettura di Mendri sio. Nella lingua italiana palinsesto è una parola sottoutilizzata rispetto al la sua potenzialità espressiva. In realtà la sua etimologia è complessa e molto interessante. Si riferisce ai manoscritti antichi, costituiti dalle tavolette ince rate o dalle pergamene che, una volta incise dalla scrittura, potevano esse re raschiate e rese disponibili per una seconda scrittura. Un po’ come gli at tuali CD-RW, che sono riscrivibili dopo la prima masterizzazione.

In un piccolo saggio pubblicato nel 1983 André Corboz ha definito il ter ritorio come un palinsesto, metten do a fuoco il concetto della continua cancellazione e riscrittura, della per manente trasformazione cui è sotto posto. L’urbanizzazione e l’industria lizzazione hanno annullato la classica divisione tra città e campagna, con la prevalenza della prima, che ha assog gettato la seconda alle sue logiche pro duttive, infrastrutturali e di potere. Il territorio è il supporto materiale, la scena di tutte le attività umane, al cui studio Corboz si è dedicato con una produzione immensa di scritti, inter venti, disegni e fotografie, dagli anni ’60 agli inizi del nuovo secolo.

Dal punto di vista dell’allestimen to, questa mostra è una sfida vinta dai curatori André Bideau e Sonia Hilde

brand. Ordinare e presentare al pub blico un fondo librario e documenta le come quello che Corboz ha lasciato alla Biblioteca dell’Accademia non è certamente un’operazione assimila bile al mettere in mostra delle opere d’arte o un progetto di architettura. Mappe, disegni, documenti e fotogra fie, ordinate per temi e sottotemi, so no introdotte da didascalie essenziali e di grande formato, che guidano alla comprensione delle indagini di Cor boz, sottolineandone gli aspetti più attuali. È una mostra impegnativa, ma questo è proprio il suo pregio, in questi tempi di comunicazioni troppo veloci e semplificate.

È il territorio svizzero l’ogget to principale dei suoi studi, durante i quali il ginevrino Corboz (1928-2012) ha registrato le trasformazioni territo riali della «città svizzera» mettendo in evidenza gli aspetti drammatici della diffusione insediativa e intervenendo criticamente contro le posizioni an tiurbane dei modelli pianificatori. I primi studi importanti li ha dedicati a Carouge, il borgo settecentesco si tuato alla periferia di Ginevra, pub blicando nel 1968 Invention de Carouge 1772-1792, un poderoso volume di in dagini basate su una forma di mappa tura visiva che si avvale di diagrammi e fotografie dell’autore. Le planime trie storiche di Carouge, con la rap presentazione dei tracciati medioevali e della loro relazione con la sovrappo

sta maglia ortogonale del piano illu minista sono didatticamente esem plari delle trasformazioni urbanistiche che hanno interessato la città europea.

Secondo Corboz sono le periferie urbane – cioè i luoghi che nella densa stratificazione del territorio sono stati più recentemente «riscritti» – i luoghi più interessanti del processo di urba nizzazione, quelli che si prestano agli esiti più imprevedibili, come opere d’arte aperte. A questo proposito ap pare evidente la consonanza di sensi bilità, oltre che di pensiero, con le idee di Aurelio Galfetti.

Il lavoro di André Corboz è un

modello dal punto di vista etico. Il suo atteggiamento nei confronti dell’og getto indagato è rigorosamente di retto alla critica. Il mestiere dell’in tellettuale è di assumere una distanza scientifica rispetto alla realtà, per in dagare come storicamente si è costitu ita, e in quale modo è stata continua mente cancellata e riscritta. Bisogna leggere la forma materiale della città come l’esito di molteplici e complessi processi, ognuno dei quali ha lasciato una traccia da scoprire e capire. Sen za lo sguardo critico questo immenso lavoro sarebbe inattuale e perdereb be di senso.

È poi attualissimo il suo pensiero sul riuso, sulla conservazione e rige nerazione del patrimonio edilizio sto rico. Anche i manufatti esistenti sono un palinsesto, un patrimonio di me morie e di trasformazioni da indagare e comprendere. Già dagli studi su Ca rouge, Corboz metteva in evidenza la necessità di un salto di qualità degli studi urbani, superando l’attenzione limitata al singolo monumento storico per estendere l’indagine all’impianto complessivo delle compagini edilizie. Il suo atteggiamento nei confronti del lavoro dei pianificatori a lui contem poranei e della normativa pianifica toria è di distanza: per Corboz è la conoscenza del territorio e della sua storia la chiave determinante per il progetto urbanistico.

La mostra illustra i più diversi aspetti della ricerca di Corboz, dagli studi sugli edifici di Palladio e sulle loro relazioni con il territorio urba nizzato della campagna veneta, agli studi sulle immaginifiche vedute ve neziane di Canaletto, agli studi sulla fondazione delle città americane, che considerava una vera e propria utopia realizzata.

Dove e quando

Il territorio come palinsesto: l’eredità di André Corboz, Mendrisio, Teatro dell’architettura. Orari: ma-ve 14.0018.00; sa-do 10.00-18.00; lu chiuso. Fino al 5 febbraio 2023. arc.usi.ch

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 14 novembre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino 9 SOCIETÀ
Walter Binder, Complesso residenziale Le Lignon in costruzione (GE), Vernier, 1968.
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L’anima delle alte vette

Reportage ◆ Incontro con Claudia Linty, guardiaparco al parco nazionale del Gran Paradiso, il più antico di Italia, che quest’anno compie cento anni

Cento anni fa nasceva il parco nazio nale del Gran Paradiso, il più antico d’Italia. La sua storia è strettamente legata alla salvaguardia dello stam becco, animale simbolo del territorio, la cui esistenza fu messa a dura prova a causa del bracconaggio. La sua cac cia sfrenata sulle Alpi, ha portato alla necessità di istituire una figura a tute la della fauna e della flora nel territo rio: il guardiaparco. Oggi, tra i guar diani c’è Claudia Linty che sorveglia la zona di Orvieille, duemila ettari di superficie del versante valdostano in cui si inserisce il comune di Val savarenche. Al suo fianco c’è l’inse parabile Peak, la border collie che se gue l’ombra di Claudia nei sentieri del parco. Peak, che deriva da soul of high peak, l’anima delle alte vette, è l’esten sione e il proseguimento di Claudia stessa: l’udito che sente un animale o l’olfatto che trova tracce da campio nare la rendono a tutti gli effetti una guardiaparco speciale.

Il lavoro del guardiaparco è stret tamente legato ai ritmi della natura dove l’orologio si muove dalle prime luci dell’alba fino all’imbrunire. Tra le attività principali c’è la cattura de gli stambecchi che avviene due vol te l’anno. In questa occasione tut to il corpo del guardiaparco ha come obiettivo il censimento degli animali. La marcatura mediante i collari ser ve per raccogliere campioni biologici e informazioni su più anni riguardan ti il comportamento, la sopravviven za, le strategie di riproduzione e per seguire la dinamica della popolazio ne. Un lavoro di squadra che ha come unico fine la salvaguardia e la tutela del simbolo del Gran Paradiso. Un’al tra intensa attività, che vede Claudia Linty coinvolta, è la sorveglianza del la nidificazione del gipeto: uno degli avvoltoi europei di maggiori dimen sioni, tornato recentemente a nidifi care nel parco dopo l’estinzione avve nuta agli inizi del ’900.

La tutela della loro riproduzione rappresenta un importante obiettivo conservazionistico per l’Ente parco. Il nido della Valsavarenche, ripreso da una webcam, ospita ogni anno una coppia di gipeti che proprio lì depor rà le uova. Claudia si occupa anche di educazione ambientale: insegna a giovani studenti come contare gli an ni di uno stambecco dai nodi dei suoi trionfi (anelli che ogni anno si for mano sulle corna) e come il cambia mento climatico sta rendendo sempre più difficile la loro presenza nel par co. Insegna ad ascoltare il fischio del camoscio e a osservare col binocolo il suo manto che brilla al sole. In que ste occasioni, più che mai, emerge un tema fortemente incompreso: il lupo. Da sempre in competizione con l’uo mo per la sopravvivenza, è un anello fondamentale della catena alimenta re: preda gli animali malati o feriti, mettendo in atto una selezione natu rale. Studiarlo è centrale per l’intero equilibrio dell’ambiente; raccogliere la sua fatta (escrementi), schedarla e geolocalizzarla tramite palmare, per dei successivi esami in laboratorio, è indispensabile perché fornisce infor mazioni sul suo stato di salute.

«Ogni volta che torno a casa porto con me la soddisfazione di un lavoro che amo e tantissime storie da rac contare ai miei figli, perché la natura è una scoperta continua». Tra i sen tieri tracciati e le montagne innevate Claudia ha imparato l’amore e il ri spetto per la montagna e per gli esseri

che la vivono e come «anticipare» gli improvvisi cambiamenti meteorolo gici ad alta quota. «Il silenzio, soprat tutto, è la chiave per entrare in sim biosi con la natura che ci circonda. Questa Terra ci è stata donata, indi stintamente a noi come agli animali, è per questo che dobbiamo rispetta re il loro habitat in silenzio». Claudia fa parte di un organico operativo di quarantatré guardiaparco, di cui sette sono donne. È nel 1985 che fa ingres so, per la prima volta, nel parco na

zionale del Gran Paradiso una don na; sebbene la professione non abbia mai fatto distinzioni di genere, tut tavia fino a quel momento non c’era mai stata occasione per incoraggiar ne la presenza. Il lavoro, a cui si acce de solo tramite concorso statale, pre vede, dopo prove scritte e fisiche, un periodo di affiancamento del giova ne, o della giovane guardiaparco a un veterano. Per imparare occorre: oc chio, fiuto e spirito di sopravviven za. «Quando incontro delle persone

lungo il mio cammino, mi ricorda no quanto sono fortunata ad aver fat to della mia passione il mio lavoro. Questi incontri, però, avvengono quando c’è sole e bel tempo, sotto le intemperie sono sola con me stessa.

In alcuni periodi dell’anno vivo nel mio casotto e mi capita di stare anche quattro o cinque giorni senza parlare con nessuno dal vivo. Magari incon tro uno stambecco e senza emettere alcun suono, mi chiedo come sia stata la sua giornata».

Non c’è cosa più importante per il guardiaparco del rapporto con la solitudine, eppure è fondamentale comunicare con colleghi e colleghe. Questo avviene in via ufficiale tra mite radio: ogni due ore c’è la chia mata a cui tutti, obbligatoriamente, devono rispondere, fornendo dati e coordinate della propria posizione e di quella verso cui si è diretti. Ogni spostamento o cambio di rotta deve essere segnalato, se questo non av viene o non si risponde alla chiama ta, l’invio dei soccorsi è immediato. Claudia, come ogni collega o supe reroe del bene, ha un nome in codice per comunicare: il suo è Juliet.

Essere guardiaparco è una voca zione, una scelta di vita. Richiede de dizione, attenzione, sacrificio. È una scelta consapevole, una decisione per sonale per la salvaguardia di un ter ritorio globale. È l’essere guardiano di un mondo meraviglioso e fragile, spietato e selvaggio. Essere guardia parco significa camminare «a passo lento ma costante, tra il rumore della neve e il fruscio del vento, dove le vet te trovano il cielo e lo stambecco casa. Nel silenzioso rumore della natura e nell’infinita maestosità del Paradiso».

Informazioni

Su www.azione.ch si trova una più ampia galleria fotografica.

La divisa verde militare è a strati e ci ricorda che bisogna «vestirsi a ci polla» in montagna e che le scarpe giuste sono fondamentali: alte, co mode e isolanti. I capelli ricci bion di vengono coperti all’occorrenza da un cappellino con lo stemma del guardiaparco: uno stambecco fiero su un’altura. Indispensabile il bino colo che Claudia ha sempre al collo, poi la pistola sul fianco e a scende re, nella tasca destra ad altezza co scia, un quadernino su cui annotare dati e materiali raccolti, coordinate e informazioni utili. Le spalle sorreg gono uno zaino, per portare con sé tutto l’occorrente: un coltellino per biopsie, piccole posate per i pasti, acqua e cibo, sacchetti per la rac colta di escrementi e un palmare geolocalizzatore, protezione solare e vestiti di ricambio oltre al cellula re, indispensabile per raccontare ai suoi figli le avventure della giornata.

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Valerio Bellavia L’identikit di Claudia Valerio Bellavia Valerio Bellavia

Bisogna ripartire dai numeri

Ambiente ◆ Non basta l’impegno del popolo autoresponsabilizzante: per un’efficace azione collettiva servono attente decisioni politiche. Ne parla Telmo Pievani

«Non c’è più tempo per decidere a quali interventi dare priorità: biso gna fare tutto!». Così ha risposto un esperto tedesco al giornalista che chiedeva da che parte fosse necessa rio iniziare per risolvere i vari proble mi ambientali. È accaduto durante un recente convegno che ha riunito esperti internazionali del cambia mento climatico a Padova – città in cui insegna filosofia delle scienze bio logiche l’evoluzionista e saggista Tel mo Pievani, ospite, lo scorso mese, al Festival Sconfinare di Bellinzona.

Sempre l’esperto tedesco ha poi aggiunto che sarebbe bene ripartire dai numeri, per evitare alibi o sgravi di colpa. Concetto ribadito proprio da Pievani, a Bellinzona: «Se ne discute va già nell’Illuminismo: quando i po litici non sanno fare il loro mestiere invocano la virtù dei cittadini, sebbe ne siano stati eletti proprio per assu mersi questo tipo di responsabilità».

I fatti lo spiegano meglio. Tornan do ai numeri, è nota la campagna di sensibilizzazione che invita i cittadi ni a ridurre e ottimizzare il consumo di acqua, facendo, ad esempio, docce più corte (o «a due» come qualcuno suggerì da noi): «Ed è giustissimo!» ha affermato Pievani: «Però se poi si vanno a vedere i numeri si scopre che i consumi privati (ndr. in Italia) corri spondono a meno del 5% del consu mo totale dell’acqua: e il resto del 95% dove va? Nell’agricoltura e nell’indu stria. Dunque – si interroga il filo sofo delle scienze – il problema è la mia doccia o il fatto che l’agricoltu ra e l’industria prendano più del 90% di tutto il consumo dell’acqua? Sen za contare che del restante 10%, metà viene sprecata dalla fonte al rubinetto. Non basterebbe risanare la tubatura per portare tutta l’acqua ai rubinetti, così da farci già risparmiare il 50% del consumo privato? E ancora: non sa rebbe meglio capire che forse non ha più senso puntare sull’agricoltura in tensiva di coltivazioni idrovore come il kiwi e lo stesso mais?».

Le ripartizioni italiane sono con fermate anche a livello mondiale, se condo i dati del World Water Asses

sment Programme (WWAP): il 70% dell’acqua consumata viene usata per l’irrigazione, il 22% per l’industria, e l’8% per uso domestico.

Rimanendo sui numeri, si posso no anche fare calcoli concernenti al tri aspetti legati allo stesso proble ma, come il consumo di carne rossa: «Dobbiamo diventare tutti vegeta riani o vegani? No!» ha detto Pie vani: «Poi se uno vuole diventarlo, benissimo per lui. Ma se uno vuole rimanere onnivoro può agire in mo do d’avere un impatto ben maggiore di quanto possano fare tutti i vegani e tutti i vegetariani di oggi messi in sieme, decidendo per esempio di ri durre di un terzo il consumo (solo) di carne rossa; mangiando al suo posto coniglio, pesce, pollo, o quello che si vuole. Non si tratta di fare una scelta né religiosa, né filosofica, e nemmeno serve diventare asceti, né fare sacrifi ci drastici, ma si tratta semplicemen te di cambiare un comportamento».

Secondo «Nature» (www.nature. com), una delle più antiche e impor tanti riviste scientifiche, l’effetto di un simile intervento avrebbe sul cli ma un impatto impressionante, dalla diminuzione dell’uso di antibiotici, a quella di acqua e di emissioni di gas serra potentissimi: «Tale riduzione di domanda metterà, sì, in crisi alcuni settori, ed è per questo che bisogne rebbe decidere per una transizione in dustriale pianificata politicamente».

Di regola toccherebbe dunque e soprattutto alla politica prendersi la responsabilità di intervenire per mi gliorare la situazione, ma purtroppo pare non sia più il momento giusto: «Qual è la tragedia secondo me che si aggiunge adesso?», si è domandato Pievani: «Ebbene situazioni di con flittualità internazionale come quella in atto tra Russia e Ucraina, l’aumen to dei prezzi, la speculazione eccete ra, allontanano la via più importan te che è quella delle scelte politiche internazionali. I casi di studio posi tivi – si prenda ad esempio il proto collo di Montreal sul buco dell’ozono – sono sempre partiti dall’alto: dopo tanto lavoro di crescita di consenso e

rinuncia, le Nazioni Unite sono riu scite a mettere ancora una volta attor no al tavolo tutte le grandi potenze, ci hanno fatto firmare un protocollo, sono cambiate le filiere industriali e il problema non dico che sia risolto però abbiamo inciso potentemente nel ri durlo. Quindi è una decisione topdown di livello internazionale. Quanti anni ci vorranno prima che Cina, Eu ropa, Stati Uniti, Brasile, India, per non citare la Russia, si siederanno an cora tutti attorno a un tavolo per di scutere serenamente di cambiamento climatico e biodiversità? Quando mai succederà?».

Eppure, se si considera che gli ac cordi di Parigi ormai sono già saltati (non c’è più nessuna possibilità di sta re sotto il grado e mezzo di innalza mento medio; siamo a +2 in Svizze ra), proprio ora avremmo bisogno di una potente rinegoziazione per stare sotto i due. Mentre, difficili si stanno già rivelando gli accordi in discussio

Funzionali e personalizzate

ne all’interno del summit Cop27 sul Clima che si sta svolgendo a Sharm el-Sheikh proprio in questi giorni, in Egitto (vedi articolo di Alfredo Ven turi a pagina 25 ). Si tratta di uno dei tre importanti convegni internazio nali; seguono il vertice del G20 che si terrà in Indonesia, a Bali, il 15 e 16 novembre, e la Cop15 di Montréal (Canada), ovvero la Convenzione del le Nazioni Unite sulla biodiversità, in agenda dal 7 al 19 dicembre.

Se ai vertici non trovassero solu zioni immediate, che alternative ab biamo? Secondo Pievani, ormai è in ogni caso necessario «lavorare anche su un altro fronte, cioè invece che dall’alto al basso, dal basso all’alto, ciò che significa lavorare ancora di più per generare consenso collettivo attraverso pressioni dal basso». Forse non proprio nella maniera vandalisti ca adottata di recente da molti giova ni attivisti, ci viene tuttavia da dire. Rovinare opere d’arte a favore della

Motori ◆ La tendenza americana, a giudicare da quanto esibito al salone di Las Vegas, è a un bivio: da una parte si vorrebbero auto uniche, dall’altra si punta sull’efficienza

Al Sema Show di Las Vegas, gli ap passionati di motori hanno trovato pa ne per i loro denti. Il Nevada, dall’1 al 4 novembre, è diventato per quattro giorni la capitale dei preparatori e del tuning (modifiche personalizzate dei veicoli) ma non solo. Quest’anno an che gli stessi costruttori di automobili hanno deciso di essere presenti all’e vento che di anno in anno raccoglie sempre più consensi.

Se è vero che da una parte, per alcu ni, le auto diventano sempre più simi li a elettrodomestici il cui unico scopo è la funzionalità – insomma portarci dal punto A al punto B e magari con la guida autonoma – dall’altra, ci so no ancora persone che pensano di da re un nome alla propria quattroruote, quasi come si fa con i cavalli. È pensato proprio per loro, il Sema Show (www. semashow.com): un’esperienza unica al mondo in cui si possono vedere in una

volta sola centinaia di auto e altrettanti prodotti dedicati ad aumentare le per formance e a migliorare l’estetica del le stesse.

Che la personalizzazione sia sem pre più importante si evince dalla mol teplicità dell’offerta necessaria per sod disfare la domanda crescente: oggi gli acquirenti hanno la possibilità di sce gliere tra molte varianti cromatiche persino per utilitarie come la Fiat Cin quecento, per non parlare dell’infini ta lista di optional delle Porsche che possono arrivare ad aumentare il prez zo delle auto anche del 50 per cento. Eppure non tutti sono soddisfatti di quanto trovano sui cataloghi, molti de siderano rendere la propria autovettura unica rispetto alle altre.

Tra le novità che hanno maggior mente attirato gli sguardi dei visitato ri abbiamo scelto la Nissan Ariya Sur fwagon concept. Un prototipo che in

questo periodo porta il pensiero già alla prossima estate e al tempo libero. Non potrebbe essere altrimenti, basta vedere il surf appoggiato sul tetto per immaginarsi sulle spiagge california ne. Si tratta di uno dei prototipi porta ti da Nissan al Sema. Tra questi anche la sportiva Z GT 4, la Nissan Sunny LEAF project e la NISMO Off-Road Frontier V8 Concept costruita da For

sberg Racing. Un Pick-Up unico con carrozzeria allargata e un poderoso motore benzina otto cilindri a V sotto il cofano. Tornando ad Ariya, la base è un crossover totalmente elettrico con batterie che garantiscono un’autono mia superiore ai 500 chilometri. Due i motori elettrici che lo spingono e gli permettono di accelerare da ferma a cento orari in meno di sei secondi ga

natura, non porta consenso ma for te critica.

Meglio sarebbe tornare all’istinti vo attaccamento alla biodiversità che abbiamo perso: «Partiamo da qualche dato. In Europa – ha riassunto Pieva ni – più del 75% di noi vive in città, o comunque in un contesto fortemente antropomorfizzato. Per alcuni questo processo in continuo aumento è una catastrofe perché le megalopoli del fu turo potrebbero avere un impatto ter rificante, però potrebbe diventare an che un’opportunità: se si riuscisse, per esempio, a sperimentare un vero lavo ro sui materiali e sulle risorse rinno vabili, proprio lì, dove si concentrano tante persone, si inciderebbe molto di più, ma soprattutto si potrebbe salva guardare una percentuale molto più alta di superficie di altro territorio».

Il biologo statunitense Edward Osborne Wilson, che scrisse il noto libro Biofilia. Il nostro legame con la na tura, ideò, sulla base di ricerche e cal coli fatti da matematici e statistici di Howard, il modello «metà della ter ra», il quale ipotizza che se noi riuscis simo a proteggere debolmente (cioè non in modo estremo abbandonando quelle aree, ma comunque smetten do di inquinare, di deforestare, ecce tera) metà della terra, oceani inclusi, l’estinzione della biodiversità rallente rebbe sino ad arrivare ad appiattirsi.

«L’Europa – ha spiegato Pievani –è al 17% di territorio protetto, l’Italia è al 19%, grazie a tante aree marine e parchi (ndr.: in Svizzera le foreste co prono il 31% del territorio; e le zone protette di importanza nazionale cor rispondono comunque a circa il 23% del territorio svizzero). Bisognerebbe quindi arrivare entro il 2030 al 30% del territorio protetto ed entro il 2050 al 50%; e io credo che non sia un’uto pia. Allo stesso tempo va potenziato un filone poco tenuto in considerazio ne fino a oggi, ovvero il cosiddetto urban ecology, vale a dire la valorizzazio ne della biodiversità già presente nelle città che può essere migliorata e di versificata, ad esempio con riforesta zioni intelligenti, corridoi faunistici, e tante altre soluzioni».

rantendo la trazione integrale. Quattro ruote motrici in grado di procedere in sicurezza su qualsiasi fondo stradale.

Se Ariya è in arrivo nelle conces sionarie svizzere, discorso diverso per quella presentata al Sema che resta unica. Trasformata dalla Tommy Pike Customs, azienda con sede nella Caro lina del Sud, si differenzia per il rive stimento in vinile personalizzato con pannelli in legno e finiture cromate che evoca le famose «woodie». Ovve ro le auto con pannelli laterali in legno tanto in voga negli Stati Uniti negli anni Cinquanta e Sessanta. La fami glia Bradford del famoso serial televi sivo guidava proprio una giardinetta ricoperta con pannelli in legno. Ariya è molto più moderna, come ci ricorda no i grandi cerchi in lega da 20” com pleti di tappi centrali in acciaio inox lu cidato a specchio e pneumatici vintage con la fascia laterale bianca.

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Così si presenta l’unica e personalizzata Nissan Ariya Surfwagon concept esposta al Sema.
Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. Offerte valide solo dal 15.11 al 21.11.2022, fino a esaurimento dello stock. Magica pasticceria di Natale. Tutti i biscotti Christmas Bakery per es. stelline al burro, 220 g, 2.85 invece di 3.60 20% 9.40 Casetta di panpepato 830 g 6.90 Spezie per speculoos Ankerkraut 70 g
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Una «tutto fare» per le donne

Fitoterapia ◆ L’alchemilla era considerata mistero e simbolo della femminilità e della nascita presso le antiche guaritrici

Per comprendere il segreto delle pro prietà terapeutiche di un’erba medi cinale bisogna indagare nel suo «fi tocomplesso», vocabolo che indica la naturale combinazione di princi pi attivi curativi della pianta con so stanze di natura diversa. Si rimane stupiti dalla grande ricchezza del fi tocomplesso racchiuso nell’alchemilla e quindi della varietà dei disturbi per i quali è indicata, sebbene per alcuni sarebbe stata a volte sopravalutata in passato: nel XVI secolo, la si riteneva in grado di sanare un enorme nume ro di malattie (ma soltanto nel caso in cui, seguendo le indicazioni astrologi che, fosse stata raccolta sotto il segno dei gemelli e del cancro…).

Il nome deriva dalla parola araba «alkemelich» che significa «alchimia»; le sue foglie ampie, rotondeggianti e graziosamente frastagliate ricordano quelle della malva: hanno un mar gine dentellato e nascondono piccole ghiandole. Su queste foglie, durante la notte, si deposita una quantità di rugiada talmente copiosa che al mat tino può essere raccolta e conservata. Conoscevano questa rugiada e ne fa cevano uso le antiche guaritrici, men tre gli alchimisti, nei secoli passati, fondendola con altri ingredienti la utilizzavano per la ricerca della pietra filosofale, ritenendo misteriosamen

te che tale rugiada fosse in grado di «congelare» il mercurio.

Alchemilla vulgaris L., della fami glia delle Rosaceae, è il nome scienti fico; più che una specie si tratta di un gruppo che cresce in prati, pascoli e boschi, fino alla regione alpina. Co me succede con altre piante, accan to al nome scientifico troviamo nomi popolari, diversi da regione a regione; sono nomi che testimoniano l’amo re e la fiducia che in tempi lontani, e forse anche ai nostri giorni, le perso ne nutrivano per le piante medicinali. Purtroppo spesso lo stesso nome po polare indicava due specie diverse, ciò che genera talvolta confusione. Que sti erano e in parte sono i curiosi no mi attribuiti all’alchemilla (secondo alcuni testi): «erba memoria», «pian ta del parto», «manto di nostra signo ra», «erba rossa», «stellaria», «venta glina» o «piede di Leone». In tedesco è chiamata «Frauenkraut », ossia «Er ba delle donne».

Per scorgere questa piccola pianti cella occorre ricercarla con cura, an che perché è abbastanza rara. La si riconosce, come detto, dalle grandi foglie semicircolari a forma di ven taglio e dai minuscoli fiorellini gial lo-verdi che sbocciano tra luglio e agosto. Sono molte le varietà esistenti, e tutte condividono le medesime pro

prietà medicinali. Si utilizza solo la parte aerea della pianta, cioè foglie e fiori, che si raccolgono preferibilmen te da maggio a luglio; per ogni pian ta vi è un tempo balsamico ideale per la sua raccolta. La fitoterapia moder na stabilisce regole rigorose per l’uti lizzazione delle piante coltivate, dal momento della semina a quello del la raccolta, che deve avvenire in luo ghi e tempi atti a favorire la migliore resa dei suoi principi attivi; la pian ta coltivata deve possedere caratteri stiche il più possibile simile a quelle della pianta selvatica. Per tornare al le sue molte proprietà, l’alchemilla è astringente, cicatrizzante e antisetti ca per piccoli tagli, è antiinfiamma toria per il mal di gola, di denti e per il cavo orale, inoltre rilassa il sistema nervoso. Due o tre tazze di infusio ne al giorno troverebbero un ottimo impiego anche nell’obesità e nell’in sonnia, e i diabetici potrebbero berne spesso. Raccomandiamo comunque, come facciamo sempre, di consultare un medico o una persona competente prima di farne uso.

La vera forza dell’alchemilla (un po’ come per altre piante come la sal via o il trifoglio o la cimicifuga), sta nella cura dei disturbi provocati dalle mestruazioni, per le emorragie inter ne ed esterne, e per attenuare il bru

ciore vaginale dovuto a infezioni mi cotiche. È insomma la pianta «tutto fare» per i disturbi della donna.

Scriveva il famoso parroco erbori sta svizzero Johan Künzle (1857-1945): «Col tempestivo e prolungato uso di quest’erba medicinale diventerebbero superflui due terzi di tutte le opera zioni fatte alle donne. Guarisce tutte le infezioni addominali, febbri, ulce re ed ernie. Ogni puerpera dovrebbe bere un quantitativo di quest’erba per 8-10 giorni: numerosi bambini avreb bero ancora la loro mamma, e molti vedovi affranti le loro mogli, se aves sero conosciuto questo dono di Dio!».

E con questo ci sembra abbia det to tutto. «Tritata e applicata esterna mente – continua Künzle – l’Alche milla guarisce ferite, punture e tagli.

I bambini che malgrado una buona alimentazione hanno una muscola tura debole rinvigoriscono con l’uso continuato di questa tisana».

«Combinata con la Borsa del pa store, una comune pianta che cre

sce spontanea nei prati, l’Achemil la – scrive invece la famosa erborista guaritrice Maria Treben (1907-1991) nel suo La salute dalla farmacia del Si gnore – libera dall’atrofia muscolare e da gravi e inguaribili malattie mu scolari. Questa pianta preziosa viene applicata contro la sclerosi multipla e dal Burgenland mi è stato riferito che, con l’infuso di alchemilla bevu to o impiegato esternamente per fri zioni sulla regione cardiaca in caso di gravi affezioni di questa muscolatura, si erano ottenuti miglioramenti note voli. Così il nostro creatore – conclu de Maria Treben – nella sua grazia ha fatto crescere un’erba per ogni malat tia, per ciò non gli saremo mai suffi cientemente riconoscenti!».

Bibliografia

Maria Treben, La salute dalla farmacia del Signore. Erbe medicinali: consigli ed esperienze, (traduzione di Olivia Curtius), edizioni Athesia, pagg. 144.

Quando qualsiasi luogo diventa la sede ideale.

La Posta c’è.

Ogni giorno la Posta percorre in lungo e in largo la Svizzera. E lo fa in modo sempre più sostenibile, con il più grande parco veicoli elet trici del paese. Dal 2025, nei centri urbani la Posta recapiterà tutte le lettere e tutti i pacchi a impatto climatico zero.

La Posta c’è. Per una Svizzera in movimento.

Per saperne di più: posta.ch/logistica-sostenibile

14 Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 14 novembre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino SOCIETÀ
Annuncio pubblicitario Foglia di Alchemilla vulgaris con rugiada. (Aconcagua)

Approdi e derive

L’etica in goal

Nell’imminenza dei mondiali di cal cio in Qatar, sono in molti a confron tarsi con un vero e proprio dilemma etico. Seguire le partite della squa dra del cuore o rinunciarvi, seppure a malincuore, consapevoli delle ignobili forme di sfruttamento con cui, per la realizzazione delle infrastrutture, so no stati calpestati i più elementari di ritti umani?

La polemica si è accesa in Francia nel mese di ottobre, anche a seguito del le note indagini sul ruolo avuto nel 2010 dall’allora presidente Sarkozy e dal boss del calcio europeo Michel Platini nella designazione del Qatar a scapito degli Stati Uniti. Un docu mentato reportage di France2, ripreso poi dal bel programma della televisio ne romanda Temps présents, mostra le spaventose condizioni di vita e di la voro delle migliaia di immigrati affa mati, disposti à tout prix a costruire questa cattedrale nel deserto e… sot to il deserto. Il filmato si sofferma su stanze anguste e sovraffollate, servi

Terre Rare

zi igienici lerci, scarafaggi e cibo ava riato. Difficile reggere lo sguardo di fronte a tanto! Le Ong hanno denun ciato tutto ciò, comprese le paghe da fame, senza dimenticare i 6500 uomi ni, secondo i dati riportati dal «Guar dian», morti durante la costruzione di 6 stadi.

L’eco di queste gravi denunce ha coin volto molti paesi che si sono interro gati sull’atteggiamento da assumere verso un evento, da sempre momento di festa e di condivisione, ma divenu to oggi, come è stato più volte ripe tuto, il mondiale dello sfruttamento. Come è noto le principali città fran cesi non metteranno a disposizio ne maxi schermi; anche i Cantoni di Losanna e Neuchâtel hanno preso la stessa decisione.

Anche questa volta l’etica, con le sue domande, si presenta a noi tardiva mente; anche questa volta ci inter pella, con i suoi inquietanti dilem mi, quando ormai i giochi sono già in buona parte avvenuti. A lungo tra

scurate, se non addirittura rimosse, alla fine compaiono le domande eti che, proprio come la Nottola di Mi nerva con cui Hegel aveva identifica to la filosofia: quell’uccello notturno che sul far del crepuscolo ha il com pito di comprendere ciò che accadu to nel mondo. Domande tardive che oggi si presentano a molti di noi con voce forte e chiara.

Al di là delle scelte politiche, alla fine il dilemma etico bussa alla porta della nostra intima dimora, ci interpella in prima persona. Guarderò le partite o terrò il televisore spento? Arriveremo tutti a compiere una scelta ma, come sempre accade quando sperimentia mo un dilemma etico, è possibile che il cammino personale per arrivare a prendere la decisione ritenuta buona sia attraversato da molte sfumature, da motivazioni intrecciate, a volte an che conflittuali.

Chi rinuncerà, e quanto più a malin cuore lo farà, farà valere ragioni di principio: «non li guardo per principio

Curare la memoria dei computer

L’aspetto della sala è piuttosto im pressionante: sembra di essere in uno di quei centri di comando da vecchio film di fantascienza. L’effetto retrò non è casuale. Molti dei macchina ri che troneggiano nella stanza sono effettivamente calcolatori elettronici che arrivano da quegli anni. Il pro fessor Carlo Spinedi e i suoi colleghi, affiliati all’ASTiSi (Associazione per la storia dell’informatica della Svizze ra italiana, www.astisi.ch) da decenni si occupano di raccogliere in un’aula della SUPSI di Trevano le «macchine informatiche» dismesse: obsolete, da un punto di vista tecnologico ma non per questo meno interessanti e impor tanti per chi si interessa di ingegne ria e programmazione, e, soprattutto, deve insegnarla. Non si tratta qui, in fatti, di una semplice iniziativa mo tivata da uno spirito nostalgico o un

po’ nerd, ma di mantenere un contat to concreto con tecnologie e sistemi che hanno costituito, per così dire, i mattoni fondanti dell’attuale «mondo digitale».

Nell’illustrarci i contorni dell’inizia tiva, Carlo Spinedi non può che ini ziare a raccontare una sorta di storia dell’informatizzazione della società ticinese e, in particolare, dell’intro duzione dell’informatica nel nostro sistema scolastico/formativo. E, ri percorrendo le tappe della sua carrie ra, Spinedi ci racconta che durante i suoi studi al Politecnico di Zurigo, negli anni 60, gli era capitato di pren dere contatto con quelle attrezzature che all’epoca erano veramente impo nenti e futuristiche. «All’inizio non si parlava ancora di computer, ma piut tosto di calcolatori elettronici. Erano macchine in grado di compiere calco

Le parole dei figli

«Ce l’ho piccolo» è una frase che dif ficilmente sentirete pronunciare co me Parola dei figli. Ciò non toglie che più d’uno di loro sia tormentato da questo dubbio o da altri legati a di mensioni, imbarazzi sulla lunghez za, ansia da prestazione nei primi rapporti sessuali. Il problema è così sentito tra gli adolescenti che gli sce neggiatori di Skam Italia hanno deci so di dedicarci la nuova stagione del la serie Tv (la quinta), subito balzata nella top delle più viste su Netflix. Il format originale è norvegese, ma è stato poi importato da numero si Paesi tra cui Usa, Francia, Spa gna, Germania e l’Italia stessa che l’ha declinato con attori e ambien tazioni locali.

Il teen drama racconta, a mio avvi so in modo veritiero e asciutto, senza mai cadere nella retorica, la vita gior naliera di un gruppo amici e amiche studenti del liceo J.F. Kennedy di

Roma. Di volta in volta vengono af frontate le tematiche sociali tipiche dell’adolescenza: il primo amore, l’o mosessualità e la difficoltà di fare co ming out, il revenge porn, la vita da musulmani di seconda generazio ne e, nella quinta stagione uscita a settembre 2022, la micropenia. Una scelta spiegata così dallo sceneggia tore Ludovico Bessegato: «L’idea di questa stagione è nata dalla volon tà di indagare il rapporto tra la ma scolinità, la virilità e il pene, ovvero quello che nella nostra società con tinua a essere il simbolo principale. Si può essere considerati dei veri ma schi pur avendo un pene piccolo se condo gli standard? La risposta poli ticamente corretta è sì. Ma in quanti sono davvero in grado di non farsi influenzare dalle dimensioni? E so prattutto, che sensazioni prova chi si trova in quella condizione? Abbiamo fatto circa cento interviste, quasi tut

li complessi, che servivano essenzial mente per creare delle simulazioni di fenomeni, aiutandone lo studio». Una delle prime applicazioni che ricorda di aver affrontato era quella della regola zione di un’«onda verde» semaforica. Con il passare degli anni poi i calco latori stessi si erano evoluti, aumen tando le loro capacità di calcolo, ma soprattutto acquisendo la possibilità di essere guidate da un linguaggio di programmazione.

Carlo Spinedi ci indica una del le grosse unità dall’aria «vintage»: «Con quella ho programmato un si stema che collegava tra loro vari sen sori termici: misuravano la tempera tura in vari punti di una costruzione esposta ai raggi solari. Il sistema per interfacciare i computer ai sensori e il programma stesso per gestire le misu razioni non esistevano, ho dovuto in

perché non posso sentirmi compli ce della rimozione collettiva di tante nefandezze che hanno reso possibile questo mega-spettacolo». Come dire: di fronte alla coscienza non ci sono vie di fuga: il diniego di principi mo rali determina il giudizio negativo e il rifiuto di tutto ciò che ne consegue. Piacerebbe di certo a Kant questo sussulto della legge morale, di quel «devo perché devo» che non ammette motivazioni esterne. Piacerebbe tan to, al filosofo, il rispetto incondizio nato di quella legge morale che lui ri tiene presente in ciascuno di noi: una presenza che percepiamo immedia tamente, nella coscienza stessa della nostra esistenza. Come più volte mi è capitato di ricordare, Kant spiega il contenuto della legge morale con un potente richiamo alla nostra co mune appartenenza: «agisci in modo da trattare l’umanità nella tua perso na e nella persona dell’altro, sempre come un fine e mai come un sem plice mezzo».

Rifiuto categorico dunque, perché la comune appartenenza all’umanità è stata brutalmente calpestata, ancora una volta, nello sfruttamento di tanti nostri simili. Tuttavia, il sentimen to della nostra comune appartenen za potrebbe agire sottotraccia anche in chi non rinuncerà allo spettacolo; potrebbe anche motivare la scelta di chi lo riterrà, nonostante tutto, una significativa occasione di condivi sione di quello stesso sentimento, e perché no, anche di valori comuni. Qui sul rigore dei principi prevale la considerazione pragmatica di pos sibili effetti positivi. Questo piace rebbe tanto ai filosofi utilitaristi, at tenti a calcolare le conseguenze più utili alla felicità del maggior numero di persone.

Riconoscere la complessità delle no stre scelte può essere un invito ad andare oltre: un invito e un monito a riconoscere anche la possibilità di trasformare il mondo, e non solo di comprenderlo.

te nel liceo Kennedy di Roma, dove è ambientata la serie. Ci siamo tro vati di fronte a un materiale umano e narrativo estremamente delicato, complesso e poco raccontato». Lo scopo di questa rubrica è anche fare cadere dei tabù, per spingerci a non avere paura di affrontare con i nostri figli anche gli argomenti più scomodi. E allora, mamme (e papà), è inutile nascondercelo: per i maschi le dimensioni del pene quali esse sia no sono un tema e un assillo fin dalla prima adolescenza. Il confronto con gli altri durante le docce dopo gli al lenamenti, il timore dei giudizi, i pri mi rapporti sessuali: non ne parlano, ma ne subiscono i condizionamenti. È il motivo per cui la storia di Elia, il 19enne bocciato alla Maturità prota gonista della quinta stagione di Skam Italia , è importante ed emblematica: lui il bello, lui a cui le ragazze casca no ai piedi, lui che s’infatua ma poi

ventare tutto da zero…». La macchina è ancora lì, e grazie alle sue dimensio ni troneggia all’interno della sala: al suo fianco, come detto stanno decine di altre apparecchiature (in totale so no più di 300, la collezione è presen tata qui: www.supsi.ch/go/lastin) in gran parte ancora funzionanti e sotto poste a regolare manutenzione. Con frontandole con i computer che siamo abituati a utilizzare oggi, così diversi per potenza e dimensioni, ci rendiamo conto concretamente di quale sia stata la portata del mutamento tecnologi co. Spinedi, tra l’altro, è stato membro del gruppo di docenti che per primi hanno iniziato a sollecitare le autorità cantonali affinché introducessero l’in segnamento dell’informatica nel siste ma delle scuole professionali ticinesi. «La Scuola tecnica di allora formava principalmente architetti e disegnato

ri. Con alcuni miei colleghi ci siamo resi conto che presto sarebbe stata ne cessaria una preparazione specifica in questo campo tecnologico. Abbiamo istituito il primo corso nel 1986 e ave vamo avuto 100 candidature: avevamo selezionato venti candidati, di cui un dici avevano terminato il corso di stu di. Oggi quegli undici occupano tutti i posti importanti».

L’annotazione conclusiva di Spinedi ci ricorda che il lavoro dell’Associazio ne per la storia dell’informatica della Svizzera italiana, oltre alla conserva zione del patrimonio delle competen ze tecnologiche acquisite nel corso degli anni, si dedica anche a salva guardare il ricordo delle persone che, di questa storia, sono state protago niste. Pionieri che ci hanno guidato verso la modernizzazione tecnologica della Svizzera italiana.

ogni volta scappa, lui che si innamo ra ma ad avere una relazione sessuale non ce la fa. Episodio dopo episodio viene a galla il problema: lui che se lo misura, lui che cerca rimedi nelle pomate, lui che si mette un fazzolet to tra le gambe, lui che alla fine non ce la fa più e lo confessa agli amici e alle amiche del cuore: «C’è una co sa che non vi ho detto. Io adesso ve la dico ma non ne dovete parlare con nessuno mai. Non mi entra nel pre servativo S». Saranno poi soprattut to le amiche a dirgli le parole giuste: «Tu pensi davvero che a noi donne ce ne freghi qualcosa?». A seguire det tagli sul piacere femminile. Non c’è nulla di scandaloso, ma una rappresentazione reale delle difficol tà degli adolescenti, maschi e fem mine. Capire cosa frulla nel loro cer vello è il nostro compito, anche senza che ce lo dicano: spesso i segreti più reconditi è più facile confidarli agli

amici. Ma noi genitori dobbiamo es sere consapevoli. Proprio perché agli adolescenti non capita spesso di po tere parlare liberamente del pene, la rivista svedese Kamratposten ha de ciso di rispondere alle domande dei suoi giovanissimi lettori e l’articolo è stato tradotto da Internazionale Kids nel giugno 2021: «Ho 10 anni e una volta mentre facevo la doccia in pale stra alcuni compagni mi hanno visto il pisello e hanno cominciato a dir mi: “oh, ma quanto ce l’hai grosso”. Ci sono rimasto male»; «Sono un ra gazzo di 13 anni e ho una domanda: “Qual è la lunghezza normale del pi sello di uno della mia età?”»; e anco ra «Sono un ragazzo di quasi 10 anni e ho una domanda sul mio pisello. Secondo me è troppo lungo, perché penzola più di quello degli altri nello spogliatoio. Ci sto male: cosa posso fare?». Sono le Parole dei nostri figli, anche se non ce le dicono.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 14 novembre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino 15 SOCIETÀ / RUBRICHE ◆ ●
di Lina Bertola
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di Alessandro Zanoli
◆ ●
«Ce
di Simona Ravizza
l’ho piccolo»
Inclusi nell’importo: Inclusi nell’importo: uova 15 pz. fr. 4.20, farina bianca 1 kg fr. 0.90, confettura alle fragole 450 g fr. 1.30, margarina 250 g fr. 2.20, cioccolato 100 g fr. 0.60, zucchero M-Classic 1 kg fr. 1.–. Maggiori informazioni sono disponibili su m-budget.ch. I prezzi sono soggetti a fl uttuazioni e possono cambiare settimanalmente. Si tratta di prezzi della settimana 45. DI PIÙ NEL SACCO Più scelta M-Budget ti offre il prodotto giusto per ogni occasione. Più qualità M-Budget è sinonimo della consueta qualità Migros. E così anche le uova provengono da allevamenti all’aperto. Più risparmio Da M-Budget trovi oltre 700 articoli a un prezzo vantaggioso garantito.

Dagli oscuri residui bellici di fronte a Omaha Beach, a quelli di Arromanches, sulla Gold Beach

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La passione del… fuoco sotto i piedi

Adrenalina ◆ Da Figino a Bali, Gérard Moccetti è divenuto una sorta di «guru» della camminata sui carboni ardenti

È sull’isola di Bali, nel lontano 1978, che è scoccata la… scintilla. Di quel le che scaldano parecchio, fino a rag giungere i 7-800 °C. E da allora non ha smesso di ardere. Sotto i suoi piedi.

Corso dopo corso, Gérard Moc cetti è divenuto una sorta di «guru» della camminata sui carboni ardenti, facendo della sua passione una sorta di professione a tutti gli effetti. «Ciò che ho visto a Bali ha completamen te cambiato la mia vita» ricorda. «Nel 1986 sono stato uno dei primi in Eu ropa a cimentarmi con una certa re golarità nella camminata sui carboni ardenti». Da allora, Gérard Moccet ti ne ha fatta di… strada su questi carboni, «al punto che oggi a livello mondiale sono la persona più attiva ed esperta nel campo. Nel solo 2021 ho proposto addirittura 74 corsi, e un po’ in tutto il mondo, grazie anche al fatto che parlo dieci lingue. Ma non lo faccio come professionista: amo de finirmi un pre-pensionato che coltiva questo hobby per puro divertimento». «È con la pratica che ognuno trova la sua strada, quella che poi, appunto, alla fine lo condurrà al tappeto di carboni ardenti»

Nel 2003 Gérard Moccetti si è gua dagnato un posto nel Guinness dei primati, realizzando una camminata su un tappeto di carboni ardenti lun go ben 50,5 metri. «Nel frattempo, però, sono stato battuto. Ma a quanto ne so, chi è andato più distante di me, poi ha trascorso dieci giorni in ospe dale per le ustioni rimediate in quella camminata».

Un passato di lungo corso in ban ca, alle spalle, l’oggi 63enne di Figino ha dedicato sempre più tempo a que sta sua passione. Per sé stesso, ma an che per condividerla con gli altri. «La camminata sui carboni ardenti non è che il punto culminante del tutto, e non lo scopo unico dei miei cor si: la strada che porta al tappeto in fuocato comprende diversi step; ci si arriva per gradi, e non parlo solo di quelli… Celsius. Adrenalina? Sì, ma non c’è solo quella nelle attività che propongo».

E diversi sono anche i percorsi che permettono di avvicinarsi al tappe to di carboni ardenti: «Il fuoco, in sé, è una sorta di… esca. È l’ultimo traguardo da tagliare di un percorso a tappe, che passa da un allenamen to mentale, una sorta di mind engine

ering, se vogliamo. Lavoro prima di tutto su espressione e percezione. Poi, va da sé, molto dipende anche dal ti po di auditorio che mi trovo davanti. Non mi ritengo una persona teorica, che tende a parlare per ore. I corsi, in genere, sono strutturati come un’atti vità di gruppo, dove ognuno può ed è tenuto a contribuire, portando esempi ed esperienze personali. È però con la pratica che ognuno trova la sua stra da, quella che poi, appunto, alla fine lo condurrà al tappeto di carboni ar denti. Non ci sono schemi fissi: non amo la routine. In 37 anni di attivi tà non c’è mai stato un corso uguale a un altro».

La «clientela» non gli manca, dal le singole persone alle aziende, senza dimenticare club sportivi, portatori di andicap e molti altri ancora. Insom ma, di tutto e di più, fra cui pure di versi gruppi di amici in cerca di un’e mozione particolare per l’addio al celibato. «E qualche settimana fa, per la prima volta, ho tenuto un corso an che per un gruppo di ragazze durante un addio al nubilato».

Tanti anche i ticinesi che cammi nano sui carboni ardenti, come con ferma Moccetti: «Sì, al punto che il Ticino, ovviamente un po’ per colpa mia , a livello mondiale potrebbe ri vendicare l’ipotetico scettro di mecca della camminata».

Tra i dati tecnici è da considerare la lunghezza del tappeto di carboni ardenti: «Molto dipende dall’età del gruppo: per i bambini generalmente la lunghezza tipo è di 3-4 m, che diven tano 4-5 per gli adulti. Ma per questi ultimi la lunghezza può anche arrivare a 20 m». La preparazione di questa via rovente «dipende dal tipo di legna che si impiega; la formazione della brace può richiedere da un minimo di mez z’ora a tre ore e mezza o più. Una volta raggiunta la temperatura, con un ra strello disegno il tappeto».

Stuoia di fuoco che va comunque realizzata con cognizione di causa: «Su internet ci sono moltissimi tuto rial per la realizzazione di un tappeto di carboni ardenti. Ma copiare quanto trovato in rete sarebbe un grave erro re, che rischia di avere pesanti conse guenze: ogni tappeto e ogni pubbli co hanno le loro specificità. Solo con la conoscenza di base, l’indispensabi le background, è possibile allestire un buon tappeto di carboni ardenti, li mitando i rischi: questo non mi stan cherò mai di ripeterlo».

E poi arriva il momento di attra versarlo, con tutti i pericoli che ciò

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comporta…: «In genere, dopo una buona preparazione, si procede con una camminata veloce, ma non cor rendo. La pericolosità è data dalla combinazione di una serie di fattori; che per la camminata sui carboni ar denti sono quattro. Prima di tutto si deve considerare quando la cammina ta è programmata, se di giorno o di notte: di giorno, mancando la perce zione visiva della brace incandescen te, il nostro cervello non riesce a sti mare con la giusta approssimazione il rischio. Un altro aspetto da valuta re è il tipo di legna impiegata per rea lizzare il tappeto: castagno e robinia

perdonano in pratica quasi tutti gli errori, mentre la carbonella, specie quella elaborata, non consente mar gini d’errore, e di conseguenza il ri schio di farsi male aumenta conside revolmente. Il terzo fattore è relativo al tipo di terreno che farà da sfondo al tappeto di brace: l’erba disperde mol to di più il calore, mentre il cemento o l’asfalto lo amplificano. Non da ul timo, è determinante anche il perio do dell’anno in cui si fa la camminata: compierla in estate, su un terreno già attorno ai 40 °C è una cosa, mentre in inverno, con un suolo a temperatu re sotto zero è tutta un’altra. La com

binazione di ognuno di questi punti determina il fattore rischio comples sivo. Va da sé che la presenza di una o più di queste aggravanti fa aumenta re in modo esponenziale il rischio di andare incontro a ustioni di una cer ta gravità, anche di terzo grado. Ba sti pensare che un tappeto normale ha indicativamente una temperatura di 7-800 °C (ma mi è già capitato di camminare su un tappeto che, in con dizioni particolari, sfiorava addirittu ra i 1100 °C!). E considerando che la nostra pelle si può ustionare già a par tire da 58,9 °C si capisce subito di cosa stia parlando…».

TEMPO
● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 14 novembre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino 17
LIBERO
Pagina L’esperienza del Far West Nell’ottocentesca Cheyenne, capitale del Wyoming, i fantasmi infestano ancora i saloon Un classico tra i classici Patate, farina e sale per gli gnocchi; un po’ di burro, salvia e parmigiano per condirli Pagina 23 Girandola di farfalle Domenico Mazzaglia racconta la sua passione per i papillon, che colleziona da sempre La Normandia dello sbarco Moreno Invernizzi
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Poppies, in loro memoria

Itinerario ◆ Sulle spiagge del D-Day in un momento in cui si tende a dimenticare la storia

Un vento freddo e rabbioso pettina le onde della baia di Arromanches ricamandone le creste con merlet ti di schiuma. Viene dal largo e as sale impetuoso la cittadina, per poi sfumare tra i campi dorati e i boschi dell’entroterra.

Dalle finestre dell’Hotel de la Ma rine vedo turisti curvi e infreddoliti e l’agitarsi frenetico delle immancabi li bandiere, francese, americana, in glese, affiancate da quella con i due leopardi d’oro su sfondo rosso della Normandia.

A quest’ora il mare si è ritirato là in fondo, liberando limacciosi banchi di sabbia ricoperti di vaste chiazze di alghe. Stanotte, gonfiato dalla ma rea, tornerà a sommergerli sotto oltre due metri di acqua. Lo sentirò rug gire, vicinissimo, e nel buio vedrò il rincorrersi dei bianchi frangenti. Ma intanto è sempre lontano, lo vedo e ne avverto il rumore sordo e l’odo re salmastro, frammisto al puzzo di pesce. C’è gente sulla distesa fango sa, chi cammina, chi scatta fotografie, qualcuno, intrepido, si azzarda in una nuotata, un uomo a cavallo galoppa sollevando schizzi di melma e un paio di cani si rincorrono giocando.

E poi ci sono quelle sagome scure, enormi e squadrate. Alcune emergo no dai flutti, al largo, come una flotta incolonnata di chiatte, altre sono di stese sulla sabbia, simili a grandi ce tacei spiaggiati, uno, il più imponen te, conficcato in parte nella melma, si erge verso il cielo con il suo mantello verde di alghe. Sono ciò che resta dei pontoni di Port Winston, il porto arti ficiale voluto da Winston Churchill, per approvvigionare le truppe dell’o perazione Overlord, l’invasione alleata della Normandia.

Il Mulberry Harbour, questo il suo vero nome (battezzato più tardi Port Winston) era un capolavoro di inge gneria navale, che si alzava e s’abbas sava con il moto ondoso e le maree. Costituito da una piattaforma an corata al largo, dove potevano at traccare le navi, era collegato con la terraferma da un ponte galleggiante su cui passavano i mezzi di traspor to, che hanno assicurato lo sbarco di quasi tre milioni di uomini, centinaia di migliaia di veicoli, e tonnellate di rifornimenti.

Trasportati i vari elementi via ma re, ne avevano costruiti due in poco tempo, Mulberry Harbour A, di fronte a Omaha Beach, distrutto quasi subito da una burrasca, e Mulberry Harbour B, ad Arromanches, sulla Gold Beach Quelli che ho davanti agli occhi, su cui il sole al tramonto dispensa pen nellate rosate, sono i suoi resti, divo rati dalla salsedine e destinati a scom parire sferzati dalle tempeste.

Il vento non dà tregua, s’infi la fischiando tra le sagome sem pre più scure e tormenta le bandiere sfilacciate.

«Fa sempre così freddo, in luglio?», chiedo a Thierry, mentre mi serve un profumato piatto di Moules marinières «Siamo in Normandia!», risponde ab bozzando un sorriso. «Mi piace que sto clima, ci sono abituato. Sono nato ad Arromanches e non lascerei que sto posto per niente al mondo. Sono stato due anni in Haute Savoie. Bello, certo, ma dopo un po’ mi sono senti to prigioniero delle montagne e sono tornato. Gli orizzonti normanni sono infiniti e tutto parla della storia. Poi, qui, ho conosciuto Harry…» aggiun ge, tradendo una profonda commo zione. «E chi è?», domando. «Aveva solo diciotto anni, quando è sbarcato,

proprio qui, sulla Gold Beach», mi fa lui e se ne va.

Una frase, un attimo. Ma è ba stato quell’attimo per avvertire l’in tensa e palpabile emozione di Thier ry, che ora mi sento addosso come un sudario.

Dopo un po’ ritorna e mi mostra sul telefonino alcuni video di Youtu be, con le immagini di un vecchietto minuto, con il berretto verde e l’uni forme tappezzata di medaglie. Har ry intervistato, Harry ricevuto dalla regina Elisabetta, Harry alla para ta del 6 giugno, Harry sulla spiag gia di Arromanches, che recita la sua poesia preferita: «Do not call me hero / When you see the medals that I wear / Medals maketh not the hero / They just prove that I was there…» («Non chia matemi eroe / quando vedete le me daglie che indosso / le medaglie non fanno l’eroe / dimostrano solo che ero lì…»; Cfr. Longest Day, poema di Rob Aitchison).

«Tornava qui ogni anno; siamo di ventati amici: mi raccontava la sua storia. Aveva combattuto all’arma bianca, si rende conto?! Con il pugna le e la baionetta… A diciott’anni! Era solo un ragazzo». Thierry sembra aver scordato il suo lavoro e già qualcuno s’impazientisce. «Non voleva che lo considerassero un eroe. Gli eroi sono quelli che son morti, ripeteva sem pre, rammaricandosi quasi d’essere un sopravvissuto. Harry è scomparso lo scorso aprile, a novantasei anni». E questa volta Thierry se ne va per dav vero, lasciandomi lì con i miei punti interrogativi.

Faccio una veloce ricerca.

Horace «Harry» Billinge viene da

laggiù, oltre la Manica, dalle coste da qui indistinte della Cornovaglia. Si arruola, diciottenne, come geniere nel 44° Royal Engineer Commando. Sarà uno dei primi a sbarcare, quel 6 giugno del 1944, e uno dei soli quat tro sopravvissuti della sua unità. Tut ti i suoi compagni, in gran parte gio vani come lui, cadranno sulla sabbia della Gold Beach di Arromanches, falciati dai Tedeschi. «Era l’inferno in terra – ripeteva – il mare era rosso del loro sangue. La guerra è una co sa orribile».

Sopravvive, Harry, alla carnefici na e, dopo la guerra, tornerà in patria, dove aprirà un negozio da barbiere e dedicherà tutta la sua vita alla raccol ta di fondi per i veterani e a tener vi vo il ricordo dei 22’442 soldati sotto il comando britannico, uomini e don ne, caduti nell’Operazione Overlord, alla cui memoria dedicherà il Briti sh Normandy Memorial, inaugurato nel 2021 a Ver-sur-Mer. Ogni anno, fino alla sua scomparsa, tornerà su queste spiagge per l’anniversario del D-Day, accompagnato dai veterani di tante nazioni, le cui file, con il passa re del tempo, si stanno assottigliando sempre più.

La strada seziona la pianura come una sciabolata. Corre, diritta, in mez zo ai campi gialli di grano e alle di stese di lino, con le cui fibre si confe zionano i preziosi tessuti normanni.

L’Orne scivola lento verso il mare, affiancato dal Canale di Caen, in cui si specchiano brigate di pioppi. Qui, a Bénouville, un villaggio di poche anime, c’era un ponte. Un obbiettivo strategico, da conquistare a ogni co sto, per sbarrare il passaggio ai rin

forzi della Wehrmacht e permettere l’avanzata delle truppe alleate.

Nella notte tra il 5 e il 6 giugno del ’44, in una missione al limite del pos sibile, i grandi alianti della 6a Divi sione Airborne, atterrano lì vicino. Dalle loro pance smisurate, centina ia di berretti rossi delle forze aerotra sportate inglesi si riversano nel boca ge (tipico paesaggio rurale normanno, con campi, boschetti, siepi e zone pa ludose) e, con un’operazione lampo, s’impadroniscono del ponte sul ca nale, che chiameranno Pegasus Bridge (come il mitologico cavallo alato raffi gurato sulla loro uniforme) e di quello sull’Orne a Ranville.

C’è anche un caffè, accanto al pon te di Bénouville, sulla sponda sinistra del canale. È lì da fine Ottocento, ma nel «giorno più lungo» è entrato nel la Storia e ora è una sorta di sacrario meta di pellegrinaggio. Fuori, qual che ombrellone a riparare gli avvento ri dal sole, gerani alle finestre, le solite bandiere e, sulla facciata, una grande insegna, Pegasus Bridge Café Gondrée Il grande locale al pianterreno, alcu ni tavoli con le tovaglie a quadretti, è stracolmo all’inverosimile di cimeli e memorie: fotografie storiche o di fa miglia, quelle più recenti di veterani di guerra, quelle autografate da perso naggi illustri, come il generale Mont gomery o il Principe Carlo, e poi libri, berretti, caschi, divise, gagliardetti… «Pas d’photos à l’intérieur!». Sbot ta, imperiosa, Arlette, come se il car tello all’entrata non fosse abbastanza esplicito. Arlette Gondrée-Pritchett, la dinamica proprietaria, è una bel la donna, l’argento nei capelli ondu lati, un’aria leggermente distaccata e sbrigativa, come di chi è abituato a la vorar sodo. Se ne sta dietro il banco ne del bar a fare i conti e a incassare, mentre tre serveuses si affrettano tra i tavoli con boccali di birra, omelette, insalate e lunghe baguettes imbottite di prosciutto e formaggio.

«Il café Gondrée è la prima casa liberata della Francia», ripete a tutti, orgogliosa.

Aveva solo quattro anni, Arlette, nel ’44, ma non scorderà mai quella notte, gli spari, le ombre che correvano sul ponte, e poi, la casa affollata di sol dati inglesi. «Mio padre ha disseppel lito le bottiglie di champagne, che ave va nascosto in giardino. Portavano qui i feriti, a cui mia madre, improvvisata infermiera, prodigava le prime cure».

Sembra che il tempo si sia fer mato, al Café Gondrée. E i vetera ni, che tornano qui ogni anno e ai quali Arlette offre champagne la se ra dell’anniversario, amano trovar lo così, com’era allora. «Sono gli eroi della Liberazione. Oramai ne riman gono pochi», racconta quasi tra sé e sé, scarabocchiando l’addition sul quadernetto. «Vado a tutti i loro fu nerali. Far sì che non li si dimentichi è un po’ la mia missione. Soprattutto per le giovani generazioni, che sono le più disinteressate».

Ora taglia corto, Arlette. Fuori è arrivata un’intera compagnia di sol dati della Royal Navy, giovani con le magliette blu, che trattengono a fatica debordanti bicipiti ricamati di tatuag gi. Vengono dall’altra riva, dove han no visitato il Musée des Troupes Aérop ortées, che espone armi, materiale bellico, divise, insegne, foto e lettere dell’epoca e, al suo esterno, una repli ca dell’aliante Horsa e il vero Pegasus Bridge, sostituito sul canale da un al tro ponte, simile, ma più lungo.

Il Museo delle Truppe aerotra sportate è uno dei tanti sorti nei luo ghi dello sbarco. Istituzioni ufficiali, diventate sempre più multimedia li, come il Musée Radar o quelli del Mur de l’Atlantique, del Débarquem ent, del Juin 44, e i vari Memoriali, come quelli di Caen, di Bayeux o di Ver-Sur-Mer, o il cinema a 360 gradi di Arromanches, e quelli più picco li, privati, creati dalla gente del posto, che si è dedicata per anni a setaccia re spiagge e colline e a dissotterrare cimeli abbandonati dalle truppe. Poi ci sono le distese di croci bianche dei cimiteri militari, come quello ameri cano, sterminato, sulla collina che si affaccia su Omaha Beach, o la Pointe du Hoc, uno sperone roccioso, che si erge dal mare, strapazzato dalle onde e dai venti. Qui, un manipolo di Ran gers statunitensi ha dato l’assalto alle postazioni tedesche asserragliate nei bunker, i cui resti sbucano dalla col lina. Tutt’attorno, una landa desolata e lunare, disseminata dei crateri del le bombe su cui volano rapidi stormi di gabbiani.

Ovunque, frotte di turisti silenzio si, che si aggirano stupiti e, a volte, un po’ disorientati.

Il D-Day è ormai un business in Normandia, si organizzano tour ed escursioni, i negozi di ricordi e di ga dget non si contano, bar e ristoranti sfoggiano nomi di personaggi famo si, battaglioni di combattenti, mitiche battaglie… Ciononostante, i luoghi dello sbarco rimangono preziosi scri gni della memoria, visti ogni anno da milioni di visitatori, dagli appassiona ti di quella storia che hanno imparato a scuola, da semplici curiosi, dagli ul timi veterani o dai loro famigliari, ve nuti qui alla ricerca di sensazioni più intime o per deporre ai piedi di una croce o di un monumento una corona di Poppies, i papaveri rossi simbolo e ricordo degli eroi morti per la Patria.

Mancava, la Normandia, dalla geografia dei miei viaggi. Forse non è un caso, che ci sia venuto proprio quest’estate, come spinto dalla neces sità di voler rispolverare questa pagina tragica della storia europea, in un mo mento in cui si tende a dimenticare, mentre un angolo estremo del nostro continente brucia divorato da un’altra guerra, che ci sembrava inverosimile fino a pochi mesi fa.

Informazioni

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Uno dei tanti monumenti in ricordo del D Day. Illustrazione dell’itinerario normanno. (Romano Venziani)
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L’orologio alla parete della tavola cal da segna le due. Nonostante l’afa del la controra, Jane si dà da fare tra un tavolo e l’altro del minuscolo Luxury Diner. «Specialità della casa, pollo fritto e salsa verde piccante. Da non perdere!», dice ai forestieri arrivati fino a Cheyenne per gustarsi l’espe rienza del Far West. Secondo la leg genda, alla fine dell’Ottocento il Lu xury era un tram-ristorante che girava per le strade della cittadina rifocillan do gli avventori. Diventò una locanda nel 1926 e oggi pare sia la più auten tica d’America, fedele alla struttura originaria.

Non è il solo luogo a conserva re intatte le atmosfere dell’età della corsa al lontano Ovest. Nonostan te i morsi della modernità, la capitale del Wyoming è gelosissima della sua identità di terra di frontiera. Appena messo piede in città, l’impressione è quella di calarsi nelle scene di un vec chio western. Le lancette tornano in dietro al 1867, anno della fondazione di Cheyenne, quando l’insediamento si sviluppava attorno al cantiere della Union Pacific Railroad, la strada fer rata che collegava la costa atlantica a quella pacifica. Il nome che fu dato alla città riprende quello della tribù indigena che viveva al tempo in quelle zone. Con il passare del tempo, il pri mo nucleo di coloni, soldati e addetti alla ferrovia si rimpolpò con l’arrivo di una vasta umanità di faccendieri, commercianti, cowboy, fuorilegge. E prostitute, che affollarono i bordelli e le decine di saloon. Zuffe, scontri a fuoco e violenti omicidi erano all’or dine del giorno.

Un passato di sangue che ancora oggi intorbida le strade di Cheyenne. Secondo la credenza popolare, questo è uno dei luoghi più infestati dai fan tasmi d’America. Una fama a dire il vero poco funesta, che piuttosto gio va al marketing della cittadina. Ogni anno, difatti, sono centinaia gli ap passionati, che vengono qui in cerca di esperienze paranormali.

«Siete finite nel paradiso degli ac chiappafantasmi», scherza Jane, la cameriera del diner, mentre sul retro dello scontrino del pranzo annota i posti da visitare a caccia degli spet tri di Cheyenne: l’hotel Plains, i te atri Lincoln e Atlas, la chiesa di St. Mark e il forte Laramie. Ma prima di tutto, la Union Pacific Depot, la vec

chia stazione. È ancora oggi il cuo re pulsante del capoluogo e si affaccia sulla storica Cheyenne Depot Plaza, circondata da ristoranti, musei, salo on, sculture di stivaloni colorati e lo cali storici, come il vecchio emporio Wrangler che dal 1943 assortisce je ans da rodeo, stivali a punta e cappel li. Anche il negozio sembra ospitare l’anima di un cowboy solitario.

«C’è chi viene a Cheyenne per vi vere il lato avventuroso del vecchio West. Ma c’è chi sceglie di leggere la nostra storia con una lente diversa, a un livello più profondo e oscuro» dice Andy, impiegata all’ente del turismo. Gli uffici sono proprio nell’edificio in pietra arenaria dell’antica fermata della ferrovia. Con un’aria indefinita che traballa tra lo scherzoso e il seris simo, inizia a parlarci della «comuni tà fantasma»: «Noi esseri umani sia mo molto curiosi. Soprattutto delle cose che non capiamo», dice quando le chiediamo conto della strana no mea della sua città. Andy non ha mai avuto interazioni dirette con gli spi riti, ma non se la sente di scherzar ci troppo su. «Ho sentito tante sto rie; questo stabile ha avuto negli anni innumerevoli manifestazioni». Qui la gente ha addirittura dato un no me alle anime vaganti. «C’è Hen ry, ci sono Darla e Jenny. È un mo do per familiarizzare e non averne più paura».

A non temere gli abitanti miste riosi di Cheyenne è Jill Pope, autri ce di un paio di libri fondamentali sui fantasmi locali. «Nei primi anni dell’insediamento, la vita a Cheyen ne era dura. La gente veniva qui da Est, in cerca di un pezzo di terra di cui impadronirsi. Era un posto sen za leggi, per strada si sentivano con tinuamente colpi di arma da fuoco. E poi l’influenza spagnola, le epide mie, i continui scontri dei coloni con i nativi americani. Insomma, la gente moriva ogni giorno. Credo che siano di questi morti gli spettri che ci so no in giro».

Pope indica subito l’Atlas Theatre, il palazzo a tre piani in stile vittoria no che ancora oggi si impone al 211 W di Lincolnway. «Risale al 1887, ed è uno dei luoghi in cui sono avvenu ti più avvistamenti. Nell’Ottocento al piano di sopra c’era l’hotel, sotto il te atro con spettacoli dal vivo». Sono al meno due gli spiriti affezionati al te

atro che di tanto in tanto si divertono a sbigottire i visitatori.

Un altro posto interessante è la chiesa episcopale di St. Mark, costru ita in stile inglese con pietra grigia e vetrate rosse. Il punto che bisogna os servare è la torre. Pare che vi aleggi l’anima di un operaio morto duran te l’edificazione. «C’erano due scal pellini svedesi assunti perché aveva no competenze che la gente del posto non possedeva. Un giorno sparirono. Qualche tempo dopo, uno dei due confessò al pastore della chiesa che il collega era morto scivolando e lui per paura di essere accusato lo aveva murato, nascosto nella costruzione e poi era fuggito». Lo sfortunato svede se ancora oggi si fa sentire di tanto in tanto tra le mura della torre.

C’è poi lo storico Plains Hotel al civico 1600 della bella Central Ave nue, aperto nel 1911 con un nome ispi rato alle grandi praterie. Qui la sto ria si fa intrigante. «Ho una foto che ritrae una specie di entità sopra un enorme lampadario», ci dice Pope, mostrando un’immagine per la veri tà piuttosto confusa. A far rabbrividi re è la cosiddetta camera degli sposi. La storia narra di una sposa in viag gio di nozze che colse il maritino in compagnia di un’amante rimorchia ta al bar dell’hotel. La giovane ucci se entrambi e poi si suicidò. Pare che i dipendenti sentano pianti e talvolta risate provenire dalla stanza in cui la sposa si ammazzò con un colpo di pi stola. La camera, proprio per la sua storia, pare sia molto richiesta, ba stano meno di cento dollari a notte per dormirci.

Ed è sempre una donna la figura dominante di un altro sito, estrema mente affascinante dal punto di vi sta storico. Si tratta dell’antico Fort Laramie, in un’area rurale a nord di Cheyenne. Qui pare si aggiri una mi steriosa madama vestita di verde in groppa a un destriero. Le suggestive rovine del forte sono una delle me te turistiche più gettonate del Wyo ming. Agli inizi dell’Ottocento, l’a rea costituiva un importante centro di scambi per le tribù native. Gli ame ricani vi costruirono un trading post, una sorta di centro di commercio e di ristoro per le carovane di pionieri in viaggio verso il West, in cerca di oro (fu anche una tappa del celebre Pony Express) e poi una base militare. Fu

in questo fortino che, nel 1851 e nel 1868, nativi e governo federale stipu larono trattati che promettevano ai Sioux il possesso delle loro colline sa cre, le Black Hills. Accordi manda ti prontamente alle ortiche appena gli americani scoprirono l’oro. Oggi le rovine sono custodite dalla «Lady in Green», figlia di un ricco commer ciante di pellicce. Abile cavallerizza, si allontanò incautamente dal forte in groppa al suo cavallo nero e sparì nel la prateria senza mai fare più ritorno.

La giovane non è sola, spiriti an che nel vecchio edificio del Quartie re del Capitano. Uno di loro è sta to affettuosamente soprannominato George dal personale. Si dice che un’ombra infesti l’edificio noto come Old Bedlam, un tempo alloggio de gli ufficiali. E George sarebbe proprio

un ufficiale di cavalleria, noto per in timare continuamente alle persone di fare silenzio. Ma ce ne sono altri, co me un medico militare con la divisa sporca di sangue e uno scontroso sol dato senza testa.

Nonostante il background macabro, Jill Pope sostiene che non ci sia nul la da temere. «Penso che la maggior parte delle attività paranormali non siano oscure o malvage», assicura la storica che non ha mai smesso la sua appassionata caccia ai fantasmi. Che si sia scettici o no, su un punto però si può convenire: gli spettri fanno bene, benissimo al turismo e all’economia del Wyoming.

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Uno scorcio di Fort Laramie con una ricostruzione realistica di un tipi, la celebre tenda utilizzata dai nativi. L’ingresso del leggendario Luxury Diner. Secondo la leggenda, alla fine dell’Ottocento il Luxury era un tram-ristorante che girava per le strade della cittadina rifocillando gli avventori.
dei luoghi più infestati dai fantasmi d’America Reportage ◆ A Cheyenne, capitale del Wyoming, il tempo sembra essersi fermato al 1867
Cavalieri e Donatella Mulvoni, testo e foto
Courtesy of Jill Pope – La foto di «un’entità» sopra un lampadario, scattata al Plains Hotel al civico 1600 di Central Avenue.
Uno
Manuela

Ricetta della settimana - Gnocchi burro e salvia

Ingredienti

Ingredienti per 4 persone

1 kg di patate farinose

200 g circa di farina bianca

1 cc raso di sale

60 g di burro

2 rametti di salvia

30 g di parmigiano

Preparazione

1. Lessate le patate con la buccia, coperte d’acqua, finché risultino morbide. Scolatele, pelatele e lasciatele intiepidire, ma non fatele raffreddare troppo, devono essere ancora calde al tatto.

2. Spolverizzate di farina il piano di lavoro. Schiacciate le patate con un passaverdura direttamente sul piano infarinato, spolverate di sale e impastate aggiungendo la farina poco alla volta. L’impasto di patate dev’essere umido, ma non colloso. Se necessario, aggiungete ancora un po’ di farina.

3. Prelevate dall’impasto piccole porzioni e formate dei cordoni cilindrici del diametro di un dito sulla spianatoia infarinata. Tagliate ogni cordone a tocchetti di circa 1,5 cm. Fate rotolare gli gnocchi sui rebbi di una forchetta, premendoli leggermente al centro con il pollice. Mettete gli gnocchi da parte in un vassoio spolverizzato di farina fino al momento della cottura.

4. Fate fondere il burro in una padella ampia e unite le foglie di salvia.

5. Versate gli gnocchi in acqua bollente salata e cuoceteli per circa 1 minuto, finché vengono a galla.

6. Estraeteli con una schiumarola e versateli nella padella col burro. Servite e condite con il parmigiano grattugiato.

Preparazione: circa 45 minuti; cottura: circa 40 minuti.

Per persona: circa 14 g di proteine, 15 g di grassi, 75 g di carboidrati, 520 kcal/2150 kJ.

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«nodo a papillon»

una specifica tipologia di cravatta

«Aristocratico, elegante, per dirla all’inglese: dandy ». Questi sono i tre aggettivi attribuiti al papillon da Do menico Mazzaglia, geologo, che ci accoglie mostrandoci un’intera pare te alla quale ha affisso, espressamen te per la nostra visita, solo una parte della sua nutrita collezione di questa particolarissima tipologia di cravatta che non è per tutti, perché per porta re il papillon ci vuole una buona do se di stile.

Al di là della personalità speciale di chi lo indossa, esso va scelto con estrema cura e portato con classe: «L’impatto visivo del papillon è vin cente solo se accompagnato dal por tamento di chi lo indossa: l’aspet to antropometrico prevale su tutto e permette a questo elegante accessorio di diventare protagonista assoluto va lorizzando chi lo sa portare con stile».

Le indicazioni del Galateo lo legit timano tanto di giorno quanto la se ra, pur mettendo in guardia sulla scelta dei colori che deve essere «particolar mente accurata»; una regola che a ben guardare si estende anche alla cravat ta peraltro definita simpaticamente da Domenico come «un accessorio da bancario». Egli tiene invece a sottoli neare che: «Per scegliere di indossare il papillon bisogna essere un po’ eccen trici e un pochino folli: esso esula dalla banalità della cravatta e ti permette di distinguerti, senza ombra di dubbio!».

Giochi

Cruciverba

La passione per i papillon, indos sati in modo impeccabile, nasce quan do egli è ancora studente universita rio: «A quel tempo ero fidanzato con quella che sarebbe diventata mia mo glie; lei aveva un professore univer sitario di grande fama mondiale che ricordo ancora come un uomo di in discutibile eleganza nel modo di porsi anche quando si esprimeva in dialetto siciliano, cosa che faceva spesso senza mai apparire volgare. È a lui che devo questa mia passione nata quando un giorno, andando a Taormina, lo vi di seduto a un bar: aveva un papillon davvero stupendo!».

Così, racconta che da 25 anni a questa parte è spesso invitato alle ma nifestazioni e a occasioni particolari per le quali sceglie sempre di indos sare un farfallino: «Le persone asso ciano la mia faccia al papillon e que sto è un modo per farmi ricordare». Un’abitudine che egli conserva ancora oggi: «Ad esempio, lo indosso a ogni evento del Lions Club Monteceneri di cui sono presidente: così diventa un elemento di rispetto nei confronti del gruppo di appartenenza, un segnale che mi permette di esprimere dignità e sacralità verso il Club».

All’inizio Domenico si limita ad acquistarne qualcuno sporadicamen te: «Papillon molto classici, dal costo moderato». La svolta arriva poco do po, quando conosce la signora Maria

Rosa Gamba, moglie di un impren ditore che in quegli anni si muove tra la Svizzera e l’estero: «Era un uomo che portava sempre il papillon e, al la sua dipartita, Maria Rosa mi disse che sarebbe stata felice di regalarmi quelli che furono di suo marito per ché sapeva che io li avrei indossati».

La storia si fa seria ed egli comin cia a indossare quei pezzi speciali che ritiene ancor oggi «straordinari sia per stoffa sia per colori». Mostrandocene qualcuno, ci spiega le regole di cui te nere conto: «Non si può portare con la camicia a maniche corte; la scelta dei colori è fondamentale perché deve sposarsi bene col disegno della cami cia; e infine bisogna osservare corret tamente le dimensioni che variano di solito dai due centimetri e mezzo fino agli otto, controllando se le punte del colletto spuntano dal papillon stesso».

L’informazione più ghiotta arriva dopo averci mostrato parecchi dei suoi coloratissimi pezzi: «Il marito della si gnora Gamba si serviva dallo stesso sarto di Gianni Agnelli che cuciva lo ro i papillon ad hoc». Perciò, per tenere alta la nostra curiosità, ci mostra dap prima i pezzi firmati Brioni (un noto sarto romano) e solo poi ce ne indica alcuni altri di quel sarto torinese da cui si serviva pure l’Avvocato in persona. Mentre la moglie va e viene con tanti pezzi che posa sul tavolo, pro viamo a contare quelli che ha apposto

a questa sua improvvisata e coloratis sima parete: «Mia moglie mi ha in timato di non comprarne più perché ne posseggo più di duecento, anche se indosso quasi sempre gli stessi: quelli che vedete su questa parete, alcuni dei quali provengono pure da Londra».

Dice di essere particolarmente af fezionato a uno verde che intanto in dossa, ma vuole conservare il segreto della sua storia e questo ce lo rende ancora più intrigante. Il ghiaccio è rotto e ne prova un altro raccontando di non ricordare quali fossero il primo o l’ultimo acquistati. Però rimpiange quello di legno che avrebbe voluto comperare, mentre la moglie confer ma sorridendo la ragione per cui l’ac quisto non è andato a buon fine: «Era uno di legno che ora sta andando fuo ri moda e gli ho intimato di non com

prarne più di nuovi, qualsiasi siano, perché ne ha troppi».

Certo del valore affettivo «inesti mabile» che questa collezione avrà fra venti o trent’anni, Domenico ci con fida che i suoi figli odiano i papillon, pur avendone indossato uno del padre in qualche occasione speciale. Ancora incantati da questa girandola di far falle coloratissime, lo ascoltiamo nuo vamente nella convincente arringa a loro favore: «Tra i tanti elementi di stile, trovo che il papillon sia quello più sottovalutato, mentre io penso che nell’ambito dell’eleganza classica non vi sia niente di così espressivo, vitale e gioioso del farfallino».

Accessorio fin troppo eccentrico per alcuni, ma dalla personalità insin dacabile: «Portarlo è in fondo molto più facile di quanto si possa pensare!».

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legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera. ORIZZONTALI 1. Vescovo di Roma 4. Periodo di tempo nel quale si svolge qualcosa 9. L’assistente dell’Archimede di Disney 10. Un colpo all’uscio 11. Auto... inglese 12. Riferire senza ferire 13. Dieci in inglese 14. Si ripetono nel nome di D’Alessio 15. Il suo simbolo chimico è Na 17. Impalcature edili 19. Comune e lago della Lombardia 20. Irsuta 21. Un traversone a football 23. Stia per polli 24. Osso del braccio 25. Le iniziali dell’attrice Theron 26. Primo elemento di parole composte che vuol dire muscolo 27. Avverbio di tempo VERTICALI 1. L’Iran d’altri tempi 2. Saluto spagnolo 3. Lettera dell’alfabeto greco 4. Davanti al nome degli ecclesiastici 5. Dentro l’astuccio... 6. Chicco succoso 7. Simbolo chimico del tantalio 8. Una casa tutta miele 10. La patria di Anacreonte 13. Strumento detto anche chitarrone 14. Un punto a calcio 16. Il più anziano in carica 17. Ponderati, valutati 18. Le iniziali dell’attore Sperandeo 20. Primo elemento di parole con attinenza alla mente 22. Fiume russo... nella roba 23. Pronome personale Sudoku Scoprite i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate. Soluzione della settimana precedente METE TURISTICHE – La piramide più grande del mondo si chiama: CHOLULA e si trova in: MESSICO 123 4 5 67 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 F A C C E H A L L O ORIONE RIEN STO I L IADE S U AGE NTI L E D O M A N I MU IN O EEG SA SIAL T CERT I AC CIAI O 9 81 2 346 7 7 4 45 9 2 89 3 8 51 6 9 7 52 6 4729 351 68 5896 127 43 3168 472 95 1 9 5 4 7 8 3 2 6 8271 639 54 6345 298 71 9 5 1 2 8 6 4 3 7 2437 516 89 7683 945 12
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la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario
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Un’America senza Trump?

Alle elezioni di midterm non c’è stato il trionfo repubblicano previsto dai sondaggi

Pagina 27

Macché controllo ai confini

L’aumento dei migranti preoccupa Londra che reagisce adottando anche misure controverse

Pagina 29

L’importanza del consenso In Svizzera continua il dibattito sulla revisione del diritto penale in materia di crimini sessuali

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Crisi climatica e rilancio dei fossili

In attesa di un negoziato Posizioni sempre distanti fra Svizzera e Unione europea su come rinnovare la via bilaterale

Pagina 35

Egitto ◆ La Conferenza sul clima Cop27 rischia di rimanere una semplice collezione di discorsi carichi di buone intenzioni

A trent’anni dal Summit della Terra di Rio de Janeiro, che per la prima volta chiamò i Governi al capezzale del pia neta malato, a venticinque dal Proto collo di Kyoto che li impegnò a ridur re le emissioni, infine sette anni dopo l’Accordo di Parigi che di quell’impe gno fissò la misura e i tempi, la diplo mazia del controllo del clima ci pro va una volta ancora. Ma le prospettive della Cop27, la ventisettesima confe renza delle parti che si sta celebran do a Sharm el-Sheikh sono tutt’altro che rosee. Al problema di fondo che ha fin qui ostacolato l’adozione di misure stringenti, cioè il contrasto fra i Paesi sviluppati, grandi inquinatori del pas sato, e quelli ancora in fase di crescita che chiedono di non essere penalizza ti, si aggiunge infatti un altro fattore frenante, l’emergenza energetica in nescata dalla guerra ucraina e dai suoi contraccolpi sulle forniture di gas.

I delegati che affollano la locali tà egiziana si affannano per colmare distanze incolmabili, mentre i capi di Stato e di Governo si avvicendano al la tribuna pronunciando discorsi cari chi di buone intenzioni. Come già lo scorso anno alla Cop26 di Glasgow, spiccano le assenze di Vladimir Putin e Xi Jinping, alle prese rispettivamen te con l’attualità bellica e con le ten sioni attorno alla questione di Taiwan.

Spicca anche l’assenza, ben diversa mente motivata, della militante svede se Greta Thunberg: non vado a Sharm el-Sheikh, ha spiegato, perché anche questa conferenza non è altro che gre enwashing. È questo un neologismo di gran moda fra gli ambientalisti, trat teggia un approccio ecologico di ma niera, fatto di promesse che non saran no mai mantenute.

Si parla dell’opportunità di bloccare i finanziamenti internazionali ai pro getti di estrazione di combustibili fos sili, ma alcuni fra i Paesi che si sono impegnati in questo senso, per esem pio la Germania, guardano alle loro miniere di carbone come prospetti va praticabile per compensare l’inter ruzione delle forniture russe di gas. Mentre l’Italia chiede che i finanzia menti vengano non bloccati ma sem plicemente limitati, e intanto pensa di integrare le importazioni di gas riav viando quelle stesse estrazioni offshore nell’Adriatico che erano state fermate perché provocavano fenomeni di sub sidenza. Cioè abbassamenti del suolo provocati dai vuoti aperti in profondità dalle estrazioni.

A Sharm el-Sheikh si continua a parlare di decarbonizzazione ma il raggiungimento dell’obiettivo pattuito a Parigi nel 2015, limitare a due gradi, possibilmente uno e mezzo, l’aumento

della temperatura media della Terra ri spetto ai valori che precedettero la ri voluzione industriale, si allontana pe ricolosamente nel tempo. C’è il rischio reale di superare il punto di non ritor no oltre il quale il disastro diverrebbe apocalittico. I delegati riuniti in Egit to cercano di correre ai ripari rinvian do alla Cop28 in programma a Dubai nel 2023 l’accordo sui finanziamen ti da reindirizzare verso le energie so stenibili che era stato abbozzato l’an no scorso a Glasgow. Ai tempi lunghi del dibattito internazionale corrispon de l’incalzare dei fenomeni avversi, dal clima impazzito all’innalzamento del le acque marine.

Un’ombra nera sovrasta questo nuovo appuntamento della diploma zia climatica. Si tratta del fatto che, nonostante l’evidenza meteorologica, l’allarme non è più percepito dalle opi nioni pubbliche con la stessa intensi tà del recente passato. Si fa lentamen te strada l’idea che il clima ha sempre conosciuto mutamenti anche radicali, ben da prima che la rivoluzione indu striale spedisse nell’atmosfera i suoi fu mi venefici. La quota di responsabilità umana legata allo sviluppo industria le sarebbe dunque marginale: il disa stro del clima non sarebbe colpa del le attività produttive se non in minima parte. È una tesi cara all’opinione con

servatrice, è su questa base ideologi ca che un’eventuale ritorno di Donald Trump alla presidenza dopo le elezio ni del 2024 porterebbe gli Stati Uniti a insidiare il primato della Cina come Paese più inquinante, ricollocandosi al primo posto.

Il presidente Joe Biden è arrivato al la Cop27 all’indomani delle elezioni di metà mandato, il cui esito per lui molto migliore del previsto lo ha visibilmente rinfrancato. La sua presenza a Sharm el-Sheikh vuol essere un segnale rivolto agli elettori, in vista del voto presiden ziale del 2024 che potrebbe riportare Trump alla Casa Bianca. Il presiden te cerca di convincere gli americani che va impedito, fra le altre cose, il ritorno della superpotenza fra i «cattivi» che, nonostante le sempre più frequenti de vastazioni cicloniche, lo scioglimento dei ghiacciai e il rischio di sommer sione che minaccia gli stati insulari del Pacifico, negano l’emergenza climati ca. Bisognerà vedere fino a che punto gli elettori americani, molto sensibili ai temi dell’economia e dunque orienta ti a non limitare la libertà d’azione del mondo produttivo, sapranno spostare l’attenzione sul tema ecologico, con troverso più che mai negli Stati Uniti.

In margine alla Cop27 Biden ha in contrato il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi intrattenendolo sui dirit

ti umani. Il Paese che ospita la confe renza deve fare i conti con l’immagine che di sé proietta nel mondo. Si conte sta non solo la carente disposizione ad arginare il deterioramento climatico, ma anche la sistematica violazione di quei diritti. Si sono tenute manifesta zioni di protesta, la sede dell’evento è stata blindata dalla polizia e dall’eser cito. Il Cairo risponde alle accuse fa cendosi portavoce delle necessità afri cane. Contribuendo con non più del quattro per cento alla produzione di gas a effetto serra, il Continente nero ne soffre ben più di altri le conseguen ze, a cominciare da quei disastrosi fe nomeni meteorologici che assieme al le disperate condizioni economiche e sociali spingono milioni di persone a tentare la fuga verso l’Europa.

La Cop27, le conferenze che l’han no preceduta e quelle che seguiranno si fissano proprio l’obiettivo di aiutare i Paesi più poveri, e più vulnerabili, ad affrontare i problemi della transizione ecologica. Purtroppo la recessione glo bale limita le possibilità di intervento, mentre in questo mondo di folli au mentano a dismisura le spese militari. Basti pensare che i miliardi inghiottiti dalla guerra ucraina avrebbero potuto, se non proprio guarire il pianeta, al meno migliorare sensibilmente il suo stato di salute.

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Un Grand Old Party senza Trump?

Midterm ◆ Non c’è stata la valanga repubblicana prevista dai sondaggi

Joe Biden non diventa quell’anatra zoppa che si temeva e affronta gli im pegni internazionali con una credibi lità intatta, a cominciare dal G20 di Bali. Gli alleati dell’America nel mon do possono tirare un sospiro di sollie vo: nel prossimo biennio non avran no a che fare con un’Amministrazione Usa dimezzata, e forse non dovranno interrogarsi sulle conseguenze di un possibile ritorno di Donald Trump. L’America rimane spaccata in due, ma questa è la sua geografia politica da ge nerazioni; quindi se si vuol parlare di una «crisi della democrazia» bisogna ammettere che esisteva già negli anni Sessanta e Settanta. Una conseguenza immediata del voto per il Congresso e per 36 governatori, è che ha già aperto il capitolo successivo: la corsa alla Casa Bianca del 2024. Una campagna presi denziale che diventa sempre più lunga e quest’anno batterà un record. Con la decisione di Donald Trump di annun ciare la sua ricandidatura il 15 novem bre, e la contromossa di Biden che ha praticamente già confermato la pro pria, i tempi di queste discese in cam po sono stati anticipati in modo inu suale. La democrazia americana non sarà moribonda come l’hanno descrit ta in modo strumentale Biden e Ba rack Obama nei comizi pre-elettorali; però è una democrazia che vive in una campagna elettorale permanente.

Alle elezioni legislative di midterm l’8 novembre non c’è stata la valanga repubblicana prevista dai sondaggi. La destra ha visto rafforzarsi la sua nuova star, Ron DeSantis, governatore del la Florida (nella foto in basso, a sini stra, insieme a Trump). Si è già aperta la resa dei conti al suo interno, il vec chio establishment repubblicano accusa Trump: il mancato trionfo viene ad debitato alla pessima qualità dei 200 «pasdaran del negazionismo» che lui ha sponsorizzato (dando i suoi endorse ment solo a coloro che non riconosco no la legittima elezione di Biden nel 2020). La sfida tra DeSantis e Tru mp è nella logica dei fatti. Forse solo il governatore della Florida ha i numeri per epurare il Grand Old Party di un leader ingombrante e distruttivo. In quanto a carisma, DeSantis è scarso. I suoi numeri sono altri: nella cresci ta economica della Florida favorita an che dall’assenza di restrizioni durante la pandemia; nell’emigrazione inter na da New York e dalla California al la Florida, non più solo pensionati in cerca di sgravi fiscali ma forza lavoro giovane attratta da un clima più favo

revole alle start-up. Infine DeSantis ha le carte in regola su tutte le batta glie valoriali che compattano l’eletto rato moderato-conservatore: in Flori da ha contrastato la penetrazione della woke culture nelle scuole, ha vietato che si insegni l’identità sessuale fluida in quinta elementare o il «razzismo ge netico» dei bianchi. Ha tolto i privi legi fiscali alla Disney che riscrive le fiabe perché eroine ed eroi siano solo gay e di colore. Non ha carisma, cer to, però ha servito la patria in divisa sul fronte iracheno mentre Trump fece l’imboscato durante la guerra in Vie tnam… Insomma, lo scontro tra i due promette bene.

Buone notizie per la continuità del la politica estera Usa. Un trionfo dei candidati trumpiani avrebbe messo a repentaglio il consenso bipartisan sull’Ucraina. Questo risultato inve ce rafforza indirettamente il vecchio establishment repubblicano, atlantista doc. Un personaggio come il capo gruppo repubblicano al Senato, Mitch McConnell, fu decisivo nel ratificare l’elezione di Biden nel fatidico 6 gen naio 2021. Oggi McConnell esce a te sta alta da un’elezione che ha castigato Trump. McConnell ha sempre garan tito voti repubblicani ai vari pacchet ti di aiuti americani per Kiev. Sull’U craina dunque il risultato delle elezioni rafforza la previsione di Jake Sullivan, capo del National Security Council: il consenso bipartisan continuerà. Nel frattempo lo stesso Sullivan, reduce da un viaggio a Kiev, si era «giocato» lo spauracchio trumpiano con Zelensky e lo ha costretto a rinunciare alla pre giudiziale per cui il presidente ucraino escludeva un negoziato con Putin.

Sulla Cina non c’è mai stata una vera distanza fra le Amministrazioni Trump e Biden. Anzi Biden ha «stu diato» il caso-Huawei, notando che le restrizioni imposte da Trump contro la vendita di tecnologia Usa al colos so cinese delle telecom hanno stoppa to l’espansione globale di Huawei nel 5G. Biden ha esteso quella ricetta ap plicandola in modo più ampio e l’em bargo tecnologico contro la Cina è di ventato un asse portante della politica di questa Amministrazione. Ora, da un lato Biden si vede rafforzato per ché l’ala tradizionalista del Grand Old Party, con un personaggio come il se natore Marco Rubio rieletto in Flo rida, abbonda di «falchi» sulla Cina. D’altro lato, avendo scongiurato una débacle elettorale, Biden ha una libertà di manovra che gli consente di incon

trare Xi Jinping al G20 di Bali per ne goziare una sorta di «mezza tregua». L’America e la Cina continueranno a trattarsi come delle antagoniste e rivali strategiche; ma potrebbero accordarsi su un modus vivendi che ripristini al cuni terreni di collaborazione e con sultazione. I più urgenti sono due: la lotta al cambiamento climatico; e un meccanismo di consultazione tra al te sfere militari che cerchi di preve nire «un disastro ucraino a Taiwan». Quest’ultimo tema interessa il mondo intero e in particolare gli alleati ame ricani in Asia: Giappone, Corea del Sud, Australia, ma anche Vietnam e Filippine. Si tratta di stabilire delle li nee di comunicazione ad altissimo li vello – come fu il telefono rosso Wa shington-Mosca nella prima guerra fredda – per evitare errori di calcolo, fraintendimenti dell’avversario, spira li di reazioni incontrollate che posso no sfociare su un conflitto tragico tra superpotenze. Un Biden che esce dal le midterm senza danni eccessivi può manovrare con Xi senza temere che si apra subito un processo contro di lui in patria.

In una prospettiva di medio-lun go termine, però, lo scampato disa stro può indurre i democratici a sotto valutare i pericoli per il 2024. Primo: se davvero DeSantis riesce a far fuo ri Trump nella corsa alla nomination, il ticket Biden-Harris diventa inade guato per contrastare un 44enne dal le solide credenziali conservatrici, ma libero dagli scheletri nell’armadio di Trump. Secondo: la sinistra democra tica continuerà a condizionare le scelte di Biden sulla politica energetica, im pedendo che l’America sfrutti appieno il potenziale strategico delle sue ener gie fossili. L’autosufficienza energetica dà una marcia in più agli Stati Uni ti rispetto alla Cina, e al tempo stes so può risultare preziosa per aiutare gli europei ad affrancarsi dal gas rus so; ma la presa degli ultra-ambientali sti sull’Amministrazione Biden riduce queste potenzialità.

Una notazione di colore sull’elezio ne Usa vista da Mosca o Pechino. An che in America gli oligarchi contano meno di quanto si crede. Il tweet con cui Elon Musk ha consigliato di votare repubblicano non sembra aver sposta to le masse. Musk è una superpoten za per tante altre ragioni, dalla Tesla alla rete satellitare Starlink; ha anche un seguito di fan tra cui 115 milioni di follower su Twitter; non significa che li possa manipolare a suo piacimento.

Sorpresa: Mosca potrebbe trattare

partita

Come in quasi ogni guerra, men tre sul campo si combatte, in luoghi e tempi imprecisati, opportunamen te nascosti, si negozia la pace. O me glio il cessate-il-fuoco. A questa leg ge non sfugge il conflitto fra Russia e Ucraina. Ovvero fra russi e ucrai ni con il sostegno della Nato, cioè an zitutto dell’America. Perché se non si considerasse che la partita in corso fra Putin e Zelensky è sul piano strate gico uno scontro fra Russia e Ame rica, poco se ne capirebbe. Negoziati russo-americani sono stati imbasti ti già prima dell’inizio delle ostilità, quando Putin ha proposto a Biden alcune garanzie sul non allargamen to ulteriore della Nato che erano evi dentemente inaccettabili da qualsiasi amministrazione americana. E tutta via il filo non si è mai completamen te spezzato, malgrado gli insulti e le minacce reciproche, anche dopo il 24 febbraio. Ad almeno due livelli. Il pri mo è quello militare. Prima, durante e dopo l’invasione russa dell’Ucraina i capi delle due forze armate e i loro uo mini di fiducia hanno mantenuto un costante contatto. In uno scontro in diretto fra potenze nucleari, è il mini mo sindacale. Nessuno vuole rischiare di interpretare male una mossa altrui, scatenando l’apocalisse per errore.

Il secondo è quello politico. Per mesi Putin e Biden hanno interrot to ogni contatto diretto, almeno uf ficialmente. Ma a livelli non troppo inferiori, esponenti dei due Governi hanno esplorato, con molta cautela, le intenzioni reciproche. Allo stesso tempo sono stati attivati canali secon dari, i cosiddetti back channels o second track diplomatic contacts, di cui alcuni perfino ostentati. Così l’estate scorsa l’ambasciatore Antonov, rappresen tante ufficiale di Putin a Washington, si è fatto fotografare mentre discuteva con alcuni messi di Biden al Café Pa ris, noto ristorante alla moda di Ge orgetown, dove si va per farsi notare. Incontri di diverso grado e tipo si so no svolti negli Emirati Arabi Uniti e in altri paesi capaci di serbare simili segreti, fino a un certo punto.

Incontri largamente improduttivi ma necessari a evitare derapate invo lontarie fra atlantici e russi. Viste con un certo grado di sospetto da Kiev, che non vorrebbe trovarsi improv visamente di fronte a decisioni prese dietro le sue spalle da russi e ameri cani. Non sarà affatto così, assicura no gli americani. Tuttavia forme di pressione su Zelensky sono state eser citate da Washington nei mesi appe na trascorsi. La più clamorosa è sta ta la denuncia dell’attentato compiuto dai servizi segreti ucraini presso Mo sca, che è costato la vita a Darja Du

gina, figlia di uno dei più cupi teorici dell’anti-occidentalismo russo, Alek sandr Dugin. Un atto di terrorismo apertamente disapprovato dai servizi americani, del quale tuttavia Kiev non si assume ufficialmente la responsabi lità. Nelle ultime settimane, la pres sione indiretta è avvenuta via stampa. «Washington Post» e «Wall Stre et Journal» hanno pubblicato artico li, chiaro frutto di veline dell’intelli gence Usa, nei quali si comunica che la Casa Bianca ha chiesto a Zelensky di aprirsi al negoziato con Putin. La risposta pubblica del leader kievano è stata secca: negozio con i russi non con Putin; in ogni caso non cederemo nemmeno un centimetro quadrato del nostro territorio.

I russi hanno invece colto la palla al balzo. Prima dichiarandosi pronti a un negoziato senza condizioni. Poi annunciando il ritiro del proprio eser cito da Kherson, città chiave dell’U craina meridionale, annessa formal mente da Putin. Uno smacco militare gravissimo. Segno di fatica e debolez za sul campo. Ma anche un segnale a Biden che la Russia è disposta a trat tare un cessate-il-fuoco e per questo si attesta su una linea difendibile. A confermarlo, l’avanzata costruzione di un vallo attraverso il Donbass, al di qua dei confini delle regioni annes se, a dimostrazione che il Cremlino è pronto a sacrificare parte delle con quiste territoriali, anche perché pres sato dalla controffensiva ucraina. Fon ti americane lasciano filtrare i termini di una possibile sospensione delle at tività militari, favorita dal generale in verno. George Friedman, uno dei più autorevoli analisti geopolitici ameri cani, la riassume in quattro punti. Pri mo: i russi si ritirano nei limiti del 23 febbraio. Secondo: gli americani ces sano ogni aiuto militare a Kiev. Terzo: la Nato garantisce che non accetterà l’Ucraina come socio. Quarto: viene istituito presso le Nazioni Unite un fondo per la ricostruzione, con il con tributo degli atlantici e della Russia.

Non è ben chiaro chi dovrebbe su bentrare ai russi che si ritirano, ma sembrerebbe logico pensare a una for za internazionale con mandato delle Nazioni Unite. Di sicuro è una pro posta che non piace né a Mosca né a Kiev, ma nessun compromesso può sfuggire alla regola di non contenta re tutti. Le probabilità che il conflit to possa essere sedato durevolmente restano comunque basse. Salvo mi racoli, dovremo convivere a tempo indeterminato con le conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina. Ma già ridurre l’intensità del conflitto, forse «congelarlo» per qualche tempo, sarebbe un enorme passo avanti.

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Per mesi Vladimir Putin, a destra, e Joe Biden hanno interrotto ogni contatto diretto, almeno ufficialmente. (Keystone)
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Verso una stretta sull’immigrazione

Gran Bretagna ◆ Gli arrivi, in forte aumento, preoccupano le autorità che cercano di correre ai ripari adottando misure controverse

Altro che sovranità sui confini. Lo slogan «Riprendiamo il controllo!», che aveva convinto tanti sudditi di Sua Maestà a votare a favore dell’uscita del Regno Unito dalla Ue al referendum del 2016, ha avuto un effetto boome rang. Almeno per quanto riguarda gli sbarchi di migranti in arrivo attraver so il Canale della Manica. Secondo gli ultimi dati del Ministero dell’interno britannico, nel 2022 quasi 40mila per sone hanno rischiato la vita per rag giungere le coste della Gran Bretagna a bordo di gommoni e natanti di for tuna. E il numero è destinato a sali re ulteriormente visto che l’anno non è ancora concluso. Si tratta della cifra più elevata da quando nel 2018 è ini ziata la raccolta ufficiale di questo ti po di dati. Per fare un confronto, nel 2021 i migranti approdati sulle spiag ge britanniche erano 28’526 e nel 2020 – anche per effetto della pandemia –erano solo 8’404. Mentre negli anni precedenti, e dunque prima di Brexit, i dati degli sbarchi erano molto più contenuti.

Nelle scorse settimane un parla mentare inglese ha denunciato le di sumane condizioni di sovraffollamen to in cui si trovavano i migranti presso il centro di prima accoglienza di Man ston, una struttura di smistamento si tuata nel Kent, costruita per ospitare non più di 1’600 persone per un mas simo di 24 ore. Peccato che di fatto vi alloggiassero oltre 4mila profughi, al cuni dei quali rinchiusi lì dentro da ol tre un mese. La ministra dell’Interno Suella Braverman, accusata di ave re ignorato la segnalazione, si è dife sa alla Camera dei Comuni, parlando di una vera e propria «invasione» della costa meridionale dell’isola e dicendo si determinata a prendere di petto una situazione che costa ai contribuen ti britannici 6,8 milioni di sterline al giorno solo per alloggiare i richieden ti l’asilo in alberghi e altre strutture

private. Senza contare la difficoltà di trovare una sistemazione per così tan te persone in tempi molto ristretti. Se condo i dati pubblicati dal Governo, nei 12 mesi fino a giugno di quest’an no, ci sono state oltre 60mila richieste di asilo, ovvero un’impennata di oltre il 77% rispetto al 2019, la metà delle quali provenienti proprio da profughi giunti a bordo di barconi. Si tratta di migranti originari per lo più dell’Af ghanistan, Iran, Iraq, Siria ed Eritrea, anche se nel 2022 c’è stata una vera e propria ondata di arrivi dall’Albania: circa 12mila, dei quali 10mila erano uomini soli.

Sono numeri che preoccupano le autorità britanniche, perché – secon do quanto riferito alla Commissione affari interni dal Comandante Dan O’Mahoney, deputato alla sorveglian za sull’immigrazione clandestina pro veniente dalla Manica – molti albanesi affrontano il viaggio non per chiedere l’asilo, ma per darsi alla macchia non appena sbarcati e lavorare illegalmen te nel Regno. Diversi di loro finisco no nelle maglie della criminalità, tan to che la nazionalità prevalente dei delinquenti stranieri rispediti dal Re gno Unito nel Paese d’origine, nei 12 mesi antecedenti marzo di quest’anno, è albanese. Il traffico dei migranti in partenza dal nord della Francia, inol tre, sarebbe ormai gestito prevalente mente da gang criminali albanesi. Pic cata a riguardo la risposta di Tirana. «Il Regno Unito dovrebbe combatte re le gang criminali di tutte le nazio nalità e smetterla di discriminare gli albanesi per giustificare le sue politi che fallimentari», ha scritto in un re cente tweet il primo ministro albane se Edi Rama.

Intanto, un recente sondaggio del domenicale «Observer» ha rivelato che per la stragrande maggioranza dei bri tannici la Gran Bretagna non ha riac quisito l’agognato controllo delle pro

prie frontiere dopo Brexit. I più delusi sarebbero proprio coloro che avevano votato per uscire dall’Ue: per l’85% dei leavers «Riprendiamo il controllo!» in fatti è ancora un miraggio. Rishi Su nak ha un’impresa difficile davanti a sé. Il neo premier conservatore, oltre a dover stabilizzare l’economia bri tannica travolta dalla tempesta finan ziaria scatenata dal fallito esperimen to di Governo di Liz Truss, deve pure mettere ordine al caos immigrazione, considerata una missione prioritaria dell’agenda politica Tory. Tuttavia le sue prime mosse per ora si sono rivela te un po’ avventate: dal reintegro del la controversa Suella Braverman alla guida del Ministero dell’interno dopo che si era dimessa dal Governo Truss per uso improprio della mail personale impiegata per l’invio di documenti uf ficiali; alla nomina di Dominic Raab al Ministero della giustizia nonostan

te i trascorsi poco brillanti dello stes so proprio come ex Guardasigilli nel Governo Johnson. Con Raab è stato pure riesumato il suo criticato «Bill of Rights Bill», un disegno di legge che punta ad affermare la supremazia del la Corte suprema britannica rispetto alla Corte europea dei diritti umani. Lo scopo? Consentire al Regno Unito di ignorare le disposizioni della Con venzione europea dei diritti umani che interferiscono con la sua politica im migratoria, com’era successo lo scorso giugno quando il Governo britannico aveva dovuto sospendere, su richiesta di Strasburgo, il contestato piano di trasferimenti in Ruanda di alcuni im migrati illegali ancora in attesa di ri sposta sulla domanda d’asilo.

Fruttuoso, invece, è stato il primo incontro in veste di premier di Su nak con il presidente francese Em manuel Macron, avvenuto a margine

Dura nei confronti di stranieri ed ermellini

hanno infatti

mato che Londra e Parigi stanno fi nalizzando un accordo del valore di 80 milioni di sterline per bloccare o quanto meno ridurre sostanzialmente gli arrivi di migranti attraverso il Ca nale della Manica. Oltre a incremen tare il pattugliamento delle coste fran cesi, l’accordo consentirà di finanziare l’acquisizione di apparecchiature di sorveglianza per intercettare i barco ni ancor prima che entrino nell’acqua, permettendo agli agenti di frontiera britannici di lavorare al fianco dei loro omologhi francesi in loco, per acquisi re così informazioni dirette sul movi mento e il traffico dei migranti in par tenza dall’Esagono.

Potentissime ◆ Il ritratto della socialdemocratica Mette Frederiksen di recente riconfermata prima ministra in Danimarca

È una socialdemocratica scaltra e navigata, pronta a difendere a spada tratta un welfare generoso e la lotta al cambiamento climatico, ma che ha trovato il suo «marchio di fabbrica» nell’approccio antidogmatico ad alcu ni temi, tra cui l’immigrazione, su cui ha promosso e continua a promuovere una delle linee più rigoriste d’Europa. Stiamo parlando di Mette Frederik sen, potentissima quarantacinquen ne danese di recente eletta premier o ministra di Stato per la seconda volta (nella foto).

Nata in una famiglia semplice nel nord-ovest del Paese – padre tipogra fo e madre maestra d’asilo – Frede riksen è fermamente convinta che «il prezzo della globalizzazione non re golata, dell’immigrazione di massa e della libera circolazione dei lavora tori viene scontato dalle classi socia li più basse», come scrisse in un’au tobiografia pubblicata ai tempi della prima vittoria nel 2019. E quindi nel la «sua» Danimarca proposte come quella di creare dei centri di smista mento in Ruanda per i richiedenti l’a silo vengono dibattute in un’atmosfe ra di concordia tra destra e sinistra, tra lo sgomento delle associazioni di

difesa dei diritti umani e di tutti quei partiti minori che – con una soglia di sbarramento appena al 2% – movi mentano la vita parlamentare e ren dono i partiti di Governo ormai più propensi a guardare all’opposizione per formare coalizioni per non ritro varsi ostaggi di alleanze imprevedibili e frammentarie.

Ma per la premier, che ha vinto le elezioni anticipate del 1. novem bre con un margine risicatissimo di appena un seggio, anche il controllo dell’immigrazione e la questione del la sicurezza sono temi di sinistra, an zi, sono fondamentali per rilanciare le politiche di sinistra in tutta Europa e puntare a una società più coesa. Per lei la formula ha sicuramente funziona to; è riuscita a prendersi alcuni dei voti del Partito del popolo danese, ridot to al lumicino del 2%, anche grazie a discorsi in cui insiste sempre sul pun to dell’integrazione e della necessità di essere duri con i giovani di origine straniera che rimangono ai margini della società danese. Non solo. Nell’a prile scorso la Danimarca ha stretto un accordo da 15 milioni di euro per spedire in un carcere alle porte di Pri stina, in Kosovo, 300 detenuti stra

nieri che alla fine della pena verran no smistati nei loro Paesi d’origine. Il tipo di misure contro le quali Frede riksen ventenne avrebbe manifestato, visto che nel 2000 denunciava la po litica «rifugiati zero» dell’allora Go verno. Mentre ora ha revocato il per messo di soggiorno ai rifugiati siriani provenienti da zone considerate non a rischio, ha votato a favore di una leg

ge che permette di sottrarre i gioielli e gli oggetti preziosi ai rifugiati, non ha ostacolato l’idea di vietare burqa, ni qab e nel 2019 il suo partito ha votato a sostegno del famigerato «cambio di paradigma» per fare del rimpatrio, in vece che dell’integrazione, l’obiettivo ultimo dell’asilo politico.

Sul palcoscenico del dibattito da nese dal 2018 c’è anche il tema delle «società parallele» – ossia dei «ghet ti» definiti tra le altre cose anche at traverso una maggioranza di abitan ti di origine non danese – che vanno smantellate in quanto rappresente rebbero una minaccia per i valori na zionali. Ma sebbene in altri Paesi ar gomenti del genere abbiano portato a polemiche e carriere in bilico – co me quella di Suella Braverman nel Regno Unito (leggi sopra) – la crisi di Mette Frederiksen è avvenuta per ben altri motivi. Dopo essere stata generalmente elogiata per la sua ge stione della pandemia, il dossier po litico più spinoso finora è stato quello degli ermellini, colpiti da una varian te animale del Coronavirus. Nel no vembre del 2020 la «ministra di Sta to» ha ordinato l’abbattimento di 17 milioni di bestiole, delle cui pellicce

la Danimarca è il primo esportatore al mondo. Purtroppo per Frederiksen non c’erano le basi legali per impor re la misura agli allevatori e per que sto ha preferito andare alle urne pri ma del previsto, portando appunto a casa una vittoria risicata.

Amante dei social network e deci sa a dare di sé un’immagine di don na colta ma attaccata ai piaceri sem plici del popolo, come il panino con l’aringa, la premier ha due figli e ha avuto il suo primo Ministero a 33 an ni, oltre a essere diventata la leader di Governo più giovane della storia del Paese, che già dal 2011 al 2015 è sta to guidato da una donna, la social democratica Helle Thorning-Schmi dt. In linea con la sensibilità danese, anche quest’ultima proponeva misu re come far lavorare di più gli immi grati prima di concedere loro sussidi e benefits e suggeriva di «attivare» i rifugiati facendo loro fare lavori uti li come la pulizia delle spiagge. Ma Frederiksen è considerata più poten te, più influente. Quasi quanto quel personaggio di fantasia, così reale e immortale per gli amanti di serie te levisive che è Birgitte Nyborg, la pro tagonista di Borgen

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 14 novembre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino ATTUALITÀ 29
della Conferenza sul clima in Egitto (Cop27), e foriero di «rinnovata fidu cia e ottimismo» in merito alla coope razione con i partner europei per fer mare l’immigrazione illegale. Fonti di Downing Street confer La ministra dell’Interno Suella Braverman è stata criticata per le sue posizioni antiimmigrazione. (Shutterstock)
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Quando il terrore ti paralizza

Berna ◆ Continua il dibattito sulla revisione del diritto penale in materia di crimini sessuali. L’avvocata Bertani sottolinea l’importanza del consenso

Qualche settimana fa, a Riazzino, un ventenne avrebbe violentato una coe tanea all’esterno di una discoteca. Lo scorso ottobre un ragazzo è stato con dannato per violenza carnale tentata; i fatti si sono consumati a Sorengo, in marzo. A inizio anno tre giovani so no stati a rinviati a giudizio con l’ac cusa di stupro di gruppo (perpetrato nel Sottoceneri). Questi sono solo gli ultimi – i più eclatanti saliti agli ono ri delle cronache locali – di una lunga serie di reati a sfondo sessuale che si consumano anche alle nostre latitu dini. Reati che sono in continuo au mento, almeno secondo le statistiche. Dati della polizia alla mano, in Sviz zera nel 2021 si sono registrati 757 ca si di violenza carnale, 24 dei quali in Ticino e 8 nei Grigioni (nel 2011 am montavano rispettivamente a 552, 6 e 9). I casi di coazione sessuale rilevati nel 2021 a livello nazionale erano 720, 31 dei quali nel nostro Cantone e 3 nei Grigioni (10 anni prima erano 606, 11 e 3). E queste cifre, dicono gli esperti, sono solo la punta dell’iceberg di un fenomeno in realtà molto più diffuso. Perché spesso le vittime non denun ciano il loro aggressore.

Attualmente è in corso un dibat tito sulla revisione del diritto penale riguardante i crimini in questione. Il Parlamento elvetico esprimerà la sua volontà in materia durante la sessione invernale, prevista dal 28 novembre al 16 dicembre. «Le norme in vigore sono decisamente antiquate», affer ma intanto l’avvocata Lorella Berta ni, impegnata nella difesa dei diritti delle vittime di violenza nel Canton Ginevra. «Partiamo dalla considera zione che, ad oggi, solo la penetrazio ne non consensuale di una donna da parte di un uomo viene considerata stupro (articolo 190 del Codice pena le svizzero). Siamo l’unico Paese eu ropeo a intendere la violenza carnale in maniera così riduttiva. Come de finire, ad esempio, il caso di un uo mo che sodomizza un altro uomo o un minore?». Inoltre, continua la no stra interlocutrice, per legge è neces sario che la vittima dimostri di avere espresso una certa resistenza mentre l’autore deve avere usato violenza o minacce. «Si incontrano però un’in finità di situazioni che non rientrano nel caso descritto. Mi spiego. Spesso la vittima mostra di non essere d’ac cordo ma poi – paralizzata dal terrore

– non riesce più a reagire. Di fronte a un pericolo, infatti, animali e umani rispondono solo in tre modi. In ingle se si riassumono così: fight, flight, fre eze ovvero lotta (quando si risponde con aggressività), fuga o congelamen to (l’incapacità del corpo di muoversi o agire). Il freeze è la risposta naturale del corpo allo stress, poi non reagi re è anche un modo di evitare ulte riori violenze». Quindi capita spesso che l’autore non debba né picchiare né minacciare la vittima per raggiungere i suoi scopi.

Il principio di estendere la fattispe cie della violenza carnale è passato. E sarà punito per stupro chiunque agisca contro la volontà della vittima anche senza usare mezzi di coazione. Ora sono in discussione due varianti, spie ga Bertani. Nella prima – ovvero la soluzione «no significa no» – verreb bero puniti gli atti sessuali commes si contro la volontà (espressa) di una persona. Il secondo approccio – «solo sì vuol dire sì» – intende invece inse rire il concetto del consenso nel dirit to penale (ogni atto sessuale richiede il consenso esplicito di tutte le per sone coinvolte). La maggioranza del la Commissione degli affari giuridici del Consiglio degli Stati ha espresso una preferenza per la prima soluzio ne mentre la stessa Commissione del Nazionale ha optato per il «solo sì vuol dire sì». Come l’intervistata, che os serva: «La soluzione del consenso è già stata adottata da una quindicina di Paesi europei tra cui Svezia, Belgio, Danimarca, Slovenia e Spagna. Inol tre ricordo che la Svizzera ha firma to la Convenzione di Istanbul contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (è in vigore dal 1. aprile 2018), la quale prevede la cri minalizzazione degli atti sessuali “non consensuali” e chiarisce che il consen so deve essere liberamente dato e pre cedente agli atti in questione. Solo la soluzione del “sì vuol dire sì” lo garan tisce. È bene sottolineare che toccherà comunque al procuratore e alla vitti ma che non ha espresso il consenso portare le prove del reato».

Tornando al tema della crescita delle violenze a sfondo sessuale nel nostro Paese, Bertani sottolinea un aspetto inquietante: «Notiamo so prattutto un aumento di casi tra i giovani. Il trend evidenzia un gros so problema di educazione. Si discu

te spesso di cosa devono fare le don ne per proteggersi. Meno energia è investita nello spiegare ai ragazzi cos’è l’intimità, il rispetto della vo lontà dell’altra e che la violenza non è mai una via. Inoltre l’accesso pre coce alla pornografia può creare dan ni devastanti sulla psiche dei bambi ni che confondono quelle immagini con la realtà. Gli adulti – sia a ca sa sia a scuola – devono prendersi il tempo di spiegare e di accompagnare i più giovani attraverso un percorso di consapevolezza».

Consapevolezza che può aiuta re anche le vittime che faticano a de nunciare. Vediamo il perché. «Prima di tutto non sono cose facili da di re», osserva la nostra interlocutrice. «Bisogna raccontare un fatto intimo e terribile a degli sconosciuti, agen ti, procuratori ecc. C’è il forte senso di vergogna, il sentirsi colpevoli, che aumentano se la vittima ha bevuto, è uscita sola ecc. È un meccanismo per verso e naturale: la vittima si chiede se ha in un qualche modo contribu ito al precipitare della situazione an che se non c’è nessuna giustificazio ne alla violenza. C’è poi chi non parla perché vuole dimenticare. Ma sono traumi che non si scordano e ti con dizionano la vita». Anche l’idea che l'autore rischi poco non aiuta, aggiun giamo noi. Per uno stupro da uno a 10 anni di carcere; nel caso di coazione sessuale è prevista una pena detenti va sino a 10 anni o una pena pecunia ria. Ma raramente il giudice infligge i massimi previsti dalla legge e talvolta l’aggressore si ritrova dopo pochi me si a piede libero.

Bertani si auspica che nelle inda gini relative a reati sessuali le autori tà di perseguimento penale pongano sempre più l’accento sul comporta mento del presunto colpevole e non su quello della presunta vittima. «Già tanto è stato fatto per agevolare l’iter di denuncia ed evitare la vittimizza zione secondaria, pensiamo ad esem pio alla sensibilizzazione degli agenti e alla possibilità di ricorrere ad audi zioni videoregistrate. L’attenzione sul fenomeno è aumentata in generale e tutti ammettono che essere vittima di violenza sessuale genera enormi, du rature sofferenze. C’è stata insomma un’evoluzione della mentalità. Ades so si tratta di adeguare ai tempi delle norme ormai superate».

Corsi e sport per «over 60»

Sono riprese le attività di movimento e i corsi in tutto il Cantone.

Tutte le proposte (anche le attività di tipo conviviale organizzate dai nostri Centri diurni) sono consultabili nel dettaglio attraverso il nostro sito internet.

Inaugurazione Centro diurno socio-assistenziale di Ascona

Si terrà il prossimo martedì 6 dicembre l’inaugurazione ufficiale del Centro diurno di Ascona.

A partire dalle ore 14.00 (parte ufficiale con i discorsi di rito) il Centro sarà aperto a tutta la popolazione, vi sarà un mercatino e sarà previsto l’arrivo di San Nicolao per un dono ai più piccoli.

Il Centro diurno si trova presso il complesso San Clemente, in Via Ferrera 24. Non mancate!

Conferenza: l’attività fisica nella 3a età. Consigli pratici

Martedì 15 novembre 2022 dalle 14.00 alle 15.30 ca. Presso la sala multiuso scuole elementari di Breganzona.

Un esperto spiegherà l’importanza di fare del movimento e fornirà consigli pratici. Seguirà una merenda offerta dal gruppo Atte di Breganzona.

L’evento è promosso dal Programma d’azione cantonale «Promozione della salute»

informa Contatto

Pro

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Il 25 novembre è la Giornata internazionale contro la violenza nei confronti delle donne. Gli slogan dello scorso anno: «Infrangete il tabù», «Ti crediamo», «Ne abbiamo abbastanza». (Keystone)
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Trent’anni dopo il no popolare allo Spazio economico europeo (6.12.1992) e 18 mesi dopo l’affossamento da par te del Consiglio federale del proget to di accordo istituzionale negoziato con l’Ue (26.5.2021), le relazioni tra la Svizzera e l’Unione europea sono praticamente congelate. Il nostro Pa ese è stato escluso da «Horizon Eu rope», il programma europeo per la ricerca e l’innovazione per il perio do 2021-2027. Gli accordi bilaterali conclusi fin ora sono ancora in vigore, ma vengono attualizzati soltanto se è nell’interesse dell’Unione, e possibili nuovi accordi bilaterali non vengono neanche presi in considerazione. Un recente segnale del raffreddamento bilaterale è stato il rinvio alle calen de greche delle conclusioni degli Stati dell’Ue sulla Svizzera. Trattasi di una sorta di valutazione che avviene ogni due anni, attraverso la quale i Paesi membri danno la linea politica alla Commissione europea. Quest’anno queste conclusioni sulla Svizzera non sono avvenute, probabilmente a cau sa dell’opposizione della stessa Com missione e della Francia, ma sicura mente perché non sono stati realizzati progressi nella ricerca di un’intesa tra le due parti.

Quali sono i dossier che sono al centro delle divergenze tra le due par ti? Sono praticamente gli stessi osta coli che hanno spinto il Consiglio fe derale, nel maggio 2021, a rinunciare al progetto di accordo istituzionale. Vi è la ripresa dinamica del diritto europeo. La Svizzera dovrebbe inse rire negli accordi bilaterali gli ulterio ri sviluppi della legislazione europea. Chiede però di poter difendere e sal vare gli strumenti della democrazia diretta, come per esempio il referen dum. Vi è l’iter che converrebbe se guire per risolvere i conflitti che sor gono nell’applicazione degli accordi bilaterali. In questo ambito, l’Unio ne europea chiede che nei casi in cui viene applicato il diritto europeo si faccia ricorso alla Corte di giustizia europea. Vi sono poi due settori sui quali si è ampiamente discusso an che nei media, ossia la protezione dei salari e la direttiva sulla cittadinanza europea. Nel primo caso, la Svizze ra vorrebbe rimanere autonoma nel la gestione della protezione dei sa lari, al fine di impedire varie forme di dumping. I sindacati difendono a denti stretti questa autonomia. L’U nione europea, invece, vorrebbe che venissero applicate le norme europee e, in particolare, che venisse ridotta la regola degli otto giorni, imposta alle aziende europee costrette ad annun ciare con anticipo i lavori che svolge ranno in Svizzera. Nel secondo ca so, quello della cittadinanza europea, Bruxelles chiede che i cittadini euro pei possano accedere agli aiuti socia li senza alcun limite, quando hanno perso il lavoro dopo un anno di atti vità. Berna teme che questa possibi lità aumenti in modo sconsiderato il ricorso alle prestazioni sociali da par te dei cittadini europei. A questi dos sier centrali conviene poi aggiungere anche gli aiuti statali, che l’Unione europea vuole sopprimere, perché ri tiene che alterino la concorrenza, ma che i Cantoni vedono di buon oc chio, viste le garanzie statali offerte alle banche cantonali. Da ultimo, il dossier con la conflittualità forse più bassa, quello del contributo svizzero all’Unione europea. Bruxelles vede

questo contributo come una tassa da pagare per poter entrare nel mercato unico. Si attendono dunque dei con tributi periodici regolari. Quest’an no la Svizzera ha deciso di versare un secondo contributo di 1,3 miliardi di franchi, destinato a ridurre le dispari tà economiche e sociali in seno all’Ue, e Berna non si è dichiarata contraria a prendere in considerazione, in futuro, eventuali cambiamenti.

Di fronte a questa lunga lista di divergenze, le due parti hanno in trapreso ben poco e non hanno ma nifestato importanti segnali di voler trovare un accordo in tempi brevi. L’Unione europea continua a chie dere alla Svizzera di proporre solu zioni ai principali dossier e si rifiu ta di compiere gesti distensivi che potrebbero riavvicinare le due parti, come per esempio l’associazione del la Svizzera ai programmi di ricerca «Horizon Europe». Dal canto suo, il Consiglio federale, pur attribuen do molto valore agli accordi bilaterali con l’Ue, non è ancora riuscito a far convergere i Cantoni, i partiti, le as sociazioni professionali e i sindacati su una posizione negoziale comune, e ha affidato una missione esplorativa alla segretaria di stato Livia Leu. Il primo colloquio esplorativo tra la si gnora Leu e i funzionari della Com missione europea è avvenuto in feb braio. Il sesto colloquio era previsto per l’11 novembre. Fino ad ora que ste discussioni preparatorie non han no registrato nessun progresso. Negli ultimi giorni, però, alcuni organi di stampa, citando fonti non precisate, hanno annunciato come imminen te una possibile svolta, ossia una di chiarazione comune che aprirebbe la porta a un futuro negoziato bilatera le. Visto quanto è successo fin ora, sa rebbe ovviamente una sorpresa, che troverebbe una positiva accoglienza sia in Svizzera sia nella maggior par te dei paesi membri dell’Ue.

Per convincere le due parti a trat tare, non sono mancate le pressio ni. Sul piano interno, si è cercato di far pressione a livello parlamentare, per costringere il Consiglio federale a trattare con l’Ue e si stanno prepa rando iniziative popolari che ricerca no lo stesso obiettivo e che dovrebbe ro essere lanciate nei prossimi mesi. Anche alcuni partiti politici si sono mossi nella stessa direzione, come per esempio il partito socialista che, recentemente, ha proposto addirit tura l’adesione della Svizzera all’Ue. Un’adesione da raggiungere, pas sando attraverso alcune fasi succes sive come l’associazione e una legge sull’Europa. Sul piano internaziona le, la pressione sulla Commissione europea c’è stata, ma è risultata mol to contenuta. Il maggior sostegno alla Svizzera è venuto dalla Germania. Il ministro dell’economia tedesco, Ro bert Habeck, e il ministro-presiden te del Baden-Württemberg, Winfri ed Kretschmann, hanno sottolineato l’importanza della Svizzera in Euro pa e si sono espressi pubblicamente in favore dell’associazione della Confe derazione al programma «Horizon Europe». E un altro sostegno è arri vato anche da alcuni parlamentari eu ropei che, in ottobre, si sono espressi a favore di un accordo tra l’Ue e la Sviz zera, dopo un incontro con una dele gazione parlamentare elvetica.

Se la situazione attuale non re gistrerà sostanziali cambiamenti, i

tempi disponibili per avviare un nuo vo negoziato bilaterale diventeranno sempre più ristretti. Fra meno di un anno, il 22 ottobre 2023, si svolge ranno le elezioni federali e nel 2024 verranno rinnovati la Commissione

europea e il parlamento europeo. So no appuntamenti preceduti da lunghe campagne elettorali, durante le quali le svolte diplomatiche non sono all’or dine del giorno. L’attesa rischia quin di di prolungarsi. Se non si troverà

presto una via d’uscita, il dossier ri schia di rimanere in sospeso per mol to tempo e di finire poi nelle mani di una nuova compagine che verrà crea ta, dopo le elezioni, sia a Berna sia a Bruxelles.

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Fra Berna e Bruxelles relazioni cristallizzate Svizzera-Ue ◆ Un anno e mezzo dopo la rinuncia a un accordo istituzionale da parte elvetica non c’è ancora un negoziato concreto per superare l’impasse, ma soltanto degli incontri esplorativi a livello di tecnici e ambasciatori
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Tortilla dolci alle mele

Preparazione:

1. Tritare le mandorle in pezzi grossi con un coltello o un piccolo frullatore. Sbucciare le mele, tagliarle in quarti e rimuovere il torsolo. Tagliare quindi i quarti di mela a fette sottili, possibilmente con l’aiuto di un’affettaverdure.

2. Stendere le Pancho Villa™ Soft Tortillas sul piano di lavoro e spalmare generosamente un cucchiaio di crema di torrone alle noci su metà di ogni tortilla. A questo punto, ricoprire la tortilla con le mandorle tritate e le fette di mela. Piegare ogni tortilla a metà e premere bene le due estremità.

3. Scaldare una padella antiaderente. Una volta calda, mettere due delle tortillas piegate all’interno e scaldare, con il coperchio, a fuoco medio per 2 minuti. A questo punto, girare con cautela con l’aiuto di due spatole e scaldare per altri 2 minuti, con il coperchio. Per ottenere un risultato simile a quello della griglia, scottare le tortillas per pochi secondi a fuoco vivo senza coperchio. Ripetere l’operazione con le altre due tortillas. Tagliare le tortillas in due parti per servirle. Da gustare ancora calde!

4 Pancho
Tortillas a scelta (Regular, Big o Mini Tortillas) • 4 mele
4
torrone di noci • 60 g di
intere pelate
Ingredienti •
Villa™
cucchiai abbondanti di crema al
mandorle

Orelli giocoso recensore

Un volume uscito per Casagrande racconta la gioia di Giovanni Orelli per i classici e la sua cifra recensoria

Pagina 41

Richard Avedon a Milano

Un’ imperdibile mostra a Palazzo Reale omaggia l’arte e lo sguardo del fotografo americano

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L’amore che fa volare sopra ogni cosa

Mostra ◆ La Fondazione Braglia espone le litografie con le quali Marc Chagall ha illustrato il romanzo pastorale Dafni e Cloe. Un tripudio di colori e di emozioni in mostra fino al 18 dicembre

Alessia Brughera

Taylor Swift sempre più pop

Il suo nuovo album Midnights ha mandato in tilt Spotify e scalato tutte le classifiche in poche ore

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Processo Galileo al LAC Applausi per lo spettacolo dedicato al padre della scienza moderna con una grande Milvia Marigliano

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Sono i primi anni Cinquanta quan do l’editore francese Tériade propone a Marc Chagall l’ambizioso proget to di illustrare con alcune litografie a colori il romanzo bucolico dal titolo Dafni e Cloe. Il testo, scritto intorno al III secolo d.C. dal greco Longo So fista, autore della cui biografia non si conosce praticamente nulla, narra le vicende di due giovinetti che, abban donati da piccoli dai rispettivi geni tori sull’isola di Lesbo, vengono sal vati e allevati dai pastori del luogo. I due crescono insieme, trascorrendo serenamente la loro vita di campagna e scoprendo pian piano un ingenuo e spontaneo sentimento reciproco d’a more, coronato alla fine dall’imman cabile unione matrimoniale.

Il racconto appartiene a quelle sto rie così universali da non tramonta re mai, tanto che l’opera influenzerà nei secoli a venire il cosiddetto «ge nere letterario pastorale», ponendosi come una sorta di prototipo dei ro manzi ambientati in un contesto ru rale. Non a caso Goethe lo aveva de finito «un documento di alta poesia e di alta cultura», poiché, colmo di cita zioni e allusioni alla letteratura antica e alle leggende, descriveva alla perfe zione un mondo arcadico e idilliaco sullo sfondo del quale due adolescenti conoscono le gioie dell’eros.

Come avrebbe potuto, dunque, Chagall, rifiutare di trasporre in arte questa delicata fiaba d’amore? Proprio lui che dell’amore aveva fatto l’essen za stessa della sua esistenza, decan tandolo di continuo nelle sue opere? «Mai nessuno è sfuggito o sfuggirà all’amore, almeno finché esisteran no la bellezza e gli occhi per guardar la», scrive Longo Sofista nel proemio di Dafni e Cloe. Anche per Chagall è così: prima Bella Rosenfeld, con cui il pittore rimane sposato per trent’an ni, poi Virginia Haggard McNeil e Vava Brodsky lo accompagnano in quel viaggio nell’universo dell’affetto e della passione che riesce a «far arde re e volare» l’uomo.

Particolarmente sensibile a que sto racconto scritto quasi duemila an ni fa, il grande artista russo accetta di buon grado la proposta di illustrarlo, trasformando le vicende favoleggian ti di Dafni e Cloe in visioni evocati ve che mescolano il fascino del pae saggio greco, fatto di boschi sacri, di grotte misteriose, di cieli infiniti e di

acque cristalline, all’erotismo quasi magico dei protagonisti.

E per cogliere appieno le sugge stioni del romanzo, Chagall decide di recarsi in Grecia, lasciando che i pro pri occhi possano ammirare gli stessi luoghi della narrazione. Vi soggiorna nel 1952 e poi ancora nel 1954. Ne ri mane affascinato e si lascia ispirare dai colori, dalla natura, dai monumenti e dalla storia di questa terra, riportando con sé ricordi e impressioni indelebili da trasferire nelle sue litografie.

Quando inizia a lavorare al pro getto per Dafni e Cloe Chagall ha più di sessant’anni e ha già maturato una notevole esperienza anche nel campo della grafica. La litografia è a lui mol to cara perché gli offre la libertà cre ativa di giocare con l’intensità delle cromie. Ecco allora che l’idea di re alizzare un’opera così importante con questa tecnica lo riempie di felicità. D’altra parte già dal 1950 l’artista fre quenta assiduamente la bottega pari gina di Fernand Mourlot, il più rino mato studio per la stampa litografica del secondo dopoguerra, dove figure quali Matisse, Braque, Léger e Picas so erano di casa. «Fin dalla mia pri ma giovinezza, da quando ho inizia to a usare la matita, ho cercato quel qualcosa che potesse diffondersi come un grande flusso verso lidi sconosciuti e seducenti. Quando tenevo in mano una pietra litografica o una lastra di rame pensavo di toccare un talisma no. Mi sembrava di poterci mettere dentro tutte le mie gioie e i miei dolo ri», scrive Chagall nel 1960.

Il raffinato e pregevole risulta to che l’artista qui riesce a raggiun gere è visibile in questo periodo negli spazi della Fondazione Anna e Ga briele Braglia di Lugano, dove sono esposte le quarantadue illustrazioni a cui Chagall lavora con dedizione per quasi quattro anni e che rappresenta no il vertice della sua produzione gra fica nonché uno dei cicli grafici più suggestivi e poetici del XX secolo.

Dell’edizione limitata di duecen tocinquanta copie, a cui si aggiun gono altre venti copie di pregio, tutte pubblicate nel 1961, l’esemplare pre sentato in mostra è quello che l’arti sta regala a Charles Sorlier, il suo fi dato stampatore, dedicandolo a lui e alla moglie Pierrette e decorandolo con alcuni disegni. Sorlier conosce Chagall nel 1950 proprio nella botte

ga di Mourlot e da quel momento ne diventa amico e prezioso collaborato re, partecipando al processo di realiz zazione di tutte le litografie del mae stro russo.

Seguendo la storia di Longo Sofi sta il più fedelmente possibile, Cha gall dà vita a opere cariche di emo zioni pure in cui le vicende amorose dei due giovani vengono scandite dal succedersi delle stagioni. L’atmosfe ra è sempre pregna di tensione ero tica, mai ostentata o volgare (Chagall non potrebbe mai farlo), bensì evocata e ricondotta, anche negli episodi più espliciti, alla dimensione del sogno.

Nel racconto l’amore è scoperta, sorpresa, pudore, struggimento, sen sualità, desiderio e infine appagamen to: allo stesso modo, nelle sue illustra zioni Chagall lo declina in scene ora delicate e dalla dolcezza soffusa ora più intense e appassionate. Il tutto orchestrato, ovviamente, dal colore, capace di farsi più leggero e frugale in opere quali Chloé o di deflagrare in tutta la sua potenza in lavori qua

li À midi, l’été. Per capire la ricchez za cromatica di queste litografie basta pensare che Chagall sperimenta fino a venticinque colori per riuscire a ot tenere il grado di brillantezza e di lu minosità da lui desiderato. In un gio co basato sul contrasto tra toni caldi e freddi, le composizioni sono un’e splosione di tinte cangianti che col gono e riproducono alla perfezione le ambientazioni del romanzo di Lon go Sofista.

Chagall non manca poi di inserire nelle litografie quel repertorio di im magini che fa parte del suo universo pittorico: personaggi, animali (il gal lo o la mucca, ad esempio), creature e simboli che si fanno ambasciatori di significati metaforici. È così che l’artista mette in scena una narrazio ne intrisa di ricordi e di sogni con un senso di stupore mai sopito nei con fronti dell’esistenza.

La continuità tra produzione gra fica e pittorica ben si coglie nella ras segna luganese grazie alla presenza di dipinti, acquerelli e disegni, tutti

subli mano la realtà nello spazio dell’ope ra in colori vividi e in forme oniriche. Osservando la fiabesca gouache Le traineau au clair de lune del 1959, en trata di recente a far parte della rac colta Braglia, vengono alla mente le parole del poeta austriaco Theodor Däubler, che aveva descritto Chagall utilizzando la straordinaria definizio ne di «fanciullo cosmico»: colui che con candore ha saputo rappresentare l’anima del mondo come una favola.

Dove e quando Marc Chagall. Una storia d’amore. «Dafni e Cloe» e altre opere. Fondazione Gabriele e Anna Braglia, Lugano. Fino al 18 dicembre 2022. Orari: gio, ve e sa 10.00-12.45 / 14.00-18.30. www.fondazionebraglia.ch

CULTURA ● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 14 novembre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino 39
provenienti da collezioni private, che si alternano al ciclo dedicato a Daf ni e Cloe. Anche qui Chagall raffigura mirabili allegorie (dove mai mancano i richiami alla cultura ebraica e alla tradizione popolare russa) che Marc Chagall, Les fleurs saccagés, 1960-61, litografia, Rosemarie und Andreas Nolting Stiftung. (© 2022, ProLitteris, Zürich)
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Keystone

Caro Proust, mi hai cambiato la vita

Pubblicazione/2 ◆ Alessandro Piperno nel suo nuovo libro ci racconta l’autore della Recherche scomparso nel novembre di cent’anni fa

La gioia di Orelli per i classici

Nelle sue recensioni, Giovanni Orelli (nella foto) ha inventato i link prima di internet: ogni cosa rimanda ad al tro e quest’altro ad altro ancora, qua si all’infinito. Il suo modo di proce dere è per connessioni orizzontali e verticali. Ne sa qualcosa il lettore di «Azione» che per tanti anni, dal 1976 al 2016, ha potuto leggere i suoi inter venti in rubriche varie. Pietro Mon torfani ha offerto un quadro completo dell’attività recensoria di Orelli in un saggio consegnato agli Atti del con vegno di Berna del dicembre 2018. Ora cura una selezione di contribu ti giornalistici (sempre destinati ad «Azione») relativi ai classici (La gioia dei classici. Letture e consigli di un lettore vorace, Casagrande). E lo fa mettendo in evidenza, nell’introduzione, alcuni aspetti fondamentali dello stile-Orel li: i grandi libri del passato remoto e recente vengono concepiti «come un metodo di lavoro, una pedagogia del la lettura dalla quale trarre insegna menti anche per mezzo di accosta menti arditi».

Ecco subito le parole chiave: «pe dagogia» e coraggio dell’accostamen to. Orelli non è un recensore analitico ma soggettivo e giocosamente desul torio. Niente di sistematico: parte da dove vuole per arrivare dove vuole e dove nessuno avrebbe mai pensa to (forse neanche lui). Non rispetta quelle che un maestro-recensore co me Giovanni Raboni considerava le esigenze necessarie e sufficienti per ché una recensione fosse una recen sione: il cosa, il come e il perché. In somma, la descrizione, l’analisi e il giudizio. A differenza dell’Orelli per tanti anni giurato del premio Bagut ta, estensore di schedine puntuali sui libri concorrenti, l’Orelli «proposi tore» di classici non si preoccupa di nulla, se non di «divertire», in senso etimologico, il lettore: infatti lo pren de per mano accompagnandolo per divagazioni e scorribande tutte sue. E queste divagazioni si propongono di divertire, appunto, con coraggio (è il piacere autentico di leggere) e in sieme di insegnare, affondando d’im

provviso verticalmente dentro una frase, dentro una rima, dentro il suo no di una parola, dentro una variante o dentro un’interpretazione discussa (Orelli ha anche una attenzione fi lologica al testo). Ritornano dunque le parole chiave, che però non vanno mai separate.

Al Liceo Carlo Cattaneo di Luga no, Orelli è stato un magnifico inse gnante (può dirlo a buona ragione chi ne è stato allievo), tra i rarissimi che ti catturano magneticamente, con la voce e con gli argomenti, per una sua attitudine o vocazione naturale non necessariamente affabile o amiche volmente giovanilista, anzi a volte vagamente arcigna e severa. E qui, nelle sue divagazioni su Rabelais, su Goethe, su Dante, su Montaigne, su Tolstoj, su Shakespeare, su Racine (e Piero Bianconi), su Leopardi, su Era smo eccetera eccetera, il suo talento pedagogico viene fuori al meglio. In ogni intervento sembra di esser den tro a una sua lezione, e per chi l’ha conosciuto e ascoltato, insieme con i lampi di intelligenza affiora quasi la grana della sua voce. La preoccupa zione costante è la scuola, ovvero la possibilità di far amare (ai ragazzi, ma anche agli adulti) la lettura e in particolare quella dei (noiosissimi?) classici fissando la punta del grimal dello nel cuore di un verso, di un con cetto, di un’immagine per aprire una breccia di curiosità (la metafora è sua: proviene da una bellissima intervista di Michele Fazioli).

A un certo punto Orelli si chiede quanto valga la pena insistere in classe su quelle «prediche barbose» che so no le biografie degli autori. Doman da retorica. Perché ci sono anche delle porticine laterali che sono più capa ci di aprirci alla sorpresa di una vi ta o di una personalità. Per avvicinare Leopardi si può passare per le lette re al padre o, meglio ancora, al fra tello Carlo. Per accostarsi a Goethe si può sempre accennare al turista gau dente a Roma. Per entrare nel magico (?) mondo di Machiavelli c’è sempre la possibilità di aprire le ricchissime

epistole, senza soffermarsi necessaria mente su quella in cui da Verona il fi losofo-politico racconta a un amico le sue disavventure erotiche.

Nessun bisogno di fare i furbi, ba sta deviare leggermente (e allegra mente) dai binari soliti imposti dai manuali. E una volta usato il grimal dello, mai dimenticare la fatica di af frontare la grammatica, lo stile (uno dei saggisti più citati da Orelli è Leo Spitzer), la metrica. Magari, però, passando per il sentiero impervio (ma appassionante) di una traduzio ne, perché dalla traduzione emerge, come da una cartina di tornasole, la sostanza profonda dell’originale (oltre alla qualità del traduttore): per questo Orelli ne scrive spesso.

Quanto agli accostamenti arditi, amati da Orelli con citazioni e riman di da funambolo divertito e onnivoro, per trovarne si può aprire a caso il libro e seguire, per esempio, il ragionamen to su Goethe, partendo da Francesco Chiesa e Piero Bianconi, passando per Giorgio Manganelli e arrivando a Carducci, proclamato vincitore «al fo tofinish» come traduttore del Faust. E se non vi basta, da lì si può ripartire per aprire il link di Giorgio (Orelli), poi di Citati, poi di Proust, con una bellissi ma citazione: «Toh, hai messo gli oc chi del colore della tua cintura». E si potrebbe dire a Proust e a tanti autori evocati dal critico desultorio: «Toh, hai scritto una frase perfetta per essere ci tata in una recensione di Orelli».

«È di lui che vorrei parlarvi. Della sua centralità nella vita di tanta gen te come me, di come ha contribuito a cambiarcela, ma anche di come è riuscito ad avvelenarla ben benino. Perché occorre esserne consapevo li, quando ti entra dentro non ti la scia più in pace». Chi è capace di tan to è Marcel Proust. È di lui che ci parla Alessandro Piperno (scrittore e docente di letteratura francese pres so l’Università di Roma Tor Vergata) nel recente Proust senza tempo, un li bro in due parti, di cui la prima s’in titola Breve storia di una lunga fedeltà: una storia che ha inizio quando Pi perno ha diciassette anni (ora ne ha cinquanta), e un compagno di liceo, per Natale, gli regala il primo volume della Recherche tradotto da Giovanni Raboni per i Meridiani Mondadori. A conquistare il giovane lettore è la particolare natura dell’io narran te: «era il contrario dell’uomo d’azio ne», e «aveva un modo tutto suo – un modo davvero elegante – di esercitare la nobile arte dell’autodenigrazione» (arte in cui Piperno si esercita nel ca pitolo intitolato Siamo tutti Madame Verdurin). Ma «come poteva un’ope ra tanto intima […] scatenare in me una così bizzarra identificazione?» È una domanda alla quale Piperno non ha ancora saputo dare una rispo sta, ragion per cui non gli resta che «chiamare in causa lo stile» della pro

per la vita di Marcel una schizzinosa indifferenza».

La diffusione del «mito Proust» (quello «che si compiace di dividere in due la vita di Marcel: da una lato gli anni giovanili, distinti da monda nità e dissipazione; dall’altro gli anni della maturità, consacrati a silenzio, tenebre, dinieghi e lavoro») fu peral tro opera, in parte, dello stesso Proust (si considerino, ad esempio, «le lun ghe anticamere cui, segregato nella sua stanza, costringeva i visitatori che venivano a omaggiarlo il pomeriggio inoltrato»). Insomma, è stato Proust per primo a creare «una simbiosi tan to losca quanto inossidabile tra arte e biografia».

Oggi, considerando «il prolifera re degli studi multiculturali e di ge nere», Piperno teme che la Recherche venga giudicata «un’opera pericolosa, se non addirittura immonda», e che il trionfo delle «anime belle» (incapaci di comprendere come «lo sguardo lu cido e disincantato» dello scrittore ne faccia, al contrario, «un’opera di mo ralità inflessibile») possa cancellarla dai programmi universitari, contri buendo così a ridurre gli studi uma nistici a «succursale dell’impegno ci vile». Qui devo fermarmi, tacendo fra l’altro l’identikit che Piperno dise gna del proustiano perfetto (idolatra, snob, sentimentale), e un elemento, «l’idea di morte», che col trascorrere del tempo è venuto ad aggiungersi al processo di identificazione con l’au tore prediletto. Devo fermarmi per dire che la seconda parte del libro è composta da sette brevi saggi, in cui Piperno tratta delle affinità e delle differenze evidenziabili tra Proust e sette scrittori eminenti: Montaigne, Céline, Nabokov, Balzac, Dante, Vir ginia Woolf, Philip Roth.

Mi limiterò a elencare molto suc cintamente alcune delle affinità più o meno manifeste tra Proust e Dan te. Come scrive Gianfranco Conti ni, nell’io dantesco (la prima persona singolare usata dal poeta) convergo no «l’uomo in generale» e «l’indivi duo storico», «l’Io trascendentale» e «l’io esistenziale»; lo stesso si può dire dell’io proustiano. A questi due nar ratori, dice Piperno, si deve aggiun gere una terza figura: quella che fa della Recherche un’opera sapienziale.

sa proustiana: una prosa dal fraseggio «lento, suadente, lussureggiante», una prosa «ricca, complessa, accattivante, da gustare rigorosamente col pensie ro, perché se provi a sillabarla», ac centuatamente ipotattica com’è, «ti toglie il fiato».

Copie in regalo con «Azione»

Ai suoi lettori e alle sue lettrici «Azio ne» regala alcune copie del volume La gioia dei classici. Letture e consi gli di un lettore vorace (Casagrande). Per partecipare scrivete una mail a giochi@azione.ch (oggetto «Orelli») indicando i vostri dati (nome, cogno me, indirizzo, numero di telefono), entro domenica 20 novembre.

Ma chi era Marcel Proust? Secon do Piperno, se l’autore della Recher che invita a distinguere nettamente l’opera dalla vita, non lo fa per ra gioni artistiche, ma per «tenere i fic canaso a debita distanza dagli affari suoi […] Non era fiero di sé. Tut to qui». Pur deplorando la curiosi tà morbosa che spinge taluni lettori e studiosi a rovistare nella biografia dello scrittore, e ribadendo che non è lecito «sovrapporre in modo pedis sequo Narratore e Autore», Piperno disapprova «l’atteggiamento di chi, per snobismo o partito preso (è il ca so di Nabokov e di Barthes) ostenta

Sia Dante che Proust possono dirsi fondatori di due religioni letterarie: «leggerli è al tempo stesso un piace re, una fatica e un atto devozionale». Sia il Poeta che il Narratore si prefig gono «di intraprendere un iter di sal vezza». Swann è il Virgilio di Proust. La «selva oscura» in cui si aggira il Poeta smarrito è in qualche misura assimilabile alla camera dove giace tra veglia e sonno il Narratore, nelle pagine iniziali della Recherche. Scri ve Osip Mandel’štam: «l’intero poe ma dantesco è un’intera strofa, uni ca e indivisibile». Secondo Piperno, «anche la Recherche si configura come un’unica incessante frase». Sia Dan te che Proust utilizzano la letteratura per vendicarsi: si veda ad esempio co me infieriscono su Filippo Argenti e Monsieur d’Argencourt.

Milano, 2022.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 14 novembre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino CULTURA 41
Pubblicazione/1 ◆ Per Casagrande è uscita una raccolta dei testi del poeta e scrittore ticinese pubblicati su «Azione» dal 1976 al 2016 Giovanni Bibliografia Alessandro Piperno, Proust senza tempo, Mondadori, Ritratto di Marcel Proust, JacquesÉmile Blanche, olio su tela, Musée d'Orsay. (Wikipedia)

I volti e le storie negli scatti di Richard Avedon

Fotografia

◆ A Palazzo Reale una mostra rende omaggio al maestro americano che ha cambiato la fotografia

Un grande ritorno, quello di Richard Avedon a Milano. Ventisette anni do po la prima mostra, Palazzo Reale gli dedica una straordinaria esposizio ne, Relationships. Centosei immagi ni che scandiscono una carriera lunga più di sessant’anni: gli esordi nel 1942, quando, arruolato nella Marina Mer cantile, con la sua Rolleiflex ritrarrà più di centomila volti, le foto di moda per «Harper’s Bazaar» e «Vogue», i ri tratti di personalità celebri e di gente comune. E poi le collaborazioni con gli stilisti più importanti degli anni Ottanta e Novanta del secolo scor so e, infine, i progetti eccentrici co me In the American West. Le foto pro vengono dalla collezione del Center for Creative Photography di Tucson e dalla Richard Avedon Foundation. Il percorso espositivo, articolato in dieci sezioni, si impernia intorno ai due nu clei più importanti della sua ricerca: la fotografia di moda e la ritrattistica.

«I miei ritratti riguardano più me stesso che le persone fotografate» si legge su uno dei pannelli che illustra no le sezioni della mostra. Diffici le dire che cosa sia stata la fotografia per Avedon, probabilmente un mezzo per capire sé e la realtà, anche quella più nascosta. Un mezzo che porta a vedere qualcosa fuori da sé, qualco sa con cui si entra in relazione e che dà piacere, e che alla fine riconduce a sé in una circolarità esperienziale e di significato.

Il 1960 rappresenta uno spartiac que nello stile delle sue foto di mo da. Le foto giovanili sono scattate più spesso in studio e le modelle, in po se dinamiche, sono interpreti di una narrazione quasi cinematografica. In Carmen, Omaggio a Munkácsi (1957) la figura femminile, colta a metà di un salto, è al centro dell’inquadratu

ra. La foto è un omaggio al grande fo tografo ungherese Martin Munkácsi, che aveva cominciato la sua carriera come reporter sportivo, a cui Avedon deve la sensibilità nel catturare le im magini in movimento, trasferita poi alla fotografia di moda.

Dopo il 1960 Avedon si concentra esclusivamente sulle modelle, utiliz zando spesso uno sfondo neutro e non rinunciando al dinamismo della po sa. Jean Shrimpton in abito da sera Car din (1970) è una citazione di Umberto Boccioni, chissà se consapevole o me no, e delle sue Forme uniche della con tinuità dello spazio. La silhouette della modella, avvolta nell’abito in movi mento, diventa forma nello spazio.

I ritratti di Avedon hanno una cifra stilistica particolare, che pre dilige lo sfondo bianco, che toglie, eliminando possibili elementi di di strazione e al contempo dà, enfatiz zando la posa, il gesto, l’espressione. I soggetti occupano quasi tutta l’inqua dratura, hanno poco vuoto intorno a sé. I volti sono spesso ripresi a una di stanza minima, che restituisce a chi li guarda un osservatorio privilegiato, solitamente riservato agli amici e al le persone più vicine. Straordinaria la selezione dei soggetti fotografati: ce lebrità del mondo dello spettacolo, politici, scrittori, musicisti, attivisti per i diritti civili, persone comuni.

Avedon ebbe modo di fotografa re alcuni soggetti a distanza di anni, come il pittore Jasper Johns nel 1965 e nel 1976 o Truman Capote, che in contrò per la prima volta nel 1949 e con il quale collaborò in occasione del suo primo libro di immagini Ob servations. Delle due foto esposte in mostra, la prima, del 1955, ci restitu isce lo scrittore a trentun anni, occhi chiusi, le mani dietro la schiena, il ca

po leggermente reclinato: il ritratto di una giovinezza vulnerabile. La secon da foto è del 1974, e nulla o quasi è rimasto del giovane di vent’anni pri ma: lo sguardo è lontano, disincantato

e Avedon si focalizza sulla testa del lo scrittore, che campeggia al centro dell’inquadratura.

Infine c’è l’Avedon dei progetti ec centrici rispetto alla moda, come The

La bellezza della complessità mahleriana

Family, del 1976, realizzato per la ri vista «Rolling Stone»: un ritratto col lettivo dell’élite di potere americana nell’anno delle elezioni del bicente nario. O In the American West, realiz zato tra il 1979 e il 1985 su commis sione dell’Amon Carter Museum of American Art di Fort Worth. In que sto caso Avedon lavora a una serie di ritratti di abitanti dell’Ovest. Sceglie le persone per il potenziale espressi vo, come nel caso di Mary Watts, o il possibile ruolo nella narrazione che ha in mente. Lo sfondo bianco è lo stesso dei ritratti in studio, le loca tion sono i parcheggi, le strade, i gia cimenti petroliferi. Dal progetto, che affronta i temi della democrazia, del mito americano del successo e presen ta le persone per quello che sono do cumentandone la vita, scaturiranno un libro e una mostra itinerante, che toccherà sei città partendo proprio da Fort Worth nel 1985.

Avedon era solito dire che nelle sue foto non aveva bisogno di scandaglia re chissà quali profondità delle perso ne, come ci ricorda un altro pannel lo nelle sale del percorso espositivo: tutto è già sulla superficie delle cose e dei volti, bisogna solo saperlo vedere e dargli il giusto rilievo.

Perché, come diceva Nadar, il pri mo grande fotografo del nostro tempo, «in fotografia esistono, come in tutte le cose, delle persone che sanno vedere e altre che non sanno nemmeno guar dare». E Avedon sapeva vedere.

Dove e quando

Relationships, Richard Avedon, a cura di Rebecca Senf, Palazzo Reale, Milano. Fino al 29 gennaio 2023. Ma-me-vesa-do 10.00-19.30, gio 10.0022.30. www.avedonmilano.it

Musica ◆ Il baritono tedesco Christian Gerhaher si racconta in vista del concerto con l’OSI al LAC il 24 novembre

«Mahler, pur affrontando tragedie, aggiunge ai toni disperati sfumatu re grottesche, guizzi di humor, un po’ come fa Kafka in certe sue novelle: ci sono la risata e il sorriso che accom pagnano questo mondo di tristezza e lo rendono più comprensibile. Mah ler potrebbe essere un Kafka in mu sica: è triste, disperato, orribile, ma anche grottesco, pieno di umorismo e ciò rende le sue note enigmatiche e più interessanti».

Non si è ascoltata per intero la pri ma frase e già si capisce quanto a fon do Christian Gerhaher spinga la sua riflessione sull’universo liederistico del boemo, di cui darà saggio giovedì 24 novembre, accompagnato dall’O SI e da Markus Poschner, in sette ti toli tratti dal celeberrimo Das Knaben Wunderhorn, tra cui Das irdische Le ben, Rheinlegendchen e Wo die schönen Trompeten blasen. Il cinquantatreen ne baritono tedesco è apprezzatissimo tanto nel repertorio teatrale, in parti colare mozartiano (debuttò al Festival di Salisburgo come Papageno nello Zauberflöte) e wagneriano, quanto in quello liederistico, di cui è considerato un erede del mitico Fischer-Dieskau, nonostante all’inizio il loro rapporto fu rocambolesco: «Una volta parteci pai a una sua masterclass a Berlino e alla fine mi invitò a chiamarlo. Lo fe ci qualche tempo dopo, mi propose una data per un incontro, ma coinci

deva con un esame di medicina e de clinai; me ne indicò una seconda, ma era la stessa di un altro esame; si mise a brontolare e mi consigliò di focaliz zarmi sui miei studi universitari e pro seguire col canto solo a livello ama toriale. Sei anni dopo gli inviai una copia del mio disco dello Schwanen gesang di Schubert; mi scrisse entusia sta. Avevamo riallacciato il rapporto».

Schubert, Schumann e Mahler so no i suoi autori prediletti, ma a diffe renza dei primi due il terzo «è stato un approdo maturo, perché è difficilissi mo: ritengo che cantare Mahler sia la vetta del percorso di un cantante, dal punto di vista sia tecnico sia interpre tativo. Anche perché ci sono «tan ti Mahler» e cambia se ad accompa gnare la voce è un pianoforte, come in Schubert, o un’orchestra come quella che lui indica: una policromia dove gli strumenti si uniscono per creare tinte incredibili e la sfida per il cantante è intonare la voce a quei toni». Per ap profondire gli elementi che in Mah ler materiano il contrastante connubio tragedia-grottesco, Gerhaher premet te un’inquadratura storica: «Dobbia mo ricordarci che nell’Ottocento non era certo raro vedere i propri figli mo rire: capitò a Bach, a Goethe addirit tura sei volte. Per noi oggi è davvero arduo immedesimarci nei sentimen ti che dovevano provare quei padri e quelle madri. Io stesso sono padre

di tre figli e quando canto certi Lied mi ritrovo come sull’orlo di un abis so, di un mistero. Ebbene, Mahler le va ogni cortina davanti alle crudeltà e

Con «Azione» al LAC

«Azione» mette in palio alcuni bi glietti per il concerto di Christian Gerhaher con l’OSI in programma al LAC giovedì 24 novembre, ore 20.30. Per partecipare inviate una mail a giochi@azione.ch, oggetto «Mahler», con i vostri dati (nome, cognome, indirizzo, no. di telefono) entro domenica 20 novembre.

alle stranezze della vita, le vuol far ve dere». Compito dell’interprete è tra smettere al pubblico come Mahler lo fa: «Se guardiamo superficialmente al tessuto narrativo i suoi Lied posso no sembrare semplici, ma analizzan doli più attentamente si scopre che si intrecciano fonti letterarie e influen ze musicali diverse, messe insieme se condo un processo che definirei di pit tura moderna e concettuale: Mahler non cerca di fonderle in modo coeren te, piuttosto procede in modo fram mentato, per associazioni, quasi come fosse pittura impressionista; e in que sto è molto moderno. Era moderno anche come direttore d’orchestra: ad esempio presentava certe composizio ni ammettendo di non capirle piena mente, ma affermando che l’arte do

vesse essere sostenuta anche quando non fosse compresa».

L’audacia delle proposte e la liber tà delle scelte artistiche è un tema che appassiona Gerhaher: «Mi piace come un’arte indipendente e rischiosa qua le è la musica venga vissuta in Ger mania, in Austria e in Svizzera: viene vista come un investimento e non co me un sussidio. Questo modo di in tenderla permette di sganciarsi dalla logica del puro intrattenimento o del successo immediato, dà il coraggio di mettere in cartellone musiche non scontante; è triste osservare certe sta gioni pubblicizzare la prima sinfonia di Mahler come il titolo più audace, mentre ad esempio la sua sesta o set tima sinfonia sono ben più comples se». Come complessa è la comprensio ne dei Lied: «Il Lied non è un dramma come l’opera lirica, né una narrazione come l’Oratorio, è qualcosa di inde finibile, di illogico, grottesco: Mahler pretende di raccontare una storia, ma non lo fa mai; procede per associazioni che appaiono e si dissolvono come nu vole, pensieri che si sovrappongono ad altri, rendendone difficile la compren sione. Nel Wunderhorn c’è un dialogo tra un uomo che canta all’acuto – no te impossibili da rendere con una tin ta scura – e una donna che gli dà una risposta erotica, ma dai tratti masco lini. È illogico, grottesco, meraviglio samente mahleriano».

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Carmen (homage to Munkácsi), Parigi, Agosto 1957. (© The Richard Avedon Foundation) © Sony / Gregor Hohenberg

Taylor Swift sempre in vetta

Musica ◆ Il nuovo album Midnights è l’ennesimo trionfo discografico della cantante americana

Molto spesso vi è, da parte degli amanti di musica angloamericana, una sorta di malcelata intolleranza verso i maggiori fenomeni commerciali qua li, ad esempio, i cosiddetti «teen idol» sempre più spesso ai vertici delle clas sifiche internazionali. Eppure, un’a nalisi più attenta delle ragioni dietro al grande successo di taluni artisti o formazioni porterebbe alla luce motivi senz’altro più complessi e sfaccettati di quanto possa apparire di primo acchi to – come nel caso della statunitense Taylor Swift (classe 1989), che, dopo i promettenti esordi come country sin ger nel lontano 2006, ha letteralmente sbancato la scena pop mondiale, dive nendo nel giro degli ultimi anni una delle artiste più vendute e premiate di tutti i tempi.

Oggi, questo nuovo Midnights, de cimo lavoro dell’artista, è già un al bum da record, essendo divenuto in pochi giorni il disco più venduto del 2022 – un risultato a cui non è proba bilmente estraneo il fatto che il nuovo CD rappresenti il ritorno di Taylor al

pop più puro e radio friendly, ma an che a un progetto per molti versi di più ampio respiro e maggior profondi tà, trattandosi di un concept album che, come il titolo suggerisce, ruota attorno al tema della notte, e delle riflessioni e introspezioni che essa porta con sé.

In effetti, Midnights è un’opera dalle molte sfaccettature – a partire dall’estetica smaccatamente anni 70 che ne caratterizza copertina e packa ging, fino alle interessanti contamina zioni elettroniche, pervase dall’uso di sintetizzatori squisitamente vintage, e alle tonalità vagamente datate (si ve da, ad esempio, il sound apertamen te retrò dei delicati Sweet Nothing e Mastermind ). Il tono «elettro-pop» del disco risuona infatti evidente fin dalla traccia di apertura del CD, La vender Haze, che però suona un po’ troppo come il classico pezzo da di scoteca ben poco memorabile; anche Bejeweled e Midnight Rain (quest’ul timo inaugurato da un interessante campionamento digitale) non riesco no a convincere del tutto, principal

mente perché troppo simili a mille altri brani di impostazione easy liste ning. Molto più intriganti risultano invece Maroon, intensa ballatona ro mantica che certo farà battere il cuore di ogni fan adolescente, e l’ironico e vivace Karma, dal sapore apertamente anni 80. Ma il vero «centro perfetto» è costituito da Anti-Hero, interessante soprattutto per il testo, sorta di inti ma confessione che esplora tematiche spinose quali la depressione e il nar cisismo covert, e l’immane difficoltà a convivere con tali patologie: «sono io, ciao – sono il problema, lo sono io / tutti concordano»; una presentazio ne che, dopotutto, potrebbe calare a pennello per molti di coloro costret ti a combattere continuamente contro sofferenze di natura psichica.

Del resto, l’impressione è che l’ele mento più riuscito di questo album ri sieda proprio nella componente lirica: i testi della Swift sono qui parecchio più originali e profondi di quanto ci si potrebbe normalmente aspettare da un semplice «fenomeno da classi

fica», e mostrano un’intensità che, pur nella sua apparente semplicità e sin tesi, riesce a colpire nel segno – si ve da l’intimismo di un brano autobio grafico quale la bonus track Would’ve, Should’ve, Could’ve (disponibile nella versione extended del CD), apparen temente riferito alla relazione che la Swift intrecciò con John Mayer quan do aveva appena diciannove anni; o il sapore agrodolce di una ballata allu siva eppure liberatoria come You’re On Your Own, Kid, sorta di inno all’em powerment femminile per fanciul le infelici: «sei sola, ragazza – lo sei sempre stata / ma puoi farcela ad af frontare tutto ciò».

Del resto, il tema dell’emancipa zione femminile ritorna prepotente mente anche in un pezzo tagliente e aggressivo quale Vigilante Shit, soste nuto, tuttavia, dall’intelligente ironia che Taylor sa inserire in ogni testo; un tratto che risalta pure nella traccia di chiusura, la satirica Mastermind, e nell’agrodolce Snow On the Beach, interessante collaborazione con Lana Del Rey in cui il contributo della can tante californiana riguarda soprattut to la composizione (il duetto tra le due artiste consiste qui nella sola sovrap posizione delle voci nel coro).

Certo, l’unico vero limite di quest’album sta forse nella relativa banalità di certi arrangiamenti: di fatto, nonostante la Swift sperimenti con molteplici sonorità elettroniche, campionamenti e rimaneggiamenti digitali, raramente le melodie dei sin goli brani brillano per vera originali tà, e, forse per questo, non troppe tra esse rimangono impresse nella me moria dell’ascoltatore. Ciononostan te, l’innegabile forza evocativa delle liriche fa sì che Midnights rappresen ti uno sforzo di sicuro successo per i moltissimi fan dell’artista, i quali non potranno rimanere delusi dalla bru ciante sincerità mostrata dalla loro eroina, pronta a mettersi a nudo da vanti a loro come poche coetanee sa rebbero disposte a fare. Il che, in fon do, basterebbe a rendere questo CD memorabile, e non solo per gli ammi ratori di vecchia data di Taylor Swift.

Le maglie oscure del Castello di Barbablù

Teatro ◆ L’opera del compositore ungherese Béla Bartók è in scena a Lucerna fino al 7 dicembre

È attualmente in cartellone al Luzer ner Theater Il Castello di Barbablù di Béla Bartók, nella versione per picco la orchestra di Eberhard Kloke. Pri ma di allora, Bartók non aveva mai composto musica per il teatro. Si trat ta di una coproduzione con il Lucer ne Festival, in un’interessante mes sinscena di Anika Rutkofsky (scene e costumi di Uta Gruber-Ballehr) e per la direzione musicale di Jona than Bloxham. Il mito di Barbablù, variamente e ripetutamente raccon tato nel tempo, ha ispirato nei seco li numerosi poeti, scrittori, pittori e compositori e tra la fiaba di Charles Perrault e questo atto unico (libretto di Béla Balász, basato principalmen te su Ariane et Barbe-Bleu di Maurice Maeterlink e Paul Dukas del 1907) ci passano tre secoli.

Nell’opera di Bartók non facil mente riducibile a questa o quella formula, agiscono due soli personag gi, ma anche il luogo stesso dell’a

zione, il castello, può considerarsi personaggio-protagonista, cosa che si capisce sin dal prologo declama to da Judith (interpretata da Camil la Meneses) mentre in palcoscenico si svolgono le ultime scene dell’ope ra. La storia di denso intrico simbo lico e gravida di motivi psicologici si incentra sul personaggio comples so del Duca Barbablù (interpretato da Christian Tschelebiew), il qua le vive solo e isolato nel suo castel lo ove invita donne che poi sposa e uccide spietatamente. La sua quar ta moglie – che di nome fa sempre Judith ed è interpretata da Solenn’ Lavanant Linke – cerca di scoprire i segreti e le pieghe nascoste del suo animo: come Eva all’inizio dei tem pi, come la moglie di Lot, come El sa con Lohengrin, vuole sapere tutto di lui e lo tempesta di domande. Non solo con il suo amore, ma anche con la sua voglia di sapere, Judith, che è molto di più della donna fragile, de

Una imperdibile eclissi

Teatro ◆ Al Foce due spettacoli per i più piccoli

vota e sempre pronta al sacrificio di fronte all’uomo forte che tutto deci de, deve assolutamente capire la psi che dell’uomo che ha sposato, quasi fosse l’unico mezzo per capire an che sé stessa. Vuole perciò giungere

all’anima di Barbablù e aprire tutte le porte del suo subconscio. Sette sono le porte misteriose (da Bartók magi stralmente caratterizzate da soluzioni musicali diverse) che intende aprire per vedere che cosa nascondono, co sti quel che costi, persino se dietro si celano risposte tutt’altro che comode e piacevoli, persino se dovrà poi, co me Barbablù, scomparire nella notte.

Per la regista Anika Rutkowsky, il castello è un marchingegno, una macchina che riproduce il sistema Barbablù. Un sistema al lavoro da pri ma che il pubblico entri in teatro pro prio per sottolineare la consuetudine di certe dinamiche destinate a ripe tersi. Alcuni le accettano, altri meno e le denunciano, ma nessuno, fino a og gi è riuscito a fermare il sistema Bar bablù. Nemmeno una donna disobbe diente, curiosa, forte ed emancipata? Questa è l’annosa questione del mi to incentrato sulla curiosità e sulla di sobbedienza femminile, e il pubblico

Doppio appuntamento al Teatro Foce di Lugano dove, domenica 26 novem bre, andrà in scena Eclissi teatrale – il teatro di figura tra sogno e realtà. Il pro getto Eclissi teatrale nasce da una so vrapposizione di opposti: i corpi degli attori e delle marionette si fondono e confondono grazie alla magia del tea tro tra verità e finzione, sogno e real tà, paura e coraggio. Sono previsti due appuntamenti in una stessa giornata, dapprima con Anche il lupo ha pau ra (ore 17.30), rivolto a un pubblico a partire dai 4 anni, in serata (ore 21.00) con la performance Un’altra notte, per un pubblico a partire dai 15 anni.

Concorso

«Azione» mette in palio alcuni bi glietti per gli spettacoli Anche il lupo ha paura e Un’altra notte previsti il 26 novembre. Per partecipare all’e strazione inviare una mail a giochi@ azione.ch entro domenica 20 nov.

continuerà a porsela, anche assisten do a quest’opera dalla partitura così differenziata, densa di tensione e di invenzioni timbriche, condotta con polso fermo dal maestro Jonathan Bloxham alla guida della Luzerner Sinfonieorchester. Una partitura per grande orchestra che anche una com pagine ridotta come questa illustra adeguatamente.

Anche sul versante vocale soltanto note positive: Christian Tschelebiew interpreta magistralmente Barbablù, carnefice e vittima di sé stesso e delle sue pulsioni. Solenn’ Lavanant Lin ke e Camilla Meneses, nell’interpre tare le due diverse Judith, non sono da meno per espressività e potenza vo cale. Grato ed entusiastico l’applauso del pubblico lucernese.

Dove e quando Herzog Blaubarts Burg, Luzerner Theater. Fino al 7 dicembre 2022. www.luzernertheater.ch

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 14 novembre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino CULTURA 43
Marinella Polli Christian Tschelebiew e Solenn’ Lavanant. (Ingo Hoehn) Keystone

Galileo al LAC e Mmitari al Sociale

Lo snack pronto in 3 minuti

La scena concepita come uno spazio aperto che disintegra la dimensione del tempo è quanto si è presentato allo spettatore di Processo Galileo, lo spettacolo che ha debuttato con suc cesso la scorsa settimana nella Sala Teatro del LAC di Lugano. Frutto di un anno di lavoro svolto con una formula inedita, vale a dire con i due registi Carmelo Rifici e Andrea De Ros, i due drammaturghi Angela Demattè e Andrea Sinisi, la drama turg Simona Gonella e l’esordiente Marzio Gandola nei panni di assi stente alla drammaturgia – e non ab biamo elencato tutti –, l’esplorazio ne della figura del grande umanista e scienziato toscano ha generato un la voro di notevole densità e complessi tà per contenuti e finalità tematiche.

Un collettivo per una recitazione accurata e efficace che schiera in prima linea una superba Milvia Marigliano

Si inserisce nel progetto La lu ce nell’ombra, un percorso promosso dal settore di mediazione culturale del LAC, declinato tra prosa, danza, letture, arti visive, incontri e confe renze che vedono al centro il rappor to fra arti sceniche, scienza, società e politica. Ma è anche parte di un pro getto che ha preso avvio durante la pandemia con una serie di proposte digitali che ha raccolto molti consen si e riconoscimenti e che ha esplora to il nostro rapporto con la malat tia, la morte, le specie, la medicina e molto altro ancora per un viaggio all’interno del mondo. Riflessioni che riecheggiano prepotentemente nel Processo Galileo dalla doppia regia per una riflessione incentrata sulla luce della verità. È pertanto eviden te quanto sia determinante la figura di Galileo nel momento in cui, pun tando il suo cannocchiale verso le stelle, si consegna simbolicamente ai suoi torturatori. A partire dall’abiura davanti al tribunale dell’Inquisizio ne che, secondo Brecht, può essere considerato il peccato originale delle scienze naturali moderne.

Lo spettacolo nel suo prologo ri percorre quella pagina ricordando le basi di una controversia che creò un’insanabile frattura fra il pote re secolare della Chiesa e la verità

scientifica, fra la politica e la scienza. Con il suo Dialogo sui massimi sistemi Galileo aveva infatti contestato la vi sione tolemaica dei cieli con al centro la terra opponendo la teoria coperni cana con la terra e i pianeti che ruo tano attorno al sole. Dopo una prima autorizzazione alla pubblicazione del trattato, la Chiesa rivide la sua decisione mettendolo all’Indice. E poi il processo che, come noto, porterà al la celebre abiura. Un atto di meditata consapevolezza, cosciente che un suo sacrificio non avrebbe evitato la co noscenza di una verità ormai eviden te. Processo Galileo ce lo racconta con una prosa esemplare nella sua com plessità in un prisma di significanti su diversi piani d’ascolto fra storia e attualità, dubbi e certezze, materia lità terrena e analisi filosofica. Dai personaggi chiave come Galileo, una giovane giornalista e sua madre a fi gure come la figlia e il discepolo del lo scienziato. Un collettivo per una recitazione accurata ed efficace che schiera in prima linea una superba Milvia Marigliano con un autorevole Luca Lazzareschi accompagnati da Catherine Bertoni de Laet, Roberto Ricciardi e Giovanni Drago.

La danza come rito al Sociale

Da anni residente a Friburgo con il suo progetto di produzioni indipen denti Xocolat, Manuela Bachmann Bernasconi è recentemente torna ta in Ticino per debuttare al Teatro Sociale di Bellinzona con Mmitari, un ulteriore tassello del suo percorso creativo frutto di una ricerca svilup pata in una serie di residenze all’este ro e in patria. Sola in scena di fronte a uno sfondo a specchio deforman te, la performer racconta, canta, dan za e muove le sue vesti con delicato trasporto attorno alla metafora della nascita e della vita recuperando te mi popolari mediterranei. Evoca una Trinacria profonda, testimone di un rito antico e misterioso fra sonori tà studiate accuratamente (Cedric Blaser) per cadenzare e sottolineare i cambiamenti dei diversi quadri di una evoluzione danzata con padro nanza dei movimenti e una convin cente presenza scenica. Una platea numerosa con molti addetti ai lavori ha accolto lo spettacolo con applau si convinti.

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Teatro ◆ Applauditi i due spettacoli che nei giorni scorsi hanno animato la nostra scena teatrale Un momento di Processo Galileo. (© LAC Lugano Arte e Cultura/Masiar Pasquali)

In fin della fiera

Tea e la sua ombra

Tea si arrende: «Va bene. Va bene. Ha ragione lei. Metta pure tutto in con to». «Vorrei vedere», infierisce quella gallina dalle penne arruffate, scuo tendo le sue voluminose chiappe sullo sgabello. Tea paga con la carta di cre dito e carica tutto nel baule dell’auto. Giunta a casa, recupera solo i suoi ac quisti, lasciando lì i pesci: li sistemerà in frigo quando gli ospiti saranno an dati via. Durante la cena sotto il por tico, l’Ombra di Tea fa sforzi crescen ti per raggiungere la sua preda che ha iniziato a scongelarsi. E a puzzare. Gli ospiti fanno gli spiritosi: «Chi so no i vostri vicini, dei pescivendoli?»; «Quanto dista il mare da qui?»; «Ave te fatto buona pesca?».

L’Ombra tira, tira tanto che, per non cadere a terra, Tea deve tenersi al le spalliere delle seggiole. Sentendo si mancare le forze chiede al marito di allontanare l’auto che nel frattem po è stata circondata da un nugolo di gatti randagi. L’Ombra, quando si ac

corge che stanno per sottrarle il frut to di tanta fatica, si ribella e corre a difendere il suo prezioso bene. Si sti ra e riesce ad aggrapparsi al finestrino dell’auto un attimo prima che il mari to la metta in moto. Tea, sempre con il sorriso stampato in faccia, si aggrap pa a un’amica spogliandola, poi a un tavolo che si rovescia, fino a trovarsi lunga distesa per terra a lottare contro un nugolo di gatti affamati e rabbiosi. Da quel giorno, Tea giura guerra sen za quartiere alla sua Ombra: «O lei o io, scegli», ordina al marito che, dopo aver valutato il pro e il contro, decide di scegliere Tea (e il suo cospicuo pa trimonio). Inizia consultando grandi clinici ma, fra le tante specialità, non esiste l’Ombrologo. Il marito di Tea opera nel mondo dell’alta finanza, ha molte conoscenze nel mondo del la malavita. Fa girare la voce in cerca di un killer discreto e fidato. In molti si fanno avanti ma, quando sentono che si tratta di ammazzare l’Ombra di

Un mondo storto

Filosofia cinica d’oggi

La filosofia cinica antica era un modo di vivere: vivere senza avere una ca sa, dormendo per terra dove capita va. Diogene di Sinope aveva trovato una botte vecchia e si accucciava den tro, ma ogni altro posto andava be ne. Il primo cinico è stato Antiste ne, IV secolo a.C., che possedeva solo un mantello, un bastone e una spe cie di zainetto; e la barba mai tagliata. Il principio filosofico era fare a me no di tutto il superfluo, e quasi tutto era superfluo, mangiava quel che gli buttavano, per questo lo chiamavano cane, infatti cinico viene da kynòs, in greco cane.

E fare a meno di tutto è una filoso fia che è sempre rimasta, fino ai no stri giorni. Con qualche ammoderna mento. Ad esempio invece della botte si preferisce il cartone, che si trova ovunque, lo si può prendere gratuita mente e se è il caso sostituire. La bot te era pesante, rischiava di diventare

Xenia

Estella

Al battesimo di Ramón, Estella cerca – oltre il drappello delle amiche ve stite a festa, venute in bus o in corrie ra dai quartieri più remoti della cit tà – qualcuno dei suoi figli italiani. Ma c’è soltanto una ragazza di sedici anni. Estella è stata la sua baby-sit ter per quasi nove, si sentono ancora e trascorre il Natale con la sua famiglia. Estella viene dall’Ecuador, anche se non ci torna da quando è morta sua madre. La prima volta, ha sospirato quattro anni, per via dei documen ti e del costo del biglietto aereo. Ma quando poi ha sistemato la questione del permesso di soggiorno e del viag gio, ormai alla sua portata, quei ritor ni si sono rivelati una fatica. A casa si sente un’estranea.

Estella è bruna, piccola, con gli oc chi brillanti e la pelle scura. È arrivata a diciotto anni, subito dopo il diplo ma alle superiori, pensava di trovare

un’abitazione stabile censita al catasto e gravata di tasse, mentre il cartone nessun ispettore lo considererebbe un immobile.

Molto filosofica è la presenza di ca ni, che si riallaccia alle antiche ide alità del cinismo originario. Il cane oltre a essere un collega o un fra tello, fa anche da termosifone, che nelle sere tempestose è prezioso, costituendo un radiatore autono mo. I cani hanno una temperatura tra i 38 e i 39 gradi, non si guasta no, consumano poco, in ogni caso non idrocarburi, sono ecologici, e non hanno l’obbligo della revisione annuale come le caldaie a conden sazione. Quindi i cinici d’oggi pre diligono i cani di grossa taglia, che funzionano meglio di un impianto centralizzato.

I cinici oggi sono anche detti barboni perché come gli antichi spesso non si radono la barba, visto che cresce sem

una signora dell’alta società, si tirano indietro. Tutti tranne uno, un omet to insignificante, balbuziente, con un ciuffo di capelli rossi in mezzo al cra nio, vestito con un frac, a metà fra un cameriere e un direttore d’orchestra in disgrazia. Chiede e ottiene carta bianca. La mattina del giorno dopo Tea va a passeggiare nell’isola pedo nale della città. Dopo aver fatto su e giù per un po’ di volte, incontra come per caso il buffo ometto in frac, anche lui provvisto di un’ombra. «Desidero farle i miei complimenti per la sua ombra».

L’Ombra di Tea si blocca e si mette in ascolto.

L’omino prosegue: «Sa, io sono un esperto di ombre. Nella mia vita ho conosciuto migliaia di ombre, ma la sua è la più bella che abbia mai visto». Tea: «Me lo dicono in molti. Per i miei gusti però è un po’ troppo vivace». «Vivace? Meglio». L’ometto si frega le mani, tutto contento. «Scommetto

che sa anche ballare». L’Ombra im provvisa un balletto, sul marciapiede, sulle vetrine, sui muri.

«Perché vuole sapere se la mia Om bra sa anche ballare?», domanda Tea, sempre seguendo le istruzioni.

«Vede, cara la mia signora», spiega l’o metto in tono confidenziale, posando una delle sue ripugnanti manine pelo se e sudate sul braccio di Tea, «io sono un impresario e sto organizzando uno spettacolo di ombre, il più grande di tutti i tempi, ripreso dalle televisioni di tutto il mondo. Finora mi manca va la protagonista. Dopo che ho visto la sua Ombra penso proprio di aver la trovata».

L’Ombra di Tea è eccitata, è una ge latina tremolante.

«Non capisco cosa posso fare per lei», replica Tea. «Non pretenderà che io mi separi dalla mia Ombra. An che se è un po’ vivace, le sono molto affezionata».

«Sarebbe solo per poco tempo».

«Ma io non posso vivere senza ombra, nessuno può farlo».

«Le cedo in cambio la mia. Il tempo di realizzare lo spettacolo e le restitu isco la sua Ombra che nel frattempo sarà diventata una celebrità. Lo faccia per lei, se le vuole bene».

«Va bene, purché sia per poco tempo», accetta Tea, sapendo che è per sem pre. Così sono i patti. Per lo scambio sono sufficienti pochi secondi. Trascorrono mesi e dall’ometto nessun segno di vita. Tea intristisce senza le distrazioni che le offriva la sua Ombra. Questa ricevuta in cambio è discipli nata ma ridicola, goffa, sembra l’om bra di un grosso pipistrello triste. Una sera Tea è seduta col marito davanti al televisore ed esplora ancora una volta tutti i canali prima di spegnere e an dare a letto. Così capita a caso su uno spettacolo mai visto prima: un’Ombra, la sua, che, diretta da un buffo ometto in frac, canta, balla e suona. (Seconda parte – fine)

un lavoro per pagarsi gli studi. Aveva il sogno di diventare maestra: adora va i bambini. Ed era già brava, aveva fatto esperienza coi fratelli. Ha tro vato subito, come baby-sitter: alcune donne del suo paese le avevano spie gato che gli italiani preferiscono as sumere le latine. Sono cristiane, mo rigerate, e parlano una lingua affine. Una latina che ami i bambini non re sta mai disoccupata. Ma le ore del po meriggio non bastavano per l’alloggio né per l’università. È diventata la tata della notte.

Arrivava nelle case dei suoi datori di lavoro la sera – così i genitori poteva no uscire – e si sistemava nella came retta del neonato. Era lei a occupar si di calmarne il pianto, cambiargli il pannolino, ninnarlo, dargli il biberon. Dopo colazione andava via, diretta mente in casa del bambino del giorno – col quale restava fino alle tre. Dor

pre di nuovo ed è una battaglia persa in partenza.

Spesso si annidano in luoghi invisi bili, dove nessuno transita, nella nic chia laterale di una chiesa o di un uf ficio statale, in qualche viuzza senza sbocco, dove sorge un loro abitacolo di cartone; lo zaino fa da cassettone o da dispensa, e un cartone più picco lo è il comodino o la testata del letto. In genere la proprietà privata non li gradisce, non si apprezza la loro fi losofia, anche se ha radici millena rie che si studiano a scuola assieme a Platone e Aristotele; infatti ci sono i dissuasori anti cinici, che sono chiodi sui gradini d’ingresso, simili ai dis suasori per i piccioni. Un barbone sul portone d’ingresso sarebbe un cattivo esempio per i minori, che potrebbe ro essere attratti ed avviarsi sulla stes sa via filosofica. E ci sono dissuasori sulle panchine, e controlli nelle sale d’aspetto dei treni, che non diventino

un congresso di filosofia, perché è una filosofia che ha sempre dato fastidio, l’imperatore Giuliano l’Apostata ha scritto un libello contro, ritenendoli degli ignoranti senza basi teoriche e degli impostori.

Per rifornirsi di cibo e di qualche mo neta ogni tanto occupano luoghi più in vista, dove c’è passaggio di gen te. Ed espongono allora cartelli ap prossimativi, non dichiarandosi cinici (che non farebbe nessuna impressio ne) ma ad esempio disoccupati, con cinque figli da mantenere, o metten do avanti una cucciolata di cani, per la quale tutti si inteneriscono e sono pronti a dare, anche una ciotola di spezzatino o di polpette, che il bar bone poi mangia assieme ai suoi cani. E questo è da considerare il combu stibile per l’impianto di riscaldamen to. Ma dai luoghi in vista sono presto sgombrati dalle autorità, che profes sano invece la filosofia del lavaggio

stradale e della raccolta differenziata dei cartoni, del vetro e delle lattine. Chi sono dunque costoro? Sono in vidiabili o sono dei poveretti? Non si può generalizzare. A volte è gente che non ha alternativa se non la dispera zione. Ma spesso è gente che vuole vi vere così, che non ne può più dell’op pressione burocratica, dei telefonini, dei canoni TV, delle tasse sul passo carraio, sull’auto, sui metri quadri, e poi le bollette, sulla luce, sul gas, ac qua, pattume ecc. ecc., quando ci si può scaldare col sole o con un cane, e c’è l’acqua delle fontane, e la TV fa schifo, come tutto il resto di questa ossessionante modernità. Il cinismo è una dimensione eterna dello spirito. Alessandro Magno ave va chiesto a Diogene cosa desidera va, che gliel’avrebbe dato. E Diogene: «desidero che ti sposti un po’, perché mi copri il sole». È un esempio per le autorità d’oggi.

miva sugli autobus e qualche ora in casa di una cugina, poi via di nuovo. Nella città in cui pure viveva non ave va una casa – ma abitava come un fan tasma gentile le case altrui. I bambini della notte non li ha visti crescere, il suo lavoro terminava prima del com pimento del secondo anno. I bambini del giorno invece li ha accompagnati al nido, poi all’asilo e infine alle scuo le elementari. Con gli anni ha potu to lasciare il lavoro di notte, anche se era pagato bene. Si è iscritta all’uni versità, ma non riusciva a frequentare i corsi, studiava sulle dispense. Ormai però faticava a concentrarsi, riusciva a dare meno esami del dovuto. E so prattutto, col tempo – ormai si avvi cinava alla trentina – la laurea non le sembrava più così importante. Voleva un marito, per avere un bambino suo. Estella era graziosa, e non le man cavano i corteggiatori. Ma lei ormai

voleva un marito come quelli delle madri dei suoi figli italiani. Un pro fessionista, educato, ben vestito, be nestante. Alcuni fidanzamenti con uomini del suo paese finirono in nul la. L’operaio faceva turni impossibili, non riuscivano a vedersi. Il secondo si stava costruendo una casa in Ecua dor. Un altro quando beveva diventa va geloso e manesco. Gli amanti ita liani duravano poco. Nessuno voleva sposarla o vivere con lei. Aveva passa to i trentacinque anni, bambini non potevano venire. E quelli che accudi va, vestiva, lavava, consolava e amava li perdeva di vista. Non restava mai con loro oltre i dodici anni: dopo i genitori ritenevano non avessero più bisogno di una baby-sitter. Qualche volta li incontrava per strada (lavora va sempre negli stessi bei quartieri). Qualcuno ricordava ancora il melo dioso spagnolo della sua ninna-nan

na, ma i più lo avevano dimenticato. Solo il primo, che ormai era alto due metri e viveva da solo, le disse di es sere stato in Ecuador in vacanza, per vedere il suo paese.

A quarant’anni era rassegnata. Il suo destino era crescere i figli degli altri. Ma l’ultima signora non aveva mari to. Le raccontò di averla fatta da sola, la bimba. In una clinica di Barcello na, col seme di un donatore. Estel la si scandalizzò. Poi però andò alla posta e ritirò il deposito sul libretto. Lo aveva accumulato per i suoi stu di. Era ancora iscritta – fuori corso. Le mancavano tre esami alla lau rea. Ci andò di nascosto, alla clini ca, e non disse niente né alla signora né alle amiche. Il padre del bambino, spiegò, era un dottore che poi l’aveva lasciata. Invece il padre erano i suoi figli italiani. Erano loro ad averle re galato Ramón.

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Mentre vengono allenati equilibrio e coordinazione, il corpo sprigiona sempre più ormoni della felicità quali la serotonina e la dopamina. Non c’è quindi da stupirsi che gli appassionati di sci di fondo diventino euforici solo al pensiero del prossimo tour. Cosa aspetti? Buttati in pista, per il bene di corpo e mente!

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