Azione 51 del 19 dicembre 2022

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Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 19 dicembre 2022 Cooperativa Migros Ticino edizione 51 ● G.A.A. 6592 San t’Antonino MONDO MIGROS Pagine 4 – 5 L’editore e la redazione di Azione augurano Buon Natale alle lettrici e ai lettori, alle socie e ai soci della Cooperativa Migros Ticino Antonio Rinaldi (Tremona, 1816-1875), La nevicata, Pinacoteca cantonale Giovanni Züst, Rancate (Mendrisio) ◆ SOCIETÀ Pagina 6 L’umorismo è uno straordinario strumento per favorire il benessere, usato anche come autoterapia CULTURA Pagina 35 Un romanzo ci racconta come è nato Il Canto di Natale, l’opera più famosa e più amata di Charles Dickens ATTUALITÀ Pagina 23 Come la guerra ha stravolto il modo di vivere le festività sia in Russia sia in Ucraina TEMPO LIBERO Pagina 15 Come e quanto utilizzare i flash nella fotografia? Dal ritratto allo still life fino alle foto d’interni

La ricetta segreta di nonno Anselmo

Il racconto di Natale ◆ Lui ormai non c’è più, ma il nipote Riccardo lo onora rifacendo il suo squisito vin brûlé

Vigilia di Natale 2022

Riccardo infila la chiave nel lucchetto del capanno degli attrezzi, ma la serratura non scatta. Va alla finestra della casa dei nonni e bussa al vetro, gli apre sua madre.

«Sei sicura che la chiave è quella giusta?»

«Dovrebbe… Vuoi chiedere alla nonna?»

Riccardo allunga il collo: nonna Tina è ancora immobile sul divano, vestita di nero, lo sguardo fisso sul televisore spento.

«Cerco di arrangiarmi. Il rinfresco?»

La madre fa spallucce. «Mi inventerò qualcosa».

Riccardo torna al capanno, stringe la chiave con entrambe le mani e torce i polsi – qualcosa si muove, il lucchetto si apre.

Il nonno gli levò la benda «È anice stellato, uno dei miei ingredienti preferiti per questa specialità»

Il capanno è zeppo di vanghe e rastrelli dalle punte arrugginite, scatole di cartone appoggiate di qua e di là, pile di domenicali dalle pagine ingiallite. La cartelletta blu è infilata nella pressa agganciata al tavolo di lavoro. Riccardo la sfila: il certificato di nascita di nonno Anselmo, scritto in corsivo, è lì dentro.

Dà un’altra occhiata in giro: sulle mensole ci sono ancora le scatoline di latta del nonno, ma le etichette sono ricoperte da un dito di polvere. Ne raccoglie una e la apre, aspettandosi della muffa o qualche verme. Invece, ci sono tante piccole stelle che riempiono la scatola quasi fino all’orlo. Riccardo la porta al naso e si immerge in quell’odore dolce e avvolgente.

Vigilia di Natale 1992

«Ecco, sistemati qui» disse nonno Anselmo sollevando Riccardo da terra. Lo fece sedere sul tavolo da lavoro, accanto alla pressa. «Non hai paura se ti bendo, vero?»

Riccardo scosse la testa. Aveva sei anni ormai, andava alle scuole elementari. Paura di niente e nessuno, lui.

«Benissimo» disse il nonno sistemandogli uno strofinaccio sugli occhi. «Cominciamo dalla cosa più difficile…»

Un rumore metallico, come di qualcosa che si schiude. Riccardo annusò: era un odore forte, non lo aveva mai sentito prima. Il nonno poggiò qualcosa di piccolo sul suo palmo. Ne seguì il profilo con la punta dell’indice, c’erano delle punte che gli pizzicavano il polpastrello.

Il nonno gli levò la benda. «È anice stellato. Uno dei miei ingredienti segreti per un vin brûlé come si deve».

Vigilia di Natale 2022

Riccardo dispone le scatolette aperte sul tavolo di lavoro: zucchero grezzo, cannella, anice stellato, chiodi di garofano, noce moscata, bacche di ginepro… Ci sono tutti. Eppure sono anni che nonno Anselmo non preparava il vin brûlé. Stava progettando di farlo di nuovo?

Riccardo esce dal capanno, la bucalettere di metallo verde appesa vicino alla porta ha uno sportellino di plastica trasparente. Sul fondo è rimasto incastrato un talloncino di carta piegato in otto, c’è scritto: «Due litri di vin brûlé – Maurizio, vicino di casa – Natale 1996».

Un ordine mancato. Volge gli occhi al cielo e si scusa con il vecchio Maurizio, ormai morto da diversi anni. Il nonno non c’entra, probabilmente la colpa è solo di Riccardo.

Vigilia di Natale 1996

Nonno Anselmo diede un’occhiata all’orologio. «Le due, possiamo iniziare. Va’ ad aprire la cassetta degli ordini e leggimeli».

Riccardo uscì dal capanno e incassò la testa tra le spalle, un vento gelido gli colpì la schiena. Per fortuna che di lì a poco il nonno avrebbe acceso il fornello a gas. Aprì la bucalettere di metallo verde e una cascata di talloncini gli finì addosso.

«Sono tantissimi, nonno. Non so se riusciremo col tuo paiolo a preparare…»

Nonno Anselmo uscì dal capanno con un paiolo grande come la ruota di un camion, lucido e ramato.

«Ci facevano il risotto per il carnevale. Con questo, riforniremo di vin brûlé tutto il paese».

Riccardo raccolse i talloncini sorridendo e li dispose sul tavolo di lavoro. Iniziò a fare i conti: tre litri al sindaco, uno al parroco, due al postino…

Vigilia di Natale 2022

Riccardo sposta le scatole di cartone e sotto ci trova il paiolo di nonno Anselmo, appoggiato sul suo fornello. Sul fondo c’è un po’ di terra e una parte del bordo è arrugginita, ma non sembra bucato.

Riccardo va al tavolo e fa i conti, anche senza avere i talloncini davanti. Soppesa le scatoline di latta, ipotizza quante persone li seguiranno fino a casa dopo la cerimonia in chiesa.

Esce dal capanno e bussa alla finestra, gli apre di nuovo sua madre.

«Abbiamo del vino in casa?» le chiede.

Lei si volta verso nonna Tina. «Non credo, no».

«Ho capito» dice Riccardo prendendo la chiave dell’automobile dalla tasca dei jeans. «E non preoccuparti per il rinfresco. Ci penso io».

Vigilia di Natale 2001

Nonno Anselmo svuotava fiaschi e bottiglie nel paiolo, ma ogni tanto interrompeva quella cascata di vino rosso per prendere un sorso.

«Posso provare anche io?» chiese Riccardo.

«Riccardo, disse lei fissandolo, conoscevi tuo nonno e sai che gli sarebbe piaciuto un vino come questo, che scalda il cuore»

«Certo che no!» disse a bassa voce. «Se tua madre ci scoprisse, passerei dei guai. E se poi anche nonna Tina lo venisse a sapere…»

«…tirerebbe fuori il mattarello. Eddai nonno, solo un goccio. Ho 15 anni, ormai».

Nonno Anselmo rovesciò un’altra bottiglia nel paiolo, ma ne salvò un goccio sul fondo. Puntò gli occhi verso casa e gliela allungò. «Un sorso soltanto».

Riccardo lo mando giù – sapeva di ciliegia, terra e camino. Però era buono, e sentì un piacevole tepore scaldargli il torace.

«Il vino deve essere corposo: sapore strutturato e tenore alcolico».

Riccardo annuì, ma non ci capiva niente.

Nonno Anselmo gli mise una mano sulla spalla. «Scegli una qualunque bottiglia di buon Merlot ticinese e le cose andranno bene. Ricordatelo».

Vigilia di Natale 2022

La prima a entrare in casa è nonna Tina. Si leva i guanti neri, il berretto con veletta e torna a sistemarsi sul divano di casa. Seguono Riccardo, sua madre e altri parenti vestiti di nero, che a turno si siedono al fianco di nonna per farle le condoglianze o consolarla.

Riccardo staziona vicino al tavolo del rinfresco. Ogni volta che qualcuno scoperchia il thermos con il vin brûlé, lo segue con gli occhi per vedere che faccia farà dopo il primo sorso.

Nel giro di poco il soggiorno è pieno di persone con un bicchiere fumante tra le mani e chi esce per fumare ne approfitta per ricaricare, così da rimanere al caldo anche fuori. Il vino è ormai agli sgoccioli. Un uomo alto e coi baffi che Riccardo non ha mai visto prima scoperchia il thermos e gratta il fondo col mestolo. Riccardo si volta verso il divano, ma nonna Tina è sparita. Se la ritrova a un paio di passi dal tavolo, gli sta porgendo un bicchiere vuoto.

«Fammi assaggiare un po’».

Riccardo inclina il thermos, riempie un ultimo mestolo e lo versa nel bicchiere. La nonna soffia sulla superficie e prende un sorso. Gli occhi si illuminano, ma non dice nulla; si volta e punta il corridoio. Nel soggiorno cala il silenzio.

Riccardo si aspetta che le scale inizino a scricchiolare, che la nonna abbia deciso di ritirarsi di sopra, e invece è la porta sul retro che cigola. Si avvicina alla finestra; la nonna è al capanno e sta togliendo la bucalettere di metallo verde dalla parete. Torna in casa e la appoggia sul tavolo del rinfresco.

«Qualcuno ha da scrivere?» chiede, e le persone si affannano a cercare penne e bigliettini sul fondo delle tasche e delle borse.

È la madre di Riccardo ad arrivare per prima, e nonna Tina scrive con grafia tremolante: «3 litri, nonna Tina». Piega il biglietto in due e lo inserisce nella bucalettere.

Lui si fa avanti. «Nonna, io l’ho fatto solo per…»

«Riccardo» dice lei fissandolo negli occhi, «conoscevi tuo nonno e sai che gli sarebbe piaciuto un vino come questo, che scalda il cuore. È giusto che tutti possano continuare a berlo».

La nonna se ne va e stavolta sì, sale le scale. Famigliari e amici riprendono a parlare e qualcuno si mette a scrivere, imitato dagli altri. Uno a uno, fanno la fila davanti alla bucalettere e ci infilano il loro talloncino.

«Riusciresti a prepararlo già per questa sera?» chiede una signora che ha richiesto quattro litri.

Riccardo guarda l’orologio e annuisce. Ha ancora qualche ora di margine prima che i negozi chiudano e lui avrà bisogno di un bel po’ di vino, e di tutti gli altri ingredienti. Ma nulla è impossibile, con la ricetta segreta di nonno Anselmo.

2 Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 19 dicembre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino SPECIALE NATALE
Ekaterina Bolovtsova –Pexels.com

Un Bambinello che emana luce sul mondo

Alle soglie del Natale spuntano ovunque sacre rappresentazioni che evocano i brani evangelici della nascita di Gesù. Ma, passate le feste, si smontano i presepi e le immagini della natività restano negli altari laterali delle chiese. Esistono però anche in Ticino chiese e cappelle che sono dedicate esclusivamente al Natale. Noi ve ne presentiamo una particolarmente bella: quella di Villa Coldrerio.

Nel luglio del 599 Gregorio Magno in una lettera a Sereno, vescovo di Marsiglia, scrive che «la pittura è adoperata nelle chiese perché gli analfabeti, almeno guardando sulle pareti, leggano, leggano ciò che non sono capaci di decifrare sui codici». Siamo nel pieno della controversia iconoclasta e il Papa dà un senso alle immagini sacre che vediamo nelle chiese. Insomma, un dipinto racconta molto e la vita di Gesù va tramandata. Per sempre.

Questo perché, a parte pochissimi privilegiati, la maggior parte della popolazione era analfabeta. Un dato ufficiale: in Italia il primo censimento del 1861 rileva che il 74,68% della popolazione era analfabeta. Nel 1921 si scende al 32%. Se incrociamo questi dati con l’aspettativa di vita scopriamo che nella Roma imperiale era di 25 anni, nell’Inghilterra medievale di 33; saliva nel 1500 a 35 e negli Stati Uniti nel 1800 a 49 anni. Naturalmente si tratta di una media, il che non significa che si moriva a 25 anni ma che, se si sopravviveva i primi anni alle malattie e alla fame, poi alle guerre e altro, era possibile vivere anche molto più a lungo.

L’oratorio è stato eretto dalla famiglia dei capomastri Beccaria nel 1674. Gli affreschi nel presbiterio sono attribuiti a Giovan Paolo Recchi

Analfabetismo, esistenze brevi, fame: i dipinti nelle chiese sono estasi e meraviglie.

In Ticino sono parecchi gli esempi di cicli pittorici legati alla vita di Cristo da vedere soprattutto in prossimità delle feste di Natale. Ne citiamo solo uno del 1515 circa, situato nella chiesa di Santa Maria delle Grazie a Bellinzona e ascrivibile alla Bottega degli Scotti. Una grande Crocifissione incorniciata da quindici riquadri su tre registri. Quattro invece, per tornare al nostro tema, gli spazi religiosi intitolati alla Natività di Gesù: le cappelle di Lamone e Orselina e gli oratori di Cevio-Bignasco e di Villa Coldrerio. Quest’ultimo è un vero e proprio gioiellino ristrutturato recentemente. Nato come oratorio privato dei Beccaria è situato proprio di fronte alla casa di famiglia. I Beccaria sono dei capomastri emigrati a Roma all’inizio del Seicento.

Giacomo Beccaria (1598-1671), dopo una vita operosa, a settant’anni ritorna a Villa e lascia per testamento tutti i suoi beni al fratello Carlo che due anni dopo inizia la costruzione dell’Oratorio. Carlo (1604-1695) si trasferisce a Roma da giovanissimo e lavora come capomastro per la famiglia Chigi, si dedica anche alla realizzazione del Convento di Sant’Agostino, di Castel Gandolfo e alla Collegiata di Ariccia. Alcuni documenti, trascritti da Gabriella e Giuseppe Solcà, riportano il testo firma-

to da Gian Lorenzo Bernini nel 1664 che contiene le disposizioni date allo scalpellino Ambrogio Appiani e al muratore Giacomo Beccaria. Giacomo e Carlo sono invece nominati nel conto dei Beccaria siglato da Gian Lorenzo Bernini e Mattia de Rossi nel 1665.

L’Oratorio dedicato a Gesù viene edificato nel 1674. La facciata è decorata con «lesene, trabeazioni e cornici di mattoncino» seguendo un modello tardo-manieristico: pulita, essenziale. L’interno è tipicamen-

te barocco e s’ispira a San Carlo alle 4 fontane del bissonese Francesco Borromini. La navata presenta una volta a botte e il presbiterio a vela. Francesco Frigerio in Conoscenza religiosa del 1975 annota che l’edificio e gli affreschi hanno un rapporto costante di 4:3; quadrato e triangolo. Quest’ultimo simboleggia la divinità e il quadrato il Verbo (il Verbo, cioè Dio stesso che diventa uomo e si fa carne proprio a Natale).

Gli affreschi del presbiterio sono i più natalizi con le scene della Nati-

Qui a lato: l’affresco della Natività posta al centro del coro. L’immagine ci permette di cogliere da vicino molti dettagli come ad esempio il colore vivido delle vesti. In basso: una figura policroma arricchisce lo splendido apparato decorativo interno della chiesa.

(© Didier Ruef)

fresco a differenza, per esempio, dei più dotati Torriani che eseguono solo oli su tela.

Soffermiamoci sulla Natività –siamo nel periodo giusto – posta al centro del coro e sopra l’altare in marmo di Arzo (nella foto). In mezzo troviamo Gesù circondato da un alone luminoso, il sole della salvezza e della giustizia, posizionato su di un canestro di vimini.

Nell’evangelo secondo Giovanni Gesù dice (Gv 8, 12): «Io sono la luce del mondo, chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». Insomma Egli è il sole della salvezza e della giustizia. In questo contesto il vecchio carattere circolare del tempo appare superato da uno lineare che ha per fine la salvezza eterna. Cristo emana una luce che illumina le persone circostanti. Un po’ come Helios, somma divinità pagana. La sua è la luce del tempo e lui ne è l’ordinatore. In questo senso viene rappresentato come Cristo cronocratore (che regna sul tempo) emanando la luce (vedi il Giudizio universale di Michelangelo) e a volte avvolto in una mandorla luminosa.

I quadri riflettono la ricca simbologia iconografica cristiana: Gesù Bambino allarga le braccia e fende le tenebre

vità, l’Adorazione dei Magi e la Circoncisione. In alto, sulla volta, Dio invia a Maria la colomba dell’Annunciazione. Quelli della navata raccontano invece la vita di Cristo adulto con a destra la rappresentazione della Pentecoste e dell’Ascensione e a sinistra, quasi illeggibili, quelle della Deposizione e della Crocifissione. Paolo Vanoli nell’Archivio storico ticinese n. 161 del 2017 avanza un’attribuzione per gli affreschi e fa il nome del pittore Giovan Paolo Recchi (1606-1686). Nell’immagine centrale dell’Adorazione dei Magi alcune figure sono sovrapponibili a due affreschi con lo stesso soggetto eseguiti dalla bottega dei Recchi. Come a dire che provengono dallo stesso cartone. Gli artisti più dotati eseguono il disegno direttamente sull’intonaco fresco con della terra rossa, la cosiddetta sinopia, e poi procedono a colorire. Se il lavoro è grande e si prevedono molti esecutori secondari, si procede allo spolvero: si bucherella la carta lungo il disegno e poi si tampona sull’intonaco con del carbone. In seguito si diffonde l’uso del cartone dove la traccia del disegno avviene per calco. L’uso dei cartoni spiega anche come sia possibile che molti affreschi risultino simili fra loro: facilitano le copie e il lavoro degli artisti meno dotati.

Recchi, un pittore conservatore, è stato scelto perché esperto in af-

Il bambinello ha entrambe le braccia aperte. Dante nel Paradiso scrive: «E come fantolin, che’in ver la mamma / Tende le braccia, poi che’l latte prese / per l’animo, che’n fin di fuor s’infiamma». Ai lati la Madonna e Giuseppe illuminati dalla grazia divina. Giuseppe è rappresentato con una lunga barba bianca che lo rende «riguardevole e di riverenza degno», come scrive Giovanni Bonifacio nel suo L’arte dei cenni. I vestiti dei due sono rossi e azzurri, L’azzurro rappresenta genericamente il Cielo e più specificatamente, secondo la tradizione cristiana, il Figlio, mentre il rosso la Terra e, per i cristiani, lo Spirito Santo. Sono seduti, ma si può notare che hanno entrambi il piede destro avanti e ciò secondo i pagani è «indicio di prospero successo». In alto tre angeli messaggeri che reggono un cartiglio con la scritta «Gloria in excelsis deo». Essi sono i mediatori fra Dio e il mondo. Sotto, seminascosti nel buio, troviamo il bue e l’asinello, citati per la prima volta dal Vangelo dello Pseudo-Matteo, probabilmente dell’VIII-IX secolo, fonte di ispirazione per artisti e poeti nei secoli successivi. Anche se i due animali sono il frutto di un errore di traduzione: il testo greco dice che Gesù è «in mezzo a due età», tradotto poi «in mezzo a due animali». Il primo rappresenta il Popolo eletto, il secondo i pagani. Infine notiamo due pastori, uno dei quali in atto riverente: si toglie il cappello a dimostrare che «dobbiamo humiliandoci levar del cuore ogni fasto».

In basso a sinistra un basto e una sacca da viaggio con bastone. L’affresco è attorniato da una cornice lignea a imitazione di un dipinto su tela.

Generalmente l’oratorio di Villa Coldrerio è chiuso; ma se volete vederlo in tutto il suo splendore potete approfittare delle feste per recarvi alla messa di Natale del 25 dicembre alle ore 8.00.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 19 dicembre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino 3 SPECIALE NATALE
Chiese nostre ◆ Pochi edifici sacri sono dedicati alla Natività in Ticino: abbiamo visitato quello di Villa Coldrerio

Piatti speciali per momenti speciali

Attualità ◆ Ai banchi macelleria Migros anche quest’anno non mancano alcuni tipi di carne particolarmente ricercate dagli intenditori

Durante le festività di fine anno, si sa, ci si concede volentieri qualche vizio supplementare. Ebbene, per accontentare coloro che cercano prodotti di elevata qualità che non si trovano facilmente in commercio durante il resto dell’anno, i banchi macelleria Migros propongono alcuni tipi di carne noti per la loro unicità e raffinatezza. L’entrecôte di wagyu è un taglio tra i più esclusivi al mondo. Questa razza bovina di origini giapponesi dà carni intensamente marmorizzate, ossia con la presenza di filettini di grasso tra le fibre, ciò che le rende incredibilmente tenere e gustose. Un’altra delizia da non lasciarsi sfuggire è l’entrecôte di manzo irlandese della linea Sélection. Grazie all’allevamento all’aperto sui verdi prati e all’alimentazione naturale, la carne risulta succosa e morbida in modo incomparabile. L’entrecôte di bisonte possiede un sapore più delicato rispetto al manzo, sapore che i buongustai definiscono come leggermente più dolce e distintivo. Una carne dal gusto gradevole e più fine rispetto alla selvaggina è quella della renna. L’entrecôte di renna necessita di una breve cottura e si serve al sangue, idealmente accompagnato da salse dolci come avviene solitamente nei paesi scandinavi.

Oltre a queste proposte particolari, le macellerie Migros offrono ancora alcuni grandi classici molto diffusi anche alle nostre latitudini: il maialino e l’agnello interi, come pure il gigot d’agnello con l’osso. Il maialino cotto lentamente al forno è una ricetta gustosissima che conquisterà parenti e amici per irresistibili e indimenticabili momenti. Con l’agnello si fanno ottimi piatti che prenderanno per la gola anche i palati più esigenti.

Un piatto memorabile

Un piatto per le occasioni importanti che è passato alla storia è sicuramente costituito dai tournedos alla Rossini,

i tournedos alla Rossini (foto grande) e l’entrecôte di wagyu seducono i palati.

La ricetta Tournedos alla Rossini

Ingredienti per 4 persone

• 4 tournedos di manzo dal filetto

• 4 fette di pancarré

• 4 fettine di tartufo nero

• 4 fette di foie gras

• 5 0 g di burro

• 2 cucchiai di vino Madera

• Olio

• Sale

• Pepe

Procedimento

In un soffritto di burro e un po’ di olio rosolare i tournedos 3 minuti per lato, spruzzarli di Madera, salarli e peparli. Friggere delle fette di pane dello stesso diametro della carne nel rimanente burro e disporle su un piatto caldo. Su ciascuna fetta adagiare i tournedos, le fette di foie gras e le fettine di tartufo nero. Servire immediatamente, a piacere con della salsa bearnaise. Un’ulteriore chicca: avvolgere i lati dei tournedos con 4 fettine di lardo di Colonnata, legandole con uno spaghino.

una

da uno

francese in onore del celebre compositore italiano. I tournedos si ricavano dal filetto del manzo, vengono tagliati poco dopo il cuore di

Chinoise prêt à manger

quest’ultimo, hanno forma rotonda e uno spessore di ca. 2 cm. Per mantenere la bella forma a mo’ di medaglioni dei tournedos si consiglia di annodarli con uno spaghino nel cen-

Attualità ◆ Grazie alla vasta scelta di fondue di carne surgelate del nostro assortimento, approntare un menu festoso in qualsiasi occasione è un gioco da ragazzi

Alcuni amano viziare i propri ospiti con manicaretti particolarmente elaborati, mentre altri invece preferiscono passare più tempo con i propri cari. La chinoise mette tutti d’accordo, poiché permette a chiunque di portare in tavola qualcosa di raffinato senza troppe complicazioni. Grazie alle fondue surgelate Migros, si ha sempre a disposizione una scorta di ottime pietanze da portare in tavola in un baleno. La scelta annovera le classiche fondue M-Classic dall’ottimo rapporto qualità-prezzo, disponibili nelle tipologie manzo, vitello, maiale, tacchino e pollo oppure, per chi cerca la qualità premium, le chinoise Finest, ottenibili nelle varietà manzo/maiale, manzo/vitello o solo manzo. Se siete alla ricerca di un buon brodo per intingere la carne, vi consigliamo i brodi Star di carne mista e alle verdure. Come fatti in casa, racchiudono tutto il sapore della tradizione grazie all’utilizzo di ingredienti accuratamente selezionati. Ora è il momento di accogliere gli ospiti, accomodarsi a tavola e concedersi un buon banchetto.

Tronchetti di Natale

Quale

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 19 dicembre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 4
ricetta ideata nel XIX secolo chef
Filetto di manzo Australia, per 100 g, al banco Fr. 6.90 invece di 9.90 fino al 02.01.2023
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mai mancare sulla tavola delle feste? Naturalmente il tronchetto di Natale! Questo prelibato dessert tipico della tradizione francese
Mi-
nelle fi-
pasticceria e nei Take
nelle varianti al cioccolato e al kirsch. Le due golosità possono essere ordinate con 48 ore di anticipo. tro del loro spessore, il quale andrà eliminato prima di disporli sui piatti di portata. Il taglio richiede una breve cottura, 3-5 minuti per lato, dopo averli lievemente battuti.

Un’inaugurazione che porta fortuna

Attualità ◆ Sono stati consegnati i premi alle tre vincitrici del concorso legato all’inaugurazione di Migros Arbedo-Castione rinnovata

Lo scorso 3 novembre il supermercato Migros Arbedo-Castione è stato inaugurato in una veste completamente rinnovata. Per festeggiare questo importante ammodernamento della filiale, sono state organizzate diverse attività rivolte alla gentile clientela, tra cui un mese di offerte speciali, omaggi e sorprese, animazioni per i bambini e un grande concorso con in palio come premio principale nientemeno che una bicicletta elettrica Ghost Square Trekking SX del valore di CHF 3400.– e due premi secondari sotto forma di due carte regalo Migros del valore di, rispettivamente, CHF 500.– e CHF 100.–. A estrazione avvenuta, la fortuna ha baciato tre fedeli clienti del punto vendita bellinzonese, le quali negli scorsi giorni hanno potuto ritirare i loro premi direttamente dalle mani del gerente Alessandro Mele.

Congratulazioni!

Nella foto le vincitrici del concorso premiate dal gerente di Migros Arbedo-Castione, Alessandro Mele: da sinistra, Leda Pizzotti (bicicletta elettrica); Liv Mara Dossi (carta regalo Migros da CHF 500.–) e Daniella Stroppini (carta regalo Migros da CHF 100.–).

Regala momenti di felicità

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Una chat di aiuto per i giovani Si chiama Help4YoungChat, offre ascolto e consulenza a ragazzi in difficoltà ai quali rispondono coetanei aiutati da supervisori adulti

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Ridi che ti passa

Come prevenire una patologia subdola

In Svizzera si contano sei casi ogni 100mila persone all’anno di aneurisma dell’aorta addominale che possono essere in parte evitati

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Le parole dell’anno Sono state scelte nelle quattro lingue nazionali da una giuria della Scuola universitaria professionale di Zurigo

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Intervista ◆ L’umorismo è usato da alcune correnti psicologiche contemporanee come terapia per aiutare a superare il pessimismo e le visioni catastrofiche della realtà. Ne parliamo con Antonio Scarinci, psicologo e psicoterapeuta

Ridere aiuta a ribaltare le prospettive, sdrammatizzare e ritrovare la leggerezza. «Ridi che ti passa» non è solo un modo di dire: è una pratica che permette di prendere consapevolezza delle proprie fragilità e del controllo parziale che si ha su quel che accade nella vita quotidiana. L’umorismo è usato da alcune correnti psicologiche contemporanee come terapia per aiutare a superare il pessimismo e le visioni catastrofiche della realtà. Alle virtù del sense of humor è dedicato un testo appena pubblicato da Franco Angeli, intitolato Procedure e strumenti di autoterapia umoristica. L’umorismo: uno strumento efficace per favorire il benessere. Tra gli autori del volume, oltre a Giovanni Maria Ruggiero, Valentina Carloni, Lorenzo Recanatini, Antonio Scarinci, psicologo, psicoterapeuta e insegnante in diverse scuole di specializzazione post-universitaria.

Professor Antonio Scarinci, ci può spiegare come funziona l’umorismo?

L’umorismo è un processo che prevede, prima di tutto, la percezione di uno stimolo coerente con uno schema cognitivo che crea aspettative e poi una valutazione d’incongruità rispetto a ciò che ci si aspettava. Ad esempio, se pensiamo a un leone che insegue una zebra, il fatto di immaginare che la zebra salga su una moto per allontanarsi, lasciando basito il leone, può farci scoppiare in una risata. L’umorismo presuppone una fase di comprensione e una di apprezzamento, con attivazione di aree cerebrali diverse.

Esistono diversi tipi di umorismo? Sì, ci sono l’umorismo adattivo e quello disadattivo. Il primo, l’umorismo adattivo, è «affiliativo», permette cioè di avere una propensione a mantenere una visione umoristica della vita e a usare il sense of humor come strategia per fronteggiare situazioni stressanti e avversità quotidiane. Può essere utilizzato sia durante una psicoterapia tradizionale sia per svolgere esercizi di auto-aiuto. Il secondo, l’umorismo «disadattivo» è aggressivo, viene utilizzato per difendersi attraverso il sarcasmo o la messa in ridicolo degli altri, e può fare molto male.

Perché l’umorismo fa bene al nostro equilibrio psicofisico? In letteratura sono presenti diversi studi, alcuni condotti anche da me a dagli altri autori del libro, che attestano come l’umorismo possa migliorare la regolazione degli stati emotivi, la metacognizione e la fles-

sibilità psicologica. I benefici non riguardano soltanto le persone senza disturbi particolari, ma anche i pazienti con patologie gravi come psicosi, schizofrenia e disturbi della personalità.

La relazione tra mente e corpo, cioè come il nostro umore possa influenzare i processi psicofisici, è ormai accettata anche da una parte delle scienze occidentali. Lei cosa ne pensa?

Non esiste separazione tra mente e corpo. I nostri processi cerebrali influenzano il fisico e viceversa. Quando viviamo situazioni di stress prolungato, il corpo mette in circolo il cortisolo, un ormone che ha un impatto profondo sulla salute, perché contrasta il lavoro del sistema immunitario. L’umore, pertanto, è correlato al benessere e di conseguenza alla salute. Esistono diversi studi che dimostrano come una tristezza eccessiva attivi processi quali l’attenzione e la memoria selettive e un control-

lo maggiore delle variazioni fisiologiche e delle sensazioni corporee che tendono a essere interpretate come indicatori di malattia, generando preoccupazioni e circoli viziosi. Spesso chi si sente così sperimenta una forte ansia, chiede rassicurazioni al medico e avvia indagini diagnostiche. Inoltre, si possono attivare comportamenti malsani che riguardano, ad esempio, l’alimentazione, l’assenza di attività fisica, il consumo di alcool e di altre sostanze. Regolare le nostre emozioni permette di migliorare la salute per un benessere fisico, mentale e sociale.

Come possiamo trovare il modo di «riderci su» se ci sentiamo tristi o depressi?

Come sosteneva Albert Ellis, fondatore, negli anni Sessanta della Rational Emotive Behavioral Therapy (REBT) il senso dell’umorismo non guarisce i problemi emotivi, ma permette di imparare a non prendere troppo sul serio gli avvenimenti

spiacevoli. Se impariamo a guardare con una prospettiva umoristica ciò che accade, aumentiamo la capacità di regolare le nostre emozioni e la nostra flessibilità psicologica. Questo consente di far sì che la tristezza non si trasformi in una vera e propria depressione. L’umorismo permette di vedere sé stessi, gli altri e il mondo in una prospettiva diversa, più funzionale e adattiva.

Come funzionano le terapie psicologiche basate sull’umorismo?

Non è semplice rispondere a questa domanda in poche parole, ma ci provo. Nel nostro libro sono presentate procedure e strumenti cognitivi, immaginativi e comportamentali, che fanno riferimento a due principi.

Il primo si basa sul fatto che il nostro disagio è spesso causato da come ordiniamo le esperienze, dalle valutazioni che facciamo sugli eventi che ci capitano. Se i nostri pensieri automatici, o irrazionali, favoriscono emozioni molto intense che speri-

modo più funzionale può trasformare il malessere e portarlo a risoluzione.

Il secondo principio è legato alla capacità di distanziarci dai nostri pensieri, considerandoli semplicemente, degli eventi, senza identificarci con quello che ci passa per la mente. In questo modo possiamo lasciarli andare senza focalizzare la nostra attenzione sugli stati mentali negativi che avviano processi disfunzionali come, ad esempio, la ruminazione e il rimuginìo. Una metafora rende meglio il principio: se mettiamo i nostri pensieri su una nuvoletta e lasciamo che il vento la faccia muovere, ci accorgiamo che si scompone e si decompone fino a che non riusciamo più a distinguerla nel cielo. In questo senso sapere ridere delle cose è un ottimo strumento.

● ◆ 6 Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 19 dicembre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino
SOCIETÀ
mentiamo senza soluzione di continuità e magari in maniera incongrua, possiamo avvertire un malessere che perdura e può trasformarsi in una vera e propria psicopatologia. Ristrutturare questi pensieri in Diversi studi sostengono che l’umorismo può migliorare la regolazione degli stati emotivi, la metacognizione e la flessibilità psicologica. (Shutterstock) Stefania Prandi

Regalare storie, regalare sogni

Strenne di Natale

Libri sotto l’albero: alcune proposte scelte tra le novità dell’editoria per l’infanzia

Se è vero che Natale non è Natale senza regali, come dice l’indomita Jo March nell’indimenticabile incipit di Piccole Donne, un regalo in forma di libro è sempre una buona idea, perché ciò che doni sono emozioni, immagini, sogni. Soprattutto se il libro è destinato ai più piccoli e se è una storia di Natale, genere questo sempre più frequentato dalla letteratura per l’infanzia. Gli albori del racconto natalizio per bambini possono essere rintracciati in quella poesia Night Before Christmas (La notte prima di Natale), uscita in forma anonima su un quotidiano di New York il 23 dicembre 1823 e attribuita a Clement C. Moore, nella quale un padre racconta del suo incontro con Babbo Natale (che viene chiamato «St. Nicholas», da San Nicola, vescovo di Myra, icona del buon vecchio che porta i doni, da cui anche il nostro San Nicolao e il Santa Claus dei Paesi anglosassoni, nonché il Sinterklaas dei Paesi Bassi) nella notte magica e silenziosa, mentre la moglie e i bimbi dormono. Questa poesia ebbe subito un grande successo e fu poi pubblicata, illustrata, in numerosi libri per bambini, contribuendo a creare l’immaginario natalizio (c’è la slitta volante, ci sono le renne, c’è il passaggio di Babbo Natale dal camino, ci sono le calze da riempire di doni). La casa editrice Pulce, che ha una meravigliosa collana chiamata «C’era un’altra volta», dedicata all’intelligente e accurato recupero di importanti classici del passato per lo più mai pubblicati in italiano, ha in catalogo due edizioni di questa poesia: quella del 1912, Era la notte prima di Natale, con le illustrazioni originali di Jessie Willcox Smith; e quella ancor precedente, La vigilia di Natale, illustrata da William Wallace Denslow, del 1902, uscita, naturalmente con le illustrazioni originali e con l’impeccabile traduzione in rima di Elisa Mazzoli, per questo Natale 2022. William Wallace Denslow riveste il testo di Moore di un «vestito stravagante e spiritoso», per usare le parole dell’introduzione all’edizione originale del 1902, puntualmente riportate in questa edizione Pulce: le sue immagini, infatti, sono vivacissime, umoristiche, a colori accesi, ricordano i primi fumetti e ispireranno i futuri cartoonist, e a loro volta sembrano ispirarsi al primo cinema, ad esempio nel faccione ilare della luna, che ricorda quella del coevo Viaggio nella luna di Georges Meliès. Inoltre, dettaglio interessante, Babbo Natale è vestito di verde, perché non c’è ancora stata la pubblicità della Coca Cola a consacrarne definitivamente la rubiconda immagine scarlatta.

Ma sul Natale le edizioni Pulce quest’anno non si limitano a questo classico, ce ne propongono altri due. Uno è il racconto del 1892 Tutti i giorni Natale, di W. D. Howells, con illustrazioni dei primi del Novecento di Harriet Roosevelt Richards. Una storia che non ha perso nulla della sua freschezza, e che di sicuro si farà apprezzare anche dai bambini di oggi: c’è una ragazzina che chiede a una Fata di realizzarle il desiderio che tutti i giorni sia Natale. Detto fatto, ma l’incantesimo sfugge di mano: l’enormità quotidiana di regali e di cibo comincia a dare la nausea; la gente, po-

vera a furia di spendere, comincia a lanciarsi i pacchetti con malagrazia; i biglietti recano messaggi tipo «prendi quest’orrida cosa»; i boschi di abeti spariscono; l’umore di tutti scende e «si doveva raccogliere da terra»… per fortuna, a volte, gli incantesimi si possono fermare! Pare che da questo racconto sia nato il filone narrativo del loop temporale, molto presente in ambito cinematografico.

La terza proposta natalizia di Pulce è dedicata al celebre elefantino di Jean de Brunhoff, qui alle prese con Père Noël: Babar e Babbo Natale, uscito per la prima volta in Francia nel 1941. Babar fa un lungo viaggio verso Nord per andare da Babbo Natale e pregarlo di portare dei doni anche ai piccoli elefanti, invitandolo a sua volta nel caldo e soleggiato Paese degli elefanti a ristorarsi dalle sue fatiche. Ghiacci e palme, e genitori che diventano «aiutanti» di Babbo Natale.

Ha il valore di un racconto autobiografico di una delle più importanti autrici per l’infanzia, Il mio piccolo Natale, di Astrid Lindgren, che Mondadori pubblica con le illustrazioni di Cecilia Heikkilä.

È la storia di un Natale del 1913, quando Astrid aveva sei anni, e con il fratello più grande, e con il papà, va a prendere un abete nel bosco. C’è la camminata nella neve, sprofondando fino alle ginocchia con la paura di rimanere indietro, c’è la casa sottosopra per le pulizie del Natale e magicamente riordinata e splendente il giorno dopo, ci sono i fratellini piccoli da gestire, il pasto con delizie inconsuete, i doni, la messa dell’alba, la visita alla nonna «con la slitta di vimini, trainata dalle cavalle Maj e Maud». Un piccolo Natale, come tanti, forse, ma ricco di tanta magia da condividere.

Chi ha amato l’incantevole storia di Pinguino e Pigna (se non la conoscete ve la consiglio), non potrà non leggere Il Natale di Pinguino, sempre di Salina Yoon e sempre pubblicato da Lapis. Pinguino e i suoi amici vorrebbero un vero albero di Natale, ma sanno bene che gli alberi non crescono sul ghiaccio. Allora partono per un lungo viaggio verso la foresta, dove la vecchia amica Pigna li sta aspettando, ma molto cresciuta! Ora è diventata un vero abete! Un abete tutto da addobbare, peccato che la tempesta di neve nella notte si porti via addobbi e regali. Ma si può rimediare, con amore e ripartendo da semplici ramoscelli.

Un archetipo natalizio (o meglio anti-natalizio) molto frequentato, perché permette effetti comici di sicuro

effetto, è quello del «Grinch» (dal celebre personaggio scontroso che odia il Natale, creato negli anni Cinquanta dallo scrittore statunitense Dr. Seuss), a sua volta derivato dal dickensiano Scrooge. Gli adorabili personaggi allergici allo spirito natalizio sono tanti, nei libri e nei film, qui vi segnaliamo una recente proposta delle edizioni Il Castoro, della serie (New York Times Bestseller) di Suzanne e Max Lang «Gastone Musone», dedicata allo scimpanzé più brontolone del mondo. E come poteva il nostro Gastone amare lo spirito natalizio? Si intitola Oh, no! È Natale! questo irresistibile albo, in cui Gastone è deciso a non festeggiare: «Festeggiare? Io? Non ho voglia di festeggiare!». Ma forse gli amici riusciranno a stemperare il suo tormentone «fa tutto schifo» e a fargli intravvedere qualche buon motivo per festeggiare! Da 4 anni.

Per bambini appena un po’ più grandi, dai 6 anni, è il bel racconto di Luigi Dal Cin Nuvole a dondolo, proposto da Einaudi Ragazzi con illustrazioni di Serena Mabilia: un falegname, il miglior intagliatore di cavalli a dondolo, lavora alacremente per consegnare ai giocattolai i suoi cavalli di legno, in tempo per Natale. È stanco, infreddolito, e mentre intaglia i suoi pensieri vagano all’estate trascorsa, quando si era disteso tra l’erba a contemplare lo scorrere delle nuvole in cielo, ascoltando il lontano belare

di una pecora. Quando si riscuote e guarda il suo lavoro, si accorge di non aver creato un cavallo, ma una pecora a dondolo. Vorranno una pecora i negozianti? O occorre avere lo sguardo libero di un bambino, per uscire dalle consuetudini? Poetico, ben scritto, con immagini potenti, come «il branco di legno» di cavalli e pecora, che sembra galoppare all’unisono sul furgoncino che sfreccia veloce, tra gli scossoni, verso i negozi della città. Spiritoso, irriverente, surreale, ha un brio che ti trascina e ti fa sorridere dall’inizio alla fine: un bestseller da 375’000 copie vendute in Germa-

nia, tradotto in nove lingue e che ha ispirato due film. L’autore è Andreas Steinhöfel, già apprezzato dai ragazzini di lingua italiana ad esempio per la serie «Rico e Oscar» (Beisler), qui esce invece da Terre di Mezzo con un breve romanzo natalizio (anzi: «(Non) un libro di Natale. Una storia sulla bellezza dei sentimenti, per rinnovare quella magia tutto l’anno», come scrive l’editore): Che pasticcio, Mr. Alce!, illustrato da Katja Gehrmann e ben tradotto da Claudia Valentini. Al numero quattro di Finkelwaldweg, nell’appartamento in cui Bertil vive con la mamma e la sorella, un alce (Mr. Alce), piomba dal cielo sfondando il soffitto, il tavolino dell’Ikea su cui atterra, nonché i biscotti appoggiati sopra («poco male per i biscotti: li aveva preparati la nonna, che ce li aveva spediti per posta, e come al solito erano tutti bruciacchiati»). Dopo la sorpresa iniziale, la signora Wagner e i suoi figli fanno buon viso a quell’alce, così fiero di esserlo (non come quelle snob delle renne che sono le cocche del Capo), capace di parlare (e di parlare cinque lingue!) e di volare (anche se non benissimo, visto che ogni tanto prende male le curve e precipita nei salotti della gente). Ma da dove viene Mr. Alce? E chi è il suo Capo? Un piccolo romanzo perfetto per tutti a partire dagli 8 anni.

E concludiamo con una proposta della casa editrice ticinese Marameo, un gran bell’albo dell’autore e fumettista statunitense Patrick Mc Donnell, uscito in originale nel 2005 con il titolo The Gift of Nothing, e ora proposto in italiano, Il regalo di niente, con traduzione in rima di Roberto Piumini. È una storia profonda e filosofica, nella sua semplicità. Una storia che non solo invita alla sottrazione e alla sobrietà, in questo scorcio molto consumistico dell’anno, ma anche invita a una sorta di atteggiamento zen del fare niente, restando centrati sul momento presente, magari in compagnia di un proprio caro, senza farsi trascinare dalla frenesia di agire e di produrre. Il gatto vuole fare un regalo al suo amico cane, ma cosa «dare a chi ha già tutto?» Gli darò «niente», pensa il gatto, ma cosa significa niente? La gente cita «niente» a sproposito, alla tivù non c’è niente, al supermercato non c’è niente, e invece c’è tanto, fin troppo. Dov’è il niente? Lo scopriranno i due amici, così come i piccoli e grandi lettori. Ognuno darà un proprio significato al niente, che poi, in fondo, equivale al tutto: «Nella notte silenziosa, misteriosa, c’è ogni cosa».

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Hai un problema? Dillo in chat

Giovani ◆ Young4HelpChat offre ascolto e consulenza online a ragazzi in difficoltà in modo anonimo e gratuito, a rispondere sono coetanei che si avvalgono della supervisione di coach adulti professionisti

Quando non ci riesci proprio a dire quel che senti dentro perché forse è troppo brutto da raccontare, quando hai difficoltà a svelare che dietro il tuo volto felice si nasconde un pesante macigno, quando ti sembra che nessuno ti ascolti davvero ma non osi alzare la voce: è in questi momenti delicati che un orecchio esterno, anonimo, online e alla pari può essere fondamentale. Stiamo parlando di una chat di sostegno dedicata ai ragazzi, aperta e gratuita: la voce qui non trema, può essere che la tristezza o la paura siano a volte più facili da scrivere che da dire.

In un mondo – quello dei social media – dove tutti gridano, silenziosa ha preso via quest’anno la piattaforma Young4HelpChat. Si può accedere in questa camera «privata» ogni martedì e giovedì dalle 20 alle 23 andando sul sito dell’associazione (https://young4helpchat.com/wordpress_K/) o dai social più conosciuti (Instagram e TikTok, per intenderci). Ad attendere i giovani utenti ci sono dei ragazzi, i consulenti pari, sensibili a certe tematiche e che dalla loro hanno anche l’esperienza vissuta, possono insomma dire «ci sono passato anche io». Sono in parecchi, e sono lì per accogliere e ascoltare. Sono supervisionati da coach, adulti professionisti in ambito psicologico e sociale abituati a lavorare coi ragazzi. I coach monitorano le discussioni e in caso di necessità intervengono per aiutare l’utente o il pari.

Il tutto in forma anonima per la privacy di chi chiede e chi dispensa, ma racchiuso in una cornice sicura. Arrivano lì dove altri aiuti non ce la fanno, perché sono orecchie di facile accesso, immediato e informale. E soprattutto, parlano la stessa lingua.

Young4HelpChat è un’associazione nata lo scorso marzo, che in nove mesi ha ascoltato più di 7000 richieste, conta 2171 followers, e ha aiutato i ragazzi a trovare le migliori strategie per stare meglio a volte indirizzandoli verso sostegni concreti, a volte facendo loro scoprire la forza che hanno in sé. Nelle ultime settimane è stata di-

chiarata da findahelpline.com, un database globale che repertoria le helpline per l’aiuto mentale e la crisi in più di 100 Paesi, come una delle migliori linee d’aiuto in Svizzera per ragazzi. E recentemente ha vinto il premio Mari (Telefono SOS Infanzia) a Chiasso.

Abbiamo incontrato la presidente, Milena Pacciorini che ci racconta come l’importante per l’associazione sia proprio «far sapere ai giovani in difficoltà che c’è qualcuno che li ascolta». Necessario l’anonimato, «perché così gli utenti sono liberi di entrare senza dover dare le proprie generalità, sentono di potersi aprire. Allo stesso modo anche i consulenti evitano brutte sorprese». Il target va dai 15 ai 25 anni, soprattutto minorenni.

Un’iniziativa che prende spunto dai principi della peer education, educazione tra pari, un muto insegnamento che riguarda soprattutto la sfera giovanile e che dimostra come tra pari, appunto, facenti parte di uno stesso gruppo sociale, sia più facile condividere le proprie esperienze. «I ragazzi utilizzano lo stesso linguaggio, sentono di potersi aprire – continua Milena Pacciorini, di professione consulente filosofica in neuroscienze – I consulenti pari sono tutte persone che hanno superato momenti di difficoltà e che quindi spesso fanno sentire più capiti i richiedenti, questa è la parte importante del progetto, non danno consigli o giudizi. Non hanno una formazione specifica in questo ambito e infatti molto importante è la supervisione. Noi entriamo in gioco quando affiorano le emozioni, quando la gestione diventa difficile, consigliamo e indirizziamo i ragazzi verso professionisti esterni in ambito psicologico».

I ragazzi vi contattano regolarmente? «Ci sono gli affezionati, certo, ma per la maggior parte dei casi l’utenza avviene solo nel periodo in cui c’è più bisogno di essere ascoltati. Poi magari tornano dopo qualche mese a raccontarci come stanno». Il sito offre tra l’altro la possibilità di scegliere con chi chattare tra gli avatar che rappre-

Coltivare la memoria

Parola di pari

Jonas è uno dei consulenti pari dell’Associazione, e ci racconta la sua esperienza: «Di questa attività mi piace poter dare una mano ai ragazzi che hanno bisogno di comprendere quello che gli sta accadendo». Certo, la società propone degli aiuti (scuola, famiglia, mediatori scolastici) «ma c’è una differenza enorme tra il parlare con un adulto o un ragazzo. Parlare con qualcuno della propria età, leggere le sue esperienze, li tranquillizza. Inoltre qui è anonimo, non si espongono. Andare a parlare con un professore o lo psicologo della scuola funziona, ma non per tutti».

C’è poi una formazione, grazie alla quale i consulenti pari imparano

le basi della comunicazione in chat, ma soprattutto come poter riconoscere i problemi che necessitano gli interventi dei coach.

Ti sei mai trovato in difficoltà? «Sì, tutti ne abbiamo avute, il progetto non potrebbe esistere senza la supervisione professionale. A volte i problemi che noi vediamo sembrano facili ma per alcuni sono insormontabili. Con l’aiuto e altri punti di vista spesso si riesce a risolvere una situazione».

E cosa ci si porta a casa la sera dopo la chat?

«Un punto di vista differente, c’è sempre un motivo che ci spinge a comportarci in un certo modo. Bisogna stare attenti a come si parla

sentano i consulenti pari di diverse età e una serie di campi tematici cui sono pronti a sostenere e ascoltare.

Le principali cause di sofferenza tra i giovani utenti sono, dall’osservatorio di Milena Pacciorini, «i pensieri suicidari, l’autolesionismo, i disturbi alimentari (anoressia, bulimia), stati di ansia o panico. Anche problemi legati agli amici, all’amore, alla scuola. Un grande lavoro se si pensa che abbiamo una media di 80-90 chat aperte ogni sera. E siamo tutti volontari».

In atto il riconoscimento anche da parte del Cantone e l’inizio di importanti collaborazioni, l’Associazione è per ora sostenuta da diversi comuni, da fondazioni e cliniche private, oltre che da Telefono SOS Infanzia. «Siamo però alla continua ricerca sia di ragazzi consulenti pari che abbiano tra i 15 e i 23 anni e una conoscenza esperienziale, sia di coach professionisti dai 26 anni, che abbiano alle spalle una formazione in ambito psico-sociale, psicologi o assistenti sociali, con facilità di contatto coi ragazzi». Lo scopo è poter creare nel futuro posti di lavoro e professionalizzare il servizio.

e a come si risponde alle persone». Anche perché qui non è che si parla, più che altro si scrive, e in fretta… come si riesce a trasmettere il calore della voce?

«È più dura, è difficile far passare le emozioni in forma scritta. Si tenta con parole adeguate, dolci, soffici. Bisogna sceglierle con cura per riuscire a far capire alla persona dall’altra parte che è ascoltata, anche se non ci vede. Un altro trucco che ho imparato è anche usare il plurale invece che la forma singolare, fa sentire meno soli».

Un atteggiamento necessario non solo in chat e che questa esperienza sicuramente racconta anche a livello umano, offline

Nel comune di Soazza, grazie all’Associazione Testimonianze di cultura locale, è nato un pregevole progetto atto a conoscere il territorio e a tenere viva la memoria delle antiche generazioni grazie alla conservazione e alla raccolta di oggetti, utensili e strumenti di un tempo, usati nelle più disparate professioni e nelle attività rurali. Testimonianze importanti, come sottolinea Assunta Mantovani-Toschini, presidente dell’Associazione, che diventano ora «materia viva», grazie alla possibilità data al pubblico di ammirare e toccare gli oggetti esposti, arrivando addirittura a provare a utilizzarli con le proprie mani.

A questo scopo il Comune di Soazza ha messo a disposizione dell’Associazione un vecchio edificio nel nucleo del paese (quella che un tempo fu una stalla con fienile) per adibirlo

a spazi dedicati alle professioni di una volta che negli anni sono gradualmente sparite o si sono modificate. L’edificio porterà il nome di «Ca dela memoria» e darà modo di visionare

filmati e fotografie, oggetti e utensili appartenenti ad altre epoche e ascoltare testimonianze orali. Saranno inoltre previsti spazi dedicati all’apprendimento di antichi procedimenti.

ne, un racconto dedicato ai bambini dai 4 agli 8 anni, nato dalla passione

l’infanzia,

che da anni ha l’abitudine di inventarne per i propri figli. Una storia giocosa, in cui il Mago di Cantone,

essere una figura minacciosa e tenebrosa, si trasforma in un simpatico pasticcione amante degli

Concorso

«Azione» mette in palio 25 copie di La vera storia del mago di Cantone di Agata Galfetti. Per partecipare al concorso inviare una mail a giochi@ azione.ch, oggetto «Mago» con i vostri dati (nome, cognome, indirizzo) entro martedì 27 dicembre 2022.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 19 dicembre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino 9 SOCIETÀ
La chat di aiuto è pensata per i giovani dai giovani e si basa sui principi della peer education. (Shutterstock)
nostra storia ◆ La Commissione culturale del Consiglio di Cooperativa di Migros Ticino sostiene un progetto in Mesolcina
La
Da sin. Gaby Malacrida (pres. Commissione cult. del Cons. cooperativa Migros Ticino), Luca Corti (resp. comun. e cultura Migros Ticino), Assunta MantovaniToschini e Margherita Cadenazzi-Rosa, collaboratrice dell’Associazione.
Il misterioso mago Pubblicazioni ◆ Una storia per bambini ambientata nel Mendrisiotto La prima fatica letteraria di Agata Galfetti Gilardi (illustrata da Rosy Gadda Conti) si rifà a una leggenda che aleggia sul Castello di Cantone, situato nel Mendrisiotto, sul confine tra Rancate e Riva San Vitale. È infatti appena uscito per i tipi di Fontana La vera storia del Mago di Canto-
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Quei minuti che salvano la vita

Medicina ◆ Aneurisma dell’aorta addominale, una patologia subdola che si può contrastare con un’ecografia di prevenzione

«L’aneurisma (dal greco: dilatazione) è un rigonfiamento localmente circoscritto di un’arteria, che si può manifestare in qualsiasi vaso arterioso del nostro organismo sebbene l’80% dei casi riguardi l’aorta addominale che ne risulta quindi la più colpita». A parlare è il dottor Alessandro Robaldo, caposervizio di Chirurgia del Centro Vascolare Ticino EOC, che indica i dati di prevalenza di questa patologia che può non lasciare scampo se non diagnosticata per tempo, monitorata e presa adeguatamente a carico, ragione per la quale negli USA si è meritata l’appellativo di silent killer.

«La Svizzera conta 6 casi ogni 100mila persone all’anno e nei Paesi occidentali il rapporto fra maschi e femmine è di 4 a 1: le donne in età fertile risultano più protette dagli ormoni». L’80% delle volte è una dilatazione che non dà sintomi, il cui riscontro è dato da una diagnosi occasionale durante accertamenti per altre patologie come, ad esempio, la lombalgia o dolori a livello toracico. La sua rottura inaspettata è il pericolo maggiore: «La rottura interessa 2,5 casi ogni 100mila persone, in soggetti maschi di età uguale o superiore ai 65 anni, con differenza fra fumatori e non fumatori dell’ordine di 8 a 1».

Infine: «L’incidenza della mortalità ospedaliera in Svizzera nel 2022 indica 2,6 casi su 100mila donne e 19,7 casi su 100mila uomini». Una malattia temutissima che potrebbe però essere prevenuta con successo per mezzo di uno screening mirato già in uso in alcuni Paesi. In Ticino, ad esempio: «Nel 2017 noi abbiamo sensibilizzato medici di famiglia e popolazione con specifico target di età, invitandola a sottoporsi a una semplice ecografia addominale di controllo. Consapevoli che nella prevenzione della rottura dell’aneurisma qualche minuto può salvare la vita, abbiamo invitato 1734 persone a partecipare a questi esami diagnostici preventivi e nel 4,2% dei casi l’aneurisma è stato diagnosticato».

Lo specialista dimostra l’importanza assoluta della diagnosi preventiva di questa dilatazione che può essere presa seriamente a carico prima di una rottura improvvisa: «Parliamo di aneurisma nei pazienti tra 60 e 80 anni la cui aorta presenta una dilatazione superiore ai tre centimetri (diametro dell’aorta addominale del 50% maggiore rispetto a quello del vaso nativo). Inoltre, l’ecografia ne evidenzia la forma, fusiforme o sacciforme: importante informazione perché nel secondo caso indica un rischio di rottura superiore, a prescindere dalle dimensioni».

Presa a carico e prognosi differiscono di parecchio tra il trattamento elettivo (se lo screening indica per tempo la presenza dell’aneurisma) e quello del paziente che giunge in emergenza con una rottura dell’aneurisma in corso: «Il trattamento in elezione comporta una mortalità inferiore del 3-6%. Mentre le persone con rottura dell’aneurisma addominale che riescono a giungere in ospedale sono meno del 40% dei casi che si manifestano sul territorio». Dati

inopinabili che dimostrano l’importanza assoluta della prevenzione, senza la quale l’aneurisma può rompersi improvvisamente causando il decesso di quel 60% di persone che non riesce nemmeno a giungere all’ospedale: «Nel 40% circa di quelli che raggiungono l’ospedale la mortalità in urgenza è nettamente più alta rispetto alla mortalità in elezione, in un rapporto di 30-40% su 3-6%».

Una prevenzione che può essere attuata sia a livello primario sia secondario: «Quella primaria agisce sui fattori di rischio con l’obiettivo di evitare malattie come diabete, ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, ed escludendo tutto ciò che è modificabile come fumo, vita sedentaria, obesità e stress». Di altrettanta importanza la prevenzione secondaria: «Oltre agli aspetti citati, non dimentichiamo quello farmacologico con cui possiamo evitare le recidive. Inoltre, la presa a carico di pazienti con malattie cardiovascolari deve essere ancora più accurata, così come dobbiamo essere coscienti che, guarito un aneurisma, in genere se ne possono formare altri

in altre sedi. Ad esempio, i pazienti con aneurisma dell’aorta addominale potrebbero in futuro svilupparne a livello delle arterie poplitee (ndr: della gamba). Da qui l’importanza della prevenzione con controlli ecodoppler a queste arterie».

Nella presa a carico del paziente che giunge con la rottura dell’aneurisma, in condizioni già estremamente critiche, i minuti fanno la differenza: «Il sanguinamento dell’aorta è interno e massiccio e, per aumentare la possibilità di sopravvivenza con un’adeguata presa a carico, i pazienti sono convogliati immediatamente a Lugano, dove questa patologia e i suoi trattamenti sono centralizzati e affrontati con eccellenza da un’équipe interdisciplinare di chirurghi vascolari, anestesisti, interventisti e angiologi». Due le possibili procedure, discusse e valutate in modo individualizzato per ciascun paziente. «L’intervento chirurgico “aperto” consiste letteralmente nel rimuovere e sostituire la lesione con una protesi sintetica attraverso un taglio nell’addome, mentre la seconda possibilità riguarda l’esclusione

Il vocabolario delle nostre preoccupazioni

Parlare oggi ◆ Pubblicata la serie delle parole svizzere dell’anno nelle quattro lingue nazionali, a cura della Scuola universitaria professionale di

Zurigo

La parola dell’anno svizzera del 2022 è per l’italiano penuria. Lo ha stabilito una speciale giuria diretta, come ogni anno, dal Dipartimento di Linguistica applicata della Scuola universitaria professionale di Zurigo (Zürcher Hochschule für Angewandte Wissenschaften), che ne isola tre per ognuna delle quattro regioni linguistiche del Paese.

Nell’operazione di selezione nulla è lasciato al caso e la prescelta deriva da una serie di operazioni attente, che vedono in successione il ricorso a una banca dati lessicale della scuola che individua le venti parole più rappresentative per frequenza statistica, il vaglio successivo di una giuria di esperti che riduce le parole a una terna, un esame scientifico (diremmo sociolinguistico) da parte degli esperti, che ne stabilisce i contesti d’uso e il significato sul piano sociale. Una piattaforma interattiva e aperta raccoglie le segnalazioni su brani di discorso pubblico e

dell’aneurisma dalla circolazione del sangue mediante una “endoprotesi” inserita dalle arterie degli inguini». Questa seconda possibilità è illustrata dalla dottoressa Maria Antonella Ruffino, caposervizio di Radiologia interventistica del Centro Vascolare Ticino EOC che ne evidenzia pure qualche limite: «La procedura endovascolare non è sempre praticabile a causa dell’anatomia del paziente: il vaso attraverso cui viene inserito il dispositivo può talvolta essere troppo stretto o tortuoso, mentre l’endoprotesi tradizionale richiede comunque uno spazio di aorta sana tra le arterie renali e l’aneurisma per poter aderire e sigillare l’aorta».

Benefici e qualche limite di questa tecnica sono così riassunti: «I criteri di mininvasività hanno consentito di operare con basso impatto chirurgico pazienti affetti da molteplici problematiche di salute in particolare cardiache, per i quali un intervento tradizionale sarebbe stato ad alto rischio. Ideali i pazienti sopra i 70-75 anni che non richiedono un follow up lungo, mentre per quelli di 40-50 anni viene considerato l’intervento chirurgico i cui controlli sono meno assidui. D’altra parte, il trattamento endovascolare richiede controlli post operatori più ravvicinati, secondo l’evoluzione, per valutare eventuali complicanze che possono essere più frequenti». Complicanze che nella maggior parte dei casi, rassicura la dottoressa Ruffino, «sono individuali e ritenute meritevoli di un ulteriore trattamento endovascolare».

La valutazione di ogni caso, ribadiscono gli specialisti, è presa in regime interdisciplinare e individualizzata alla realtà di ogni paziente.

Conferenza pubblica Mercoledì 21 dicembre, alle 18.30, avrà luogo una conferenza virtuale con i dottori del Centro Vascolare Ticino Giorgio Prouse e Maria Antonella Ruffino. Vedi link: https://bit.ly/3W6GUca

proposte puntuali di parola, garantendo così anche un contributo fattivo e «dal basso» della comunità dei parlanti; l’idea è che particolare attenzione sia posta appunto al contributo collet-

tivo, perché è da lì che verrebbe la sostanza delle parole intese come mentalità sociale sedimentata.

Così, come detto, penuria è la parola svizzera italiana dell’anno, accompagnata al secondo e al terzo posto di questa speciale classifica da invasione e da coraggio. L’iniziativa riguarda dal 2019 le quattro lingue nazionali; iniziata nel 2003 dapprima nella realtà svizzera tedesca; dal 2017 è raccolta anche la parola francese, dal 2018 quella italiana e, appunto, dal 2019 anche la parola romancia dell’anno. Per questo 2022 le altre lingue nazionali vedono al primo posto Strommangellage (carenza di energia) per il tedesco, boycotter per il francese, mancanza per il romancio.

Una prima considerazione può riguardare il fatto che tre delle quattro lingue svizzere promuovono tutto sommato la stessa parola, con il tedesco che specifica la carenza di energia ma forse solo perché questa lingua, si

sa, riesce a condensare un concetto di tre parole in un solo termine, cosa che per questioni morfologiche non riesce alle altre lingue nazionali. La seconda osservazione è che il significato del termine allude non tanto a un pericolo presente quanto a una preoccupazione preventiva. Come succede tipicamente per le derive legate all’ambiente, ci si sta preoccupando per qualcosa che ci attende ma del quale non conosciamo la misura e le caratteristiche: potrebbe essere una cosa grave e devastante oppure qualcosa di più sopportabile, e in più non c’è certezza sui tempi. Intanto la mancanza di qualcosa, dopo la pandemia e la guerra è una preoccupazione nuova e un risultato comune a molte sciagure. Penuria è, volendo, anche il risultato di tutto quanto di negativo ci è capitato in questi anni: malattie che paralizzano il mondo, eventi bellici che limitano le risorse, siccità che ne impedisce la produzione. Infine, nel gruppo del-

le tre parole svizzere dell’anno in italiano, contiamo anche un avvenimento storico in un qualche modo vistoso e misurabile, invasione, e la reazione individuale e collettiva nei confronti di questo e di altri eventi, coraggio Al di là dell’esercizio accademico, che è comunque di lodevole qualità, l’abitudine all’individuazione di parole dell’anno ci permette di stabilire una sorta di barometro delle società e delle comunità. Parole come valigette di nozioni e contenuti che condensano mentalità, che raccolgono paure e ossessioni, che indicano soluzioni o atteggiamenti da assumere nei confronti dei mali del mondo. Su tutto, una concezione della quale la linguistica si è accorta da tempo: il fatto cioè che il valore delle parole va ben al di là del loro significato semantico nucleare; cariche di storia come sono, le parole sono spesso comode convenzioni per riassumere mentalità e, forse, per indicarci una via.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 19 dicembre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino 13 SOCIETÀ
La dottoressa Maria Antonella Ruffino, caposervizio di Radiologia interventistica del Centro Vascolare Ticino EOC, e il dottor Alessandro Robaldo, caposervizio di Chirurgia del Centro Vascolare Ticino EOC. (Stefano Spinelli)
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Non solo per schiarire il buio

Tra i tanti accessori utili nel corredo del fotografo appassionato, il flash è probabilmente uno dei meno presenti. Il suo buon uso resta per questo un mondo ancora tutto da esplorare. Sono infatti molte le possibilità di intervento che questo strumento permette sull’illuminazione della scena che vogliamo fotografare. Certo, a prima vista, si potrebbe pensare che dati gli sviluppi tecnologici in campo fotografico, potrebbe sembrare desueto: è ormai infatti possibile fotografare con sempre meno perdita di qualità e sensibilità; ciò che un tempo pareva utopico. Ma è invece proprio grazie a questa evoluzione che ci si può spingere oltre, pur avendo la garanzia di poter operare con certo agio anche in situazioni in cui è l’oscurità a predominare. Opportunità accresciute infine dalla postproduzione che sempre di più oggi ci permette di correggere e migliorare gli scatti.

In che modo, dunque, può aiutare infilare nella borsa fotografica questo ingombro in più? Oltre a rappresentare un interessante contributo di luce – che si aggiunge a quella presente nell’ambiente, quando questa è insufficiente – il flash può servire anche a modellare la luce sul soggetto, ammorbidendone o rinforzandone il contrasto, oppure andando a creare quella che sarà la luce caratterizzante l’immagine. Una luce già equilibrata allo scatto, per quanto possibile, è ciò che permette in un secondo tempo il più ampio spazio d’intervento.

Esistono vari tipi di flash per uso fotografico. Grossomodo possiamo distinguerli in due grandi categorie: quelli a luce continua – usati prevalentemente in studio – e quelli lampeggianti. Tra questi ultimi, oltre a quelli integrati nelle macchine fotografiche, troviamo i flash da studio e quelli portatili, detti anche «a torcia», «cobra» o «speedlight». È su questi che porteremo la nostra attenzione, tenendo presente che l’uso che se ne può fare non si discosta particolarmente da quelli più grossi da studio. Ciò che li distingue sta nella diversa potenza e maneggevolezza. La minor potenza dei flash a torcia – che, in certe situazioni potrebbe rivelarsi pure insufficiente – viene in parte compensata dalla loro più semplice manovrabilità. E sono fuor di dubbio di più facile e comodo trasporto, pensando a un loro uso in esterno.

Questo tipo di flash è utilizzabile sia attaccato direttamente al corpo macchina grazie alla slitta presente di solito nella parte superiore delle macchine stesse (modalità on-camera), sia staccato dalla macchina (off-camera), posizionandolo su un cavalletto o altro sostegno, e azionandolo tramite un dispositivo a fotocellula o un radiocomando (trigger). Ha inoltre la

particolarità di avere la parte superiore – quella, per intenderci, dove ha sede la lampada – del tutto snodabile, cosa che permette di direzionare facilmente la luce in qualsiasi direzione si voglia.

Ma come, direte, il flash non va sparato direttamente sul soggetto che stiamo puntando? E no, proprio questo è il classico orrore/errore, quello che porta poi a dire, che brutta luce produce il flash (e il più delle volte è vero!) e fa sì che per finire non lo si usi più. La luce portata direttamente sul soggetto fotografato, tenendola in linea con l’obiettivo, cancella ogni ombra e rende piatto il soggetto. Può pure starci qualche volta, ha un suo valore stilistico, e si può anche pensare, consapevolmente dunque, di costruire una serie di fotografie usandolo in questo modo. Ma non è l’unico modo di utilizzare un flash, e perlopiù non il migliore.

I campi privilegiati di utilizzo dei flash sono, in particolare, il ritratto (nelle sue varie declinazioni), la fotografia di still life e quella d’interni.

L’uso di uno o più flash ha il pregio di obbligarci ad analizzare in modo accurato la portata della luce presen-

te, quella già disponibile per lo scatto che andiamo a realizzare. Importante è anche previsualizzare il tipo di luce che effettivamente vogliamo risulti nell’immagine. Si tratta quindi di verificare la quantità e la qualità della luce ambiente prima di adottare le opportune soluzioni che la situazione richiede e permette.

Parrebbe, questa, un’operazione complessa. In realtà, è come tante altre operazioni che richiedono di norma un’attenta e precisa valutazione da parte del fotografo: nel tempo saranno assimilati gli insegnamenti dettati dalle varie esperienze, che ci permetteranno di procedere in modo semplice e rapido. Ma facciamo qualche esempio per spiegarci meglio.

Una buona luce ambiente che presenta tuttavia zone d’ombra troppo forti, magari proprio sul soggetto che vogliamo mettere in valore, potrebbe richiedere una schiarita. Per ottenerla, ci basterà direzionare il nostro flash verso il soffitto, una parete o un pannello riflettore (che potrebbe essere semplicemente costituito da una lastra di polistirolo) che permetterà alla luce puntiforme e contrastata del flash di aprirsi per diffondersi con un più

ampio raggio. In alternativa, si potrà anche direzionare il flash sul soggetto, ma solo dopo aver aggiunto allo strumento di lavoro un modificatore di luce – ad esempio, un’ombrellino diffusore o un softbox. Più è ampia la fonte di luce e più morbido sarà il risultato: in questo caso, non sarà il flash a essere la fonte diretta di luce, ma la superficie traslucida dell’ombrellino o la riflessione data dal soffitto, dalla parete o dal pannello (attenzione al colore che di volta in volta hanno queste superfici e alla dominante cromatica, magari fastidiosa, che potrebbero aggiungere all’immagine).

Un altro dei casi frequenti è dato da uno scatto in controluce che potrebbe richiedere un pareggiamento tra la luce di sfondo, intensa, e quella sul soggetto, solitamente piatta e assai più bassa. Per risolvere questa situazione dovremo calibrare anzitutto l’intensità della luce del flash.

In seguito, sarà poi necessario posizionarlo di preferenza angolarmente rispetto all’asse «macchina fotografica-soggetto da fotografare», in modalità off camera, per generare ombre – e quindi volume – sul soggetto in questione.

Avendo a disposizione più fonti di luce, magari coadiuvate da vari modificatori ed eventuali schermi, potremo modellare anche la luce dell’immagine a nostra volontà. Sono, queste, situazioni che richiedono una buona padronanza tecnica e del linguaggio della luce, delle innumerevoli possibilità che questa, nelle sue varie forme, ci dona.

L’impiego dei flash, va detto anche se solo di corsa, implica la capacità di regolare la loro potenza in accordo alla situazione da fotografare (pur potendo lavorare in automatico è quasi sempre preferibile adottare la modalità manuale); la conoscenza, anche vaga, della famigerata legge dell’inverso del quadrato della distanza; il saper sincronizzare il tempo di scatto con l’emissione di luce dal flash; l’uso di modificatori, ve n’è tutta una panoplia…

Il mio consiglio, per chi volesse cominciare a utilizzare il flash in maniera più creativa rispetto al suo comune e malinteso uso, è di affrontare dapprima situazioni semplici, che permettono di capirne la logica di funzionamento, per poi poco a poco andare a sperimentare soluzioni più complesse.

TEMPO
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Fotografia ◆ Molto utili sono i flash da studio, ma soprattutto quelli portatili, detti anche «a torcia», «cobra» o «speedlight»
Stefano Spinelli Pagina 19 Nella terra delle A.O.C. Premier Crus Ginevra è il terzo territorio vitivinicolo svizzero anche grazie a Satigny che è il più grosso comune vitato della nazione Pagina 20 Crea con noi Un’idea semplice ed economica per realizzare una carta regalo e dei biglietti d’auguri stampati con un tocco personale Pagina 17 La colorata storia dell’arte fieristica Dai Salons Vénitiens, omaggio al carnevale di Venezia, a Le Theâtre du Merveilleux, fantastico palazzo dell’illusione
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Un giro di giostra di antichi divertimenti

Passatempi ◆ Al Museo dell’arte fieristica di Paris-Bercy, le maschere del Carnevale di Venezia si incontrano con i caroselli britannici

Tutto ebbe inizio in Francia negli anni Settanta quando Jean Paul Favand, un antiquario originario di Saint Etienne, prese a raccogliere gli oggetti più disparati delle fiere e del mondo dello spettacolo. Attore in una compagnia teatrale, negli anni Settanta Favand fondò il Tribulum-Antiquités, un negozio di antiquariato dove assemblò una collezione di curiosità, da oggetti di arte popolare a pezzi dell’universo dello spettacolo. Malvisti nel mondo dell’antiquariato forse a causa della loro natura itinerante, questi pastiches vantavano tuttavia lussuosi intagli e rifiniture, oltre che costituire un inestimabile patrimonio culturale.

Le fiere divennero popolari come luoghi per divertirsi e sognare, ma anche per scoprire le continue innovazioni tecnologiche

All’età di trent’anni, Favand ebbe l’idea di creare una sorta di Louvre dell’antiquariato e organizzò le prime mostre a tema in Medio Oriente, Giappone ed Europa. A partire dagli anni Ottanta, Tribulum si convertì in un bistrot nel cuore di Les Halles, ma il numero e le dimensioni sempre maggiori degli oggetti collezionati lo costrinsero a cercare un posto più grande, prima a Gentilly e infine nei Pavillons de Bercy, costruiti nel 1878 dall’apprendista di Gustave Eiffel, Louis Ernest Lheureux.

I padiglioni facevano parte di un antico mercato del vino che interessava l’intero quartiere. La leggenda vuole che nel 1704 Luigi XIV si trovasse a Nôtre Dame de Bercy per assistere a una messa. Secondo i costumi dell’epoca tutti dovevano inginocchiarsi davanti al re, ma un uomo sembrava essere rimasto in piedi. La guardia mandata a prenderlo si accorse tuttavia che l’uomo, un viticoltore di nome Martin, era solo molto alto… Martin approfittò dell’occasione per lamentarsi delle gravose tasse da pagare per portare il vino all’interno di Parigi. Divertito, il Re Sole decise che da quel momento, nel villaggio di Bercy il commercio del vino sarebbe stato esente dalle tasse. È difficile oggi immaginare quei padiglioni accessibili solo ai mercanti di vino e ai clienti, avvolti dal suo profumo e da quello delle botti in legno. Osservando a terra, però, i binari rievocano ancora i treni che consegnavano il vino proveniente dalle imbarcazioni lungo la Senna. I parigini frequentavano volentieri questo quartiere che, grazie alla concessione del re, pullulava di enoteche e guinguettes

I padiglioni sono collegati ancora oggi da una strada selciata cinta da castagni e platani secolari che avevano la funzione di climatizzatore naturale, allo scopo di mantenere il vino a temperature fresche. Passeggiando tra i platani si raggiunge l’ingresso del museo, visitabile solo su prenotazione. Il primo padiglione è un omaggio a Venezia e al carnevale: i Salons Vénitiens. Di fronte a una scenografia dipinta a mano alla quale fa da sfondo il Canal Grande, le figure automatizzate di Colombina, Arlecchino e Casanova si muovono dai balconi mentre la guida racconta che nel XVII secolo, nel tentativo di rilanciare l’economia della città, il Doge di Venezia aveva esteso la durata del carnevale di Venezia da dieci giorni a diversi mesi.

Nel XIX secolo, le fiere divennero popolari in Francia, Regno Unito, Germania e Belgio non solo come luoghi per divertirsi e sognare, ma anche per scoprire le innovazioni e le tecnologie più recenti, come i primi prodotti del cinema. Durante la Belle Epoque, tra gli anni 1880 e 1920, furono costruiti eleganti Carrousel-Salons, strutture mobili coperte che ospitavano un organo, una sala da ballo, giostre e bar. Il museo si ispira direttamente a questi sorprendenti edifici itineranti e le due statue poste all’ingresso erano un tempo esposte proprio in un Carrousel-Salon

Le note dell’organo a barile, rea-

lizzato dalla famiglia Hooghuys di Gramont, in Belgio, potevano essere sentite a tre chilometri di distanza. I cavalli della giostra in legno, costruita intorno al 1900, furono realizzati dallo scultore tedesco Hubner e dal francese Bayol. Solo nobili o soldati potevano permettersi di possedere un cavallo all’epoca, e le giostre erano a volte l’unica possibilità di cavalcarne uno. I cavalli di una giostra guardano sempre verso l’esterno, per attirare l’attenzione del pubblico, e i cavalli di fattura europea guardano a destra mentre ruotano in senso antiorario. È facile, dunque, individuare un cavallo realizzato in Gran Bre-

tagna, perché la sua testa sarà rivolta verso sinistra.

La «Course des garçons de café» fu costruita sul tema della corsa dei camerieri, un classico britannico. Questa gara si svolgeva a Parigi all’inizio del XX secolo, e ancora oggi, ogni anno a Montmartre i migliori camerieri corrono otto chilometri maneggiando un vassoio senza rovesciarne il contenuto.

La giostra delle biciclette vanta un’apparizione nel film di Woody Allen Midnight in Paris del 2011. Dopo il 1861, anno in cui il primo sistema di pedali fu creato da Ernest Michaux, non esistevano molte biciclette e la gente voleva sperimentarne la velocità; questa giostra può raggiungere i 65 km/h, più di un cavallo al galoppo! Nonostante sia stata costruita nel 1897, in Belgio le biciclette si muovono in senso orario, perché le giostre come questa sono un’invenzione britannica.

Con la sala Le Theâtre du Merveilleux Favand creò invece un palazzo dell’illusione, con un elefante volante e miniature di sapore esotico. La sala da ballo è circondata da unicorni

e silhouette di cera, figure di spicco del XIX secolo appartenenti alla collezione del Musée Grevin. Lo scrittore Victor Hugo e l’inventore Thomas Edison indossano i costumi del famoso cabaret Folies Bergère. L’organo Mortier del 1932, decorato in stile Art Déco, contiene l’equivalente di 12 musicisti.

Quando le speranze di Favand di un museo finanziato dallo Stato non si realizzarono, il desiderio di mantenere viva la collezione lo portò a fondare un museo privato che si sostentava mettendo la sede a disposizione per eventi speciali. Oggi gli oggetti si esibiscono, simili ad attori, sul suggestivo set creato da Favand. La collezione è considerata una delle più estese della sua categoria e alla fine di marzo 2021 Francia e Belgio hanno presentato una domanda per far iscrivere la cultura e l’arte delle giostre nella Lista del patrimonio culturale immateriale dell’Unesco.

Informazioni

Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 19 dicembre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 17
Organo a barile: le sue note possono essere sentite a oltre tre chilometri di distanza. Sotto: una giostra del padiglione «veneziano», a sinistra; i cavalli della giostra in legno furono realizzati dallo scultore tedesco Hubner e dal francese Bayol.
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Il primo vino svizzero?

Bacco giramondo ◆ Affonda le radici nel canton Ginevra. È qui la più alta densità di vitigni impiantati in territorio elvetico

Il vigneto ginevrino conta più di duemila anni di storia. Abitate dalla tribù celtica degli Allobrogi che vivevano sulla riva sinistra del Rodano, queste terre furono le prime a finire sotto il dominio romano durante la conquista della Gallia. Dominio che sicuramente portò vantaggi alla viticoltura sviluppatasi lungo il fiume.

L’agricoltura, oggi, ricopre il 41,5% della superficie globale del canton Ginevra (282 kmq) e, sebbene il numero si modifichi di anno in anno, ben 1538 ettari (il 4%) – 122 dei quali sono parcelle situate in zona franca sul territorio francese – fanno di Ginevra il cantone con la più alta densità d’impianto, e il terzo territorio vitivinicolo svizzero.

Nell’opera Le vin de nos coteaux (edita nel 1943 e pressoché introvabile), David Revaclier racconta quanto velocemente furono stabilite le relazioni commerciali tra i ginevrini e le popolazioni che vivevano a sud del Rodano, nelle città francesi di Lione e soprattutto Vienne (Côtes du Rhône), e come i vini del Midi della Francia raggiungessero per via fluviale «Condate», l’odierna Seyssel, sempre in Francia.

Situato in modo ottimale tra le creste del Giura e le ripide scarpate del Salève, il vigneto ginevrino ostenta le sue parcelle vitate sui numerosi costoni divisi in tre regioni. Tre aree geografiche dai confini naturali ben definiti e molto differenti tra loro, sia sul piano del cosiddetto terroir, sia su quello climatico.

La prima è situata nella Rive droite (che percorre Giura, lago Lemano e Rodano, fino alla frontiera francese). Conta 864 ettari e vanta anche la regione del Mandement, la quale, separata da Ginevra, all’epoca fu amministrata dai vescovi. Qui troviamo Satigny: forse a pochi noto, è in verità il più grosso comune viticolo svizzero grazie ai suoi ben 488 ettari (quasi la metà dell’intero canton Ticino vitato, che di ettari ne conta circa mille). In questa zona, il

suolo contiene una percentuale superiore d’argilla che a volte raggiunge il 30% e aiuta il vino ad avere più struttura.

La seconda regione vitivinicola si trova tra Arve e Rhône: conta 347 ettari ed è incastonata appunto fra i due corsi d’acqua. Questa zona è la più riparata dai venti; qui troviamo un suolo morenico, composto da residui ghiaiosi e di calcare, che influenza molto i sentori minerali dei vini.

La terza regione, infine, è quella situata tra il fiume Arve e il lago (Entre Arve-et-Lac); i suoi terreni composti da residui lacustri, con suoli sabbiosi e ghiaiosi, donano ai vini una ricercata eleganza e li impregna di una buona purezza aromatica, caratteristiche che mettono in risalto la tipicità dei vari vitigni coltivati.

Per tante diversità di terroirs, altrettante sono le differenze anche nei profumi dei vini prodotti: si va dai terreni sabbiosi a quelli argillosi sui dolci rilievi, oppure ancora si allevano vitigni sui costoni inclinati che beneficiano del sole, o sfruttano terricci come quelli color rossiccio di alcune zone della costa di Dardagny, area ereditata dall’ultimo periodo di glaciazione, quando la zona del Lemano era ricoperta da uno strato di ghiaccio di 200 metri di spessore. Ogni particolarità del terreno, ovviamente, concorre anche alla scelta del vitigno che sarà impiantato secondo le singole capacità di adattamento.

Naturalmente anche il clima gioca un importante ruolo per la buona maturazione dell’uva, in questa zona più che altrove: qui, numerose sono le ore di sole di cui possono godere i vitigni grazie ai larghi spazi; importante è pure la vicinanza del lago che attenua i rigori delle gelate primaverili, senza dimenticare le cime del Giura che fanno da barriera ai freddi venti provenienti dall’Atlantico, e dunque in arrivo da ovest.

Dopo aver subito nel passato diversi contraccolpi, i viticoltori ginevrini, di fatto, sanno affrontare mol-

to bene le difficoltà che si presentano: hanno per esempio diversificato alcuni vitigni elaborando varianti esclusive e hanno modernizzato tutte le attrezzature, ciò che permette di produrre prodotti d’eccellente rapporto qualità/prezzo. È bene ricordare che Ginevra è stato pure il primo cantone a introdurre una denominazione con A.O.C. Premier Crus, comunali e cantonali. Parliamo ad esempio dell’Esprit de Genève, un vino prodotto da almeno un 50% di Gamay (che apporta freschezza e note speziate), da una parte di Gamaret (che contribuisce con i suoi tannini e conferisce struttura), e da un’altra parte di Garanoir (artefice di finezza, o raffinatezza). Per restarne totalmente incantati, consigliamo di assaggiarlo come accompagnamento di una fricassée de volaille, magari durante la visita di qualche vitigno dei tanti che compongono la ricca tavolozza di questo cantone, caratterizzato dal dina-

mismo dei suoi vignerons; oggi se ne contano più di 30.

Tra i vitigni a bacca rossa, oltre ai tre sopracitati che compongono l’assemblaggio dell’Esprit de Genève, troviamo gli internazionali Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot, Pinot Nero. Ma più interessanti sono il Galotta (vitigno creato a Changins dall’incrocio di Ancelotta e Gamay); il Dornfelder (Helfesteiner + Heroldrebe); il Landot, ultimo sopravvissuto di quei vitigni creati per resistere alla filossera; senza dimenticare il Divico (Gamaret + Bronner). Quest’ultimo, immesso sul mercato nel 2013, sta ottenendo un grande successo, togliendo terreno al Syraz È una fioritura di nuovi vini che ci incuriosiscono. Vinificati singolarmente o assemblati, abbiamo provato rossi fermi, rosati o spumantizzati come l’eccellente Gamay rosato che ci è stato offerto come brindisi di benvenuto.

Colorano il Natale, ma non lo profumano

Tra i vitigni a bacca bianca, mantiene il posto maggioritario lo Chasselas. Seguono: lo Chardonnay fresco e delicato, vinificato effervescente, tranquillo o in barrique; i sensuali Pinot Bianco e il Pinot Grigio; il Sauvignon Blanc, vivace e fresco; l’armonico Sémillon; il fruttato Müller-Thurgau; il Moscato delicatamente aromatico; e l’Aligoté con la sua caratteristica acidità.

Non dobbiamo infine dimenticare, seppur piccole, le produzioni di Gewürztraminer dal profumo di rose e passitè; il Kerner, che dona vini abbastanza longevi; il Findling (vino magnifico); e il Scheurebe, il cui profumo ricorda il pompelmo. E chiudiamo questa lunga carrellata con il Viognier e i suoi profumi di albicocca matura nella versione di vino fermo, che ci ricordano quelli dello stesso vitigno coltivato nel suo luogo d’origine, la Vallée du Rhône francese. Notevole pure la gamma di vini ottenuti con vendemmie tardive.

Mondoverde ◆ Sono belli, grandi, rosseggianti, invernali e perfetti da regalare in questi giorni festivi, il loro nome è Hippeastrum, da non confondere con i fragranti Amaryllis

Un’idea originale e di grande effetto per un amico dal pollice verde? Cercate un regalo istruttivo per i vostri bambini? Oppure, per questi giorni di festa, volete comprarvi una pianta che non sia un ciclamino o la classica stella?

La soluzione è l’acquisto di un bel bulbo di Hippeastrum. Sbocciano nel cuore dell’inverno, al caldo delle case e quando i loro grossi fiori si aprono, è impossibile non notarli. D’origine sudamericana, gli Hippeastrum, producono grossi bulbi dal diametro di 15-25 centimetri, e prima ancora – si parla di pochi giorni dalla piantumazione in terra umida – emettono foglie, lunghe e lineari, di un bel verde brillante. Raggiungono anche i settanta centimetri, e accompagnano gli steli dei fiori che sono degli scalpi alti fino a novanta centimetri, dai quali si schiudono gli enormi fiori.

Queste piante hanno poche esigenze. Basterà individuare in ca-

sa una zona luminosa dove posarle, utilizzare terriccio universale, irrigarle solo quando il terreno risulta completamente asciutto e mantenere una temperatura ottimale tra i 18 e i 22 °C.

Curiosa è la storia del loro nome: molti floricoltori, fioristi o semplici amanti di queste piante, li chiamano Amaryllis, come spesso faccio anch’io, confondendoli così con altre bulbose di origine sudafricana e importate in Europa, nel Seicento, da navigatori portoghesi.

I fiori di Amaryllis ( Amaryllis belladonna), tanto per cominciare, sono profumati e sullo stesso stelo ve ne sono da otto a sedici, con un diametro di tre-quattro centimetri; hanno colorazioni dal bianco al rosa e, dopo l’impollinazione, producono dei semi simili a perle, dal diametro di un centimetro, bianco rosati che sbocciano in tarda primavera.

Vengono coltivati in piena ter-

ra, su substrato drenante e argilloso o sabbioso, e si lasciano indisturbati nel terreno per anni.

Vivono

piantare anche nei nostri giardini in posizione ben soleggiata e riparata, come davanti a un muro a sud o in fioriere e vasche profonde da terrazzo o balcone.

Ma torniamo al nostro fiore natalizio: nel Novecento, in Olanda, vennero creati degli Hippeastrum ibridi, a cui venne dato il nome commerciale di Amaryllis, da cui nasce probabilmente la confusione. Questi ibridi hanno la particolarità di crescere in vaso, al caldo delle abitazioni per poter sbocciare a dicembre grazie alla forzatura a cui sono soggetti nelle serre di ibridazione. Sono fiori molto belli, quattro per stelo dal diametro di dieci-quindici centimetri l’uno, che colorano i nostri inverni, ma… non li profumano.

I colori vanno dal bianco al rosa fino al rosso scuro, con molte varietà dai fiori bicolori, che presentano lunghe pennellate tono su tono o a contrasto.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 19 dicembre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 19
Parte del vigneto Dardagny nel cantone di Ginevra nella Svizzera romanda. (Jimmyjones-commonswiki) molto bene sulle coste a sud dell’Europa, dove si disseminano spontaneamente, ma si possono
Diego Madrigal

Carta regalo e biglietti stampati fai da

Crea con noi ◆ Un’idea semplice ed economica per confezionare i doni con cura e originalità

Una carta da pacco stampata e dei biglietti d’auguri abbinati, rendono prezioso anche il regalo più semplice e trasmettono cura e attenzione verso la persona che lo riceverà. Ecco allora che questo tutorial vi viene in aiuto con un’idea semplice ed economica per confezionare i vostri doni in maniera elegante e originale.

Procedimento

Con il mattarello e la pittura bianca preparate la vostra carta da pacco decorata.

Per stendere la pittura in maniera

più uniforme sul mattarello potete usare un piccolo rullo in spugna come alternativa al pennello. Lasciate asciugare.

Usate alcuni fogli così preparati per impacchettare i vostri regali, altri serviranno per creare biglietti d’auguri e decorazioni. Alternate le due carte. Laddove il regalo è impacchettato con la carta stampata le decorazioni saranno neutre e viceversa.

Per i ventagli Tagliate delle strisce di carta da 8-10cm (potete adattare la misura a

Cruciverba

La redazione di «Azione» ha nascosto nel cruciverba una frase per tutti voi, la scoprirete a cruciverba ultimato leggendo nelle caselle evidenziate. (Frase: 6, 2, 4, 5, 6, 1, 5)

piacere in base alla dimensione del pacco) e lunghe almeno il doppio. Piegate a fisarmonica, quindi piegate la carta plissettata in due per creare un ventaglio fissando i due lati con un’aggraffatrice o del nastro biadesivo. Inserite al centro il filato rosso e annodate lasciando i lembi del filato liberi.

Per le stelline decorative Tagliate e pulite bene la confezione di tetra pak. Strappate la pellicola stampata esterna quindi ricavate delle stelle argentate con la fustellatrice.

Per i biglietti Ricavate dal tetrapak anche delle stelle più grandi (io ho utilizzato come cartamodello una formina per biscotti) e decoratele con delle perle unite dal filo per ricamo. Ricavate dai cartoncini craft A4 due biglietti d’auguri ognuno.

Sul davanti incollate un rettangolo di carta stampata sul quale potete posizionare a piacere le stelle o i ventagli creati in precedenza (in fotografia potete vedere diverse varianti). Divertitevi a alternare i vari elementi a piacere e finite aggiungendo un rametto di pino o altri elementi naturali.

I vostri regali e i vostri auguri sono pronti per essere donati ai vostri cari. Buone Feste!

Materiale

Sudoku Scoprite i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.

• Carta da pacco

• Mattarello lavorato con texture

• Rullo piccolo in spugna (in alternativa pennello largo)

• Tempera bianca

• Forbici e taglierino

• Filato rosso spesso

• Filo da ricamo color panna e ago

• Perle finte

• Fustellatrici con stella

• 1 confezione tetra pak vuota

• Rami di pino e piccole pigne o altri elementi naturali

• C artoncini craft A

(Potete trovare i materiali presso la vostra filiale Migros con reparto Bricolage o Migros do-it)

Tutorial completo azione.ch/tempo-libero/passatempi

Soluzione della settimana precedente PICCOLE CURIOSITÁ – Nome scientifico della pigna: STROBILO –L’alloggio dove è situato il pinolo: SPORAGIO.

a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti

seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito

il

pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 19 dicembre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 20 ORIZZONTALI 2. Il nome di Foscolo 4. Posto, luogo in tedesco 5. Disposizioni passeggere dell’animo 7. Iniziali della moglie di Riky Tognazzi 8. Congiunzione eufonica 9. Un albero 11. Le iniziali di una nota Pivetti 13. L’incognita in lettere 15. Circondano i facoltosi 17. Conserva i carciofini 19. Nome femminile 21. Interno in breve 22. Simbolo chimico dell’oro 23. Mi butto 25. Forma un bacino artificiale 28. Uffici Tecnici Territoriali 30. Una ola... al contrario 32. Voce del tennis 33. Aspirazioni irrealizzabili 34. Termine medico che significa forza, vigore fisico 35. Decametro in breve 37. Vaso di terracotta 38. Le ha pari il misero VERTICALI 1. Aspro, acido 2. Vicini alle donne 3. Sacca per liquidi 5. Avvezzi 6. Giorni sacri a Giove 9. Contento, soddisfatto 10. Ha molto fegato... ma non coraggio 12. A questo vengono i nodi... 14. Hanno la punta ricurva 15. Beneficienza, carità 16. Infossatura del polmone 18. La fine degli inglesi... 20. Poliedri con sei facce 22. O, ovvero in latino 24. Due gocce d’olio... 26. Un ufficiale abbreviato 27. Air Transport International 29. L’indimenticabile attore Power (iniz.) 31. Il suo simbolo chimico è Os 36. Asso inglese 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 3536 37 38 Giochi e passatempi Vinci una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una carta regalo da 50 franchi con il sudoku Regolamento per i concorsi
pervenire
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A U S TE R O ILAR E R RINA BE OV E GAG N I LAC O NICO E PUT IN S P P O RTO VOCE BARCA F ALA R A G IO F OL ATA 9357 248 61 8415 693 27 7261 839 45 4 7 9 2 5 8 1 3 6 5839 162 74 6123 475 89 2 5 4 6 3 1 7 9 8 1984 726 53 3678 954 12
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Viaggiatori d’Occidente

Volare non è un diritto, semmai un privilegio

All’inizio di dicembre la Commissione europea ha dato semaforo verde alla legge francese del 2021 che impone alle compagnie aeree di abolire i voli interni, se è disponibile un collegamento ferroviario in meno di due ore e mezza: niente più Parigi-Nantes, Parigi-Lione, Parigi-Bordeaux. Come tutte le buone leggi, anche questa è stata criticata da destra, da sinistra e dai verdi: per gli uni troppo radicale, per gli altri causa di licenziamenti, per gli ecologisti troppo morbida. Intanto anche Austrian Airlines, in cambio di aiuti di Stato, ha rinunciato alla rotta tra Vienna e Salisburgo in favore del treno. La stessa proposta fu avanzata un anno fa a Berna nel corso della trentesima sessione dei giovani dedicata all’ambiente e alla sostenibilità. L’accoglienza però è stata decisamente più tiepida. Già nel 2019 del resto il governo si era espresso contro un’analoga iniziativa dei verdi di Basilea e Gi-

nevra, giudicandola poco efficace. Io credo che sia stata un’occasione perduta, per diverse ragioni che proverò a spiegare.

Per cominciare gli aerei inquinano; producono una parte significativa (tra il 2 e il 5%) dei gas serra e rilasciano CO2 nelle fasce più elevate e sensibili dell’atmosfera. Soprattutto durante il decollo i jet consumano grandi quantità di carburante. Un volo da Zurigo a Milano comporta l’emissione di oltre cento chilogrammi di CO2 per passeggero, rispetto a soli tre chilogrammi con il treno. Per tratte più lunghe il divario è meno impressionante, ma resta schiacciante.

Inoltre le compagnie aeree sono aziende fragili e costose. Negli ultimi anni hanno molto patito la lunga pandemia e non si sono ancora del tutto riprese, soprattutto per la perdita di personale qualificato. Ricordate l’ondata di cancellazioni estive? In occasione del-

Passeggiate svizzere

Il café Romand a Losanna

Una luce speciale color miele di castagno, nata dall’incontro tra il legno di quercia dell’abbondante boiserie e gli abat-jour appesi, predispone l’animo al mondo. Tre signore di una certa età, a un orario madrileno, nella sala vasta come quella di una sala da ballo, pranzano sole senza solitudine. «Esseri soli ma con la gente» è forse questa, in breve, l’alchimia del café Romand (497 m) a Losanna, espressa, in un mini documentario andato in onda decenni fa, da Christiane Péclat. Storica patronne, dal 1972 al 2011, di questo posto fondato da suo papà, Louis Péclat (19071998), il ventidue ottobre del 1951. In origine una specie di tempio del vino bianco regionale – captato ai tempi in modo innovativo direttamente dai tini nelle cantine del sottosuolo, grazie al montavino Aspir, tutto argentato, brevetto della ditta Panizza di Ginevra – è un incrocio tra il bi-

strot vodese di campagna e la brasserie cittadina.

Il punto focale per i fedeli è il grande quadro in fondo che raffigura un viticoltore di spalle, il piede sinistro sul muretto, ammirare fiero i vigneti del Lavaux. Il Lemano, con le montagne mezzo innevate di fronte, non riesce a distogliere il suo sguardo dai vigneti di Epesses. «Hodleriano» mi disse una sera tardi un habitué e dipinto da un tale Henri-Vincent Gillard (19021980) che veniva qui tutti i giorni a bere il bianco di quei vigneti ritratti, contribuisce di certo allo spirito contemplativo dei clienti del Romand. Aspettando la fondue, accarezzo, con i polpastrelli, i tre elementi della vite cesellata sui lambris di quercia sopra lo schienale della panca. Grappoli, foglie, viticci elicoidali, riconfortano per la loro semplicità dovuta a un ebanista di nome Ledermann, come trovo scritto in un luminoso artico-

Sport in Azione

la festa del Ringraziamento la società di gioco d’azzardo online BetUS.com ha accettato scommesse su quale compagnia avrebbe cancellato più voli. Ma anche in tempi normali i fallimenti sono frequenti (Swissair!), così come la necessità di aiuti. E tuttavia volare non è un diritto, semmai un privilegio. Anche senza sollevare la questione dei voli privati, nel 2018, in piena espansione del turismo, soltanto l’11% della popolazione terrestre ha volato e solo il 4% all’estero. I frequent flyers (poco meno di 80 milioni di persone, 1% dell’umanità) causano il 50% delle emissioni di CO2 degli aerei. Anche i biglietti low cost ingannano, perché i reali costi sociali e ambientali sono nascosti.

La ferrovia al contrario gode di ottima salute. I treni storici (Orient Express, Transiberiana, Bernina Express) e le crociere ferroviarie sono di moda. Come ha scritto un viaggiatore: «Quando

si vola, il senso del viaggio scompare, mentre in treno si percepiscono costantemente i cambiamenti del mondo circostante». Sotto la presidenza Biden, gli Stati Uniti hanno rilanciato il trasporto su rotaia, trascurato da decenni. E persino i Paesi del petrolio e dei fuoristrada usati come utilitarie –Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti – stanno costruendo un vasto network ferroviario. Per restare all’Europa, in Italia l’alta velocità ha provocato il sostanziale fallimento della compagnia di bandiera, che si trascina stancamente alla ricerca di un compratore. Intanto la Spagna ha lanciato Iryo, schierando i Frecciarossa di Trenitalia. È solo l’ultima società nel mercato iberico dei treni veloci, già piuttosto affollato – tre concorrenti, quattro marchi: nessun altro Paese ha tante opzioni per l’alta velocità – a tutto vantaggio di concorrenza, qualità, prezzi. Sono tutti argomenti concreti a sup-

porto della campagna per una Confederazione senza voli interni. Naturalmente si può discutere l’efficacia di questo provvedimento, ma è importante mandare un messaggio di cambiamento, anche simbolico. E la Svizzera, con dimensioni contenute e ottimi collegamenti ferroviari, è il candidato perfetto per indicare la via. L’arcipelago di Tuvalu, nell’oceano Pacifico, è minacciato dall’innalzamento del mare. Il suo ministro degli esteri Simon Kofe, in un messaggio in occasione del recente COP27, ha annunciato che Tuvalu intende creare una copia digitale della nazione nel Metaverso, per garantire in qualche modo la sopravvivenza del suo paesaggio e della sua cultura. E ha concluso: «Tuvalu potrebbe essere il primo Paese al mondo a esistere solo nel cyberspazio; ma se il riscaldamento globale continua senza controllo, non sarà l’ultimo».

letto-ritratto initimista uscito un novembre del 1987 sul «24 heures» a firma di Gilbert Salem. Dove si scopre anche, proprio per via del décor in quercia: «i clienti del Romand hanno un po’ l’impressione di vivere un’esistenza da uccellino». Colpo di scena: nella panca simmetrica alla mia, verso le finestre, riconosco lo sguardo chiaro di Christiane Péclat. Ai tempi d’oro fumatrice di marylong extra, l’ex patronne dagli occhi azzurro nontiscordardimé, pullover blu marino, sciarpa tartan celeste, la treccia nei capelli grigi, chiacchiera a fine pranzo con una sua amica.

Il brouhaha iniziale appena entrato, sta scemando, tanti tavoli vengono sparecchiati dalle classiche tovaglie a quadri: unico cambiamento della nuova gestione, il verde al posto del blu bordato da un filo d’oro. Affondo i primi pezzi di pane nella mia prima fondue dell’anno che combacia con

l’apparire dei prati brinati. Lo sguardo del genere myosotis dell’ex patronne, una volta, in mezzo al mare di tavolini, colse «i più begli occhi del cinema francese»: Michèle Morgan. Di passaggio. Frequentatore abituale invece, spesso allo Stammtisch, in Romandia chiamato anche table des menteurs, Armand Abplanalp. Attore di teatro, grande bevitore, noto forse ai cinefili per un piccolo ruolo in Ultimo tango a Parigi (1972). Altro bevitore di rilievo che entrava in scena ogni giorno, nel locale affollato da avvocati, operai, pensionati, studenti, era Jacques Chessex. L’autore noto per L’Ogre (1973), tracannava ettolitri di dézaley, oltre a rimpinzarsi di pieds de porc e concludere con giri di «kirsch-maison da stendere un ussaro». Come si può leggere in Carabas (1971) dove il café Romand spunta più volte e rivela i tratti maternali di Madame Betty. Una delle memora-

Un album con sorrisi, lacrime di gioia e ferite difficili da curare

La copertina ci fa rivivere le emozioni e le lacrime dell’ultima apparizione in campo del divino Roger Federer. Quanto ci mancheranno le sue magie! Potremo anche riassaporare il primo oro olimpico di Lara Gut, insieme alle medaglie mondiali ed europee di Noè Ponti, Filippo Colombo e Ricky Petrucciani. Nel paginone centrale ecco il sorriso di Marco Odermatt. In braccio regge la sua prima sfera di cristallo. Sorride perché sa che potrebbe essere la prima di una lunga serie. Glielo auguriamo. E che dire del reportage sull’esodo bianconero a Berna, con capitan Sabbatini che alza al cielo la Coppa svizzera 29 anni dopo Tita Colombo? Bei momenti.

Ma prima di tutto ciò, in bella evidenza, nella fascetta che cinge il volume, riaffiorano le ceneri ancora calde della Nazionale svizzera di calcio. Lo schiaffo inflittoci dal Portogallo

ha bruciato in novanta minuti tutte le ambizioni che avevamo coltivato in trent’anni. Da quando Uli Stielike prima, Roy Hodgson poi, avevano cominciato a ricostruire l’immagine e la credibilità di una nazionale che fino ad allora era abituata a lottare… e a perdere.

C’è voluto ovviamente anche il contributo dei figli degli immigrati, i cosiddetti secondos. Dapprima italiani e iberici , come Ciriaco Sforza e Ramon Vega. Poi turchi, come Kubi, Inler e i fratelli Yakin. Infine, oltre ad alcune presenze latine, vedi Rodriguez e Vargas, si sono tinti di rossocrociato i calciatori di origini slave e balcaniche, come Seferovic, Behrami, Džemaili, Shaqiri, Xhaka, per citare i più sollecitati dai vari Mister che si sono avvicendati sulla panchina. Con i soli Müller e Bernasconi dubito che la Nazionale sarebbe riuscita a qualificarsi per otto

delle nove ultime grandi manifestazioni internazionali. Non ho citato la Romandia? Solo perché il cognome più diffuso oltre Sarine è Da Silva. A conferma dell’inevitabile e corroborante melting pot che sta rimescolando carte, valori e consuetudini. Ben inteso, che cantino il salmo o meno, sono tutti cittadini svizzeri. Tutti hanno lottato per conquistarsi un posto al sole. Tutti hanno dato l’anima per i nostri colori. Perché sono anche i loro colori. Sia per appartenenza, sia per interesse. Non potrei neppure immaginare che l’umiliante uscita di scena dal Mondiale sia figlia del disimpegno. Tutti sanno che una simile vetrina va onorata, tanto quanto la maglia. Non fosse altro che per questioni di mercato. E allora perché? Attenuanti non se ne intravedono.

Il raffreddore di Widmer e Elvedi non è sufficiente per giustificare la

débâcle. E neppure la crocifissione di Murat Yakin sarebbe una via sana per metabolizzare lo choc. Il Mister ha commesso degli errori, nella scelta dei singoli e nel modulo. Ma in campo ci vanno i giocatori, con le loro emozioni, le loro tensioni, i loro problemi. Non è un caso che alla Coppa del Mondo le squadre vengano segregate in lussuosi e blindatissimi alberghi. L’idea è quella di isolare i calciatori dal contesto mediatico, di proteggerli da polemiche, lodi, critiche, invettive e soprattutto, nel caso della Svizzera, dal rapporto conflittuale tra alcuni di loro e una parte dell’opinione pubblica. Spingendo l’operazione fino alle estreme conseguenze li si dovrebbe immergere in una bolla impenetrabile, senza radio, tv, computer, telefonino, al riparo dall’azione devastante dei social media. Missione impossibile. Vedere giocatori come Freuler e com-

bili cameriere di questo locale ritmato da tre enormi pilastri che donano, allo spazio, un effetto navata. Bluette, Hortensia, Tina, Sabine, Evelyne, Génia, Gisèle, Jasna, Helga, Marilou, alcune delle altre cameriere di carattere che hanno marcato le memorie. Indimenticabile però, pare sia stata Baba: una martinichese che si muoveva imperiale nella sala con al collo un ciondolo che attirava tutti gli sguardi: un fallo dorato creato da Bucherer. Non passava inosservato neanche Virgile, un habitué fulminato che come copricapo si metteva un’insalata capovolta. Il sorriso di uno dei due amici ritrovati per il rito di tre decilitri di chasselas, un primo pomeriggio a metà dicembre, dice tutto. Niente di tutto questo, notai, immalinconito qui una sera oscura di secoli fa. Ricordavo solo il suo nome, sopra l’entrata, in neon azzurro lucente.

pagni che si scusano con i sostenitori, suscita al tempo stesso rabbia, amarezza e tenerezza. Il 6 a 1 incassato dai lusitani è senza dubbio il passivo più pesante della nuova era. Sono certo che non capiterebbe di nuovo, se nei prossimi dieci giorni dovessimo incontrare altre dieci volte il Portogallo. A maggior ragione, se vogliamo capitalizzare lo schiaffo, il dirigente Pierluigi Tami, il selezionatore Murat Yakin e i loro staff dovranno analizzare al microscopio tutto quanto è accaduto tra la dignitosa qualifica in un girone di ferro, e l’imbarazzante uscita di scena contro un avversario che solo pochi mesi prima avevamo imbrigliato.

Sarà indispensabile capire se ciò è dovuto a limiti tecnico-tattici, a un presunto scarso attaccamento alla maglia, alla sindrome di Calimero che ci paralizza nei momenti topici, o ad altre ragioni.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 19 dicembre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino 21 TEMPO LIBERO / RUBRICHE ◆ ●
di Giancarlo Dionisio
◆ ●
di Oliver Scharpf
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di Claudio Visentin
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Le lezioni del

2022

Un anno segnato dalla guerra, dalle sanzioni, dallo shock energetico e dall’inflazione

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Un no che risuona ancora Trent’anni fa il popolo svizzero bocciò l’adesione allo Spazio Economico Europeo

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Quell’albero di Natale sotto terra

Investimenti da diversificare Quello che sta per chiudersi è stato un anno turbolento per i mercati finanziari; le previsioni per il 2023

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Prospettive ◆ Come la guerra ha stravolto il modo di vivere il periodo delle festività sia in Russia sia in Ucraina

L’albero di Natale principale dell’Ucraina quest’anno non sarà quello di Kiev ma quello di Bucha. Gli abitanti della città-martire diventata il simbolo dell’atroce occupazione russa hanno risposto alla domanda del sindaco Anatoliy Fedoruk sull’opportunità di installare un albero, e l’enorme abete è stato portato nella piazza centrale da una gru. Anche l’albero nella Piazza Sofiyska della capitale sarà un simbolo della «incapacità di piegarsi» che gli ucraini quest’anno hanno scoperto essere parte del loro carattere nazionale.

Alto dodici metri – soltanto un terzo del magnifico albero che nel 2021 aveva illuminato tutta la piazza – sarà a sua volta una «punkt nezlamnosti», come si chiamano quei centri di emergenza allestiti nelle cantine, nelle scuole o addirittura nelle tende dopo i raid missilistici russi, dove i cittadini rimasti senza luce, calore e acqua per colpa delle bombe possono ricaricare il telefono, scaldarsi e lavarsi. Finanziato interamente dai mecenati di Kiev, l’albero avrà ghirlande a basso consumo, alimentate da un generatore a gasolio al quale potranno attaccare i loro apparecchi elettrici anche tutti i passanti che hanno bisogno di una ricarica. Le decorazioni saranno nei colori della bandiera nazionale, blu e giallo, e dopo le feste il

potente generatore verrà donato all’esercito. Il Natale in Ucraina è un Natale in guerra e se Kiev dopo lunghe polemiche decide comunque di innalzare un albero all’aperto, Kharkiv, al confine con la Russia, è stata costretta a cedere, e l’abete che avrebbe dovuto rallegrare la piazza principale è stato sistemato sotto terra, nella sala di una delle stazioni della metropolitana, diventata un rifugio dai bombardamenti. Chi festeggia in piazza diventa un bersaglio dei russi ma la voglia di vivere, e di non piegarsi, spinge a correre il rischio. Non ci saranno comunque tutti i divertimenti che accompagnano le festività di fine anno, come fiere, concerti all’aperto e piste di pattinaggio, e ovviamente non ci saranno luminarie, in una metropoli afflitta da blackout dopo che molte centrali elettriche sono state colpite da missili russi.

Ma la parte più difficile delle feste è la separazione delle famiglie: un milione di uomini sono sotto le armi, al fronte, e in molte famiglie a sedersi alla tavola del cenone saranno soltanto le donne e i bambini. Milioni di altre famiglie sono scappate dalle loro case: almeno 3 milioni di ucraini sono rifugiati all’estero e altri 7 milioni hanno dovuto lasciare i luoghi dove vivevano senza aver abbandonato il loro Paese. Quasi due milioni di

ucraini si trovano in Russia: qualcuno è fuggito volontariamente, soprattutto dal Donbass e da Kherson, dopo aver collaborato con gli invasori, ma molti altri sono stati costretti dalle autorità russe, in una deportazione di fatto. La guerra ha spaccato anche famiglie altrimenti unite: parlare con i parenti dall’altra parte del confine è diventato difficile quando non impossibile e, mentre il Cremlino insiste a chiamare gli ucraini «popolo fratello», rapporti tra fratelli e sorelle, genitori e figli si spezzano sotto il peso della propaganda russa, da un lato, e delle bombe russe dall’altro.

Non ci saranno luminarie in città afflitte dai blackout ma la parte più difficile delle feste è la separazione delle famiglie

L’Ucraina e la Russia avranno questo anno due Natali diversi, a cominciare dalle date: la Chiesa ortodossa di Kiev ha deciso infatti di adattare il suo calendario a quello universale europeo, mentre il patriarcato di Mosca insiste a osservare il calendario giuliano, indietro di 13 giorni, per cui la nascita di Cristo si celebra il 7 gennaio. Ma se in Ucraina si stanno riscoprendo anche tradizioni festive nazio-

nali come i regali per il giorno di san Nicola il 6 dicembre o i riti divinatori insieme al pane speciale per Sant’Andrea il 13 dicembre, in Russia la festa principale resta ancora il Capodanno, imposto da Stalin come sostituzione laica del Natale. Anche dall’altra parte del fronte la guerra sta cambiando il modo di festeggiare: San Pietroburgo ha iniziato la campagna cui hanno aderito decine di città (con la visibile eccezione di Mosca) per abolire le celebrazioni di fine anno e destinare i fondi risparmiati all’esercito. Non ci saranno alberi in piazza e luminarie in Siberia e negli Urali, saranno aboliti i concerti, le fiere di artigianato e le piste di pattinaggio sul Volga e nel Nord russo.

I sindaci promettono di destinare i soldi ai riservisti mobilitati, ma intanto molte famiglie stanno equipaggiando figli e mariti chiamati in guerra a proprie spese. In molte scuole e perfino asili ai bambini viene proposto di confezionare coperte e calzini per i soldati al fronte, mentre in molti uffici vengono organizzate raccolte di donazioni per l’esercito che sono volontarie soltanto sulla carta. Almeno 300mila uomini russi sono stati inviati al fronte soltanto negli ultimi due mesi, e la paura di molti è che subito dopo le feste, finiti i primi 10 giorni di gennaio, prati-

camente una vacanza di pranzi, cene, bevute, viaggi e svaghi, Vladimir Putin approfitterà dello stordimento nazionale per proclamare la seconda ondata della mobilitazione, forse insieme alla legge marziale, per schiacciare definitivamente ogni manifestazione di scontento.

Ma anche chi cerca di tuffarsi nella festa più amata, con l’albero, i regali, il cenone con l’immancabile insalata Olivier che il resto del mondo chiama «russa», la tv e le visite ai parenti, rischia di rimanere deluso. Le sanzioni hanno reso la spesa natalizia meno ricca e più costosa, i regali di produzione occidentale sono difficili o impossibili da trovare, dopo il boicottaggio di Hollywood la televisione trasmette solo vecchie commedie sovietiche e al concerto di fine anno manca la metà delle pop star, esiliate o censurate perché contrarie alla guerra. Il Capodanno non porta più magia e attesa del miracolo, e il segno più evidente dell’angoscia di fine anno arriva curiosamente proprio da Putin. Il presidente russo infatti ha cancellato due appuntamenti di fine anno classici quanto lo Schiaccianoci al Bolshoi: la grande conferenza stampa e la linea diretta televisiva con i russi, durante la quale distribuiva regali e rispondeva alle suppliche dei suoi sudditi.

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ATTUALITÀ
Chiesa anglicana in crisi Diminuiscono i cristiani e si mette in discussione il ruolo della religione nelle istituzioni A Kharkiv, in Ucraina, la speranza resta accesa. (Shutterstock)

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Guerra e sanzioni. Geopolitica dell’energia. Economia, inflazione e lavoro. Sono i temi sui quali il 2022 ci lascia in eredità delle lezioni importanti. Quasi nulla è andato secondo le previsioni. Le sorprese della «perma-crisi», o crisi permanente, si riflettono sugli scenari del mondo che verrà.

La guerra iniziata il 24 febbraio 2022 è stata anzitutto un brutale risveglio per due autocrazie, quelle di Vladimir Putin e di Xi Jinping. L’analisi di Mosca e Pechino descriveva un Occidente decadente, che di fronte all’attacco in Ucraina avrebbe dovuto dividersi, con una Germania alla guida delle «colombe europee», le Nazioni così dipendenti dalle materie prime russe da non osare una sfida contro Putin. A scombussolare le previsioni è stata anzitutto l’Ucraina, che ha reagito compatta fra classe dirigente e popolo, ha sfoderato una capacità di resistenza notevole. L’America di Joe Biden, che inizialmente ebbe delle esitazioni sulla linea da tenere, ha ritrovato una capacità di leadership del fronte occidentale. Sul fronte bellico si è avuta prova della superiorità tecnologica delle armi occidentali, anche se questo può aver generato una fiducia eccessiva sulla possibilità di una soluzione militare. La decisione di Svezia e Finlandia di aderire alla NATO è di grande rilievo, vista la tradizione neutralistica dei due Paesi. Rafforza l’Alleanza e contribuisce anche a spostarne il baricentro geopolitico verso nord-est.

La guerra iniziata nel febbraio 2022 è stata un brutale risveglio per due autocrazie, quelle di Vladimir Putin e di Xi Jinping

Lo stesso effetto di slittamento a nord-est lo esercita il nuovo ruolo della Polonia che ha stabilito un asse privilegiato con gli americani, essendo il Paese più lucido di fronte alla minaccia russa e il più determinato (con i Baltici) nel voler contenere l’espansionismo di Mosca. La ritrovata compattezza dell’Alleanza atlantica ha avuto varie conseguenze. L’America è stata risucchiata verso l’Europa, costretta a dedicare attenzione e risorse a un Continente che in teoria non rientrava più nelle sue priorità strategiche. Al tempo stesso l’America sembra aver convinto gli europei che devono assumersi maggiori responsabilità nella propria difesa; li ha «disciplinati», mettendo fine alle ambiguità di chi voleva trasformare l’Europa in una superpotenza autonoma in bilico fra America, Russia, Cina. In questo senso il bilancio dei primi dieci mesi di guerra in Ucraina si traduce in un guadagno geostrategico per gli Stati Uniti, che hanno cominciato a sganciare l’Europa dai suoi legami con Mosca. Riconoscere questo obiettivo beneficio non significa aderire alle teorie complottiste di chi descrive un’America regista della guerra, impegnata ad «aizzare» gli ucraini e a usarli in una «guerra per procura». Questi ultimi sono argomenti avanzati dalla propaganda russa per tentare di occultare i tremendi errori di calcolo fatti da Putin: è lui ad aver «regalato» l’Europa agli Stati Uniti, con un’aggressione che ha aperto gli occhi a molti.

Il bilancio è ambiguo sul fronte delle sanzioni. Nel decidere le misure economiche contro la Russia, gli

occidentali (insieme con Giappone, Corea del Sud, Australia) hanno dato prova di coesione. La loro efficacia però è stata ridotta dal fatto che la Russia ha potuto riconvertire una parte del suo commercio estero verso la Cina, l’India e un vasto fronte di Paesi «non allineati» in Asia, Africa, America latina. Si è confermato che le sanzioni raramente costringono le autocrazie a cambiare le loro scelte politiche; ancor più raramente provocano la crisi di un regime. Più cresce la platea di Paesi sottoposti a sanzioni occidentali, più si configura un «atlante alternativo» del pianeta, dove le Nazioni in castigo rafforzano i legami fra loro e per questa strada recuperano una certa autosufficienza. Di particolare rilievo è il ruolo di quel terzo polo che non si schiera apertamente né con l’Occidente né con la Russia ma continua a fare affari con tutti: ne fanno parte la maggioranza dei Paesi asiatici, africani, sudamericani.

Sembrano aver funzionato a modo loro le contro-sanzioni di Putin sull’energia, costringendo i Paesi eu-

ropei a un salasso di risorse per poter affrontare con scorte adeguate il primo inverno di guerra. Sull’energia gli europei hanno dovuto apprendere dure lezioni di realismo. Molto prima della guerra in Ucraina si erano legati ad una dipendenza eccessiva verso il gas russo illudendosi che non avesse dei costi politici: questi si sono rivelati immensi. Si erano anche illusi sulle possibilità di una transizione veloce e pressoché totale verso le energie rinnovabili, i cui limiti restano enormi. Il contraccolpo è stato brutale. Privati del gas russo molti Paesi hanno ripreso a consumare carbone, ben più inquinante. Le rinnovabili, oltre a non poter sostituire integralmente le energie fossili, dipendono in buona parte da tecnologie cinesi o materie prime controllate da Pechino. Sulle energie fossili le Nazioni europee hanno dovuto operare una riconversione o torsione geopolitica, speculare e inversa rispetto a quella avvenuta dopo gli shock petroliferi del 1973-79. Allora l’Europa cercò di ridurre la propria dipendenza dal mondo arabo e si

Come affrontare il lungo inverno

Il lungo inverno. False Apocalissi, vere crisi ma non ci salverà lo Stato – l’ultimo libro di Federico Rampini, collaboratore di «Azione» ed editorialista del «Corriere della Sera» – è un tentativo di mettere ordine nella «perma-crisi» o crisi permanente che attraversiamo, di individuarne le vere cause, con l’aiuto di qualche raffronto storico con gli anni Settanta e cercando di evitare la tentazione di vedere sempre un’Apocalisse dietro l’angolo. I vari capitoli del saggio si concentrano di volta in volta su aspetti diversi: shock energetico e inflazione, il ruolo dei Paesi emergenti, gli scenari demografici e alimentari, il dilemma della politica monetaria, i rischi di un ritorno allo statalismo. «Siamo entrati in un’era segnata dalla scarsità», afferma Rampini. «Ci sentiamo assediati da ogni sorta di pe -

nuria. Mancano l’energia e spesso anche l’acqua. Alimenti essenziali costano di più. Troppe aziende lamentano di non trovare lavoratori. Sullo sfondo c’è la decrescita della popolazione che non risparmia la Cina. Con l’inflazione e il rialzo dei tassi diventa più rara e costosa la moneta. Quanto è reale, quanto è “ fisica”, oggettiva e palpabile la scarsità in ciascuno di questi aspetti? Quanto è invece fabbricata, artefatta, il risultato di comportamenti e scelte politiche sbagliate? È irreversibile? O invece è un fenomeno temporaneo da cui usciremo come guarimmo da altre crisi? Il trauma cominciato con la pandemia e aggravato dalla guerra in Ucraina sarà solo l’inizio di una fase storica segnata da ristrettezze, sacrifici, razionamenti e tagli su tutto?». / RED.

girò verso Mosca; ora rifà la manovra al contrario. Al tempo stesso, e per la prima volta nella storia, le importazioni europee di gas dagli Stati Uniti hanno superato quelle dalla Russia. Shock energetico e guerra hanno avuto conseguenze sui rapporti di forze relativi tra le due Nazioni più importanti della NATO, Stati Uniti e Germania. L’America è l’unica su

perpotenza a controllare i tre fattori-chiave del triangolo magico su cui poggiano gli imperi: moneta universale, energia, superiorità tecnologica. La Germania ha visto franare un modello economico basato su due ingredienti: gas russo a basso prezzo e mercato cinese spalancato.

Grandi cambiamenti ci sono stati nel mondo del lavoro. Questi sembrano legati alla pandemia, in vari modi: dagli effetti psicologici e sulla ridefinizione delle priorità individuali (soprattutto fra i giovani), all’aumento dell’assistenzialismo in varie parti dell’Occidente, America inclusa. Il risultato netto è stata una maggiore rigidità della forza lavoro, una predilezione per lo smartworking in vari settori e in certi casi la scomparsa di alcune fasce di manodopera dal mercato. Nell’insieme, soprattutto negli Stati Uniti, fenomeni di scarsità di forza lavoro hanno contribuito a modificare i rapporti di forza a favore dei dipendenti, per la prima volta da molti decenni.

L’inflazione è stata capace di sorprendere le banche centrali e ha inferto un nuovo colpo alla credibilità già minima degli economisti. Quasi nessuno di loro aveva previsto un anno fa le fiammate inflazionistiche che hanno segnato il 2022. Ne è seguita una sterzata delle politiche monetarie, per cui il mondo intero è passato da 14 anni di abbondanza della liquidità ad una situazione di rialzo dei tassi e crisi debitorie. Tra le prime vittime del nuovo clima monetario più austero ci sono alcuni Paesi emergenti indebitati in dollari e le criptovalute. Il 2022 si chiude con qualche segnale rassicurante sulla capacità delle ban-

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Putin ha regalato l’Europa agli Stati
Il bilancio ◆ Un 2022 segnato da guerra, sanzioni, shock energetico, inflazione e grandi cambiamenti nel mondo del lavoro Federico Rampini
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La Chiesa anglicana si rimpicciolisce

Il censimento ◆ Diminuiscono drasticamente i cristiani e si mette in discussione il ruolo della religione nelle istituzioni britanniche

«God Save the King» ovvero «Dio Salvi il Re», recita l’inno nazionale britannico. Tuttavia il brano patriottico che invoca la protezione divina per il sovrano e accompagna da 277 anni ogni cerimonia ufficiale e competizione sportiva, appare forse anacronistico nel Regno Unito di oggi. Almeno a giudicare dalla fotografia di Inghilterra e Galles scattata dall’ultimo censimento, visto che i cristiani oramai non rappresentano più, per la prima volta, la maggioranza della popolazione.

Infatti, secondo l’indagine condotta nel 2021, solo il 46,2% dei sudditi inglesi e gallesi (pari a 27,5 milioni di persone) crede in Gesù Cristo. Si tratta di un crollo verticale rispetto a solo 20 anni prima. Nel 2001, infatti, la percentuale di cristiani era del 71,7% (pari a 37,3 milioni di persone).

Come s’identifica allora l’inglese o gallese medio? È in grande ascesa il numero di chi dichiara di non appartenere a nessuna religione. Rientrano in questa categoria atei, agnostici e i cosiddetti «spirituali», intesi come coloro che pur non professando una fede particolare, credono in qualche forma di «potere superiore» come ad esempio la reincarnazione o il potere soprannaturale degli antenati. I senza religione sono addirittura triplicati nell’ultimo ventennio e costituiscono il 37,5% della popolazione (circa 22 milioni di persone). Il 10,7% degli interpellati invece appartiene a confessioni non cristiane. Sono stazionari rispetto a 10 anni fa gli ebrei, mentre hanno registrato un lieve aumento induisti, sikh e buddisti, anche se la religione che presenta il maggior aumento nel numero di fedeli è quella musulmana. I seguaci dell’Islam sono passati da 2,7 milioni nel 2011 a 3,9 milioni nel 2021 e rappresentano dunque il 6,5% della popolazione, rispetto al 4,8% di 10 anni fa.

La crescente laicizzazione dei sudditi colloca Inghilterra e Galles dodicesimi nella lista dei Paesi meno religiosi del mondo. In Europa solo Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia e Paesi Bassi contano un minor numero di fedeli in base ai dati raccolti dal centro di ricerca statunitense Pew.

La domanda che sorge spontanea pertanto è la seguente: se oltre la metà dei sudditi inglesi e gallesi non si riconosce più come cristiana, perché la Chiesa anglicana riveste ancora un ruolo istituzionale nella società inglese? Ricordiamo che il sovrano britannico quando ascende al trono oltre a giurare di preservare la Chiesa d’Inghilterra, della quale diventa governatore e supremo leader, assume il titolo di Difensore della fede. Come im-

maginabile, i risultati del censimento hanno scatenato un acceso dibattito.

«Il fatto che il re sia il capo della Chiesa anglicana poteva avere un senso nel 1650, ma non nel 2022», ha dichiarato al «Times» Scot Peterson, studioso di Religione e Stato presso il Corpus Christi College dell’università di Oxford. Per Vernor Bogdanor, professore al King’s College di Londra, se i cristiani sono meno della metà della popolazione, la presenza di esponenti del clero anglicano nella Camera dei Lord diventa sempre «più difficile da giustificare». Nella Camera alta del Parlamento britannico siedono ancora di diritto 26 vescovi ed arcivescovi della Chiesa d’Inghilterra. Si tratta dei cosiddetti Lord spirituali e la loro legittimazione discende dalla

carica ecclesiastica che ricoprono. Fra di loro sono sempre inclusi i rappresentanti delle cinque diocesi più antiche del Paese: l’arcivescovo di Canterbury, l’arcivescovo di York, il vescovo di Londra, il vescovo di Durham ed il vescovo di Winchester. Tuttavia la Chiesa d’Inghilterra versa particolarmente in grave crisi da un decennio a questa parte: scandali relativi ad abusi sessuali, divisioni in merito alla nomina di vescovi donna e ai diritti degli omosessuali e un crescente divario fra esponenti del clero contrari a Brexit e fedeli favorevoli ad uscire dall’Unione europea hanno contribuito ad allontanare i sudditi dalla Chiesa nata dallo scisma avvenuto durante il regno di Enrico VIII. Ci sono stati anche disagi in merito alla gestione del razzismo

all’interno della Chiesa: per alcuni non c’è stata abbastanza apertura verso fedeli e prelati appartenenti a minoranze etniche, mentre per altri c’è stato un eccessivo zelo nel fare ammenda per gli errori del passato, rimuovendo monumenti di benefattori legati alla storia coloniale del Paese. Questi punti di frizione si sono tradotti in una contrazione del numero di praticanti. Fra il 2011 e il 2019 sono scesi da 801mila a 690mila i parrocchiani anglicani che vanno a messa. La stessa crisi si riscontra nel Nord Irlanda, dove per la prima volta i protestanti sono meno dei cattolici, rendendo così meno improbabile la prospettiva di una riunificazione della regione con la Repubblica d’Irlanda, come del resto auspicato dai leader del Sinn Féin, risultato alle ultime elezioni partito di maggioranza a Belfast.

Il ruolo della religione nella società britannica è probabilmente destinato ad essere ridimensionato, a partire dalle stesse istituzioni e dalla scuola. In particolare negli ultimi tempi è stata rimessa in discussione la Camera dei Lord, ossia il ramo non eletto del Parlamento di Westminster, che i laburisti vogliono abolire e sostituire con una Camera eletta formata dalle Regioni e Nazioni che compongono la Gran Bretagna. Il leader laburista Keir Starmer ha indicato la sua abolizione come uno dei punti prioritari del suo Governo nell’ipotesi in cui dovesse essere eletto. L’ex premier britannico laburista, Gordon Brown, si è schierato al suo fianco, ricordando come il Senato USA conta 100 membri per una popolazione di circa 330 milioni di persone e nella Camera dei Lord siedono quasi 800 pari a fronte di una popolazione britannica di circa 68 milioni di persone, giudicando pertanto il sistema di rappresentanza attuale come «indifendibile».

«Chi inquina deve pagare, a livello globale»

Potentissime ◆ Il ritratto della premier di Barbados Mia Amor Mottley, eletta nel 2018 e riconfermata a furor di popolo nel 2022

Quando Mia Amor Mottley pensa alla lotta al cambiamento climatico, pensa in grande: giustizia climatica nientepopodimeno. Secondo la leader di Barbados ci vuole una rivoluzione del sistema finanziario che permetta ai Paesi del sud di difendersi dalle scelte energetiche e industriali dei Paesi dell’emisfero nord del mondo, di cui pagano le spese con eventi sempre più drammatici. Non basta piantare un milione di alberi nel suo Paese, come pure ha deciso di fare, per proteggere l’ambiente. Chi inquina, visto che non dimostra di avere la volontà di smettere, deve pagare a livello mondiale. E così la cinquantasettenne avvocata Mottley – che ha studiato alla London School of Economics e che sa come accaparrarsi i riflettori internazionali grazie alle doti da oratrice e ai discorsi appassionati in cui trovano spazio citazioni di Nelson Mandela e Bob Marley – è passata a fare richieste ambiziose, puntando l’indice contro i leader dei grandi Paesi, dall’americano Joe Biden al francese Emmanuel Macron, per il loro immobilismo, e ad avanzare proposte concrete di strumenti finanziari per agire in modo collettivo contro il cambiamento climatico e le sue conseguenze.

Carismatica, preparatissima e con le idee chiare, Mottley sta diventando rapidamente un’icona e i suoi discorsi oggetto di culto tra i nostalgici della retorica alla Barak Obama, fattiva e speranzosa. Una magia che si è ripetuta in Scozia, a Sharm El-Sheikh, all’assemblea dell’ONU, praticamente ogni volta che si avvicina a un microfono con i suoi vestiti spesso sgargianti. Inserita tra le cento persone più

influenti del mondo secondo «Time» e tra le venticinque donne dell’anno secondo il «Financial Times», è stata eletta per la prima volta nel 2018 e riconfermata con una vittoria travolgente alle elezioni anticipate indette nel 2022. Il suo partito laburista ha ottenuto 30 seggi su 30, un risultato senza precedenti, e Mottley ha voluto una legge per permettere all’opposizione di avere voce in capitolo sulle nomine al Senato, anche in assenza di seggi. In realtà lei è stata eletta per la prima volta a 28 e sono quindi 30 anni che lavora per rafforzare il suo piccolo, fragile Paese, con appena 286mila abitanti. Fragile sul piano interno, con una democrazia volatile, emigrazione e povertà, e sul piano internazionale, dove è stato a lungo condannato all’irrilevanza dai problemi tipici di molti Paesi post-coloniali, assorbito nell’orbita del Commonwealth e dall’influenza della Corona inglese.

Ora Barbados è una Repubblica, ha voltato le spalle alla Monarchia con un referendum nel novembre del 2021, quando Elisabetta II era ancora in vita, facendo della presidente Sandra Mason la prima capa di Stato della storia del Paese caraibico, indipendente dal 1966. «Abbiamo il po-

tere di scegliere e dobbiamo scegliere di agire» è il grido di battaglia di Mottley pronunciato alla conferenza sul clima di Sharm El-Sheikh. «Crediamo che le compagnie del petrolio, del gas e coloro che le agevolano debbano essere coinvolte attraverso una convocazione speciale da adesso alla Cop28. Come possono le società che fanno 200 miliardi di utili negli ultimi tre mesi non aspettarsi di dover contribuire almeno con dieci cents per ogni dollaro di profitto nel fondo per le perdite e i danni? Questo è quello che la nostra gente si aspetta». Il Paese caraibico ha un debito pesante e insostenibile, uscito dal percorso di riduzione avviato per via dei costi della pandemia, che l’ha portato dal 120% al 150%. E secondo gli esperti il 50% di questo debito è legato alla gestione dei frequentissimi disastri naturali. Mottley è molto determinata anche sul fronte della migrazione e del trattamento dei migranti. «Abbiamo trovato un modo di liberalizzare il movimento dei capitali ma non abbiamo ancora trovato un modo per portare un po’ di decenza nel movimento delle persone», ha spiegato al «Financial Times». Le sue proposte per Barbados sono un mix di formule della

sinistra con una forte componente tecnica legata a una eccellente conoscenza degli strumenti finanziari che possono aiutare il Paese. La crescita deve essere promossa senza ricorrere alle concessioni o ai sussidi fiscali, il debito pubblico deve essere ristrutturato per creare spazio fiscale e bisogna puntare a generare avanzi fiscali. Mottley ha aumentato gli stipendi pubblici del 5% ma ha anche accresciuto la pressione fiscale. La premier di Barbados vuole creare un fondo sovrano e distribuire delle quote a tutti i cittadini, costruire 10mila nuove case in 5 anni, mettere pannelli solari per permettere alla gente di vendere energia e guadagnare, infine riformare le imprese a partecipazione statale.

Ha abbassato da 21 a 18 anni l’età di chi punta a farsi eleggere e ha una grande attenzione alle riforme costituzionali in grado di rafforzare la democrazia del Paese. Ha detto di non volersi ricandidare e qualcuno già la vede come prossima segretaria generale dell’ONU, prima donna, star globale pronta a occupare un posto di leadership strategica e morale, leader in un Paese con una presidente donna e Rihanna come eroina nazionale, pop e tecnocrate, potentissima.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 19 dicembre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino ATTUALITÀ 27
Re Carlo III e la consorte Camilla nella Chiesa di Sant’Egidio a Wrexham, Galles. Il sovrano britannico è anche il leader supremo della Chiesa d’Inghilterra e il Difensore della fede. (Shutterstock)
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Un no che riecheggia ancora

Il 6 dicembre è una data storica per l’economia e la politica svizzera. E quest’anno scadeva il trentesimo della votazione popolare sull’adesione della Svizzera allo Spazio Economico Europeo (SEE). Il popolo svizzero decise, a strettissima maggioranza (50,3%), di non aderire. Trent’anni fa le opinioni erano molto divise fra coloro che erano per principio contrari a qualsiasi accordo con l’UE (allora ancora CEE) e coloro che ritenevano inevitabile un avvicinamento alla CEE. Fra questi, parecchie persone pensavano anche che un’adesione alla CEE poteva essere un passo importante verso l’avvicinamento alle istituzioni europee, senza passare necessariamente attraverso una pura e semplice adesione. Il no popolare annullò però anche questa possibilità, lasciando in pratica aperta al Consiglio federale la strada di una richiesta di adesione.

Nel frattempo però anche la CEE ha compiuto parecchi progressi verso un’unione politica, oltre che economica. Si è allargata fino a raggiungere 27 Paesi membri, ha anche tolto dalla sua definizione il termine «economica», diventando l’attuale UE. In Svizzera si è però fatta strada l’idea di non accettare nessun accordo quadro con l’UE e di perseguire la via degli accordi bilaterali. Il Consiglio federale dovette quindi ritirare la domanda di adesione all’UE.

Negli ultimi tempi si sono però manifestate parecchie difficoltà negli accordi con l’UE. Per esempio nel settore della ricerca e della formazione, importantissime per la Svizzera, o in quello dell’elettricità. Difficoltà che cominciano a riflettersi anche in campi non collegati a questioni economiche, come gli accordi di Schengen-Dublino.

La situazione di stallo in cui ci troviamo ha indotto il gruppo denominato «Alleanza forti + connessi», che raduna un’ottantina di organizzazioni, a pubblicare il 6 dicembre un «Appello ad agire» al Consiglio federale, invitandolo a fare chiarezza sulla situazione, prima delle elezioni federali del prossimo autunno.

Il gruppo chiede in particolare al governo «quale forma vuole dare ai rapporti con l’UE e, quindi, integrarli meglio nella realtà europea». Del gruppo fanno parte 196 personali-

tà della politica svizzera, fra cui otto ex-consiglieri federali. Personalità che ritengono possibile oggi un compromesso che possa stabilizzare i rapporti tra la Svizzera e l’UE. Un’alternativa alla situazione attuale, che in sostanza comporta una erosione di quanto finora raggiunto. È tempo di agire rapidamente poiché – dice sempre il gruppo – oggi vi è una larga parte di cittadini disposti a sostenere un accordo di compromesso in occasione della prossima votazione popolare. Nell’appello non si propongono accordi di nessun genere, ma si lascia la libertà al Consiglio federale di decidere.

Anche uno studio realizzato dall’Istituto gfs.bern per il Movimento europeo svizzero (MES) dice che il 71% degli svizzeri sarebbe oggi favorevole a un’adesione allo SEE, nonché alla partecipazione ai programmi europei di cooperazione. Nelle domande di approfondimento è pure emerso che coloro che vogliono la neutralità e l’indipendenza della Svizzera sono di poco inferiori a coloro che vorrebbero relazioni stabili con Bruxelles.

Nel contempo è però tornata a manifestarsi anche una netta opposizione a qualsiasi accordo che metta in pericolo «l’indipendenza, la libertà, la sicurezza, la democrazia diretta, il federalismo e la neutralità permanente». Lo ha detto anche l’ex-consigliere federale Christoph Blocher ai membri dell’associazione Pro Svizzera riuniti nella tradizionale sala dell’Albisgüetli a Zurigo. Blocher ha anche aggiunto che, il 6 dicembre 1992, la Svizzera è stata «salvata dalle braccia di una classe politica perduta» e che l’anniversario del «no» celebra, quindi, «la rinascita di una Svizzera che, all’epoca, era quasi perduta».

Pur tra molte difficoltà, il Consiglio federale ha cercato, in particolare dopo il ritiro della domanda di adesione, di trovare una formula di accordo che potesse essere accettata dalle parti. Si punta ovviamente sugli accordi bilaterali, ma su questo tema l’UE è irremovibile. In pratica rimane ancorata alle proposte formulate con l’accordo quadro respinto dal Consiglio federale: un accordo istituzionale che contempla la progressiva integrazione nel diritto europeo e regole per il mercato del lavoro che non piacciono ai sindacati svizzeri.

Va anche rilevato che alcune analogie con lo SEE del 1992 sussistono: Berna vorrebbe, infatti, negoziare bilateralmente non con i singoli Paesi dell’UE, ma per settori distinti. Dal canto suo, l’UE sarebbe disposta a permettere accessi ai suoi mercati se la Svizzera accettasse le regole applicate ai Paesi dello Spazio economico europeo, e cioè Norvegia, Liechtenstein e Islanda.

Finora la Svizzera pensava di aver risolto il problema con gli accordi bilaterali, ma l’Europa non è della stessa opinione e non perde occasione per rimettere in discussione l’accordo bilaterale interessato (vedi l’energia, il traffico, la ricerca, i programmi di studio). Eppure quella degli accordi bilaterali sembra l’unica via possibile. La Svizzera deve però chiarire le sue posizioni, per giungere a discutere la creazione di un nuovo diritto del mercato interno, al quale dovrebbe poter partecipare fino in fondo. Magari anche rinunciando a una clausola di disdetta dell’accordo, che in casi estremi potrebbe provocare la caduta dell’intero sistema.

È evidente che l’accordo dovrebbe contemplare anche un modello di regolamento dei conflitti, tale da renderlo più accettabile, in Svizzera, del precedente accordo quadro. Questi sono però solo due dei problemi più ardui da risolvere. Rimangono in sospeso gli aiuti statali (per esempio riduzioni fiscali per le aziende, la garanzia per le banche cantonali), per i quali l’UE propone un accordo globale, mentre la Svizzera vorrebbe invece risolvere caso per caso, a causa delle sovranità cantonali; la protezione dei salari (in disaccordo con i sindacati elvetici); le prestazioni sociali (per esempio in caso di disoccupazione o per lavoratori distaccati); infine anche i versamenti al fondo europeo di coesione, sui quali la Svizzera decide di anno in anno, che dovrebbero diventare un impegno permanente.

Ci si trova, quindi, di fronte alla classica «quadratura del cerchio», con, da un lato, un’Europa finora poco disposta a far concessioni alla Svizzera e dall’altro un Consiglio federale che deve trovare una soluzione che sia gradita anche al popolo svizzero e alla maggioranza delle sue molteplici componenti.

Un colpo per l’UE

Qatargate ◆ Lo Stato del Golfo non avrebbe badato a spese per corrompere Bruxelles

Il Qatargate, come è stato chiamato ricorrendo una volta ancora al suffisso che richiama i tempi di Richard Nixon travolto dal Watergate, è lo scandalo più grave che mai abbia intaccato la credibilità dell’Unione europea. L’emirato sul Golfo Persico non ha badato a spese per avere da Bruxelles un trattamento di riguardo, in particolare sulla questione dei diritti umani, e per avere più peso nella comunità internazionale. In fondo le casse di famiglia dell’emiro Tamim bin Hammad al Thani sono ben fornite: si parla di un patrimonio di 335 miliardi di dollari, provenienti dall’esportazione del metano e dalla partecipazione a numerose multinazionali.

E così milioni di euro sarebbero finiti nelle tasche di Eva Kaili, l’eurodeputata greca vicepresidente del Parlamento di Strasburgo, dell’ex europarlamentare italiano Antonio Panzeri e di chissà quanti altri, visto che l’indagine della magistratura belga è tuttora in corso dopo avere portato all’arresto di quattro persone. Le accuse sono pesantissime: corruzione, associazione a delinquere, riciclaggio di denaro. È accaduto proprio mentre la stampa internazionale rivelava le tremende condizioni di lavoro di chi ha realizzato le faraoniche strutture destinate a ospitare il torneo mondiale di calcio, attraverso il quale l’emirato voleva proporsi al mondo come scintillante vetrina di modernità. In particolare venivano chiamate in causa le misure di sicurezza, la cui carenza avrebbe provocato in pochi anni la morte di oltre seimila lavoratori.

Eppure negli ambienti del Parlamento europeo veniva proposta una narrazione del tutto diversa. Il Qatar, sosteneva la vicepresidente Kaili, spicca nel mondo arabo per essere in prima linea in materia di rispetto dei diritti dei lavoratori! Un punto di vista che ha avuto la sua spiegazione quando gli inquirenti hanno trovato 750 mila euro a casa sua, in buona parte stipati in un trolley di suo padre. Eva Kaili è stata immediatamente destituita dalla carica nell’Europarlamento, oltre che posta agli arresti. Tanti bei quattrini anche nell’appartamento di Panzeri a Bruxelles, esattamente mezzo milione di euro, e qualche altro migliaio nella sua casa italiana in provincia di Bergamo. Si pensa che parte di quel denaro dovesse essere distribuito fra i parlamentari corrotti, una sessantina secondo la stampa greca.

Mentre si indaga sul possibile coinvolgimento dei servizi di diversi Paesi, per esempio il Marocco, altri personaggi della scena brussellese vengono coinvolti nella vicenda: si

tratta di politici e di funzionari, lobbisti, portaborse, tutto quel mondo frenetico che gravita attorno alle istituzioni comunitarie. Per esempio Francesco Giorgi, compagno di Eva e assistente di un parlamentare che per ora non risulta implicato. Giorgi, anche lui in stato d’arresto, collabora con gli inquirenti aiutandoli a completare il puzzle dello scandalo. Altro accusato Niccolò Figà-Talamanca, che guida No Peace Without Justice, una Ong vicina ai radicali italiani. E infine l’eurodeputato belga Marc Tarabella, la cui abitazione è stata perquisita, come vuole la legge, in presenza della presidente del Parlamento, la maltese Roberta Metsola. Naturalmente il Qatar nega che tutto questo sia avvenuto e sui media del Paese impegnati in trionfali cronache calcistiche il grande scandalo di Bruxelles è passato sotto silenzio.

Il colpo per l’Unione europea, già indebolita dalla scarsa coesione dei Paesi-membri in particolare sui temi connessi con la guerra ucraina, è durissimo. Si chiede chiarezza, si propone per prevenire simili episodi un’agenzia che vigili sulla trasparenza degli atti e sulle relazioni con le lobby, una struttura che del resto è stata proposta da tempo. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen e la stessa Metsola chiedono che tutti i responsabili siano chiamati a rispondere e promettono pulizia e rigore. Una misura in agenda al Parlamento europeo, la liberalizzazione dei visti per i cittadini del Qatar, è stata rinviata. L’eurodeputato spagnolo José Ramón Bauzá ha sospeso ogni attività del Gruppo di amicizia Qatar-Ue, di cui è presidente.

Il colpo è durissimo anche per la frazione parlamentare dei socialisti e democratici, attorno al quale gravitano tutti i personaggi finora coinvolti. Sconvolge il fatto che questo disgustoso episodio di corruzione riguardi gente di sinistra, abituata da sempre ad agitare la questione morale. Sconvolge in particolare la posizione di Panzeri, sindacalista da una vita e a suo tempo segretario generale della Camera del lavoro di Milano. Un uomo chiamato a difendere i diritti dei lavoratori che in cambio dei biblici trenta denari (ma si parla anche di una vacanza da 100 mila euro graziosamente offerta dai tesorieri dell’emiro) arriva a difendere un Paese in cui decine di migliaia di sventurati provenienti dal Pakistan, dal Bangladesh, dalle Filippine e da altri luoghi bersagliati dalla povertà sono stati costretti a lavorare sottopagati e privi dei più elementari dispositivi di sicurezza.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 19 dicembre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino ATTUALITÀ 29
La questione ◆ Trent’anni fa il popolo svizzero bocciò l’adesione allo Spazio Economico, oggi è ancora alla ricerca di rapporti stabili con l’Unione europea Christoph Blocher, trent’anni dopo il no allo SEE, resta un’icona degli oppositori all’integrazione europea. (Keystone) Almeno 750 mila euro sarebbero finiti nelle tasche di Eva Kaili. (Keystone)
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«Mai puntare tutto su un cavallo solo»

L'intervista ◆ Il 2022 è stato un anno turbolento per consumatori, investitori e aziende. Sacha Marienberg, Responsabile Investment Office della Banca Migros, azzarda una previsione per il nuovo anno e intravede segnali di ottimismo

Quello che sta per chiudersi è stato un anno turbolento per i mercati finanziari. Se la sente di fare previsioni per il 2023?

Siamo inclini a ritenere che il nuovo anno sarà più positivo per gli investitori. L’inflazione dovrebbe calare, per cui imprese e consumatori dovrebbero poter tirare un po’ il fiato. A causa delle attuali tensioni geopolitiche, guerra in Ucraina su tutte, i rischi resteranno tuttavia elevati ancora per un po’. Sui mercati azionari la situazione nei primi mesi del 2023 continuerà a essere relativamente movimentata, ci vorrà qualche tempo prima che si assesti.

Per molti era impensabile che i tassi d’interesse potessero tornare ai livelli odierni.

Non bisogna dimenticare che, nel confronto storico, il livello dei tassi d’interesse in Svizzera è ancora basso. La loro impennata è dovuta alla «resurrezione» dell’inflazione, che molti davano per defunta. Le banche centrali hanno sottovalutato troppo e troppo a lungo le dinamiche inflazionistiche. È per questo – per far fronte a un’inflazione galoppante –che alla fine sono state costrette ad alzare bruscamente e di colpo i tassi d’interesse.

I tassi d’interesse continueranno a salire?

Solo fino a un certo punto. Non appena vi saranno segnali di attenuazione dell’inflazione, si assesteranno ai livelli attuali. Tuttavia riteniamo improbabile un ritorno a tassi d’interesse negativi.

Che impatto ha tutto questo sul mercato immobiliare?

Finora gli effetti sono stati pressoché nulli, la domanda di immobili residenziali rimane molto elevata. Tanto più che l’offerta non riesce a soddisfare la domanda, anche a causa della continua e forte immigrazione. Con l’aumento dei tassi d’interesse, inoltre, dovrebbe essere solo una questione di tempo prima che anche gli affitti salgano. Partiamo quindi dal presupposto che nel prossimo anno i prezzi degli immobili scenderanno solo in casi isolati.

L’inflazione in Svizzera è significativamente più bassa rispetto ad altri Paesi europei. Resterà tale? Riteniamo di sì. In questo caso la Svizzera trae vantaggio dalle sue strutture protezionistiche, ad esempio nel settore alimentare. Un altro fattore di rilievo in tal senso è la ponderazione significativamente inferiore dei costi energetici, che sono determinanti per il calcolo dell’inflazione. L’energia, uno dei principali motori dell’inflazione, nell’Eu-

rozona ha un peso superiore al 10%, mentre in Svizzera si aggira intorno al 5%. Ciononostante è probabile che nei primi mesi del nuovo anno il 30% circa di rincaro sui prezzi dell’e-

lettricità alimenti ulteriormente l’inflazione anche da noi. L’effetto sulle dinamiche inflazionistiche sarà comunque limitato e di durata relativamente breve.

Cosa consiglia ai suoi clienti nella situazione attuale? Lasciare il denaro sul conto o investirlo? Indipendentemente dall’attuale situazione di mercato, consigliamo ai clienti interessati ad accumulare capitale a lungo termine di investire una parte del loro patrimonio. La nostra società diventa sempre più vecchia e la pressione sui nostri sistemi pensionistici aumenta di conseguenza. Per questo è sempre più importante poter contare su un capitale privato. Il risparmio da solo, però, non è sufficiente, perché i tassi d’interesse non sono abbastanza elevati.

Quindi bisogna investire. Ma come?

Regola numero uno: mai puntare tutto su un cavallo solo. Per questo raccomandiamo di ripartire l’investimento in un ventaglio di clas-

si e regioni il più possibile ampio. Si chiama diversificazione. Inoltre, conviene sempre darsi tempo. Un alto grado di diversificazione e un lungo orizzonte d’investimento riducono significativamente il rischio di andare in perdita.

Quale potrebbe essere il momento giusto per cominciare a investire?

A nostro parere anche adesso. I mercati azionari hanno subito una forte correzione nell’anno in corso e molti segmenti sono ora valutati in modo più favorevole rispetto all’inizio del 2022. Inoltre, come già detto, le possibilità di ripresa delle borse nel prossimo anno lasciano ben sperare. A chi ancora tentenna consigliamo un ingresso scaglionato.

Nel 2022 il franco svizzero si è ulteriormente apprezzato rispetto all’euro. Si aspetta un’inversione di tendenza?

In considerazione del maggior rischio di recessione nell’Eurozona, nel breve periodo la moneta comune europea rimarrà sotto pressione rispetto al franco svizzero. L’evolu-

zione dell’euro nel lungo periodo dipende in modo determinante dalla situazione del debito e dallo sviluppo politico all’interno della Comunità Europea.

Nonostante le turbolenze valutarie, l’industria svizzera delle esportazioni è riuscita a far quadrare i conti. È stata una sorpresa per lei? No, non mi sono stupito. Da quando, nel gennaio 2015, la BNS ha abbandonato il tasso di cambio minimo, l’industria svizzera delle esportazioni si è trovata ad affrontare una situazione straordinariamente difficile – ma ha saputo approfittarne per crescere alla grande. Nel frattempo le aziende svizzere si sono abituate agli svantaggi di prezzo derivanti dalla valuta forte e sanno come compensarli con un’alta qualità e un servizio eccellente. Il peggio però non è ancora passato, il cielo dell’economia globale continua a rannuvolarsi. Anche l’industria svizzera delle esportazioni dovrà affrontare ulteriori sfide nei prossimi mesi. Tuttavia, siamo fiduciosi che saprà gestire bene la pressione.

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Il Mercato e la Piazza

Sui Bitcoin dubbi legittimi

La Svizzera è il Paese dei milionari. Ce lo ripetono ogni anno le classifiche dei più ricchi. Forse sarebbe più esatto affermare che la Svizzera è il Paese del risparmio. Con una quota di risparmio del 19% (sul reddito) la Svizzera è, per quel che riguarda il risparmio, il campione europeo. La statistica ci dice ancora che ogni economia domestica risparmia da noi 1400 franchi al mese. I lettori sanno quanto poco rappresentative siano le medie, in particolare quelle che riguardano la distribuzione della ricchezza. La voglio vedere quella famiglia che con un reddito mensile di 7400 franchi mensili (reddito medio mensile di un’economia domestica a livello nazionale) riesce a risparmiarne 1400!

Una cosa è comunque certa: in Svizzera il denaro è abbondante. Si presenta quindi il problema di come impiegarlo in modo che frutti al proprietario un reddito, un profitto, un interesse o una rendita. Una volta (ma

In&Outlet

chi si ricorda ancora di quei tempi?), a ogni neonato veniva regalato un libretto di risparmio e un salvadanaio. Poi, con il miglioramento della loro situazione economica, le economie domestiche hanno cominciato ad acquistare obbligazioni della Confederazione o obbligazioni di cassa delle banche. Nel medesimo tempo una parte dei risparmi famigliari finiva nelle assicurazioni e per alcuni fortunati nell’acquisto della propria casa. Più tardi è arrivato il momento di cominciare a giocare in borsa, acquistando ovviamente solo i titoli più sicuri dei listini delle borse svizzere. Un po’ più in là nel tempo alle banche – sempre più in concorrenza tra di loro – è venuta la bella idea di diventare amministratrici di patrimoni. Sulle prime per le nostre banche i modesti risparmi del signor Pinco e del signor Pallino non erano molto interessanti. Ma siccome all’orizzonte si intravvedeva che il segreto bancario per i capi-

tali di clienti stranieri stava arrivando alla fine, i nostri bancari cominciarono a pensare che anche patrimoni relativamente modesti, se sommati, avrebbero potuto rappresentare grandezze finanziarie di un certo rispetto. Il resto è la storia di oggi. Il libretto di risparmio è andato a farsi benedire. Se il vostro conto di risparmio supera una certa cifra subito la banca vi richiamerà al vostro dovere di piccolo capitalista di investire questi soldi, almeno in parte, scegliendo tra gli attrattivi pacchetti che il vostro consulente bancario è in grado di offrirvi, quello che promette di minimizzare il rischio.

Da qualche anno questa involuzione del risparmio ha subito un’accelerazione con la nascita del Bitcoin. Il Bitcoin è una moneta virtuale, che si trova dunque solo in internet. Dal profilo monetario rappresenta, in un certo senso, un passo indietro perché fa ritornare i risparmiatori all’epo-

Quando lo sport è compromesso

Non era difficile prevedere che i Mondiali di calcio sarebbero stati un successo dal punto di vista televisivo. È così ogni volta. All’inizio si parla molto del luogo che ospita l’evento e spesso si scatena la polemica. L’assegnazione al Qatar è stata, per usare un eufemismo, poco trasparente; l’ombra della corruzione grava sui Mondiali, confermata dal grave scandalo della vicepresidente del Parlamento europeo, la socialista greca Eva Kaili, arrestata insieme al compagno italiano. Nelle loro case sarebbe stato trovato oltre mezzo milione di euro in contanti. L’accusa è di aver preso soldi per difendere la causa del Qatar. Una storia deprimente, che conferma come i giudizi negativi sull’aspetto organizzativo e politico di questi Mondiali non siano purtroppo basati sul nulla. Anche se alla fine si è parlato più del look dell’ex Miss Croazia Ivana Knöll, ostinatasi a girare seminu-

da, che delle centinaia di operai egiziani e pachistani morti nei cantieri. Comunque da sempre lo sport è compromesso con la politica e con gli affari. A volte i grandi eventi hanno coinciso con grandi tragedie: si pensi all’Olimpiade di Città del Messico 1968, aperta dalla strage dello Zócalo, la piazza principale della capitale messicana dove l’esercito aprì il fuoco sui manifestanti; e all’attacco del terrorismo palestinese a Monaco 1972. Poi venne la stagione dei boicottaggi: l’Africa disertò Montréal 1976, il blocco occidentale Mosca 1980, quello comunista Los Angeles 1984.

I giochi di Atene 2004 contribuirono a mandare in rovina la Grecia e quelli di Pechino 2008 furono una gigantesca celebrazione di regime. Rimpiango quelli di Londra 2012, che furono i più a misura d’uomo degli ultimi tempi. Le Olimpiadi sono faraoniche e più difficili da organizzare. Ma dal

Il presente come storia

Le elezioni tra ratti e lupi

Dopo la tregua imposta da Natale e Capodanno, i partiti riprenderanno ad incrociare le spade. Gli stati maggiori hanno già definito programmi e designato i candidati. Da San Silvestro in poi bisognerà accostarsi all’elettorato, per convincerlo innanzitutto ad esprimere un voto. Si sa che l’astensionismo è in crescita ovunque nei P0aesi occidentali e quindi è presumibile che il Ticino non farà eccezione. Gli espedienti finora adottati – come il voto per corrispondenza – non hanno dato i frutti sperati sul versante della partecipazione. Si spera un giorno di invertire la rotta con l’introduzione generalizzata del voto elettronico, attualmente in via di sperimentazione. Vedremo. Si rimane comunque nel campo delle agevolazioni per combattere la neghittosità; il calo della partecipazione è questione ben più complessa, che riguarda l’essenza stessa

della democrazia, del senso civico che la sorregge e la alimenta. Come sarà la campagna elettorale che si sta aprendo? Dalle piattaforme sinora elaborate si capisce che si oscillerà tra due poli, da un lato i drammi che assillano l’umanità intera, dall’altro le faccende che angustiano la quotidianità degli abitanti di questo cantone. Quindi, nel primo caso, il dibattito ruoterà intorno alle «sfide epocali»: cambiamento climatico, transizione energetica, lotta alle pandemie e alle carestie, il pericolo nucleare (bellico e civile), l’accoglienza dei profughi vittime di conflitti e persecuzioni; nel secondo caso si scenderà ai piani bassi, per riprendere a litigare sulle imposte di circolazione (diatriba annosa) e sulla tassa di collegamento (dicitura strampalatissima e incomprensibile ai più). Sono controversie che testimoniano quanto siano diventate ormai

punto di vista dell’impatto mediatico i Mondiali di calcio hanno un’audience maggiore. La scorsa edizione si tenne nel 2018 in Russia. Ricordo lo stadio – lo stesso in cui si erano svolti i Giochi del 1980, quando era dedicato a Lenin – gremito di russi che inneggiavano a Vladimir Putin, il giorno dell’inaugurazione. All’epoca non ci fu un particolare scandalo. In Qatar la Russia non c’è. Putin nel frattempo si è macchiato di un crimine che è anche un errore, l’attacco all’Ucraina. Ma era già un dittatore 4 anni fa. E in pochi lo facemmo notare. Dal punto di vista sportivo l’edizione qatarina dei Mondiali non è stata un insuccesso. Partite tiratissime, spesso decise ai rigori, come quella che è costata l’eliminazione al Brasile. A proposito dei pregiudizi, ricordo quelli che circondarono il primo grande evento sportivo ospitato in Brasile (dal 1950), i Mondiali del 2014. Si

ca (seconda metà del secolo XIX) in cui non esistevano ancora le banche centrali. Ogni banca autorizzata poteva allora emettere denaro e i risparmiatori non avevano alcuna protezione. Lo stesso vale oggi per i Bitcoin. Investire nei Bitcoin è dunque come fare dell’equilibrismo o dell’acrobazia a grande altezza senza rete di protezione. Infatti dietro il Bitcoin non esiste una banca centrale che opera per mantenere stabile il valore della sua divisa, ma una rete di computer che la gestiscono in modalità peer to peer, ossia senza la presenza di un server centrale. Qualcuno parla, a questo proposito, di Fantasyland. Quel che appare certo, anche a un ignorante dei misteri finanziari, è che per far funzionare un sistema monetario così decentralizzato occorre che i peer si accordino una dose eccezionale di fiducia. Anche il sistema monetario tradizionale vive sulla fiducia. Ma un conto è

dar fiducia a una divisa dietro la quale sta una Banca centrale e, quindi, il Governo di un Paese, e un altro è darla a una delle mille nuove sigle che sono nate nel mercato dei Bitcoin, dietro alle quali stanno dei perfetti sconosciuti. Al momento, questo mercato non sembra andare molto bene perché la FTX, un intermediario tra i più importanti, ha fatto fallimento. Tuttavia c’è chi, come i promotori del piano B (piano Bitcoin?), vorrebbe fare di Lugano, grazie alla ditta Tether (che negozia la divisa stable coin), una criptocentrale importante almeno come Zugo, continua ad avanzare intrepido. Queste persone sono sicure di star realizzando non solo un progetto tecnologicamente di punta, ma anche uno che non potrà avere che un grande futuro. Il rischio di andare a fondo è però grosso. Ricordatevi infatti che, come afferma il giallista Marco Malvaldi: «La fiducia è un capitale che si può perdere in una sola giocata!».

roventi le conseguenze della mobilità in questo triangolo di terra, specialmente nel Mendrisiotto, imbuto assediato e soffocato dal traffico. Un tasso di motorizzazione così elevato si ripercuote per forza sui bilanci delle famiglie e della comunità intera, sia in termini monetari, sia in termini di qualità della vita. Di qui l’interesse dei partiti a cavalcare l’una o l’altra causa per ricavare consensi. Ma soluzioni vere non s’intravedono, gli accorgimenti che vediamo spuntare agli incroci servono solo a smaltire il vecchio traffico, non quello nuovo che nel frattempo è andato formandosi. Al generale congestionamento del formicaio contribuisce tutto il solerte popolo dei motori: residenti, camionisti e turisti, e anche i frontalieri. Quest’ultimi raggiungeranno presto quota ottantamila. E pensare che all’epoca della famigerata campa-

prevedeva di tutto: lavori non finiti, proteste, scontri di piazza, organizzazione non all’altezza… Invece accadde solo qualche sparuto incidente, nel giorno dell’inaugurazione a San Paolo e in quello della finale a Rio de Janeiro, enfatizzato dalla presenza delle telecamere e di giornalisti tra i contusi; ma nessun disservizio irreparabile. E il Brasile dimostrò di saper organizzare una grande manifestazione internazionale. Un segno che il mondo globale è un fenomeno irreversibile e che i Paesi europei, abituati a essere grandi in un mondo piccolo, saranno sempre più piccoli in un mondo grande. Come detto ci fu qualche disagio – che peraltro si era visto anche nelle edizioni tenute nei due Paesi più efficienti del mondo, Giappone (2002) e Germania (2006) – e il caso del traffico dei biglietti creò più di un imbarazzo alla Fifa. Tuttavia il successo del Brasile fu indiscutibile. Due an-

ni dopo si fecero i Giochi olimpici a Rio de Janeiro, in un Paese già piegato dalla crisi; eppure anche lì tutto filò liscio. La Seleção vinse pure l’oro nel calcio; che resta tuttora l’ultima grande vittoria. In Qatar ai verdeoro è andata male: eliminati dalla Croazia, un osso duro per chiunque.

La Svizzera ha fatto un buon Mondiale, superando i gironi eliminatori; negli ottavi ha poi ceduto nettamente al Portogallo. Il mondo è rimasto colpito dall’assenza di Cristiano Ronaldo, almeno all’inizio; però il suo sostituto ha fatto tre gol. L’Italia in Qatar non è proprio andata; la Svizzera, che la Nazionale azzurra aveva sconfitto 3 a 0 agli Europei, l’ha eliminata nelle qualificazioni. Una nemesi. Del resto la storia dei due Paesi e dei due popoli è così intrecciata che questi scontri sportivi non fanno che confermare lo storico legame che unisce elvetici e italiani.

gna promossa dall’UDC «Bala i ratt» (2011) erano appena 45mila. Inveire contro i «roditori» non è servito, nemmeno con una maggioranza di destra al governo. Ma questi numeri dovrebbero imporre una riflessione seria sul modello economico che si è imboccato negli ultimi decenni, sugli squilibri creatisi nel mercato del lavoro, sulle trasformazioni che hanno investito la macchina produttiva, sulle prospettive occupazionali dei giovani e sulle logiche dei percorsi formativi. Non è qualificabile come sana una situazione del genere. Infine c’è il «fattore lupo»: anche il predatore irromperà nei dibattiti pre-elettorali. La tematica, come si è visto in questi mesi, è altamente infiammabile perché tocca le corde dell’emotività, sentimenti come la rabbia, l’impotenza, l’indignazione. Basta evocare la questione per gua-

stare antiche amicizie. Vedremo come i partiti la affronteranno da qui al 2 aprile, se ci sarà attenzione verso un mondo, quello alpino, che ogni giorno lotta per la sua sopravvivenza. Nella gestione del lupo confluiscono numerosi aspetti, economici (costi per gli indennizzi e molto altro), legislativi e culturali. L’introduzione del predatore ha portato alla luce un’incomprensione crescente tra cittadini e villici. I primi continuano a coltivare una visione bucolica della vita contadina che non è mai esistita; i secondi chiedono disperatamente ascolto per non abbandonare definitivamente l’allevamento in alta montagna. Riferisce l’abate Paolo Ghiringhelli nel suo Ticino all’inizio dell’Ottocento (1812) che «il cacciatore e l’uccisore di un lupo ricevono 20 lire». Ieri la ricompensa, oggi la galera. Altri tempi, altri costumi, altre esigenze.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXV 19 dicembre 2022 azione – Cooperativa Migros Ticino 33 ATTUALITÀ / RUBRICHE ◆ ●
di Angelo Rossi
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di Orazio Martinetti
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di Aldo Cazzullo
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Torta o poesia?

Per SUR è uscita la raccolta di poesie di Grace Paley, scrittrice famosa per i suoi racconti brevi

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O Tannenbaum

Da Thomas Mann a Heinrich Böll, i grandi autori della letteratura tedesca ci raccontano il

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Oltre le nuvole

Davide Van De Sfroos

Il cantautore, da poco rientrato dal tour autunnale, ricorda gli inizi e racconta i testi delle sue canzoni

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Pagina 43

«Avremo cene e balli mai visti da queste parti»

«Il Natale era rimasto nascosto nelle strade per tutto il tempo. I piccoli Dickens marciavano dietro il padre in ubbidiente fila indiana, ma i loro occhi erano tondi e luccicanti come monete nuove di zecca. I negozianti, in equilibrio precario su alte scalette, decoravano le loro vetrine con rami sempreverde. Poi c’erano i vecchi che vendevano caldarroste in piccoli cortili affollati, il pollivendolo che esponeva in vetrina il cartello per un suo “club dell’oca al brandy”. Il macellaio che decantava le lodi del suo arrosto di manzo, il droghiere con il suo Christmas pudding. Il clima tiepido e lo sferragliare di carri e carrozze non riuscivano comunque a guastare l’atmosfera. L’aria profumava come se fosse appena scesa una grandinata di noce moscata, una neve di cannella».

Catherine aveva appena dato alla luce il loro sesto figlio nella splendida e lussuosa dimora al numero 1 di Devonshire Terrace. Gli editori

Edward Chapman e William Hall erano passati per comunicargli il catastrofico insuccesso di Martin Chuzzlewitt («non sta vendendo nemmeno un quinto di Nickleby») e proporgli di scrivere un libro di Natale: «pensavamo a qualcosa dallo spirito festivo». Dickens sulle prime si mostra contrariato ma ha non molta scelta, perché come i suoi editori sottolineano «si tratta di una questione di denaro» e se i profitti di Chuzzlewitt dovessero continuare ad andare male, come recita la clausola del contratto, Chapman e Hall potrebbero detrarre le loro perdite dalla paga dell’autore. Un bel colpo per Charles Dickens che alle porte del Natale, mancano sei settimane, si trova a riflettere sulle sue entrate ma soprattutto sulle sue esose uscite di cui lui stesso in un dialogo con Catherine si mostra consapevole: «Il punto, molto semplicemente, è che viviamo al di sopra delle nostre possibilità». Ecco allora che nella passeggiata per Londra con i suoi bambini in direzione Bumble’s, il famoso negozio di giocattoli, Dickens li avverte che questa volta daranno solo un’occhiata senza comprare niente. Ma saranno parole al vento dinanzi alle richieste di quegli occhi imploranti e a nulla varrà la sua saggezza: «Perché, bambini, lo sapete: il Natale non è fatto di cose, è fatto di buoni sentimenti». Anche Catherine non aiuterà il marito nel tentativo di fare economia, anzi, per la festa ordina «quattro tacchini, un’oca, dolcetti vari, nocciole e frutta candita. E il Christmas pudding ovviamente» e poi fa arrivare un abete speciale dalla Germania. Il marito quando lo vede non riesce a trattenersi: «Di alberi non ne abbiamo qui in Inghilterra?». Ma la moglie prontamente risponde: «La regina e il principe Alberto insistono al riguardo. È una nuova tradizione». L’unica

salvezza, insomma, è scrivere la storia di Natale. Lo avrete capito, cari lettori e care lettrici, il libro in questione è Il Canto di Natale che Dickens scrisse davvero in sei settimane nel 1843 ma l’idea fu sua e non dei suoi editori. Questa semplicemente è la storia raccontata da Samantha Silva, scrittrice e sceneggiatrice laureata alla Johns Hopkins University’s School of Advanced International Studies che vive in Idaho, e quando ci sentiamo si trova a Seattle per la prima a teatro del suo Il canto di Mr Dickens uscito ora in italiano per Neri Pozza (che qualche mese fa della stessa autrice ha pubblicato anche Amore e furia, un omaggio a Mary Wollstonecraft). Il romanzo che lei dice essere «comico e sentimentale» racconta l’origine del Canto di Natale mischiando personaggi, date, fatti realmente accaduti a una storia di finzione che alla fine si rivela essere una lettera d’amore a Charles Dickens di cui l’autrice ammira «la brillantezza sartoriale di scrittore ma anche il lato umano, la sua grande fede nell’umanità e nel nostro senso di responsabilità verso gli altri. Dickens aveva un grande cuore, non era un uomo perfetto ma ha fatto del bene al mondo. È stata la prima persona in Inghilterra a scrivere di persone

che non sapevano leggere. L’alfabetizzazione è esplosa perché la gente voleva conoscere le sue opere, colui che per primo aveva scritto di loro, sottraendoli all’oblio». Il Canto di Natale (A Christmas Carol ) illustrato da John Leech uscì il 19 dicembre e vendette seimila copie in pochi giorni. «Trovo ironico che per liberarsi dalle sue difficoltà economiche Dickens abbia pensato a un personaggio profondamente avaro come Scrooge».

Non è però solo il denaro a preoccupare Dickens, lo scrittore è affetto dalla sindrome del foglio bianco. L’autore di Oliver Twist è alla disperata ricerca di una musa e tra tanti pensieri gli viene in mente il suo primo amore Maria Beadnell. L’amico di sempre, John Forster, organizza l’incontro proprio nel salotto dei Winter, ad Artillery Place, ma la scena che al lettore era stata prospettata colma di aspettative si traduce in un momento comico: «Dickens si trovava a provare la posa migliore per fare colpo. Lì davanti al camino di marmo della sua prima fiamma, sentiva agitarsi dentro braci sopite da tempo (…) Maria Beadnell entrò a passetti rapidi nella stanza, pienotta come un polpettone appena sfornato; oltre a grondare gioielli, era vestita nel modo più simile a un pavo-

ne che a una donna può riuscire. Dickens si voltò per assorbire la scena».

Ironia a parte, il tema della musa nel romanzo di Samantha Silva è centrale: «Siamo attratti da una proiezione dei nostri desideri e bisogni inconsci. Nella scena a cui più tengo, gli autori non lo ammettono ma nelle loro storie hanno sempre una parte o un personaggio che preferiscono, Eleanor Lovejoy gli dice che la sua musa è il bambino che porta dentro, il bambino ferito che un tempo è stato». Dickens per Il Canto di Natale trarrà linfa dai suoi ricordi, le sue memorie e scriverà in quello che fu il suo primo modesto alloggio di scrittore al numero 13 di Furnival’s Inn dove ritrova il suo vecchio scrittoio di betulla. Ma a nutrire il suo spirito saranno soprattutto l’affinità elettiva con Eleanor Lovejoy e il suo affetto per il piccolo Timothy, «un bambino che amava il Natale con tutto il cuore», uno dei tanti orfani dimenticati della Londra vittoriana, che l’uomo dal grande cuore adotterà. Che poi la città in questo libro diventa un personaggio a sé, una confidente per lo scrittore in cerca di ispirazione. Lo vediamo attraversare Southwark Bridge da dove scorge l’imponente cupola di St. Paul e in lontananza riconosce Cheapside

per poi camminare accanto alla prigione di Newgate. Oppure raggiungere William Thackeray al numero 58 di Lincoln’s Inn Fields, «famosa per essere una sorta di caverna magica, il fulcro della vita letteraria di Londra, un rifugio per scrittori, illustri o ancora sconosciuti, che erano certi di poter trovare in quelle stanze il calore del fuoco, del vino e degli amici». Quello di Samantha Silva è davvero un romanzo dai buoni sentimenti che ci catapulta nell’universo dickensiano ricordandoci che siamo tutti fatti della stessa materia: «Siamo tutti perduti, smarriti, spezzati. Tutti a cercare disperatamente di tornare interi». E sebbene la vita talvolta può essere dura c’è sempre una soluzione, una via d’uscita dettata dall’amore e dalla generosità. Salutiamoci allora con tutta la verve dello spirito dickensiano che ci proietta anche oltre il Natale. «E avremo cene e balli, e spettacoli e magia e tornei di mosca cieca e serate a teatro, e baci d’addio agli anni passati e baci di benvenuto all’anno nuovo come mai si sono visti da queste parti».

Bibliografia Samantha Silva, Il canto di Mr Dickens, Neri Pozza, Vicenza, 2022.

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Natale Nella sua personale al Museo Mecrì di Minusio, Luca Mengoni rende omaggio alle vaporose nubi Da Il Canto di Natale questa illustrazione di E.A. Abbey pubblicata nel 1876 raffigura la cena di Natale a casa di Bob Cratchit ed è una delle poche in cui si vede la famosa oca di Natale. (Keystone) Feuilleton ◆ ll nuovo romanzo di Samantha Silva ci racconta come è nato Il Canto di Natale di Charles Dickens

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Il mondo segreto di Patricia Highsmith

Pubblicazione/1 ◆ I diari e i taccuini ritrovati in un cassetto dalla sua editor Anna von Planta sono ora usciti per La Nave di Teseo

Ora che scrivere gialli pare essere diventata la più comune attività dopolavoristica, chissà se i novelli forgiatori di detective, commissari e poliziotti si sono accorti di avere a disposizione un documento prezioso in cui, disseminati in più di mille pagine, vengono svelati i segreti di bottega per scrivere una trama perfetta. Composti tra il 1941 e il 1992 i Diari e taccuini di Patricia Highsmith (La Nave di Teseo, 2022) testimoniano splendidamente il desiderio di emergere in forza della scrittura, così come l’affermazione di un talento ostinato ma ancora acerbo («Ho in me così tanti libri che sono come un forno pieno zeppo senza un fiammifero»). È rara la possibilità di seguire giorno per giorno la mente di un grande scrittore dall’età del college fino a poco prima della morte. Patricia Highsmith ci ha fatto questo magnifico regalo scrivendo delle proprie sofferenze, delle frustrazioni, delle illusioni, degli amori, della letteratura, del sesso, dell’alcol, insomma della vita, con un’onestà pari solo al talento di una narratrice precocissima e decisa a imporsi a ogni costo nella New York degli anni Quaranta del XX secolo. In questo affollatissimo resoconto della propria vita divisa tra Stati Uniti, Francia, Valle Maggia e Terre di Pedemonte la Highsmith si mette a nudo consegnandoci un diario implacabile come quello di John Cheever e deliziosamente colto come quello di Julien Green. La New York di quegli anni è un concentrato irripetibile di stimoli artistici e la Highsmith si muove a suo agio in quel gigantesco frullatore culturale.

Non ha ancora concluso il college che, con grande scandalo di sua madre, entra in un gruppo di artiste, giornaliste e docenti universita-

rie. Esce freneticamente, beve molto, allaccia relazioni sentimentali travolgenti con uomini e con donne, coglie ogni occasione per sentirsi viva e soprattutto sente di essere nata per la scrittura («Ho pensato alla trama di un racconto, è nel mio corpo come un bambino non nato»).

Questi diari conquistano il lettore, oltre che per la precocissima maturità, per la coabitazione di alto e basso (parlando di altro annota con noncuranza: «Ho iniziato Finnegans Wake »; siamo nel 1941, per dire la preveggenza e il gusto già sicuro) e per l’ironia che punteggia molte pagine («Rosalind mi è superiore per età, conquiste lavorative e pensieri sulla Weltanschauung »).

Nella Grande Mela di quegli anni (gli stessi raffigurati in Radio Days di Woody Allen), sempre a corto di soldi, è di casa nei jazz club più in voga del Greenwich Village (a quell’epoca il «Village» è un’enclave di tolleranza dove esprimere la propria omosessualità). A Manhattan frequenta il Famous Door, dove si esibiscono Glenn Miller, Billie Holiday e Count Basie, ma per ubriacarsi va in casa delle amiche più intime. Di lì a poco inizia a scrivere per una rivista di fumetti e conosce Stan Lee prima che il grande disegnatore diventi un mostro sacro. Appena guadagna decentemente va a vivere da sola e si ritrova Piet Mondrian come vicino di pianerottolo. Sogna di scrivere per il «New

Yorker» e intanto manda alcuni testi a «Harper’s Bazaar», dove hanno debuttato Capote, Cocteau, McCullers e Auden. Cerca di piazzarne un altro sul «Saturday Evening Post», il settimanale illustrato da Norman Rockwell. Ci prova anche con «Vanity Fair», non più mensile di moda ma prestigiosa rivista letteraria. Nel settembre del ’42 tenta il grande salto, manda un racconto al «New Yorker»: verrà pubblicato, ma con un titolo scelto dalla redazione. E sente di avercela fatta quando un critico le dice che leggendola riconoscerebbe il suo stile.

Nei giudizi critici mostra da subito una disinvoltura che rasenta la sfrontatezza: «Morte a Venezia un ca-

L’inconfondibile voce di Grace Paley

Pubblicazione/2

polavoro? Chiunque lo sarebbe con un’idea così bizzarra e la capacità di scrivere fluidamente»; «Claudine si sposa di Colette è la cosa più marcia in cui mi sia mai imbattuta»; «Vedo che ultimamente Vonnegut ammicca al fantasy e usa spesso la parola “fottuto”». E come tutte le giovani promesse della letteratura, cita Proust senza averlo ancora letto.

Le decine di quaderni pervicacemente compilati anche negli anni del successo internazionale sono una miniera per le sue prove successive e la seguono in tutte le sue peregrinazioni, fino agli ultimi anni ticinesi. Negli anni Ottanta è un’autrice pluripremiata: il Ciclo di Ripley è una «macchina da best seller», vari suoi romanzi diventano film. Acclamata in Europa, i media se la contendono. Nel 1988 un suo pezzo su Simenon viene pubblicato contemporaneamente da «Libération», «El País», «Der Spiegel» e dalla «Neue Zürcher Zeitung».

Tuttavia smette di scrivere il diario tre anni prima della morte per concentrare le forze residue nel lavoro. Intanto, nel 1991 si fanno insistenti le voci che la danno vincitrice del Nobel, che invece andrà a Nadine Gordimer. Ma è nelle Terre di Pedemonte, a Tegna, che trova la tranquillità per scrivere le ultime cose. Segue la costruzione della casa e quando vi abita finché può si occupa personalmente di spaccare la legna e progetta piccoli lavori di falegnameria. «Il faut cultiver notre jardin», avrebbe detto Candide.

Bibliografia

Patricia Highsmith, Diari e taccuini 1941-1995, Milano, La Nave di Teseo, Milano, 2022.

Scrittrice fuoriclasse di racconti brevi, ritroviamo la sua cifra in una raccolta di poesie, quasi tutte inedite

Volevo scrivere una poesia, invece ho fatto una torta è il titolo della silloge di Grace Paley, edita da Sur, tradotta da Paolo Cognetti e Isabella Zani, con testo in lingua originale a fronte. Grace Paley, scrittrice nata a New York da due ebrei russi fuggiti negli Stati Uniti, è conosciuta al mondo per i suoi racconti, che le valsero la candidatura al Premio Pulitzer e al National Book Award. Quando, come scrive Cognetti nella prefazione al testo, il suo editore le chiese di cimentarsi nella forma lunga del romanzo, che da sempre ha più successo di pubblico, decise bene di dedicarsi invece alla poesia.

La raccolta comprende i testi che Paley scrisse quando aveva tra i settanta e gli ottant’anni, dopo aver lasciato New York per trasferirsi nel Vermont dove, per la prima volta, affianca ai soggetti che le sono cari: donne, ebrei, emarginati e immigrati, anche la natura e gli animali.

Grace Paley ha sempre avuto, come ricorda Cognetti, una concezione della letteratura schietta, da narratrice pura. Le storie che conosceva, quelle che le venivano raccontate dalle amiche e dalle compagne, quelle della sua famiglia e le sue, diventavano via via materia dei racconti, senza che mai la necessità di pubblicare prevalesse su quella di essere una cit-

tadina e di essere viva. Non mancano nella raccolta riferimenti alla sua vita familiare: «il padre chiede il sale / tre donne si alzano la madre / la nonna la zia c’è / solo una saliera che / ci vuoi fare». La condizione femminile ritorna in un’altra poesia intitolata C’è differenza tra uomini e donne, in cui ai pochi versi che indicano ciò a cui il genere maschile è normalmente intento: «Ah la tratta degli schiavi / il traffico d’armi / la morte in alto mare / i massacri nei villaggi», che tornano come un ritornello, fanno da contraltare ben trenta versi in cui Paley

descrive ciò che definisce la vita delle donne. Troviamo allora la necessità della sopravvivenza, il cibo, il mercato e soprattutto la fatica dei corpi che trascinano avanti la propria esistenza e garantiscono anche quella degli altri. E seppure non si possa negare che tanti sono stati i passi avanti fatti negli ultimi anni, resta vero che a occuparsi principalmente della vita che si svolge nelle cucine degli ospedali e nelle scuole, come ricorda la filosofa Adriana Cavarero, sono ancora principalmente le donne.

Alla madre è dedicato un testo

commovente che si intitola Lettera: «Mamma il fatto che non scrivo molte poesie / per te non vuol dire che non ti abbia pensata / ogni giorno di questi ultimi cinquant’anni […] Però è vero per un paio di decenni indaffarati quando / i bambini erano piccoli e chiassosi quando la guerra / e l’intenso amore sessuale interferivano è possibile / che ti abbia pensata meno spesso ma anche allora / d’un tratto la sera mi capitava di vederti».

Come si evince dalle citazioni, lo stile poetico di Paley è ancorato alla realtà e forse, proprio per dare ragione di questa immediatezza e forza, la raccolta prende il titolo dai primi versi dalla poesia: La sporadica alternativa della poetessa. In questo testo Paley racconta dell’incertezza incurabile di chi scrive, che si pone nell’inevitabile attesa di sapere se ciò che ha composto piace, mentre la gratificazione per aver fatto un dolce goloso è immediata: «questa torta piacerà a tutti […] / non voglio / aspettare una settimana un anno una / generazione perché si presenti / il cliente giusto».

A connotare tutte le poesie di questa silloge è una stessa atmosfera di vividezza, un latente senso dell’umorismo che sottende anche ai testi più polemici, che dicono di un’accesa critica politica come Volantino, in cui

viene descritta la propensione inarrestabile alla guerra da parte delle nazioni. Del resto, la lotta politica ha caratterizzato la sua vita: prima del trasferimento in Vermont, avvenuto solo in età matura, Paley ha vissuto nel Bronx e poi nel Greenwich Village, partecipando a diverse battaglie politiche e atti dimostrativi: l’autrice negli anni del maccartismo era schedata come «comunista».

In questi testi, però, non c’è mai traccia di acredine o di risentimento. Come insegnava De Beauvoir nella prima parte del suo corposo volume Il secondo sesso, Paley sa che la rivendicazione non è preferibile e neanche poetica. Ritroviamo allora, in questi versi, lo stesso sguardo chirurgico e minuto, la stessa capacità di far reagire insieme l’universale e il particolare, con un’attitudine indefessa alla comprensione, che rendono i suoi racconti, e anche le sue poesie, una lettura imperdibile: «questi paesi / vanno soppressi per il loro stesso / bene […] è un peccato che diano così di matto ma guarda / quanto ti innervosisci tu quando cambia il tempo».

Bibliografia

Grace Paley, Volevo scrivere una poesia, invece ho fatto una torta, Sur, Roma, 2022.

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Il più silente giorno dell’anno

Chi non festeggerebbe volentieri il Natale in casa Buddenbrook tra il profumo dell’abete e i dolci sparsi ovunque: marzapane e torte brune decorate di mandorle e zucca candita. Poi il pranzo, servito nella galleria a colonne, con un gustoso menu a base di carpe al burro e vino del Reno, tacchino ripieno di marroni, uva passa e miele, e baisers col sorbetto accompagnati da calici di un dolce vino greco. Un vero paradiso dove giovani e anziani intonano l’inno O Tannenbaum e la vecchia consolessa, ormai vedova, tiene come sempre il suo fervorino invitando tutti a brindare in serena armonia. Anche in assenza del defunto capostipite Johann, la liturgia familiare conserva il suo ruolo rispecchiando l’immagine sociale di una grande, per quanto ormai decadente, famiglia borghese. Nelle pagine del suo romanzo Thomas Mann dà vita a una messinscena che evoca un felice passato come per scacciare inquietanti fantasmi che si addensano sul futuro in cui è proiettato il piccolo Hanno, l’ultimo discendente, che guarda come in sogno il teatrino e l’harmonium, lucido e bruno, che ha avuto in regalo.

«I nostri più grandi desideri, se solo apriamo a loro il nostro cuore, non possono non essere esauditi»

Ben diversamente dai due bambini, Konrad e Sanna, fratello e sorella, che nella notte di Natale si smarriscono tra i monti, di ritorno da una visita ai nonni, in un regno misterioso di ghiaccio e di neve, per poi attendere trepidanti la luce del nuovo giorno e la salvezza. Nel racconto dell’austriaco Adalbert Stifter, Cristallo di rocca, del 1853, una natura carica di mistero e di inquietante attesa prepara una sorta di rinascita verso la vita. «Mamma – dice la piccola al suo ritorno – questa notte, quando eravamo sulla montagna, ho visto il Bambin Gesù». Siamo ad altre latitudini, ben lontani dal mondo borghese, tra la magia della favola e la riflessione sulla realtà della condizione umana.

Eppure questo è il Natale, come scriveva Rainer Maria Rilke in una delle sue annuali lettere alla madre in occasione di tale festività: «Sentire che in fondo i nostri più grandi desideri, se solo apriamo a loro il nostro cuore, non possono non essere esauditi». Come la speranza dei due bambini, che vagando nella neve trovano infine soccorso e rientrano felici al villaggio natio.

Ed è ancora Rilke a evocare nella sua poesia Natale è il più silente giorno dell’anno la magia di una natura che sola sembra veramente accogliere il grande mistero, mentre gli occhi dei fanciulli si spalancano e grandi cieli albeggiano. Un’immagine mistica e romantica che in Hermann Hesse si trasforma nella sensazione che l’intero universo, stelle, monti, valli, paesi lon-

tani, popoli stranieri, luna e sole siano dentro di lui. È forse il momento – ricorda in una delle sue poesie natalizie – «in cui l’uomo è pronto per l’amore: / Credo allora che il Natale non sia lontano!». Un’attesa purtroppo senza risposte, giacché la violenza della guerra annichilisce il senso stesso della festività. Nel surreale e visionario racconto Natale del 1942, di appena undici righe, Dürrenmatt dipinge un paesaggio di desolazione dove l’aria è morta e nero il cielo. L’anonimo protagonista scorge in quella vuota pianura un corpo disteso sulla neve: è Gesù Bambino. Non ha occhi, le membra sono rigide, l’aureola è un disco gelato, che quell’uomo affamato non esita a man-

giare. Poi aggiunge: «Sapeva di pane stantio. Gli staccai la testa con un morso. Marzapane stantio. Proseguii». Qui tutto scompare: l’uomo, Cristo e Dio. Non c’è speranza né rinascita di fronte all’orrore del mondo. È il punto terminale, tra blasfemia e nichilismo, di un percorso che si ripete all’infinito. Basta pensare alla guerra in Ucraina dei nostri giorni, alla follia che distrugge vite e paesi, all’indifferenza tracotante che non arretra di fronte a nulla. Il Bambin Gesù ha vita difficile tra gli scrittori di lingua tedesca di quegli anni. Come nel breve racconto del 1946 I tre Magi oscuri di Wolfgang Borchert, autore di un dramma che fece storia nell’immediato dopoguer-

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dalla stufa arriva una manciata di luce che illumina quel visino che dorme. Qui c’è vita e dunque speranza, pur in un paese distrutto dalla guerra che ha spento la salvifica luce di Betlemme. Lo ricorda Peter Huchel nella ballata Dicembre 1942, dove sullo sfondo della terribile battaglia di Stalingrado si profilano le sagome di una natività annichilita: una misera capanna, di fronte a cui giace il cadavere di Maria, tre soldati che le passano accanto mentre si odono le urla del bambino. Immagini ambivalenti, guerrieri o re magi, che «cercano la strada e non vedono stella alcuna». Difficile riattivare la speranza in un mondo così sconvolto e del tutto indifferente al destino dei più miseri, sembra dirci anche la poetessa Marie Luise Kaschnitz nella sua lirica Notte di dicembre, che tuttavia lascia aperto uno spiraglio. Come suona il suo ultimo verso: «È morto il bambino? Il bambino non muore mai». Perché proprio lui in tutta la sua fragilità è il simbolo d’ogni possibile rinascita, un segnale di speranza in un mondo assurdo e violento, a cui allude anche Erich Fried nel suo Canto di Natale del 1947, dove immagini frammentarie evocano l’infelice scenario di un mondo immiserito. «Un giaciglio di paglia – recitano la prima e l’ultima strofa –/ Una parete di vento / Un’ondata come culla / Un bimbo».

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ra, Fuori davanti alla porta. Anche qui gelo e desolazione in una povera casa di periferia, dove c’è un bimbo appena nato, che il padre vede rientrando con un po’ di legna per il fuoco. La moglie è pallida e stanca, ma in fondo felice per quel visino tondo che le giace accanto. Ed ecco che tre uomini si presentano alla porta per riposarsi un attimo. Forse soldati, con vecchie divise. Uno tremante e un altro senza mani, ma con piccoli doni: caramelle per la donna e un asinello di legno per il bambino che inizia a urlare mentre i tre gli si accostano per poi andarsene. Ha gridato ed è vivo, bisbiglia la donna, e oggi, aggiunge, è anche Natale. Già, bofonchia il marito, mentre

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Solo lo sguardo satirico di Heinrich Böll riporta un po’ di festa, anzi la dilata in un gioco quasi surreale. Nel suo esilarante racconto Tutti i giorni Natale, che lo scrittore lesse nel 1952 in un incontro del Gruppo 47, la tradizione familiare si trasforma in un grottesco rituale senza fine. Come a casa della zia Milla che amava soprattutto una cosa: addobbare l’albero di Natale. Per lei la guerra era una forza pericolosa solo perché metteva in crisi il suo progetto. Lei pensava solo ai nanetti di vetro con il loro martelletto di sughero da appendere con figure di marzapane, e all’angelo vestito d’argento in cima all’albero, che a intervalli muoveva le labbra e sussurrava: «pace, pace». Una delizia destinata per lei a non finire mai: inizia a urlare se qualcuno nei giorni della Candelora cerca di disfarlo. E urlerà per un’intera settimana. Non servono medici né medicine: l’unica vera cura è procurare un nuovo albero e ogni sera ripetere la festa perché, anche a Carnevale e più tardi nei mesi estivi, la zia è ormai convinta che sia sempre la vigilia di Natale. La famiglia è allo sbaraglio: la cugina Lucie sembra impazzita, mentre gli altri sono alla ricerca di sempre nuovi abeti, nanetti e dolciumi. Poi, giunti allo stremo, si faranno sostituire da attori, con cui la zia si intrattiene felice. Si disse, allora, che Böll aveva voluto stigmatizzare il carattere falsificante di un’epoca di restaurazione. Ma l’ossessione di Milla sembra ricordarci altresì una festa che ruota attorno a un eterno cliché: oggi più che mai quello del consumo e dei regali. Se tutti i giorni è Natale, allora non c’è speranza di ritrovare il vero Bambin Gesù.

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Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile) Carlo Silini Simona Sala Barbara Manzoni Manuela Mazzi Romina Borla Natascha Fioretti Ivan Leoni
Il Natale del 1796 nel castello di Wandsbecker, vicino ad Amburgo, fu indimenticabile per il poeta Matthias Claudius e famiglia. A destra con il libro sulle ginocchia anche il poeta Klopstock. Autore dell’illustrazione Weihnachtsabend bei Matthias Claudius è Theobald Reinhold Freiherr von Oer e l’albero di Natale è il primo di cui si ha notizia nel nord della Germania. (Keystone)

PUERTO MATE®

è disponibile presso Migros nei gusti mate melagrana e mate citronella.

A partire da maggio 2023 dovrebbe entrare in commercio un’ulteriore variante del prodotto a maggior concentrazione di mate.

PUERTO MATE

Il booster naturale dal Sudamerica

PUERTO MATE® si presenta in una veste variopinta come la vita e stimolante come la bevanda che racchiude. Una bevanda autentica in tutto e per tutto. La tradizionale infusione a freddo di origine sudamericana è uno stimolante naturale per tutti i momenti della giornata in cui si sente il bisogno di una sferzata d’energia. Per sorsate di rinfrescante, corroborante autenticità. Naturale al 100%.

Dai campi dell’Argentina agli scaffali della Migros. Da sempre bevanda di culto nella sua terra d’origine, grazie al suo naturale contenuto di caffeina, il mate sta rapidamente acquistando popolarità anche alle nostre latitudini. PUERTO

MATE® riunisce in sé l’originalità di una tradizione secolare e le moderne esigenze di funzionalità, naturalezza e basso contenuto di zuccheri.

Zero compromessi sulla materia prima

La yerba mate utilizzata per PUERTO MATE® proviene esclusivamente dalla fattoria Pindo di Puerto Esperanza, in Argentina. Questo garantisce piena tracciabilità, trasparenza e sostenibilità. PUERTO MATE® deve il suo aroma unico alle foglie di yerba mate raccolte a mano e al processo di lavorazione particolarmente rispettoso con cui si ottiene

il tereré, l’infusione a freddo che sta alla base della bevanda. Il tutto in qualità bio.

Una bevanda di lunga tradizione: la ricetta del tereré

In molti Paesi sudamericani il mate è da secoli parte integrante della giornata e ancora oggi viene preparato secondo il metodo tradizionale: le foglie di yerba mate vengono infuse in acqua ghiacciata e la bevanda così ottenuta, il tereré, viene arricchita con succhi di frutta naturali e bevuta in compagnia. Grazie a PUERTO MATE® la Svizzera ha l’opportunità di scoprire questa fantastica bevanda sudamericana, perfetta per contrastare i mo-

menti di stanchezza durante la giornata, fare il pieno d’energia (a basso contenuto calorico!) prima delle attività sportive o anche solo per dissetarsi con gusto nei momenti di relax, da soli o meglio ancora insieme agli amici.

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Tra le nuvole, al riparo dalle inquietudini terrene

Lo scrittore francese Victor Hugo le definiva «gli unici uccelli che non dormono mai»: vagabonde, inafferrabili e inconsistenti, le nuvole sono tra gli elementi del creato che più vivono la libertà dello spazio. La mutevolezza del loro aspetto, poi, ne fa la metafora più riuscita dell’esistenza che si trasforma e si dissolve.

L’artista mira a farne effigi dalle profonde implicazioni concettuali, cercando «di farci vedere che l’esistenza delle nuvole, e forse anche la nostra, è un precario e fuggevole affacciarsi sul nulla»

Per la loro fisionomia labile e imprecisa alcuni artisti le hanno considerate un soggetto problematico. Basti citare il Brunelleschi, che nel suo celeberrimo esperimento prospettico le tralascia volutamente, affidando allo specchio il compito di rappresentarle, o il grande Leonardo, che le considerava «corpi senza superfici né contorni» e per questo piuttosto difficili da realizzare. Ripercorrendo però la storia dell’arte troviamo una gran quantità di artisti letteralmente stregati dalle nuvole. C’è stato chi, come Andrea Mantegna, le ha dipinte solide e corpose nascondendo volti nei loro candidi volumi o chi, come i pittori ottocenteschi John Constable e William Turner, sull’onda del Sublime le ha raffigurate cariche di tempesta o intrise della luce arcana del sole, nel tentativo di esplorarle in ogni minimo dettaglio. E c’è stato ancora chi, come René Magritte, le ha rese protagoniste di scenari dalla calma surreale, di mondi onirici dove tutto è possibile o chi, spostandoci in epoca attuale, è diventato un vero e proprio creatore di nuvole, come Berndnaut Smilde, intento a riprodurle con fedeltà all’interno di spazi chiusi.

A trovarle stimolanti per la propria ricerca è anche Luca Mengoni, a cui il Museo Mecrì di Minusio dedica fino ai primi giorni di gennaio una mostra curata da Elio Schenini. «Le nuvole mi interessano molto, mi attrae il loro essere senza forma e senza luogo», afferma l’artista ticinese. Eppure la rassegna si intitola «Il luogo delle nuvole», citazione di un verso di una poesia

del 1944 di Meret Oppenheim (altra figura molto affascinata dalle nubi) che ci appare una sorta di provocazione, come se il tentativo di fermare la loro natura errabonda fosse andato a buon fine.

D’altro canto la dimensione del gioco, del contrasto e dell’ambiguità appartiene pienamente all’arte di Mengoni, che da sempre articola la propria cifra stilistica per ossimori sia concettuali sia materiali. L’idea del contrasto e dell’interpretazione equivoca che anima i suoi lavori non è altro che l’espressione della volontà di mostrare nuove prospettive, di creare connessioni inaspettate per indagare più a fondo la realtà.

Davanti a un’opera di Mengoni, e questo accade anche a Minusio, siamo chiamati a decodificare delle tracce attraverso la nostra intuizione e la nostra sensibilità per poter approdare a un senso che vada oltre l’immagine rappresentata o il materiale utilizzato. Pur nella varietà delle tecniche di cui l’artista si avvale – dal disegno all’incisione, dalla pittura alla scultura e all’installazione – il linguaggio di Mengoni ha una sua precisa identità, essenziale e rigoroso nel presentarsi ai nostri occhi ma ricco di sfumature e aperto a molteplici sviluppi di significato. Lo stesso modo in cui l’artista tratta i diversi materiali impiegati, sempre piuttosto semplici, contribuisce a costruire nuovi percorsi di lettura dell’opera: Mengoni esalta le specificità dei supporti esplorandone le reazioni alle sollecitazioni esterne provenienti dal suo intervento così come da quello dell’ambiente.

Altra caratteristica dell’artista è l’affidarsi a un repertorio selezionatissimo di immagini che ritorna con frequenza nei suoi lavori. Si tratta di pochi soggetti che appartengono alla nostra quotidianità, ognuno dei quali è stato attentamente scelto per la sua valenza metaforica. Insieme a scale, alberi o ali di farfalle, ecco comparire nell’universo tematico di Mengoni le nuvole, ora rappresentate in solitudine ora accostate ad altre figure-simbolo al fine di innescare nuove associazioni di senso.

Lungi dal volerle riprodurre fedelmente, l’artista mira piuttosto a farne effigi dalle profonde implicazioni concettuali, cercando «di farci vedere che l’esistenza delle nuvole, e for-

se anche la nostra, è un precario e fuggevole affacciarsi sul nulla», scrive Schenini nel testo del catalogo che accompagna la mostra.

In un acquarello su carta del 2022 Mengoni decide di raffigurare la nuvola dipingendo i retini cromatici in cui viene scomposta la sua immagine a colori per la stampa in quadricromia: il risultato è una forma che riusciamo a cogliere solo a una certa distanza e che invece si dissipa nell’intreccio dei tratti colorati non appena ci avviciniamo all’opera. Le nubi dell’artista prendono vita anche dall’accostamento di centinaia di pallini e puntini o da una fitta trama di segni ondulati, da un groviglio di linee o da semplici contorni bianchi su sfondi azzurri.

In un lavoro in vetro datato sempre 2022 Mengoni dà ai nembi la forma del dorso di due mani che paiono arrampicarsi faticosamente sulla parete bianca della sala del museo, vicino a loro c’è un lungo tessuto di lino su cui è stata ricamata l’immagine di una scala, a rafforzare l’idea di un’ascesa da conquistare con affanno. In un’altra opera dello stesso anno realizzata con il neon, la parola «nube», avvolta da una luce azzurrognola, è stata rappresentata nel modo in cui la troviamo riportata nei dizionari che ne spiegano la scrittura e la pronuncia corrette, quasi a volerne indagare l’essenza anche attraverso il suo aspetto linguistico.

Di particolare interesse è poi un’installazione costituita da due tavolette di terracotta che recano le impronte dei piedi, due piccoli contenitori di acqua e un dipinto su carta appeso alla parete raffigurante nembi nell’etere limpido. La interpretiamo come un percorso che conduce l’individuo dalla terra al cielo mediante un rito di purificazione. Come se le nuvole, seppur precarie e fugaci al pari dell’esistenza umana, rimanessero, in fondo, una seducente illusione di calma e tranquillità. Un luogo ameno dove trovare una tregua dalle inquietudini terrene.

Dove e quando

Luca Mengoni. Il luogo delle nuvole Fondazione Museo Mecrì, Minusio. Fino all’8 gennaio 2023. Orari: ma-sa 14.00-17.00, do 10.0012.00 / 14.00-17.00. www.mecri.ch

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Annuncio pubblicitario Mostra ◆ Fino all’8 gennaio il Museo Mecrì di Minusio ospita la personale di Luca Mengoni, il suo omaggio alle fugaci nubi Sopra, Luca Mengoni, Pensieri sotto le nuvole, 2022. (© Pier Maulini, Omegna) Sotto, La parvenza del vero, 2020. (© Pier Maulini, Omegna)
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«La mia vocazione artistica è nata nei soggiorni e nelle cucine delle amiche di mia zia»

«Più che farmi effetto, cantare a Zurigo, come già fatto a Berna o in altri posti della Svizzera interna, mi ha dato affetto: quello dei tanti ticinesi che si sono trasferiti là e che gioiscono nell’ascoltare un dialetto simile al loro. Ma anche i germanofoni seguono con passione: più mossi dai suoni, ma so che poi vanno a tradursi e studiarsi i testi, un po’ come succede in Italia in regioni con dialetti molto diversi. Perché il dialetto non è una maschera buffa che deve ricorrere a battute e temi sconci per far ridere: per me è stato il linguaggio “filologicamente” più aderente alle realtà, ai luoghi e alle storie che racconto nelle mie canzoni. Da piccolo, quando la zia mi portava dalle amiche, restavo ipnotizzato a sentirle raccontare, in dialetto, le loro storie; e loro, a trovarsi davanti un bimbetto interessato, si dilungavano meravigliosamente. Penso che la mia vocazione artistica e soprattutto la forma particolare che ha assunto sia nata lì, nei soggiorni e nelle cucine delle amiche di mia zia».

Maader de autünn è il titolo della tournée che Davide Van De Sfroos ha appena concluso dopo aver fatto tappa a Zurigo, era prevista una data anche a Chiasso ma è saltata, poi Veneto, Emilia e Lombardia. Oltre due ore ininterrotte tra canzoni dell’ultimo album (Maader folk) e tanti titoli passati. «Quando abbiamo ripreso ad esibirci dopo le chiusure (causa covid, ndr.) dei teatri, il pubblico era distanziato e con la mascherina, eppure cantava e dal palco si percepiva la sua partecipazione attiva. Però quando sono cadute le restrizioni, il ritrovarsi tra tanta gente e il rivedere la calca lungo le transenne ci hanno trasmesso un’energia pazzesca; così, dopo aver portato in giro un po’ ovunque Maader folk, abbiamo deciso di continuare questa

esperienza, recuperando assieme alle canzoni nuove tutte quelle che la gente ci chiedeva immancabilmente ad ogni concerto».

Si tratta dei titoli più noti e amati, da 40 pass a Camionista ghost rider fino a Pulenta e galena fregia. «Sono canzoni che anno dopo anno acquistano sempre più carne, più spessore: canto persone precise, lo Ziu Toni, il Genesio, però incarnano dinamiche universali. Ovvio pensare adesso, con la guerra, a Sciuur capitan, a L’infermiera o Agata, quest’ultima immagine non solo di una donna del tempo antico, quando giovani ragazze si trovavano a dover essere madri e padri, a lavorare duramente attendendo il ritorno, magari dalla guerra, di un figlio o un marito; è la condizione potenzialmente perenne per cui una donna deve essere madre, dolce, sensuale, e al tempo stesso forte, guerriera e lavoratrice». Titolo icona di Maader folk, anche perché cantata in duo con Zucchero, è Oh Lord, vaarda gio: «L’avevo scritta prima del Covid parlando di maschere indossate storte, e senza neppure poter ipotizzare una guerra vicina cantavo la richiesta a Chi sta lassù in cielo di guardare giù e salvarci dai disastri che combiniamo.

Altro tema eterno, che riecheggia in Hemm imparaa, è «la speranza che la felicità consista nell’accumulo, per poi cercare la sottrazione per ritrovarsi»

Il bello di certe canzoni è che risultano profetiche; io stesso, a distanza di anni, mi domando da dove mi siano venute certe idee: credo da un subconscio che si era fatto largo, ma di cui non ero lucidamente consapevole. Quando scris-

si, già dieci anni fa, Oh Lord vaarda gio (Oh Lord, please tell me / Indè gh’ho de na’ adess / Oh Lord, please tell me / Cussè gh’ho de fa’ adess / Quand’el tira vent a s’piga tot i fior) sentivo semplicemente di aver bisogno di una mano; oggi sono più consapevole che, inondati da nozioni scientifiche e bollettini medici, travolti da una fretta vorace che tutto consuma, nel profondo ci sappiamo bisognosi di uno sguardo verso un infinito, un assoluto, a prescindere da come lo si voglia identificare, e ci sentiamo naufraghi senza una guida che sappia indicarci una rotta, un senso alla nostra navigazione in questo mare agitato». Altro tema eterno, che riecheggia in Hemm imparaa è «la speranza che la felicità consista nell’accumulo, per

poi cercare la sottrazione per ritrovarsi. Conosco persone che hanno inseguito la carriera, hanno avuto successo e sono andate a vivere agiatamente nelle grandi città; e poi sono tornate al paesino natale e hanno ristrutturato la cascina del nonno. Non è un elogio della povertà né un’accusa a certi beni, voglio solo evidenziare che ci si può sbagliare su quel che serve veramente, ma non ci si può illudere a lungo». Il refrain del brano recita: «Hemm imparaa a fa’ mea tant casott / Quand che giren i stagiun / El sent che ’l temp el passa / E quand che ’l passa g’ha sempru pressa / E cambierà la sua pell cume la cambierà la bissa».

Montale diceva che si tenta di «riempire il vuoto con l’inutile»; Van De

Sfroos ama riempire taccuini: «Sono i cassetti dove ripongo parole, inizi o pezzi di storie, anche immagini che mi hanno colpito – disegno e coloro oltre che scrivere perché il senso del tutto fa capolino nei dettagli, e per coglierli bisogna ritornare a quell’antico stupore con cui l’uomo guardava al mondo. Sono frasi, talvolta storie ormai quasi complete, che rimangono lì anche per anni e poi arriva il momento in cui sbocciano. Ci stavo riflettendo: tengo in gestazione una canzone per anni, ma quando le persone mi scrivono per raccontarmi come quella canzone sia stata d’aiuto in un momento di difficoltà, che vi si sono aggrappate perché si sentivano descritte, capisco che non sono più mie».

Natale si avvicina, è tempo di idee regalo anche nell’ambito musicale. I dischi sono sempre oggetti magici, contenitori di scoperte e atmosfere che arricchiscono la vita. Ecco quindi una rassegna di suggerimenti, che sono anche in un certo senso un «best of» (molto personale) dei migliori lavori ascoltati quest’anno.

Iniziamo la carrellata parlando di un album molto particolare e ben fatto, uscito già lo scorso anno. Si tratta di Duo, raccolta di duetti chitarristici proposti da Stefano Romerio e Roberto Pianca, CD pubblicato da Altrisuoni. La sfida che i nostri due musicisti propongono agli ascoltatori più allenati è, naturalmente, quella di rico-

noscerli all’ascolto, grazie al loro stile personale. Le note di copertina ci informano del fatto che ognuno di loro occupa un canale audio, dei due a disposizione. Questo ci permette anche di sottolineare che l’album è registrato con la tecnica binaurale, un sistema che, già dalla fase di registrazione, cerca di riprodurre una situazione di ascolto ottimale, con l’obiettivo di dare all’ascoltatore l’impressione di essere davvero dal vivo, in presenza dei due musicisti. Detto questo, e fatti i complimenti per la consueta perizia a Lara Persia, che ha implementato questa tecnica nel suo studio Lemura di Montagnola, all’ascoltatore non resta che il compito di immergersi in una bellissima carrellata di standards eseguiti in grande relax dai due chitarristi, con molta tranquillità e understatement

Il secondo album che vogliamo segnalare è Mysterium Lunae del quartetto di Lorenzo De Finti. Il pianista ticinese è tornato da poco da una tournée che è stata per lui l’occasione di portare il suo lavoro all’ascolto di un pubblico mondiale. Per noi che lo conosciamo e che siamo abituati a vedere i nostri musicisti molto ancorati alla nostra realtà «elvetocentrica» fa effetto

seguirlo su Facebook e vedere come si sposta da un continente all’altro. De Finti, come altri suoi colleghi ticinesi del resto, sembra viaggiare su una lunghezza d’onda veramente ampia. La sua ricerca musicale mantiene sempre un occhio aperto verso orizzonti artisticamente «globali». Il nuovo album conferma le premesse espresse dal precedente We live here, del 2016. Il suono del gruppo, composto questa volta dal compagno d’avventure di sempre Stefano Dall’Ora al basso, da Alberto Mandarini alla tromba e da Marco Castiglioni alla batteria, possiede quell’impronta di tensione e densità di idee tipiche delle composizioni di De Finti. Le atmosfere dei brani sono

in qualche modo «nordiche» (e la stessa scelta di pubblicare il disco sotto l’egida della norvegese Losen Records è significativa) ma, di nuovo, l’impronta eclettica del pianista e compositore è sempre ben presente. De Finti ha infatti al suo arco molte frecce, nate da una sensibilità musicale che va dall’influenza della musica classica alla fascinazione per le situazioni più ritmate e fusion. E questo caleidoscopio di ingredienti rende come sempre la sua musica estremamente interessante.

Parliamo infine di Luca Pagano, che abbiamo sentito con piacere poche settimane fa a Jazz in Bess. Il chitarrista luganese, da anni trapiantato a Ginevra, vi si era presentato con un quartetto dalle grandi ambizioni. Pagano, però, ha registrato quest’anno il suo nuovo album da bandleader, Fai bei sogni. Anche in questo caso, come per quello segnalato più sopra, si tratta di una registrazione in duo, ma il dialogo strumentale è sostenuto questa volta da una chitarra e da un pianoforte, quello di Jean Ferrarini. Il compito di un pianista e di un chitarrista è, come ci ha ricordato Pagano con una battuta durante una chiacchierata prima del concerto luganese, quello di «non pestarsi i piedi a vicen-

da»: due strumenti armonici rischiano di sovrapporsi e rendere troppo densa la tessitura dei brani. Occorre molta attenzione e ascolto reciproco per un esperimento di questo genere, e poi anche molto affiatamento e gusto musicale. Ai due protagonisti sembra che l’esperimento sia molto piaciuto e che li abbia divertiti anche, come necessario. Nonostante sia intitolato a entrambi i partner, l’album propone in prevalenza composizioni di Pagano, che recupera qui brani proposti nelle sue precedenti pubblicazioni. Molto ben riuscita, a nostro parere, la versione di Sotto il grande ulivo, che era la title track del suo disco omonimo del 2009.

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© Fabrizio Cestari
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Graneo
Biscotti
L’aperitivo è servito Bevande Offerte valide solo dal 20.12 al 26.12.2022, fino a esaurimento dello stock. La base ideale per gli stuzzichini da aperitivo Evian in confezioni multiple, per es. 6 x 1,5 l, 4.40 invece di 6.60 conf. da 6 33% Fever Tree o Artisan disponibili in diverse varietà, 4 x 200 ml, per es. Tonic Water Fever Tree, 5.85 invece di 7.80 conf. da 4 25% Succhi di frutta Sarasay, Fairtrade arancia o multivitaminico, 6 x 1 l, per es. arancia, 9.50 invece di 15.90 conf. da 6 40% 5.50 Coca-Cola Classic o Zero, 12 x 150 ml conf. da 12 Hit Salatini da aperitivo Gran Pavesi disponibili in diverse varietà e confezioni speciali, per es. il cracker salato, 560 g, 3.25 invece di 4.35 25% 6.95 invece di 8.85 Tavolette di cioccolato Lindt Excellence disponibili in diverse varietà, per es. 85% cacao, 3 x 100 g conf. da 3 21% Orangina e Oasis per es. Orangina Original, 6 x 1,5 l, 7.75 invece di 12.95 conf. da 6 40% Tutto l'assortimento Perldor, Rimuss, Freixenet e Kids Party per es. Perldor Classic, 750 ml, 3.35 invece di 4.80 30% Tutto l'assortimento di gomme da masticare Stimorol e V6 per es. Stimorol spearmint, 7 x 14 g, 3.95 invece di 4.95 20%

Buone feste a prezzi ridotti Bellezza e cura del corpo

LO SAPEVI?

Sapevi che pur lavando bene i denti, lo spazzolino non rimuove tutti i batteri presenti in bocca? Se dopo la pulizia si utilizza due volte al giorno un buon collutorio, come ad es. Listerine, si riesce a neutralizzare fino al 97% dei batteri. In questo modo si contribuisce in modo determinante alla salute di denti e gengive.

20%

Prodotti per l'igiene orale Elmex Kids e Junior (confezioni multiple escluse), per es. dentifricio, 75 ml, 3.40 invece di 4.30

a partire da 2 pezzi 25%

Collutori Listerine (confezioni multiple e da viaggio escluse), per es. protezione delle gengive Total Care, 500 ml, 4.45 invece di 5.90

Salviettine cosmetiche Linsoft
conf. da 3 20%
15% 5.85 Salviettine cosmetiche Linsoft in scatola quadrata, FSC® 3 x 90 pezzi conf. da 3 Hit 5.90 invece di 8.85 Prodotti per la doccia Nivea per es. bagnodoccia Creme Soft, 3 x 250 ml conf. da 3 33%
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Offerte valide solo dal 20.12 al 26.12.2022, fino a esaurimento dello stock.
per es. scatola, FSC®, 3 x 150 pezzi, 4.80 invece di 6.–
Tutto l'assortimento Secure (confezioni multiple escluse), per es. Light Plus, FSC®, 24 pezzi, 4.55 invece di 5.40
Prodotti per la cura del viso e del corpo Garnier (prodotti per la cura delle mani, deodoranti, confezioni da viaggio e multiple esclusi), per es. Micellar Cleansing Water All-in-1, 400 ml, 5.40 invece di 7.20
Carta igienica Hakle, FSC® pulizia trattante, seducente o incredibile, in confezioni speciali, per es. pulizia trattante, 30 rotoli, 17.75 invece di 29.60

… trovare tutte le occasioni che vuoi

da regalare: ritaglia varie forme in feltro, ad es. un cuore o un fiore. Decorale con inserti in feltro di un altro colore e incolla delle graffette colorate sul retro delle forme con una pistola per colla a caldo. Ecco pronto un regalo di Natale dell'ultimo minuto per lettori assidui!

puoi
Varie IL TRUCCHETTO Segnalibri
2.95 Vasetti Papeteria disponibili con diversi contenuti, per
Hit 8.85 invece di 11.85 Raccoglitori ad anelli Papeteria 7 cm, disponibili in diversi colori conf. da 3 25% Tutto l'assortimento Tangan per es. N° 24 sacchetti di conservazione con chiusura a zip, invece di 3.65 a partire da 2 pezzi 40% 5.90 invece di 7.90 Nastro adesivo Papeteria 33 m × 19 mm conf. da 10 25% 69.95 invece di 99.95 Aspirapolvere a traino Mio Star V-Cleaner ECO600 Potenza 600 W, raggio d'azione di 11 m, sacchetto raccoglipolvere da 3,5 l, il pezzo 30% 20 pezzi, 2.20
A Natale
es. mollette fermacarte, il vasetto
Fiori e giardino Offerte valide solo dal 20.12 al 26.12.2022, fino a esaurimento dello stock. Per i fautori della sostenibilità che non vogliono rinunciare ai regali Per dosare le bollicine a proprio piacimento 29.95 Caraffe di vetro Soda Stream 1 l conf. da 2 Hit 13.95 Rose M-Classic, Fairtrade disponibili in diversi colori, mazzo da 10, lunghezza dello stelo 50 cm, per es. biancherosse-rosso scuro, il mazzo Hit 4.55 invece di 5.40 Detersivi Handy Lemon, Orange o Original, per es. Original, 3 x 750 ml conf. da 3 15% Tutti i detersivi Total (confezioni multiple e speciali escluse), per es. 1 for all in conf. di ricarica, 2 l, 8.45 invece di 16.90 a partire da 2 pezzi 50% Alimenti per gatti Sheba in confezioni multiple, per es. Delikatesse in gelatina con pollame, 12 x 85 g, 11.60 invece di 14.55 conf. da 12 20% 99.95 Set con gasatore Soda Stream Duo con 2 caraffe, disponibile in nero o in bianco, il set Hit 9.95 Composizione floreale con Cymbidium disponibile in diversi colori, per es. bianco, il pezzo Hit 4.50 invece di 6.–Bustine morbide Mibébé bio frutti rossi, banana-fragola o mix di frutta, per es. mix di frutta, 4 x 90 g conf. da 4 25%

Prezzi imbattibili

Solo da questo giovedì a domenica

Raccard al naturale - extra blocco maxi e a fette in conf. multipla o speciale, per es. blocco, per 100 g, 1.15 invece di 2.35, offerta valida dal 22.12 al 25.12.2022

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Clementine Spagna, rete da 2 kg, offerta valida dal 22.12. al 25.12.2022

Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. Fino a esaurimento dello stock

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Tutte le capsule Café Royal (prodotti CoffeeB esclusi), per es. Lungo, 10 capsule, 2.80 invece di 4.60, offerta valida dal 22.12 al 25.12.2022

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