Azione 52 del 27 dicembre 2021

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Anno LXXXIV 27 dicembre 2021

Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura

edizione

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MONDO MIGROS

Pagine 4 – 5 ●

SOCIETÀ

TEMPO LIBERO

ATTUALITÀ

CULTURA

C’è chi lo ritiene una convenzione, altri sottolineano la sua natura psicologica, ma il tempo esiste?

La luce per i fotografi: indicazioni su valore, significato e altri aspetti da considerare

La competizione fra superpotenze si gioca nello Spazio ma la navigazione è sempre più rischiosa

A Lugano Villa Ciani propone La Regionale, imperdibile selezione di arte contemporanea

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Marco Abbondio

2021, l’anno della disillusione Peter Schiesser

Tremano un po’ le gambe all’idea di tentare un bilancio di questo anno, che ci auguravamo potesse farci dimenticare il 2020 e archiviare la pandemia. Al picco della quinta ondata, con il timore che la variante Omicron innesti direttamente la sesta, dobbiamo riconoscere che le speranze si sono vanificate. Abbiamo creduto che i vaccini ci avrebbero riportato a qualcosa di molto simile alle vecchia normalità, per diversi mesi l’abbiamo anche assaporata, in particolare chi si è vaccinato. Ma ora ci rendiamo conto che la lotta contro il tempo fra i vaccini e le mutazioni del Coronavirus segna un punto a favore delle seconde. Si tenta di giocare al rialzo con una terza dose (in Israele si è già alla quarta), sperando che sia la volta buona. E si guarda alla Omicron con un misto di speranza e rassegnazione: la sua contagiosità è tale che pochi sfuggiranno al virus, ma – pensano alcuni, anche virologi – se davvero fosse meno letale alla fine forse si otterrebbe una sufficiente immunità di gregge; sì, forse, ma a un prezzo molto alto, ribadiscono altri medici ed epidemiologi.

E abbiamo creduto che in questo 2021 avremmo colto i frutti dello slancio di solidarietà sorto durante i primi mesi della pandemia, quelli della grande serrata, confortati dalla rapida creazione di vaccini efficaci. Poi abbiamo dovuto constatare che non solo chi si era ammalato di Covid poteva riammalarsi, ma che anche chi è vaccinato può contagiarsi e contagiare, corre un rischio – anche se minore – di ammalarsi, finire in ospedale, morire. Al contempo, in Svizzera, come in molte società occidentali, si è creata una profonda frattura fra vaccinati, autorità politiche e mediche da una parte e la galassia dei non vaccinati dall’altra, colma di tensioni, astio, rimproveri vicendevoli. Le nuovissime restrizioni e imposizioni che toccano anche i vaccinati, e quelle sempre più stringenti per i non vaccinati, non aiutano a creare un clima migliore. L’insofferenza cresce e, come è facile che accada, si incolpa la controparte di come vanno le cose. Da più persone sento dire che non raggiungeremo l’immunità di gregge perché c’è chi non vuole vaccinarsi; la tesi avrebbe valore se il virus riguardasse

solo la Svizzera, ma non è così: le varianti peggiori, la Delta indiana e la Omicron sudafricana, sono sorte in paesi e condizioni diversi, e se anche fossimo tutti vaccinati il rischio di infettarci con la Omicron resta alto, poiché elude i vaccini attuali. In una pandemia l’immunità di gregge si raggiunge solo a livello mondiale, ma fintanto che i paesi del sud del mondo non ricevono i vaccini che richiedono, saremo esposti a nuove mutazioni del virus. Certo, fossimo tutti vaccinati, gli ospedali sarebbero meno pieni, ed è desolante vedere che siamo di nuovo in situazione di emergenza, ma coltivare sentimenti astiosi e pensieri totalizzanti non aiuta a sanare la frattura sociale venutasi a creare. In qualche modo la situazione va accettata e fin dove possibile si insista a convincere gli scettici e gli indifferenti. La lezione che possiamo trarre da questo 2021 è che dobbiamo imparare a vivere nell’incertezza con quanta più serenità possibile. Anche chi attesta credibilità a virologi, epidemiologi, governanti, deve riconoscere che non non sono depositari della verità, non hanno la certezza in tasca,

in questi quasi due anni sono stati smentiti in tanti. Ma l’incertezza può anche rivelarsi utile: scardina le idee preconcette, ci obbliga a rimettere in discussione quello in cui abbiamo creduto (e che in questa pandemia deve continuamente essere rivisto), ci confronta con aspetti più profondi del nostro essere. Sono i pensieri di un’amica, che mi spiegava il difficile processo che nel suo caso l’ha portata a decidere di vaccinarsi. Ma possono valere per tutti, da una parte e dall’altra. È un augurio per il 2022. Ma la vita non si è limitata alla pandemia, in quest’anno. Pur alle prese con questa crisi sanitaria, abbiamo tutti vissuto le nostre piccole grandi, belle e brutte vicende. L’attenzione è tornata anche ai grandi temi, il riscaldamento climatico, le guerre vecchie e nuove, la crescita economica e il lavoro, nella piccola Svizzera anche sulle relazioni difficili con l’Unione europea. Ed è bene così, affinché la realtà non sia totalmente preda di questa ossessione dominante. Nella speranza che il 2022 si adagi serenamente sulla nostra realtà, come nel disegno sopra.


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SOCIETÀ ●

I ragazzi e i farmaci Un’associazione ticinese si batte contro l’uso ricreativo dei medicamenti da parte dei giovani

Le trasformazioni del reddito Thomas Piketty racconta i cambiamenti del lavoro e del capitale attraverso i grandi romanzi

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Cent’anni di insulina Dalla scoperta del suo ruolo nel controllo della glicemia a oggi: cosa possiamo aspettarci ancora?

L’uccello dell’anno Nel 2022 l’Allodola indosserà la corona dei volatili: lo ha deciso l’associazione BirdLife

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Shutterstock

Il tempo è un vicolo stretto

A misura d’uomo ◆ Il tempo esiste? È una semplice convenzione utile per coordinarci o qualcosa con una natura psicologica più complessa? Comunque sia domina le nostre esistenze Massimo Negrotti

C’è un problema che sia la filosofia sia la scienza non hanno mai risolto definitivamente ed è quello del tempo. In particolare, il quesito fondamentale, che rimane sospeso, è: il tempo esiste oppure no? A tutti noi pare ovvio che la risposta debba essere positiva, ma è anche vero che nessuno di noi sarebbe in grado di dimostrarlo persuasivamente se non attraverso strumenti, come gli orologi, che, in realtà, misurano movimenti nello spazio. Questa circostanza ha consentito a molti studiosi di sostenere la tesi secondo la quale il tempo non sarebbe altro che una convenzione, utile per coordinare le nostre azioni ma, di per sé, non dotato della stessa esistenza che caratterizza non solo lo spazio ma anche, per esempio, il calore o il magnetismo, la gravità o la luce e così via. Le complesse tesi di pensatori come Aristotele o Einstein, Agostino o Bergson, tutti impegnati nella ricerca della «essenza» ultima del tempo, hanno comunque posto in evidenza sia il carattere convenzionale del tempo sia la sua natura psicologica. In effetti in ambedue i casi il tempo indica una trasformazione delle cose che possono essere esterne a noi, come il gior-

no o la notte, oppure eventi soggettivi proprio come quando diciamo «qui il tempo non passa mai» oppure quando, al contrario, adottiamo l’espressione faustiana «attimo, fermati, sei così bello!» o quella virgiliana «Tempus fugit». Che sia una sorta di contenitore oggettivo delle nostre azioni o che costituisca una convenzione disponibile alle nostre mutevoli interpretazioni quotidiane, di fatto il tempo paradossalmente domina le nostre esistenze pur mancando, alla fine, di una sua propria sicura esistenza. Ad ogni modo, da almeno cento anni il tempo ha assunto un ruolo da protagonista centrale nella vita delle comunità umane e degli stessi individui poiché la numerosità e la frequenza delle relazioni sociali, professionali o meno, sono oggi assai più intense che in passato e, per non creare caos, devono essere coordinate nello spazio e, appunto, nel tempo. Abbiamo così a che fare con un enorme mosaico di appuntamenti, scadenze, attese, previsioni e calendari che esigono una puntualità e un rigore di variabile rilevanza ma che tutti noi, sia che aderiamo ad una definizione del tempo come convenzione sia che lo vediamo

come realtà oggettiva, auspichiamo siano rispettati. Ma c’è molto di più, perché le stesse nozioni che la scienza e la tecnologia trasmettono alla cultura, stanno proponendoci una «visione» del tempo, ma anche dello spazio, che nei secoli passati era stata solo sfiorata. Da un lato l’astronomia e gli stessi viaggi spaziali ci forniscono misure di distanze gigantesche con molti zeri così come la cosmologia ma anche la paleontologia ci descrivono intervalli temporali in cui dominano i miliardi o i milioni di anni. Dall’altro, fisica ed elettronica indicano e trattano unità di tempo, ma anche di spazio, in senso opposto, fatte spesso di microsecondi (milionesimi di secondo) e nanosecondi (miliardesimi di secondo) sulla cui base, si badi bene, non si sviluppano solo teorie ma anche dispositivi ormai di uso comune, come i personal computer, i telefoni cellulari e mille altre macchine in uso nelle professioni più diverse. Sia nei confronti delle distanze spaziali o temporali più grandi sia nei riguardi di quelle più piccole, l’essere umano è decisamente impreparato. Nessuno riesce infatti a farsi un’i-

dea, per così dire, «dal volto umano» di cosa siano due o tre miliardi di anni e nemmeno riesce ad apprezzare, sul lato opposto, la realtà di un nanosecondo. In ambedue i casi, di fatto, noi parliamo di quantità «enormi» (o enormemente piccole), cioè «fuori norma» dove la norma è ovviamente quella umana. Senza strumenti, più o meno sofisticati, che rilevino e misurino il trascorrere delle trasformazioni e aiutino a calcolarle, noi continueremmo a guardare ad una intera giornata come fatta di 24 ore senza alcun bisogno di concepirla come l’insieme di 8400 secondi o di 86400000 millesimi di secondo. Né sarebbe stimolante, per i nostri studenti, sapere che un’ora di lezione è fatta di 3600000000000 nanosecondi. La nostra esperienza quotidiana, insomma, si colloca in una sorta di vicolo stretto, una nicchia per noi confortevole, premuti da un lato e dall’altro da realtà misurabili ma che, a tutti gli effetti, immaginiamo come veri e propri territori lontani e sconosciuti, che non ci appartengono. Anche per il tempo in definitiva adottiamo una strategia «a misura d’uomo» e la presa d’atto della possibilità di andare oltre

i confini per noi «normali», per esempio accettare l’idea che in un secondo possano svolgersi azioni, in natura ma anche in vari dispositivi tecnologici, tanto complesse quanto quelle che percepiamo chiaramente in un intervallo di dodici ore, può talvolta persino generare angoscia. La stessa, in fondo, che ci prende quando dobbiamo prendere atto di fenomeni come gli atomi, vari microbi o virus la cui dimensione non è compatibile con la nostra vista. A questo punto, riprendendo in considerazione il quesito da cui siamo partiti circa l’esistenza o meno del tempo, dobbiamo riconoscere che questa dimensione ha comunque una pregnanza notevole e che la sua percezione come qualcosa di soggettivo deve sicuramente cedere le armi di fronte alla enormità di realizzazioni che una sua accettazione consente. Sicuramente convenzionale sul piano tecnico della misurazione, la nostra nozione del tempo consente, in altre parole, di agire in coordinamento da un lato con la natura e dall’altro con le nostre comunità. In breve, può darsi che il tempo non esista, ma è certamente valsa la pena inventarlo.


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Più donne nei media grazie alle banche dati

Parità di genere ◆ Studi internazionali evidenziano come nei media le donne sono meno citate e meno coinvolte come esperte o commentatrici rispetto agli uomini. Una realtà che si vuole cambiare anche attraverso delle banche dati di eccellenze femminili come AcademiaNet Natascha Fioretti

Vorrà pur dire qualcosa se Luzia Tschirky corrispondente SRF da Mosca è stata nominata giornalista dell’anno. Tra l’altro è in buona compagnia visto che ad aggiudicarsi il primo posto nel 2020 era stato il trio Fiona Endres, Nicole Vögele e Anielle Peterhans e l’anno prima sempre una donna era arrivata prima, Nicoletta Cimmino, moderatrice sulla SRF del programma d’informazione «Rundschau». La rivista di settore «Schweizer Journalist» ogni anno attraverso la votazione del suo pubblico, in questa edizione 1280 persone, elegge i migliori giornalisti e le migliori giornaliste del Paese. A pensarci quest’anno il premio dell’Associazione dei giornalisti ticinesi è stato vinto da una donna diversa nelle tre categorie radio, tv e fotografia. Insomma le giornaliste ci sono e sono brave. Non che avessimo dei dubbi però vi confesso che quando qualche settimana fa mi sono preparata per partecipare al convegno milanese organizzato da ENWE (www. enwe.org), network europeo di eccellenze femminili in cui mi si chiedeva di fare il punto sulla situazione delle donne nei media in Svizzera ho avuto un attimo di sconforto nel ricordarmi – penna e foglio alla mano – che quasi tutte le maggiori testate sono guidate da direttori uomini. Nella Svizzera italiana l’eccezione è data dalla «Tessiner Zeitung». Qualche timido segnale positivo arriva dalla Svizzera tedesca dove il «Tages-Anzeiger» ha una condirettrice Priska Amstutz e dalla Svizzera romanda che vede invece una donna, Madeleine von Holzen, a capo di «Le Temps». Tra le ospiti del convegno c’era anche Karen Ross, professoressa di Media e gender alla Newcastle University a commentare e analizzare gli ultimi dati del Global Media Monitoring Project (GMMP), studio internazionale sulla rappresentazione delle donne nei media che si ripete ogni cinque anni. A livello europeo l’analisi di più di 10mila notizie da 32 paesi di cui 2387 dalla stampa, 2279 dalla tv, 2094 dalla radio e 1654 da Twitter, conferma la tendenza: dal 2015 ad oggi soltanto il 28% dei servizi si è occupato delle donne. Per quanto riguarda la Svizzera le donne vengono citate meno spesso degli uomini e sono meno coinvolte o citate in qualità di esperte e commentatrici. La Svizzera italiana ha il dato peggiore con solo il 21,5% di donne menzionate nei media rispetto al 29,1% della Svizzera tedesca, il 27% della Romandia e il 25,7% della Svizzera romancia. In particolare le donne sono sottorappresentate in ambiti tradizionalmente maschili come l’economia (25%) e la politica (23%). Una evidente disparità emerge anche

nei titoli ma sorprende che a dedicare più spazio alle donne sia il Blick.ch con il suo 49% rispetto ad esempio al 41% di RTS.ch (41%) o al 14% di «Le Temps». Non è casuale se si considera che il gruppo Ringier al suo interno dal 2019 promuove l’iniziativa EqualVoice volta ad incrementare la visibilità delle donne nei propri media. Anziché introdurre le quote Ringier usa la sua influenza giornalistica e tecnologica per sostenere l’uguaglianza di genere. In concreto ha creato un algoritmo semantico in grado di misurare la presenza delle donne negli articoli pubblicati dal gruppo. Gli indicatori di riferimento sono due: Teaser Score monitora la presenza delle donne nelle immagini, nei titoli e nei sottotitoli e Body Score tiene conto di quante volte uomini e donne vengono menzionati nel testo di un articolo. Ideatrice di EqualVoice è Annabella Bassler, CFO di Ringier, e i risultati dell’iniziativa si vedono ad esempio nei dati della «Handelszeitung» che attestano una crescita del 10% nella menzione delle donne negli articoli. Il gruppo ha anche creato il suo database di esperte quale strumento di lavoro per i giornalisti e le giornaliste che in questo modo possono facilmente trovare le interlocutrici più adatte e competenti nei diversi settori. Un punto cruciale per colmare finalmente quella lacuna per cui nei media a parlare di economia e politica o di Covid si invitano o si intervistano solo uomini. Non sorprende dunque scoprire che di banche dati di questo tipo ne sono nate diverse anche qui da noi. Ad esempio l’Associazione Medienfrauen Schweiz (medienfrauen.ch), tra l’altro fondata proprio da Luzia Tschirky, riunisce giornaliste e professioniste dei media e le ordina secondo le loro competenze di modo che se un’organizzazione è alla ricerca della moderatrice per il proprio dibattito pubblico può trovare il profilo più adeguato e competente. Oppure, AcademiaNet, di cui si è parlato alla giornata di ENWE, che mira a creare una rete tra i vari database europei. A presentare la rete è stata Simona Isler, responsabile per le pari opportunità presso il Fondo Nazionale svizzero per la ricerca e, appunto, del progetto Academia.net. Fondata nel 2010 è una rete di eccellenze femminili nei vari ambiti della ricerca scientifica. Lo scopo è di promuoverne la visibilità e la presenza nei consessi accademici dove oggi sono ancora fortemente sottorappresentate. «È così difficile ricevere visibilità se allo stesso tempo sei madre e scienziata» dice Brigitte Galliot, vicedirettrice della facoltà di scienze dell’Università di Ginevra nel

azione

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI)

Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Romina Borla, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

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Il database internazionale AcademiaNet raccoglie profili di ricercatrici e scienziate d’eccellenza, dal 2020 è gestito dal Fondo nazionale svizzero (FNS) per la ricerca scientifica. Sotto: Karen Ross, professoressa di Media e gender alla Newcastle University.

video di presentazione del progetto. E non manca solo la visibilità. Vi stupirà sapere che solo il 21% delle cattedre universitarie europee sono assegnate alle donne e in alcuni paesi la media è persino più bassa. La stessa cosa vale per i comitati e le commissioni che assegnano riconoscimenti scientifici, cattedre e fondi di ricerca. Ecco allora che per invertire la tendenza servono gli strumenti giusti. Sostenuta da un network di organizzazioni di ricerca rinomate e provenienti da tutta Europa, AcademiaNet è stata fondata dalla Robert Bosch Stiftung e nel 2020 è passata sotto la guida del Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica a

Berna. Partner scientifici di spessore garantiscono le eccellenti qualifiche delle donne incluse nel database. Non è possibile fare domanda di ammissione ma occorre essere selezionate dalle organizzazioni partner che applicano severi criteri di selezione come ha raccontato Simona Isler al convegno. Solo le migliori di ogni campo accedono. Intanto in questo decennio la banca dati si è arricchita notevolmente e oggi comprende oltre tremila profili europei e internazionali. Le chiedo se nei media, in particolare nella Svizzera tedesca se ne sia parlato, se il progetto finora ha avuto visibilità: «da quando due anni fa sono diventata responsabile del progetto

non ho ricevuto nessun tipo di richiesta o attenzione da parte dei media», e questo insomma sembra strano. D’altro canto Simona Isler sottolinea come AcademiaNet agisca a livello europeo e non locale e poi chiarisce un punto interessante: il fatto che non se ne parli non significa che i giornalisti e le giornaliste non utilizzino la banca dati. Auguriamoci allora che sia così e che tra cinque anni il GMMP, in fatto di rappresentazione delle donne nei media, ci dia buone notizie soprattutto sul fronte dei media digitali. Karen Ross nel suo intervento ha mostrato che purtroppo l’aspettativa riposta nella Rete come strumento di democratizzazione in fatto di pari opportunità e uguaglianza di genere sia stata disattesa. In verità c’è una certa uniformità nel modo di raccontare e rappresentare le donne da parte dei media tradizionali e di quelli digitali. Oggi, in ambito mediatico, nel perdere lettori e abbonamenti ci si preoccupa tanto di rincorrere i pubblici più giovani, di intercettarne gusti, tendenze e interessi. Non sento mai nessuno parlare del pubblico femminile, delle imprenditrici, delle scienziate, delle mamme, delle infermiere, delle nerd che sarebbero contente di abbonarsi ad una testata in grado di rappresentarle, di raccontare il mondo economico, politico, sociale e culturale anche dal loro punto di vista. Sarebbe ora di farlo e di iniziare a pensare in questa direzione.

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938

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MONDO MIGROS

La tradizione è servita

Attualità ◆ Dallo zampone al cotechino, fino al borsotto e allo stinco di maiale: alla Migros non mancano le più classiche specialità da gustare a Capodanno

I nostri supermercati offrono due varianti del classico zampone, entrambe prodotte in Ticino dalla Salumi del Pin di Mendrisio e dal salumificio Sciaroni di Monte Carasso. Lo zampone nostrano «Sciampétt dal Mendrisiòtt» è preparato solo con carni di suino nostrane, mentre Sciaroni impiega materie prime svizzere. Pronti in un’ora, si gustano come vuole la tradizione con lenticchie o purea di patate. Zampone Nostrano I Salumi del Pin per 100 g Fr. 2.80

Piatto tradizionale molto apprezzato in Germania, soprattutto in Baviera, ma anche nella regione italiana del Trentino-Alto Adige, lo stinco di maiale Beretta pronto è una gustosa specialità cotta lentamente che a fine cottura viene arrostita affinché si formi una bella crosticina croccante. Facile e veloce da preparare, è un piatto ideale per 2 persone servito con delle patate e delle verdure. Stinco arrosto Beretta cotto ca. 650 g, per 100 g Fr. 3.– In vendita nelle maggiori filiali

Zampone Sciaroni per 100 g Fr. 2.35

Il cotechino fresco del salumificio I Salumi del Pin è fatto con carne di maiali nati e allevati in Ticino. La pregiata materia prima viene miscelata con lardo, cotenne, spezie e vino rosso ticinese. L’impasto così ottenuto viene insaccato in un budello naturale. Si prepara in 45 minuti in acqua calda, ma non bollente, evitando di bucarlo per non perdere i preziosi succhi.

Il cotechino Suvit con il 40% di carne di vitello è un’alternativa più leggera rispetto al classico prodotto 100% suino. Questa specialità si caratterizza per il suo gusto pieno e delicato. Immergere il prodotto con la propria busta in acqua fredda e portare a bollore per una ventina di minuti. Cotto al vapore, senza polifosfati aggiunti, né glutine e lattosio.

Cotechino nostrano I Salumi del Pin per 100 g Fr. 2.05

Cotechino di vitello Suvit 500 g Fr. 14.–

Il borsotto, come lo dice il nome, è il parente a forma di «sacca» dello zampone, con una cucitura ai lati della cotenna per evitare la rottura del prodotto durante la cottura. L’impasto è simile a quello dello zampone, ed è composto da ingredienti di origine svizzera di altissima qualità. Cuocere un’oretta immerso nell’acqua calda, ma non in ebollizione. Borsotto I Salumi del Pin per 100 g Fr. 2.50

L’origine dello zampone Celeberrimo insaccato della tradizione italiana, l’origine dello zampone è da ricercare nella città di Mirandola, in provincia di Modena, in Emilia-Romagna. La leggenda racconta che esso sia nato nel 1511, quando la città era assediata dalle forze armate pontificie di papa Giulio II, il quale voleva ripristinare il governo della Santa Sede. Durante l’isolamento i mirandolesi furono costretti a salvare ogni risorsa alimentare disponibile, ed alcuni di essi ebbero l’idea di insaccare le parti meno nobili del maiale nelle cotenne dell’animale stesso, che diventò in seguito il caratteristico zampetto anteriore svuotato e disossato. Oggi lo zampone è venduto generalmente già precotto, ciò che permette di migliorarne la conservabilità.

Lenticchie portafortuna Attualità

Questi legumi non solo sono di buon auspicio per il nuovo anno, ma fanno anche bene

Come da tradizione, si ritiene che mangiare lenticchie a Capodanno porti particolarmente bene, regalandoci ricchezza e fortuna nell’anno nuovo. Questa usanza, già diffusa presso gli antichi romani, può essere legata al fatto che la forma delle lenticchie ricorda delle monete; o anche che, durante la cottura, i legumi raddoppiano il loro volume e pertanto di riflesso anche le nostre ricchezze aumentano. Indipendentemente dalle

credenze, le lenticchie sono un alimento sano, gustoso e poco costoso. Sono una fonte di preziose sostanze quali proteine, carboidrati, vitamine, fibre e minerali. Inoltre, in cucina sono versatili e permettono di creare tantissime ricette. Alla Migros sono disponibili diverse varietà di lenticchie, oltre alle più conosciute di colore marrone, vi sono anche quelle rosse, verdi, nere o gialle, come anche quelle già pronte in scatola. La ricet-

ta più semplice è quella di prepararle in umido: soffriggere in un po’ d’olio un trito di cipolla, carota e pancetta. Appena imbiondisce, aggiungere le lenticchie secche e farle insaporire qualche istante. Unire un bicchiere di vino bianco e farlo ridurre. Incorporare qualche cucchiaio di salsa di pomodoro, regolare di sale e pepe e coprire a filo con del brodo. Cuocere coperto finché le lenticchie risultino ben tenere (ca. 25-30 minuti).

Bio Lenticchie rosse 500 g Fr. 2.50

Bio Lenticchie verdi 500 g Fr. 2.50

M-Classic Lenticchie pronte senza pancetta 440 g Fr. 1.25

M-Classic Lenticchie marroni 500 g Fr. 2.20


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MONDO MIGROS

Capodanno con stile Specialità

Deliziatevi con il sapore unico delle ottime ostriche francesi, disponibili freschissime nei reparti del pesce Migros

Le ostriche sono una vera prelibatezza per tutti coloro che durante le festività desiderano concedersi un antipasto particolarmente raffinato e ricercato. Ed è proprio nel periodo invernale che le ostriche sono nel pieno della loro bontà. Nelle maggiori filiali Migros i buongustai appassionati di questa specialità trovano le celebri ostriche francesi delle qualità «Pléiade Poget» e «Marennes Oléron». Il modo migliore per apprezzare tutto il delicato sapore di mare di questi molluschi è quello di gustarli crudi, al naturale. Le ostriche devono essere aperte solo al momento del consumo, servendole disposte su uno strato di ghiaccio tritato in un piatto da portata. Per aprirle utilizzate l’apposito coltello con impugnatura dotata di protezione - disponibile nelle principali filiali - inserendolo tra le due valve all’altezza della cerniera e facendo leva fino a quando la valva superiore si solleva. Per evitare di tagliarsi, si consiglia anche di utilizzare un panno da cucina o uno speciale guanto antitaglio. Prima di gustarle, conditele leggermente con qualche goccia di limone e pepe macinato di fresco, accompagnandole con del pane scuro imburrato. Potete anche servirle con una salsina che armonizza al meglio il sapore delle ostriche, come quella composta da scalogno tritato, aceto di vino, sale e pepe.

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SOCIETÀ

I ragazzi e l’uso improprio dei farmaci

Giovani ◆ Un’associazione ticinese si batte contro l’uso ricreativo dei farmaci, un fenomeno molto pericoloso per la salute dei ragazzi. Ne abbiamo parlato con Anna Marini, la coraggiosa mamma che l’ha fondata Guido Grilli

«(…) Mio figlio faceva uso di farmaci da un anno e mezzo, due anni. Nell’aprile del 2020 aveva smesso, si era separato da tutte le sue amicizie, aveva cambiato il numero di telefono per stare lontano da tutto, era in cura da uno psicoterapeuta. Poi, purtroppo è ricaduto. Quella sera aveva detto probabilmente a se stesso “faccio serata”, come tanti ragazzi usano dire adesso. Probabilmente visto che lo aveva già fatto tante altre volte e si era convinto che se lo avesse ripetuto non sarebbe successo niente. Invece, il suo corpo non ha retto ed è morto per un arresto cardiaco. L’autopsia ha stabilito che non aveva assunto altre sostanze, esclusivamente farmaci. I medici ce lo hanno spiegato: dopo una disintossicazione, può bastare un farmaco». Anna Marini è una donna coraggiosa ed è convinta che dopo il dolore e dopo aver pagato il prezzo più alto – la perdita di uno dei suoi tre figli, l’anno scorso, all’età di 19 anni – sia venuto il tempo di parlare e di portare alla luce un problema troppo a lungo trascurato. Per questo ha voluto fondare l’Associazione Insieme Contro l’Uso Ricreativo di Farmaci. «Con il decesso di nostro figlio, io e mio marito siamo venuti a conoscenza di un fenomeno molto più comune di quanto credevamo. Come famiglia ci siamo sentiti soli. Sapevamo che nella compagnia di mio figlio erano in molti a fare uso di farmaci e presto abbiamo capito che questa dipendenza è molto vasta fra i giovani. Sono la cosa che si ottiene più facilmente e a più basso costo. I farmaci si trovano in tutte le case, basta andare da una nonna, una zia: un antidolorifico, un antinfiammatorio. Ci sono ragazzi che i farmaci li fumano e li inalano. Ogni farmaco può essere potenzialmente dannoso se finisce in mani sbagliate – e non parliamo solo di psicofarmaci. Con questo non intendiamo fare allarmismo, però è importante rendere attenti i genitori. Ci pare di percepire che si ha la tendenza a mettere la polvere sotto il tappeto: tutti sanno, ma nessuno agisce. Io mi dico che non voglio essere complice di tante situazioni complicate e di morti che si possono evitare. Noi abbiamo voluto fortemente – nell’associazione collabora anche il mio altro figlio, Gioele – che da una tragedia nascesse qualcosa di positivo, se così lo possiamo chiamare, proprio per aiutare gli altri, le famiglie, i ragazzi ad aprire gli occhi e capire veramente con consapevolezza cosa sta succedendo e a non rimanere indifferenti. Cosa si intende per uso creativo di farmaci? Significa uso improprio, ossia non per curarsi, bensì per divertirsi, per «sballare». Ci sono molti giovani che cercano questo «sballo» per sentirsi più presenti nella realtà. Anziché le droghe, molti usano i farmaci, abbinandoli all’«erba» o all’alcol: tutto questo crea, come dicono loro, uno stato di incoscienza. Offrite anche progetti di prevenzione, attraverso metodologie, quali la «peer-education». Di cosa si tratta? Ci siamo avvalsi dell’aiuto di Enrico Comi, un ex tossicodipendente che da 27 anni si occupa di prevenzione in tutt’Italia. L’ho conosciuto due

Non lasciamoli soli nell’uso di medicamenti. (Shutterstock)

mesi dopo la tragedia di mio figlio e abbiamo affidato a lui il compito della prevenzione: serate informative rivolte a docenti, genitori e giovani. Comi forma ragazzi volontari e li forma su come approcciarsi ai loro coetanei e sensibilizzarli sui pericoli. I ragazzi s’investono così del ruolo di «peer-educator», un approccio efficace perché le informazioni avvengono tra giovani. Noi non intendiamo dire ai ragazzi quel che devono fare, bensì fornire loro degli strumenti affinché possano agire in modo più consapevole. Presto inaugureremo incontri di sensibilizzazione anche nelle scuole. Il vostro sito Internet stesso compie un’importante azione di informazione e prevenzione, accogliendo diverse testimonianze di genitori confrontati con il problema, che si estende anche ad altre dipendenze, quali la droga e l’alcol… Enrico Comi, in questo senso, è un

testimone importante perché è passato attraverso la droga e affronta nel suo lavoro tutti i tipi di sostanze. Ci sono giovani che mischiano, bevono, fumano «erba», prendono pastiglie che uniscono alla caffeina, producono «sciroppini». Non si rendono conto della gravità di quanto ingeriscono. Si fanno coinvolgere dagli amici, senza sapere che una sola volta può avere conseguenze gravissime. Si credono onnipotenti, pensano che a loro non può capitare nulla, che possono smettere quando vogliono. Ma non è così. La vostra associazione ha appena ottenuto il Premio Federico Mari istituito alla memoria del fondatore di «Telefono S.O.S Infanzia». Durante la cerimonia di consegna le operatrici hanno evidenziato quanto l’uso ricreativo di farmaci sia un fenomeno crescente tra i giovani, un dato testimoniato da diverse chiamate giunte al servizio

da parte degli stessi giovani coinvolti e da genitori angosciati che richiedono aiuto, dopo che i loro figli hanno «sballato» o mancano da casa da giorni. Il fenomeno è davvero così diffuso? Il problema è davvero più grave di quanto si sia portati a credere. Io ritengo di massima importanza parlarne. Non parlarne equivale a dire che non esiste il problema. L’anno prossimo intendiamo creare gruppi di auto-aiuto per le famiglie. Spesso i genitori si sentono giudicati, avvertono un senso di colpa e non ne parlano. L’intento è proprio quello di offrire loro un luogo neutro, in cui ci si sentano accolti, dove sia possibile parlare, senza vergogna, e scambiarsi reciprocamente esperienze. La vostra associazione ha denunciato uno dei problemi che si pone a monte del fenomeno dell’uso ricreativo di farmaci, ossia chiamate in

Una guida per i genitori L’uso improprio dei farmaci da parte dei giovani preoccupa anche Dipendenze Svizzera. Tanto che la fondazione di utilità pubblica ha pubblicato una guida per i genitori dedicata al fenomeno intitolata Farmaci. Parlarne con gli adolescenti (scaricabile gratuitamente da shop. addictionsuisse.ch/it/). L’opuscolo spiega in maniera chiara e sintetica cosa si intende per uso ricreativo dei farmaci e orienta i genitori sui rischi per la salute dei giovani. L’attenzione degli adulti è, infatti, ciò che può veramente fare la differenza nell’affrontare un fenomeno di cui non si hanno dati certi né sul numero di ragazzi coinvolti né su come i ragazzi si procurano le sostanze: «I giovani possono facilmente trovare farmaci, per esempio nella farmacia di famiglia, da amici, attraverso prescrizioni falsificate o deviate, visitando una farmacia, su internet (spesso sulle reti sociali) o sul mercato nero. Più questi prodotti sono accessibili più è elevato il rischio di consumo». La guida di Dipendenze Svizzera fornisce inoltre indicazioni sulla gestio-

ne dei farmaci che si hanno in casa o che i figli devono assumere terapeuticamente, su come migliorare le proprie competenze e quelle dei figli (quali sono i farmaci utilizzati in maniera impropria?) e su come affrontare l’argomento con i ragazzi. Inoltre vi sono consigli utili su come reagire di fronte a un sospetto

uso improprio di farmaci da parte di un figlio e soprattutto a quali segnali prestare attenzione, insomma quando occorre allarmarsi e cosa fare. La guida fornisce poi numeri e indirizzi utili ai quali rivolgersi in caso di necessità. Il consiglio è quello di non aspettare troppo a rivolgersi ai servizi specializzati. / BM

causa i medici e le prescrizioni dei medicamenti. Esatto. Io ritengo che i medici di famiglia devono prestare maggiore attenzione nel prescrivere ai giovani medicamenti, specie psicofarmaci. Prescrivere a un ragazzino uno psicofarmaco e non tenerlo sotto controllo o, ancora peggio, fornirgli ricette ripetibili significa esporlo al rischio che si presenti a ogni farmacia, si rifornisca e si metta a vendere pastiglie. Non solo. In altri paesi d’Europa il medico di famiglia non può prescrivere psicofarmaci, questo compito viene infatti demandato solo agli specialisti e solo dopo attenta analisi del paziente. Oggi gli psicofarmaci sono troppo facilmente reperibili sul mercato illegale: dalla Pensilina al Parco Ciani di Lugano. Ci sono ragazzi che mi hanno raccontato di aver preso sonniferi per pochi franchi. Con la pandemia il problema è peggiorato: molti ragazzi si sentono soli, incatenati, non possono uscire, sempre più reclusi e depressi. Molti giovani – la fascia di età va dai preadolescenti ai giovani adulti – cercano di colmare un malessere profondo che hanno dentro e che pensano di risolvere prendendo psicofarmaci senza controllo. Spesso ho chiesto ai giovani, «perché lo fai?», sentendomi rispondere: «Non lo so. Mi sento triste, strano, e ho bisogno di sentirmi meglio. Assumendo farmaci tengo la mente libera». Occorre più informazione. A questo proposito abbiamo proposto alla Città di Lugano un progetto, denominato «Community Wagon», rivolto ai giovani: una postazione fissa alla stazione di prevenzione e informazione, due giorni la settimana, con la presenza di educatori formati. Siamo in attesa di una risposta dalla Città. La vostra associazione accoglie anche richieste di aiuto? Attraverso il nostro sito (www.associazioneincurf.com) è possibile, in forma anonima, scriverci e-mail per richieste di informazione o di aiuto. Ne riceviamo da parte di genitori e, quando necessario, proponiamo loro di girare i loro recapiti a uno psichiatra e una psicologa professionisti con cui siamo in contatto. Personalmente non bado a orari, in caso di bisogno rispondo alle e-mail anche di sera o nei weekend.


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SOCIETÀ

La metamorfosi del reddito

Dinamiche sociali ◆ L’economista Thomas Piketty analizza grandi romanzi per raccontare le trasformazioni del lavoro e del capitale, un tema che si ritrova anche nelle serie TV Lorenzo De Carli

Tante pagine di romanzi molto popolari all’inizio dell’800 in Francia descrivono le vicende di giovani uomini impegnati nell’ascesa sociale. È il caso, per esempio, di Papà Goriot di Balzac, del Conte di Montecristo di Dumas o dei Miserabili di Hugo. Le vicende delle opere citate si svolgono in anni, nei quali quasi i tre quarti dei parigini non guadagnava i 500-600 franchi all’anno necessari per un tenore di vita minimo. In un libro dedicato alle metamorfosi del capitale, Thomas Piketty ha prestato viva attenzione ad autori come Honoré de Balzac o Jane Austen perché descrivono le rispettive società francesi e inglesi del tempo e il modo in cui i personaggi dei loro romanzi si procurano il denaro: se attraverso il lavoro o la rendita; distinzione ben presente nei lettori del tempo e che i lettori di oggi tendono a trascurare, sottovalutando in tal modo il ruolo del denaro nell’articolare le relazione sociali di allora. «Quando, all’inizio del XIX secolo, Balzac o Jane Austen scrivono i loro romanzi, – dice Piketty in Il capitale nel XXI secolo – la natura dei patrimoni è, di per sé, relativamente chiara a tutti. Il patrimonio sembra essere lì, a disposizione per produrre rendite, vale a dire redditi sicuri e costanti per chi li detiene, e per questa ragione hanno normalmente la forma di proprietà terriere e di titolo del de-

bito pubblico». Nel libro di Piketty, le tabelle che descrivono la struttura del capitale in Francia o nel Regno Unito dal 1700 al 2010 si alternano spesso a citazioni di scrittori. Se il movimento che l’economista compie dal romanzo all’analisi è lecito, anche il movimento inverso non lo è meno: raccontare, per esempio, la dinamica del rapporto capitale/reddito o la struttura delle diseguaglianze sociali descritte da Thomas Piketty attraverso opere di narrativa. A molti, per esempio, la serie televisiva britannica Downton Abbey è parsa sorprendentemente efficace per illustrare le analisi che Piketty compie nella seconda e nella terza parte di Il capitale nel XXI secolo, quelli in cui l’economista francese descrive di quali elementi era composto il capitale che generava reddito nel Regno Unito nel corso dell’Ottocento sino alla fine delle Belle Époque, quali caratteristiche aveva la diseguaglianza sociale, e in che modo, dopo la Prima guerra mondiale, il reddito da lavoro crebbe, facendo emergere una nuova dialettica che contraddistinse il Novecento: il successo finanziario (e sociale) ottenuto per i propri meriti e il successo sociale finanziario (e anch’esso sociale) ottenuto in virtù dell’eredità finanziaria acquisita. Downton Abbey segue le vite dell’aristocratica famiglia Crawley a partire dal 15 aprile 1912, data dell’affonda-

mento del RMS Titanic, evento che suscitò enorme sconcerto nell’opinione pubblica e che, visto a posteriori, segnò la fine della Belle Époque, vale a dire il momento storico che vide l’apice delle diseguaglianze sociali che si consolidarono e si svilupparono durante tutto l’Ottocento, e in particolare tra il 1870 e il 1914, periodo in cui si assiste «a una perpetuazione della spirale senza fine della diseguaglianza con, in particolare, una concentrazione sempre più massiccia dei patrimoni», scrive Piketty. Alla notizia della tragedia, la famiglia Crawley è sconvolta nell’apprendere che il cugino del conte, James Crawley, e suo figlio Patrick, erede della loro proprietà, nonché della cospicua dote della Contessa Cora, sono deceduti nel naufragio. Nuovo beneficiario diventa il giovane Matthew, cugino di terzo grado della famiglia e avvocato a Manchester. I Crawley, soprattutto la Contessa Madre Violet, inorridiscono al pensiero che ad una persona «che lavora» spettino i loro interi averi. Se Downton Abbey è la serie televisiva che illustra le dinamiche sociali tra la Belle Époque e il primo dopoguerra, il momento in cui si rompe la spirale della crescente disuguaglianza sociale che ha caratterizzato l’Ottocento dei primi due decenni del Novecento, la serie televisiva italiana, inglese e francese intitolata Diavoli descrive vicende attuali, che si svolgono in un momen-

Il cast della serie televisiva britannica Downton Abbey.

to storico che sembra aver ricreato le stesse disuguaglianze d’inizio Novecento e che Piketty descrive in Capitale e disuguaglianza. Le vicende narrate da Diavoli – tratto dal romanzo di Guido Maria Brera – si svolgono a Londra nel 2011. Ne è protagonista Massimo Ruggero, responsabile del trading presso il gigante bancario American New York – London Bank (NYL). Mentre la crisi finanziaria infuria sull’Europa, Massimo – che nella serie TV inventa l’acronimo PIIGS: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna e cioè tutti paesi con enormi debiti – sta facendo centinaia di miliardi grazie alle speculazioni su questi paesi. Nel frattempo, l’Eurozona sembra deflagrare, ripetutamente colpita dai trader che scommettono con-

tro di essa, sennonché, nella serie TV (che alterna finzione a fatti di cronaca reale) si vede Mario Draghi prendere posizione e dichiarare che la BCE farà tutto il necessario per salvare l’Euro. Diavoli termina per così dire «sospesa»: l’Euro resiste all’assalto dell’economia digitale e il protagonista, abbandonata la banca, si addentra in una ricerca sul senso delle conseguenze delle operazioni di trading che avevano delineato la sua parabola professionale, e in questa riflessione il «mondo reale» sembra ostaggio di dinamiche finanziarie che hanno luogo solo nella sfera senza tempo della dimensione digitale – argomento al quale, lo stesso Guido Maria Brera, ha successivamente dedicato il suo romanzo intitolato La fine del tempo. Annuncio pubblicitario

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Un’arzilla centenaria

Ricerca ◆ Nel 1921, Frederick Grant Banting e Charles Herbert Best dimostrarono il ruolo dell’insulina nel controllo della glicemia

L’insulina è una signora centenaria, nata nel 1921 a Toronto, Canada, è ancora oggi molto attiva nonostante l’età e non ha nessuna intenzione di godersi un meritato riposo: da cento anni è uno dei farmaci salvavita più utilizzati nel mondo per il trattamento del diabete, malattia un tempo incurabile. Chi ha scoperto l’insulina, l’ormone prodotto dal pancreas e fondamentale (assieme all’altro ormone pancreatico, il glucagone) per controllare la quantità di glucosio nel sangue? Come spesso accade nella scienza, le idee e le scoperte non hanno sempre un unico «padre» o un’unica «madre», ma sono il risultato del progredire, dell’accumularsi di conoscenze a opera di molti scienziati: poi accade che a un certo punto ci sia la scoperta decisiva, come quella che fecero – nel 1921, a Toronto – il medico Frederick Grant Banting e il suo studente e assistente, Charles Herbert Best.

Sono in arrivo nuove terapie con insulina basale settimanali e terapie con insuline intelligenti Banting aveva letto alcune relazioni scientifiche sull’insulina (termine coniato nel 1909 da Jean De Mayer) e decise di iniziare una serie di esperimenti per identificare il ruolo del pancreas e dell’insulina nel metabolismo del glucosio e nel diabete, ruolo finora ad allora ipotizzato ma non dimostrato. Banting e Best ritenevano che la glicemia fosse controllata o tramite il passaggio del sangue nel pancreas, oppure dalla parte endocrina dell’organo tramite la produzione e l’immissione nel sangue dell’insulina. Per capire quale fosse l’ipotesi giusta, cominciarono – nel loro laboratorio universitario – a togliere il pancreas ad alcuni cani che, in breve tempo, mostrarono i segni del diabete: il più

evidente, l’aumento del livello di glucosio nel sangue e nelle urine. A quel punto, Banting e Best iniettarono in quei cani diverse sostanze estratte dalle ghiandole del pancreas, notando che il glucosio tendeva a diminuire e la salute dei cani a migliorare. Già, ma quale componente di quegli estratti agiva sulla glicemia: gli enzimi o l’insulina? Preparando diversi tipi di estratti, osservarono che quelli contenenti enzimi digestivi non avevano alcun effetto, mentre quelli contenenti solo insulina erano efficaci: dunque, solo l’insulina prodotta dalla parte endocrina del pancreas è responsabile del controllo della glicemia e la sua mancanza provoca il diabete. A questo punto, decisero di passare alla sperimentazione sull’uomo, ma i primi risultati furono deludenti, a causa delle impurità contenute nell’estratto utilizzato: il problema fu risolto dal chimico James Bertram Collip che, lavorando sulla purificazione dell’estratto canino, ottenne sieri con elevati livelli di insulina. Così, nel 1922, all’Ospedale generale di Toronto, fu iniettata una dose di insulina a un diabetico di 14 anni, Leonard Thompson, con pieno successo. Il resoconto dell’intervento fu pubblicato nel «Canadian Medical Association Journal», riscuotendo in tutto il mondo medico una generale approvazione, che portò (1923) all’assegnazione del Nobel per la Medicina a Frederick Grant Banting e a John James Rickard Macleod, il medico che aveva subito riconosciuto il valore del lavoro di Banting, sostenendolo nella sperimentazione. Dopo ulteriori interventi per ottenere preparazioni ancor più purificate per evitare allergie, era giunto il momento di usare l’insulina come trattamento di routine. La Casa farmaceutica statunitense Lilly (oggi Eli Lilly) iniziò nel 1923 a produrre l’«Iletin» per il solo mercato USA, ma nel 1925 le fiale prodotte era-

Pixabay.com

Sergio Sciancalepore

no già 217 milioni, vendute in tutto il mondo. Le ricerche sul diabete e l’insulina continuarono, tanto che nel 1937 venne prodotta l’insulina PZI, contente una sostanza (la protammina, ricavata da pesci d’acqua dolce) che prolungava l’azione del farmaco. Negli anni Cinquanta del secolo scorso si ebbero diversi progressi, come il perfezionamento delle tecniche di purificazione degli estratti pancreatici di bovini e suini, permettendo di ottenere insulina altamente pura: tra il 1953 e il 1957 vennero messe a punto le insuline lente (semilente, lente e ultralente), per consentire il dosaggio e l’uso più adatto alle esigenze dei diabetici. Nel 1955, il chimico Frederick Sanger scoprì la struttura dell’insulina, formata da 51 aminoacidi distribuiti su due file (filamenti A e B) uniti tra loro: l’insulina è stata la prima proteina di cui si è determinata la struttura. E c’è un altro primato per

il quale questo ormone va fiero: è stata, infatti, la prima proteina ad essere prodotta artificialmente con la tecnica dell’ingegneria genetica. Tra il 1978 e il 1980 vennero isolati i geni umani che dirigono la produzione dell’insulina, trasferendoli tra i geni di un batterio: il DNA «ricombinante» del batterio può così produrre l’ormone, evitando di utilizzare quello animale. Ora, nei laboratori, una quantità sterminata di batteri fabbrica senza sosta l’insulina. E ancora molto possiamo aspettarci. Sono in arrivo nuove terapie con insulina basale settimanali e terapie che inietteranno insuline intelligenti con dispositivi differenti rispetto alle classiche «penne»; insuline intelligenti che saranno in grado di esprimere la loro potenza sul controllo della glicemia variabile, in funzione della concentrazione di glucosio del paziente in quello specifico momento. L’insulina rimarrà al centro della

terapia per il diabete di tipo 1 e per i pazienti con diabete di tipo 2 trattati con insulina per i prossimi anni, ma con modalità di somministrazione meno invasive e con sistemi di supporto sempre più sofisticati, in attesa di una soluzione radicale al problema, quello del trapianto di quelle zone del pancreas che producono l’insulina. Nel 2000 è stata messa a punto una tecnica che prevede, tramite un intervento chirurgico, di trapiantare le zone prelevate da un donatore nel pancreas di un diabetico: questi interventi sono già stati effettuati, ma solo su pazienti e donatori selezionati. Inoltre, ci sono problemi per quanto riguarda le donazioni di pancreas, in quanto per eseguire un trapianto occorrono due organi e, naturalmente, trattandosi di un trapianto occorre sottoporsi a terapia antirigetto. In attesa che questa tecnica ancora sperimentale e di uso limitato si evolva, auguriamo lunga vita all’insulina. Annuncio pubblicitario

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SOCIETÀ

L’allodola canterà di nuovo Mondoanimale

BirdLife designa questo volatile segno di buon auspicio per il 2022

«Solo pochi decenni fa, in Svizzera l’Allodola era un uccello comune, la cui popolazione era considerata incalcolabile a causa della sua presenza massiccia nei campi e nei prati. Negli ultimi trent’anni, i suoi effettivi sono diminuiti drasticamente e ora nel nostro Paese è considerata una specie potenzialmente a rischio di estinzione». Con queste motivazioni e per accendere i riflettori sulla sua triste diminuzione, BirdLife ha designato l’Allodola uccello dell’anno 2022. Un «drammatico declino», spiegano infatti gli ornitologi, che «mostra chiaramente quanto questo uccello, una volta molto comune, se la stia passando male». Parliamo di un volatile «forse piccolo e poco appariscente», che però è uno dei migliori e più resistenti canterini tra quelli appartenenti alla nostra avifauna: «In primavera, l’Allodola svolazza su campi e prati per molti minuti consecutivi, deliziandoci con il quel canto quasi ininterrotto: con le loro strofe giubilanti, i maschi cercano di conquistare una femmina». Una conoscenza antica per l’uomo, se consideriamo che già Shakespeare ne conosceva le doti canore, tanto da celebrarla nelle sue opere come nella scena in cui Romeo dice a Giulietta: «Era l’Allodola, messaggera del mattino, non l’Usignolo». Parliamo di un uccellino poco appariscente ma, come si sarà capito, molto virtuoso del can-

to: «L’Allodola è di colore marrone, lunga circa 17 centimetri, con un peso che va da 30 a 45 grammi, e la caratteristica cresta che solleva soprattutto quando è eccitata». Oltre al soave canto, è pure caratteristico il volo nuziale che «rende ben visibili i bordi della coda e quelli posteriori delle ali, entrambi bianchi». Inoltre: «Spesso quando il maschio canta si alza in volo fino a più di cento metri di altezza, rimanendo riconoscibile solo come un piccolo punto nel cielo». Ciò che BirdLife ci fa via via scoprire delle peripezie di volo dell’Allodola maschio è ancora più sorprendente: «Alla fine, esso si lascia sovente cadere a peso morto, frenando solo poco prima di atterrare». Con il canto, i maschi delimitano i loro territori: «Un tempo erano presenti ovunque nei nostri campi, riuscendo a emettere il loro trillo per cinque minuti senza interruzione». Altre caratteristiche di questa specie sono la velocità record della sua nidificazione a terra, sempre nei prati e nei campi: «Già in aprile, le femmine più precoci depongono da quattro a cinque uova che si schiudono dopo 12 giorni circa, mentre i giovani abbandonano il nido dopo altri 7-12 giorni: un tempo brevissimo che costituisce un record tra i nostri Passeriformi». Si tratta di uno straordinario adattamento alla gestione dei suoli agricoli, che però non è ormai più sufficiente per una nidificazione di successo in

Feldlerche – iStock

Maria Grazia Buletti

quanto «l’Allodola non trova più né un luogo sicuro per nidificare, né insetti e aracnidi sufficienti di cui cibarsi». La causa riguarda la progressiva industrializzazione dell’agricoltura: «Oggi i prati sono troppo concimati e vengono falciati fino a sette volte l’anno, con la conseguenza che possono sopravvivere solo poche piante da fiore e pochi insetti». Inoltre, BirdLife fa pure notare come adesso «i prati crescono in modo così uniforme e denso che per l’Allodola non rimane spazio fra gli steli per poter costruire il proprio nido».

Oggi l’Allodola sopravvive con alcune popolazioni residue solo in aree con un’alta percentuale di prati non fertilizzati e falciati tardivamente, sottoforma di superfici per la promozione della biodiversità o aree protette. Di conseguenza, si osserva che questa specie è quasi scomparsa dai prati dell’Altipiano Centrale e BirdLife afferma pure che è sempre più minacciata anche nelle Alpi, mentre in Ticino pare siano «totalmente scomparse le popolazioni che una volta nidificavano in pianura e rimangono solo quelle in altitudine».

Per quanto attiene al nostro Cantone, l’ornitologo Roberto Lardelli di Ficedula conferma che «in Ticino la possiamo vedere ancora un po’ in altitudine, ad esempio sul Monte Generoso la popolazione di Allodole è stabile perché può godere dei pascoli e delle praterie di montagna che per lei non costituiscono alcun rischio». Ma le quantità sono esigue anche in altitudine, ribadisce Lardelli che spiega come tristemente in pianura, da noi, sia di fatto sparita del tutto. Ci riserva, però, un piccolo colpo di scena: «La lungimiranza del legislatore ha fatto sì che il Piano di Magadino divenisse un vero e proprio Parco dove – anche se solo in inverno, a causa della migrazione – è possibile osservare qua e là alcuni gruppi di 20 o 30 Allodole». Egli stesso dice di aver osservato «un paio di mesi fa, proprio sul Piano, alcuni gruppi importanti composti da un centinaio di individui tutti insieme ad altri Passeriformi». Purtroppo, l’Allodola non è a rischio solo in Ticino o in Svizzera, ma è in calo in tutta Europa: «L’agricoltura europea è omogenea e consta di immense colture di mais (biologicamente sterili se industriali). Il mais è certamente importante per l’alimentazione animale, ma ha cambiato il territorio facendo venire meno le condizioni per la presenza di tantissime specie». Annuncio pubblicitario

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TEMPO LIBERO ●

Isole perdute nell’Adriatico Sull’antica rotta di navigatori preistorici tra il Gargano e la Dalmazia meridionale

Come sdebitarci con le api? Forse uno dei modi migliori è offrire fioriture ricche di polline, specie nei mesi per loro più difficili

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Impegnativo ma saporito Un ottimo stinco cuoce per ben tre ore con porcini, aglio e semi di finocchio

Due remake per i Pokémon Diamante Lucente e Perla Splendente tornano in una nuova veste grafica pensata per Nintendo Switch

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Fonte di vita, è colei che scolpisce le immagini Fotografia ◆ La luce non incarna il messaggio che vogliamo veicolare, ma gli dà forma e lo connota

Rimbocchiamoci le maniche, oggi affronteremo la Luce, argomento vastissimo e centrale per la fotografia: quale altro elemento, per quest’arte, è infatti più importante, essenziale e determinante se non la luce? La luce è il pennello, o lo scalpello, con cui diamo vita alle immagini. Per ragioni di spazio, non potremo addentrarci negli aspetti tecnici che la concernono. A chi volesse approfondire il tema, in libreria, o in biblioteca, si trovano innumerevoli e ottimi volumi scritti in proposito. Qui, ci limiteremo a dare delle prime indicazioni sul suo valore e significato, sugli aspetti da considerare analizzandola in veste di fotografi.

La luce non è mai inerte, è anzi viva, configura le nostre emozioni, caratterizza gli spazi, è in continua interazione col nostro essere La luce è così connaturata alla nostra possibilità di esistere – come l’aria, l’acqua o il cibo di cui ci nutriamo –, e così presente e necessaria da non averne quasi mai consapevolezza. C’è, semplicemente. Oppure manca (e allora, sì, che prendiamo atto di quanto sia essenziale per vivere). Nel corso di una giornata normalmente passiamo attraverso un gran numero di situazioni di luce diverse, in quantità e qualità. Cominciamo con quella in cucina, preparando il caffè, e quella dell’alba che vediamo dalla finestra, la luce del treno in cui ci infiliamo per recarci al lavoro, quella presente negli uffici, nei negozi e nelle strade che quotidianamente frequentiamo, la luce del mattino, quella meridiana, e del pomeriggio, e così via. Di quel flusso continuo di cambiamenti, però, giunti a sera, non ci siamo veramente accorti: tutte quelle luci non le abbiamo né distinte e ancor meno analizzate. Ci hanno accompagnato, dandoci la possibilità, perlopiù senza troppi intralci, di far ciò che volevamo fare. Questo perché – a differenza della fotografia – i nostri occhi hanno un’immediata facoltà di adattarsi alle variazioni di luce e di vedere dettagliatamente fin nelle zone estreme del campo luminoso (alte luci e ombre), anche in condizioni di forte contrasto – cosa che in termini tecnici vorrebbe

dire avere una grande latitudine di posa. La pellicola, o il sensore, no. Sono piuttosto rigidi e limitati nella capacità di registrare correttamente ampie gamme luminose. Tornando al nostro attraversare un continuo cambio di luci, non ci siamo neppure resi conto che, in ogni particolare situazione, la luce aveva delle caratteristiche tali da facilitare od ostacolare le nostre azioni, da influenzare il nostro stato d’animo, da farci indulgere in certe riflessioni, e così in un qualche modo anche da condizionare certe nostre scelte. La luce non è mai neutra o inerte, è anzi viva, configura le nostre emozioni, caratterizza gli spazi di vita, è in continua e attiva interazione col nostro essere. Se di questo fatto nella vita di tutti i giorni abbiamo purtroppo ben poca cognizione e riguardo, chi fa fotografia dovrebbe, al contrario, tenerlo saldamente al centro della sua attenzione. Generalmente, la luce non incarna il messaggio stesso che vogliamo veicolare, ma gli dà forma e lo connota: lo può rinforzare, arricchire, o mortificare, lo rende più chiaro o lo confonde, crea ambiguità, stimola la curiosità dell’osservatore e tanto altro ancora. Stiamo dunque attenti alle luci: benché una sensibilità innata alla luce sia un’imprescindibile prerogativa del fotografo, ciò non toglie che tanto si può apprendere esercitandosi. O anche studiando le luci – ecco un ottimo esercizio da fare senza macchina fotografica – nelle immagini realizzate dai maestri della fotografia e delle altre arti visive. Oltre alla sua quantità, altre ancora sono le proprietà che possono caratterizzare qualitativamente la luce in fotografia: quella che troviamo già data – la cosiddetta luce ambiente, naturale o artificiale che sia – o quella che andremo a costruire (e talvolta, quella ottenuta dall’incontro di queste due distinte situazioni). Sta al fotografo riuscire a coglierla, per come si presenta, o a modificarla affinché corrisponda a quanto vuol comunicare. Ossia, adottando nell’atto fotografico (osservazione / riflessione / scatto) gli strumenti adeguati per far sì che l’immagine ottenuta corrisponda alla sua intuizione. Poco importa che sia per una fotografia di paesaggio, oppure un ritratto, per una foto astratta o una concettuale: la capacità di cogliere il valore di una certa luce e di

Pixabay.com

Stefano Spinelli

controllarne / modificarne l’azione è determinante nella pratica del fotografo. E molti e di varia natura sono gli strumenti che quest’arte ci mette a disposizione. Strumenti sempre più perfezionati nel corso della quasi plurisecolare vita dell’arte fotografica, al punto da render oggi possibile al semplice principiante cose inconcepibili pochi decenni fa anche per il più abile e navigato professionista. Quanta luce c’è e come voglio che risulti (ricordandoci della poca duttilità del mezzo fotografico rispetto alle ampie gamme di luce)?, mi sta bene così com’è o la voglio attenuare, o al contrario rendere più intensa? Il suo contrasto mi conviene o lo modifico? Troppo dura? Troppo morbida? Fredda? Calda? Arriva dalla parte giusta? Scolpisce bene le forme? Delinea i

tratti di quel viso? Valorizza il soggetto? Che sentimenti mi trasmette? Sono solo alcune delle domande – e altre proviamo a formularle da noi, partendo da questi spunti – che talvolta, soprattutto quando costruiamo da soli la luce di ripresa, dovremmo porci prima dello scatto, perché trattano di aspetti che influenzeranno la percezione, in positivo o in negativo, dell’immagine che stiamo creando. Aspetti sui quali abbiamo sempre, come fotografi, facoltà d’intervento durante le fasi cruciali di ripresa e di elaborazione dell’immagine (sviluppo e stampa per la pellicola, postproduzione per il digitale). Fasi che andremo ad approfondire in altra occasione. Da parte mia, sento di poter dire che una buona fotografia, in luce ambiente o costruita che sia, nasce allo

scatto. È in quell’attimo cruciale – preparato con un lungo studio o, viceversa, in un batter d’occhio – che si raccoglie tutto il potenziale che troverà poi un suo dispiegamento nella successiva fase di lavorazione. E con dispiegamento intendo il semplice dar corpo – con le dovute, misurate e sapienti correzioni – all’intuizione che precede la pressione da noi esercitata sul pulsante di scatto. Quello che in realtà oggi la tecnologia ci permette di fare in quest’ultima fase di lavorazione, va ben oltre questi necessari e contenuti interventi. E spesso, attenzione, sospinti dalla sua forza, ci lasciamo prendere la mano. Tra(scen)dendo così, a mio avviso, il senso profondo della fotografia. Andando oltre, non scordiamolo, andiamo altrove.


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TEMPO LIBERO

Gli isolati Reportage

Un viaggio fuori rotta tra le isole disabitate dell’Adriatico

Valentina Scaglia, testo e foto

Avete presente Kakan? Nonostante il nome vagamente orientale, questo lembo di terra lungo sei chilometri, che emerge dalle onde dalle parti di Sebenico, in Croazia, è una delle isole deserte dell’Adriatico più affascinanti e a portata di mano. A Kakan non sostano battelli di linea, non c’è acqua potabile. Si arriva con una piccola barca o una canoa; non ci sono approdi, lo scafo va issato faticosamente a riva. Avanzo in un labirinto di interminabili muretti, oliveti trascurati invasi da liane, spiaggette strette e scomode (ma con acque limpidissime). L’accampamento è di fortuna, ma in cambio di un giaciglio scomodo posso ammirare un meraviglioso cielo pieno di stelle, come se fossi su una nave di roccia immobile. Durante questa notte indimenticabile nasce un progetto: vagabondare tra le isole perdute dell’Adriatico e collegarle tra loro con un viaggio inconsueto. Un filo d’Arianna in realtà c’è già, anche se da tempo dimenticato. È una rotta antica tra il Gargano e la Dalmazia meridionale, percorsa dai navigatori preistorici che lasciarono dietro di sé, come briciole di Pollicino, minuscole selci lavorate. Queste isolette lontane dalla costa erano tappe strategiche per attraversare l’Adriatico con barche primitive, navigando a vista. Uno di questi micromondi è in alto mare, tra Italia e Croazia, quasi a far da boa di mezza via: è Palagruža, da lontano una rupe triangolare che buca l’orizzonte. Il nome italiano del luogo, bellissimo, è invece Pelagosa. Fino alla Seconda guerra mondiale era un lembo dimenticato di territorio italiano, oggi è croato. È un grande scoglio frequentato solo dai pescatori e dai guardiani del faro monumentale, costruito dal governo austroungarico nel 1875. Sbarcare però non è facile, battuto com’è da onde e correnti. C’è solo un buon punto, la valle del Papa, dove in effetti sbarcò papa Alessandro III nel marzo del 1177. In quegli anni Pelagosa era raggiunta da lance di legno con vela latina che partivano da Lissa. Seguendo la stessa rotta all’indietro, s’impara a destreggiarsi in un labirinto di secche, stretti, punte, scogli minuscoli ma micidiali per uno scafo. Chi si avvicina alla Dalmazia da ovest in una giornata di bel tempo vede infatti una serie di dorsi di dinosauro spuntare dal mare, una cordigliera andina semisommersa. Le isole sarebbero oltre 1200, ma sul numero preciso non tutti sono d’accordo (secondo uno studio dell’economista sloveno Franček Drenovec sarebbero esattamente 1233). Quella sulla nostra rotta, molto amata dai navigatori di un tempo, è Biševo, l’isola satellite di Vis, lunga sei chilometri. È l’isola abitata più remota della Croazia. L’unica scuola ha chiuso nel 1961. Non ci sono strade, non c’è un bar né la corrente elettrica. Biševo apre un ventaglio di punte rocciose e baie dai chiari fondali sabbiosi; la più bella è Salbunara, dove ancora qualcuno pesca, cura minuscoli vigneti e si occupa di interminabili riparazioni a barche di legno. Gli abitanti stabili sono solo cinque. Parlo con Klara, austriaca, che vive qui sei mesi l’anno. Mi accoglie gentilmente e mi prepara un caffè, raccontando com’è strano passare dalla sua casa sui monti Tauri a

L'isoletta di Pokonji Dol, con faro, è poco a sud di Hvar. Sotto a sinistra: tunnel per celare navi e armamenti dell'era di Tito a Lastovo. A destra: Mljet. In basso: scogliere a Punta Struga, a Lastovo.

un posto dove d’inverno si resta senza collegamenti per lunghi periodi (e quindi, rifletto tra me, c’è qualcosa in comune tra le due situazioni). Chiedo alla ragazza – occhi color di cielo e lunga treccia – se questa si può definire un’isola deserta, ma lei sorride e dice che il deserto è ben altro, indicando un cono all’orizzonte, azzurrino per la distanza: è Sveti Andrjia, ma anche qui è meglio il nome italiano, Sant’Andrea in Pelago. Per raggiungerla bisogna attraversare un settore di mare aperto, agitato; niente gommone, qui ci vuole

una barca vera. Sant’Andrea è diversa dalle altre isole; è coperta di boschi e sfoggia, se non proprio un monte, un rilievo che supera i trecento metri di altezza. Una chiesa solitaria, abbarbicata in alto, testimonia che qui un tempo abitava una piccola comunità. Nella macchia spuntano anche le rovine di una fortezza bizantina e le pietre di un monastero medievale. Piantata in mezzo alle correnti adriatiche, Sant’Andrea ha acque trasparenti e un impressionante corredo di leggende: si avvertono antiche presenze. Le sue coste sono traforate da

un dedalo di grotte, dove ogni tanto qualche sub avvista la rarissima foca monaca. Spostandosi lentamente verso sud est, seguendo l’antica rotta verso Dubrovnik, il successivo passo è Lastovo (Lagosta per gli italiani). Questa volta è un’isola grande, quarantasei chilometri quadrati, in posizione strategica, al centro di un arcipelago di quasi cinquanta terre emerse, tra scogli e isolotti, tutti disabitati. Fino al 1998 Lastovo era zona militare interdetta ai visitatori e ancora ne porta i segni, tra gli edifici diroccati del-

la triste edilizia socialista e tracce di opere belliche. All’interno si può camminare per giorni (ci sono ben duecento chilometri di sentieri) attraverso lembi di fitta foresta, alternati a terreni aridi da capre, fichi testardi e qualche coraggiosa coltivazione. La costa sud offre baie segrete dove ci si può isolare lontano da tutti. In agosto s’incontrano gli ultimi hippy d’Europa, che vivono di poco o nulla e dormono in amaca. A punta Struga si erge sul mare un altro dei maestosi fari austroungarici. Sul sentiero incontro una famiglia di francesi che si è allontanata dal mondo per qualche settimana affittando le stanze dei guardiani. Poche comodità, nessuno svago se non una vecchia radio, e interminabili partite a scacchi. Ogni tanto vanno a fare la spesa nell’unico paese (quasi trenta chilometri, tra andare e tornare) e trasportano a piedi lassù i viveri, ma i tramonti sul mare che si vedono dal faro, dicono, a Lione se li sognano. ​Ultima notte del viaggio a Prežba, isoletta disabitata dell’arcipelago di Lastovo, un angolo di solitudine marina che ricorda i Caraibi. Nuotando con maschera e pinne vado a esplorare i tunnel inventati dall’esercito di Tito per nascondere le navi da guerra. Si dorme in spiaggia, tra relitti portati dal mare, come a Kakan, dove tutto è cominciato. Informazioni Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica.


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TEMPO LIBERO

Per nutrire le api, piantiamo qualche mellifera

L’azzardo fa perdere sempre

Anita Negretti

Ennio Peres

Zeynel Cebeci

Giochi di probabilità ◆ A volte esiste un solo e unico modo per vincere: non partecipare

Piccole, infaticabili e super utili, le api hanno sulle loro spalle numeri incredibili. È da ben 13mila anni che l’essere umano raccoglie e utilizza il prodotto di questi insetti. A testimoniarlo sono ritrovamenti illustri di barattoli di miele provenienti da epoche lontane, come quelli rinvenuti all’interno della tomba del faraone Tutankhamon. Può non piacere a tutti il miele, ma lascia stupiti sapere che per produrne un solo cucchiaino serve il lavoro di tutta la vita di dodici api. Che cosa dire poi del fatto che ben un terzo di tutto il cibo che mangiamo viene prodotto grazie agli insetti impollinatori come le api? Tra gli impollinatori non compaiono ovviamente solo le api, ma anche bombi, api solitarie come le osmie, falene, farfalle, coleotteri e alcuni tipi di mosche. Molte sono le difficoltà a cui negli ultimi decenni essi vanno incontro, dai cambiamenti climatici alla scomparsa di habitat, passando per l’uso di pesticidi fino ad arrivare alle malattie a cui sono soggetti per via degli spostamenti forzati delle arnie in giro per il mondo. Dunque, basandoci già solo su questi dati siamo largamente in debito con molti piccoli animaletti, oltre che in parte cagione delle loro difficoltà, e forse uno dei modi migliori per sdebitarci con loro è offrire fioriture ricche di nettare, specie nei mesi per loro più difficili.

Cosa si può fare in concreto per aiutarli? Sarebbe fondamentale creare delle oasi, piccole o grandi, in grado di offrire loro nutrimenti, cioè oasi di piante mellifere. Piccoli ambienti, che possiamo creare persino sul balcone di casa, in vaso, piantando, ad esempio, un bel esemplare di Hibiscus syriacus. Dai grossi fiori variopinti ed estivi, alla base di questo rustico arbusto riempite con un rosmarino tappezzante, dai fiori blu invernali, delle primule e alcuni bulbi come i giacinti che sbocciano a fine febbraio. Se avete una ringhiera o un muro al sole potete invece farvi arrampicare un caprifoglio (Lonicera caprifolium L.), mentre se è all’ombra, scegliete una robusta edera (Hedera helix), da lasciar crescere indisturbata per permettergli di andare a fiorire. Sempre sul terrazzo o sul balcone potete ospitare una bella e profumata Daphne, da circondare alla base con delle allegre violette. Potete anche unire l’utile al dilettevole, creando cassette di piante aromatiche, da utilizzare in cucina, ma avendo cura di non potare troppo le cime in modo tale da permetterne la fioritura: mente, timi dai diversi tipi di portamento, valeriane, origani e borragine insaporiranno i vostri piatti e attrarranno le api. Bellissimi da vedere anche i grandi vasi con lavande e coreopsis gialli, che fioriscono insieme per tutta

l’estate. In piena terra nel giardino si possono piantumare al sole ginestre, Caryopteris x clandonensis, dai fiori ottobrini, Hypericum calycinum, lavandule, salvie, rosmarini, Chaenomeles japonica (cotogno del Giappone), creando così una siepe mista sempre in fioritura, specie se abbinate un caprifoglio invernale (Lonicera fragrantissima), un vigoroso arbusto in fiore (vedi fotografia) da dicembre fino a marzo, vero punto attrattivo e di ristoro per gli impollinatori nelle prime giornate tiepide d’inverno. Dal profumo intenso e dolcissimo, questo caprifoglio si presenta come un semi-sempreverde, che arriva in pochi anni ai tre metri di altezza e larghezza (sebbene sia adatto alle potature di contenimento). Rustico, non è soggetto ad attacchi di parassiti e si riproduce con estrema facilità tramite talea. Un’idea di aiuola con protagonista questo arbusto dai lunghi rami arcuati, può prevedere l’uso di alcune piante a fiore invernale, tutte mellifere, come un tappeto di bucanevi (Galanthus nivalis), della sarcococca, un esemplare di viburno tino e un gruppo di bergenie alternate con della Calluna vulgaris. Nei mesi più caldi la fioritura di rododendri, aceri montani, tigli, robinie, castagni, noci, salici e ippocastani, aiuteranno la sopravvivenza di questi piccoli ma indispensabili insetti.

Negli ultimi anni, a livello internazionale, si sta assistendo a un impressionante dilagare dell’abitudine al gioco d’azzardo in denaro, con una ricaduta sociale non indifferente. Innanzitutto, quando i più tenaci sognatori si ritrovano a non possedere le somme necessarie per continuare a giocare, rischiano di finire in mano a degli usurai senza scrupoli, passando bruscamente dai sogni agli incubi. Non bisogna, poi, dimenticare che un giro monetario così ragguardevole finisce per indurre fortemente in tentazione, non solo la piccola e la grande criminalità, ma anche qualsiasi persona al di sopra di ogni sospetto che si trovi nella condizione di poter alterare, a proprio vantaggio, l’esito di un determinato gioco. Ma esistono anche preoccupanti implicazioni di natura sanitaria. Da diversi anni, ormai, psichiatri e psicologi di ogni parte del mondo concordano nel ritenere che l’abitudine al gioco d’azzardo può generare una sindrome patologica (detta Pathological gambling o Ludopatia), le cui ripercussioni sulla personalità del giocatore, presentano aspetti analoghi a quelli generati dal vizio di bere o di fare uso di sostanze stupefacenti. È sconcertante notare, però, come una gran parte di quei mezzi d’informazione che denunciano tali drammatici episodi, non rifugga dalla tentazione di dispensare, in apposi-

te rubriche, inconsistenti consigli per arricchirsi matematicamente al gioco. È, infatti, proprio la fiducia posta nei sedicenti metodi sicuri per vincere la causa principale delle perdite in denaro più cospicue. Al di là di qualsiasi disquisizione matematica, bisogna considerare che, se solo almeno uno di questi sistemi funzionasse davvero, tutti i biscazzieri della Terra rischierebbero di andare falliti e, quindi, non trovando un tornaconto, smetterebbero di gestire le proprie attività. Analizziamo, ad esempio, un semplice sistema che sembrerebbe garantire, male che vada, un pareggio delle somme puntate. Questo metodo, applicato al tavolo della roulette, richiederebbe di puntare unicamente sull’uscita del rosso o del nero. Tenendo conto che, in questo modo, in corrispondenza a ogni potenziale vincita, si incasserebbe un importo uguale al doppio della somma giocata: l’unica regola da seguire consisterebbe nel giocare ogni volta solo la metà del capitale posseduto in quel momento. In tal modo (in teoria…) dopo un’eventuale uguale quantità di vincite e di perdite (evento piuttosto probabile), nella peggiore delle ipotesi, ci si dovrebbe trovare in pareggio, ma potenzialmente anche in attivo. È corretto questo ragionamento?

Risposta – Analizziamo che cosa succede, realmente, se si susseguissero una vincita e una perdita, partendo da un ipotetico capitale di 100 franchi. – Se si ottenesse prima una vincita, dopo aver puntato 50 franchi, il nuovo capitale diventerebbe: (100+50) franchi = 150 franchi. La nuova somma da puntare ammonterebbe a: 150/2 = 75; per cui, in caso di perdita, il nuovo capitale diventerebbe: (150–75) franchi = 75 franchi. – In questo caso, quindi, si registrerebbe un passivo di 25 franchi. Nel caso inverso. – Se si ottenesse prima una perdita, dopo aver puntato 50 franchi, il nuovo capitale diventerebbe: (100-50) franchi = 50 franchi. La nuova somma da puntare ammonterebbe a: 50/2 = 25; per cui, in caso di vincita, il nuovo capitale diventerebbe: (50+25) franchi = 75 franchi – Anche in questo caso, si registrerebbe un passivo di 25 franchi. Ripetendo più volte queste operazioni, si può verificare come il giocatore si troverebbe in passivo, anche dopo un’uguale quantità di vincite e di perdite. Questo esempio paradossale dimostra che il metodo migliore per non perdere soldi al gioco, consiste nel non giocare…

Mondoverde ◆ Esistono importanti specie produttrici di polline anche nei mesi invernali

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TEMPO LIBERO

Ricetta della settimana - Stinco di vitello con porcini e spinaci ●

Ingredienti per 4 persone 1 stinco di vitello di circa 1,3 kg, ordinabile in anticipo dal macellaio Migros 30 g di porcini secchi sale pepe 4 spicchi d’aglio 5 c d’olio di girasole 1 c di semi di finocchio 2 dl di vino bianco 4 dl di fondo bruno 80 g di pomodori cherry semi secchi 200 g di spinaci

Preparazione

Iscriviti ora!

1. Tirate fuori dal frigo lo stinco circa 2 ore prima di prepararlo e fatelo riposare a temperatura ambiente.

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2. Mettete a bagno i funghi nell’acqua fredda per circa 20 minuti. Condite lo stinco con sale e pepe. Scaldate il forno a 170 °C. Schiacciate l’aglio e tritatelo grossolanamente. Scolate i funghi e strizzateli bene. 3. Scaldate l’olio in una brasiera. Rosolate bene lo stinco da ogni lato per circa 5 minuti. Aggiungete l’aglio, i funghi e i semi di finocchio e rosolate tutto brevemente. Bagnate con il vino e fate ridurre. Unite il fondo e stufate al centro del forno con il coperchio per circa 3 ore. 4. Estraete i pomodori dall’olio. Frullateli con il frullatore a immersione. 5. Estraete con cautela lo stinco dalla salsa. Condite la salsa con sale e pepe. Unite gli spinaci e fateli sobbollire, finché non si afflosciano. Servite lo stinco con la salsa e gli spinaci e accompagnate con purè di patate. Preparazione: circa 30 minuti. Brasatura: 3 ore. Per persona: circa 58 g di proteine, 27 g di grassi, 10 g di carboidrati, 560 kcal/2350 kJ.

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(N. 49 - ... cavallo ma prima o poi raglia)

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TEMPO LIBERO

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I Pokémon ritrovano freschezza

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C A V A R E A L L O 7 3 10 11 A Switch M A R I P R I N T Videogiochi Diamante Lucente e Perla Splendente, due remake convincenti per Nintendo 12 13 Davide Canavesi M I RN. 45 A P O P E I 14 15 16 8 C O S5 I E C O R T 17 a livello globale,18 5 6 4 I remake sono estremamente in vo- i tempi con un valore 30 ore per essere terminati a diversi R A M Aalivelli Sdi completamento, S A G ga al giorno d’oggi nel mondo dei vi- stimato di circa 92,1 miliardi di dolil che G non è I 2un gioco 6 del3 genere. deogiochi. Da un lato promettono lari. Il fenomeno19Pokémon GO che nel affatto male per di ricatturare la magia di titoli estre- 2016 ci ha travolti senza preavviso è siSottigliezze delle di A V O LgiocoEa parte,Equesti duemeccaniche mamente popolari del passato con curamente un’indicazione della forza remake han6 9 2 un’operazione nostalgia che non è di di20 questa 21 proprietà intellettuale. un sapore un po’ amaro per i gioM O I 7N Eno N3 la serie da tanto certo limitata al solo mondo videoluPokémon Diamante Lucente e Pocatori che seguono dico. È anche un modo per rinvigorire kémon tempo. Sono stati semplificati molto, 22 Perla ci vedranno impegnati in23 una proprietà intellettuale, saggiare il quella che è la più classica delle avvenA N S E 3 eliminando A Talcune componenti 8 molmercato e i gusti dei giocatori, in mo- ture della serie. Nei panni di un bamto amate come il Parco Lotta e ridu24 do relativamente sicuro, per le azien- bino o una bambina partiremo all’av7 Rla difficoltà N U 1O T Acendo E fino alle fasi6più de produttrici. Da ultimo ma di sicu- ventura, lasciandoci alle spalle casa per avanzate del gioco. Il motivo è da un 1

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ro non meno importante è un modo semplice e relativamente rapido per ottenere un buon cash flow, specialmente nei mesi autunnali che precedono le festività natalizie. Nintendo non è certo immune al potente richiamo del remake e con Pokémon Diamante Lucente e Pokémon Perla Splendente propone esattamente questo. Un remake dei due originali Diamante e Perla usciti su Nintendo DS nel 2006 è la logica conseguenza di tale approccio, specialmente perché in passato i giocatori hanno dimostrato di apprezzare tali riedizioni in chiave moderna. La serie Pokémon non necessita davvero di una introduzione: sin dai suoi albori su Gameboy negli anni 90 è stata un gigante e non solo dei giochi su console. Serie TV, parchi a tema, film, giochi da tavola, gadget, vestiti e molto altro ancora. I mostri tascabili giapponesi sono cresciuti fino ad entrare nella top 25 dei franchise multimediali con i maggiori incassi di tutti

andare a scoprire tutti i Pokémon della regione di Sinnoh, incontrare nuove persone e sfidare avversari sempre più forti e scaltri. Lo stile è quello del gioco di ruolo: starà a noi scegliere qua3 4 li1 mostriciattoli2 catturare, allenare e schierare nei vari scontri. Dovremo prendercene cura, 10 far evolvere le loro 11 capacità e usarne i poteri in modo concertato sulla strada per diventare i mi13 allenatori 14 15 E facendolo, gliori su piazza. beninteso, finiremo per scontrarci con tipi 18 poco raccomandabili. 19 20 Dagli albori, in cui dovevamo catturare solo 151 Pokémon, siamo giunti 23 oramai a quasi 500 e le nostre avventure a Sinnoh ora si fanno su Ninten26 con27 do Switch, l’ammiraglia e unica sole principale di Nintendo. Pokémon Diamante e Perla all’epoca introdusse30 ro novità e riproposero le migliorie dei titoli che li avevano preceduti come le 33 Gare Pokémon, Basi segrete, un comparto online esclusivo, una nuova ge35 nerazione con tanto di potenziamento

© Nintendo of Europe

lato comprensibile, 4 8 con la 1volontà di catturare l’attenzione di un pubblico nuovo e fresco. Dall’altra è un pecca5 7 to vedere due riedizioni che sono state percepite come «pigre» da molti, specialmente per quanto riguarda il comcosmetici: il processo di esplorazione è parto tecnico del gioco, ancora legato più facile e permette al giocatore di ac- al passato. Per coloro che approdano cedere a tutti i punti della mappa con per la prima volta sulle coste del monfacilità e immediatezza. Non dovre- do1dei Pokémon invece sarà un vero 3 mo nemmeno più giostrarci tra scel- piacere scoprire una serie matura, vate obbligate, come la necessità 1 di ave-4 riegata e coinvolgente. 9 re sempre a disposizione un Pokémon Pokémon Diamante Lucente e Posui quali abbiamo usato le cosiddette kémon Perla arrivano su Switch in un 6 3 7 «macchine nascoste» al fine di inse- momento delicato per il franchise: l’argnare loro abilità utili durante l’esplo- rivo l’anno prossimo di Pokémon Leg5 7 segnerà verosimilmente razione ma non in combattimento. gende: Arceus Una semplificazione delle mecca- l’entrata dei Pokémon in una nuova e 7 ai8 più4moderna fase. Nel mentre que5 niche che renderà la vita più facile giocatori più giovani e meno esperti sti due titoli sono uno sforzo onesto 8 ripropone 2 due titoli molto amati ma che ha ridotto di una certa misura che il livello di sfida per coloro che cono- in passato con una nuova veste grafiscono la serie come le proprie qua e là. Tutto 1 tasche.2 ca e qualche miglioria 3 4 A prescindere da tali considerazioni sommato, una buona distrazione duSudoku per “Azione” Dicembre 2021 però i due giochi richiederanno le vacanze 4da 10 -rante 8di Natale!

(N. 50 - Circa centonovanta anni) 5

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C E R V O

delle precedenti e introducendo molte nuove linee 12evolutive. La riedizione in chiave 3D isometrica di quest’anno integra questi aspetti ma li espande con 16 17 concetti che migliorano in modo tangibile l’esperienza di gioco. Troviamo la possibilità 21 di richiamare 22 certe abilità utili, condividere l’esperienza tra i nostri mostriciattoli o avvisi sull’ef24 25 ficacia di certe mosse direttamente dal Pokédex, il diario elettronico dei 28 29 nostri Pokémon che useremo molto spesso durante le nostre avventure. I due giochi sono decisamente fe31 32 deli ai titoli originali. E come sempre con differenze legate ad alcuni 34 Pokémon speciali che troveremo solo in una o nell’altra edizione. Le novità non sono36 legate solamente ad aspetti

I N. R 46C N O C I O N N O R

A T O T T R O I B A U R T E O A Stefania Sargentini

Giochi e passatempi (N. 51 - ... quarto cereale più coltivato al mondo) N. 47 Schema

N. 44

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T A N O S A O R G T O N I

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Cruciverba

Per la sua capacità di adattamento climatico l’orzo è il… Completa la frase leggendo, a cruciverba ultimato, le lettere nelle caselle evidenziate. (Frase: 6, 7, 3, 9, 2, 5)

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ORIZZONTALI 1. Un minerale 6. Scontro 7. Un dischetto abbreviato 9. La metà di two 10. Quello nero è liquido 11. Ha un proprio servizio 12. Lago dell’Asia 13. Malvagia, crudele 17. Passa in cucina... 18. Vento freddo e impetuoso 19. Nominate ad una carica 20. Consapevolezza di sé, della propria identità

21. Nome femminile 22. Ai confini del tempo 23. Alito in poesia 24. Le iniziali del pugile Tyson 25. L’imprenditore Musk 26. Fanno rima con ma... 27. Così si chiamava Tokyo VERTICALI 1. Parte di una somma globale 2. Le tombe dei poeti 3. Fu cacciata dall’Olimpo 4. Astro... al tramonto 5. Colore giallo-rossiccio

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Sudoku

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8. ... o scherzetto N. 46 10. Pesce dalle carni pregiate 12. Un cereale 13. Ottuso, idiota 1 4 14. Il «paroliere» di Lucio Battisti 6 15. A vantaggio 16. Come comincia... finisce5 17. Soldati di cavalleria armati 7 8 di lancia 19. Mai in inglese 1 2 21. 49 romani 23. Sono uguali nel 4 fidanzamento 7 24. 1500 romani

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Soluzione

Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba 9 2 8 1 3 4 e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku 4

S C A E O N T R E O S I T E R E A S U N I D E A

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Q U4 2 A5 8 R7 3Z 9 6 U R71 87 T94 16O232 69 45 7 1 2 O N5 3 E6 2 1 8O7 2 9 8 7 4 5 6 8 9 3 1 6 T E A R 6 6 4 8 3 7 5 1 5 E M P I A U V A 7 3 2 5 6 99 1 4 4 2 6 B 3 O R A 5 9E 71 L7 4 E81 2 T26 4 6 1 8 5 7 3 9 2 3 E G O I 9 8V 7 A9 2 N15 3A5 2 5 3 9 6 4 7 8 T 6O A 6 L 1E 3 N4 7 A2 9 8 7 9 6 5 4 8 2 4 8 1 2 1 3 6 E9 Edella O N 7 L Soluzione settimana precedente5R 8 I

5 7 Scoprite 3 9 6 i 3 numeri corretti 6 5 da inserire nelle caselle 1colorate. 9 3

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Tra fidanzati: «Cara dov’è il mio regalo?» «Ma il tuo regalo sono io amore!» Risposta risultante: «HAI TENUTO LO SCONTRINO?»

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N. 47 Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, cinque carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione 9 pagina del sito. Partecipazione 4 3 2postale: 6 8 la5 lettera 7 1 o 9la del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla 6 essere spedita2a «Redazione 4 1 6315, 6 8 6901 7 9 3 2 Non 5 4si cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve Azione, Concorsi, C.P. Lugano». intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento7in contanti1 dei2 premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata 3 7 5 9 1 2 4 8 6 3 esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera. 8 9 3 1 6 2 8 9 3 5 1 7 6 4 2 6 7

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ATTUALITÀ ●

Dentro il caos libico Dopo il rinvio delle elezioni si teme che il Paese possa scivolare in un periodo di instabilità e conflitti

Un premier in difficoltà Scandali e fronde interne indeboliscono Boris Johnson alle prese con l’impennata dei contagi

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Il Cile sogna un futuro diverso Il nuovo presidente Boric promette una riforma strutturale della società ma c’è chi gli rema contro

Lo spettro dell’inflazione La FED alza timidamente il tasso di sconto, la BCE attende e la BNS mantiene la sua politica monetaria

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La massa di detriti rende più pericoloso persino il viaggio verso la Stazione spaziale internazionale. (Keystone/Nasa)

Una guerra per la conquista del cosmo L’analisi

La competizione fra le maggiori potenze si gioca nello Spazio. Ma la navigazione si fa sempre più rischiosa, ecco perché

Lucio Caracciolo

Lo Spazio sta diventando la dimensione primaria della competizione fra le maggiori potenze. Per gli strateghi americani, russi, cinesi e di altre potenze la prossima guerra si giocherà soprattutto nello Spazio e nel ciberspazio, domini strettamente collegati. Più precisamente nelle orbite terrestri, dove migliaia di satelliti adibiti a usi non solo scientifici testimoniano della competizione in corso. E da dove è possibile controllare con sempre maggiore precisione ciò che accade sulla Terra. Per colpire, in caso di conflitto, bersagli nemici. In barba ai trattati e alle proclamazioni propagandistiche che vorrebbero lo Spazio smilitarizzato. Siamo stati abituati a considerare il cosmo come ambiente da esplorare per il superiore bene dell’umanità. Questa era la retorica vigente già ai tempi della gara spaziale fra Urss e Usa, in piena guerra fredda, inaugurata nel 1957 con il clamoroso lancio dello Sputnik. Culminata nel 1969 con lo sbarco americano sulla Luna, che sanciva la prevalenza dell’America e le offriva un formidabile vantaggio di soft power.

In realtà, fin dalle origini, le potenze hanno cercato nello Spazio un vantaggio strategico. Alla fonte dei programmi spaziali americano e sovietico troviamo gli scienziati tedeschi che nella fase terminale del Terzo Reich erano finalmente riusciti a convincere Hitler dell’utilità delle Wunderwaffen, le armi miracolose che avrebbero rovesciato le sorti della seconda guerra mondiale. Le V2 del leggendario Wernher von Braun – poi reclutato dalla Nasa – sono le madri dei missili balistici intercontinentali che segnano il tempo della deterrenza nucleare. Oggi è impossibile separare con nettezza gli scopi scientifici da quelli strategici, nello Spazio e non solo. Siamo nell’era del duale, dell’ambiguità tecnologica. Lo stesso strumento può essere impiegato per usi pacifici o bellici. A cominciare dai satelliti da osservazione e telecomunicazione, e dai vettori che li proiettano oltre l’atmosfera. Nel gergo del Pentagono il dominio militare (Milspace) privilegiato è disegnato dalle orbite basse, fino a 2’000 chilometri sopra il livello del

mare. Quello che una volta era «ambiente» è oggi classificato «dominio», descritto dalle tre «c»: «congestionato, contestato, competitivo». La Nato ha stabilito che l’articolo 5 del Trattato di Washington, quello che in teoria garantisce al socio atlantico aggredito il soccorso di tutti gli altri, si estende anche alla dimensione extraterrestre. In particolare quello che si spinge fino ai circa 36’000 chilometri di quota, ovvero all’orbita geostazionaria, da cui si può avere una quasi completa, immediata osservazione di un emisfero terrestre. Attività cui si dedicano i numerosi satelliti spia che vi ruotano. Tutte le maggiori potenze si sono recentemente dotate di Forze armate e Comandi spaziali, sia pure in miniatura. Le dottrine correnti trattano lo Spazio come estensione del mare. Invece delle rotte commerciali oceaniche, quelle spaziali; al posto degli stretti marittimi, i punti di Lagrange, dove i campi gravitazionali di Terra e Luna si annullano reciprocamente, così offrendo un riferimento ideale per future colonie. Nel postulato dello stratega americano Eugene

C. Dolman: «Chi controlla le orbite basse controlla lo Spazio vicino alla Terra. Chi controlla lo Spazio vicino alla Terra domina la Terra. Chi domina la Terra determina il destino dell’umanità». Fino a pochi anni fa il dominio americano nello Spazio era quasi totale. Negli ultimi tempi cinesi e russi, spesso collaborando, hanno ridotto le distanze. Altri attori, quali India, Giappone e Francia (in nome dell’Europa s’intende), partecipano distanziati alla competizione. Questo rende molto più imprevedibile l’equazione spaziale della potenza. Anche per lo sviluppo della cibernetica e specialmente dell’intelligenza artificiale, altro esempio di impiego duale delle tecnologie. Con effetti non solo più distruttivi ma anche quasi imprevedibili: l’eventuale impiego bellico di tali tecnologie sconvolge le teorie della deterrenza su cui si è finora retto l’equilibrio strategico. E l’imprevedibilità offre un vantaggio enorme all’attaccante. Soprattutto può indurre all’attacco preventivo per carenza di strumenti di difesa e rappresaglia credibili.

La competizione ha ovviamente anche rilevanti aspetti economici e commerciali. Lo dimostra l’interesse di Elon Musk, Jeff Bezos e altri capitalisti avventurosi che affiancano a loro modo le istituzioni statali americane, sempre nella logica duale sopra descritta. Le promettenti risorse scoperte o supposte sulla Luna – a cominciare dall’elio-3, essenziale per la fusione nucleare – offrono fenomenali prospettive agli investitori, che cominciano a dotarsi di proprie flotte spaziali. A meno che la crescita esponenziale dei satelliti nelle orbite basse e medie sia tale da impedire di attraversarle per spingersi verso la Luna e oltre. È la sindrome di Kessler: le collisioni, spontanee o volute (i satelliti killer vanno di moda specialmente in Russia e in Cina), fra ordigni in orbita stanno producendo una massa di detriti tale da rendere sempre più rischiosa la navigazione persino alla Stazione spaziale internazionale. Sarà la bulimia spaziale a frenare i sogni e le ambizioni dei conquistatori del cosmo?


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ATTUALITÀ

Il caos libico dopo il rinvio delle elezioni Il punto

I problemi strutturali del Paese e le divisioni interne riemergono con forza mentre nelle strade tornano le milizie armate

Francesca Mannocchi

Martedì scorso alcuni dei candidati alla presidenza della Libia si sono riuniti, sorprendentemente, a Bengasi. Nel Tebsty hotel della città della Cirenaica si sono incontrati, a favore di telecamera, Fathi Bashagha, ex ministro degli Interni del Governo di Tripoli, Ahmed Maiteeq, membro del precedente Consiglio presidenziale e Khalifa Haftar, l’uomo forte dell’est, candidato presidenziale e da lungo tempo autoproclamato capo dell’Esercito nazionale libico. L’incontro preoccupa perché è avvenuto in concomitanza dell’annuncio, da parte della Commissione elettorale nazionale, di sciogliere i comitati che si stavano preparando per il voto del 24 dicembre. Voto che è stato poi ufficialmente annullato. Nessuna delle parti in causa, la settimana scorsa (e nelle ultime settimane per la verità), voleva prendersi la responsabilità di dire agli elettori registrati che non avrebbero votato, e assumersi la colpa di un fallimento che era nell’aria da mesi. Finora non si indicano date sostitutive, solo un’ottimistica richiesta da parte della citata Commissione di svolgerle il 24 gennaio, «per dar modo di eliminare gli intralci alla tenuta delle medesime». Comunque colpisce che, nelle ore in cui la Commissione elettorale ha fatto un passo indietro, le immagini che arrivavano da Bengasi raccontavano di nuove alleanze, anch’esse nell’aria da mesi, che potrebbero generare nuove rivalità – leggasi scontri armati – nei prossimi mesi.

Non si indicano date sostitutive per il voto mentre da Bengasi arrivano immagini che raccontano di nuove alleanze Fathi Bashagha, che un tempo considerava Haftar un criminale, un signore della guerra, la scorsa settimana a Bengasi l’ha ringraziato per il «generoso invito» dicendo che stavano riaffermando gli sforzi comuni per affrontare gli sviluppi del processo elettorale e rispettare il desiderio e il diritto di due milioni e mezzo di libici di votare. «La riconciliazione – ha detto Bashagha – è una scelta nazionale che non può essere ignorata». L’ex ministro degli Interni di Tripoli ha cercato per anni di diventare primo ministro, e questa non è la pri-

ma alleanza che stringe con i leader dell’est poiché si era precedentemente alleato con il presidente del Parlamento, Aqila Saleh, durante il Forum di dialogo politico libico all’inizio del 2021. Entrambi facevano parte della lista per nominare l’autorità provvisoria, il Governo di transizione nazionale; volevano uscire vittoriosi da quell’evento che sanciva l’inizio della transizione verso una Libia finalmente unita, ma hanno perso contro la lista che vinse, stupendo tutti, quella di Abdul Hamid Dbeibeh, l’attuale primo ministro. Nonostante la sconfitta, Bashagha non ha rinunciato alle sue aspirazioni, perciò se formalmente l’incontro di Bengasi serviva a riunire le visioni di alcuni dei candidati presidenziali in vista della prossima fase del processo politico che vivrà la Libia, informalmente sembrava essere il preludio di una spartizione di potere tra ex nemici che hanno fretta di eliminare dalla competizione un nuovo nemico comune, l’attuale primo ministro del Governo di transizione Dbeibeh. A leggere tra le righe, come sempre è opportuno fare in un Paese dalle alleanze variabili come la Libia, il dato che emerge dall’incontro di Bengasi è che si stia concordando la formazione di un Governo di unità nazionale che sostituisca quello di Dbeibeh, nominato a Ginevra lo scorso febbraio, sotto la tutela e gli auspici delle Nazioni unite, che avrebbe dovuto traghettare il Paese a elezioni che però non si sono tenute. Dbeibeh sarebbe dunque, agli occhi dei candidati alla presidenza, venuto meno allo scopo per cui il suo Governo era nato. Per di più disattendendo uno degli impegni presi a Ginevra: il divieto di candidarsi alle elezioni. Nonostante questo impegno infatti, l’imprenditore di Misurata poche settimane fa ha annunciato la sua candidatura alle elezioni, provocando non pochi malumori sia negli ambienti diplomatici sia in quelli politici libici. Per le strade di Tripoli, nonostante l’annullamento delle elezioni, campeggiano cartelloni che incoraggiano i cittadini a votare. «La tua partecipazione è il futuro del tuo Paese», come mostrano le foto di reporter locali. Erano quasi cento i candidati in corsa per la presidenza, alcuni tra i più importanti della politica libica. Più di un terzo dei libici si era registrato per votare e la maggior parte aveva segnala-

Saif al Islam Gheddafi, figlio dell’ex rais, mentre registra la sua candidatura alle Presidenziali nel novembre scorso. (Keystone)

to l’intenzione di farlo. Il processo di pace era stato sostenuto con forza dai leader occidentali, dai funzionari delle Nazioni unite che avevano sostenuto le elezioni come unica speranza di riunificare un Paese di fatto spezzato in due dal 2014.

Erano quasi cento i candidati in corsa per la presidenza, tra di loro anche uno dei figli dell’ex rais Gheddafi Eppure, nonostante un anno di sforzi, non si è riusciti a raggiungere posizioni comuni sulle basi legali delle elezioni e i parametri di legittimità dei candidati, tanto che uno di essi era addirittura Saif al Islam Gheddafi, uno dei figli dell’ex rais, ricomparso sulla scena pubblica dopo anni di oblio e nonostante penda su di lui un mandato di cattura internazionale per crimini di guerra commessi durante la rivoluzione del 2011. Le controversie sulle regole fondamentali che disciplinano le elezioni sono proseguite durante tutto il processo, controversie sul calendario elettorale, sulla legge elettorale emanata a settembre dal presidente del Parlamento, sull’eleggibilità dei principali candidati e gli

eventuali poteri del prossimo presidente e del prossimo Parlamento. Gli analisti hanno sottolineato che la spinta internazionale verso il voto del 24 dicembre aveva trascurato questioni cruciali, equilibri e squilibri decennali irrisolti, e ambizioni personali troppo marcate, le quali alla fine hanno fatto naufragare il voto. Per cercare di trovare dei compromessi Stephanie Williams, la diplomatica delle Nazioni unite che ha mediato il processo di pace che ha portato all’accordo elettorale, si è recata in Libia nelle scorse settimane, tornando come inviata dell’Onu. Williams ha attraversato il Paese sperando di riuscire a garantire almeno un rinvio di qualche settimana. Il rinvio di poche settimane sarebbe il migliore dei casi, dopo il fallimento del corrente progetto, ma le voci che si susseguono parlano di un possibile rinvio a tempo indeterminato. La domanda ora non è solo quando potrebbe aver luogo il voto, ma chi, con l’attuale primo ministro ormai sulla porta, controllerà la Libia nel frattempo. A ricordare quale sia la soluzione più rapida dei problemi in Libia sono state una volta ancora le milizie armate, tornate nelle strade la settimana scorsa, alla periferia della capitale Tripoli, a ulteriore dimostrazione che

la prima lingua usata quando i processi politici si dimostrano fragili è quella che la Libia ha conosciuto meglio nell’ultimo decennio, cioè quella delle armi. Martedì scorso carri armati e miliziani si sono schierati in alcune zone periferiche di Tripoli, chiudendo la strada per il palazzo presidenziale in una dimostrazione di forza che non ha portato a violenze, ma ha alzato molto il livello di tensione in città. Inoltre, poiché gli scontri in Libia non esulano mai dalle risorse energetiche, i combattenti delle milizie lunedì scorso hanno chiuso due importanti oleodotti, provocando danni alla popolazione e ingenti perdite alla produzione di petrolio. Mentre le alleanze continuano a muoversi nell’ombra, i cittadini libici aspettano ancora una soluzione per un conflitto a intensità variabile che attraversa il Paese da anni. La possibilità che lo scontento incrociato si trasformi in un conflitto armato è molto alta. Questo racconta di un Paese complesso, ma anche, possiamo dirlo, di una certa superficialità della diplomazia che ritiene di poter nominare un presidente e un primo ministro di unità nazionale prima che siano risolti problemi strutturali del Paese e le sue divisioni interne.

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ATTUALITÀ

Omicron e i pasticci di Boris Johnson Regno unito

La popolarità del premier cala drasticamente tra scandali e fronde interne, ma un’alternativa ancora non c’è

Cancellare il Natale non si poteva, non certo per il secondo anno di seguito, e quindi a Boris Johnson (nella foto) non è restato che giocarsi quel poco di credibilità che gli rimane per implorare i britannici di usare il loro leggendario buon senso durante queste feste pericolosamente in bilico sia da un punto di vista politico che sanitario. «Per ora non pensiamo che ci siano sufficienti prove per giustificare misure più rigide prima di Natale», ha spiegato settimana scorsa il premier in un brevissimo messaggio al Paese, chiarendo di non poter escludere che dopo le feste saranno necessarie restrizioni – «attenzione al Capodanno!» – e implorando la gente di vaccinarsi, di testarsi prima di incontrare i parenti, di tenere la mascherina anche al chiuso, aprendo le finestre il più spesso possibile. Probabilmente il buon senso non è abbastanza in uno scenario in cui da una parte ci sono i contagi alle stelle – il 22 dicembre il numero delle nuove infezioni è balzato per la prima volta da inizio pandemia sopra quota 100’000 – e dall’altra una comunità scientifica secondo cui Omicron infetta di più ed è sì più leggero, con meno rischi di ricovero in generale, ma una volta varcata la soglia della terapia intensiva è letale quanto Delta. Non solo: con i numeri che ci sono, la pressione sugli ospedali è potenzialmente comunque enorme. Gli occhi sono tutti puntati su Londra, dove la situazione è particolarmente incandescente, e dove una volta superati i 400 ricoveri al giorno bisognerà passare a misure più strette per tutto il Paese.

L’anno scorso, mentre molta gente si preparava a trascorrere le ferie in solitudine, il team di Downing street si concedeva un’allegra festa D’altronde Johnson non può fare altro che mostrarsi clemente davanti a un’opinione pubblica che ha preso nota del fatto che l’anno scorso, mentre venivano annullati pranzi e cenoni in tutto il Paese, e molta gente si preparava a trascorrere le ferie in solitudine, il team di Downing street si concedeva un’allegra festa «con vino e formaggio», come confermato tra le risate dalla ex portavoce Allegra Stratton durante una simulazione di conferenza stampa che, una volta resa pubblica, l’ha portata alle dimissioni tra le lacrime. E vino e formaggio sono anche tornati sotto i riflettori con le foto del giardino di Downing street nel maggio del 2020, un altro periodo di assoluto isolamento per i britannici, con diciannove persone, tra cui Boris Johnson e la moglie Carrie, non troppo distanziate che si godevano il sole mentre per il resto del Paese ogni contatto umano era proibito. Il premier ha cercato di spiegare che stavano parlando di lavoro, ma i britannici, esasperati come tutti da due anni di pandemia, sembrano ormai sempre più convinti che ci siano due pesi e due misure, che le regole rigide che valgono per tutti non siano applicate alle persone che le impongono: Boris e i suoi fanno quello che vogliono. La regina Elisabetta, rimasta vedova da poco e quindi esempio perfetto di persona che quest’anno avrebbe più che mai bisogno di un Natale in compagnia, ha deciso di abbandonare il progetto di un festeggiamento allargato a Sandringham, te-

Shutterstock

Cristina Marconi

nuta di sua proprietà, per restare al castello di Windsor come necessaria precauzione alla luce dell’avanzata di Omicron. E soprattutto, si sospetta, per dare quel buon esempio che da leader impeccabile sa di dover dare per mantenere intatta la sua credibilità. A Johnson questo istinto fino ad ora è sembrato mancare. La strategia britannica, dall’inizio della pandemia o quasi, è sempre stata quella del «tutto o niente», dalle metropolitane zeppe di gente senza mascherina ai lockdown infiniti con Londra spettrale e deserta per mesi, nel tentativo vano di accontentare tutti, senza mezze misure. Ma una nuova stretta rischia di rendere ancora più traballante la posizione del premier all’interno di un partito conservatore che vive con insofferenza qualunque restrizione delle amate libertà (come se ci fosse un’alternativa). La protesta più veemente il premier l’ha avuta con le dimissioni di Lord Frost, il falco negoziatore per la Brexit, uscito di scena poiché contrario alla «direzione di viaggio» intrapresa dal Governo su questioni generali come l’assetto del Paese una volta uscito dall’Unione europea e le «misure coercitive» messe in atto nella lotta a Omicron. Su quest’ultimo punto Johnson ha subito una sconfitta parlamentare, a riprova che i Tories continuano a vedersi sempre più come un partito liberista piuttosto che un partito responsabile, come dimostrato già con la Brexit. E anche l’appeal dell’ex sindaco di Londra sta venendo meno, come documenta lo schiaffo ricevuto alle elezioni suppletive nello Shropshire, dove un seggio saldamente in mano ai Tories da 200 anni è finito ai LibDem il 16 dicembre scorso.

Lord Frost, il falco negoziatore per la Brexit, si è dimesso poiché contrario alle «misure coercitive» messe in atto nella lotta a Omicron «Gli assassini prendono tempo», osservano a Westminster, dove tutti si chiedono quale sarà il futuro di un premier che deve contare sui voti laburisti per reggersi in piedi in un

Parlamento più polarizzato che mai. Dalla sua parte ha il fatto che non ci sia un’alternativa chiara, visto che un’eventuale sfida per la leadership si trasformerebbe in una corsa al ribasso sul Coronavirus, una gara a chi

abbraccia la linea più permissiva. Come si è visto sulla Brexit, questo porta a quel particolare tipo di catastrofe che sono le promesse campate in aria, impossibili da mettere in atto nella realtà, vedi caso dell’Irlanda del

Nord, su cui Johnson ormai è diventato una colomba, pronto a fare concessioni pur di sbloccare la situazione delle relazioni commerciali con l’Ue e migliorare i rapporti con l’Amministrazione Biden. In sostanza, fino a quando non si staglierà un’alternativa vera all’inquilino di Downing street continuerà questa situazione di instabilità e attacchi frontali, così simile a quella che toccò in sorte in un tempo neppure troppo remoto a Theresa May. Omicron è l’ennesimo bastone tra le ruote di un premier eletto per il suo ottimismo e la sua facilità nel rialzarsi dalle situazioni più difficili. Secondo il rapporto degli esperti scientifici del comitato britannico per la sicurezza sanitaria, si tratta di una variante sicuramente più contagiosa, anche se i sintomi sarebbero effettivamente più lievi, vuoi per via dei vaccini o per via del fatto che ormai molti britannici hanno già contratto il Covid. Due dosi non bastano, ma con tre il miglioramento nella protezione è significativo. Anche il rischio di ricovero sarebbe, sempre per gli stessi motivi, inferiore. Ma purtroppo, una volta contratta la malattia in forma grave, sarebbe pericolosa esattamente quanto Delta. Il Regno unito, simile all’Italia per popolazione e percentuale di vaccini, sta facendo da cavia in una situazione che angoscia tutta Europa. Annuncio pubblicitario

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ATTUALITÀ

Un presidente che non avrà vita facile Cile

Il neoeletto Boric ha promesso una riforma strutturale della società in senso paritario ma le resistenze interne sono forti

Angela Nocioni

Sorpresa. Nel conservatore e cattolicissimo Cile, con istituzioni e società tuttora irregimentate nella gabbia di norme sopravvissute alla dittatura di Augusto Pinochet (1973-90), dove anche la socialista Michelle Bachelet per governare è rimasta incatenata ai vincoli imposti dalla Democrazia cristiana sua alleata, è stato eletto presidente Gabriel Boric, un trentacinquenne spuntato dalle barricate in fiamme che in due ondate successive, nel 2011 e nel 2019, hanno bruciato le strade di Santiago, di Valparaiso, giù giù fino alle terre sperdute del sud.

Boric ha conquistato la testa del movimento studentesco dopo il 2010, quando si è allontanata dall’università Vallejo Ha stravinto con il 56% dei voti. Nelle elezioni più partecipate da quando, dieci anni fa, è stato abolito il voto obbligatorio. E con 11 punti di distacco dal rivale, Antonio Kanz, un pinochettista nostalgico nonostante abbia 55 anni. Il candidato più a destra che il Cile abbia mai avuto dalla fine del regime militare. Boric ha preso la testa del movimento studentesco dopo il 2010, quando si è allontanata dall’università la ragazza sorta come leader nel 2009, Camilla Vallejo, una trascinatrice, che sorprese il mondo politico latinoamericano attraverso una molto barricadera intervista alla Cnn. Boric a 28 anni è entrato in Parlamento. Non è del partito comunista e non è nemmeno gruppettaro. È stato abile e attento nel presentarsi sempre come uno dei tanti che hanno bloccato Santiago negli ultimi anni di proteste contro l’uscente Governo di Sebastián Piñera, senza atteggiarsi a capo. È figlio di immigrati poveri, viene dalla provincia profonda verso l’Antartide. Al ballottaggio era atteso un testa a

testa con Kanz, al quale si supponeva arrivassero anche tutti i voti di Parisi, l’outsider piazzatosi terzo al primo turno, un trumpiano che non mette piede in Cile da undici anni perché ha un arretrato di milioni di alimenti non pagati ai figli e che ha fatto il pieno di voti al nord grazie alla campagna giocata tutta contro gli immigrati: «Fuori boliviani, peruviani e pezzenti vari dal Cile!». Slogan molto graditi nelle terre settentrionali, le terre arse delle miniere, dove i minatori non sono più gli operai comunitari anti-regime degli anni Settanta, ma immigrati che si muovono in jeep 4x4 e odiano gli immigrati arrivati dopo di loro. Soprattutto se sono venezuelani accampati in tende di fortuna aspettando un passaggio per Santiago. Gente caraibica, caciarona e spiantata. Invasori planati da un altro pianeta. La sorpresa del distacco di Boric sul rivale è stata data dal voto in massa, senza precedenti e non previsto, arrivato da donne e under 30, ma soprattutto dai quartieri marginali da cui si sono mosse a piedi colonne di elettori. Perché la domenica del voto in molti sobborghi poveri della capitale i trasporti pubblici si sono magicamente bloccati. Invece del solito riot di protesta, è partita una lenta marcia verso i centri elettorali. Invece del corri e brucia, un cammina e vota. Fenomeno inedito.

Quelli che Boric rischia di pagare cari e subito sono i voti arrivati all’ultimo minuto dal Partito socialista Boric aveva certi solo i voti, per loro natura incerti, del Frente amplio, rete di sigle nata dopo la rivolta del 2019, e quelli del Partito comunista (che rischiavano di costargli al ballottaggio la perdita di tutto il centro modera-

Il nuovo presidente del Cile con i suoi sostenitori. (Keystone)

to spaventato da Kanz ma terrorizzato dal Pc). Ha guadagnato verso il secondo turno l’appoggio di una parte del Partito socialista. Ma non avrebbe mai vinto se non fosse riuscito a recuperare quella valanga di voti di sinistra per anni naufragati nell’astensione. Nel primo discorso di piazza Boric ha detto che formerà «un Governo con un piede nella strada», ha confermato che abolirà l’odiatissimo sistema dei fondi pensione (osannato negli anni Novanta come modello puro di liberismo classico da imitare) e ha promesso una riforma strutturale della società in senso paritario, cominciando dal sistema scolastico inaccessibile ai non ricchi perché interamente privatizzato. Grande attesa per capire chi farà il ministro delle Finanze (si dice sia disposto a nominarlo subito) chi farà

il ministro dell’Interno (tumulto nel Pc e nel Frente amplio accusati di non aver mai condannato davvero le violenze nei riot degli ultimi 2 anni) e chi farà ministro degli Esteri (e lì i comunisti hanno già detto che la diplomazia la farà il presidente dalla Moneda, così da non dover rivedere i loro rapporti con i regimi in Nicaragua, Venezuela e Cuba, rapporti troppo fraterni perché non vengano comunque rinfacciati al neopresidente il quale può solo sperare che ad ottobre vinca Lula da Silva le presidenziali in Brasile per poter contare su una robusta sponda). Quelli che Boric rischia di pagare cari e subito sono i voti arrivati all’ultimo minuto dal Partito socialista. La sempreverde Isabel Allende, presidente dei socialisti, già spuntava a mezz’ora dal risultato da tutti i tele-

giornali con grandi smanie di tornare protagonista. In Cile la differenza sociale è perpetuata dal funzionamento del modello di studi universitari adottato finora. Un laureato entra nel mercato del lavoro con 30 o 40 mila dollari di debito da restituire alle banche che gli hanno erogato il prestito scolastico per accedere alle prestigiose università di Santiago. È quello il soggetto sociale che ha travolto la destra a Santiago, la destra più conservatrice e più razzista d’America. Una destra che però resiste. La sera prima del voto il capo degli industriali diceva alle tv in disperato appello al voto: «Se vince Boric in Cile si instaurerà la dittatura del proletariato»… La guerra contro il Governo nato dalle barricate universitarie sarà senza esclusione di colpi.

Dalla guerriera dei vaccini all’esploratore di Marte Ritratti

La rivista scientifica «Nature» evidenzia dieci figure che hanno contribuito al progresso del pianeta nel 2021

Romina Borla

La guerriera dei vaccini, la «detective» del cambiamento climatico, l’esploratore di Marte e la protettrice dei popoli indigeni. Sono solo alcune delle storie selezionate da «Nature», una delle più antiche e importanti riviste scientifiche al mondo, per illustrare i progressi e le scoperte che hanno caratterizzato il 2021. Non si tratta di una classifica ma di una lista compilata dai redattori del settimanale: «Nature’s 10». Partiamo da Tulio de Oliveira. Bioinformatico di origini brasiliane, direttore del Krisp – piattaforma sudafricana di innovazione e sequenziamento – il 25 novembre scorso è riuscito a individuare la variante Omicron che tanto spaventa il mondo in queste settimane. Aveva già scoperto la Beta. «De Oliveira sapeva che segnalando un’altra variante correva il rischio di attirare nuove “sanzioni” che avrebbero penalizzato economicamente i Paesi dell’Africa meridionale. Ma sapeva anche che era la cosa giusta da fare». Che dire poi dell’ugandese Winnie Byanyima? Direttrice esecutiva dell’agenzia per l’Hiv e l’Aids non-

ché sottosegretaria generale delle Nazioni unite, si batte per l’uguaglianza nell’accesso ai vaccini anti-Covid. Lei sostiene che la comunità internazionale deve aiutare le aziende nel Terzo e Quarto mondo a produrre i preparati e a distribuirli. Ma Big pharma non cede sui brevetti e così, mentre i Paesi ricchi somministrano terzi e quarti richiami, «solo il 6% circa delle persone

Diversi personaggi messi in rilievo da «Nature» hanno un ruolo nella lotta contro il Covid. (Shutterstock)

nei Paesi a basso reddito ha ricevuto una singola dose». Rimaniamo in tema Coronavirus. Meaghan Kall, un’epidemiologa del Governo britannico, sfrutta da mesi il suo profilo Twitter per spiegare al mondo gli sviluppi della pandemia e le scelte delle autorità in materia di salute pubblica. La sua iniziativa personale non è stata ostacolata e lei, in un mare di notizie contrastanti e preoccupazione, è diventata un punto di riferimento per i britannici. Poi c’è Janet Woodcock, medica, commissaria della Food and drug administration (Fda) degli Stati uniti e per molti anni direttrice del Centro per la valutazione e la ricerca sui farmaci (Cder). Secondo «Nature» ha ricoperto un ruolo fondamentale nella modernizzazione della Fda, introducendo nuovi strumenti per migliorare la tempestività e la trasparenza delle procedure, nonché la sicurezza e l’efficacia dei medicamenti. La rivista evidenzia anche gli sforzi di Friederike Otto, ricercatrice al londinese Grantham institute for climate change and the environment e

guida del gruppo World weather attribution, che ha studiato il ruolo del cambiamento climatico indotto dalle attività umane nelle ondate di calore negli Usa e in Canada (luglio), nelle devastanti alluvioni estive in Germania e Belgio, nel gelo in Francia (aprile) e nella persistente siccità in Madagascar. Nata in un villaggio senza elettricità delle Filippine, Victoria Tauli-Corpuz è da diversi decenni funzionaria dell’Onu. Dal 2015, in particolare, è la figura di riferimento per i diritti dei popoli nativi e da sempre si batte perché questi abbiano un ruolo chiave nell’ambito della protezione delle foreste e della biodiversità. Guillaume Cabanac, scienziato informatico dell’Università di Tolosa (Francia), ha elaborato uno strumento in grado di individuare nei paper scientifici quelle che chiama «frasi torturate», ovvero espressioni imprecise usate per copiare i risultati di ricerche senza che il plagio sia riconoscibile («malignità nel petto» invece di «cancro al seno» per esempio). Invece Timnit Gebru, nata in Etio-

pia da genitori eritrei, dopo essere stata licenziata da Google nel dicembre 2020 ha fondato un istituto indipendente per studiare l’etica nel contesto dell’intelligenza artificiale. Gli errori degli algoritmi non sono tecnici, afferma, sono piuttosto espressione dell’ambiente «difettoso» e pieno di discriminazioni in cui la tecnologia viene sviluppata. Mentre John Jumper e i suoi colleghi del laboratorio Deepmind a Londra hanno ideato e brevettato Alphafold, uno strumento che utilizza l’intelligenza artificiale per prevedere le strutture delle proteine con un’accuratezza senza precedenti. Secondo alcuni esperti, «Alphafold cambierà il volto della biologia moderna». Infine usciamo dall’orbita terrestre con un esploratore spaziale. Zhang Rongqiao è l’ingegnere a capo della prima missione cinese arrivata su Marte il 15 maggio scorso, dopo un viaggio di 475 milioni di chilometri e pieno di pericoli. «La Cina è la seconda Nazione dopo gli Stati uniti a riuscire ad installare un rover sul Pianeta rosso», scrive «Nature».


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azione – Cooperativa Migros Ticino

L’economia cresce, ma anche l’inflazione

ATTUALITÀ

PRO SENECTUTE

informa

Politica monetaria Le banche centrali costrette a rivedere la propria strategia, ma con prudenza, mentre la Banca Nazionale Svizzera mantiene le sue posizioni e difende il franco contro una eccessiva rivalutazione ◆

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Anche Jerome Powell, presidente della FED, affronta l’inflazione con prudenza. (Keystone)

Per aiutare l’équipe nelle attività quotidiane di animazione e nel servizio alla caffetteria. Contatto per candidatura e informazioni: Servizio Volontariato Pro Senectute Tel. 091 912 17 17 volontariato@prosenectute.org

La FED americana ha annunciato una serie di rialzi del tasso di sconto per contrastare un’inflazione giunta al 7% Perfino la Riserva federale americana, con un tasso di inflazione negli Stati Uniti vicino al 7%, si è mostrata prudente, annunciando comunque una serie di rialzi del tasso di sconto, tenendo conto di volta in volta dell’evoluzione del costo della vita. È però probabile che questo strumento principale della politica monetaria americana venga usato spesso e in modo pesante. Lo stesso nuovo presidente ha detto di trovarsi di fronte a una classica spirale prezzi-salari che potrebbe diventare difficile da controllare. L’economia americana progredisce a un buon ritmo, ma si trova confrontata con un tasso di inflazione che non conosceva da quasi 40 anni a questa parte. Molte indagini constatano anche che i consumi della popolazione crescono pure a ritmo elevato. Grazie anche a un aumento dei salari che è ormai vicino al 5%. Alcuni economisti vedono avviarsi, in questa situazione, una classica spirale prezzi-salari, che le autorità monetarie faticano a contenere. C’è perciò chi teme nuove spinte al rial-

zo sui prezzi e se le autorità monetarie non si muovono per tempo, e con efficacia, rischiano di trovarsi in una situazione simile a quella degli anni Sessanta: prima un certo attendismo, e poi interventi pesanti. Anche allora, come oggi, si pensava che l’inflazione fosse temporanea e quindi si sarebbe ridotta sul medio-lungo periodo. Oggi si vedono due fattori che possono influire pesantemente sulla situazione. Da un lato la nuova ondata di epidemia da Covid, dall’altro le difficoltà del governo Biden a realizzare i suoi programmi di interventi statali importanti, con conseguente calo di consensi, proprio all’avvicinarsi delle elezioni politiche di medio termine. Si potrebbero così creare altre difficoltà al partito di maggioranza. In Europa, la Gran Bretagna, che di solito segue da vicino la politica americana, ha già decretato un aumento del tasso di sconto dallo 0,10% allo 0,25%, di fronte a un tasso di inflazione che ha già superato il 5%, provocando un rialzo della sterlina sul dollaro. L’attesa degli osservatori era però concentrata soprattutto sulla decisione della Banca centrale europea, che con Draghi si era lanciata in una politica molto decisa di acquisti di titoli pubblici e privati, a sostegno dell’economia. Anche nel 2021 tale politica ha realizzato acquisti per circa 90 miliardi di euro al mese. Ma anche in questo caso la nuova presidente Christine Lagarde ha dovuto mostrare molta prudenza nel cambiamento. La BCE manterrà molta flessibilità nei prossimi mesi, prolungando gli acquisti fino al 2024 e perfino aumentandoli in caso di bisogno. Non si prevedono attualmente aumenti dei tassi di interesse di base. La BCE ha però dovuto raddoppiare le previsioni

sul tasso di inflazione, portandole al 2,6% quest’anno, al 3,2% il prossimo e all’1,8% soltanto nel 2024. Due fattori contrastano in particolare con l’idea (o la speranza) che il tasso di rincaro rallenti da solo: oltre la pandemia, si tratta da un lato del rincaro dei prezzi dell’energia, dall’altro dei «colli di bottiglia» nelle forniture di materie prime e semi-lavorati, che causano aumenti di prezzi tanto al settore industriale quanto a quello dei consumi. Riflessioni analoghe hanno dettato l’atteggiamento anche della Banca Nazionale Svizzera. Nel nostro paese si prevede una nuova crescita dell’economia (3,5% anche nel terzo trimestre) con un tasso di inflazione che si prevede all’1,4% nell’ultimo trimestre. Le previsioni per il rincaro annuo in Svizzera dovrebbero perciò restare ancora sotto l’1%. La BNS mantiene perciò la politica monetaria in atto, con un tasso di riferimento del –0,75%. Anche secondo i dirigenti svizzeri l’inflazione dovrebbe essere di natura temporanea, così come le difficoltà di approvvigionamento. Per la BNS, la situazione mondiale è però determinante nella politica di difesa di una eccessiva rivalutazione del franco. Se diventa un bene rifugio costringerà la banca a forti acquisti di divise estere sul mercato (euro e dollari soprattutto). Particolare attenzione viene rivolta oggi anche al mercato immobiliare. L’attuale boom edilizio ha provocato una forte crescita dei debiti ipotecari, favoriti anche dai bassi tassi di interesse, ma con un forte aumento dei prezzi, nonostante l’offerta molto elevata. È probabile (ma la pandemia continuerà a richiedere particolari attenzioni) una politica più restrittiva nei prossimi tempi almeno in questo settore.

Desiderate impegnarvi concretamente in un atto di solidarietà rivolto alle persone anziane? Siamo sempre alla ricerca di nuovi volontari. Cosa vi chiediamo? Per le nostre attività di volontariato abbiamo bisogno di: sensibilità, costanza, rispetto, discrezione e tempo (da concordare a dipendenza della disponibilità) Cosa vi offriamo? Siete un aiuto prezioso per noi e non vi lasciamo soli! Dopo un colloquio per trovare l’ambito più adatto a voi, avrete un sostegno costante da parte dei coordinatori. Inoltre avrete diritto a: – Incontri di formazione specifica – Rimborso spese – Coperture assicurative

Contatto: Pro Senectute Ticino e Moesano Via Vanoni 8/10, 6904 Lugano Tel. 091 912 17 17 – info@prosenectute.org Le nostre sedi regionali si trovano anche a: Balerna, Bellinzona, Biasca e Muralto www.prosenectute.org Seguiteci anche su Facebook Annuncio pubblicitario

Gli ambienti economici e finanziari hanno seguito con particolare attenzione le comunicazioni di fine anno delle maggiori banche centrali. L’attesa era soprattutto quella di un cambio di politica monetaria, dovuto soprattutto alle spinte inflazionistiche che l’economia mondiale sta subendo. Era però prevedibile che un nuovo orientamento della politica monetaria avrebbe richiesto molta prudenza. E così è stato.

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CULTURA ●

Nell’intimità di un’immagine Al Musec di Lugano le fotografie del tedesco Hans Georg Berger raccontano di un viaggio di ricerca

Magico Sorrentino È stata la mano di Dio è considerato (e a giusta ragione) un nuovo Amarcord

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Elena Ferrante e il saggio La misteriosa autrice ha dato alle stampe un saggio che è un aperto invito alla riflessione

Quelle nuove povertà Ritorna in forma di articolo il romanzo a puntate di Lidia Ravera per il settimanale «Azione»

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Una rivalutazione di Villa Ciani grazie a La Regionale.

Per un fitto dialogo regionale Mostre

Grazie all’Associazione ACXSI obiettivi puntati sulla sfaccettata produzione artistica ticinese e del Grigioni italiano

Ada Cattaneo

Camminando di sera nel Parco Ciani dispiace vedere le luci della villa spente. Per quella che fu la dimora luganese dei Fratelli Giacomo e Filippo ancora oggi non c’è una destinazione definitiva. Negli anni ha avuto innumerevoli impieghi e sono stati molti i tentativi, da quando è proprietà della Città, di darle un utilizzo stabile, come quando fu sede del Museo Storico ed archeologico (dal 1915 al 1963) o quando in seguito fu impiegata come sede secondaria del museo cittadino d’arte, prima dell’apertura del LAC. Sulla sua destinazione si continua a discutere, ma ciò che non dovrebbe essere mai snaturato è il suo ruolo di casa cittadina della cultura. Sarebbe bello ripensarla come uno spazio sempre aperto, anche per chi è solo di passaggio, magari come Villa Wesendock a Zurigo, edificio appartenente al complesso del Museum Rietberg di Zurigo, che ospita talvolta sezioni della collezione permanente o esposizioni temporanee, ma ogni giorno accoglie i visitatori nelle sale del suo caffè. Villa Ciani ospita fino al 9 gennaio una mostra che certamente ne rispetta e anzi ne incoraggia il ruolo culturale. Si tratta di La Regionale, «prima grande mostra collettiva che riunisce i lavori delle artiste e degli artisti pro-

venienti dal Ticino e dal Grigioni italiano». Raccoglie i lavori di venti artisti selezionati fra le 160 candidature attentamente esaminate da una giuria indipendente di esperti, secondo un meccanismo trasparente e imparziale, che molto sta a cuore agli organizzatori. Sono questi i membri dell’associazione ACXSI (Arte contemporanea per la Svizzera italiana) appositamente fondata da Daniele Agostini, Giada Olivotto, Sibilla Panzeri e Sébastien Peter, tutti storici dell’arte o curatori attivi a vario titolo nell’ambito del contemporaneo. Sempre i quattro membri fondatori si sono occupati di curare l’allestimento delle opere. Gli unici criteri imposti alla giuria erano dare spazio a generazioni diverse, mantenere la parità di genere e lasciare spazio a vari tipi di medium. Il caso ha voluto che dalle ricerche d’archivio dei membri dell’Associazione ACXSI sia emerso che proprio a Villa Ciani negli anni Sessanta e Settanta già si svolgeva una biennale dedicata a opere di artisti ticinesi, precedente fortuito e fortunata concomitanza. Daniele Agostini spiega: «L’idea era già nata prima di scoprire quest’esperienza del passato, ma a cinquant’anni di distanza si torna ad avere a Villa Ciani, da troppo tempo chiusa al pubblico se non per even-

ti estemporanei, una manifestazione che vada nel senso della promozione degli artisti del territorio». Il concetto alla base de La Regionale si rifà alle mostre regionali o cantonali diffuse nel resto della Svizzera, finalizzate a consolidare la scena creativa locale attorno a un progetto, dove si offra agli autori l’opportunità di presentare le proprie opere. Accade per esempio nella regione di Basilea, Mulhouse e Freiburg, a cavallo quindi fra tre nazioni, ma anche con la mostra Lemaniana, durante la quale il Centre d’art contemporain di Ginevra dà spazio alle esperienze artistiche della regione che circonda il Lemano. Molti artisti – un esempio potrebbe essere Ugo Rondinone – che in seguito si sono affermati sulla scena internazionale hanno avuto proprio in queste occasioni i primi momenti di confronto con il pubblico. La collaborazione con istituzioni museali di rilievo, come è avvenuto in questo caso con il MASI, il cui direttore presiedeva la giuria, è poi l’opportunità per convalidare lo spessore culturale delle manifestazioni, oltre che per svolgere l’attività di promozione in maniera organica sul territorio. Sébastien Peter spiega: «Siamo tutti attivi da diversi anni in Ticino, constatando che la

scena è molto frammentata. Il motivo principale è che gli artisti vanno a studiare all’estero o in altre città della Svizzera. Le esperienze artistiche, poi, sono compartimentate entro fasce di età omogenee, ma non ci sono progetti trasversali fra generazioni. La popolazione spesso non conosce i progetti di arte contemporanea, se non nel caso delle grandi mostre, come quelle che si tengono al MASI. Il nostro obiettivo era quindi di creare anche per la Svizzera italiana una manifestazione analoga a quelle delle altre regioni. Anche se non in termini numerici, culturalmente e simbolicamente si tratta di un quarto della Svizzera, che ha bisogno di una sua espressione». Aspetto notevole è quindi anche il dialogo fra autori di generazioni diverse: non è infatti stato posto alcun limite d’età ai partecipanti, consentendo la presenza di autori unanimemente riconosciuti, che hanno da subito aderito con entusiasmo al progetto, e giovani artisti che da poco hanno concluso la formazione e si trovano alle prime esperienze espositive. Dal punto di vista dei contenuti, non si tratta di una mostra tematica. Daniele Agostini spiega che l’obiettivo principale è stato di dare voce ai venti artisti invitati per mostrarne

anche le differenti posizioni: «Come curatori abbiamo cercato di mettere in dialogo alcuni artisti che potevano avere degli elementi assonanti. I limiti erano piuttosto costituiti dallo spazio espositivo e dai medium artistici, ma si è cercato di rispettare sempre le opere, anche talvolta chiedendo l’aiuto degli autori per presentarle al meglio». L’esposizione ritornerà fra due anni, anche grazie al sostegno da parte delle istituzioni culturali cittadine che hanno incoraggiato questa prima edizione. Sempre Sébastien Peter conclude: «È stato anche per noi il modo per scoprire il lavoro di tante artiste e artisti di cui non eravamo a conoscenza. L’ambizione per la prossima edizione è di lavorare di più per rappresentare quello che avviene nel Grigioni italiano. Speriamo che sia anche in futuro l’occasione per riscoprire artisti storicizzati che assumono una nuova luce in dialogo con gli autori più giovani, per fare il punto della situazione e per mettere in contatto le persone». Dove e quando La Regionale, Lugano, Villa Ciani. Fino al 9 gennaio 2022. Orari: gio-ve 13.15-17.45; sado 10.15-17.45. laregionale.ch


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azione – Cooperativa Migros Ticino

Berger, il mondo e l’intimità Mostre

Donne troppo poco normali

Al Musec di Lugano le immagini del fotografo tedesco Hans Georg Berger

Giovanni Medolago

Basterebbero ben pochi ritocchi affinché la biografia di Hans Georg Berger diventasse la sceneggiatura di un film firmato Werner Herzog. La passione per i viaggi, la curiosità di scoprire l’altro, il misticismo, il bisogno della ricerca interiore e la scelta di vivere in un eremo: tutti temi che indubbiamente stuzzicherebbero il visionario regista di Fitzcarraldo. Il titolo – altrettanto herzoghiano – l’ha già scelto lo staff del Museo delle Culture: La disciplina dei sensi. Il Museo, dopo un lavoro di ricerca durato anni e iniziato negli archivi di Berger, dedica un’importante retrospettiva al fotografo bavarese. Classe 1951, proprio a Monaco è stato protagonista della scena culturale della sua città, fondando la Münchener Biennale, Festival für neues Musiktheater. Poi, dal bailamme della metropoli tentacolare, HGB si sposta all’isola d’Elba. Agli inizi degli Anni 70 si impegna nel restauro dell’eremo di Santa Caterina (1620 ca.), divenuto poi un centro d’arte internazionale. Sull’isola toscana, HGB incontra Hervé Guibert, il quale scrive di fotografia su «Le Monde», è tra gli amici più cari di Michel Foucault e Isabelle Adjani e diverrà suo compagno di vita. Si scambiano l’apparecchio fotografico, immortalandosi a vicenda in una serie di ritratti talvolta davvero curiosi. Coglie altresì una natura morta (Madama Butterfly) ricca d’un fascino arcano. La prematura scomparsa di Guibert, nel 1991, interrompe la pace e l’esperienza di Santa Caterina. HGB lascia l’Europa per una serie di viaggi che lo porteranno in Iran, in Thailandia e soprattutto nel Laos. Figlio di madre cattolica e di padre protestante, sin da bambino riconosce come non vi sia una sola religione. La sua apparecchiatura fotografica testimonia il suo interesse per l’islam sciita e per i riti buddisti, la meditazione in primis. «Le mie foto – ha confermato alla presentazione del ricco, poderoso

Carlo Torre Taddei Castelli, Nisportino, Isola d'Elba 1995. (© 2021 Hans Georg Berger)

saggio (400 pagg.) che accompagna l’esposizione – sono parte di un processo culturale». Il legame che riesce a instaurare con molti monaci buddisti è così forte che questi ultimi gli permettono di venir ritratti durante le loro preghiere, certi che dietro l’obiettivo c’è un artista attento a un’etica basata soprattutto sul rispetto. Lo stesso accade in Iran, dove riesce a ritrarre sei ragazze definite «Seminariste» dalla didascalia, le quali gli concedono poi un ritratto in camera look e a volto scoperto, seppur avvolte in un largo drappo nero. Nel loro sguardo, HGB sembra cercare un’altra visione del mondo, curioso di scoprirla e pronto forse a condividerla. Va rilevato come, nella sezione intitolata «La gioia della conoscenza», ci si-

ano solo soggetti intenti alla lettura e alla discussione del Corano. Lasciato il Paese degli ayatollah, Berger si sposta in Egitto, concedendosi una parentesi che riecheggia il pittorialismo, felicemente coniugato nel suo pervicace bianco&nero. Approda quindi in Asia, più precisamente sulle rive del tristemente noto fiume Mekong. Nella serie «Notturni», le pagode sul fiume sembrano sospese nello spazio, le candele illuminano visi coinvolti in Giochi sacri e – quasi moltiplicate all’infinito – creano «Fragili templi di luce». Uno spazio particolare è dedicato dal Museo delle Culture alla Ricerca della sensualità, una serie di nudi maschili che in una sala circondano la statua di Giacomo Manzù Odisseo.

CULTURA

«È il racconto intimo – sottolinea il Direttore del Museo Francesco Paolo Campione – di storie d’amore vissute in prima persona da Berger», il quale non ha mai fatto mistero della propria omosessualità. Una fotografia davvero condivisa, quella di Berger, che diventa strumento d’indagine e di profonda introspezione; che ci invita a spingerci al di là dell’inquadratura e del semplice compiacimento estetico. Ci aspettano emozioni e interrogativi.

Smart TV ◆ Il ruolo femminile nelle serie poliziesche Marco Züblin

Sul tema dei diritti delle donne siamo almeno parecchio confusi, per non dire altro. Al netto della bassa macelleria delle esternazioni paleo-misogine e neandertaliane, delle allucinanti battute da caserma sdoganate allegramente in access prime time a proposito di costumi da bagno e di sederi femminili, e delle dichiarazioni d’occasione di credibilità di grado zero, vi è un problema di identificazione di uno «specifico femminile» e di sereno e fecondo confronto con esso, un problema che ha puntuale effetto sulla capacità di metabolizzare la dinamica dei rapporti tra i sessi. Nello specifico del poliziesco televisivo, da un po’ si assiste a un fiorire di protagoniste donne, che da sponde diverse (polizia, medicina legale, magistratura) risolvono casi, per lo più facendo fare figure marroni ai loro colleghi maschi, che il plot puntualmente imprigiona in uno schematismo un po’ stolido e binario, e che quindi vengono puntualmente messi alla berlina dalle protagoniste. Già ho detto qui della straordinaria Vera, che in questa galleria è in più o meno buona compagnia con – per qualche esempio, tra i mille possibili – Petra (omonimo, TV8, un raro esempio di serie di qualità ben superiore ai libri da cui è tratta), Alexandra (Alexandra, Giallo), Chloé (Profiling, Cielo/Giallo), Stella (The Killing, RSI),

Dove e quando La disciplina dei sensi, Fotografie di H.G. Berger, Lugano, Museo delle culture (Villa Malpensata); fino al 14 gennaio 2022. Per informazioni: musec.ch

Quando Germania era in Ticino Pubblicazioni

L’omaggio al Monte Generoso di Orlando Casellini

Mireille Enos è la protagonista di The Killing.

Eliana Bernasconi

In un presente che azzera le distanze spaziali e velocizza informazioni e comunicazioni, la generazione nata negli anni 40 è l’ultima che ancora ricorda e custodisce tempi trascorsi. Ne è una testimonianza la lettura di Germania e ritorno, sottotitolo Generoso come una montagna, il libro di Orlando Casellini. Si tratta di un appassionato viaggio in un passato che non è un ricordo nostalgico, ma una felice riattualizzazione dei tempi che ci hanno preceduto nella geografia di spazi e luoghi che per sempre abiteremo. L’autore è riuscito a raccogliere narrazioni dalla viva voce di persone vissute sulla montagna e nel territorio sottostante, che definisce «generoso come il monte che lo sovrasta» e le restituisce fedelmente. Il nome «Germania» non va equivocato, come spiega Ottavio Lurati in La scoperta del Generoso: «Germania» è il nome dell’alpe situata sulle vette alte del Generoso occupate dai Longobardi nel 518 d.C., che da qui controllavano il fondovalle e la valle di Muggio, chiamati appunto Germani. Il ritorno da Germania, frazione di Muggio, narrato con sottile umorismo, è il drammatico eroico rientro da un lungo pranzo di nozze che ebbe luogo in un

lontano inverno. Tra sontuose libagioni, brindisi, fiaschi di vino, capponi e bolliti prodotti dalla mazza del maiale, tra i canti e il vociare che si protrassero nel pomeriggio, nessuno si era accorto che fuori il tempo era cambiato e la neve imperversava. Quattro invitati, malfermi anche per le ragguardevoli bevute, con i leggeri abiti festivi indossati per la cerimonia e gli zoccoli nuovi comperati per l’occasione, furono costretti a intraprendere una memorabile discesa nel freddo e nella bufera.

Troviamo anche le testimonianze raccolte dalla viva voce dell’Agnese di Scudellate, nell’alta Valle di Muggio che per lunghi anni gestì con il marito l’Osteria Manciana con la botteguccia e l’annesso prestino, luogo di incontro e riferimento per la valle. La coraggiosa Agnese faticosamente risaliva un giorno in valle guidando un mulo su un carretto a due ruote, carica di farina per il pane, quando a metà percorso fu sommersa da una valanga. Lei e il mulo riemersero con l’aiuto degli abitanti del villaggio subito accorsi, poi si radunarono tutti in osteria davanti al camino, commentando l’accaduto con numerosi grappini. Divertenti sono gli aneddoti e i gustosi ritratti di personaggi, quando la stufa serviva da cassaforte per nascondere le banconote, le capre con i loro capricci tiranneggiavano i padroni e il solo sistema per trasportare al piano il legname era il mulo. Nella parte finale del testo alcuni racconti frutto di fantasia sono ambientati 500 anni fa, dalla leggenda del Torrione fra le antiche mura del castello «Rusconi» veramente esistito, ai sogni di una trota della Breggia, all’incontro di due giovani mugnai del Ghitello. Questi tre

racconti erano usciti in edizioni separate a cura della Tipografia Progetto Stampa di Chiasso, con i disegni degli allievi delle Scuole elementari e medie. Da segnalare anche le illustrazioni in bianco e nero di Giulia Soeima, in arte Soe, sfumate immagini di sogno ottenute con una inedita tecnica di penna a sfera e grafite. Da inizio anni 80 Orlando Casellini è stato fra i maggiori difensori dei luoghi di cui scrive, preservando la loro l’integrità da molti attacchi, è ad esempio a lui e ad altre persone che dobbiamo la Fondazione del Parco delle Gole della Breggia. Non mancano nel libro brevi poesie sull’acqua o sulla terra. All’inizio del libro, nel capitolo «Strade di polvere», una ci riconduce al primo felice incontro con i luoghi che ama: A Rita «Respirai strade di polvere / e dietro i muri rossi di mattone / scoprii un labirinto dove perdermi. / Per capire cosa si nascondeva / dentro la nebbia mi innamorai / di te e del tuo Mendrisiotto». Bibliografia Orlando Casellini, Germania e ritorno, Lugano, Fontana Edizioni, 2021.

Carrie (Unforgettable, RSI/TV8), Florence (Art of crime, RSI), Saga (Bron Broen, RSI), Blanca (omonimo, Rai1), Alice (Alice Nevers, Giallo), Morgane (HPI, Rai1), Allison (Medium, RAI). Tutto bene, si dirà. Se non che lo «specifico femminile» si declina troppo spesso nelle forme della malattia e della devianza, testimoniando così che agli occhi dei produttori tv l’inquirente donna ha diritto di cittadinanza solo se è portatrice di diversità, spesso patologica. Di qui il fitto campionario di scarti dalla norma: da più o meno gravi patologie psichiatriche, a doti soprannaturali, a cecità traumatiche, e via elencando. La sensazione è che si farà un passo utile verso un pensiero veramente inclusivo anche nei media riuscendo a identificare una narrazione rispettosa, che permetta ai personaggi femminili di accamparsi con le proprie umane e normali specificità psicologiche e comportamentali, e non come fenomeni da baraccone che hanno diritto di esistenza mediatica solo con il viatico di una sorta di diversità circense.


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Sorrentino l’estetizzatore Cinema

CULTURA

Bruna Rossi e Giorgia Senesi in Farfalle.

Nel nuovo film molti riconoscono il Maestro Federico Fellini

Simona Sala

In qualche modo è un po’ come se vi fossero due Italie. Da una parte quella che tutti, italiani compresi, deplorano, fatta di lungaggini, sotterfugi e tirareacampà e che dà l’idea di un infinito immobilismo (un esempio per tutti, fra i più recenti, è quello del 13 dicembre, giorno in cui la Camera avrebbe dovuto discutere del suicidio assistito ma, in un’aula deserta e di fronte ad appena 15 deputati, si è vista costretta a rimandare il dibattito). Vi è poi un’altra Italia, che sembra avere una marcia in più e, fatto forse ancora più rilevante, si rivolge non solo alla Penisola, ma al mondo intero. L’Italia da esportare, verrebbe da dire, quella che tiene alti i cliché della creatività e dell’inventiva, che reitera la sua fama di cultrice di tutto quanto è bello, prezioso, e che rappresenta l’avanguardia. Di esempi in questo senso nei mesi scorsi ne abbiamo visti molti, dal successo planetario dei Måneskin, che riescono a sdoganare il rock in italiano, ad Alessandro Michele, fine conoscitore d’arte che veste celebrità e adolescenti attraverso il brand Gucci, o ancora Zerocalcare, che con la sua verve incondizionatamente libera e un tratto felice e permeato di umanità, da quando è

su Netflix, miete un successo dopo l’altro nei paesi più disparati (Indonesia e Turchia, solo per fare qualche esempio). E poi c’è Sorrentino. Il regista che manda in visibilio le platee del mondo, che porta i critici a scomodare Fellini (La grande bellezza starebbe a La dolce vita, così come È stata la mano di Dio sta ad Amarcord) creandogli non poco imbarazzo («tutti noi venuti dopo di lui siamo solo dei volgari imitatori») e a coniare neologismi. A.O. Scott infatti, in un articolo apparso il 14 dicembre sul «New York Times», ha definito il regista napoletano poco più che cinquantenne, «a compulsive, unabashed aestheticizer», ossia un estetizzatore imperturbabile e compulsivo. Paolo Sorrentino, in quello che è senza dubbio il suo film più personale e intimo, È stata la mano di Dio, per il quale ha dovuto fare il doloroso esercizio di aprire lo scrigno dei propri ricordi, nel film è Fabietto Schisa (un grande Filippo Scotti), sensibile adolescente napoletano, con un fratello che si culla in velleità artistiche (vuole fare l’attore), un padre poliinnamorato (Servillo… che fa Servillo, in modo eccellente), una madre che Servillo, Saponangelo e Scotti sulla locandina del film.

adora gli scherzi (Teresa Saponangelo: frizzante, dolce) e uno stuolo di zie, una più gonfia e pettegola dell’altra, fra cui però ne spicca una in particolare, diversa e fonte di ogni turbamento puberale: Zia Patrizia, una Luisa Ranieri che è l’incarnazione della procacità italica nella sua accezione migliore. Fabietto pensa a fare l’adolescente, fra le corse pazze in Vespa con i genitori sul litorale partenopeo e le scommesse su Maradona El Pibe, che si mormora stia per essere acquistato dal Napoli. E via con i commenti a voce alta su parenti e calcio, gli assembramenti davanti ai televisori degli Anni 80 per vedere le partite ed esultare insieme alla città intera, i ritrovi di famiglia con le mangiate allo sfinimento: Fabietto ama la sua vita. Ma proprio sul più bello, quando l’età per definizione dovrebbe ancora dilazionare quei tormenti che con l’adultità si fanno crucci e problemi, un colpo di scena spezza il sereno fluire esistenziale di Fabietto, di colpo orfano, di colpo obbligato a crescere, pur non avendo ancora nemmeno imparato come si piange. È qui che entra in scena l’estetizzatore, palesandosi là dove il dolore diventa un’opera d’arte (nello smarrimento di Fabietto e negli occhi persi di Zia Patrizia, nel candelabro rovesciato a terra), dove i difetti dei parenti vengono dipinti con veloci pennellate in barba a ogni forma di political correctness, dove si comincia a respirare odore di archetipo. A volte guardando un film di Sorrentino, si restava con un senso di incompiutezza, che perdurava parallelo alla scia di bellezza suscitata da certe riprese e immagini. Ora invece, e di nuovo si respira una Grande bellezza, si ha l’impressione di avere compiuto un giro di boa insieme a uno dei registi più visionari e ironici della nostra epoca, e a togliere il fiato durante la visione del film saranno proprio le immagini di Napoli, che finalmente Sorrentino è riuscito a raccontare, rendendole l’omaggio dal cuore che essa merita.

Una complessa sorellanza

In scena ◆ Al LAC Lasciti da Natalia Ginzburg, al Foce Farfalle di Emanuele Aldrovandi Giorgio Thoeni

La scena teatrale luganese è in pausa. Riprende fiato prima del passaggio al nuovo anno senza però aver lasciato a bocca asciutta gli appassionati. Nonostante persista l’incubo di rimanere nuovamente intrappolati dalla pandemia. Nel frattempo può capitare che in un’unica serata le proposte facciano correre da un punto all’altro della città per seguire spettacoli che non saranno replicati e che non si vuole perdere. Come nel caso di Lasciti e Farfalle che la stagione del LAC aveva previsto concomitanti. La prima, in scena nella sala del Teatrostudio del grande polo culturale. La seconda, con il margine di una manciata di minuti dal suo inizio, sul palco del Teatro Foce. La notte ceresiana poco trafficata ha però favorito una veloce (ma disciplinata) trasferta seguendo il lungolago. Così, senza troppa ansia, con un po’ ritardo e un leggero disappunto, ci siamo riusciti. Farfalle, scritto nel 2013, è stato vincitore del Premio Hystrio 2015 e del Mario Fratti Award 2016. Non fa più parte delle novità, ma meritava di essere visto per la sua formula drammaturgica e per l’interpretazione. Scritto e diretto da Emanuele Aldrovandi, una delle giovani penne teatrali fra le più innovative e brillanti del panorama italiano, racconta di due sorelle unite da una sorta

di gioco di ruolo scandito da una collana a forma di farfalla che, indossata a turno, permette di comandare su quanto accadrà, orientando così il destino. Un’idea semplice e geniale, sufficiente per sviluppare il racconto di una serie di accadimenti che accompagnano le sorti delle due sorelle. Narrazioni di vita e esperienze private sulle quali si cimentano Bruna Rossi e Giorgia Senesi, le attrici in scena, bravissime, già note al nostro pubblico. Un duetto ricco di sfaccettature per una dimensione intima che è anche un’ironica e spietata indagine su una femminilità talvolta crudele. Quello di Aldrovandi è un testo maturo, sorprendente e carico di verità in cui il rapporto consanguineo può trasformare la sorellanza in una simbiosi di scomode realtà. Insomma, ne valeva la pena. Su Lasciti della compagnia di teatrodanza Sonenalé visto al LAC avevamo invece molte aspettative. Prendendo spunto da Lessico famigliare di Natalia Ginzburg, lo spettacolo vedeva in scena tre danzatori: Riccardo Fusiello, Alessandra Gaeta e Agostino Riola. Interno semplice e oggetti in uno spazio dove movimenti ripetuti e musica raccontano l’intimità casalinga con movimenti ben controllati ma insufficienti a creare emozioni. Peccato. Annuncio pubblicitario

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CULTURA

Prima di ogni cosa, la parola Saggi

La misteriosa Elena Ferrante ci offre una raccolta di preziose riflessioni

Laura Marzi

I margini e il dettato di Elena Ferrante per le edizioni e/o raccoglie quattro testi inediti della scrittrice napoletana, di cui ancora non si conosce la reale identità. Si tratta di tre lezioni che ha tenuto per la cittadinanza di Bologna, in occasione delle «Umberto Eco Lectures» e di un breve saggio composto per la chiusura del convegno Dante e altri classici, tenutosi quest’anno, per la celebrazione del settecentenario della morte del poeta. Gli estimatori e le estimatrici di Ferrante non rimarranno delusi leggendo questi testi che, pur dimostrando una profonda conoscenza della storia della letteratura occidentale e quindi una cultura ampia e raffinata, non diventano mai difficili, non perdono mai di vista il lettore e la lettrice. Ferrante prende le mosse da un’esperienza condivisa in molti paesi di questo lato del mondo e trasversale a diversi approcci scolastici: la presenza delle righe e dei margini nei quaderni con cui si impara a scrivere, la necessità di instradare da subito questa abilità, tanto scontata quanto divina, di tracciare segni che poi diventano senso, entro dei limiti spaziali ben definiti. I margini, ricorda Ferrante riportando una foto del suo quaderno delle elementari, erano infatti di colore rosso, per indicare l’infrazione che avrebbe comportato oltrepassarli. Nella prima lezione, quindi, intitolata La pena e la penna, l’autrice si concentra sulla dicotomia tra una scrittura instradata, piana, che scorre entro le righe e i margini imposti e quella che, invece,

impetuosa, arriva incontrollata: «irrompe dopo pagine e pagine e avanza strafottente senza stancarsi, senza soffermarsi, non badando nemmeno alla punteggiatura, forte solo del suo stesso impeto. Poi di colpo mi lascia. Ho scritto per buona parte della mia vita pagine lente solo nella speranza che fossero preliminari e che arrivasse presto il momento di quello scatto inarrestabile». Questa ambivalenza, tra uno stile accettabile, che permette di scrivere romanzi leggibili, anche ammirabili e una scrittura che invece prende possesso non solo della pagina, ma anche della personalità di chi scrive, ritorna nella terza lezione intitolata Storie, io, in cui Ferrante stabilisce una differenza tra «gli scrivani» e chi invece crea delle opere di letteratura imperdibili. La scrittrice mette in guardia, però, rispetto all’idea che, anche per le grandi autrici e i grandi autori, sia possibile comporre testi nuovi: rifacendosi, infatti, a un concetto caro alla critica letteraria del ’900, Ferrante ribadisce come non si possano possedere le parole, che esistono prima di ogni testo e lo supereranno. In I margini e il dettato troviamo poi il racconto di come sia nata l’idea della relazione tra Lenù e Lila, su cui si fonda la quadrilogia de L’amica geniale, di cui le due donne sono protagoniste. Ferrante racconta di avere avuto un momento di difficoltà, di vero e proprio blocco, dopo la scrittura de La figlia oscura, che chiude il trittico di romanzi composto inoltre da L’amore

Profondo e di lettura scorrevole.

molesto e I giorni dell’abbandono. Questi tre testi sono ugualmente incentrati su una donna, che si muove da sola nel mondo, in una condizione di totale isolamento e alienazione. Il passaggio al racconto della relazione, che conno-

ta la quadrilogia, è avvenuto, scrive qui Ferrante, grazie alla lettura di un caposaldo del femminismo italiano: Non credere di avere dei diritti (Rosenberg & Sellier, 1987). Si tratta di un testo che raccoglie le esperienze del ritorno

a scuola di donne che, grazie al femminismo, decidono di prendere la licenza media. Sono per lo più casalinghe, madri, mogli. A ispirare Ferrante è la coppia di amiche Emilia e Amalia, di cui aveva già scritto la filosofa Adriana Cavarero: Emilia ha una storia di vita molto intensa, di cui parla spesso, per questo Amalia decide di scriverla per lei e di donargliela. Da questo rapporto di amicizia fondato sulla condivisione di una storia e di un’unica scrittura, Ferrante ha tratto ispirazione per raccontare di come Lenù cerchi per anni di riprodurre la bellezza e la forza della scrittura di Lila, che da parte sua la istiga a procedere negli studi, che lei ha dovuto abbandonare. Scopriamo, inoltre, che il titolo della quadrilogia le è stato ispirato da Autobiografia di Alice Toklas e dall’audacia di Gertrude Stein, che non esita in questo romanzo ad autodefinirsi un genio. Il testo su Dante, che conclude il volume, mostra, nonostante la complessità della materia, la stessa chiarezza che caratterizza le parti precedenti: una semplicità che sembra dettata prima di tutto dall’amore per i testi, di cui Ferrante parla e che costituiscono i suoi punti di riferimento come scrittrice. In particolare, nella sua analisi dei cambiamenti di Beatrice, da La vita nova a La commedia ritroviamo il gusto e l’attenzione di una studentessa, quella stessa meraviglia. Bibliografia Elena Ferrante, I margini e il dettato, edizioni e/o, pp. 154.

Tutte le lingue del mondo Linguistica

Un saggio pieno di insidie ma anche di fascino e respiro dello studioso tedesco Harald Haarmann

Stefano Vassere

L’impressione lasciata da questa senza dubbio appassionante Storia universale delle lingue. Dalle origini all’era digitale del linguista tedesco Harald Haarmann è quella dell’impresa di una vita, tante e tali sono le direzioni di ricerca e i supporti bibliografici messi in campo (sono ventisette le pagine della bibliografia in appendice e quindici a due colonne quelle dell’indice delle lingue citate). La passione investita in questa opera ha in molti passi il tono sontuoso delle opere definitive e di respiro generale. Di quelle, per intenderci, che ci si può concedere di scrivere solo a una certa età. La sfida è per molti aspetti quasi disperata: si tratta di produrre una concezione d’insieme dello studio del linguaggio in quanto facoltà cognitiva (il saper parlare del genere umano) e contemporaneamente di rendere conto di tutte le lingue di tutte le epoche e di tutte le parti del pianeta. «L’ampia panoramica offre dei vantaggi perché, solo se analizziamo l’origine e lo sviluppo della comunicazione verba-

le in una prospettiva evolutiva, possiamo ricostruire la storia universale delle lingue». Di fronte alla mostruosità dell’ampiezza temporale, l’analisi strutturale delle lingue ha le armi spuntate e permette di risalire di al massimo qualche millennio una vicenda molto più antica. Vengono in aiuto per fortuna discipline che possono disporre dei periodi lunghi: la genetica, che ricostruisce remote migrazioni dei popoli; l’archeologia, che ci restituisce le prime rappresentazioni simboliche nelle caverne; l’anatomia storica e paleontologica degli apparati fonatori, che ci dice che certe performances linguistiche sono possibili solo a partire da un determinato homo in avanti. Lingue su lingue, famiglie linguistiche su famiglie linguistiche, Haarmann ha veramente orizzonti infiniti nel fornirci panoramiche su codici diffusi, lingue meno diffuse, lingue nane con pochi o pochissimi parlanti, raggruppate per logiche geografiche o migratorie comuni. Per scrivere un libro così bisogna avere un orizzonte di let-

ture e di conoscenze vasto e in varie scienze; un’attitudine piuttosto presente nella linguistica del centro dell’Europa fino a gran parte del secolo scorso e della quale Haarmann è degnissimo testimone e profeta. Davanti a esem-

plificazione senza limiti, arditezza concettuale, registro insidioso, accattivante e ambizioso, a un libro del genere si possono perdonare le sviste, che di solito si possono rilevare quando il ragionamento si avvicina a sistemi linguistici e scientifici a noi più intimi. Come nel caso delle trentatré lingue attribuite all’Italia in uno schema alla tabella 17 di pagina 388, decisamente eccessive anche a patto di metterci le minoranze storiche tutelate e qualche lingua di immigrazione. Il prezzo del biglietto è comunque coperto con cose come l’elenco delle varietà sociolinguistiche del latino (elevato, pratico, burocratico, veicolare usato con i non latini, liturgico, familiare, sermo quotidianus dell’uso medio, commerciale, regionale per esempio in Gallia o in Sardegna). Oppure il corredo delle categorie che servono per stabilire il valore di una lingua sul piano globale: numero di parlanti, numeri di parlanti non lingua madre, comunità parlanti multietniche, numero di Stati in cui è lingua uffi-

ciale, uso nei commerci e nella ricerca scientifica, presenza nei curricula di insegnamento internazionali, ruolo di lingua franca nelle comunicazioni, prestigio. E ancora la percentuale distribuita dei parlanti lingua principale e lingua secondaria appresa delle principali lingue del mondo: cinese (94,1% / 5,9%), inglese (58,9% / 41,1%), spagnolo (75,6% / 24,4%), francese (58% / 42%), giapponese (99,2% / 0,8%); un numero maggiore di parlanti assoluti e percentuali reciproche più vicine insieme configurano di regola il successo di una lingua. E infine l’elenco dei parametri per attribuire a un codice linguistico lo statuto di lingua a pieno titolo, che sta a pagina 17. Insomma, un libro importante, il libro importante di una intera esistenza linguistica. Bibliografia Harald Haarmann, Storia universale delle lingue. Dalle origini all’era digitale, Torino, Bollati Boringhieri, 2021. Annuncio pubblicitario

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CULTURA

Le nuove povertà

Feuilleton ◆ Il romanzo a puntate di Lidia Ravera per «Azione» Lidia Ravera

Mentre si affacciava nel buio di quel corridoio troppo lungo, Betta provò a sentirsi magnanima, come facilmente si sentiva quando si sporgeva verso vite molto più corte della sua o molto più lunghe. Non ci riuscì, non con la leggerezza che avrebbe voluto. Pensò che non aveva senso andare dal vecchio, se avesse voluto godere della sua pregiata giovinezza (con lui si sentiva una ragazza) non l’avrebbe spedita a letto come una scolaretta. C’era qualcosa in lui che la metteva in soggezione.

Dopo essere stato ospitato per alcuni anni all’interno di una rubrica, il romanzo a puntate di Lidia Ravera cambia formato Niente di razionale, una sensazione che le fece richiudere la porta, riaccendere la luce nella camera da letto, aprire l’armadio, prendere il vestito rosso cui aveva dedicato uno sguardo breve e indossarlo, sul corpo nudo,

senza la protezione della biancheria intima, gustando la morbidezza del raso e come aderiva ai fianchi, ai glutei, alle cosce. Si sentì bella. E provò un impeto di riconoscenza. Von Arnim, Paolo Von Arnim, mormorò a se stessa, caro vecchio Von Arnim. E decise che sì, doveva ringraziarlo. E offrirgli qualcosa. Scalza, camminando in punta di piedi, sentiva il parquet scricchiolare nel silenzio. Non conosceva l’appartamento, che era molto vasto, e subito il buio la avvolse di nuovo. Si sentì soffocare ed ebbe paura. Decise di tornare di nuovo nella sua stanza, nella stanza che le era stata assegnata e dormire, o non dormire, ma restare lì, quieta, ad aspettare il mattino. E con il mattino l’equanimità che le era stata promessa come una condizione certa. Provò a tornare sui suoi passi, ma non ritrovò più la strada. Vide una lama di luce, sotto una porta chiusa e pensò che doveva essere stata lei a lasciarla accesa, dopo aver indossato l’abito rosso, dopo essersi guardata allo specchio. Si mosse in direzione di quel segnale luminoso, disorientata. Aprì

la porta senza bussare, pensando che l’avrebbe accolta il vuoto della sua camera. Vide Von Arnim, invece, che era a letto, appoggiato a un ordinato schienale di cuscini. Stava leggendo, ma non teneva fra le mani un libro, come ci si sarebbe aspettati da lui, fra le mani reggeva il rettangolo metallico di un lettore elettronico. Lo abbassò lentamente e sorrise a Betta, che restava sulla soglia, la mano ancora poggiata alla maniglia. I piedi scalzi, il vestito rosso, i capelli umidi. «Ti sta bene», disse il vecchio. Betta provò a sorridere, ma, improvvisamente, sentiva freddo. «Mi sono persa», disse, e subito si rese conto che il vestito rosso contraddiceva la sua dichiarazione. Il vecchio si alzò, con un certo sforzo, dal letto. Indossava un pigiama di popeline grigio perla e un paio di pantofole di pelle dello stesso colore. Il leggero profumo che Betta percepì quando lui le fu vicino le fece pensare che, in qualche modo, si aspettasse la sua visita. Tuttavia non la fece accomodare. «Ti accompagno», disse e la scortò fino alla camera che le aveva destinato. Fu Betta, mentre il cuore le batteva forte, a dirgli, sostando sulla soglia: «Nessuno dei due riesce a dormire, mi pare». «Per me è normale, è come se il mio corpo avesse bisogno della luce del mattino per la resa quotidiana del sonno. Mi addormento sempre all’alba. Tu invece devi dormire. Domani avrai una giornata faticosa». «Sì, probabilmente, devo recuperare la mia roba», disse, imbronciata, «e anche mia figlia. Te l’ho detto che ho una figlia?». «Mi hai detto che sei una pessima madre. Ma io mi riservo il diritto di non crederci». Il vecchio le strinse tutte e due braccia, che erano nude e fredde, in una morsa affettuosa, le sfiorò la fronte con un bacio troppo distante per essere davvero paterno e si accomiatò. (26 – Continua)

Andrea Collacino, Marta Cortellazzo Wiel e Natalino Balasso. (Luca Guadagnini)

Il Ruzante di Balasso

Biglietti in palio ◆ Il comico veneto in scena al Teatro di Locarno con una originale proposta

I prossimi 15 e 16 gennaio 2022 il comico italiano Natalino Balasso tornerà a calcare le scene locarnesi con un suo spettacolo. Dopo aver presentato, ormai due anni fa, la sua versione della pièce goldoniana I due gemelli veneziani, Balasso questa volta riprende ispirazione da un altro autore veneto per creare uno spettacolo moderno ma allo stesso tempo legato alla tradizione. Nel suo Balasso fa Ruzante (Amori disperati in tempo di guerre), quindi, l’attore evocherà alcune opere di Angelo Beolco, attore e commediografo padovano del Rinascimento, famoso per aver dato vita al personaggio di Ruzante, un contadino padovano ruspante, famelico e poltrone. Tratto fondamentale di questa proposta è l’elaborazione di un linguaggio originale, una lingua inventata da Balasso che evoca il linguaggio Cinquecentesco di Ruzante unendo il fiorentino antico a espressioni venete dell’epoca. Sul palco,

l’attore e autore è affiancato da Andrea Collavino e Marta Cortellazzo Wiel, mentre la regia dello spettacolo è curata da Marta Dalla Via.

Concorso «Azione», con la collaborazione del Percento culturale di Migros Ticino, mette in palio alcune coppie di biglietti omaggio di Balasso fa Ruzante per la replica di domenica 16 gennaio alle 17.00. Per partecipare all’estrazione basta scrivere un’email, entro le ore 24.00 di mercoledì 29 dicembre, all’indirizzo giochi@azione.ch, con oggetto «Balasso a Locarno» e inserendo i propri dati personali (nome, cognome, indirizzo, recapito telefonico).

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Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. Offerte valide solo dal 28.12.2021 al 3.1.2022, fino a esaurimento dello stock.

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30% 7.–

Pentole delle serie Titan e Prima della marca Cucina & Tavola per es. padella Titan a bordo basso, Ø 28 cm, il pezzo, 29.95 invece di 59.95

Migros Ticino

22.12.2021 15:39:19


Frutta e verdura

Un fuoco d’artificio di aromi

20% 3.60

Arance Tarocco Italia, rete 2 kg

invece di 4.50

15% 1.40 invece di 1.65

Manghi Brasile/Perù, il pezzo

Hit 6.90

IDEALE CON

20% 11.90

invece di 14.90

Capesante M-Classic, MSC pesca, Atlantico nordoccidentale, in conf. speciale, 240 g

23% 1.30 invece di 1.70

Peperoni misti Spagna, 500 g

18% 2.60

Minestrone alla ticinese Ticino, al kg, confezionato

Carote bio Svizzera, sacchetto da 1 kg

invece di 3.20

Migros Ticino

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22.12.2021 15:39:23


Pane e prodotti da forno Più c onte nuto ape rit iv o di S pe r il tuo an Silv e st ro

18% 3.20

Clementine

33% 3.80

Spagna, rete da 2 kg

invece di 3.95

Panini Apéro in conf. speciale, 360 g

invece di 5.70

25% 1.95 invece di 2.60

Uva bianca senza semi Brasile/Sud Africa/Namibia, confezione da 500 g

20% 2.50 invece di 3.15

Migros Ticino

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25% 2.95 invece di 3.95

ai brow nies Consiglio: conferire con del la un tocc o indiv iduale glassa Lamponi Portogallo/Spagna, confezione da 250 g

conf. da 2

Datterino bio Spagna/Italia, vaschetta da 500 g

30% 8.50 invece di 12.20

Miscela per brownies Homemade 2 x 490 g

Offerte valide solo dal 28.12.2021 al 3.1.2022, fino a esaurimento dello stock.

22.12.2021 15:39:40


Carne e salumi

Delizie per il menù di Capodanno

conf. da 2

30% 5.50 invece di 7.90

Cipollata TerraSuisse 2 x 8 pezzi, 400 g

Wienerli M-Classic Svizzera, 5 x 4 pezzi, 1 kg

invece di 1.90

Svizzera, in conf. speciale, 124 g

31% 7.50

Cotechini prodotti in Ticino, per 100 g, in self-service

28% 1.25 invece di 1.75

Fleischkäse IP-SUISSE affettato finemente in conf. speciale, per 100 g

conf. da 2

Luganighetta 2 x 250 g

invece di 11.–

invece di 11.–

20% 1.50

invece di 8.65

Carne secca affettata Tradition

conf. da 2

conf. da 5

22% 8.50

20% 6.90

33% 9.90 invece di 14.80

20% 3.75 invece di 4.70

Prosciutto crudo di Parma Italia, 2 x 100 g

Cappello del prete (Picanha) IP-SUISSE per 100 g, in self-service

Migros Ticino

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22.12.2021 15:38:51


20% Tutta la carne per fondue chinoise Finest, IP-SUISSE

e Con c ar na sv i z z e r

prodotti surgelati, per es. manzo, 450 g, 23.95 invece di 29.95

Hit 5.95

conf. da 2

25% 8.50 invece di 11.40

20% 2.90 invece di 3.65

Fettine fesa di vitello Olanda, per 100 g, in self-service

Carne macinata di manzo IP-SUISSE 2 x 300 g

lia di Pe r c hi ha v ogare frutt i di m

20% Mini filetti di pollo Optigal Svizzera, in conf. speciale, per 100 g

Migros Ticino

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12.75

invece di 16.05

Gamberetti tail-on cotti bio d'allevamento, Ecuador, in conf. speciale, 240 g

Offerte valide solo dal 28.12.2021 al 3.1.2022, fino a esaurimento dello stock.

22.12.2021 15:39:01


Formaggi e latticini

Offerte variegate per buon gustai

20% 1.60

Fontina Svizzera per 100 g, confezionato

26% 1.80

Caseificio Leventina per 100 g, confezionato

invece di 2.45

invece di 2.–

CONSIGLIO DEGLI ESPERTI Il Grana Padano non è parmigiano, ma una varietà indipendente di formaggio a pasta dura italiano. Il periodo di stagionatura è un po' più breve e la sua zona di produzione non è così limitata come quella del parmigiano. Si conserva in frigo. Affinché non secchi, la cosa migliore è avvolgerlo in un panno di cera d'api.

15% Grana Padano per es. trancio, ca. 250 g, per 100 g, 1.85 invece di 2.20

conf. da 2

30% Fonduta Gerber Moitié-Moitié o Original, per es. Moitié-Moitié, Vacherin Fribourgeois e Le Gruyère, AOP, 2 x 800 g, 21.70 invece di 31.–

Migros Ticino

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22.12.2021 15:39:26


Dolce e salato

Addio buoni propositi!

conf. da 12

34% 18.95

conf. da 2

15% 5.40 invece di 6.40

21% 1.25

invece di 28.80

Tavolette di cioccolato Lindt al latte finissimo o al latte con nocciole, per es. al latte finissimo, 12 x 100 g

Panna intera Valflora UHT, IP-SUISSE 2 x 500 ml

20%

conf. da 2

Pom-Bär e Jumpy's Asiago pressato DOP per 100 g, confezionato

invece di 1.60

per es. Pom-Bär Original, 100 g, 1.90 invece di 2.40

szel l con Prodot te a Bischof re patate sv izze

20% 3.50 invece di 4.40

Magdalenas M-Classic marmorizzate o al limone, per es. marmorizzate, 2 x 225 g

Gust o finissim c re mosità e xtro e a

a partire da 4 pezzi

20%

20%

Tutti gli yogurt Excellence, 150 g

Farm Chips

per es. ai truffes, –.80 invece di –.95

al rosmarino, alle erbe svizzere o al naturale, in confezione speciale, per es. al rosmarino, 300 g, 4.45 invece di 5.60

Migros Ticino

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Offerte valide solo dal 28.12.2021 al 3.1.2022, fino a esaurimento dello stock.

22.12.2021 15:39:43


Scorta

Ben forniti per il nuovo anno Ve g ano, con sals a ag rodolc e inte g ra ta

conf. da 2

20% Vegetable Spring Rolls o Oriental Falafel Anna's Best per es. Spring Rolls, 2 x 260 g, 7.50 invece di 9.40

20% Tutto l'assortimento Mister Rice bio per es. basmati, Fairtrade, 1 kg, 4.30 invece di 5.40

conf. da 3

20% Pizze Buitoni surgelate, caprese, al prosciutto o alla diavola, per es. caprese, 3 x 350 g, 11.50 invece di 14.40

25% 3.15

conf. da 3

30%

invece di 4.25

Gnocchi Cicche del Nonno Di Lella 500 g

Tortelloni M-Classic ricotta e spinaci o di manzo, per es. ricotta e spinaci, 3 x 250 g, 7.75 invece di 11.10

Hit 2.–

r o st i r e c o n r a a d i t n R ö s t i p r o a t e sv i z z e r e pat

conf. da 3

Pennette rigate, spaghetti o tortiglioni Agnesi in confezione speciale, con il 50% di contenuto in più, per es. pennette rigate, 750 g

33% 5.90

Rösti Original 3 x 750 g

invece di 8.85

50% Patate fritte o patate fritte al forno M-Classic surgelate, in conf. speciale, per es. patate fritte, 2 kg, 3.90 invece di 7.85

Migros Ticino

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conf. da 6

a partire da 2 pezzi

30%

50%

Tutti i tè e le tisane

Aproz

(prodotti Alnatura esclusi), per es. Tea Time Fantastic Berries, 50 bustine, 1.60 invece di 2.25

6 x 1,5 l o 6 x 1 l, per es. Classic, 6 x 1,5 l, 2.85 invece di 5.70

B o nt à i n i in format o m

conf. da 12

20% Tutti i tipi di caffè istantaneo Nescafé

Hit 5.50

Coca-Cola Classic o Zero, per es. Classic, 12 x 150 ml

per es. Gold de luxe in bustina, 180 g, 8.80 invece di 11.–

20%

a partire da 2 pezzi

30%

Tutte le olive Migros e Polli non refrigerate

Tutte le bevande Migros Bio non refrigerate

per es. olive spagnole nere snocciolate M-Classic, 150 g, 1.90 invece di 2.40

(prodotti Alnatura, Alnavit, Biotta e Aproz esclusi), per es. succo d'arancia, 1 l, 2.45 invece di 3.50

Migros Ticino

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Offerte valide solo dal 28.12.2021 al 3.1.2022, fino a esaurimento dello stock.

22.12.2021 15:39:21


Casalinghi

Un affare pulito in tutto e per tutto

LO SAPEVI? L'imballaggio del decalcificante «Potz Calc» è da ora realizzato al 100% con bottiglie di plastica riciclate, che sono state riportate nei punti di raccolta Migros. Attraverso questa procedura ogni anno è possibile risparmiare 33,3 tonnellate di CO2.

conf. da 2

20% 23.75 invece di 29.80

50% Detersivi Elan in conf. di ricarica, per es. Spring Time, 2x2l

23.95 invece di 48.15

Detersivi Elan, 7,8 kg Active Powder o Color Powder, in conf. speciale, per es. Active

conf. da 2

20% Detergenti Potz o M-Classic per es. Potz Calc, 2 x 1 l, 8.80 invece di 11.–

33% 7.90 invece di 11.85

Carta per uso domestico Twist Professional con opzione mezzo strappo, FSC in conf. speciale, 6 rotoli

Migros Ticino

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Fiori e giardino

Per più colore e gioia in casa , bia l'ac quabi m a c i s o d Q ua n nc he i g am a e r a u q c ri sc ia

a partire da 2 pezzi

50% Tutti gli ammorbidenti Exelia per es. Florence, in confezione di ricarica, 1,5 l, 3.25 invece di 6.50

Hit 13.95

v are i n Pe r c onse r d e le g ant e oe modo sic ure di Natale l e b oc c

Bouquet di rose M-Classic, Fairtrade mazzo da 30, lunghezza dello stelo 40 cm, disponibile in diversi colori, per es. gialle, arancioni e rosse, il mazzo

Picc olo p o pe r il nu r tafor t una o v o a n no

Hit 12.95

Box con bocce di Natale e per bricolage 47 x 34,5 x 23,5 cm, il pezzo

Migros Ticino

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Hit 3.95

Quadrifoglio in vaso di terracotta vaso, Ø 6 cm, il pezzo

Offerte valide solo dal 28.12.2021 al 3.1.2022, fino a esaurimento dello stock.

22.12.2021 15:39:06


Per un Capodanno pieno di gusto 6.90

invece di 19.95

imbattibili del

weekend

750 ml

30% 11.40

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Filetto di salmone senza pelle M-Classic, ASC d'allevamento, Norvegia, in conf. speciale, 380 g, offerta valida dal 30.12.2021 al 2.1.2022

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Salmone dell'Atlantico affumicato, ASC

Tutto l'assortimento Happy Hour prodotti surgelati, per es. cornetti al prosciutto M-Classic, 12 x 42 g, 3.90 invece di 6.50, offerta valida dal 30.12.2021 al 2.1.2022

d'allevamento, Norvegia, in conf. speciale, 300 g

Su migusto.ch/capodanno trovi ricette sensazionali per la festa di Capodanno

Prezzi

Moscato Sélection

rat i: Acc e nt i doorat iv i c ar t ic oli dest ro, pe r e s. lv e pe r S a n S i r i u t i l i z z a b i l i b i c c hi e r i

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Validi gio. – dom.

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Collutori Listerine Ostriche Label Rouge con coltello Francia, 1.5 kg, in self-service

(confezioni multiple escluse), per es. protezione delle gengive Total Care, 500 ml, 4.10 invece di 5.90, offerta valida dal 30.12.2021 al 2.1.2022

Offerte valide solo dal 28.12.2021 al 3.1.2022, fino a esaurimento dello stock

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