Azione 09 del 28 febbraio 2022

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Anno LXXXV 28 febbraio 2022

Cooperativa Migros Ticino

G.A.A.  Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura

edizione

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MONDO MIGROS

Pagine 4 – 5 ●

SOCIETÀ

TEMPO LIBERO

ATTUALITÀ

CULTURA

Lavinia Sommaruga racconta più di 30 anni di impegno per lo sviluppo e la solidarietà

Dietro un’apparente innocenza, luna park, fiere, e parchi a tema soddisfano molti bisogni inespressi

Perché gli Usa non riescono a ridurre la loro dipendenza dal made in China e con quali conseguenze

La pasionaria Zora del Buono che amava Tito è al centro del romanzo famigliare Die Marschallin

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Keystone

Il risveglio dell’Orso

Ucraina, il buco nero dell’Europa Peter Schiesser

L’invasione russa dell’Ucraina ha riportato indietro le lancette del tempo. Siamo ripiombati nel gelo della seconda metà del Novecento, quando Unione Sovietica e Stati Uniti combattevano la loro Guerra Fredda alimentando conflitti armati in tutti i continenti. Solo che questa volta la guerra si svolge su suolo europeo, in una realtà non fondamentalmente dissimile dalla nostra più a occidente. La Pax americana è infranta, il sistema di sicurezza in Europa è scosso nelle sue fondamenta, Putin ha compiuto l’inverosimile e non ha l’aria di volersi fermare. Una guerra si sa come comincia, non come finisce. Le facili conquiste iniziali dei russi, con la loro schiacciante superiorità militare, non sono garanzia di vittoria finale. Ancora è presto per immaginare scenari futuri. Putin vuole occupare l’Ucraina, intera o in parte? Come farà a mantenere il controllo di un paese così vasto? Nascerà una guerra di partigiani, se l’esercito ucraino verrà annientato o si dissolverà? Ricordiamo la seconda invasione americana dell’Iraq nel  e la dichiarazione di vittoria di Ge-

orge W. Bush, cui hanno fatto seguito anni di combattimenti e la conseguente nascita del Califfato islamico; ricordiamo l’invasione russa dell’Afghanistan nel  che finì in un disonorevole ritiro nell’-’. Il presidente russo resta imperscrutabile, ma sembra disposto a tutto. A offensiva cominciata si è espresso duramente minacciando conseguenze gravissime in caso di intromissione della Nato (farebbe uso anche dell’arsenale atomico?). Non dimentichiamo che la sua carriera ai vertici dello Stato russo era cominciata con una guerra ferocissima per riconquistare la Cecenia, con bombardamenti a tappeto sulla popolazione civile, lo stesso ha fatto in Siria. Lo farà anche con un popolo che considera fratello? Gli americani e gli europei non sono disposti a morire per l’Ucraina, un confronto diretto fra la Nato e la Russia viene escluso. Ma siamo solo all’inizio di un periodo nefasto per l’Europa e per il mondo, poiché dove parlano le armi muore il diritto internazionale. Se nel Ventunesimo secolo è ancora possibile una guerra su

suolo europeo, se una grande potenza non si fa scrupolo di bombardare e invadere un paese scatenando una potenza di fuoco senza eguali, chi può ancora sentirsi sicuro di poter vivere in pace? Non i taiwanesi, la cui isola fa gola alla Cina, ma neppure tanto i paesi europei confinanti con la Russia. La conseguenza può facilmente essere un’ulteriore corsa al riarmo. Per noi cittadini dell’Europa è uno shock che infrange le illusioni di un futuro di pace, integrazione, sviluppo economico e democratico sul continente. Oltre alle conseguenze geo-politiche, l’Europa e la Russia subiranno pesanti contraccolpi economici. L’Unione europea nel suo insieme copre con il gas russo il  per cento del suo fabbisogno (la Germania ancora di più), se Mosca chiudesse i rubinetti mancherebbe energia vitale sul continente. Ma anche la Russia va incontro ad un periodo difficile: le sanzioni imposte dagli Stati Uniti e dai suoi alleati la isoleranno economicamente e finanziariamente, colpiscono anche i membri del parlamento russo, l’entourage di Putin e alcune banche, congelando i loro

averi in Europa. Intanto il valore del rublo è in caduta, i russi fanno la coda alle banche per ritirare valuta forte. La speranza è che questo porti alla caduta del presidente russo su pressioni interne al regime. Putin corre un altro rischio: non sappiamo se e quanto la popolazione russa sia favorevole ad una guerra contro i cugini ucraini, e quanto malcontento nascerebbe se si prolungasse e costasse molte vite russe. Nessuno può sapere se questo alla fine si rivelerà il colpo di coda di un regime che sogna di riguadagnare grandezza imperiale, o se l’Europa ripiomberà negli abissi della propria storia fatta di guerre lungo tutti i secoli. Né quali onde sismiche provocherà l’invasione dell’Ucraina nel resto del mondo. Ma sappiamo una volta di più che la realtà non è come la desideriamo. Ora l’Occidente deve compattarsi, e le pesanti sanzioni economiche contro la Russia annunciate simultaneamente lasciano sperare che sia così. Diversamente, si mostrerebbe che il diritto internazionale e l’insieme dei valori su cui si basa non possono più essere difesi.


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SOCIETÀ

azione – Cooperativa Migros Ticino

Gli anziani e l’abitare Un libro della Fondazione Parco San Rocco raccoglie aspirazioni e testimonianze riguardanti la casa per anziani e il benessere di chi vi abita

Generando Il Percento culturale Migros sostiene una rassegna di eventi che esplora ruoli e identità di genere

Ecodisastri in mare aperto Gli sversamenti petroliferi generano una catena di conseguenze ambientali dei quali non è facile tenere traccia

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Ambasciatrice di solidarietà Incontri

Lavinia Sommaruga chiude dopo 33 anni l’ufficio di Alliance Sud nella Svizzera italiana

Matilde Fontana

Lavinia Sommaruga in Niger durante un viaggio organizzato da Swissaid con i parlamentari svizzeri per la campagna «0,7% insieme contro la povertà», nel 2007 (Swissaid/Bertrand Cottet/Strates). In basso, Lavinia Sommaruga oggi.

Lavinia Sommaruga mi apre la porta dell’ufficio di Alliance Sud a Lugano-Besso facendosi largo fra i cartoni del trasloco. In realtà, più che di trasloco, si tratta di una liquidazione totale, per chiusura definitiva. Con il pensionamento della responsabile si esaurisce infatti l’attività di coordinamento delle maggiori ONG svizzere (Swissaid, Azione Quaresimale, Helvetas, Caritas, Pane per tutti, Suisse Solidar e Terres des Hommes) a Sud delle Alpi. Nei cartoni riuniti all’ingresso è raccolta la memoria di oltre  anni di politica di sviluppo: articoli, libri, fotografie, dossier. Da uno salta fuori anche un foulard. È quello che Lavinia indossava il  marzo (Giornata internazionale dell’acqua)  alla sessione delle Camere federali tenutasi extra muros al Palazzo dei Congressi di Lugano. Ai parlamentari la lobbista delle ONG distribuiva allora una bottiglia di cartone con l’appello ad una Convenzione internazionale per una gestione condivisa dell’acqua, bene universale da proteggere e cui garantire accesso a tutti. La Convenzione internazionale è rimasta lettera morta, ma la caparbia attenzione alla tematica dell’acqua ha sortito i suoi frutti a livello locale con l’ormai diffuso «centesimo di solidarietà», quello che comuni e aziende dell’acqua potabile oggi devolvono annualmente a progetti di approvvigionamento idrico scelti nei Paesi del Sud del mondo più bisognosi. Am-

basciatrice alle maggiori Conferenze internazionali sull’acqua a cavallo del passaggio di Millennio, Lavinia Sommaruga aveva lanciato nel  la campagna del «centesimo», portandola in giro per i comuni della Svizzera italiana. L’obiettivo era quello di mettere in pratica il motto «un’azione locale per un risultato globale» e proponeva di versare un centesimo per ogni metro cubo di acqua consumata annualmente a favore di un progetto di approvvigionamento idrico nei Paesi del Sud. L’idea del «centesimo per l’acqua» aveva attecchito subito a Lamone e di anno in anno ha coinvolto decine di comuni e di progetti. Ma non tutte le azioni di una trentennale carriera al servizio delle ONG con il motto «impegno e responsabilità» hanno avuto il successo del cen-

tesimo di solidarietà per l’acqua… «All’esordio dell’attività lobbistica per la Comunità di lavoro delle ONG – racconta Lavinia trovandosi in mano il primo dossier preparato per i parlamentari a Berna – avevo raccolto e organizzato tutte le informazioni utili a convincere i deputati alle Camere ad accettare un progetto che mirava ad aumentare le importazioni di zucchero dai Paesi del Sud, in particolare da Mauritius e Madagascar. Ricordo ancora la delusione quando per soli sei voti la maggiore importazione sostenuta dalle ONG venne sconfitta. Soli sei voti. Allora me ne feci quasi una colpa… forse avrei potuto convincerne sette in più!». Da una sconfitta di misura a una semi-vittoria con l’ultima iniziativa seguita in prima persona, quella per multinazionali responsabili lanciata da un’ampia coalizione di organizzazioni della società civile, accolta dalla maggioranza della popolazione ma affossata dalla maggioranza dei cantoni nel novembre . «In realtà – commenta Sommaruga sfogliando l’ultimo dossier riposto nei cartoni – più che la sconfitta dell’iniziativa che ho sostenuto con Alliance Sud, mi rattrista la dura reazione contro le ONG che l’accettazione popolare ha scatenato fra gli oppositori-vincitori». Tra il primo e l’ultimo dossier archiviato scorrono i ricordi di  anni di impegno per uno sviluppo sostenibile, per il commercio equo, per la parità di genere, per la solidarietà in-

ternazionale. L’emozione più fresca è quella legata alla sessione delle donne dello scorso ottobre a Palazzo federale: «la soddisfazione di aver condiviso la volontà di promuovere una nuova Svizzera, capace di comprendere e affrontare le nuove sfide». Dalle pagine dei primi dossier riemerge una foto: lo scatto del  immortala uno stand promozionale dei prodotti Max Havelaar, il marchio del commercio equo solidale su vasta scala. Un’iniziativa elvetica d’avanguardia che la coordinatrice della politica di sviluppo di Alliance Sud sarebbe poi stata chiamata a illustrare fino alla Camera dei deputati italiana nel . Nella foto scattata nella vecchia filiale della Migros di Besso, Lavinia riconosce e ricorda la ragazza che distribuiva gli assaggi di caffè Max Havelaar: è una degli oltre  giovani e meno giovani che sono passati nel suo ufficio con un piano occupazionale, un piano d’integrazione, uno stage universitario. «Per ognuno di loro preparavo un progetto che potesse aiutarli a sviluppare le proprie capacità o che potesse servire da esperienza pratica dopo gli studi. Alcuni li ho seguiti nelle tesi di laurea sulle tematiche della politica di sviluppo o della giustizia sociale e globale, ad altri ho potuto affidare delle traduzioni retribuite. Nella sede di Lugano di via Besso  mettevamo loro a disposizione dei computer e una volta la settimana la cucina si riempiva per la tradizionale spaghettata…».

Vuotato l’ufficio e inviati i cartoni all’archivio di una delle organizzazioni che compongono Alliance Sud, Lavinia Sommaruga volta pagina. Chissà, qualche futuro progetto per non disperdere la sua vasta esperienza trentennale nel settore non lo esclude, ma il primo pensiero da pensionata lo dedica alla famiglia, ai genitori novantenni a Ginevra. E Roma sarà la meta del suo primo viaggio: la città degli zii Sommaruga, dove anche lei ha trascorso parte dell’infanzia al seguito del papà Cornelio, diplomatico e già presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa. Una famiglia in cui la solidarietà affonda nelle generazioni: ai nonni Carlo Sommaruga e Anna Maria Valagussa sono dedicati due ulivi nel Giardino dei Giusti al Parco Ciani di Lugano e nel medesimo Giardino un altro ulivo è dedicato alla trisnonna Marietta Crivelli Torricelli, la «Mamma dei poveri». La prozia è Carolina Sommaruga, che prima di donare nel secondo dopoguerra la romana Villa Maraini alla Confederazione (oggi sede del prestigioso Istituto svizzero nella capitale italiana), fu un’antesignana della microimprenditoria femminile. E la tradizione di famiglia continua: la figlia di Lavinia, Annalia, laureata in antropologia e geografia si è specializzata in promozione della pace e azione umanitaria e in India ha dedicato una tesi alle sopravvissute alla tratta delle donne. Oggi è cooperante di Comundo in Nicaragua.


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Malattie e disturbi della tiroide: cosa c’è da sapere Medicina

Sintomi, diagnosi e terapie personalizzate di questa ghiandola per un ottimo equilibrio ormonale

Maria Grazia Buletti

«La tiroide è una ghiandola endocrina posta nella regione anteriore del collo, il cui compito principale è produrre gli ormoni tiroidei (T, T) funzionali a tutto il nostro organismo». Il professor Pierpaolo Trimboli, caposervizio di Endocrinologia e Diabetologia all’Ospedale Regionale di Lugano (nella foto, in presenza), definisce questa importante ghiandola a forma di farfalla: «È essenziale in tutte le fasi della vita perché nessun organo o tessuto ne può fare a meno». Gli ormoni tiroidei sono prodotti a seguito della richiesta del nostro organismo, in un equilibrio votato a controllare importanti processi biologici come la regolazione di numerose funzioni metaboliche fondamentali. Per una serie di ragioni, qualche volta la tiroide non funziona come dovrebbe e ciò tocca le donne in maggior misura per rapporto agli uomini, anche a causa della fluttuazione ormonale cui sono soggette nel corso della loro vita.

Stefano Spinelli

«Ad oggi, disturbi della tiroide come gozzo e noduli tiroidei sono molto frequenti nella popolazione, soprattutto femminile, dopo i 40-50 anni» «Alla tiroide sono riconducibili due tipi di disturbi: quelli locali come gozzo, noduli e tumori, e quelli funzionali come iper e ipotiroidismo», afferma Trimboli, spiegando che i campanelli d’allarme per fare capo all’approfondimento medico sono spesso singolarmente riferibili anche ad altre problematiche: «Ad esempio, tachicardia, palpitazioni, insonnia non riconducibile a cause specifiche che si protrae per un lungo periodo, sono sintomi generici che però, se si accompagnano uno con l’altro, potrebbero farci pensare a un cattivo funzionamento della tiroide con eccesso di produzione ormonale». Non è il caso di allarmarsi, ma è importante approfondire anche in presenza di altre manifestazioni locali: «Ad esempio, chi nota una tumefazione nella regione tiroidea o del collo dovrà discutere col medico una visita specialistica atta a individuare eventuali noduli, solitamente benigni pure se esistono più raramente anche tumori maligni». Per quanto attiene alle patologie tiroidee cosiddette locali, «Il gozzo, la cui dimensione può variare, è semplicemente un aumento di volume, spesso piccolo e senza sintomi o fastidi, della ghiandola tiroidea». Quando l’aumento volumetrico è più importante: «È dovuto al maggior fabbisogno di ormoni tiroidei da par-

te del metabolismo che la tiroide non riesce a soddisfare. Allora, l’aumento anche considerevole di volume è un modo per aumentare la produzione di T e T, e potrebbe portare alla compressione degli organi adiacenti (esofago e trachea) con disturbi della respirazione o della deglutizione». Ricordiamo il «gozzo endemico»: «Oramai quasi superato, è riconducibile al passato quando l’alimentazione della popolazione locale delle valli comportava un’importante carenza di iodio; il conseguente malfunzionamento tiroideo conduceva proprio a un aumento della ghiandola per compensare la richiesta ormonale dei tessuti periferici». Il professor Luca Giovanella, Primario Clinica di Medicina Nucleare e Imaging Molecolare EOC (nella foto, in video), spiega invece l’origine dei noduli tiroidei diagnosticabili e all’occorrenza trattati con isotopi radioattivi in Medicina nucleare: «Sono vere e proprie tumefazioni: formazioni solide (o in alcuni casi piene di liquido) che si formano all’interno della ghiandola». Egli li annovera fra le più frequenti malattie tiroidee, sebbene quasi sempre benigni (solo il - per cento dei casi ha caratteristiche maligne: tumori della tiroide): «Ad oggi, disturbi della tiroide come gozzo e noduli tiroidei sono molto frequenti nella popolazione, soprattutto femminile, dopo i -

anni. Riconducibili spesso alla carenza di iodio (elemento importante che condiziona la produzione di ormoni e il buon funzionamento della tiroide, ndr), le patologie e i disturbi legati a questo organo si potrebbero prevenire con un sano stile di vita a partire da dieta, controllo del peso e movimento adeguato». Sui tumori maligni egli puntualizza: «Sono dovuti a una trasformazione maligna di una o più cellule tiroidee con conseguente crescita incontrollata, ma si tratta di tumori tendenzialmente a crescita molto lenta e poco aggressivi». Trimboli torna sui disturbi funzionali della tiroide: «È ipertiroidismo quando la tiroide produce un eccesso di ormoni tiroidei, e ha come sintomi più frequenti perdita di peso, nervosismo, ansia e cambi di umore». Quando la tiroide non produce abbastanza ormoni tiroidei, «Si verifica l’ipotiroidismo, che potrebbe causare problemi metabolici, ma non bisogna cadere nell’errore di assoggettare all’ipotiroidismo un eventuale aumento di peso. Piuttosto è il contrario: un repentino aumento ponderale comporta il rischio di sviluppare il diabete. Per analogia, tutti gli organi che producono ormoni saranno in difficoltà e cercheranno di compensare con un aumento ormonale rapido e spropositato. Piuttosto che artefice, ecco che la tiroide è quindi vittima

azione

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Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Romina Borla, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

Telefono tel. + 41 91 922 77 40 fax + 41 91 923 18 89

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dei chili in più, perché può essere in difficoltà nell’adeguare la produzione ormonale al cambiamento di fabbisogno dell’organismo». Giovanella, dal canto suo, spiega che l’utilizzo di nuove tecnologie (principalmente l’ecografia) per la diagnosi dei disturbi tiroidei abbia portato negli ultimi dieci anni alla scoperta di un numero sempre maggiore di noduli: «Si calcola che l’incidenza di noduli “clinici” (cioè abbastanza grossi da essere scoperti dai pazienti o dal medico con la semplice ispezione del collo) riguarda il - per cento della popolazione. Grazie alle ecografie si riesce a diagnosticare e monitorare anche noduli tiroidei di piccole dimensioni che alla palpazione non sarebbero evidenziati». Ne consegue che oggi l’incidenza dei noduli tiroidei dopo i  anni raggiunge addirittura il - per cento della popolazione. «Di tutti questi, solo il - per cento sono maligni, a prescindere dalle loro dimensioni». La diagnosi passa attraverso diverse tappe e analisi concordate con il medico, spiega Giovanella: «In prima battuta: ecografia e dosaggio degli ormoni tiroidei. Se è presente un disturbo funzionale (ipo o iper) si procede con l’opportuno trattamento che in genere è di natura medica. Se invece siamo dinanzi a un nodulo tiroideo, si prosegue con ulteriori indagini (scintigrafia in caso di iper-

funzione, biopsia in caso di caratteristiche ecografiche sospette) per avere indicazioni sulla sua funzionalità e benignità o meno». La diagnosi finale comporterà la giusta scelta terapeutica: «Di norma, i noduli benigni non funzionanti non necessitano alcuna terapia, a meno che le loro grosse dimensioni (più di - cm.) siano tali da causare sintomi come compressione, disfagia, compressione tracheale o disfonia. In questi casi può essere necessario un intervento chirurgico». Nel caso di noduli maligni la chirurgia è invece obbligatoria, con prognosi di guarigione per oltre il  per cento dei casi». Entrambi gli specialisti concordano sulla personalizzazione della cura in base alle caratteristiche cliniche del paziente e al suo problema: «Una terapia basata sul rischio individuale, che sarà meno invasiva per i casi con buona prognosi. Mentre le terapie più complesse sono riservate alle sole forme aggressive».

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Informazioni Sul tema dei disturbi della tiroide, mercoledì 2 marzo, alle 18.30 sarà possibile seguire una conferenza pubblica virtuale, nella quale si potranno porre domande ai due specialisti qui intervistati (le coordinate per accedere al Webinair si trovano seguendo questo link: https://bit.ly/3I1ATqg)

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938

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MONDO MIGROS

Primavera in fiore

Attualità ◆ Le stupende azalee ci ricordano che la stagione primaverile è ormai alle porte. Approfittate questa settimana dell’offerta speciale proposta dai reparti Florissimo

Azione 20%*

* Azalea japonica vaso da 12 cm Fr. 6.95 invece di 8.95 dal 1.3 al 7.3.2022

Grazie alla sua ampia varietà di colori, l’azalea è una pianta che abbellisce e rallegra in modo del tutto speciale i nostri spazi sia interni che esterni. Ma come ci si prende cura al meglio di questa magnifica pianta originaria del Giappone e della Cina affinché possa vivere a lungo sana e rigogliosa? Lo abbiamo chiesto ad Anita Negretti, esperta vivaista e pluriennale collaboratrice di «Azione». «Le azalee necessitano di terreni acidi e non calcarei, caratteristica difficilmente riscontrabile nelle nostre zone, ma facilmente risolvibile sostituendo la terra del giardino o dei vasi e delle fioriere da balcone con terriccio specifico per acidofile». Altri aspetti importanti da tenere in considerazione sono la posizione delle piante e l’annaffiamento. Anita Negretti: «La collocazione ideale è a mezz’ombra, con sole al mattino e ombra nel pomeriggio, oppure con sole parzialmente filtrato dalle fronde di alberi alti. L’annaffiatura deve essere regolare, rispettivamente una

volta alla settimana in primavera e autunno e - volte durante le estati afose, soprattutto nei periodi ventosi che asciugano rapidamente la terra». In merito al trapianto, l’esperta spiega che dovrebbe essere effettuato rispettando il livello del colletto, evitando di interrarle eccessivamente poiché le piante possiedono un apparato radicale superficiale. «Le azalee vanno inoltre concimate - volte all’anno con un prodotto granulare a lenta cessione specifico per acidofile, nei mesi di febbraio, luglio e a fine settembre. Solitamente le piante non necessitano di potatura, in quanto formano in maniera naturale una chioma tondeggiante, ma se si volesse comunque contenerle, si può intervenire a fine fioritura», conclude Anita Negretti. Le azalee, insomma, sono delle piante relativamente semplici da coltivare e con pochi accorgimenti ci possono regalare meravigliose fioriture nei mesi di aprile e maggio, a seconda delle varietà più o meno precoci.

Gustosissimo baccalà Attualità

Con il merluzzo secco si possono preparare dei secondi piatti molto saporiti che non sfigurano mai in tavola

Azione 20%*

Il merluzzo è un pesce diffuso in tutto il mondo, apprezzato per la sua carne bianca, magra e dal sapore dolce e delicato. In commercio lo si trova sia fresco, sia congelato, ma anche essiccato e conservato sotto sale. Quest’ultimo è conosciuto come baccalà o anche stoccafisso. Nel nostro cantone e nella vicina Penisola per molti esiste la tradizione di mangiare merluzzo e polenta il mercoledì delle Ceneri, il giorno che apre il periodo di digiuno che precede la Pasqua e segue il martedì grasso, ultimo giorno di carnevale di rito romano. Nei paesi nordici il merluzzo è pescato in grandi quantità e fin dai tempi dei vichinghi si usa essiccarlo in modo naturale all’aria aperta, intero e senza testa, sistemato su caratteristici tralicci di legno. Il merluzzo secco o baccalà prima di essere cucinato deve essere dissalato e ammorbidito, lasciandolo in ammollo per almeno  ore in acqua fredda (o latte) e cambiando il liquido almeno - volte. Una ricetta tipica facile da preparare ma gustosissima da mangiare che ri-

chiede pochi ingredienti è il «Baccalà alle cipolle». Per  persone sono necessari ca.  g di filetti di baccalà già ammollati in precedenza. In una padella da frittura friggere nell’olio i pezzi di baccalà infarinati finché abbiano raggiunto una bella doratura e croccantezza. Estrarre il pesce e sgocciolarlo su della carta da cucina. In una padella larga versare mezzo bicchiere di olio e dorare lentamente  g di cipolle tagliate a fettine. Aggiungervi i filetti di baccalà fritti,  g di pomodori pelati a pezzi e cuocere per circa mezz’ora a fuoco medio. Servire il baccalà accompagnato da una fumante polenta. * Filetto di merluzzo salato Atlantico nord-orientale per 100 g Fr. 2.40 invece di 3.10 al banco e in self-service * Merluzzo secco Atlantico nord-orientale per 100 g Fr. 2.45 invece di 3.10 al banco dal 1.3 al 5.3.2022


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MONDO MIGROS

Ananas sbucciato e tagliato in 20 secondi

Attualità ◆ Nelle filiali Migros di Lugano e S. Antonino è disponibile uno speciale apparecchio che vi permette di avere l’ananas pronto al consumo in men che non si dica

Azione 11%*

*Ananas sbucciato e tagliato, al pezzo Fr. 2.80 invece di 3.20 dal 1.3 al 7.3.2022

L’ananas è uno dei frutti tropicali più diffusi e amati al mondo. Grazie alla sua polpa succosa dal sapore dolce e al contempo acidulo, si sposa bene sia con piatti dolci che salati. Oltre al consumo fresco, da solo o sotto forma di succo, è una delizia aggiunto a macedonie di frutta, dessert e torte. Inoltre, si abbina ottimamente a specialità a base di curry, pollame, pesce e verdure.

Coloro che hanno poca dimestichezza nel tagliare e sbucciare l’ananas, nei supermercati Migros di S. Antonino e Lugano trovano lo speciale sbucciatore automatico «Piñabar», un apparecchio che permette di ottenere in soli  secondi l’ananas perfettamente sbucciato e tagliato in modo assolutamente igienico. La macchina è facile da usare: basta inserire l’ananas messo a disposizione nell’ap-

parecchio, posizionare un secchiello nella parte inferiore, premere «start» e aspettare che la macchina sbucci e tagli automaticamente il frutto. Il cliente può osservare tutta l’operazione attraverso la porta trasparente. L’ananas pronto viene raccolto nel secchiello, il cliente chiude il contenitore con il coperchio ermetico e lo preleva. Il prodotto va conservato in frigorifero e consumato entro - giorni. Annuncio pubblicitario

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SOCIETÀ

La casa della persona anziana Ascoltare il silenzio Stefania Hubmann

Guido Grilli

Come accoglieranno fra alcuni decenni le case per anziani le generazioni che oggi le frequentano per trascorrere del tempo con i genitori o i nonni? La società evolve a un ritmo sempre più veloce e con essa le esigenze legate all’abitare a qualsiasi età. Esigenze pratiche ma non solo. La casa è in effetti più di un’abitazione, è il fulcro delle relazioni familiari, il luogo della condivisione. Come traslare questi valori in un contesto più ampio che deve assicurare anche cure di tipo sanitario? In Abitare, secondo volume pubblicato dalla Fondazione Parco San Rocco di Morbio Inferiore, che possiede e gestisce l’omonima casa per anziani intergenerazionale, si dà voce a chi in questa casa lavora. Pensieri e aspirazioni riguardanti la casa per anziani di fine secolo si concentrano sulla persona e in particolare sulle relazioni sociali che quest’ultima ha la possibilità di tessere con gli altri residenti, con i familiari, con il personale curante e con tutti coloro che in tempi e modi diversi contribuiscono a rendere la struttura viva e strettamente connessa alla collettività locale.

Silenzio, parla il silenzio. Quattro giorni, dal giovedì alla domenica. «Vere e proprie occasioni. Qui c’è silenzio assoluto, rotto soltanto dal canto degli uccelli», dice fra Michele Ravetta, guardiano del convento del Bigorio, evocando l’incanto del luogo e implicitamente quel Cantico delle creature di San Francesco cui dobbiamo la nascita della letteratura italiana. Le Giornate di ritiro Silentium – una proposta che si rinnova da  anni – tornano in uno dei conventi cappuccini più antichi al mondo, fondato nel . Il prossimo evento si svolgerà dal  al  marzo e altri due saranno in programma a ottobre e novembre. «Con l’impulso del Concilio Vaticano II il Bigorio è divenuto luogo di accoglienza umana, spirituale, culturale per uomini e per donne. Quella che io definisco “fame di spiritualità”, più che “fame di Dio”, spinge un crescente numero di persone a soddisfare il bisogno di fermarsi, di riequilibrarsi e di compiere questa esperienza interessante, fuori casa, in un’abitazione molto più grande, composta da spazi privati e spazi condivisi: c’è la cella, il refettorio, i giardini, la chiesa. Ognuno prende quello di cui ha bisogno. Credo che il silenzio oggi sia un dono prezioso che va ricercato e una volta trovato va conservato. Il silenzio non è soltanto l’assenza di parole: perché possiamo tacere con la bocca – come diceva Sant’Agostino – e gridare con il cuore. Ecco, dovremmo ascoltare questo silenzio, quelle conversazioni interiori che ci vengono fuori proprio grazie a questa esperienza e porci in ascolto con una maggiore consapevolezza». Quali sono i benefici? «Quando il giovedì vedo arrivare i partecipanti alla giornata di ritiro hanno un tipo di faccia e di colore, quando ripartono sono invece persone luminose, equilibrate, in pace, molti esprimono il desiderio di tornare. E questo è bello, significa che l’iniziativa ideata da fra’ Roberto si rivela utile». Come si svolge compiutamente il soggiorno di silenzio al Bigorio? «S’inizia il giovedì alle  con un momento di accoglienza e con la cena comunitaria durante la quale è ancora possibile parlare. Da quel momento in poi inizia il silenzio fino alla domenica dopo pranzo in cui si torna alla parola. Prima dei pasti sono previste delle meditazioni facoltative durante le quali a turno – oltre a me, fra’ Ferruccio Consonni e fra’ Gianluca Lazzaroni – offriamo brevi spunti facoltativi di riflessione a carattere sia ecumenico sia laico. Si tratta di un percorso alla ricerca di sé stessi, attraverso

In Abitare le aspirazioni riguardanti la casa per anziani si concentrano sulla persona, le sue relazioni sociali e il suo benessere Nel libro, curato dallo psichiatra e psicoterapeuta Graziano Martignoni per l’editore Armando Dadò, a prevalere è l’unione nella diversità che caratterizza una comunità. Le testimonianze di una sessantina dei duecento operatori lasciano libero corso all’immaginazione, ai desideri personali, a previsioni futuristiche. Spaziano dalle facilitazioni che la tecnologia permetterà di introdurre all’importanza dei rapporti umani, da servizi simili a quelli dei grandi alberghi come piscina e area fitness a stimoli culturali (biblioteca, cinema, teatro), da attività all’aperto a luoghi di incontro interni quali bar e ristorante, da spazi privati al tempo necessario per valorizzare i rapporti umani citati in precedenza. La questione costi, di cui devono ovviamente tener conto i responsabili gestionali, è menzionata raramente, proprio perché ciò che risulta centrale per operatrici e operatori è il benessere della persona. Un benessere che cresce quando ci si sente amati, protetti, ascoltati, sé stessi, integrati, utili. Questa è «casa» per una delle voci del Parco San Rocco. Queste le priorità che la direzione è chiamata ad integrare nell’attuale vita quotidiana e nel più ampio progetto di villaggio intergenerazionale promosso otto anni fa dalla Fondazione. Casa San Rocco, destinata a un’operazione di rinnovamento e ampliamento, sarà infatti presto in rete con la nuova struttura per persone anziane situata a Coldrerio – apertura a fine estate di quest’anno – e a quella che sorgerà nel Comune di Vacallo. Tre poli all’insegna di un unico modello, quello di case per anziani intergenerazionali dotate di servizi multifunzionali destinati a tutte le fasce della popolazione, per facilitare le relazioni sociali e il benessere comunitario. Due i concetti principali emersi dal progetto Abitare sui quali John Gaffuri, direttore del Parco San Rocco, desidera al momento concentrare

l’attenzione. «In primo luogo è auspicabile rendere più fluido ed armonioso il passaggio dal proprio domicilio alla casa per anziani», spiega ad «Azione». «Oggi disponiamo di numerosi servizi di cura e assistenza che tendono però ad operare ognuno secondo la propria organizzazione. Se mettiamo veramente al centro la persona con tutti i suoi bisogni, quindi anche quelli sociali ed esistenziali, dobbiamo migliorare questa transizione cercando di costruire dei percorsi con figure continuative con le quali possa instaurarsi una certa familiarità». Un secondo aspetto evidenziato a più riprese dai partecipanti al progetto Abitare riguarda l’esigenza di spazi più intimi. Prosegue il direttore: «Nella suddivisione dei reparti di strutture così grandi, che ospitano in media oltre sessanta persone, si vuole optare per soluzioni modulabili tendenti a favorire la creazione di microcomunità. Queste ultime assicurano rapporti personali più profondi riducendo la sensazione di solitudine». Immaginare la casa per anziani del  (richiamo all’orwelliano ), destinata alla terza, quarta e forse in futuro quinta età, è stato l’invito che John Gaffuri e Graziano Martignoni hanno rivolto non solo alle operatrici e agli operatori della struttura, ma anche a figure esterne vicine alla medesima. Professionisti di diversi settori e origini – come l’architetta danese Rosa Lund che ha fatto parte del gruppo di studio per il progetto di ampliamento di Casa San Rocco – hanno apportato riflessioni altrettanto stimolanti che confluiscono nei medesimi valori. La Fondazione conferma così ancora una volta la volontà di apertura, negli spazi della Casa – dove oggi troviamo preasilo, panetteria, ufficio postale e a breve un ristorante – come pure nel cambiamento culturale che sta promuovendo. Apertura che significa dialogo dentro e fuori la Casa con tutti coloro che la rendono tale. La copertina del volume, opera della grafica Mira Gisler, illustra con chiarezza questo significato. La casa si compone di tanti elementi di forme e colori diversi che contribuiscono alla sua identità. Da rilevare, sempre in quest’ottica, l’iniziativa Casa del dialogo, messa a punto in collaborazione con la Fondazione Sasso Corbaro, che prevedeva nel  una serie di incontri sul

tema della «Cura declinata nell’ordine del cuore». Novità di quest’anno sarà il Café society, appuntamento settimanale coordinato da Graziano Martignoni per promuovere il dialogo fra i collaboratori con l’intenzione di estenderlo in un secondo tempo ai familiari e a tutti gli interessati. Per John Gaffuri le sfide presenti e future si affrontano al meglio integrando l’apporto di tutti i collaboratori, vale a dire valorizzando le competenze e le idee di ognuno. Incontrato a Casa San Rocco proprio nel giorno dei dieci anni dall’inizio del suo incarico, il direttore sottolinea a più riprese la forza del team. «A fronte di una crescente complessità del sistema – precisa – lavoriamo insieme per sviluppare i progetti più appropriati alle esigenze del momento in sintonia con la visione a lungo termine di case per anziani ricche di vita e aperte verso l’esterno. I progetti sono quindi frutto di un’intelligenza collettiva che favorisce la crescita professionale e personale di tutti noi». Graziano Martignoni, curatore del volume e autore dei contributi dedicati agli aspetti concettuali del tema, evidenzia in uno di questi che «i nomi dati ai luoghi di accoglienza della terza e quarta età sono mutati profondamente nel tempo, rivelando ogni volta lo sfondo culturale e ideologico di cui erano portavoce». Ecco quindi che dal ricovero si è è passati alla casa di riposo e alle attuali case per anziani che a loro volta stanno lasciando il posto alle comunità abitative e ai quartieri intergenerazionali. Martignoni si spinge oltre, individuando nella transgenerazionalità la tappa successiva, caratterizzata da generazioni «che nel loro incontrarsi si mescolano, generando qualche cosa di nuovo e forse di inatteso». Con il progetto sfociato nel libro la comunità del Parco San Rocco ha approfondito, attraverso la nozione di casa, temi e valori essenziali nell’accoglienza della persona anziana, di cui la società contemporanea tende ancora troppo spesso a sottovalutare il patrimonio esperienziale che rappresenta. Dalle testimonianze raccolte in Abitare emerge però chiaro il segnale che al centro deve rimanere la persona, alla quale altri esseri umani dedicano tempo, cura e riguardo per garantire il suo benessere e quello dell’intera società.

www.bigorio.ch

Bigorio ◆ Da 15 anni il Convento organizza dei ritiri di quattro giorni dedicati al silenzio

Shutterstock

Pubblicazioni ◆ Un volume della Fondazione Parco San Rocco di Morbio Inferiore raccoglie pensieri e testimonianze sul concetto dell’abitare

una “guida”, in questo caso la comunità di frati. Un momento che va inteso come input. Va evidenziato che ognuno dei partecipanti è libero di occupare il tempo di queste quattro giornate come vuole, con le proprie letture, le proprie escursioni attorno al Convento». È un momento anche di assoluta inattività del corpo e della mente? «Esatto. C’è gente che viene soprattutto per riposare, per gestirsi il tempo, per trovarsi tre pasti al giorno pronti, per cambiare aria. Generalmente, chi ha una spiritualità cristiano-cattolica, aderisce sia alle meditazioni sia alla ritualità della comunità, quindi la preghiera del mattino alle ., il vespro la sera. Noi diamo il contenitore e degli spunti, la gente fa davvero quello che ha bisogno». Le giornate del Silentium sono frequentate anche da atei e non praticanti? «Sì, ci sono anche persone atee o di altre confessioni interessate a partecipare perché l’impronta non è troppo cattolica. Il ritiro è aperto a tutti. I nostri partecipanti sono soprattutto pensionati – dopo una vita di lavoro, mamme, papà, manager – ma si iscrivono anche persone un po’ più giovani». Ce la si fa a restare in silenzio per quattro giorni? «Non siamo un ordine benedettino, dove dopo cena c’è il silenzio grave e se parli devi andare dall’abate a chiedere la colpa. Noi ci impegniamo come cappuccini francescani e come servizio a rispettare il silenzio. Ci si saluta con il gesto del capo, ma se qualcuno parla non è uno scandalo. Ognuno si regola, nella corresponsabilità dell’altro, ma in genere ce la fanno tutti a osservare il pieno silenzio». Quali giovamenti restituisce il silenzio? «Penso in questo momento a tutto quanto è la cultura dell’Oriente, il silenzio è qualcosa che serve soprattutto a sé stessi, ma che ognuno ha già dentro. Ci sono delle risorse in noi che sono un po’ sopite dalla società frenetica, dal lavoro, il telefonino, il traffico… Dall’esperienza del silenzio può saltare fuori un po’ di tutto: le crisi, i cambiamenti, le scelte di vita. Il silenzio porta benefici. Penso a chi deve lavorare, a chi deve educare, per raggiungere degli scopi. Ritirarsi nel silenzio per quattro giorni rappresenta un regalo che si fa a sé stessi, e credo che sia un tempo prezioso». Venticinque è il numero dei partecipanti disponibile a ogni ritiro, tante sono infatti le camere-celle disponibili nel convento. Informazioni www.bigorio.ch


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Un mese dedicato all’identità di genere

Generando ◆ Il Percento culturale Migros sostiene un’iniziativa volta a sollecitare la riflessione attorno a un tema di grande attualità

Prenderà avvio l’ marzo prossimo, in concomitanza con la Giornata della donna, una importante manifestazione che vede coinvolte organizzazioni ed enti attivi in Ticino in vari settori dell’attività sociale. Sotto il titolo di «Generando – visioni di genere» sono raccolte numerose iniziative che si propongono di suscitare una riflessione ad ampio raggio sul tema dell’identità di genere. Abbiamo chiesto a Marlen Rutz, responsabile di progetto della Direzione società e cultura della FCM di parlarci dell’iniziativa, che è stata sostenuta dal Percento culturale Migros. Signora Rutz, in che modo il Percento culturale è coinvolto in questa iniziativa? Nell’ambito di uno dei temi strategici del Percento culturale ci siamo posti l’obiettivo di sollecitare una riflessione nell’opinione pubblica in senso ampio, aprendo il dialogo e la discussione sulla diversità dei modelli di vita, sui ruoli e la parità di genere. Così abbiamo cercato partner che potessero aiutarci a realizzare un simile progetto. Nell’estate del  abbiamo realizzato con la Coope-

rativa Migros Basilea nel parco Im Grünen a Münchenstein un percorso espositivo con una serie di manifesti. Siamo molto contenti che ora, in collaborazione con nuovi partner, si possa riprendere questo tema in Ticino con l’iniziativa «Generando – visioni di genere». Ci può spiegare gli obiettivi di questo progetto? Attraverso la pratica del dialogo è possibile sollecitare la comprensione reciproca e un atteggiamento di apertura da parte della popolazione. Il tema di genere porta con sé molti pregiudizi, informazioni sbagliate e malintesi. Da parte nostra, invece, riteniamo che uno scambio aperto e disponibile possa allargare gli orizzonti del confronto. Attraverso questo scambio partecipanti, visitatrici e visitatori delle varie iniziative potranno sensibilizzarsi sull’argomento e confrontare il loro punto di vista con quello di altri. Il programma è molto diverso e articolato... È vero, in Ticino ci sono iniziative e gruppi numerosi e diversi! Siamo

Il manifesto dell'esposizione Noi Gender, spunti di riflessione sulla tematica di genere. Dall'8 marzo al 5 maggio presso l'USI di Lugano.

molto contenti di aver potuto contare sulla collaborazione del Servizio per le pari opportunità del Cantone Ticino (nella persona di Rachele Santoro) e sulla Fondazione Diritti Umani (Gabriela Giuria Tasville), due realtà fortemente ancorate al territorio, che ci hanno aperto le porte per i contatti con altri gruppi e organizzazioni. Dal contributo di tutti è nato uno splendido programma, tutto da scoprire, che merita di stimolare un pubblico ampio. Ci può anticipare qualche dettaglio del programma? Gli eventi sono davvero variati. Alle conferenze si alternano diversi workshop, tavole rotonde e caffè narrativi, uno spettacolo teatrale, la proiezione di un film e pure un concorso di scrittura. L’obiettivo comune è di trasmettere una corretta informazione, ma soprattutto di dare spazio allo scambio di esperienze personali, al dialogo e all’interazione. Ci può spiegare qualcosa a proposito del percorso «Noi Gender»? Sarà aperto nel parco dell’USi, a Lu-

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Occhi secchi?

gano Campo Ovest, e offrirà otto postazioni con diversi punti di vista sulla questione di genere; è stato concepito in collaborazione con il centro Stapferhaus di Lenbzurg, in cui fino al  maggio del  sarà visitabile l’esposizione Genere e sesso, da scoprire ora. L’adattamento presentato in Ticino è stato curato in colla-

Sabato 5 marzo, 11.00 LAC, Lugano Liberati dalla brava bambina. Incontro con Maura Gancitano. Martedì 8 marzo, 18.00 Aula Magna, Trevano Che genere di linguaggio? Conferenza del Prof. Pascal Gygax, psico-neurolinguista. Mercoledì 9 marzo, 18.00-20.00 Online, su iscrizione La prospettiva di genere nel gioco dei bambini. Oratori: Isabella Cassina e Claudio Mochi.

Giovedì 10 marzo, 20.30 Mendrisio, Cinema Ciak Mercoledì 16 marzo, 20.40 Ascona, Cinema Otello Indianara (2019). Film Festival Diritti Umani Lugano.

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Il programma generale

Dall’8 marzo al 5 maggio USI, Lugano Noi Gender. Spunti di riflessione sulla tematica del genere.

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borazione con l’associazione Imbarco Immediato. L’esposizione potrà essere visitata liberamente dall’ marzo al  maggio.

Mercoledì 16 marzo Centro studi di Trevano Workshop per docenti: discriminazioni multiple e intersezionalità. Livello secondario II e scuola dell’obbligo. Domenica 20 marzo, 18.00 Teatro Foce, Lugano Di sabbia e di vento Spettacolo teatrale. Lunedì 21 marzo, 18.00 La Filanda, Mendrisio Brutta. Storia di un corpo come tanti. Incontro con Giulia Blasi e Susanna Castelletti (AARDT). Venerdì 25 marzo, 13.30 Ospedale Regionale di Locarno la Carità Genere, sesso biologico e diritti umani a scuola Attività rivolta ai docenti e agli operatori sanitari.

Sabato 2 aprile, 17.00 Casa del Popolo, Bellinzona Politiche. Di potere, leadership e spazio pubblico. Incontro con Simona Cereghetti. Martedì 5 aprile, 20.00 La Filanda, Mendrisio Che genere di congedo? Maternità, paternità, parentale. Tavola rotonda sul tema dei diversi tipi di congedi, in relazione ai ruoli di genere considerati i nuovi tipi di famiglia. Giovedì 14 aprile, 18.00 Auditorium Bellinzona Documentario sullo sciopero femminista – 14 giugno 2019, seguito da una tavola rotonda. Venerdì 27 aprile, 18.30 Canvetto luganese, Lugano Giovani donne in Svizzera oggi – Chi sono e che cosa vogliono. Martina Minoletti dialoga con Zita Albergati e Lisa Boscolo. Venerdì 29 aprile e sabato 30 aprile Due passi per crescere. Conferenza e atelier per promuovere il cambiamento nella vita reale. Giovedì 5 maggio Luogo da definire Incontro con Vera Gheno, sociolinguista. Giovedì 12 maggio Luogo da definire Storie di parto. Presentazione dei testi partecipanti al concorso di scrittura proposto dall’Associazione Nascere Bene. Estate 2022 Bancarella con attività ludiche sugli stereotipi di genere e la sessualità rivolta ai giovani. Nei grandi eventi proposti sul territorio.

Altre iniziative ed eventi sul sito generando.ch


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SOCIETÀ

La lunga onda delle maree nere Ecodisastri

È possibile calcolare sulla distanza il danno ambientale degli sversamenti petroliferi nei nostri mari e oceani?

Sabrina Belloni

L’ultima emergenza ambientale risale al mese scorso: il  gennaio  uno sversamento di petrolio, di oltre ’ barili di greggio, ha inquinato le acque e le coste delle riserve marine di Ancón e Punta Guaneras (v. articolo di Fredi Sergent su «Azione» del  febbraio ). Ma è solo l’ultimo di una lunga serie, tra i più gravi l’elenco ne annovera una trentina avvenuti negli ultimi vent’anni. Tra i luoghi contaminati, Mauritius (agosto ), le aree marine a ridosso di Santa Barbara (Usa, ); Tauranga (Nuova Zelanda, );  km da Aberdeen (Scozia, ); al largo di Mumbai (India, ); Porto mercantile di Dalian (Cina, ); al largo di Singapore (Malaysia, ); Golfo del Messico (Louisiana, ), Great Keppel Island (Australia, ). E l’elenco potrebbe continuare ancora per molte righe, senza risparmiare nessun continente, nessun mare, finanche alcuni fiumi sono stati negli ultimi anni inquinati. Ma quali segni hanno lasciato nell’ambiente questi disastri?

Un banco di pesci e un sub sul relitto della petroliera Amoco Milford Haven, lunga 334 m, affondata il 14 aprile 1991, Arenzano, Liguria occidentale, Mar Mediterraneo. (Franco Banfi)

Durante la fase di galleggiamento, il greggio rilascia nell’atmosfera soprattutto i componenti volatili, alcuni dei quali estremamente tossici e cancerogeni Che cosa succede dopo la notizia, dopo il clamore mediatico che a un certo punto si spegne? Sono quantificabili i danni sul lungo termine? In verità non è così semplice da indagare, ma ci si può fare un’idea cercando di capire quello che accade fisicamente almeno nei momenti iniziali, quando si verificano simili emergenze ambientali. Considerate le specifiche chimiche del petrolio (vedi articolo correlato), per attuare un’efficace attività di mitigazione dei danni che si verificano in seguito a uno sversamento di questa sostanza è necessario agire in fretta e con competenza e conoscere al più presto possibile l’esatta composizione del materiale disperso nell’ambiente (aria / acqua). Per fare questo è imprescindibile la più ampia collaborazione con i responsabili degli sversamenti. I processi di trasformazione del greggio disperso (il cosiddetto weathering) sono inizialmente molto rapidi se esso è esposto all’azione dell’acqua, dell’ossigeno, della radiazione solare, dei micro-organismi, e rallentano quando il composto raggiunge uno stato di equilibrio con le condizioni ambientali. L’impatto visivo di una marea nera è sicuramente molto forte e impressionante; ciononostante, svia l’attenzione da altri processi fisico-chimici che si verificano nell’aria e nella colonna d’acqua, che non sono solamente quelli immediatamente sovra o sottostanti la chiazza galleggiante, bensì aree a decine di chilometri di distanza, raggiunte da materiali inquinanti trasportati dai venti, dalle turbolenze, dalle correnti marine e dalle maree. I componenti del greggio che non evaporano nell’atmosfera e che si disperdono nell’acqua, inizialmente tendono a galleggiare. La chiazza può rimanere coesa o disgregarsi per l’effetto dei venti, dei moti ondosi e dei composti chimici disperdenti appositamente immessi sulla superfi-

La SKS Demini è una petroliera di 250 metri con bandiera Norvegese che naviga in Asia. (Franco Banfi)

Come si forma e di che cosa è composto il petrolio? Il petrolio è un prodotto naturale formatosi nelle viscere della terra tramite trasformazioni occorse in decine di milioni di anni. In parole semplici, è un mix di sostanze derivate dalla decomposizione di resti animali e vegetali, sottoposti nel tempo a temperature e pressioni molto alte. Organismi defunti giacciono a terra e vengono naturalmente sepolti dalle maree, dalle tempeste, dalle esondazioni dei fiumi. Secoli dopo secoli si decompongono e scendono lentamente verso il centro della terra a causa dei movimenti tellurici e degli spostamenti di masse al di sotto della superficie. Man mano che scendono, questi vengono sottoposti a pressioni e temperature molto alte che ne trasformano ulteriormente le caratteristiche fisiche e chimiche, fino a ridurli alla sostanza primigenia cioè molecole di carbonio e idrogeno, esattamente gli stessi composti che sono alla base della vita di ogni essere vivente. Il cosiddetto «greggio» (crude oil), ossia il petrolio non raffinato che viene estratto dai giacimenti, è il risulta-

to della decomposizione di materiali organici, prevalentemente alghe, che si sono accumulati fra  e  milioni di anni or sono. Anche quello rinvenuto sulla terraferma deriva da decomposizione di organismi prevalentemente acquatici: si trova in luoghi dove un tempo c’erano ambienti marini e salmastri. Il greggio non è una massa univoca, bensì è una miscela complessa di diversi idrocarburi presenti in percentuale molto variabile. I componenti vengono distinti in base al loro peso e raggruppati in tre grandi categorie: i componenti leggeri, medi e pesanti (Fonte ISPRA). I componenti leggeri rappresentano il  per cento della frazione solubile del petrolio e sono costituiti da idrocarburi alifatici (sono alcani e ciclo alcani) che hanno una bassa solubilità in acqua (pochi mg/l) e da idrocarburi mono-aromatici (benzene, toluene e xylene) che hanno una solubilità più elevata rispetto agli alifatici. Sono caratterizzati da una rapida e completa evaporazione (generalmente entro un giorno) e da un punto di

ebollizione che arriva al massimo a  °C; contengono fino a un massimo di  atomi di carbonio. I componenti medi sono idrocarburi alifatici contenenti da  a  atomi di carbonio (alcani facilmente biodegradabili, la cui concentrazione nel tempo è una misura della degradazione del petrolio sversato), di-aromatici (naftalene) e poliaromatici (fenantrene, antracene, eccetera). Sono caratterizzati da bassa velocità di evaporazione che arriva fino a diversi giorni (alcuni residui non evaporano a temperatura ambiente); bassa solubilità in acqua (pochi mg/l); punto di ebollizione compreso fra  e  °C. I componenti pesanti sono idrocarburi contenenti  o più atomi di carbonio oltre a cere, asfalteni, e composti polari. Sono caratterizzati da persistenza a lungo termine nei sedimenti sottoforma di grumi di catrame o pavimenti di asfalto; minima solubilità; minima perdita per evaporazione. Sono i composti più persistenti e sono caratterizzati da bassa velocità di degradazione.

cie del mare da parte di professionisti specializzati. La coltre galleggiante soffoca i primi anelli della catena alimentare marina, soprattutto fitoplancton e alghe (che necessitano del processo di fotosintesi per sopravvivere), ma anche zooplancton e le larve dei pesci, cioè quegli elementi da cui dipendono fauna ittica e creature marine più complesse nelle proprie funzioni alimentari e riproduttive. Una delle conseguenze più documentate e note è che la massa galleggiante (bituminosa) ricopre gli animali con i quali viene in contatto, sia che risalgano per respirare (mammiferi e rettili), sia che si tuffino in mare per pescare o che si posino sulla superficie (gabbiani, pellicani, eccetera), causando perdita di idrodinamicità, perdita di calore corporeo e limitandone i movimenti. Sembra inverosimile ma, per quanto macabro, questo fenomeno produce danni limitati e sostanzialmente trascurabili. Durante la fase di galleggiamento, infatti, il greggio rilascia nell’atmosfera soprattutto i componenti volatili, alcuni dei quali estremamente tossici e cancerogeni; ciò che galleggia è un’emulsione di acqua marina, aria, composti bituminosi e olio, simile a una mousse. Meno noto è quanto avviene nell’aria e sott’acqua. Alcuni componenti si dissolvono, si ossidano, si trasformano in sostanze completamente diverse. Molto lentamente esse precipitano verso il fondale, influenzate da vari fattori, quali la temperatura e la composizione dell’acqua, il moto ondoso, le correnti marine. La sedimentazione sui fondali avviene più velocemente ove la profondità è minore. La mousse galleggiante viene aggredita con due principali metodi: l’incendio di aree circoscritte – da cui consegue un inevitabile inquinamento aereo e rilascio di anidride carbonica e composti cancerogeni in atmosfera – e lo spargimento di solventi, detergenti e surfattanti, con lo scopo di modificarne la composizione e facilitarne il dissolvimento. Lo scopo non è quello di asportare la mousse (con barriere di contenimento e materiali assorbenti) e di ritrattarla in ambienti controllati, bensì di renderla meno visibile e trasformarla in piccoli elementi che si disperdono. Maggiore è l’ampiezza della colonna d’acqua sottostante, maggiore è la possibilità che tali inquinanti si lascino trasportare nella massa oceanica, raggiungendo aree lontanissime dall’origine. Contemporaneamente inizia il processo di bio-sedimentazione. Il plancton e altri organismi filtratori ingeriscono dette sostanze e le metabolizzano. Risalendo nella catena alimentare esse determinano squilibri di varia natura, fra cui la nascita di embrioni deformati, l’infertilità, una maggiore sensibilità a mutamenti ambientali aggiuntivi. Ma determina altresì un processo di adattamento, di selezione e di resilienza. L’ecosistema marino è molto complesso e soggiace a naturali fluttuazioni nella composizione delle proprie specie, sia in termini quantitativi sia qualitativi (varietà e distribuzione). Le conseguenze a lungo termine degli sversamenti che periodicamente si verificano non sono invece determinabili, essendo impossibile quantificarne l’impatto sui processi riproduttivi, sulle specie colpite, sull’ampiezza delle aree in cui i diversi composti verranno dispersi.


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SOCIETÀ / RUBRICHE ●

Approdi e derive

di Lina Bertola

«Toccare»: le ambivalenze di un gesto ◆

Nel saggio Avere o essere, pubblicato nel , il filosofo Erich Fromm apriva il suo sguardo critico su un presente che appariva sempre più segnato dall’esperienza dell’avere; un presente in cui l’avere stava diventando l’espressione dominante del nostro modo di abitare il mondo, capace di dar senso e valore alla vita. Con grande lungimiranza parlò di un’umanità che stava rischiando la catastrofe. Per comprendere la differenza tra avere ed essere, Fromm propose un confronto tra due poesie che esprimono, in modo diverso, l’intensa emozione vissuta alla vista di un fiore: una composizione di un poeta inglese del XIX secolo, Tennyson, e quella di un poeta giapponese del XVII secolo, Basho. Scrive Tennyson: «Fiore in un muro screpolato / Ti strappo dalle fessure / Ti tengo qui, radici e tutto, nella mano / Piccolo fiore ma se potessi capire / Che cosa sei, radici e tut-

to, e tutto in tutto / saprei che cosa è Dio e cosa è l’uomo». Ecco come si esprime invece la stessa emozione nelle parole di Basho: «Se guardo attentamente / Vedo il nazuna che fiorisce / Accanto alla siepe!». Per vivere l’emozione, e per comprenderne il senso e il valore, si può scegliere di toccare il fiore, di stapparlo dalle sue radici, oppure si può solo guardarlo, osservarlo attentamente mentre fiorisce, entrando in contatto con lui e lasciandolo vivere. Con queste due immagini poetiche Fromm ha voluto indicare che esistono modi diversi di entrare in relazione con la natura: l’incontro con la bellezza della natura si può esprimere nel desiderio di «toccarla» oppure può essere nutrito soltanto dal desiderio di contemplarla nella sua bellezza. Guardare, come suggerisce la seconda poesia, è infatti un atto di contemplazione, una forma di conoscenza che richiede accoglienza e condivisione, un sapere in

La società connessa

cui risuona la comune appartenenza alla natura. Il gesto di «toccare» il fiore, di strapparlo e prenderlo tra le mani per comprenderlo, potrebbe invece alludere anche ad un desiderio di appropriazione, reso possibile da quel sapere pratico, trasformativo, che ha segnato il progresso scientifico. Fromm intravede qui le possibili derive legate a questo gesto quando sia dominato dalla logica dell’avere. Non a caso, nella storia del progresso scientifico, questo significato del «toccare» come appropriazione della natura continua a sollevare delicate questioni etiche: quale il limite del potere dell’uomo? Quale la misura dell’agire bene? Forse proprio per queste ombre etiche che si allungano sul «toccare», la saggezza delle nonne recitava: «guardare e non toccare è una cosa da imparare». Poi arriva Papa Francesco a ricordarci che il «toccare» può avere anche un’altra valenza, un altro significato, profondamente umano. Anche il gesto di

«toccare» può guidarci su una via diversa da quella del potere e del possesso; anche il «toccare», come l’atteggiamento contemplativo, può essere nutrito da sentimenti di accoglienza e di condivisione. Nella semplicità di quelle parole pronunciate durante una recente intervista alla televisione italiana, Papa Francesco ricorda, con intensa commozione, che solo il «toccare» la sofferenza permette alla realtà di arrivare direttamente al cuore. Solo nella fisicità di questo gesto è possibile contrastare l’indifferenza, spesso compagna del nostro sguardo. Di fronte alle grandi sofferenze del mondo suggerisce che il nostro modo di abitare la vita è solo una questione di scelte, di cui portiamo tutti, in prima persona, la responsabilità. Una gran bella testimonianza di filosofia pratica che ci invita a riflettere. Al tema del «toccare», e più in generale al valore del tatto, spesso trascurato rispetto a quello della vista e dell’udito, ha dedi-

cato un bel saggio lo scrittore, drammaturgo e scultore Federico Capitoni. Il legame dominante tra la conoscenza e la vista ha radici etiche, sovente il tatto, insieme al gusto e all’olfatto, è stato infatti considerato inferiore perché troppo legato al corpo. Eppure, scrive Capitoni, il corpo riflette. Prima di percepire il mondo esterno, percepisce sé stesso: è toccato dal mondo. Se la comprensione è la radice dell’etica, questa comprensione appartiene in primis al tatto. «Finché la persona in difficoltà è confinata nella cornice di una fotografia, (…) o nello schermo di un televisore, noi la vedremo soltanto, la toccheremo mai (…) Condividere significa avvicinare corpi, è nell’abbraccio che sta il simbolo etico della comprensione». È proprio così, in questa bella immagine dell’abbraccio, la fisicità del gesto, del sentire del corpo, si riappropria del suo valore, troppo spesso negletto dalla purezza della ragione.

di Natascha Fioretti

Giornalisti, parlateci della questione climatica ◆

Incontrai Wolfgang Blau nel  a Vienna a una conferenza dal titolo Giornalismo : come mantenere la professionalità e riconquistare la credibilità in cui l’allora direttore di «Zeit online» dibatteva del futuro del giornalismo con un altro grande, Alan Rusbridger, allora direttore del «Guardian». Scrissi un pezzo titolandolo Zeit e Guardian, due esempi per sperare e avevo visto giusto dato che oltre un decennio dopo tra le testate europee sono quelle che più di altre hanno saputo interpretare i tempi, investire parimenti nel giornalismo di qualità e nelle innovazioni digitali coltivando i propri lettori e il dialogo con loro. Anche se con due modelli di business completamente differenti, a pagamento il primo, gratuito il secondo (parliamo dell’online), le due testate godono oggi di ottima salute. Da allora Wolfgang Blau ne ha fatta di strada, prima al «Guardian» come

responsabile della strategia digitale, poi nel gruppo editoriale Condé Nast International. Oggi invece lo ritroviamo a Oxford dove con il Reuters Institute for the Study of Journalism ha cofondato l’Oxford Climate Journalism Network che tra gli altri vanta la collaborazione di cento giornalisti provenienti da oltre  paesi. L’idea alla base di questa rete dedicata alla questione climatica è quella di aiutare giornalisti e redattori a migliorare la loro narrazione del cambiamento climatico. Tutto questo partendo dall’assunto che nell’affollato panorama informativo odierno i media continuano a giocare un ruolo importante nel plasmare il modo in cui comprendiamo e agiamo sul cambiamento climatico. Sul tema Wolfgang Blau di recente ha tenuto una conferenza al Green Templeton College di Oxford affermando che quella del cambiamento climati-

La nutrizionista

co e della sua corretta e approfondita narrazione sui media è oggi la più grande sfida per il giornalismo. Intanto la prima sfida si gioca sul linguaggio e i termini che usiamo. Non a caso il «Guardian» e l’«Observer» hanno elaborato e condiviso una guida online sulla terminologia corretta da usare. Blau, ad esempio, parla di cambiamento o di questione climatica e non di crisi perché gli effetti e le conseguenze del problema, anche se con le nostre politiche ambientali corressimo ai ripari già oggi, sono a lungo termine. Sta di fatto che tutte le redazioni e i loro diversi settori dovrebbero fare della questione climatica la loro priorità, dunque se ne dovrebbe parlare regolarmente tanto nelle pagine di politica e ambiente tanto in quelle di economia, cultura e società. Chi fa giornalismo dovrebbe rendersi conto che in particolare tra i più giovani c’è grande interesse e at-

tenzione per la questione. A dirlo è uno studio internazionale pubblicato sulla rivista «Nature» condotto da ricercatori di sette università e college che ha intervistato più di ’ giovani in dieci paesi per misurare l’ansia data dalla questione climatica. Alla domanda «quanto sei preoccupato per il cambiamento climatico?» il % ha detto di essere «molto preoccupato» o «estremamente preoccupato». Mettiamoci nei loro panni, pensiamo alle testate sulle quali di solito ci informiamo e chiediamoci se stanno dando alla questione climatica la giusta attenzione. Non solo, un altro dato preoccupante che emerge questa volta dallo studio European Moments del professore Timothy Garton Ash, ci rivela che il % dei giovani europei del Regno Unito tra i  e i  anni si dice d’accordo con l’idea che gli Stati autoritari siano meglio attrezzati delle democrazie per affrontare la cri-

si climatica. Un risultato che dovrebbe preoccupare chiunque fa informazione con l’idea di formare l’opinione pubblica. Blau intanto invita i giornalisti a prepararsi per i grandi appuntamenti che caratterizzeranno il  a partire dalla pubblicazione del sesto rapporto di valutazione del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico. Senza dimenticare le elezioni americane di midterm il prossimo autunno, visto che gli Stati Uniti sono i più grandi emettitori di gas serra per tonnellate l’anno dopo la Cina, segnando oltretutto un aumento del  per cento nel . Non sorprendono dunque Biden quando dice che «il cambiamento climatico è ora il problema numero uno dell’umanità» o il World Economic Forum che tra i maggiori rischi per il mercato macroeconomico al primo posto elenca il fallimento dell’azione per il clima.

di Laura Botticelli

Latte fresco o «latte morto»? ◆

Buongiorno, sono un anziano. Da due anni ricevo privatamente ogni settimana due litri di latte fresco, parzialmente scremato (nel mio caso il «Drink» fresco della Migros). Forse potrebbe indicarmi dove rivolgermi per indurre tutte le case ticinesi per anziani a servire ai loro ospiti il latte fresco ticinese, invece dell’abituale unico «latte morto» ossia UHT conservabile per mesi senza refrigerazione! Suppongo che questo latte UHT sia paragonabile a quello in polvere che mia moglie offriva al nostro gattino Rilly, quando eravamo di servizio in Africa. Per noi, il latte fresco, assieme agli altri viveri freschi è sempre stato l’unico medicinale per l’uso quotidiano (eccetto i rimedi contro le infezioni epidemiche). Sarebbe necessario rivolgersi alle autorità cantonali per rimediare a questa lacuna praticata senza batter ciglio? / Romano

Gentile Romano, la ringrazio per la sua lettera: ne sono lusingata e, davvero, mi fa piacere. Mi aiuta anche a ricordarmi quanto vasto sia il settore dell’alimentazione, e di quante e quali possano essere le sue declinazioni. Sebbene il latte sia un liquido e molti lo considerino una bevanda, in realtà è paragonabile a un alimento perché, anche se contiene acqua, ha pure grassi, proteine, carboidrati, sali minerali e vitamine importanti per la nostra salute. Nel latte sono stati identificati più di  composti chimici. Il latte crudo da bere può essere pericoloso e di difficile conservazione, e per questo a metà dell’Ottocento il chimico e biologo Pasteur inventò la tecnica di pastorizzazione. Anche il latte fresco, che compra in negozio, subisce un processo di pastorizzazione: in questo caso, il latte viene riscaldato a ,°C per almeno  secondi e quindi raf-

freddato rapidamente alla sua temperatura originale e refrigerata. Questo processo uccide tutti i batteri nocivi. E pure avviene una piccola perdita di vitamine e proteine mentre il contenuto di sali minerali non viene alterato. Il latte UHT o ad altissima temperatura subisce un processo simile al latte pastorizzato, ma a una temperatura più elevata: -°C per un lasso di tempo più breve, da  a  secondi circa. Quest’operazione gli consente di conservarsi a temperatura ambiente per un periodo di - mesi, mentre il latte fresco deve essere conservato in frigorifero a °C per non più di  giorni. La perdita delle vitamine e delle proteine è un po’ più importante rispetto alla pastorizzazione e per questo il latte ha un gusto diverso. Dal momento in cui lei l’ha citato, spendo infine qualche parola sul latte in polvere, che viene prodotto disidra-

tando il latte pastorizzato. La durata di conservazione del latte in polvere può variare da  a  mesi ed è disponibile in vari tipi (come scremato e intero). Il latte in polvere può quindi essere venduto semplicemente come tale, o aggiunto ad altri prodotti lattiero-caseari per migliorarne le caratteristiche, come la cremosità. Il latte in polvere ha le stesse quantità di macronutrienti del latte vaccino intero fresco, ma perde in vitamine e sali minerali. Riguardo alla sua domanda concernente le case anziani, posso fare solo delle ipotesi sul perché abbiano scelto di distribuire latte UHT piuttosto che latte fresco. La prima ragione potrebbe riguardare un problema di sicurezza alimentare: il latte fresco, infatti, si deteriora velocemente. Penso poi alle difficoltà logistiche di rifornimento e al potenziale spreco alimentare: come prevedere il consumo di latte per

un centinaio di persone? Trovo molto bello il fatto che abbiano agevolato lei, che lo desidera, ma purtroppo temo che non sia praticabile su larga scala, anche per una questione di gusti: presumibilmente alcune persone si sono disabituate al consumo di latte fresco. Se mi permette dunque questa piccola precisazione è improprio sostenere che le case anziani offrano un «latte morto», ma semmai leggermente impoverito. La mia è una rubrica pubblica, e magari chissà, qualcuno del settore potrebbe essere più chiaro nel darle le risposte che cerca. Le auguro il meglio. Informazioni Avete domande su alimentazione e nutrizione? Laura Botticelli, dietista ASDD, vi risponderà. Scrivete a lanutrizionista@azione.ch


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Anno LXXXV 28 febbraio 2022

TEMPO LIBERO Per un inverno in fiore La Bergenia porta il suo nome in ricordo del botanico Karl August von Bergen

Il Veneto nel bicchiere Prosegue il viaggio enologico a colpi di «cicchetti» innaffiati da un frizzante Verduzzo

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Ma se ti trattano male? Si dice che nella ristorazione il segreto del successo sia far bene da mangiare: è davvero così?

Crea con noi Colorato e divertente il memory tattile è un gioco che stimola i sensi e la fantasia

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Il fascino perturbante dei parchi dei divertimenti Tra il ludico e il dilettevole ◆ Non solo per svago, ma anche per rispondere a bisogni inespressi legati all’evasione se non addirittura alla trasgressione

In una società come la nostra, votata alla perenne ricerca dell’innovazione, a volte capita che un nuovo passatempo o una nuova fonte di intrattenimento balzino agli onori della cronaca per la durata di una stagione, salvo poi scomparire senza lasciare traccia, rimpiazzati dall’ennesima effimera trovata. Di converso, ci sono anche esperienze ludiche e fonti di svago che si rivelano più longeve. I parchi dei divertimenti – luna park, fiere, e parchi a tema –, per esempio, pur rimanendo al passo con i tempi, serbano un retrogusto antico che mette d’accordo tutti, grandi e piccini, vecchie e nuove generazioni. Dietro alla loro apparente frivolezza e innocenza, luna park, fiere, e parchi a tema intercettano un ampio ventaglio di bisogni inespressi legati all’evasione e, in certa misura, alla trasgressione. Se, da una parte, offrono occasioni di svago e distrazione, d’altra parte permettono di entrare, con modalità più o meno immersive, in un setting alternativo, in un mondo fatato, magico, ma anche perturbante e grottesco. Sono luoghi che abitano la linea di confine fra il ragionevole e il fantastico, fra il possibile e l’inconcepibile, fra il bello e il mostruoso. In parte terreni di pura evasione dove svagarsi e dimenticare il grigiore quotidiano, i parchi dei divertimenti ci offrono altresì un’immagine riflessa della società e, al tempo stesso, espongono alla vista le contraddizioni della natura umana. Innegabilmente, la realtà che ci viene restituita dai parchi dei divertimenti è pur sempre esagerata. Ma attenzione: lo specchio deformante delle fiere non si limita a riflettere, come farebbe un qualsiasi specchio comune: nel rispecchiare deforma, suggerendoci una comunicazione fra mondo reale e mondo fantastico, un passaggio fra l’uno e l’altro, un codice segreto grazie a cui il primo si rovescia nel secondo. Parimenti, i giochi illusionistici, l’esperienza del tunnel dell’orrore o, ancora, la curiosità un po’ morbosa nei confronti della mostruosità tipica di fiere e luna park, non fanno che riportarci alla profonda duplicità che attraversa il reale. Una duplicità che, tra l’altro, viene sistematicamente suggerita dai personaggi in maschera e in costume che popolano questi mondi fantastici: non si sa mai con esattezza chi si nasconda dietro l’apparenza di una maschera o di un costume. Certo, molti parchi dei divertimenti (pensiamo a quelli dedicati a Disney) sono prima di tutto luoghi rassicuranti che offrono evasioni tutto sommato innocue e indolori. Ciò

Keoni 101

Sebastiano Caroni

nondimeno, nella loro capacità di alludere, anche solo in maniera indiretta, velata, o mimetica – come nel caso dello specchio deformante, o della maschera – al lato oscuro e al rovescio del reale, fiere, parchi a tema, e luna park ci rimandano altresì a un’immagine più ambivalente dell’evasione e della voglia di divertimento che ci contraddistinguono. Questo lato oscuro che caratterizza l’immaginario di luna park, fiere, e parchi a tema è stato colto con disinvoltura dal cinema e dalle serie TV. Nella serie TV Westworld – Dove tutto è concesso, per esempio, un’azienda denominata Delos propone un’escursione in un parco a tema chiamato Westworld che, per vastità e costumi, riproduce in modo iperrealistico il mitico Far West. Una volta giunti sul luogo, i facoltosi visitatori interagiscono con degli indigeni, che si rivelano essere nientemeno che degli androidi. Prodigiosamente simili agli umani per apparenza e comportamenti, sono però doverosamente programmati af-

finché rendano piacevole e indimenticabile il soggiorno degli ospiti. La vera attrazione, si evince, non consiste tanto nella vastità dei paesaggi, nelle galoppate lungo praterie vergini, o nell’incanto dei tramonti che avvolgono l’orizzonte, quanto nella possibilità di vivere esperienze che nel mondo reale non sarebbero concesse, piegando gli indigeni alle loro volontà, anche quelle più reprensibili. Sospesa l’etica e la morale, si aprono le porte della violenza, dell’egoismo e della depravazione. Per chi non si accontenta di un’avventura romantica con una delle molte donzelle che animano il postribolo locale, o di una rustica chiacchierata bevendo whisky con dei cowboys dai polverosi stivali e dalle pistole appese ai cinturoni, Westworld diventa un’occasione unica per riscattare sogni e frustrazioni, per appagare desideri poco nobili senza alcuna ripercussione morale e legale. Perché accontentarsi di poco quando si può avere tutto ciò che nel mondo reale è vietato? La quotidia-

nità, in fondo, con tutti i suoi vincoli e obblighi, limiti e restrizioni, non agisce forse come una camicia di forza che ci diminuisce e ci soffoca? Come non manca di ricordare l’ideatore e iniziatore del parco (un anziano e raffinato signore interpretato da Anthony Hopkins), Westworld è l’unico posto che consente alle persone di essere veramente sé stesse, senza restrizioni e limiti di sorta. E se qualcuno, fra questi androidi dotati di avanzatissime intelligenze artificiali che permettono di cogliere desideri inespressi dietro ogni millimetrica piega del viso, decidesse di farsi giustizia da sé, di prendere in mano il proprio destino, di ribellarsi al ruolo di schiavi a cui gli ideatori del parco li hanno relegati? Tanti sono gli interrogativi che Westworld solleva, e tanti sono i punti di contatto con il nostro presente, così come con il nostro passato (come non pensare alla sorte e allo sfruttamento di molte popolazioni indigene, come quelle del cosiddetto Nuovo

Mondo?). In Westworld si intrecciano questioni legate alla tecnologia, all’economia, alla psicologia e all’etica, rivelando altresì come nella moderna industria dell’intrattenimento l’esperienza immersiva è sempre più ricercata. Pregevole anche dal punto di vista della qualità estetica e tecnica, la serie garantisce una notevole profondità narrativa grazie al susseguirsi di colpi di scena che svelano i segreti dell’avveniristico parco. Se poi aggiungiamo al tutto un mix di attori blasonati (Anthony Hopkins e Ed Harris su tutti) e di giovani promettenti come Tessa Thompson, non manca veramente nulla per fare di Westworld una fra le più significative serie TV degli ultimi anni. In conclusione, potremmo dire che se la dimensione edificante e scintillante pervade la superficie dei mondi fantastici messi in scena dai parchi dei divertimenti, nelle pieghe dell’apparenza chi guarda bene vedrà ombre più perturbanti, ma forse per questo più interessanti e istruttive.


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TEMPO LIBERO

Le invernali tinte dell’antica Bergenia Mondoverde

Una rustica tappezzante sempreverde ideale per far rifiorire il giardino già a partire da metà febbraio

Originaria dell’Asia centro-orientale e della Siberia, la Bergenia appartiene alla famiglia delle Saxifragaceae e deve il suo nome al botanico Conrad Moench, che la dedicò all’anatomista e botanico tedesco Karl August von Bergen, vissuto nel . La bergenia è una pianta sempreverde, dalle dimensioni ridotte ma con fioritura super precoce: proprio in questo periodo, ovvero già a partire da metà febbraio, è pronta a mostrare i suoi bei fiori rosa confetto o bianchi, in base alla varietà. Alta non più di sessanta centimetri, ha foglie ampie e carnose, di forma tondeggiante, che cambiano colore in pieno inverno diventando rossicce, mentre se esposte al solleone dell’estate, rischiano di bruciare. Utilizzata come pianta tappezzante fin dagli inizi del Novecento – per mezzo della creazione di favolose aiuole invernali accanto ai viali delle ville storiche – ha subìto un certo declino agli inizi del nuovo millennio, ma ora è tornata in auge non solo per i fiori, che perdurano lunghe settimane, ma anche per la facilità di coltivazione: la bergenia, infatti, è in grado di adattarsi a tutti i tipi di terreno, persino a quelli calcarei, rocciosi o poveri. La posizione migliore dove coltivarla è senz’altro la mezz’ombra, che aiuta a preservare così le foglie dalle bruciature estive, mentre in inver-

Jannik Beyerstedt

Anita Negretti

no non teme affatto il gelo. Se lasciata indisturbata, nel corso delle stagioni si allargherà notevolmente, fino a creare grandi zone fiorite, specie in terreni difficili da lavorare, come lungo i declivi per l’appunto a mezz’ombra, nelle brughe particolarmente scoscese o in larghe fioriere a cui si prestano poche cure.

Anche le concimazioni sono pressoché inutili visto che le foglie carnose, quando diventano secche, si decompongono velocemente, diventando materiale pacciamante e nutriente per loro stesse. Nel periodo primaverile estivo, vanno tenute irrigate tutte le settimane, mentre in inverno basterà bagnarle ogni -

giorni, mantenendo il terreno umido ma evitando i ristagni d’acqua che provocano marciumi radicali. Se volete ripulirle, vi consiglio di non strappare le foglie, ma di tagliarle con un coltellino affilato alla base del picciolo e successivamente sbriciolarle sulle radici, mentre in autunno si può intervenire con uno strato sottile di letame ben maturo oppure con un concime granulare a lento rilascio per piante fiorite, avendo cura di non concimare eccessivamente le foglie a scapito della produzione dei fiori. Dalla parte più centrale della rosetta di foglie, a fine inverno, per l’appunto verso la metà di febbraio, si alzano le spighe colme di piccoli fiori tubulari a forma di campana. Per non tacere qualche curiosità, va detto che proprio per la concomitanza della loro fioritura con la ricorrenza di San Giuseppe, molti chiamano le bergenie con il nome di questo santo. Si trovano in vendita diverse specie di questa rustica tappezzante, che si differenziano una dall’altra per la grandezza e l’intensità del colore dei fiori: tra le tre specie più famose, vi è senz’altro la ciliata, la cordifolia color rosa confetto e la crassifolia rosa lavanda. Mentre tra le varietà più nuove, che si contraddistinguono per gli intensi colori dei fiori sempre accompagnati dalla loro proverbiale rusticità, suggerisco Bergenia cordifolia

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Le palestre tornano a pieno regime

Activ Fitness ◆ Le nuove disposizioni permettono di tornare in palestra senza nessuna restrizione

«Rotblum» e «Shoeshine», entrambe rosa intenso, quasi fucsia con foglie verde lucido che virano sul bronzeo in autunno e inverno, ritornando verdi con l’alzarsi delle temperature. Dal colore più tenue e delicato vi è invece tutta la selezione delle ibride, come «Bach», «Baby Doll», «Angel Kiss», che fioriscono ripetutamente fino a maggio, creando diversi contrasti cromatici se accostate a primule, ciclamini, iris, felci e geranium. Per chi invece predilige i fiori bianchi, consiglio di cercare la Bergenia hybrida «Bressingham White», dalle foglie verdi lucenti e fiore bianco puro o la «Silberlicht», poco più alta e con leggere sfumature rosate dei petali. Qualsiasi sia la specie o la varietà da voi preferita, vi consiglio ogni tre o quattro anni di dividere i cespi subito dopo la fioritura, quindi in primavera, tra marzo e aprile, sia per ottenere facilmente nuove piante, sia per svecchiarle. Basterà toglierle dalla terra, dividere i rizomi in più porzioni e ripiantarli in zone semi ombreggiate del giardino, tenendo il terreno umido nelle prime settimane, così da favorirne l’attecchimento. Un’ultima attenzione: benché sia una pianta estremamente resistente agli attacchi parassitari, fate attenzione alla presenza di rosicchiature delle foglie, date dall’oziorinco o dal punteruolo rosso, eliminabili con prodotti antiparassitari specifici.

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Le nuove indicazioni diffuse dal Consiglio federale il  febbraio hanno fatto cadere le restrizioni che negli scorsi mesi hanno regolato l’accesso alle palestre e centri wellness. Anche per ACTIV FITNESS, quindi, che può contare su cinque centri in tutto il Ticino, si apre in queste settimane una nuova fase di attività. «Abbiamo finalmente la possibilità di riproporre ai clienti tutta la gamma dei nostri servizi, che è sostanzialmente simile a quella pre-pandemica» ci spiega Simone Posavec, Responsabile regionale di ACTIV FITNESS Ticino SA. «Riguardando agli scorsi mesi possiamo dire che alcune delle misure introdotte, come l’obbligo del Certificato Covid e l’uso obbligatorio della mascherina, avevano fatto desistere alcune persone dalla frequenza. Siamo quindi molto contenti di poter tornare a offrire tutta la gamma delle nostre attività». Di fatto, il ritorno alla normalità sarà graduale, e alcune precauzioni saranno mantenute. «Per sicurezza, prevediamo di mantenere ancora un distanziamento precauzionale dei macchinari e allo stesso tempo saranno mantenute tutte le norme di igiene adatte alla situazione. Ma per il resto siamo molto contenti di poter annunciare ai nostri clienti che la situazione si sta lentamente riorientando verso un funzionamento normale e che

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nelle nostre palestre potranno continuare a contare sul sostegno più adatto alle loro necessità». Ricordiamo che i centri ACTIV FITNESS ticinesi sono situati a Losone, Bellinzona, Lugano, Vezia e Mendrisio. Per maggiori informazioni e orari

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Da Padova alla Marca Trevigiana Bacco giramondo

Scorrazzando tra i colli veneti per degustare le perle di una terra ricca di vitigni autoctoni

Davide Comoli

Bagnoli di Sopra è un piccolo villaggio della pianura sud-orientale che troviamo tra le provincie di Padova e Venezia, facilmente raggiungibile dopo pochi chilometri dall’uscita per Padova ovest. Terreni molto variati consentono di ottenere in questa zona vini di ottima qualità, già conosciuti in epoca romana; il solito Plinio aveva definito questi vini: saporem alienum, cioè diverso da altri da lui provati. Oltre ai soliti vitigni internazionali, troviamo tra i rossi il Refosco dal Peduncolo Rosso, il Tai Rosso, la Turchetta, la Corvina e la Cravara, la Marzemina Bianca e la Sciampagna tra le bianche. L’uva storica è però l’autoctona Friularo, imparentata con il Raboso. Il Friularo è un vitigno che matura molto lentamente, dai grappoli molto scuri e concentra negli acini zuccheri, acidità e piacevoli profumi. Oltre alla tipologia di vino secco, lo troviamo in versione Bagnoli Friularo Vendemmia Tardiva, con uve raccolte dopo San Martino; vino che accompagna in modo stupendo l’anguilla ai ferri e, nella versione Passito, può valorizzare il cioccolato fondente.

Lungo la Strada del Vino tra Valdobbiadene, Treviso e Conegliano, è possibile ammirare tratti dove le vigne s’inerpicano con una pendenza tale da costringere i viticoltori a orientare i filari di traverso e girapoggio Percorriamo una decina di chilometri verso Strà, dove ci inoltriamo lungo la bucolica striscia di terra chiamata Riviera del Brenta, il cui fiume omonimo è l’ideale proseguimento del Canal Grande. Ci fermiamo a Mira, dove Bruno, un caro amico di vecchia data, ci rifocilla con gli stuzzicanti «cicchetti veneziani» (baccalà mantecato, polpettine di gamberetti, sardelle in saor, e via elencando), innaffiando il tutto con un frizzante Verduzzo, dalle vivaci sfumature verdognole, mentre sul Brenta di fronte a noi passa il Burchiello diretto a Venezia, carico di vocianti turisti. Da Mestre raggiungiamo poi l’uscita di Noventa di Piave in direzione Salgareda-Vazzola, entrando per un breve tratto nella D.O.C. Lison-Pra-

maggiore. L’Adriatico poco distante e il terreno ricco di carbonato permettono la produzione di vini ricchi di sostanze aromatiche, qui il Merlot e i Cabernet sono i vitigni più coltivati. Lison-Pramaggiore rappresenta inoltre una delle maggiori realtà nazionali per la produzione dei vini BIO. Come i vini della D.O.C. Piave, dove arriveremo tra poco: qui si trovano vini prodotti con un buon livello tecnico, che si contraddistinguono per un bel rapporto prezzo/qualità, ma attenzione perché quantità non significa qualità. Dal punto di vista vitivinicolo la provincia di Treviso presenta una grande ricchezza di vitigni. Le migliori zone sono quelle collocate nella parte più settentrionale della provincia, vale a dire Montello, Colli Asolani, Colli di Conegliano e Valdobbiadene, dove la vigna ha da sempre trovato gli ambienti e i terreni adeguati alle sue esigenze; clima temperato, esposizioni luminose e suoli magri. Siamo sulla sponda sinistra del fiume, in una zona detta Grave del Piave, per la presenza di ghiaie affioranti su cui la vite ha trovato larga diffusione: questa è la patria dell’autoctono Raboso, vino dai profumi di viole e di more, con un’acidità marcata, rustici tannini e di buona struttura. A Cimadolmo giriamo a destra e attraversiamo il Piave in direzione di Spresiano, passando sulla grande isola detta Grave di Papadopoli, formatasi in seguito all’alluvione del . Passando in queste zone, il ricordo torna alla nostra fanciullezza, quando nonno Giovanni () «caporalmaggiore», mi raccontava dei suoi ricordi di guerra in queste zone e del terribile anno passato nelle trincee lungo il corso del fiume Piave. Attraversiamo Volpago del Montello sulla S dove sostiamo in una storica cantina per poter provare un Venegazzù, rosso di taglio bordolese, Cabernet Sauvignon %, Merlot %, Cabernet Franc % e Malbec %, maturato in botti grandi per  mesi; un vino capace di resistere al tempo con efficacia. Siamo nella zona del Montello e dei Colli Asolani, un gruppo collinare disposto a corona a nord ovest della cittadina di Asolo. Ai piedi del Montello troviamo il centro di Montebelluna, sulla sponda destra del Piave, su terreni composti da ghiaia e argilla. Come per il Venegazzù, i vitigni rossi internazionali, che abbiamo sopraci-

Le colline di Asolo con villa Contarini degli Armeni e il suo vigneto. (Patrick Denker)

tato, danno vini dai profumi di marasca e leggermente erbacei. Tra i bianchi si è valorizzato il Manzoni Bianco e la Bianchetta Trevigiana, ma stiamo per entrare nel regno del vitigno Glera da cui si ottengono diverse denominazioni di Prosecco, in loco infatti il vino di punta è il Colli Asolani Prosecco D.O.C.G., menzione arrivata nel . Riattraversiamo il Piave e arriviamo al Valdobbiadene, siamo nella Marca Trevigiana, racchiusa tra il citato Valdobbiadene, Vittorio Veneto e Conegliano: racchiusa tra queste tre cittadine, la zona è ormai internazionalmente conosciuta per il vino Prosecco, che si può trovare e degustare in tutte le sue sfaccettature, nelle numerose aziende vinicole sparse lungo le strade che si inerpicano tra i pendii, alle volte molto ripidi, dei colli ricoperti di vigne. Approfittando della luce delle lunghe giornate estive, ritardiamo il nostro arrivo in albergo, facendo un giro tra le pendenze dei colli delle frazioni di Saccol, Santo Stefano e San Pietro di Barbozza,  ettari di vigneti destinati al cru del Cartizze.

L’aperitivo da noi provato, un Prosecco Superiore di Cartizze , di un giallo paglierino, con un fitto perlage, al naso profuma di pera sciroppata e camomilla, ottimo per stuzzicare l’appetito, così come il Prosecco Superiore Rive Extra Dry , metodo Charmat, dal brioso perlage, dai sentori di mela, buccia di pera, ananas e miele di tiglio, che ha accompagnato il nostro risotto al radicchio, preceduto da filetti d’acciughe ripiene di un impasto di olive, capperi e origano. A titolo d’approfondimento, la menzione Rive sta a indicare un vino prodotto nelle vigne più scoscese; oltre al Glera possono intervenire piccole quantità di Perera, Verdiso e Bianchetta, che donano profili diversi ai vari Prosecco. Percorrendo la Strada del Vino tra Valdobbiadene, Treviso e Conegliano, è possibile ammirare dei tratti dove le vigne s’inerpicano con un’inclinatura che sfiora il settanta per cento e costringono i viticoltori a orientare i filari di traverso e girapoggio: è uno spettacolo che riempie l’anima fermarsi a guardare le vigne e la campagna circostante o sostare per una

degustazione. Basterà seguire i cartelli e andare dove porta l’ispirazione del momento. Una breve sosta a Refrontolo per un panino con la «soppressa» e un Prosecco Frizzante rifermentato in bottiglia a cui seguirà un calice di profumato, dolce e vellutato Refrontolo Passito, prodotto con grappoli di Marzemino su graticci, una vera chicca! Alle porte di Vittorio Veneto, visitiamo il Museo della Battaglia e approfittando della sosta, acquistiamo un’altra gemma di questa terra, il dolcissimo Torchiato di Fregona, dagli intensi sentori di miele d’acacia. La S ci riporta quindi a Conegliano, una tappa piacevolissima sia per l’arte sia per la cucina, dove il classico poenta e osei chiude in magnificenza la giornata, accompagnato da uno strutturato Colli di Conegliano Rosso. E prima di rientrare in Ticino, la mattina dopo visitiamo la Scuola Enologica fondata nel , un’istituzione molto attiva che forma decine di giovani enologi, luogo che è considerato la culla della spumantistica del Prosecco. Annuncio pubblicitario

Enoteca Vinarte, Centro Migros S. Antonino

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TEMPO LIBERO

Ambiente e servizio prima del cibo Gastronomia

Sfatato il principio secondo cui in un ristorante conti come si mangia, la verità è che vogliamo solo essere trattati bene

mal dispone tutti), addestrarli a compiere quei mille piccoli gesti che sono tutto. Certo, il servizio dipende anzitutto dal «posizionamento di mercato» del ristorante, ovvero dalla fascia di prezzo e dall’ambizione recondita. Quindi potrà essere più «cameratesco» a seconda del target – ma è una cosa che va decisa fin dall’inizio, non deve essere lasciata alla più o meno buona volontà dei camerieri. Poi viene l’ambiente. Il mio consiglio è sempre: meglio un cattivo architetto che nessun architetto. Quindi andate con l’architetto nei locali già impostati come vorreste impostare il vostro, e cercate di scoprire elementi di vantaggio o svantaggio di ogni ristorante visitato. Toccherà poi all’architetto lavorare sul progetto, pur sempre incalzato da voi, ché solo la combinazione tra un bravo committente e un adeguato architetto alla fine – collaborando, anche litigando se capita – riuscirà a creare uno spazio «bello». Terzo, un patron di ristorante deve in primo luogo essere un bravo comunicatore. Un ristorante non ha budget per fare pubblicità, proprio nessuno, e solo con la trasmissione di pochi concetti e in «basso» stile pubblicitario, semplici, si può mettere in moto il tam tam da persona a persona che è fondamentale per il successo. Non è facile, lo so, ma un patron bravo a comunicare vale tantissimo: quindi, se capita, e non è una battuta, fate un corso di recitazione. Certo, questa realtà della quale sono più che convinto non è un motivo sufficiente per «sforzarsi» di cucinare male, sia chiaro. Un bravo patron deve dedicare tanto alla cucina e all’acquisto delle materie prime «giuste» per il suo ristorante, non c’è nessun motivo per non farlo. Ma mai, mai deve abbassare la guardia da ambiente, comunicazione e servizio!

Come si fa?

Rawpixel.com

Parliamo di ristoranti. Si dice che per aver successo sia necessario mangiare bene: io ho qualche dubbio. Ho tanti amici che, tra tanto altro, amano frequentare i ristoranti. Quando ci si incontra si finisce, è inevitabile, a parlare di cucina e ospitalità. Ebbene, non mi è mai successo che qualche amico si sia lamentato della «scarsa qualità» di un piatto. Tutte le lamentele vertono da sempre su due cose: l’essere stati «trattati male», tipo che li avevano messi vicino alle porte del bagno o in uno spazio troppo o troppo poco illuminato, e sull’essere stati «serviti male», che vuol dire mille cose, dal fatto che un piatto era arrivato prima o dopo gli altri o che era troppo scarso o abbondante. A «trovarsi male» per questa ragione saranno circa nove su dieci. Mentre quelli che si dichiarano contenti, alla domanda circa il perché, la risposta che mi danno è, come è sempre stata: «Perché mi hanno trattato bene». Quindi da sempre, quando mi rivolgo a un target «alto», ovvero agli appassionati, scrivo concentrandomi sul cibo, come è giusto che sia. Ma se mi rivolgo a un target «normale», cioè al  per cento dei lettori, sono consapevole che ben altri temi devo indagare. Tra questi, il primo da approfondire è il servizio, importantissimo ma mai coltivato abbastanza. Se tratti «male» un cliente, qualunque cosa il cliente intenda per male, non se lo scorderà mai, anche se gli hai dato ottimo cibo. Se lo tratti bene, e lo metti a suo agio, se lo ricorderà sempre, anche nel caso in cui gli hai servito un piatto «standard» tendente al mediocre; questo se lo dimenticherà il giorno dopo, il trattamento no. Quindi è importante per un patron investire tempo e sforzi sul servizio, che vuol dire formare i camerieri, obbligarli a sorridere sempre e comunque (ché una faccia ingrugnita

Pxhere.com

Allan Bay

Oggi vediamo come si fanno tre contorni buoni e universali.Tutti gli ingredienti sono per  persone. Purè di melanzane. Cuocete su una griglia  melanzane tagliate a fette. Eliminate la buccia, tagliatele e da-

di. Mettete i dadi in un colino a scolare per  ora, altrimenti rimangono i succhi, un po’ amari. Travasate la polpa in una ciotola e, aiutandovi con un frullatore a immersione, versate a filo  cucchiai di olio e il succo filtrato di  limone. Regolate di sale e pepe, arricchite con prezzemolo tritato e servite. Potete fare questo purè anche con zucchine, carote, cavolfiore, finocchi e altro. Spinaci allo yogurt. Mondate e lavate  kg di spinaci, poi sbollentateli per  minuto. In una casseruola fate appassire  cipolla tritata con poca acqua degli spinaci. Aggiungete gli spinaci ben strizzati, cuocete fino a quando tutta l’acqua è evaporata e

metteteli in una insalatiera. Spolverate di sale e di pepe. Tritate  spicchi d’aglio, uniteli a  vasetto di yogurt intero insieme a  pizzico di cannella e condite gli spinaci. Fagiolini glassati. Spuntate  g di fagiolini, tagliateli in  o  parti. Metteteli in una casseruola coperta a filo di brodo vegetale e aggiungeteci  filo di olio o  noce di burro,  cucchiai di zucchero e  pizzico di sale. Portate a bollore poi fate sobbollire appena per circa  minuti, mescolando. Se il liquido di cottura non si fosse già ridotto a sciroppo, alzate la fiamma per farlo ridurre alla giusta viscosità. Amalgamate bene i fagiolini allo sciroppo e serviteli.

Ballando coi gusti

Oggi, due ricette a base di pollo. Semplici ma che fanno fare bella figura.

Alette di pollo fritte

Chicken roll in salsa pomayò

Ingredienti per 4 persone: 16 ali di pollo – 2 spicchi di aglio – 3 uova, 3 limoni – farina bianca – pane grattugiato – 2 cucchiai di prezzemolo tritato – olio di oliva – olio di semi di arachidi – sale e pepe.

Ingredienti per 4 persone: 12 fette di petto di pollo – 12 fette di scamorza dolce – 12 fette di prosciutto crudo – 1 uovo – latte – pane grattugiato – maionese – triplo concentrato di pomodoro – 1 rametto di rosmarino – olio di semi – sale e pepe.

Preparate le ali del pollo eliminando la parte terminale e tagliando all’altezza dell’articolazione la parte che rimane. Eliminate una buona parte della pelle e riunitele in una ciotola. Spellate gli spicchi di aglio e tritateli molto sottili, poi spremete i limoni e mescolatene il succo con l’olio d’oliva, il prezzemolo, l’aglio, il sale e il pepe. Sbattete vigorosamente con una forchetta e versate l’emulsione ottenuta sulle alette. Lasciatele marinare per almeno  ora. Sgocciolate le alette dalla marinata e passatele nella farina, poi nelle uova sbattute e infine nel pane grattugiato, cercando di ricoprirle bene. Friggetele in abbondante olio di semi, scolatele con la schiumarola e trasferitele su carta assorbente. Servitele ben calde dopo averle spolverate con poco pepe e salate leggermente

Battete le fette di petto di pollo tra due fogli di carta da forno. Adagiate su ogni fettina di pollo una fetta di formaggio e una di prosciutto e arrotolate. Passate il rotolo prima nell’uovo mescolato a poco latte e battuto e poi nel pane, cercando di ricoprire molto bene. Scaldate l’olio di semi con il rametto di rosmarino. Togliete il rametto e mettete nella padella i rotolini abbastanza distanti da poter essere facilmente girati. Friggeteli, girandoli spesso, per circa  minuti. Scolateli su un foglio di carta da cucina, poi trasferiteli su un piatto caldo e salateli leggermente. Per la salsa: emulsionate la maionese poco per volta al triplo concentrato. Servite i roll ben caldi con la salsa a parte.


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TEMPO LIBERO

Il memory tattile Crea con noi

Fantasia, creatività e tanti materiali diversi per un gioco che stimola non solo il tatto

Giovanna Grimaldi Leoni

Un memory tattile, con tante tessere da abbinare create con materiali diversi che possiamo trovare facilmente in casa. Un gioco per allenare e stimolare il senso del tatto che può essere utilizzato anche per imparare a conoscere le varie caratteristiche dei materiali e impararne i relativi aggettivi. Il materiale infatti può essere liscio, ruvido, morbido, freddo, duro, soffice, omogeneo… Un gioco dalla realizzazione davvero semplice che offre molte pos-

neria di pizzo o a zig zag. Rivestite sempre due quadrati con lo stesso materiale. Per le prossime tessere utilizzate dei rivestimenti «piatti». Della gomma crepla, panni e spugnette da cucina con trame diverse, una stoffa spessa, un pezzetto di pile, della iuta, della plastica con le bolle…lasciatevi ispirare da ciò che trovate in casa e stimola la vostra curiosità. La terza serie di tessere è quella più materica. Con la colla a caldo potete fissare bottoni, cannucce, pietre, lana cardata, piume, elastici, pompon (qui vengono in aiuto le splendide zip bag assortite «I am Creative» in vendita nei reparti bricolage Migros che offrono una gran quantità di materiali diversi e super colorati). Alla fine avrete ottenuto un risultato come quello nella foto: un variopinto memory tattile. Non vi resta che infilare tutte le tessere in un sacchetto di tela e divertirvi con questo memory che invece che basarsi sulla vista e la memoria si basa su sensorialità e tatto. Nota: oltre che come memory queste tessere possono essere utilizzate con i bambini per mostrare loro le tante caratteristiche dei materiali e gli aggettivi che usiamo per descriverli. Liscio, ruvido, duro, morbido, sottile, spesso…

sibilità di impiego e spunti per apprendere. Procedimento Con matita e righello disegnate sul cartone dei quadrati da x cm e ritagliateli in numero pari. Iniziate a preparare una prima serie di tessere tattili utilizzando i filati che andrete ad avvolgere attorno al cartone. Potete utilizzare per esempio un filato grosso, uno fine, uno con pon pon e un nastro di raso o della passama-

Tutorial completo azione.ch/tempo-libero/passatempi

Giochi e passatempi Cruciverba

Lo sapevi che durante un giro di golf il giocatore può usare… scopri il resto della frase risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere nelle caselle evidenziate. (Frase: 7, 11, 5)

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Scoprite i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.

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28. Le iniziali dell’attore Murphy 30. L’Oriente 32. Un guasto alla nave 34. Il giro di Francia 36. Il suo antipode è il nadir 37. Ne hanno dieci i granchi VERTICALI 1. Può aggravarsi in peggio 2. Spiacevole, sgradevole 4. Le iniziali del poeta Quasimodo 5. Di lei 6. Membrana che avvolge il corpo vitreo dell’occhio 8. Infiammazione dell’orecchio

(I materiali li potete trovare presso la vostra filiale Migros con reparto Bricolage o Migros do-it)

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11. Antica lingua provenzale 14. Sono nel caos 17. Astro... al tramonto 18. Imprese eroiche 19. La Carlucci di «Ballando con le Stelle» 20. Felice 21. Il «Duca della Vittoria» 23. Oggi, domani... 27. Un antico saluto 29. Con, per i tedeschi 31. Il Jones di Henry Fielding 33. Anno a Parigi 35. Su per gli inglesi

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ORIZZONTALI 1. Congiunzione avversativa 3. Loro 7. Prende un pesce alla volta 9. Avverbio di luogo 10. In senso non letterale... 12. Le iniziali del regista Lattuada 13. Nome femminile 15. Le iniziali dell’attrice Thirlby 16. Si ottengono ripiegando la carta 22. Letti senza consonanti... 24. Sa scriverla il poeta 25. Simbolo chimico del cloro 26. Due vocali

Sudoku

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• Cartone di riciclo (spessore almeno 3mm) • Matita/righello/taglierino • Filati di diverso tipo: cotone, lana, nastri, a pompon • Stoffe: tessuti spessi, in maglia, in pile, pelosi • Materiali vari: elastici, bottoni, pompon, pietre, cannucce • E tutto quello che la fantasia vi suggerisce e che può essere interessante al tatto (es. plastica con le bolle, retina delle arance, carta stagnola dei cioccolatini, spugnette da cucina) • Pistola colla a caldo

Vinci una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una carta regalo da 50 franchi con il sudoku

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Materiale

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Soluzione della settimana precedente Ieri la mia compagna mi ha lasciato un post-it attaccato al frigo con scritto: «Non funziona, me ne vado di casa!» «Non capisco… Resto della frase: «… HO APERTO IL FRIGORIFERO E FUNZIONAVA!» C H I M O A I A T I T F E O F I L R E A L B O S T O A U T O U N A I B L D D O E N E

A O B R I E T O N E D N I I T A

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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.


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TEMPO LIBERO / RUBRICHE

Viaggiatori d’Occidente

di Claudio Visentin

Nuova consapevolezza o ghetto turistico? ◆

Dopo il film Green Book (), vincitore di tre premi Oscar, tutti conoscono l’infame trattamento subito dai viaggiatori di colore nell’America del secondo dopoguerra e come la provvidenziale Guida verde appunto venisse in loro soccorso, indicando in quali stazioni di servizio, alberghi e ristoranti erano benvenuti. Con qualche sorpresa ho scoperto però l’esistenza di una Jewish Vacation Guide pubblicata a New York nel . Anche gli ebrei dunque hanno provato l’umiliazione di vedersi rifiutare una prenotazione da un albergo, ritrovando nella libera America quel virulento antisemitismo che speravano di essersi lasciati alle spalle emigrando dall’Europa. Non a caso nel  il Congresso limitò drasticamente l’immigrazione dall’Europa orientale. E se la maggior parte dei neri benestanti preferiva viaggiare con la propria auto, per

evitare la segregazione sui treni o sugli autobus di linea, per gli ebrei non era così facile. Henry Ford, il principale costruttore di auto americano, era infatti un noto antisemita: nelle sue conferenze e nei suoi scritti attribuiva agli ebrei tutti i mali del tempo. Boicottare i suoi veicoli per gli ebrei era quasi un dovere. E oggi? Certo ai giorni nostri un grande albergo non potrebbe mai selezionare i viaggiatori sulla base del colore della pelle o della religione. Ma la discriminazione è ancora presente, in forme nascoste, sulle piattaforme di condivisione, dove le nuove tecnologie paradossalmente hanno favorito la sopravvivenza di antichi pregiudizi. Per esempio, secondo una ricerca di qualche anno fa, su Airbnb le prenotazioni di persone con un cognome chiaramente afroamericano avevano il % di possibilità in più di essere rifiutate.

Passeggiate svizzere

Da allora Airbnb si è molto impegnata in questa direzione, adottando nuove regole ispirate alla visione occidentale dei diritti umani, per quanto questa sia poco compresa e condivisa in molte parti del mondo. E non ha arretrato neppure quando ha dovuto sospendere la collaborazione con un milione di padroni di casa che volevano comunque (con qualche ragione) conservare la piena libertà di scegliere chi ammettere nella propria abitazione. Nel frattempo comunque anche gli utenti si stanno organizzando. Stefan Grant, un rapper di origini giamaicane, ha visto arrivare la polizia quando è entrato in un appartamento affittato su Airbnb, perché i vicini pensavano fosse un ladro. Grant ha creato allora Noirbnb, una piattaforma di prenotazioni rivolta ai viaggiatori di colore, che saranno così sempre sicuri di essere ben accetti.

Nel frattempo la Black Travel Alliance ha esplicitamente resuscitato The ABC Travel Green Book. Altre app di recente creazione − come Green Book Global, EatOkra eccetera − propongono piuttosto un punto di vista afroamericano sul viaggio. Ovvero, anche quando non c’è discriminazione, si preferisce frequentare alberghi e ristoranti gestiti da esponenti della propria comunità, anche per sostenerla dal punto di vista economico, oppure offrire visibilità a piccoli musei, itinerari guidati o negozi di neri. Naturalmente queste scelte sono discutibili: sono un passo avanti verso una nuova consapevolezza o una chiusura volontaria in un ghetto turistico? È meglio boicottare le grandi piattaforme o cercare di cambiarle dall’interno? La comunità LGBTQ+ ha creato strumenti simili per garantire la sicurezza in viaggio. Alla tradizionale

The Spartacus International Gay Guide, pubblicata regolarmente dal  al  e ora trasformata in un app, si sono aggiunti altri strumenti come la piattaforma di prenotazione FabStayz. Inoltre diverse app, come Tripit o Geosure, aiutano a capire quanto una città o un quartiere siano sicuri, dal punto di vista di questa comunità ma anche delle donne sole o di chi semplicemente teme di essere derubato per strada. Nel frattempo il nuovo rilievo dei trans nella discussione pubblica ha ulteriormente complicato la questione: per esempio, con tutte le buone intenzioni del mondo, sembra difficile negare a una donna sola la possibilità di scegliere se affittare o meno una stanza della propria casa a chi ha l’aspetto esteriore di un uomo. Le nuove tecnologie del resto sono così: risolvono problemi, creano altri problemi, aprono inedite prospettive.

di Oliver Scharpf

Le vetrate di Bazaine a Berlens ◆

Prati brinati sono i primi protagonisti del mio cammino. Dall’incontro con la Glâne – fiumiciattolo che dà il nome a tutto un distretto e il cui corso si snoda pigro ai piedi della collina di Romont – in mezzoretta, alternando asfalto ed erba ammantata di brina che scricchiola sotto i piedi sul ciglio della strada, arrivo a Berlens. Paesino di duecento anime la cui antica chiesetta individuo da lontano grazie al suo campanile acuminato come una spina. Notre-Dame de l’Épine, dal Seicento meta di pellegrinaggio per guarire gli occhi, architettura rustica riassumibile nelle scandole che avvisto ora sul campanile, fondamenta romane, impreziosita nel , in occasione del suo restauro, di sei vetrate opera di Jean Bazaine (-). Astrattista lirico superlativo nato a Parigi dove nel quartiere latino incanta gli occhi di chi, dal  a oggi, entra a

guardare il coro della chiesa gotica di Saint-Séverin. Spingo la porta di Nostra Signora della Spina e la prima cosa che vedo delle vetrate di Bazaine a Berlens ( m) sono i riflessi colorati soffusi sul pavimento del coro. Un miscuglio luminoso rosa-giallo proveniente dalla vetrata sud del coro, trafitta alle undici in punto di una mattina abbastanza soleggiata verso la fine di febbraio. L’inverno si trova nella prima finestra della navata sempre a sud, subito qui a destra entrando. Il tema delle quattro vetrate, due per navata, è un cespuglio di spine nelle quattro stagioni. È infatti sopra il cespuglio di biancospino qui dietro la chiesa che un giorno, dicono, apparve la Madonna. Fiammate blu lavanda salgono in alto, gemme azzurro ghiaccio si avviluppano verso il cielo accanto a lingue bianco brina, alcune schegge di lilla come scin-

Sport in Azione

tille nel camino, spicchi blu cobalto si aggrovigliano accanto a sciabole di un bel blu Nattier. Natura in attesa, raggelata, il tacere è in pieno rigoglio. «La Spina miracolosa porta nelle stelle rosa dei suoi cristalli di brina le promesse della luce» trovo scritto al riguardo di questa vetrata invernale, tra le dodici pagine su Bazaine a Berlens in Nouveaux signes du sacré, le vitrail contemporain () di Étienne Chatton. Conservatore all’epoca dei monumenti storici friburghesi soprannominato Samouraï, è proprio Étienne Chatton (-), artefice occulto della ventata di vetrate moderne dei dintorni, a chiedere di persona a Bazaine – andando nel suo atelier di rue Pierre Brossolette a Clamart – se accettava l’incarico di questa creazione. Più avanti spine di luce rossa dell’autunno scaldano l’ambiente, ricordando il roseto ardente dell’Esodo, ma è

da nord che entra molta luce attraverso l’estate e la primavera con un turbinio di lastre sui toni più chiari. Troppa luce, trovo, comunque, in generale, dall’inizio, magari dovrei tornare in una giornata grigia penso, però credo sia tutto dovuto alla mancanza dell’effetto cattedrale, crea dipendenza quella penombra gotica che mette in risalto la vetrata. Seduto su uno dei banchi in legno chiaro dell’ultima fila, poi, dopo un po’, capisco forse che si tratta di una cosa sola: le vetrate e la chiesa. Bazaine, amico di Manessier tra l’altro, crea un luogo di luce dove ogni cosa si accorda all’altra, la vetrata perde peso. Si forma uno spazio più ampio, prodotto dallo spirito, grazie al colorito in movimento. Un po’ come quando cammini molto e di colpo senti un ruscello. Le decorazioni floreali del soffitto di legno a volta a botte, con molto fogliame, riportano nei boschi

dove per i celti la natura è tempio. In un bosco qui vicino si racconta di sassi erratici per riti di fertilità dove le donne si strofinavano al chiaro di luna. Nel coro a volta di ogiva, oltre alla Madonna fluttuante nel suo vestito triangolare ricamato, in una bacheca scopro ex voto in forma di occhi d’argento. E cinque sfere d’agata di una collana-amuleto che si metteva sugli occhi per guarirli. Vedo la sorgente dei riflessi per terra di prima; la vetrata, orientata verso il bosco delle Fate, riguarda i misteri gloriosi. Rivado con lo sguardo agli intrecci delle vetrate nord (come per Manessier a Friburgo la mano del mastro vetraio è quella di Michel Eltschinger) e in realtà potrebbero anche essere fonte di guarigione moderna per gli occhi. Se non altro, lo studio di questo tipo di vetrate da queste parti, è come una spinta finale che aiuta un po’ a superare l’ultimo pezzo d’inverno.

di Giancarlo Dionisio

Trionfo elvetico ai Giochi… con la condizionale ◆

Ralph Stöckli, Capo della delegazione rossocrociata ai Giochi di Pechino, si aspettava  medaglie. Ne sono arrivate . In fondo sarebbe bastato il bronzo scippato a Fanny Smith nello skicross per rispettare le attese con precisione chirurgica. Chiudiamo all’ottavo posto del medagliere con sette titoli olimpici, un record per la Svizzera. Alle nostre spalle ci sono colossi come Russia, Francia e Italia. Basterebbero questi dati per archiviare Pechino  come una delle edizioni di maggior successo per i nostri colori. Tuttavia, nonostante le levatacce ricompensate da emozioni e adrenalina in quantità cinesi, mi sento di parlare di una spedizione in chiaroscuro. Che analisi avremmo fatto senza le esaltanti prestazioni regalateci dallo sci alpino? Beat Feuz e Corinne Suter olimpionici nella gara regina. Lara Gut-Behrami e Michelle Gisin rien-

trate con un’oro e un bronzo. Wendy Holdener con al collo un argento e un bronzo. Infine Marco Odermatt, campione olimpico a soli  anni, lanciato verso una carriera da fenomeno. Il suo mancato podio nel SuperG e la controprestazione dei nostri nel Team Event conclusivo non intaccano minimamente una spedizione assolutamente stellare. La maestrina dalla penna rossa li avrebbe congedati con uno sberluccicante –. Un voto robusto se lo meritano anche coloro che ci hanno rappresentati nelle cosiddette discipline fun, big air, slopestyle, skicross, eccetera, Mathilde Gremaud, Ryan Regez, Alex Fiva e Jan Scherrer hanno raccolto  ori,  argento e  bronzi. Con un pizzico di buona sorte il bottino avrebbe potuto essere più pingue. Ma non importa. Il settore, decollato nel lontano  con l’oro di Gian Simmen nell’Halfpipe, ha dimostrato di essere vivo e di

sapersi reinventare anno dopo anno. La maestrina, avrebbe spostato la veletta di pizzo del suo cappellino, prima di vergare un lusinghiero +. Lo so, è un po’ severa, la Signorina. Io avrei assegnato un  e ½. Ora però cominciano i dolori di capo. Gli sport del ghiaccio e il settore dello sci nordico stanno già mettendo in fibrillazione l’implacabile insegnante. Nel pattinaggio, sia artistico, sia di velocità, siamo lontani dal podio. Bob, slittino, skeleton, che in passato ci avevano visto duellare con i migliori, salvo qualche pallida eccezione, sembrano frenati. Il curling esce con risultati inferiori alle aspettative. E l’hockey? Era lecito sognare. Ma il bilancio è deficitario. In campo femminile,  partite,  vittorie,  sconfitte. La finalina per il bronzo ci dice che le ragazze sono alle soglie dell’élite, ma più lontane rispetto a Sochi . I ragazzi di Pa-

trick Fischer tornano alle fatiche del campionato con  successo e  rovesci. Fuori ai quarti di finale. L’assenza delle star NHL non è una scusante. Pesava anche sui nostri avversari. Voto + grazie a Nicole Bullo e compagne e al team di Silvana Tirinzoni che, quantomeno, hanno lottato per una medaglia. Il settore sul quale si dovrà riflettere è quello dello sci nordico. Voto  e ½. Senza appello. Nel fondo e nel salto non siamo stati capaci di costruire una squadra attorno al talento immenso di Dario Cologna e Simon Ammann. Per anni sono stati costretti a sgomitare da soli contro una concorrenza sempre più accesa e spietata. Idem nel biathlon. L’argento di Selina Gasparin a Sochi  e alcuni buoni risultati di Benjamin Weger al debutto in Coppa del Mondo, sono rimasti «vox clamantis in deserto». Da anni i nostri arrancano. Il quinto po-

sto di Nadine Fändrich nello sprint è l’eccezione che ci regala un timido sorriso. Spesso si è parlato di materiali non all’altezza delle migliori squadre. Ma non si è mai trovato un rimedio. Altre volte ci si è nascosti dietro i numeri che parlano di un esiguo bacino d’utenza dal quale attingere. Diamo per scontato che atleti come Dario e Simon non nascano tutti i giorni. Li ringraziamo per gli otto ori olimpici e per tutto il resto. Entrambi, con i loro trionfi hanno portato mezzi e attenzioni alle loro discipline. Il miglior modo per manifestare riconoscenza sarebbe stato quello di capitalizzare il loro passaggio nel firmamento dello sport rossocrociato. Come? Non ho ricette. Probabilmente non ne hanno neppure i responsabili di Swiss Ski. Hanno tuttavia occhi per copiare da chi è più bravo di noi. Tanto la maestrina si è distratta...


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Anno LXXXV 28 febbraio 2022

ATTUALITÀ

azione – Cooperativa Migros Ticino 23

Un’aggressione che insegna Quali lezioni può trarre l’Occidente dalla tragedia ucraina, specie riguardo energia e difesa?

Quei legami col Dragone Perché l'America non riesce a ridurre la sua dipendenza dal made in China e con quali conseguenze

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Dove l’Ue perde terreno La posta in gioco strategica nei rapporti tra Unione europea e continente africano

Donne e finanza Uno studio americano conferma la scarsa propensione a investimenti finanziari di molte donne

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Il prezzo della follia di Putin

Ucraina ◆ L’equilibrio del mondo sprofonda sotto i colpi delle bombe russe. Intanto l’Occidente scopre di aver sottovalutato il risentimento post imperiale che stava crescendo al Cremlino e soprattutto di non avere strumenti per affrontarlo Anna Zafesova

Un giorno gli storici ricostruiranno cosa si è rotto nella testa di Vladimir Putin in quelle poche ore che sono trascorse tra la sua promessa al mondo di ritirare parte delle truppe russe dal confine con l’Ucraina, e affidare alla diplomazia il proseguimento del negoziato strategico con l’Occidente nonostante le divergenze, e le bombe che sono piovute sulle città ucraine. Missili lanciati da oltre confine, caccia ed elicotteri che scagliano sventagliate contro caserme e case, razzi multipli contro quartieri residenziali, carri armati che sfondano il confine: una guerra, una guerra vera, come quelle che l’Europa ormai vedeva soltanto nei film. Un’invasione che, forse per coincidenza, forse per intenzione, inizia giovedì scorso poco prima dell’alba, e la resistenza ucraina fa subito sua la vecchia canzone sovietica «alle quattro hanno bombardato Kiev, ci hanno detto che è iniziata la guerra». Mentre il presidente Volodymyr Zelensky non esita a paragonare gli invasori russi ai nazisti nel .

in piazza nonostante un anno di repressioni o dissentire sul web. Elena Kovalskaya, direttrice del centro teatrale Meierkhold, si dimette con le parole: «Non prendo lo stipendio da un assassino». Atti di grande coraggio applauditi in silenzio da un’opinione pubblica che sembra contraria alla guerra ma ha paura di esprimerlo pubblicamente. Anche perché la lotta per la pace diventa subito la bandiera del detenuto politico numero uno in Russia, il leader dell’opposizione Alexey Navalny, che prevede un ulteriore impoverimento dei russi comuni e un isolamento del paese, sostenuto soltanto da Cuba, Nicaragua, Siria, Iran e Venezuela.

Alleati e simpatizzanti sono costretti a voltare le spalle al Cremlino mentre in patria insorge una protesta sorprendente

I missili segnano la rottura definitiva della Russia di Putin con ogni pretesa di partecipare a un ordine internazionale condiviso È uno shock per tutto il mondo, le bombe che piovono sulle città pacifiche senza preavviso e senza pretesto, e le parole con le quali Vladimir Putin le giustifica, in un appello televisivo che parte in contemporanea con il Consiglio di sicurezza dell’Onu convocato dall’Ucraina. Summit aperto dal segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres con l’esortazione al capo del Cremlino: «Fermi la guerra!». I missili, però, sono già decollati e segnano la rottura definitiva della Russia di Putin con ogni pretesa di partecipare a un ordine internazionale condiviso. Il rappresentante di Mosca al Palazzo di vetro rifiuta la parola «guerra», per il Cremlino si tratta di una «operazione militare speciale». Il ministro degli Affari esteri russo, Sergej Lavrov, apostrofa duramente la presa di posizione contro la Russia di Guterres affermando che aveva il dovere di «restare imparziale». L’equilibrio del mondo sprofonda sotto i colpi delle bombe russe e le ragioni di Putin non lasciano speranza che possa venire ricostruito. Il presidente russo abbandona qualsiasi ambiguità e sfoggia il suo pensiero neo-coloniale e imperiale. Gli Stati Uniti e i loro alleati sono «l’impero della menzogna» che vuole «distrug-

In attesa di un treno per fuggire da Kiev, giovedì 24 febbraio. (Keystone)

gere i nostri valori famigliari tradizionali», la Nato ha «superato la linea rossa», l’Ucraina è una colonia americana «governata da una giunta nazista». Che l’adesione di Kiev alla Nato non era nemmeno all’orizzonte, che l’Ucraina vuole aderire all’Unione europea, sembra non interessargli. Come del resto il fatto che Zelensky è un ebreo russofono votato soprattutto in quell’est dove si parla russo, che oggi il Cremlino considera vittima di «genocidio». La verità o anche la sua parvenza non hanno più nessuna importanza rispetto alla narrativa orwelliana del Cremlino. Cremlino che non riesce più a trovare nessuna spiegazione razionale, di interessi politici, di giochi strategici: non c’era nulla che giustificasse questo attacco senza avvertimento, che non si limi-

ta a tutelare le enclave separatiste filo russe riconosciute da Mosca appena due giorni prima. Putin non nasconde infatti il suo obiettivo: cambiare regime in Ucraina, distruggere la sua capacità difensiva e insediare un governo amico, che vorrà accettare – di propria volontà o sotto la minaccia delle bombe – di rinunciare alla linea euroatlantica, insieme a una serie di territori che il capo del Cremlino definisce «storicamente russi», in primo luogo la Crimea annessa nel . Il prezzo pagato è enorme: già nei primi minuti la borsa russa – e quindi le aziende di Stato affidate agli amici di Putin – perde metà del suo valore, le sanzioni piovono da Washington e Bruxelles, ma alle misure dei governi si aggiungono iniziative di privati. Dai

consigli di amministrazione delle società russe è una fuga di consiglieri altolocati reclutati tra i politici europei, molti produttori di software bloccano il funzionamento dei loro prodotti in Russia, alcuni paesi sospendono i visti per i russi e il boicottaggio di eventi culturali e sportivi legati a Mosca diventa un fenomeno globale. Anche alleati e simpatizzanti sono costretti a voltare le spalle al Cremlino, mentre in patria insorge una protesta che, considerato il livello delle repressioni dello scontento degli ultimi mesi, è quasi sorprendente. Lettere aperte di scienziati e artisti, profili Instagram di attori e cantanti, proteste di giornalisti e conduttori televisivi – che sanno di rischiare come minimo il lavoro – si aggiungono ai russi comuni che osano scendere

Un isolamento che appare un fallimento definitivo per un leader che aveva esordito come quello che voleva portare la Russia verso l’Europa e la Nato, e farle riguadagnare lo status di potenza. Una exit strategy appare poco probabile, mentre sul web russo circolano video – tutti da verificare – di rottami di razzi multipli sparati contro quartieri residenziali, un atto che, se dimostrato, vale una incriminazione per crimini di guerra. Ma il presidente russo sembra vivere un trionfo. Le guerre finora l’hanno sempre premiato nei sondaggi e, dopo la crescita dello scontento degli ultimi anni, tra il popolo come tra le élite, ha ridotto al silenzio tutti, anche perché in un paese isolato e sotto sanzioni gli oligarchi dipendono ancora di più dallo Stato. E lo Stato è lui, in quel sistema quasi monarchico che ha costruito, e che gli permette di lanciare una guerra folle, che segnerà probabilmente la fine del suo regime, ma forse anche di due paesi dell’Europa (tre se si conta la Bielorussia di Aleksandr Lukashenko che si è prestata a fare da base per l’invasione russa). L’Occidente intanto scopre con orrore di aver sottovalutato il risentimento post imperiale che stava crescendo al Cremlino, e soprattutto di non avere strumenti per affrontarlo: la diplomazia, arte del negoziato e del compromesso, per la sua stessa natura non può che essere razionale, mentre nella (auto)distruzione russa si intuisce quella follia che sintetizza per tutti Milos Zeman. «I pazzi vanno isolati», dice il presidente della Repubblica Ceca, che finora Mosca annoverava tra i suoi amici.


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Lezioni ucraine viste dall’America Prospettive

È tutta la filosofia europea che viene rimessa in discussione dall’aggressione russa nel cuore del continente

Federico Rampini

Quali lezioni vorrà trarre l’America dalla tragedia ucraina? Ammesso che le nazioni sappiano decifrare gli insegnamenti della storia, «maestra di vita», forse qualcosa riuscirà ad emergere dalle sofferenze di Kiev. Alcune conseguenze devono riguardare in particolar modo gli alleati europei, nell’ottica di Washington. Energia e difesa sono i temi centrali. L’Europa è in prima linea, però qualche ricaduta riguarda anche il dibattito americano sulla lotta al cambiamento climatico. La dipendenza europea dall’energia russa (gas e anche petrolio) ha una storia antica. Si allunga fino a John Kennedy, all’inizio degli anni Sessanta, l’elenco dei presidenti americani che ammonirono gli europei sui rischi della dipendenza da Mosca. Più di recente, sia Obama che Trump furono in sintonia nel denunciare il gasdotto Nord Stream  come un errore strategico della Germania. La prima lezione dalla guerra ucraina, secondo gli americani, dovrebbe essere una forte spinta alla diversificazione delle fonti di approvvigionamento europee. Questo implica una resa dei conti con certe ingenuità ambientaliste. Le fonti rinnovabili non sono pronte a sostituirsi subito e in toto alle energie fossili. Gli errori di una transizione frettolosa e prematura furono già evidenti quando l’Inghilterra l’estate scorsa soffrì per un ammanco di energia eolica (i venti soffiarono meno del previsto nel Mare del Nord, ricordandoci un limite serio delle rinnovabili), e Londra fu costretta a improvvisi acquisti di gas che fecero salire i prezzi ancor prima dell’attacco di Vladimir Putin. Il gas naturale è un’energia intermedia – inquina, ma meno delle altre fossili – che deve avere un ruolo in una transizione realistica. L’Italia però si è imposta forti limitazioni sull’estrazione dai propri giacimenti, consegnandosi a una dipendenza pericolosa dalla Russia (o da paesi altrettanto problematici, nonché soggetti a condizionamenti russi: Algeria, Libia, Azerbaijan). Diversificare le fonti geografiche significa anche attrez-

zarsi per acquistare più gas dagli Stati Uniti e da altri produttori lontani. Il gas che non viaggia nei gasdotti esistenti va trasportato su nave, quindi liquefatto alla partenza e poi ri-gassificato all’arrivo. Le infrastrutture attuali non bastano, l’Europa dovrebbe investire per la costruzione di nuovi terminali attrezzati per la ri-gassificazione. Non sono ricette magiche che danno risultati immediati. Ma se lo shock ucraino non smuove l’inerzia oggi, costringendo a intraprendere azioni troppe volte rinviate, il prossimo ricatto di Putin troverà gli europei altrettanto vulnerabili. E non è ragionevole pensare che Putin voglia fermarsi all’Ucraina. La questione del gas impone scelte delicate anche a Joe Biden. L’ala più ambientalista del partito democratico ha costretto Biden a frenare un’ulteriore espansione dell’estrazione di shale-gas negli Stati Uniti. L’America è in una posizione energetica invidiabile, avendo raggiunto da molti anni l’autosufficienza. Se però vuol essere fedele al suo ruolo di leader dell’Occidente (e protettrice degli alleati europei) non può accontentarsi di guardare in casa propria. Oltre all’autosufficienza dovrebbe potenziare la sua capacità di esportazione. Il guaio è che gli ambientalisti americani osteggiano una strategia americana di sviluppo dell’estrazione e dell’export di gas. Biden deve scegliere tra la vocazione di «guida del mondo libero» e quella di avanguardia nella transizione alle energie rinnovabili che i suoi verdi gli assegnano come priorità. Il capitolo sulle conseguenze energetiche della guerra ucraina deve includere per forza il nucleare. La fragilità e la ricattabilità dell’Europa sarebbero minori, se Germania e Italia non avessero rinunciato al nucleare. Anche in America il movimento ambientalista ha imposto una battuta d’arresto all’energia atomica, sia pure senza arrivare alla chiusura delle centrali esistenti. Lo shock ucraino basterà a riaprire la questione? Le ideologie resistono agli assalti della realtà,

La prima lezione dalla guerra ucraina, secondo gli americani, dovrebbe essere una forte spinta alla diversificazione delle fonti di approvvigionamento europee. (Shutterstock)

ed è probabile che non basti nemmeno la guerra ucraina per smuovere i pregiudizi contro il nucleare. L’altra grande lezione che gli europei dovrebbero trarre dalla tragedia di Kiev, almeno in un’ottica americana, riguarda la difesa. Anche su questo terreno c’è una continuità bipartisan di presidenti repubblicani e democratici che dalla Casa Bianca hanno criticato la passività dell’Europa. Molti paesi membri della Nato, tra cui Germania e Italia, non arrivano a spendere per la propria difesa neppure il minimo indispensabile che sarebbe il % del proprio Pil. Non è un livello imposto da Washington, è un obiettivo concordato con tutti i governi della Nato. Gli inadempienti hanno continuato a ignorarlo pur avendolo sottoscritto. Furono criticati con le buone maniere da Obama, con sgarbo da Trump che ventilò una dissociazione dagli obblighi di solidarietà atlantica. L’aggressione russa all’Ucraina – che della Nato non fa parte – ha ricordato le conseguenze angoscianti di un ridimensionamento delle forze armate: se Putin un giorno dovesse rivolge-

re i suoi appetiti verso i Paesi Baltici, in quell’area di frontiera il dispositivo della Nato è pericolosamente sottile. Più in generale è tutta la filosofia del progetto europeo a ricevere un colpo dalla guerra in Ucraina. L’Unione europea si è illusa di poter fiorire come una superpotenza «erbivora» rispettata dal mondo intero per il suo livello di civiltà, proprio mentre Russia e Cina portavano avanti formidabili programmi di riarmo e modernizzazione dei propri eserciti. È tutta la filosofia europea che viene rimessa in discussione dall’aggressione russa nel cuore del continente. Le opinioni pubbliche vorranno affrontare un riesame delle proprie certezze pacifiste? Basterà l’Ucraina a convincerle che il mondo non è regolato dal soft power, che nei rapporti tra nazioni l’elemento della forza militare continuerà ad avere un peso enorme? Se l’Europa occidentale ignora la lezione, deve accettarne tutti i prezzi: una decadenza vissuta ai margini di potenze imperialiste come la Russia, la Cina, la Turchia e l’Iran, comporterà continue rinunce ai nostri valori. Non ci si mette al riparo dalle

autocrazie con le manifestazioni per la pace, i sit-in di solidarietà con le vittime dei dittatori. Tanto più che gli europei dovranno interrogarsi sul futuro della protezione americana. Una lezione implicita – e inconfessabile – che Washington trae dall’attacco russo all’Ucraina è questa: per fortuna che non avevamo ammesso Kiev nella Nato, altrimenti a quest’ora saremmo obbligati a difenderla. Il passo successivo? Sarà chiedersi se i soldati americani dovranno morire per difendere la Lettonia o l’Estonia, la Lituania o la Polonia? Non si può escludere che torni Trump alla Casa Bianca, oppure un altro presidente isolazionista, e che cominci a rimettere in questione l’articolo  della Nato cioè l’obbligo d’intervenire in difesa di un alleato aggredito. Di sicuro l’America vorrà rinviare sine die ogni progetto di allargamento della Nato, forse in futuro dovremo tornare a interrogarci sulla sua fedeltà atlantica. Tanto più se gli europei continuano a pretendere dai soldati e dai contribuenti americani dei sacrifici che non si vogliono fare né a Roma né a Berlino. Annuncio pubblicitario

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La droga del «made in China» L’analisi

Gli Stati Uniti hanno chiuso il 2021 con un record assoluto per il loro deficit negli scambi con l’estero. Vediamo perché

Federico Rampini

C’erano una volta le guerre dell’oppio: furono a metà dell’Ottocento, quando l’Inghilterra non esitò ad attaccare militarmente la Cina per costringerla ad aprirsi alla droga che l’impero britannico produceva nelle sue colonie. All’origine c’era un problema di bilancia dei pagamenti. Londra aveva i conti in eterno rosso con la Cina, perché i suoi consumatori erano avidi di tè cinese e sete cinesi, mentre l’Impero celeste comprava poco made in England. Il narcotraffico di Stato divenne la scorciatoia per bilanciare lo squilibrio. I cinesi se lo ricordano ancora. Nel frattempo una metafora oppiacea si addice all’America: l’economia più ricca del mondo sembra un tossicodipendente che non riesce a svezzarsi da una droga, in questo caso il made in China. Cambiano i presidenti e le maggioranze congressuali, cambiano le politiche economiche, ma una costante dell’America non delude mai: il deficit commerciale continua a crescere. Con o senza dazi doganali. E in barba a tutte le promesse solenni della Cina di importare più prodotti made in Usa.

Ora l’inflazione Usa, che viaggia al 7,5% pur in presenza di una forte ripresa negli acquisti dalla Cina, conferma che il «made in China» sta rincarando Una cosa però è cambiata davvero: non si sente più l’effetto deflazionistico dello «sconto cinese». Per un trentennio l’invasione di prodotti asiatici a buon mercato era stato il miglior calmiere dei prezzi, a vantaggio del consumatore americano, anche se aveva impoverito la classe operaia americana. Ora l’inflazione Usa, che viaggia al ,% pur in presenza di una forte ripresa negli acquisti dalla Cina, conferma che il made in China sta rincarando. E la causa principale non sono i dazi bensì gli aumenti dei costi di produzione: i salari cinesi salgono, le materie prime pure. Gli Stati Uniti hanno chiuso il  con un record storico assoluto per il loro deficit negli scambi con l’estero; la loro bilancia commerciale è peggiorata del % andando in rosso per  miliardi di dollari. Quasi la metà di questo deficit è verso la Cina:  miliardi di disavanzo bilaterale, in peggioramento del ,% sul . L’aumento del deficit commerciale americano ha molte cause, e non tutte negative. Anzi, bisogna cominciare da questa constatazione: un deficit commerciale può essere un segnale di buona salute dell’economia, perché significa che imprese e consumatori hanno redditi più alti e quindi aumentano le proprie spese per acquisti dall’estero. Questa spiegazione è tra le più importanti: l’economia americana l’anno scorso è cresciuta più di altre (+,% l’aumento del Pil americano contro una media del +% per le economie avanzate), di conseguenza sono ripartiti al rialzo gli investimenti delle imprese e la spesa dei consumatori. Una parte di questi si traducono in acquisti di beni importati, dai macchinari made in Germany per le imprese, ai laptop made in China per i consumatori. Un’altra causa generale di questo deficit invece è legata al Coronavirus. Durante la pandemia le spese dei consumatori si sono spostate: siamo tutti andati meno spesso (o per nul-

Una fabbrica di tecnologia di precisione nella provincia del Guangdong, nella Cina Sudorientale, dove si producono componenti per cellulari, tablet e computer. (Keystone)

la) al ristorante, al cinema, a teatro, in viaggi di vacanza, in albergo, in aereo. Queste voci di spese, che appartengono al vasto settore dei servizi, hanno un peso notevole nell’economia americana e hanno subito una forte riduzione. Dal resto del mondo sono crollati i viaggi per vacanze o per lavoro negli Stati Uniti, riducendo un introito di valuta estera che influisce sulla bilancia dei pagamenti. Gli stessi americani, spostando le proprie spese a scapito dei servizi turistici e di spettacolo a favore dell’acquisto di beni consegnati da Amazon sul portone di casa, hanno dedicato meno denaro a quel settore di servizi che è domestico, mentre hanno speso più denaro nell’acquisto di prodotti, una parte dei quali arriva dall’estero. Causa pandemia si è ridotto anche il flusso di valuta estera portato dagli studenti stranieri. Ma nel rapporto con la Cina hanno pesato anche altri fattori. Qui il bilancio è negativo: Xi Jinping non ha mantenuto nessuna delle sue promesse per ridurre l’enorme squilibrio. Quando c’era ancora Donald Trump alla Casa bianca, il governo di Pechino aveva promesso di aumentare di  miliardi di dollari le proprie importazioni dagli Stati Uniti entro il  dicembre . Ha mantenuto solo il % di quella promessa. Joe Biden è in una posizione scomoda: deve in qualche modo reagire, castigare la Cina per le promesse tradite. Ma come? Il presidente degli Usa ha già confermato quasi tutti i dazi di Trump sul made in China, e tuttavia quei dazi hanno avuto un effetto modesto nel ridurre la dipendenza americana dai fornitori cinesi. Una constatazione s’impone nella lettura dei dati sul commercio estero. L’America fa una fatica enorme a riportare sul proprio territorio delle produzioni che per decenni erano state delocalizzate verso la Cina. Per adesso, anziché assistere a un ritorno di attività produttive sul suolo degli Stati Uniti, si comincia a vedere uno spostamento dalla Cina verso altri paesi asiatici. I principali beneficiari sono Vietnam, Thailandia e Malaysia per produzioni ad alta intensità di manodopera dove conta il costo del lavoro (tessile-abbigliamento, calzature), Taiwan, Singapore e Corea del Sud per prodotti tecnologici sofisticati, dai semiconduttori ai computer. In percentuale, il made in China ha perso terreno rispetto a tutti i suoi concorrenti asiatici, paesi più poveri con

salari inferiori a quelli cinesi, o paesi più ricchi con industrie tecnologiche avanzate. Tra le contraddizioni in cui si dibatte Biden ce n’è una che coinvolge l’Europa, in maniera identica. Sia il maxi-piano di investimenti in infrastrutture e sostenibilità che il presidente americano ha varato, sia i fondi del Next generation Eu per le ener-

gie rinnovabili, finiranno in parte in Cina. Investire nella sostenibilità significa – tra le altre cose – comprare pannelli solari. La Repubblica popolare, con la sua politica di sussidi pubblici ai campioni nazionali, e vendite in dumping (sottocosto) ha esercitato una concorrenza sleale verso le aziende occidentali e ne ha fatte fallire molte.

Biden ha deciso di alzare nuovi dazi contro il made in China nei pannelli solari: ha appena messo una tassa doganale del % valida per quattro anni e rinnovabile. Al tempo stesso, però, ha ampliato l’elenco dei pannelli fotovoltaici made in China che sono esenti da quei medesimi dazi. Perché altrimenti molti americani – aziende e famiglie – non troverebbero sul mercato gli impianti fotovoltaici che intendono acquistare. Anche in questo specifico settore s’impone la constatazione: svezzarsi dalla dipendenza dalla Cina è un obiettivo legittimo, ma tutt’altro che facile in pratica. Nel frattempo Biden sta cercando di far passare un’altra manovra di spesa pubblica al Congresso, disegnata in modo da «copiare la Cina»: cioè usare le risorse dello Stato per sostenere la ricerca, l’innovazione, il rafforzamento dei «nostri» campioni nazionali. Per esempio nell’industria dei semiconduttori, le memorie elettroniche che oggi scarseggiano sui mercati e provocano rallentamenti a catena in molti settori (automobile in testa). I sussidi pubblici che Biden vuole offrire alle sue imprese sono un tentativo di recuperare anni di ritardo sulla Cina, durante i quali la grande rivale ha fatto balzi in avanti nella sua modernizzazione tecnologica, sotto la guida e la protezione delle autorità pubbliche. Annuncio pubblicitario


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ATTUALITÀ

Gli interessi europei in Africa Prospettive

L’Ue perde terreno nel continente ricco di materie prime e sempre più popoloso mentre Cina e Russia avanzano

Marzio Rigonalli

Nelle ultime settimane, grazie a due importanti eventi, l’Africa è tornata al centro degli interessi e delle preoccupazioni dell’Unione europea. Trattasi del ritiro dal Mali delle forze francesi e delle forze di altri paesi europei, nonché del vertice Ue-Ua (Unione africana) tra i principali governi dei due continenti, svoltosi a Bruxelles il  e  febbraio. La presenza militare francese nel Mali si è inserita nel contesto della lotta contro il terrorismo e risale al , quando i fondamentalisti islamici minacciarono di avanzare verso la capitale Bamako e di conquistare tutto il paese. Su richiesta del governo del Mali, la Francia inviò  mila militari per frenare l’avanzata dei jihadisti. Si parlò allora dell’Opération Serval, che un anno dopo divenne l’Opération Barkhane. A sostegno della presenza francese si aggiunsero poi altre forze: i caschi blu delle Nazioni Unite, con la missione Minusma, i soldati rappresentanti  Stati del Sahel, G--Sahel, Mali, Burkina Faso, Niger, Mauritania e Ciad, e infine la Task force Takuba, con militari inviati da una decina di paesi europei.

Il ritiro dal Mali delle forze francesi e di altri paesi europei potrebbe favorire l’avanzata dei terroristi islamici Dopo nove anni di combattimenti vari, tutte queste forze sono riuscite a contenere i jihadisti, ma non a sconfiggerli e la Francia, da sola, ha dovuto registrare nel Mali  militari uccisi. Alla complicata situazione militare si è poi aggiunta una crisi nei rapporti tra il governo maltese e quello francese. A Bamak o ci sono stati due colpi di stato militari, il primo nel  e il secondo nel . I militari che og-

gi sono al potere non hanno accettato di ripristinare le istituzioni democratiche, hanno alimentato l’ostilità della popolazione contro le forze estere presenti nel paese e si sono lanciati in una guerra verbale con il governo francese, sfociata nell’espulsione dell’ambasciatore di Parigi. Il presidente Macron ha reagito e lo scorso  febbraio ha annunciato il ritiro dal Mali di tutte le forze militari. Vi sono ancora circa  soldati francesi che rientreranno entro sei mesi. La nuova situazione presenta due grossi inconvenienti per la Francia e per gli altri paesi europei impegnati nella lotta contro il terrorismo. Il primo riguarda l’estensione del territorio occupato dai terroristi. I jihadisti avranno più libertà di manovra e potranno conquistare nuove posizioni, sfruttando la miseria della popolazione indigena e l’incapacità dell’esercito maliano di controllare il paese. Molti temono che potrebbero avanzare verso sud e installarsi nei paesi sul Golfo di Guinea, come il Benin o la Costa d’avorio. Il secondo inconveniente tocca la perdita d’influenza e di controllo dell’Ue sul Mali, un paese ricco di materie prime e soprattutto un importante asse di transito dei flussi migratori. I militari al potere a Bamako hanno subito cercato di sopperire alla partenza dei militari europei, facendo arrivare un migliaio di mercenari del gruppo Wagner, una milizia militare controllata dal Cremlino. Mosca può così estendere la sua influenza nell’Africa occidentale. Il summit tra l’Ue e l’Unione africana, svoltosi a Bruxelles, è sfociato nel rafforzamento di un partenariato già esistente e rinnovato ogni cinque anni. L’ultimo vertice si era svolto ad Abidjan nel . Questa volta erano presenti ben  delegazioni nazionali. Mancavano soltanto quattro pae-

Da sinistra: Ursula von der Leyen, il presidente del Senegal Macky Sall, Charles Michel, Emmanuel Macron e il presidente della Commissione dell’Unione africana Moussa Faki Mahamat a Bruxelles. (Keystone)

si del continente nero, Mali, Burkina Faso, Guinea e Sudan, perché hanno governi dittatoriali e quindi sono stati sospesi dall’Unione africana. È stato definito un pacchetto di aiuti di  miliardi di euro da parte dell’Ue, per i prossimi cinque anni, destinato a finanziare investimenti nelle infrastrutture, nella sanità, nella transizione energetica, nell’economia e nell’agricoltura. L’Ue ha pure promesso di fornire entro l’estate altri  milioni di dosi di vaccino. L’Unione europea vuole garantirsi una presenza politica ed economica su di un continente ricco di materie prime, in piena espansione demografica e suscettibile di generare sempre più emigrati.

Il suo tentativo, però, viene ostacolato da una forte concorrenza cinese. La Cina è molto presente. Si è imposta nella costruzione di infrastrutture e, in pochi anni, è diventata il più importante partner commerciale dei governi africani. Ben  paesi africani hanno sottoscritto accordi commerciali con la potenza asiatica e più di  mila aziende cinesi sono presenti in Africa. Negli ultimi dieci anni le esportazioni cinesi verso il continente africano hanno registrato un’impressionante progressione. La posta geopolitica ed economica in Africa è ormai diventata una realtà con la quale l’Ue deve fare i conti. La crisi sorta ai confini con l’U-

craina, precipitata in una guerra, l’integrità territoriale di un paese attaccato da un imperialismo russo difficile da comprendere e da accettare, l’assetto della sicurezza in Europa e, per quanto concerne la Francia, anche l’elezione presidenziale prevista in aprile, sono questioni che hanno un’urgenza prioritaria e che fanno slittare in secondo piano i rapporti dell’Europa con il continente africano. All’interno di questi rapporti vi sono però elementi geopolitici, strategici, che non si possono trascurare perché un giorno potrebbero diventare di grande attualità e costringere così i dirigenti occidentali a prendere importanti e delicate decisioni.

Dal saluto negato all’abbronzatura di Obama Storia

Il ruolo delle gaffe in politica, nelle relazioni internazionali e una carrellata di leader specializzati in impensabili scivoloni

Alfredo Venturi

Imbarazzo internazionale a Bruxelles in occasione del vertice fra l’Ue e i Paesi africani. Il protocollo prevede la presentazione degli ospiti alla dirigenza dell’Unione: Ursula von der Leyen per la Commissione, Charles Michel per il Consiglio europeo, il capo dello Stato francese Emmanuel Macron come presidente di turno del Consiglio dell’Ue. Arriva il ministro degli Esteri ugandese Jeje Odongo che passa davanti a von der Leyen ignorandola, stringe la mano a Michel e Macron, poi si mette in posa per la foto ufficiale. Macron cerca di correre ai ripari e indica all’ospite la presidente dell’esecutivo, che finalmente Odongo si degna di salutare. Una scena analoga a quella dello scorso aprile ad Ankara. Stavolta l’autore dello sgarbo è il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Ursula von der Leyen è accompagnata da Michel ma davanti alle bandiere della Turchia e dell’Unione ci sono soltanto due poltrone. Erdogan fa accomodare Michel accanto a sé lasciando di stucco la presidente della Commissione che, visibilmente contrariata, prende posto su un divano. Tutto questo perché sono una donna, dirà in seguito, notando come l’episodio che la ri-

guarda sia andato sulle prime pagine mentre passano inosservate le offese ben più gravi che quotidianamente subiscono tante donne. Critiche anche per Michel, impassibile nella circostanza, che spiega la mancata reazione con la necessità di evitare un ulteriore peggioramento delle relazioni fra Europa e Turchia. La gaffe ha un ruolo consolidato nella politica e nelle relazioni internazionali. Erdogan e Odongo fanno parte di una folta schiera di politici specializzati negli scivoloni più impensabili. Si pensi al presidente americano Joe Biden, che salutò l’ascesa di Barack Obama facendo notare che il primo afroamericano alla Casa bianca «è intelligente e si esprime bene». Lo stesso Biden in un discorso confuse la premier britannica Theresa May con Margaret Thatcher. In campagna elettorale nel New Hampshire fece sapere quanto si sentiva a suo agio nel Vermont. Durante una conferenza stampa, ignorando che il microfono era attivo, qualificò come «stupido figlio di puttana» un giornalista che gli rivolgeva domande scomode. Celebri anche gli svarioni del suo predecessore Donald Trump che trovandosi a Gerusalemme, proveniente dall’A-

rabia Saudita, fece sapere di essere «appena tornato dal Medio Oriente». In un’altra occasione Trump celebrò l’«amicizia millenaria» fra Usa e Italia. Un altro sistematico gaffeur è il primo ministro britannico Boris Johnson, che invitò gli elettori a votare Tory: così avrete più probabilità di comprarvi una Bmw e le vostre mogli avranno «un seno più prosperoso». Commentando un dibattito

Berlusconi affermava: «Sono il Gesù Cristo della politica, una vittima, mi sacrifico per tutti». (Shutterstock)

interno al partito conservatore, Johnson lo paragonò a «orge di cannibalismo, come succede in Papua Nuova Guinea». Alle proteste provenienti da questo Paese rispose che l’aveva letto in un libro. Imprevedibile come sempre, qualificò Hillary Clinton come «un’infermiera sadica di una clinica psichiatrica». Quanto all’Unione europea, secondo lui vuole sottoporre il continente, esattamente come i nazisti, a un unico potere. Nemmeno a corte mancano gli scivoloni. Durante una visita in Australia, rivolto al rappresentante degli aborigeni, il principe Filippo di Edimburgo gli chiese: «Vi tirate ancora addosso le lance?». Un’altra volta, in Canada per un’inaugurazione, proclamò «qualunque cosa sia, la dichiaro aperta». Un leader che si è conquistato un posto di primo piano nella produzione di gaffe è l’ex presidente del consiglio italiano Silvio Berlusconi. Il settimanale «Time» ha elencato le più celebri fra le sue bizzarre dichiarazioni. Come quelle auto-celebrative: «Credo di essere il miglior capo del governo che l’Italia abbia mai avuto». E ancora: «Sono il Gesù Cristo della politica, una vittima, mi sacrifico per tutti». Famose le battute su

Mussolini, che «non uccise nessuno» e regalava agli oppositori «vacanze» al confino. Per non parlare di quando sottolineò l’«abbronzatura» di Barack Obama provocando fra l’altro la reazione di Carla Bruni, allora première dame di Francia: «Sono felice di non essere più italiana». O di quando parlando alla Borsa di New York invitò gli imprenditori americani a investire in Italia, dove si trovano «pochi comunisti e molte belle ragazze». Infine ricordiamo Von Brickendrop: così la stampa inglese ribattezzò Joachim von Ribbentrop quando era ambasciatore del Reich a Londra. To drop a brick, lasciar cadere un mattone, è un’espressione che significa fare una gaffe. E di gaffe il diplomatico tedesco, futuro ministro degli esteri di Hitler, era uno specialista. Anche perché basava la sua azione sull’idea fissa che i britannici volessero allearsi con Berlino. Ne era così convinto che nei rapporti e nelle conversazioni attribuiva l’abdicazione di Edoardo VIII, il re che simpatizzava con il nazismo, non alla situazione che si era creata dopo il controverso matrimonio, ma a un complotto giudaico e massonico orchestrato per scongiurare l’abbraccio anglo-germanico.


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ATTUALITÀ

Mercati finanziari al maschile

Donne e finanza ◆ Un’indagine americana conferma la minore propensione femminile agli investimenti finanziari. Il rischio possibile non sarebbe la sola ragione di questa tendenza molto diffusa nel mondo Ignazio Bonoli

Non è la prima volta che arguti osservatori del mondo economico mettono in evidenza il comportamento delle donne (e per confronto quello degli uomini) rispetto ai grandi temi finanziari. Per esempio si è più volte potuto constatare che generalmente le donne sono meno propense degli uomini a investire denaro sui mercati finanziari. Uno studio americano (della BNY, Mellon Investment Management, ripreso da molti commentatori, tra cui anche la «Neue Zürcher Zeitung») mette in evidenza che, in Svizzera, l’% delle donne si dice poco interessato a investire una parte del proprio denaro nei mercati finanziari. A livello mondiale, quindi con preponderante proporzione di paesi meno ricchi della Svizzera, questa proporzione raggiunge pur sempre il %. In Svizzera due donne su cinque pensano che investire oggi sia troppo rischioso. Oltre la metà dice inoltre di non potersi permettere di correre il rischio di perdere soldi. Per contro solo un quarto degli uomini intervistati condivide queste opinioni. Che le donne investano meno degli uomini è noto da tempo. Lo studio in questione analizza però i motivi di questo comportamento. Ne deduce quindi tre tipi di ostacoli. In primo luogo il ramo degli investimenti, nei suoi contatti promo-

zionali, si rivolge quasi esclusivamente agli uomini. Anche i tre quarti dei promotori di prodotti finanziari di imprese si rivolgono quasi esclusivamente agli uomini. Secondo loro in questo caso, è più facile convincere l’uomo che la donna. Inoltre il linguaggio utilizzato tende a far credere al cliente di entrare così in un club esclusivo. Un marketing che in parte spaventa le donne. Quasi un terzo delle consumatrici ha, infatti, detto che questo linguaggio complicato non le incita a investire. A livello mondiale, solo un decimo delle donne ha la sensazione di capire i temi degli investimenti. A quanto sembra, le donne più degli uomini sentono la responsabilità che deriva da un investimento dei propri risparmi. Inoltre, prestano maggiore attenzione ai riflessi positivi dell’investimento nella società o nel mondo. Oltre la metà delle donne sarebbe pronta a investire a queste condizioni. Il % delle donne tra i  e i  anni d’età sceglie investimenti che possano avere influssi positivi sull’ambiente. Lo pensano invece solo il % degli uomini sopra i  anni. Tema che però è più presente nei tre quarti degli uomini con figli. Sempre a livello mondiale, le donne pensano che per poter prendere in considerazione un investimento si do-

Fra le donne c’è una maggiore propensione a investimenti sostenibili. (Keystone)

vrebbe partire da un reddito completamente disponibile di almeno  (convertiti dai dollari) franchi al mese. In Svizzera tale cifra salirebbe in media a  franchi. Opinioni che non tengono conto del tempo, poiché anche un piccolo investimento mensile iniziato  anni fa potrebbe oggi valere più del doppio. Ma tra i molti fattori che condizionano la tendenza a investire, il maggiore è certamente il rischio. Così il % delle donne intervistate pensano che l’investimento in borsa, diretto o tramite un fondo, sia troppo rischioso.

Solo il % delle donne pensano di avere una alta o molto alta tolleranza del rischio. Ma la propensione a investire dipende anche dall’età. Il % delle donne in età tra i  e i  anni sono, o sono state, favorevoli agli investimenti. Solo il % delle donne lo sono dopo i  anni d’età. Un altro gruppo di ricercatori ha scoperto (ma lo avevano già visto) che uno dei fattori della minor propensione al rischio è la scarsa conoscenza del campo finanziario. Anzi, nutrirebbero dubbi sul loro grado di conoscenza della materia. In conclusione lo stu-

dio della BNY stima che se le donne avessero la stessa propensione degli uomini a investire, la sostanza gestita sarebbe di  miliardi di dollari superiore a quella stimata nei mercati analizzati in ’ miliardi di dollari. In Svizzera ci sarebbero  miliardi di dollari in più, rispetto ai  miliardi attualmente stimati. Ne approfitterebbero i cosiddetti investimenti sostenibili, per i quali le donne investirebbero circa  miliardi di dollari. Si apre quindi un campo immenso per migliorare l’informazione e attirare il mondo femminile verso gli investimenti. Uno dei possibili strumenti per migliorare la situazione sembra essere quello di aumentare la proporzione di personale femminile in posti di responsabilità nella gestione patrimoniale o nelle stesse direzioni aziendali. Anche le banche svizzere stanno facendo passi in questa direzione, ma i gestori di patrimoni confermano che solo il % dei manager di fondi o di investimenti sono donne. Nelle banche le consulenti femminili sono però in aumento. Presso l’UBS le consulenti in investimenti sono già è il % di tutti i consulenti. Il CS vuole portare entro il  la presenza femminile tra gli specialisti e i dirigenti al %. Anche presso la Banca cantonale di Zurigo la proporzione di donne è di circa un terzo dei consulenti, ma in aumento. Annuncio pubblicitario

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ATTUALITÀ / RUBRICHE

Il Mercato e la Piazza

di Angelo Rossi

La Svizzera, paese dei prezzi amministrati ◆

In buona parte della teoria economica il prezzo rappresenta quella che, per Adamo Smith, è la mano invisibile che regola l’aggiustamento della domanda all’offerta. Tuttavia, affinché il meccanismo funzioni bene occorre che sul mercato vigano situazioni di concorrenza perfetta. Queste condizioni si realizzano se, per ciascun bene o servizio negoziato, vi sono numerosi venditori e numerosi compratori in modo che la fissazione del prezzo non possa essere influenzata da un singolo venditore o da un singolo compratore. Perché il mercato funzioni in condizioni ideali, poi, la formazione del prezzo non deve essere condizionata, in nessun modo, dallo Stato. Questo è quanto stabilisce la teoria. Nella pratica di quasi tutti i sistemi economici ovviamente queste pre-condizioni per la fissazione efficiente del prezzo di mercato raramente si realizzano. In particolare non esiste un sistema

economico nel quale la fissazione dei prezzi non venga regolata, per mille e un motivo, almeno in parte, dallo Stato. La teoria economica dimostra che quando lo Stato interviene, il mercato non può funzionare in modo efficiente, non importa se l’intervento viene fatto per ribassare o per rialzare il prezzo rispetto al livello che potrebbe essere fissato dalla libera negoziazione. Le conseguenze negative possono essere l’accumulazione di scorte invendute del bene, quando, a causa dell’intervento statale, il prezzo è troppo basso, il contrabbando o il mercato nero, quando il prezzo è troppo alto. Tuttavia, siccome compratori e venditori sono anche elettori, presso coloro che governano la tentazione di intervenire per ingraziarsi questo o quel gruppo di elettori è sempre elevata. Nel nostro paese i prezzi dei beni e dei servizi venduti vengono rilevati dall’Ufficio federale di statistica e

servono per il calcolo dell’indice dei prezzi, l’indicatore al quale ci si riferisce quando si vuole calcolare il tasso di inflazione. Dal  vengono raccolte informazioni anche sui prezzi cosiddetti «amministrati», vale a dire quei prezzi che vengono stabiliti con l’intervento diretto o indiretto dello Stato. Si tratta in primo luogo delle tariffe per il gas, l’elettricità, il riscaldamento a distanza e i trasporti pubblici. Tra i prezzi amministrati figurano poi anche le tariffe dei medici e altre prestazioni del settore della salute come pure tariffe per le prestazioni assicurative. Attualmente più di un quarto dei prezzi rilevati dall’Ufficio federale di statistica sono prezzi amministrati. Si tratta di una proporzione molto elevata. Lo si rileva dal confronto per esempio con le proporzioni che vigono nei paesi che confinano con la Svizzera. Per stabilire questo confronto si può ricorrere ai valori dell’indice dei

prezzi armonizzato che viene calcolato da Eurostat. In questo indice la proporzione dei prezzi amministrati della Svizzera si situa addirittura attorno al %. Nel caso della Francia e della Germania i prezzi amministrati non rappresentano invece che il % del totale. In Austria e in Italia la loro quota è addirittura inferiore al %. Queste differenze si spiegano in parte con i diversi sistemi per finanziare le spese della salute. Nel nostro paese le stesse rappresentano infatti circa la metà dei prezzi amministrati mentre nei paesi confinanti non figurano tra i prezzi amministrati perché vengono finanziate interamente dal pubblico erario. L’intervento dello Stato nella fissazione dei prezzi di beni e servizi pone infine due questioni. La prima riguarda il livello dei prezzi. Se ci limitiamo al caso delle spese per la salute è evidente che il paziente che risiede in Svizzera

paga prezzi più elevati per il medico e per le medicine che gli abitanti dei paesi confinanti. Ci si può quindi chiedere se lo Stato, con i suoi interventi regolatori, sia in parte responsabile di queste differenze. La seconda questione riguarda l’influenza che i prezzi amministrati possono avere sull’inflazione, ossia sull’evoluzione dei prezzi nel tempo. Si tratta in generale di tariffe che vengono fissate con procedimenti lunghi e che esigono l’approvazione dei parlamenti. Non di rado, poi, i cambiamenti di tariffe devono addirittura superare l’ostacolo del referendum. Non possono perciò rispondere rapidamente a mutamenti della domanda e dell’offerta. Di conseguenza i prezzi amministrati non determinano il rincaro. Tuttavia, quando l’inflazione è forte, contribuiscono a mantenerla alta e viceversa quando il tasso di aumento dei prezzi è basso essi aiutano a mantenerlo a quel livello.

In&Outlet

di Aldo Cazzullo

Le delusioni di Mario Draghi ◆

Mi resi conto che Mario Draghi voleva fare politica quando lo sentii parlare per la prima volta al meeting di Rimini nel . Era il governatore della Banca d’Italia, ma non nominò mai la parola «banche». Parlò di suo padre, del coraggio, del lavoro, dell’orgoglio di essere italiani. Mario Draghi è un politico, sia pure di tipo nuovo. Non è cresciuto nei partiti, non è mai stato eletto in Parlamento. Però andare in Germania a dire no alla Bundesbank e alla sua linea monetarista, affermando di essere pronto a fare qualsiasi cosa pur di salvare l’euro, significa fare politica. Ora, dopo aver fallito l’ascesa al Quirinale, Draghi sta sperimentando un’amara verità: in Italia non puoi fare politica se non hai un partito, di cui sei il capo o almeno il capocorrente. Se ne rese conto Mario Monti, il quale non era forse il salvatore della patria che si sperava, ma non era neppure uno

sprovveduto. Infatti avvertì l’esigenza di avere un suo partito e avrebbe fatto meglio a farsene uno nuovo anziché unire lacerti di quelli di prima (Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini). Romano Prodi volle che l’alleanza tra ex democristiani ed ex comunisti diventasse un partito. Matteo Renzi ha preferito farsi un suo partito anziché restare in minoranza nel Pd, secondo la logica per cui nel traffico caotico della politica italiana è meglio guidare uno scooter che essere seduto sul pullman condotto da un altro. Se Draghi fosse in Francia, magari si candiderebbe alla presidenza della Repubblica, e sarebbe eletto, come Macron. Ma in Italia comandano ancora i partiti, per quanto messi maluccio. Con questo non intendo dire che Draghi farà il suo; non ci pensa neppure. Però qualcosa dovrà pur succedere perché un governo che ha in Parlamento una maggioranza te-

Il presente come storia

orica del % non può andare sotto quattro volte in un giorno, com’è accaduto di recente, ed essere costretto a mettere così spesso la fiducia. I governi di grande coalizione reggono se hanno un programma definito, non se tirano a campare. I leader di partito trovino l’intesa su tre o quattro punti chiari; altrimenti si rassegnino ad andare al voto, cosa che – Giorgia Meloni a parte – non conviene a nessuno. Ho apprezzato Draghi fin da quando si insediò alla Banca d’Italia, nel . «Mario Draghi, che mi ha sostituito, è bravo, competente, va benissimo ma è il mio opposto», disse Antonio Fazio. Aveva ragione: Draghi era il suo opposto. Non solo per lo stile: al suo ingresso a Palazzo Koch rifiutò di cedere la borsa al commesso – come faceva il suo predecessore – preferendo portarla di persona. Al primo viaggio a Francoforte non prese l’aereo privato ma un volo di linea.

Non solo per la strategia di governo, in linea con la sua storia di artefice delle privatizzazioni degli anni Novanta e di autore della legge sull’Opa: no al neoprotezionismo, sì all’apertura alla concorrenza e alle liberalizzazioni. Ma anche per il modo di intendere la propria funzione. Alla vigilia delle sue prime «Considerazioni finali», il rito che nell’era del predecessore era divenuto evento mondano, Draghi spiegò ai collaboratori la sua visione del ruolo di Bankitalia. «L’epoca in cui la Banca era chiamata a supplire a compiti che spettano allo Stato è finita, e non da oggi», affermò. «La mia prima relazione non avrà un tono esortativo. Non si tratta di dire ai ministri e tanto meno agli imprenditori quel che devono fare. Il compito del governatore è semmai di far vedere cose che magari sfuggono. Cose che, se solo fossero viste, verrebbero eliminate. Si tratta di additare non

orizzonti futuri, ma ostacoli attuali che rendono difficile il buon funzionamento del sistema economico». Un esempio che ricorreva nelle conversazioni private del governatore è quello delle autostrade, che per il pagamento automatico dei pedaggi si avvalgono dell’intermediazione delle banche, quando invece potrebbero emettere direttamente le proprie carte, risparmiando. Era un cambiamento di cultura, oltre che di forme esteriori. Anche per questo il peggior servizio che si poteva rendere a Draghi era ricreare quel culto della personalità di cui Fazio era stato oggetto e nel contempo vittima: il governatore latinista, tomista, umanista… Anche oggi, che è al governo del Paese, a Draghi non servono gli elogi. Ne riceve fin troppi. Servono le critiche, purché oneste e in buona fede. La sensazione è che comincino ad arrivarne, ma spesso in mala fede.

di Orazio Martinetti

La coda politica del virus ◆

Ripresa dell’inflazione, carenza di materie prime, crisi energetica. In coda alla pandemia stanno ritornando vecchi fantasmi, beffardi redivivi che per un paio d’anni erano rimasti acquattati nell’ombra. Eccoli di nuovo a turbare il sonno, ad aggiungere ulteriori dosi d’ansia al nostro vivere quotidiano. Che il virus ci avrebbe riservato qualche brutta sorpresa prima di svanire nello smog da cui era spuntato, lo si sospettava. Ogni pestilenza lascia tracce profonde nell’economia, nella società, nella cultura, nei rapporti di convivenza: una lunga scia di lutti, ma anche un senso d’impotenza e la triste sensazione di aver perduto anni preziosi, di aver vissuto una sorta di reclusione incolpevole definibile come deprivazione. Ma l’infezione è stata anche una cartina di tornasole, perché ha svelato le manchevolezze, i ritardi, le insufficienze dei piani pandemici e del sistema di prevenzione.

A molti non pareva vero che un paese come la Svizzera si ritrovasse smarrito e impreparato. Sconcerto, giacché si riteneva che l’esperienza maturata dopo il secondo conflitto mondiale, nel clima della guerra fredda, fosse rimasta nel bagaglio della protezione civile, dell’esercito e dell’amministrazione. E invece si è scoperto che quel pesante e capillare apparato, messo in piedi per contrastare in ogni ambito l’infiltrazione comunista, giaceva come un ferrovecchio nei bunker antiatomici: una panoplia di tute e mascherine ormai ricoperti di muffa. Il secondo punto debole rivelato dal coronavirus riguarda la dipendenza dall’estero. Fino al  era opinione condivisa dalle maggiori forze politiche ed economiche che la globalizzazione, ossia l’interconnessione universale, annunciasse benessere e prosperità per tutti sulla base della divisione del lavoro creatasi nel frattem-

po: da una parte l’Occidente terziarizzato (la produzione immateriale, la galassia dei servizi, la ricerca, l’intelligenza artificiale), dall’altra le «fabbriche del mondo» sparse nell’estremo oriente. «Ideato in California, prodotto in Cina», si legge spesso sulle etichette dei dispositivi elettronici di largo consumo. Ebbene, l’emergenza ha evidenziato che anche nel campo delle nuove tecnologie l’occidente sta perdendo il primato a vantaggio dei paesi un tempo definiti emergenti. A ciò si aggiunge il timore di veder salire alle stelle il prezzo delle materie prime, perché oggetto di speculazione e merce di scambio sul mercato delle relazioni geopolitiche. Come sarà la Svizzera all’uscita dal virus? A rispondere sono due scuole di pensiero. La prima ritiene che attraverso i provvedimenti di volta in volta varati, e confermati dal voto popolare, lo Stato centrale abbia esteso

e rafforzato i suoi poteri; che sia diventato un «Superstato», sempre più tentacolare e retto da una burocrazia sorda ai bisogni dei cittadini. La seconda scuola sostiene invece la tesi dello Stato forte: un passo inevitabile, pena una perdurante cacofonia tra i Cantoni. Non si vorrebbe più insomma assistere allo spettacolo messo in scena all’inizio della pandemia, allorché ogni esecutivo agiva per proprio conto senza prestar ascolto alle invocazioni d’aiuto degli altri. Il contrasto non è nuovo. Risale infatti agli albori dello Stato federale, per poi accompagnarne il cammino negli sviluppi successivi. All’inizio del Ventesimo secolo lo schieramento cattolico e parte del movimento liberale temevano addirittura l’avvento di un «socialismo di Stato» di marca prussiana. Al moto centripeto degli unitari, i federalisti risposero con il principio della sussidiarietà, secondo il quale le istituzioni

non dovevano intervenire nella sfera economica come primo battitore, ma rimanere in secondo piano e reagire solo in caso di necessità. La dottrina della sussidiarietà è uno dei cardini della dottrina sociale della Chiesa, poi transitata nel programma liberale. In base a questa corrente, allo Stato spetta il compito di tracciare il perimetro di gioco, non di vestire i panni dell’imprenditore. Nella realtà dei fatti nella liberale Svizzera questo principio si è tradotto in un predominio quasi incontrastato delle maggiori imprese attive nel paese (industriali, chimico-farmaceutiche, bancarie), ben rappresentate nei parlamenti dalle associazioni di categoria e dalle lobby. È probabile che la contesa tra questi due fronti proseguirà almeno fino alle elezioni federali del : Stato forte contro Stato snello. Che è come dire, in buona sostanza, tecnocrazia contro lobbycrazia.


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CHIUDERE IL CERCHIO

Il marchio Demeter è sinonimo di terreni fertili con rotazione delle colture, biodiversità e allevamento rispettoso delle specie e del benessere animale. La Migros ha una vasta gamma di prodotti Demeter in assortimento

Crediti

Testo: Heidi Bacchilega

azione – Cooperativa Migros Ticino


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MONDO MIGROS

Nelle fattorie Demeter le mucche conservano le corna e la monocoltura è bandita.

Con tutte le etichette che si trovano oggigiorno sui prodotti alimentari non è sempre facile capire di preciso che cosa si sta acquistando. Chi conosce esattamente la differenza tra Demeter e «semplice» bio? Demeter è la più antica etichetta biodinamica internazionale e anche quella con gli standard più rigorosi. Prende le mosse dai principi antroposofici di Rudolf Steiner, al quale alcuni contadini, già negli anni  del secolo scorso, chiesero consigli pratici su come portare avanti agricoltura e allevamento in maggiore sintonia con la natura. Su questa base Demeter ha messo a punto le linee guida che ne fanno il marchio di riferimento per l’agricoltura e l’allevamento biodinamici. Il pilastro della biodinamica è il concetto di ciclo naturale. Il ruolo centrale è giocato dal suolo: l’uomo lo rafforza con preparati biodinamici e gli animali, ruminanti in primis, lo rendono fertile con il loro letame. Inoltre, grazie alla rotazione delle colture in cui verdure e leguminose si alternano, il suolo non viene impoverito. Altro elemento fondamentale dell’approccio biodinamico è il rispetto per l’animale. Gli animali non sono considerati semplici fonti di latte, uova o carne, bensì parte viva e integrante del ciclo naturale di cui l’uomo e l’azienda agricola sono solo una componente fra tante, tutte di pari valore. Per questo Demeter vuol dire anche allevamento rispettoso del benessere e delle esigenze specifiche dell’animale.

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Ciò significa, fra le altre cose, che l’animale mantiene la propria integrità fisica, per cui non viene privato delle corna, della coda o del becco. Inoltre gli vengono garantite ampia possibilità di movimento all’aria aperta e un’alimentazione con un’alta percentuale di mangime proprio dell’allevamento. Tutte le aziende svizzere a marchio Demeter rispondono anche agli standard Bio-Knospe. La Migros amplia costantemente la propria gamma di prodotti Demeter, che va ben oltre le verdure di stagione. Nel frattempo propone infatti anche pane, latte, yogurt, uova, bevande e persino alimenti per l’infanzia a marchio Demeter. In Svizzera, alla fine del , erano  le aziende agricole certificate Demeter, per una superficie complessiva pari a oltre  ettari.

* su tutto l’assortimento Demeter dall’1 al 7 marzo

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La straordinaria storia di Zora Nel suo ultimo romanzo la scrittrice zurighese del Buono racconta la sua storia di famiglia

Enescu e la sua musica Una nuova pubblicazione mette a fuoco il grande musicista rumeno molto amato da Yehudi Menuhin

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Poetiche riflessioni Laura Di Corcia ha pubblicato per Tlon il suo terzo volume di poesie dal titolo Diorama

Gli scritti di Ettore Sottsass Calasso lo volle nel catalogo Adelphi e ora è uscita una nuova selezione dei suoi scritti

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Francia, Parigi, quartiere Chatelet-Les Halles, Bourse de Commerce, la replica in cera della scultura l’Enlévement des Sabines di Jean Bologne, dell’artista svizzero Urs Fischer. (Keystone)

La nuova Bourse de Commerce La collezione

A Parigi un altro centro di Pinault

Gianluigi Bellei

Sino a qualche decennio fa ogni presidente della Repubblica francese ha voluto lasciare un ricordo di sé facendo costruire un grande edificio, che a volte prendeva il suo nome. Valéry Giscard d’Estaing con il Musée d’Orsay di Gae Aulenti (-), François Mitterrand con la Piramide del Louvre di Ieoh Ming Pei, l’Opéra Bastille (Carlos Ott negli stessi anni (-), la Cité de la musique di Christian de Portzamparc (), l’Istituto del mondo arabo (Jean Nouvel (-) e la Très grande bibliothèque di Dominique Perrault (-); Jacques Chirac con il Musée du quai Branly; François Hollande con la Philharmonie di Jean Nouvel e ovviamente Georges Pompidou con il Beaubourg di Renzo Piano e Richard Rogers (-). Parigi ha perciò una Biblioteca François Mitterrand, un Centre Georges Pompidou, un Museo Jacques Chirac: cosa unica in tutta Europa. Ultimamente l’edificazione di opere è fatta da fondazioni private: la Fondazione Cartier dell’architetto Jean Nouvel (), la Fondazione Louis Vuitton di Frank Gehry (), Lafayette Anticipations di Rem Koolhaas () e da poco la Bourse de

Commerce di Tadao Ando che espone la Pinault Collection. Apro una parentesi ghiotta fuori rotta: la Casa della cultura GES- della V-A-C Foundation ristrutturata da Renzo Piano a Mosca e inaugurata nel dicembre . La Bourse de Commerce ha una storia complicata. In sintesi: La Halle au blé viene costruita tra il  e il  a forma circolare. In seguito viene coperta con una cupola in legno distrutta da un incendio nel . Ricostruita nel  con fogli di rame che vengono in seguito sostituiti dal vetro. Nel  è ulteriormente modificata e diventa la Bourse de Commerce attuale. La porta d’entrata è sormontata da un frontone portato da quattro colonne corinzie. Nel frontone vi sono tre figure allegoriche scolpite da Aristide Croisy che rappresentano la città di Parigi affiancata dall’Abbondanza e dal Commercio. All’interno, nella parte inferiore della cupola, vi è un grande affresco che rappresenta il commercio nelle cinque parti del mondo: l’America dipinta da Évariste-Vital Luminais, la Russia illustrata da Désiré François Laugée, l’Asia e l’Africa di Victor Georges Clairin e

l’Europa di Hippolyte Lucas. Ci sono anche i Quattro punti cardinali di Alexis-Joeseph Mazerolle. Il tutto realizzato fra  e il . Nel film Touche pas à la femme blanche Philippe Noiret dice: «È la nostra Cappella Sistina». Dopo anni di inutilizzo viene acquistata dall’imprenditore François Pinault: uno fra i  uomini più ricchi del mondo con un patrimonio di , miliardi di dollari. Controlla Gucci, Saint Laurent, Balenciaga, Boucheron, Christie’s, il giornale «Le Point», lo Château Latour, la squadra di calcio Stade Rennais… Come collezionista ha circa diecimila opere per un valore di , miliardi di dollari. A Venezia, come sappiamo, sono a Palazzo Grassi e Punta della Dogana. L’architetto Tadao Ando costruisce all’interno dell’edificio un’altra struttura circolare in calcestruzzo che arriva all’altezza dei fregi del soffitto. Un’occasione buona per poterli ammirare da vicino. (Naturalmente dopo aver fatto una bella coda, prima per il green pass e poi al metal detector). L’interno, anche se enorme, è pieno di gente che vaga fra una mostra e l’altra guardando il soffitto. La

struttura è composta da cinque piani: al – c’è l’auditorium e il foyer; al pianterreno il bookshop; al primo e al secondo le sale espositive e all’ultimo il caffè-ristorante e la vista su Parigi. Per l’apertura sono stati messi in campo una serie di artisti del calibro di Bertrand Lavier, Urs Fischer, David Hammons, Nobuyoshi Araki, Rudolf Stingel e tanti altri nelle varie collettive. Il problema vero è che sono gli stessi artisti che Pinault espone, o fa esporre a rotazione dal suo direttore artistico, anche a Venezia con la conseguenza che da una parte o dall’altra si «rischia» di vedere sempre le identiche cose. Sarà per via della globalizzazione, sarà perché il mondo è gestito dalle stesse persone, resta il fatto che dopo un po’ ci si annoia fra cinesi, milanesi («hai visto i piccioni di Cattelan che sono a Milano?») e signore bene. La Bourse de Commerce si trova proprio dietro Les Halles e vicinissima a rue Montorgueil che è una strada pedonale piena di negozietti proprio come dovevano essere Les Halles una volta: vi consiglio i puits d’amour di Stohrer, vi ridaranno il buon umore. Poi via verso la picco-

la piazzetta di rue Fürstenberg con al centro quattro alberi e con l’atelier di Eugène Delacroix. Sarete soli, o quasi, e felici. È vero non è più lo stesso di una decina d’anni fa: ora hanno chiuso il grande lucernario zenitale che illuminava la sala e hanno coperto anche le vetrate, tanto da assomigliare più a un museo che a una casa d’arte, ma merita ancora di essere visitato per il giardino, la tavolozza colma di colori, le piccole tele, i disegni, le stampe, le pietre litografiche, gli affreschi e i manoscritti oltre che la collezione di oggetti marocchini dell’artista. Potete soffermarvi ad ammirare il Lionne prête à s’élancer del  o contemplare gli studi per Jacob, Héliodore e Saint Michel a Saint-Sulpice. Dove e quando Bourse de Commerce, Pinault Collection. 2, rue de Viarmes, Parigi. Da lunedì a domenica, ore 11.00-19.00. Chiuso martedì. www.pinault-collection.com Musée Eugène Delacroix 6, rue de Fürstenberg. Tutti i giorni salvo il martedì ore 9.30-17.30. www.musee-delacroix.fr


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Una Zora del Buono sorridente alle Giornate Letterarie di Soletta di qualche tempo fa. (Keystone)

Zeno Cosini, l’antieroe di nuovo attuale In scena ◆ Al LAC l’originale rilettura della compagnia Oyes Giorgio Thoeni

«Il comunismo è aristocrazia per tutti» Personaggi ◆ L’incredibile storia di Zora del Buono raccontata dall’omonima nipote e scrittrice zurighese, penna sensibile spesso ispirata da vicende storiche, che in questo romanzo si è superata Natascha Fioretti

Non vi è nulla di più bello da bambini dello stare ad ascoltare le storie di famiglia raccontate dai nonni o, addirittura, dai bisnonni per chi ha la fortuna di conoscerli. Le storie di famiglia sono sempre contornate da un’aura magica, una nostalgia misteriosa per qualcosa che ci ha preceduti eppure ci appartiene. Una magia, che vive nel tempo, ci accompagna anche da adulti levigandoci dentro come l’acqua la pietra. Soprattutto se la storia ha i tratti avventurosi, quasi epici, della vita di Zora del Buono. A pensarci, non poteva fare altrimenti l’omonima nipote, scrittrice per giunta, già autrice della novella Gotthard e Das Leben der Mächtigen, che raccoglierla e trascriverla in un romanzo. Il titolo in tedesco Die Marschallin non solo è perfetto, ma risuona forte e armonico, peccato non si possa dire lo stesso della parola corrispettiva in italiano, la marescialla. Ma rende l’idea. Va detto che per entrare nel vivo del personaggio dobbiamo arrivare quasi a metà volume e che l’apice è rappresentato dal monologo finale della protagonista. Ma è anche vero che le pagine precedenti hanno il merito di delineare il contesto che forgia il carattere della protagonista e ne influenza il destino. A partire dal luogo di origine e dal periodo storico. Corre l’anno , siamo in Slovenia, a Plezzo, vicino al confine con l’Italia. Come tutti nella Valle dell’Isonzo, anche Zora conosce bene la guerra e sa nominare ogni cosa nelle tre lingue, la sua, e quelle degli invasori. Soške bitke. Battaglie dell’Isonzo. Isonzoschlachten. Per via dei suoi due anni in un collegio femminile a Vienna, le viene più facile il tedesco. La valle, le vaste distese verdi incorniciate dalle montagne, l’Isonzo verde smeraldo che le attraversa, restano un paesaggio sublime e indifferente, nella sua bellezza, ai soldati caduti. Finita la guerra, rientrati al villaggio dopo due anni, si fa la conta dei sopravvissuti. Zora e i suoi fratelli ci sono. Il piccolo Nino impegnato a raccogliere i bossoli con gli altri bambini, si ferisce e serve subito un dottore. Così

Zora incontra Pietro del Buono, un siciliano ventitreenne tutto lentiggini che si presenta come il più giovane medico d’Italia. Prima di mettere nuovamente a fuoco la protagonista, la scrittrice ci racconta il periodo berlinese del giovane Pietro che punta a diventare il più bravo radiologo d’Italia e ha grandi ambizioni. Siamo nel  e lui e Zora sono fidanzati. Pietro vive in Eisenacher Straße a Schöneberg e sul comodino ha La lotta di Wadzek con la turbina a vapore di Alfred Döblin. Ne legge qualche pagina ogni sera per imparare la lingua ma anche per conoscere meglio la psiche dei tedeschi che gli sembra più profonda, più abissale di quella italiana, come se l’oscurità del Nord si fosse impossessata delle loro anime e sotto di esse bruciassero cose nascoste che non avevano potuto svilupparsi affatto nel Sud.

«A ogni perdita si diventa più piccoli, persone con l’animo pieno di buchi e chi non è più intero dimentica la sua storia» Al di là della grande esperienza professionale che Pietro raccoglie alla Charité sotto la guida del professor Blumenthal, al di là del collegiale rapporto con i colleghi, in particolare con la signorina Bloch, emergono due elementi fondamentali che ritroveremo nella sua vita con Zora in Italia: le sue ambizioni di radiologo e le sue inclinazioni politiche. Con la signorina Bloch va al numero in via Hasenheide, vicino a Hermannplatz. A questo indirizzo c’è il famoso edificio che ospita i Kliems Festsälen, sale e saloni noti sin dai primi anni del Novecento per il cabaret e il ballo. Qui nel  nasce anche il Teatro Proletario e proprio qui Pietro partecipa a una riunione dell’USPD, il partito social democratico indipendente di Germania che in quel momento rischiava una frattura interna. Pietro è ammirato da quanto gli accade intorno, guarda la signorina Bloch infervorarsi e gridare «Siate visionari! Trasformiamo in re-

altà i sogni!». È tutto un tumulto, c’è chi grida «Diventiamo parte dell’Internazionale!». Seguono grandi applausi. Pietro in Italia non è iscritto al partito socialista, ma si ripromette di farlo non appena sarà a Napoli dove all’Università lo aspettano per avviare il più grande reparto di radiologia del Paese. La parentesi partenopea la saltiamo e ritroviamo i coniugi del Buono a Bari nel . È qui che finalmente mettiamo a fuoco Zora del Buono con tutta la sua intemperanza e la sua forza. È una vera pasionaria quando si tratta di politica, piena di contraddizioni e fragilità quando si tratta dei suoi tre figli maschi. Ma anche eccessiva nel suo stile di vita, nelle sue pretese da grande dame di provincia chiusa nel nobile palazzo. La sua è la villa più lussuosa di tutta Bari, l’ha voluta a immagine e somiglianza del Palazzo delle Poste di Palermo, quello in stile razionalista firmato da Angiolo Mazzoni. La villa di  stanze, nove bagni, un salone d’entrata illuminato dal prezioso lampadario fatto arrivare appositamente da Milano, è per lei un’ossessione e non ci vede nessuna contraddizione con la sua tessera comunista. Riprendendo le parole di Ramón Maria del Valle-Inclán, Zora ha una sua particolare idea del comunismo, per lei significa aristocrazia per

tutti. Ne ha un’idea romantica in cui trova comodamente posto il suo stile di vita alto borghese fatto di grandi ricevimenti, personale di servizio, spese pazzesche. Zora è imperiosa, dispotica, piena di temperamento, talentuosa, disprezza Mussolini e ammira Tito, al quale tenta di fornire delle armi e al quale suo marito Pietro salva la vita. Vista così, nulla, apparentemente, può scalfirla e invece la vita, come sapremo dal suo monologo finale, le riserva più d’una dolorosa sorpresa. A partire dai due figli che perde giovanissimi. «A ogni perdita si diventa più piccoli, persone con l’animo pieno di buchi e chi non è più intero dimentica la sua storia mentre i vuoti si accumulano fino a diventare un enorme buco nero, così grande che a un certo punto ci cadiamo dentro e ci dissolviamo nel nulla» dice alla sua badante in quel giorno del  a Nova Gorica. A quel punto Zora è diabetica, sola. Pietro, il suo Pietro, il rinomato professore di radiologia, è rimasto a Bari in una casa per anziani e non la riconosce più. Sono lontani i tempi in cui salvò la vita al maresciallo Tito. Zora si sente una reietta mandata in questo luogo a morire sola, d’altra parte è stata sua la scelta di non restare accanto a Pietro, «Avrei dovuto rimanere accanto a un uomo del genere portando da sola il peso dei morti e della colpa? Almeno i bei ricordi non volevo farmeli rubare, volevo che lo splendore della nostra storia si preservasse, quasi sessant’anni di matrimonio!». Così Zora torna in patria, torna a casa dal suo maresciallo Tito. Il romanzo della zurighese Zora del Buono straborda di aneddoti famigliari e vicende storiche, sullo sfondo c’è anche un segreto di famiglia che sarebbe dovuto restare tale. Ma ad emergere preponderante, a conquistare il lettore è la figura umana della nonna. La bravura della nipote scrittrice sta nel ritrarla con estremo realismo ma non senza un tocco di poesia. Bibliografia Zora del Buono, Die Marschallin, Monaco, C.H. Beck, 2021.

«Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. (…) Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata a forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie». Problematica e inquietante presagio, la celebre battuta conclusiva de La coscienza di Zeno, quasi indispensabile, è recentemente riecheggiata nella platea del LAC. Parole che ci riportano al Teatro Kursaal degli anni ’ quando i panni di Zeno Cosini, il protagonista del capolavoro di Italo Svevo pubblicato solo nel , erano indossati da Giulio Bosetti, affiancato da attori come Marina Bonfigli e Claudio Gora per la regia di Egisto Marcucci, i costumi di Santuzza Calì, le scene di Emanuele Luzzati… che altro dire? Per decenni il romanzo del grande triestino ha visto la sua fortuna teatrale saldamente ancorata alla coraggiosa ed esemplare versione di Tullio Kezich (), cavalcata da celebri allestimenti e prestigiose interpretazioni. Per tornare ai giorni nostri occorreva una rilettura. Almeno è quanto ha pensato Oyes, giovane compagnia teatrale milanese di prosa contemporanea, allestendo una originale versione prodotta dal LAC con il Teatro Metastasio di Prato e il Teatro Stabile del Veneto: uno spettacolo diretto da Stefano Cordella e Noemi Radice che hanno anche rielaborato il testo con Dario Merlini. Scritto all’indomani della Grande Guerra, La coscienza di Zeno ha rivoluzionato la cultura letteraria del ’ con l’ingresso della giovane psicoanalisi fra le pagine del romanzo. La vicenda di Zeno Cosini, antieroe che si crede affetto da una malattia e in lotta con la sua coscienza, vive l’ambientazione sospesa e senza tempo della stanza di un museo nutrita da un linguaggio quotidiano per la ricostruzione ossessiva della biografia di Zeno, alle origini di un malessere avvolto da nubi di eterne sigarette. Un intelligente pretesto per isolare il maschilismo di una umanità superata, destinata a scomparire lasciandosi alle spalle un secolo breve di grandi progressi ma incapace di creare certezze. Felice intuizione che non stravolge il dettato di Svevo ma che sul finale si lascia sedurre da un fervorino tutto sommato ridondante rispetto a un’operazione complessivamente originale. Una platea prevalentemente giovane ha accolto con calore la prova dei bravi e (troppo) impostati Livia Castiglioni, Daniele Crasti, Francesca Gemma, Francesco Meola, Dario Merlini e Fabio Bulli.

Un momento dello spettacolo al LAC.


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L’incandescenza mistica di George Enescu Musica

Una nuova pubblicazione firmata da Michele Russo omaggia il grande compositore

Giovanni Gavazzeni

Ritorno al compositore romeno George Enescu (-) in occasione della pubblicazione in traduzione italiana dei suoi Ricordi (LIM, , pp. , €), curati da un giovane studioso, Michele Russo, che promette futura attenzione a questo grande umanista della musica, piuttosto trascurato al di fuori del suo paese natale. Già Yehudi Menuhin, suo ammiratore e discepolo, sosteneva fosse il più grande musicista che aveva conosciuto insieme a Béla Bartòk. «In qualunque campo della musica fu profondamente ispirato, ma non è stato ancora interamente scoperto». Una crescente futura attenzione alla sua musica può trarre slancio dalla lettura delle sue brevi memorie, raccolte nel  da Bernard Gavoty, temuto critico musicale del «Figaro» sotto lo pseudonimo di Clarendon, organista titolare di Saint-Louis des Invalides a Parigi, conferenziere ricercato e divo delle interviste radio-televisive delle star. Il sintetico profilo di Enescu, in forma di autoritratto, presenta prima di tutto un uomo magnetico di umiltà esemplare nei frequenti alti e bassi della vita, sia negli anni di gloria che in quelli della povertà e dell’esilio in Francia. Divisa modesta nonostante un gran talento molto precoce: a  anni compose la sua Seconda Sonata per violino e pianoforte in sole due settimane. Una Sonata presentata a Lugano nella stagio-

A destra, in primo piano, il violinista americano Yehudi Menuhin, seguono in senso antiorario la sorella Hephzibah Menuhin, George Enescu e Maurice Eisenberg. Febbraio 1936. (Keystone)

ne autunnale di Lugano Musica da Julia Fischer, dove la tradizione popolare romena si innesta a quella occidentale, attraverso l’influsso combinato di Brahms e del suo maestro, Gabriel Fauré. Dopo averla scritta, il giovane Enescu fu ricevuto a Berlino nientemeno che dal leggendario violinista Josef Joachim, amico e consigliere di Brahms, il quale gli fece un dono-consacrazione: l’autografo delle sue cadenze per il Concerto per violino di Beethoven.

Compositore precoce e talento multiforme, Enescu fu celebrato violinista, docente, pianista, direttore d’orchestra e instancabile animatore musicale. Per avvicinare la sua musica si può cominciare dalla sua più affascinante opera sinfonica, la Terza Suite «paesana», scritta alle soglie della Seconda guerra mondiale, come rifugio dalla barbarie. È una sorta di ritorno alla terra madre romena e ai ricordi infantili in cinque parti (Rinnovo primaverile. Bimbi en plein air. Vecchia casa

d’infanzia, al tramonto – Pastore – Uccelli migratori e corvi – Campane vespertine. Fiume sotto la luna. Danze rustiche). Potrebbe sembrare formalmente un tardo poema sinfonico se non fosse che l’autore ha il potere di sublimare i ricordi atavici con la freschezza della sua orchestra moderna e la maestria di un’orchestrazione sempre originale che conferisce l’alone magico del profondo scandaglio introspettivo agli spunti autobiografici. In ogni parola di Enescu traspare

quell’incandescenza mistica, ammirata da Menuhin, con la quale si poneva davanti a tutta la musica, soprattutto nell’attività prediletta, la composizione. Una passione divorante che rasentava la regola di vita monastica. Non a caso Enescu cita una bellissima frase di Mendel, il libraio di Stefan Zweig: «tutte le nostre creazioni più valide sono frutto di una concentrazione e di una mania sublime, prossima alla follia». La sua vita e/o opera si riassume nel lavoro maggiore, Oedipe (-). «Ho sempre pensato che, riuscita o mancata, ogni esistenza comporta la sua avventura, il suo dramma segreto. La mia vitalità, il mio dramma e la mia avventura sono contenuti in tre sillabe rese celebri da Sofocle: E-di-po». Opera che non ha simili, arcaica nel tema e moderna nel linguaggio (utilizza tutte «le conquiste della musica contemporanea, il mezzo-cantato, il mezzo-recitato, il quarto di tono per meravigliosi effetti speciali»); la si ascolta quasi con gli occhi tanto lo scavo nell’espressione della parola giunge a cogliere l’essenza dell’ambivalenza tragica del Destino. Opera miracolosamente spogliata di pregiudizi e influssi, senza predecessori e senza eredi. Bibliografia Michele Rossi, Ricordi, Lucca, LIM-tascabili, 2021. Annuncio pubblicitario

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CULTURA

Versi che aprono visioni molteplici

Poesia

La poetessa Laura Di Corcia è tornata in libreria con Diorama, il suo terzo volume di poesie

Guido Monti

Laura Di Corcia torna alla poesia con la raccolta Diorama (edizioni Tlon, pp. ), prefazione di Filippo Tuena e come suggerisce lo stesso titolo, subito si spalancano agli occhi del lettore molteplici visioni temporalmente lontane, divenendo la pagina difatti una sottilissima filigrana, oltre la quale si muove la rappresentazione sempre nuova della scena tempo-mondo. Si perché la poetessa srotola parallela nelle pagine, alla storia dello spirito, quella del suo operare concreto che muta continuamente le linee del paesaggio terra: «… // Le città germogliano / bucano il tempo / dimenticano le chimere / ammassano nelle campagne / le paure / …». Certo nel libro ogni poesia porta nel suo dna il racconto del quotidiano, che è anzitutto indagine antropologica, quasi riflessione a tutto tondo dell’individuo su sé stesso. Ma tale quotidianità, ha impressa una sua diacronia, venendo anche da quel tempo mesopotamico lontano millenni, dove la civiltà della scrittura è scaturita e da dove però sembrano rincorrersi, come incise in un pittogramma sempre attuale, anche le violenze contemporanee che proprio in quelle terre e in particolare nella città curda di Kobane, simbolo di resistenza, sono tornate col loro carico di sinistra simbologia. Ecco però, da questo pozzo oscuro, accendersi una speranza, che co-

me in un cerchio lega volti femminili così lontani: quello saggio e compassionevole della donna mesopotamica, vecchia più di quattromila anni, con l’altro della soldatessa combattente e resistente in Siria: «Aspettami fra il Tigre e l’Eufrate. / Ovvero quel punto della terra / triangolo da cui parte la retta/della storia // io sono una guerriera silenziosa / … // aspettami, dico, e troverò il modo / di ricostruire tutto // …». Quasi ci suggerisce la poetessa, che la progressione storica, non porti a un ampliamento della spiritualità, anzi mini alle fondamenta il tempo del sottosuolo e del silenzio, dentro il quale nacquero le più alte favole e certo il medioevo viene scelto in alcuni versi non a caso, perché momento importantissimo di convergenza dell’antico che si sta diradando, con i suoi fantasmi però così vitali e il nuovo sistema di pensiero che con le sue zampine raziocinanti, la sua scolastica, inizia ad attecchire. Ma proprio in quel limbo, sembra ancora resistere in certe pagine, l’esperienza della piena spiritualità, confusa dai più per stregoneria, portatrice invece di reciproco riconoscimento e di un pensiero così attualizzabile sulla piena eguaglianza dei sessi. E il libro torna come a sbalzi, di continuo sul crinale della sofferenza, in special modo femminile, che prende forme sempre nuove, riacutizzandosi poi laddove la fiamma della spiritualità appunto

si attenua: «… // Essere una donna significava / non poter piegare il tempo / ripiegarsi sul grembo / avere le parole, e sprecarle / lungo il fiume, gettarle per terra / insieme al sale // …». E nel tempo odierno dei materialismi sfrenati ed etero diretti dalla ideologia dell’utile, questa dimensione effimera si ingrandisce e invade come detto, il sacro spazio del silenzio e della riflessione, cosicché in questo circuito ben oliato dalla modernità, ogni specie tende a essere reificata, mercanteggiata e infine strattonata: «… / …Partecipate voi al banchetto osceno, cibatevi. Vendete le merci sotto i porticati e ancora una volta sparite nel giallo. Ma lasciatemi vivere di questa innocenza tremenda, di questo modo di stare attaccata alle cose, di non sentirmi e dirmi sola // …». La violenza allora è sull’uscio, un’ombra pronta ad allungarsi sulle nostre esistenze, già da sempre ondeggianti sul crinale di una ontologica precarietà. Ma vi è anche in Diorama la riflessione molto sentita, sullo strumento attraverso il quale il pensiero su di noi si è andato edificando: la scrittura. Occorre allora maturare questa consapevolezza: tutto era già prima della stessa, che ebbe però il merito di dare a questo tutto una misurazione, una ponderazione, ma anche talvolta una errata visione. Ecco ciò che la poetessa ci suggerisce: nel momento in cui il segno si getta sul foglio, porta alla lu-

Immagine della copertina del libro edito daTlon.

ce ciò che sempre è, perché dà ad esso rappresentazione: «Quando iniziò la scrittura era tutto parallelo. Indistinto si muoveva tutto piallato. / Il sasso era il sasso, il vento il vento. / Non c’era niente di predeterminato. // Poi è arrivata la storia a prendere ai fianchi l’epoca bianca / …». Nella parte finale del libro, Laura Di Corcia è capace con un guizzo di rendere la dismisura del tragico in cui siamo immersi, anche attraverso una chiara operazione nella pagina di sottrazione della profluvie linguistica mono argomentativa, che ci sta divoran-

do in modo schizofrenico. Difatti il suo verso, anche dentro una pandemia senza fine, è lì nelle ultime pagine, a dar forma a quella semplice vita, fonte di riflessione e mistero, che era prima dell’uomo e che dopo l’uomo, caduta anche la sua scrittura, permarrà: «… // E ora aspettiamo che l’erba spontanea / rinasca fra i binari / che mostri che resistere / è mettere il naso nel verde del mondo /». Bibliografia Laura Di Corcia, Diorama, Roma, Edizioni Tlon, 2021. Annuncio pubblicitario


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Anno LXXXV 28 febbraio 2022

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CULTURA

Le case vuote di Ettore Sottsass Personaggi

Adelphi pubblica l’ultimo volume della trilogia curata da Matteo Codignola

Elio Schenini

Tra gli innumerevoli titoli di merito che si possono ascrivere alla lunga e intensa attività editoriale di Roberto Calasso, figura tra le più intellettualmente indipendenti e colte del panorama culturale italiano degli ultimi sessant’anni venuta a mancare lo scorso luglio, vi è anche la decisione di includere gli scritti di Ettore Sottsass nel catalogo Adelphi. Una decisione che risale al , quando a un anno dalla morte del grande designer italiano apparve, per i tipi di Adelphi, Foto dal finestrino, un volumetto che raccoglieva gli interventi di Sottsass per l’omonima rubrica di «Domus» che Stefano Boeri gli aveva affidato alcuni anni prima.

Sottsass non è stato solo un designer, un architetto e un fotografo, ma anche uno scrittore Ma quel libricino semplice, eppure prezioso, per il modo in cui testo e immagini dialogavano tra di loro, non era che il prologo di un evento editoriale ben più importante: la pubblicazione, avvenuta l’anno seguente, dell’autobiografia Scritto di notte. Pubblicato nella Collana dei casi, questo libro, che ha rivelato al grande pubblico l’indiscutibile talento letterario di Sottsass, è a tutti gli effetti uno di quei «libri unici», di quei libri che hanno il «suono giusto», tanto amati da Roberto Bazlen che di Adelphi era stato uno dei fondatori nei primi anni Sessanta. Ma proprio perché si trattava di un libro veramente «unico» da tutti i punti di vista, ancora prima che andasse in stampa apparve subito chiaro che la presenza di Sottsass nel catalogo adelphiano non poteva rimanere un unicum e infatti già in terza di copertina di quel volume si annunciava la futura pubblicazione delle sue opere principali. Oggi, a distanza di una decina d’anni, possiamo dire che l’obietti-

vo espresso in quell’annuncio è stato finalmente portato a compimento. È infatti appena uscito nella Piccola Biblioteca Adelphi, con il titolo Di chi sono le case vuote?, il terzo e ultimo volume di una trilogia, curata da Matteo Codignola, che raccoglie un’ampissima selezione di scritti, sia editi che inediti, prodotti da Sottsass nel corso di tutta la sua vita. Questo terzo volume, che comprende gli scritti realizzati tra gli anni Settanta e gli anni Duemila, si affianca così ai due precedenti, Per qualcuno può essere lo spazio del  e Molto difficile da dire del , non solo offrendo un’alternativa all’ormai introvabile antologia di scritti pubblicata da Neri Pozza nel , ma soprattutto ampliandola notevolmente. Così come nelle pagine di quello che l’hanno preceduto, anche in questo volume si alternano testi di vario tipo e natura: saggi per cataloghi di mostre, articoli apparsi su riviste, conferenze e racconti. Eppure al di là del loro carattere variegato, tutti questi scritti dimostrano ancor oggi una freschezza e una vitalità sorprendenti e soprattutto la capacità di sopravvivere alla loro origine non di rado occasionale. E questo perché Sottsass non è stato solo un designer, un architetto e un fotografo, ma anche uno scrittore. E basta averne lette poche pagine per capire che si tratta di un grande scrittore.

L’evoluzione della sua scrittura deve molto al lungo sodalizio con Fernanda Pivano Se i suoi esordi letterari si collocano nei primi anni Quaranta, l’evoluzione della sua scrittura deve molto al lungo sodalizio con Fernanda Pivano, che è stata la sua prima moglie e grazie alla quale Sottsass ha avuto modo di entrare in contatto fin dagli anni Cinquanta con la letteratura americana e

Ettore Sottsass e Fernanda Pivano nella loro casa a Milano nel marzo del 1969. (Keystone)

con la cultura della beat generation. È infatti anche grazie a questi apporti che si è venuta costruendo quella sua voce particolarissima, quel suo gusto per un’affabulazione monologante attraverso la quale possiamo immergerci in un pensiero liquido, intrinsecamente magmatico, che come materia incandescente si divide nei rivoli di continue digressioni ma che nello stesso tempo riesce a conservare

il senso di una precisa e limpida unitarietà. Certo, il design e l’architettura sono temi ricorrenti nei suoi scritti, temi dai quali Sottsass continuamente parte oppure ai quali continuamente ritorna, ma non in maniera astratta o teorica bensì radicandoli nell’osservazione precisa di ciò che lo circonda, nell’esperienza di una quotidianità che è fatta di lavoro, di viaggi e di memoria.

Quello che vediamo all’opera nei suoi scritti è un pensiero mosso da una costante tensione etico-politica, che non si lascia soffocare nell’angustia dei propri confini disciplinari ma che si apre verso tutto ciò che lo attornia, contaminandosi e ibridandosi con le realtà, anche quelle più disparate e triviali che il suo occhio attento, al contempo ironico e malinconico, scandaglia con impietosa attenzione. Come in un testo intitolato Cucine, apparso inizialmente sulla rivista «Terrazzo» che lui stesso aveva fondato (perché, detto per inciso, oltre a tutte le attività che abbiamo già ricordato Sottsass è stato anche l’editore di alcune riviste di culto quali «Pianeta fresco»). Un brano intenso che, senza scivolare nel pastiche, è al contempo narrazione autobiografica, divertito pezzo di costume sulle abitudini della società dei consumi, rievocazione nostalgica della realtà rurale del Tirolo dei primi decenni del Novecento, lucida analisi sociologica e antropologica del rapporto tra l’uomo e il cibo e infine riflessione sulle trasformazioni che ha subito l’organizzazione architettonico-spaziale di questo locale della casa. In questo tentativo di tenere tutto assieme c’è l’essenza della scrittura di Sottsass. Del resto, per il padre del controdesign, il design non si è mai identificato con la produzione di oggetti più o meno belli e funzionali attraverso i quali alimentare la produzione industriale e quindi la società dei consumi, ma è sempre stato, come ricordava lui stesso, un modo per «discutere la vita». Quella vita che ci vede continuamente in viaggio verso «deserti, foreste, fiumi, valli montagne, città, dove ci sono ruderi da vedere, metafore da interpretare, yantra da percorrere e poi odori e vento, luci notti, colori, pesi, e suoni, e tutto, per finire dentro un orgasmo d’amore per la vita, dentro un lunghissimo orgasmo di nostalgia».

Il Macbeth di Verdi con una strepitosa Lady Opera

Conquista l’interpretazione del soprano Susanne Elmark al Luzerner Theater

Marinella Polli

Sta riscuotendo un enorme successo al Luzerner Theater la nuova produzione del Macbeth verdiano con la direzione musicale di Hossein Pishkar e la regia di Wolfgang Nägele (la scenografia e i costumi sono di Valentin Köhler, le luci di David Hedinger-Wohnlich). Una produzione oltremodo interessante sia sul versante musicale e vocale sia visivo. Pishkar riesce agevolmente a evidenziare tutte le infinite sfumature psicologiche creando una tensione onnipresente che emerge tanto nella recitazione quanto nella musica, sottolineando il respiro differenziato della splendida partitura. Grazie, altresì, a una Luzerner Sinfonieorchester affiatata e coinvolgente che sempre asseconda il maestro, i rapporti dinamici, cromatici e i tempi sono sempre perfetti; notevole anche l’accompagnamento del coro, dei membri del Luzerner Sängerknaben e dei solisti. Il baritono Hrólfur Sæmundsson, con quel suo potente strumento vocale duttile e rotondo è un Macbeth ora ossessionato, ora ossessivo e

sempre molto convincente anche nei panni dell’uomo e del marito debole, succube dell’ambiziosissima e più autorevole moglie. E nel ruolo della Lady – in fondo la vera protagonista di questo capolavoro di Giuseppe Verdi – gli è addirittura superiore, vocalmente e scenicamente, lo strepitoso soprano Susanne Elmark: una Lady affascinante, passionale, eroticamente presente sin dalla sua entrata in scena; astuta e malefica, ma nel contempo ingenua e vulnerabile, tanto che finirà per essere vittima della sua sete di potere. Impeto, determinazione, ossessione (evidenziata da un continuo sfregamento delle mani) e accenti sussurrati si alternano in questa sua straordinaria interpretazione attoriale. La Elmark vanta una solidissima tecnica vocale nonché un fraseggio in forza del quale riesce a dar forma al suo personaggio in tutte le innumerevoli sfaccettature. Non sfigura vicino ai due protagonisti Christian Tschelebiev, sempre perfettamente a suo agio nel ruolo non facile di Banco: un’intelligente e pacata interpretazione, la sua, in vir-

tù di buone capacità espressive, sceniche e vocali. Una discreta prestazione anche quella di Diego Silva nei panni di Macduff e di Robert Maszl quale Malcolm. Per quanto riguarda la regia, Wolf-

gang Nägele muove da diverse prospettive: psicologia profonda, inconscio, occulto e sovrannaturale, quest’ultimo rappresentato dalle streghe e da varie altre apparizioni ora comiche, ora semplicemente grotteSusanne Elmark è Lady Macbeth, Hrólfur Sæmundsson Macbeth. (Ingo Hoehn)

sche. Tuttavia, il merito maggiore del suo allestimento è quello di ridimensionare i pregiudizi accumulati in decenni e decenni di analisi letteraria e musicologica concernenti questi due personaggi. Il regista restituisce infatti, sia a Macbeth che a Lady Macbeth, maggior attendibilità e una certa umanità, facendoli apparire meno estremi, e non tanto come l’incarnazione del male assoluto, ma piuttosto come due persone succubi quanto si vuole di una sfrenata ambizione, ma come ce ne sono state e ce ne sono tante nella storia, in letteratura e nella realtà. Due personaggi dunque tragici perché soccombono alla realizzazione del loro stesso sogno, proprio quando sono sul punto di raggiungere ciò che più desiderano. Applausi interminabili e calorosi all’indirizzo di tutti i partecipanti, in particolare di Susanne Elmark e di Hrólfur Sæmundsson, del Maestro Hossein Pishkar e della Luzerner Sinfonieorchester. Questo Macbeth lucernese, insomma, è uno spettacolo da non perdere. Si replica fino al  di giugno.


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