Azione 36 del 4 settembre 2017

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Cooperativa Migros Ticino

Società e Territorio Il 24 settembre si vota sull’iniziativa «Educhiamo i giovani alla cittadinanza»

Ambiente e Benessere La Lega svizzera contro il reumatismo organizza il 15 settembre all’Espo Centro di Bellinzona una giornata dedicata ai dolori dell’anca

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXX 4 settembre 2017

Azione 36 Politica e Economia Le provocazioni nordcoreane sono il risultato di una strategia pianificata e lucida

Cultura e Spettacoli Adelphi ha dato alle stampe un’opera di Elias Canetti sulla sua ossessione: la morte

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di Luca Beti pagina 28

Keystone

Urs Altermatt punta su Cassis

Catastrofi naturali, quali lezioni trarre? di Peter Schiesser Bondo, Houston, India-Nepal-Bangladesh: l’attualità porta le catastrofi naturali in primo piano. Se nel sud-est asiatico è una triste tradizione che centinaia di persone perdano la vita a seguito di alluvioni (così da non accorgerci nemmeno che queste, con 1200 morti, sono le fra le peggiori degli ultimi decenni), in casa nostra ci sorprendiamo di vedere cadere 4 milioni di metri cubi di roccia in un sol colpo, mentre allarmati volgiamo lo sguardo verso l’America, a Houston. E, credo tutti, ci chiediamo: è a causa dei cambiamenti climatici? È il permafrost che si scioglie, o i ghiacciai che si ritirano? Sono movimenti rocciosi in atto da secoli o migliaia di anni? Risposte certe non ci sono: come si fa, per esempio, a provare che l’uragano Harvey non ci sarebbe stato senza i mutamenti climatici, sapendo che il Mar dei Caraibi ne genera ogni anno? Tuttavia, crescente intensità e frequenza di fenomeni naturali catastrofici sono un indizio che vecchi equilibri si stanno spezzando. A Bondo, gli abitanti sapevano che prima o poi la montagna sarebbe venuta giù. Ma ora che è successo, in questo comune e anche nel

resto della Svizzera, ci si chiede come affrontare il futuro. Se nella frazione bregagliotta dovranno sorgere nuove opere di protezione per ridare alla popolazione un senso di sicurezza, quando finalmente sarà stato possibile rimuovere le rocce e il fango scivolati a valle, in tutti i cantoni di montagna si dovrà osservare con occhio ancora più critico le cartine geologiche, poiché con lo scioglimento dei ghiacciai e del permafrost il terreno diventa instabile, si smuove, ne possono derivare cadute di massi o smottamenti. Finora abbiamo vissuto in una fase preliminare dei mutamenti climatici. Ma alcuni segnali fanno temere che stiamo entrando in una nuova fase: la «Neue Zürcher Zeitung» (30.8.’17) cita i ricercatori dell’ETH di Zurigo sul ghiacciaio dell’Aletsch, secondo i quali è ai livelli più bassi raggiunti durante l’Olocene, ciò che ha grosse conseguenze sui pendii laterali, non più ricoperti dal ghiaccio; in alcuni punti, verso il fondo del ghiacciaio, da un anno a questa parte, la terra si muove di 30 centimetri al giorno – e le masse di terra in movimento sono stimate a 75 milioni di metri cubi. In sostanza, nei decenni a venire dovrà essere ri-attualizzata costantemente la mappa dei rischi e le autorità dovranno decidere che fare nei luoghi a rischio: investire

in costose opere di protezione o dichiararli inabitabili? Di questo a Berna si è da tempo coscienti, Bondo mostra ora a tutti che non si tratta più solo di frane come le abbiamo conosciute in passato. Un vantaggio, molto elvetico, lo abbiamo: gli edifici sono coperti da assicurazione. Sembra un’ovvietà, ma non lo è: negli Stati USA che si affacciano sul Golfo del Messico, a forte rischio di alluvioni, la società di riassicurazione Swiss Re ha ravvisato in uno studio che molte case private non sono assicurate. In particolare a Houston, che ha già conosciuto alluvioni nel 2015 e nel 2016, in alcuni quartieri solo 1 casa su 6 lo è. E questo nonostante nella metropoli texana il rischio sia cresciuto enormemente da quando gli acquitrini e molti terreni che servivano da sfogo alle acque alluvionali sono stati cementificati. Donald Trump potrà negare che un mutamento climatico sia in atto e affermare che i posti di lavoro valgono più di un clima in equilibrio, gli Stati USA che si affacciano sui Caraibi (ma anche New York è stata ferita da Sandy, 5 anni fa) dovranno comunque fare i conti (salati) con le conseguenze di devastanti uragani e di una pianificazione del territorio sbagliata. Fazit: i mutamenti climatici metteranno in evidenza anche gli errori urbanistici del passato. In tutto il mondo.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 settembre 2017 • N. 36

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Attualità Migros

M Migros Ticino a Mendrisio rilancia e si fa in quattro

Filiali La cooperativa ticinese raddoppia la propria presenza nel Piazzale alla Valle del Magnifico Borgo

con un nuovo centro Activ-Fitness, che si affianca alla Scuola Club e al supermercato in Via Campagna Adorna

«Un accordo molto soddisfacente, nell’interesse della Città e del suo centro storico»: così il municipale Marco Romano ha definito il nuovo contratto di collaborazione raggiunto tra l’esecutivo di Mendrisio e Migros Ticino. L’azienda ticinese ha infatti rinnovato il contratto decennale di affito per la sua filiale di Piazzale alla Valle e oltre a questo, ha rilanciato, decidendo di aprire il suo quarto centro Activ-Fitness nei due piani superiori dello stesso stabile. I lavori di allestimento sono in corso e l’apertura della nuova palestra è già prevista per il prossimo 9 gennaio 2018. Negli ultimi tempi succede sempre più spesso che imprese commerciali di vendita al dettaglio scelgano di abbandonare i loro esercizi nei centri storici, preferendo insediamenti periferici. Queste strategie finiscono per impoverire gli agglomerati stessi, svuotandoli di attività e di servizi: la collaborazione tra il Municipio di Mendrisio e Migros Ticino va invece in controtendenza ed è un esempio positivo di impegno per rivalorizzare il tessuto sociale. L’apertura della nuova palestra saprà sicuramente attirare l’interesse della popolazione verso il centro della città, anche in considerazione della favorevole posizione che colloca la nuova struttura per lo sport e il tempo libero a poca distanza

dalla stazione ferroviaria, dall’Accademia di Mendrisio, dalla futura sede alla Filanda della Biblioteca cantonale e dall’altrettanto futura sede della Supsi. Volendo guardare al passato, il rapporto che lega Migros Ticino con Mendrisio è una storia ultradecennale. La prima filiale fu aperta nel Borgo ben 70 anni fa, nel gennaio del 1947. Il piccolo negozio situato in Piazzetta Borella inaugurava lo splendido rapporto tra la clientela Momò e Migros Ticino, secondo gli schemi introdotti dall’azienda di Gottlieb Duttweiler in tutta la Svizzera. L’impresa, in effetti, non ebbe vita facile all’inizio: proprio in virtù della sua apparente diversità nella concezione commerciale si scontrò con varie resistenze da parte della popolazione. Nel giro di poco tempo però queste difficoltà vennero a cadere e pochi anni dopo, nel 1950, una nuova sede fu aperta proprio nel centro principale, in Piazza del Ponte. La filiale, come altri negozi aperti in Ticino in quel periodo, utilizzava una modalità di servizio innnovativa e rivoluzionaria. Le merci erano esposte su scaffali con libero accesso, da cui i clienti potevano servirsi e passare in seguito alla cassa per il pagamento. Era l’introduzione del concetto «Servisol», che si sarebbe imposto come normale modalità di acquisto. Un altro importante salto di qualità si è poi registrato nell’agosto del 1966 con l’apertura della nuova sede Migros Ticino in quella che allora si chiamava Via Panoramica. Il nuovo negozio possedeva un ampio ristorante al primo piano, mentre un altro piano era

Piazzale alla Valle vedrà il 9 gennaio l’apertura di un nuovo centro Activ-Fitness. (Ti-Press)

riservato alle aule della nuova Scuola Club. Risalendo ai giorni nostri, una importante fase storica è quella che ha visto l’insediamento di Migros Ticino nell’attuale supermercato, collocato nello stabile del nuovo Piazzale alla Valle, concepito da Mario Botta e terminato nel 1997. Oggi, l’offerta di que-

Correndo per aiutare la ricerca Solidarietà Ritorna a Biasca «marchethon CF della Svizzera

Italiana», un classico appuntamento di fine estate

L’evento richiama centinaia di persone e si è affermato negli anni come un momento importante per sportivi e famiglie: la 13a edizione di «marcheton CF» è in programma sabato 9 settembre. Novità di quest’anno sarà la «Fun Run and Walk», camminata non competitiva aperta a tutti. La partenza è fissata alle 11.00 con la possibilità di partecipare correndo, camminando, in monopattino, con i roller, con la bicicletta senza pedali e con tanta fantasia. All’ora di pranzo è prevista una macchero-

Azione

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

nata, accompagnata da una fornitissima grigliata e da un intrattenimento musicale. Nel pomeriggio ci sarà spazio per le gare dei bambini, mentre sarà disponibile una divertente area giochi. La giornata si concluderà con l’aperitivo in compagnia della Carnasc Band di Cadenazzo. Cena a partire dalle 18.30 con musica live fino a mezzanotte. marchethon CF non è solamente sport e divertimento ma, soprattutto, solidarietà. I proventi della manifestazione saranno interamente devoluti alla Società Svizzera Fibrosi Cistica (CFCH), sodalizio che ha lo scopo di promuovere e attuare ogni forma di assistenza ai soggetti affetti da questa patologia, una malattia genetica ereditaria che colpisce i polmoni e il sistema digerente. La CFCH, inoltre, insieme al Swiss Working Group for Cystic Fibrosis, sostiene progetti di ricerca scientifica in quest’ambito. Negli ultimi

decenni, l’aspettativa di vita per le persone affette da fibrosi cistica è aumentata considerevolmente grazie ai progressi medici che hanno permesso di sviluppare nuove terapie clinicamente applicabili. Resta quindi il bisogno di diffondere un messaggio di speranza e solidarietà, perché sempre meno persone si sentano sole e discriminate. Per iscriversi a «marcheton CF» occorre stampare il modulo pubblicato sul sito www.marcheton-ti.ch oppure presentarsi allo stand apposito a partire dalle 9.00 e fino a 15 minuti prima della partenza della categoria scelta. La tassa di iscrizione comprende un premio per ogni partecipante. Prezzo delle iscrizioni: 15.– franchi per Piccoli e Mini; 20.– franchi per Fun Run and Walk.

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch

Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11

La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

Informazioni

www.marchethon-ti.ch/

Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31

sto negozio è completata da quella del più recente filiale situata in Via Campagna Adorna ed inaugurata nel 2014. In futuro dunque saranno ben quattro le attività che vedono Migros Ticino attiva sul territorio di Mendrisio. Le due filiali con supermercato, la Scuola Club e la futura palestra

Activ-Fitness sono una prova tangibile dell’attaccamento dell’azienda ticinese al territorio e della sua volontà di collaborare concretamente alla valorizzazione dei centri storici del nostro cantone, fornendo beni e servizi di qualità a prezzo concorrenziale, per il beneficio di tutta la comunità / Red.

Le promesse alla prova dei fatti

Generazione M L’impegnativo programma

di sostenibilità è verificato due volte l’anno Al momento attuale sono in corso ancora ventuno promesse tra tutte quelle rivolte da Migros alle giovani generazioni svizzere. Tra queste promesse, diciotto sono in fase di attuazione, mentre tre sono state sospese. Procede, ad esempio, secondo i piani iniziali la realizzazione della promessa che vuole permettere a 70’000 bambini in tutta la Svizzera di partecipare gratuitamente entro la fine del 2019 a una delle numerose corse popolari sostenute da Migros. Dal 2016 fino ad oggi sono già 38’314 i ragazzi che hanno potuto prendere il via in una di queste competizioni podistiche. Il risultato dunque rappresenta, già a questo punto, oltre la metà del numero complessivo previsto. Sul versante delle promesse di cui la realizzazione è particolarmente impegnativa c’è quella che riguarda l’ottimizzazione dell’imballaggio dei prodotti. La promessa formulata inizialmente si proponeva di raggiungere un risparmio Tiratura 101’766 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch

complessivo di 6000 tonnellate di materiale da imballaggio. Tra il 2013 e il 2016 invece le tonnellate risparmiate sono state soltanto 2726. Anche se il risultato è sicuramente lusinghiero non è stata raggiunta la quota di 3000 tonnellate prevista a metà percorso. Informazioni

www.generazione-m.ch Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 settembre 2017 • N. 36

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Società e Territorio Dalla parte delle donne La Federazione associazioni femminili ticinesi festeggia i 60 anni di attività dedicati alla promozione della parità fra i sessi pagina 5

A Cevio rivive la frazione di Boschetto In Valmaggia un progetto di valorizzazione coordinato dall’APAV ha salvato selve castanili, muretti a secco, cappelle e un maestoso torchio del 1580 pagina 6

La civica che divide

Votazioni Il 24 settembre i cittadini

dovranno esprimersi sull’iniziativa che vorrebbe introdurre due ore di civica al mese nelle scuole medie scorporandole dalle lezioni di storia

Roberto Porta La «guerra delle autolinee» scoppiata la settimana scorsa davanti alle Medie di Pregassona è solo l’ultimo rumoroso capitolo di un periodo piuttosto travagliato per la scuola pubblica del canton Ticino. Scuola che fatica a livello politico a trovare il consenso necessario per poter concretizzare progetti di importanza generazionale. Basti ricordare la fatica, ancora tutta da superare, che incontra il progetto dipartimentale chiamato «La scuola che verrà» o lo stallo in cui si trova da anni la ridefinizione dell’insegnamento delle religioni. In questo contesto di nodi tutti da sciogliere, la votazione popolare del prossimo 24 settembre con cui verrà deciso il futuro dell’insegnamento della civica in Ticino avrà perlomeno il merito di porre fine a quasi vent’anni di discussioni e polemiche. La questione è di quelle lunghe e tormentate, per questo val la pena ripercorrere alcuni dei suoi capitoli più recenti. Per farlo occorre ripartire dall’anno Duemila, quando i Giovani liberal-radicali ticinesi lanciarono un’iniziativa popolare con l’intento di riscoprire l’educazione civica nelle scuole, attraverso l’introduzione di un’ora settimanale di insegnamento obbligatorio. L’iniziativa fu poi ritirata perché il Gran Consiglio e il governo si impegnarono ad apportare i correttivi legislativi necessari per potenziare questo insegnamento nelle scuole medie e nelle scuole superiori. Su incarico del Dipartimento Educazione Cultura e Sport, una successiva ricerca condotta dalla SUPSI nel febbraio del 2012 metterà però in rilievo, accanto a una serie di aspetti positivi, anche diverse lacune nella concretizzazione degli obiettivi fissati nei primi anni 2000. Scatterà così una seconda raccolta di firme, questa volta promossa da persone in buona parte vicine all’UDC e alla Lega dei ticinesi, capitanate dall’imprenditore Alberto Siccardi. Nel 2013 questa iniziativa popolare – denominata «Educhiamo i giovani alla cittadinanza» – raccoglierà in soli otto giorni ol-

tre diecimila firme ed è all’origine della modifica della legge sulla scuola su cui voteremo il prossimo 24 settembre. «Noi siamo partiti proprio dall’indagine svolta dalla SUPSI in cui c’è scritto nero su bianco che la civica non è insegnata in modo costante – ci dice il promotore dell’iniziativa Alberto Siccardi – A tal punto che il 17% dei docenti non ha mai sentito parlare delle linee guida per l’insegnamento di questa materia». Detto in altri termini, le promesse fatte dopo la prima iniziativa popolare dei Giovani liberali-radicali sono state mantenute solo parzialmente, così almeno ritengono gli iniziativisti. «Il rapporto della SUPSI presenta una situazione in chiaro-scuro – replica sul fronte opposto Maurizio Binaghi, presidente dei docenti di storia ticinesi – In quell’indagine sono stati messi in evidenza diversi aspetti molto positivi e altri meno lusinghieri. Con una conclusione che a noi docenti sembra fondamentale: l’esortazione a continuare sulla via tracciata per migliorare quanto di buono è stato fatto finora». Tra gli iniziativisti e i docenti di storia, principali oppositori all’iniziativa sulla civica, emerge dunque questa lettura profondamente diversa della ricerca elaborata dalla SUPSI. «I docenti promettono di intensificare l’insegnamento della civica ma questa è una storiella che sento da 16 anni» ci dice Alberto Siccardi. «È una presa in giro e questo è il motivo per cui non abbiamo ritirato la nostra iniziativa, portando così i cittadini al voto». Parole che a detta dei docenti di storia confermano quella che chiamano una «sfasatura tra la realtà dei fatti e la percezione che si ha di questi fatti». «Posso assicurare – fa notare Maurizio Binaghi – che è stato fatto davvero tanto per l’insegnamento di questa materia, a tal punto, e qui cito per esempio lo stesso rapporto della SUPSI, che gli allievi ticinesi hanno una visione chiara di quelle che sono le caratteristiche o le condizioni di base per poter definire un paese democratico». Posizioni inconciliabili, dunque, tra gli iniziativisti, non solo legati

Educazione alla cittadinanza: i ragazzi della scuola media di Barbengo nella sala del Gran Consiglio. (Ti-Press)

a UDC e Lega, e docenti di storia, che hanno nel frattempo ricevuto il sostegno di una serie di personalità del mondo della cultura e della politica. Un muro contro muro che ha portato, anche in Gran Consiglio, allo scontro politico emerso nel corso degli ultimi quattro anni e all’accesa campagna in vista della votazione del prossimo 24 settembre. La legge al vaglio dei cittadini prevede per la scuola media l’introduzione di almeno due ore mensili di una lezione di civica e di educazione alla cittadinanza, scorporata dalle lezioni di storia in cui è attualmente inserita. La nuova disciplina dovrà avere una nota propria. Alle scuole superiori e professionali, per non violare le disposizioni federali in materia, le due ore di civica al mese andranno invece inserite nella lezione di storia o in moduli già oggi proposti nell’ambito delle scienze umane. «La nostra iniziativa chiedeva l’ora obbligatoria anche nelle scuole superiori – ricorda Alberto Siccardi – alla fine abbiamo accettato questo compromesso. Proprio per que-

sto in caso di accettazione popolare andranno fatti controlli seri e intensi per capire se la legge verrà concretizzata correttamente. Lo dobbiamo alle oltre diecimila persone che hanno firmato la nostra iniziativa». L’ora di civica potrebbe dunque presto essere una realtà. «A nostro modo di vedere questa impostazione rappresenta un passo indietro e non in avanti – fa notare Maurizio Binaghi, presidente dell’Associazione ticinese degli insegnanti di storia – perché per noi l’insegnamento della civica non può essere fatto in una materia a sé stante, indipendente dalle altre. L’educazione alla civica presuppone un percorso interdisciplinare, come del resto succede in tutti gli altri cantoni del nostro Paese». Un eventuale sì popolare farebbe infatti del Ticino l’unico cantone a proporre una materia di educazione civica slegata dall’insegnamento di altre discipline di stampo umanistico. «Non è vero – ribatte il promotore dell’iniziativa Alberto Siccardi – a Basilea città ci si sta muovendo nella

nostra stessa direzione, anche lì con un’iniziativa popolare». Lo scorso mese di giugno i Giovani liberali radicali hanno infatti depositato un’iniziativa per introdurre una materia di politica «che è esattamente quello che chiediamo noi», precisa Siccardi. Con una differenza però: l’iniziativa basilese chiede l’introduzione di questa disciplina per almeno un anno nel corso della scuola dell’obbligo. L’iniziativa ticinese mira invece a promuovere la civica nel corso di tutta la scolarità obbligatoria. In attesa del 24 settembre e del verdetto dei cittadini ticinesi val la pena in conclusione ricordare un dato statistico. Nel 2011 le prove di grammatica italiana all’inizio della prima media hanno fatto registrare in Ticino un dato decisamente preoccupante, visto che il 56% degli allievi non aveva raggiunto la sufficienza. Per la grammatica, e per le conoscenze della lingua italiana, nessun schieramento politico ha però lanciato un’iniziativa popolare. Eppure le lacune da colmare non mancano, neppure in questa fondamentale materia.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 settembre 2017 • N. 36

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Società e Territorio

Dalla parte delle donne

FAFT Plus Da 60 anni la Federazione associazioni femminili ticinesi si impegna per promuovere la parità di genere

Natascha Fioretti Sessant’anni e sentirli. In primis perché sono tanti, memoria di molte battaglie fatte, memoria di conquiste sudate in tempi diversi e ben più ostili in cui le donne si sono rimboccate le maniche per conquistare i loro diritti. Più di mezzo secolo da festeggiare non soltanto in onore della storia già scritta ma in virtù di quella ancora da scrivere. Non bastano, infatti, le singole vittorie a determinare la parità tra i sessi, occorre un impegno puntuale e costante affinché determinati principi si traducano nel concreto della vita quotidiana. Se oggi in Svizzera, in particolare in Ticino, la parità tra uomini e donne fosse un dato di fatto assodato, temi come la conciliabilità, il congedo paternità, il congedo parentale, la disparità salariale, le quote rose nei cda e la sottorappresentazione delle donne in politica e nei media, non sarebbero più all’ordine del giorno. Ma lo sono, eccome se lo sono. E proprio da qui, da questa consapevolezza, abbiamo l’obbligo di partire per ricordare il percorso iniziato il 28 aprile del 1957 dalle donne fondatrici della Federazione Ticinese delle Società Femminili. Il lavoro sul nostro territorio di un’associazione mantello come FAFT Plus (Federazione associazioni femminili ticinesi) con la partecipazione e l’impegno di tutte le associate, è oggi indispensabile e irrinunciabile e va, non solo, festeggiato, come avverrà il 30 settembre ma soprattutto appoggiato nei consessi precipui. Noi, in attesa che tutto ciò avvenga, in una lunga chiacchierata con Chiara-Simoneschi Cortesi (Presidente e già membra del comitato dal 1992 al 1998), Marialuisa Parodi (Vicepresidente) e Renata-Raggi Scala (Presidente onoraria già Presidente nel 1998), cuore e mente insieme a tutto il comitato (Natalia Ferrara, Davina Fitas, Vanessa Ghielmetti, Amalia Mirante, Adriana Rusconi e Isabella Visetti), ci siamo fatti raccontare verso quali orizzonti e in quali acque naviga FAFT Plus (faftplus.ch). «Ci troviamo in un momento in cui la società evolve più velocemente della politica che è in netto ritardo nell’elaborazione di risposte adeguate alle nuove esigenze della società». La

società corre, evolve, ci racconta Marialuisa Parodi, nel mondo ma anche in Svizzera, dove vi è una grande necessità di supporti e di sostegno per arrivare a quel modello ideale di suddivisione dei ruoli che dalla politica non è ancora stato compreso. «Una recente pubblicazione dell’Ufficio di statitistica rivela che il modello preferito idealmente dalle famiglie, specialmente con bimbi piccoli e nel caso in cui la mamma e il papà hanno una formazione superiore, è quello del lavoro part time per entrambi i genitori». Peccato che nella realtà abbiamo un serio problema di conciliazione dei tempi e dei ruoli della vita famigliare e lavorativa. Fa ben sperare che oggi a portare avanti una battaglia di socialità e di civiltà sono sia donne che uomini. «Proprio per questo nello statuto abbiamo modificato il nome FAFT in FAFT Plus per esprimere l’idea e la volontà di essere un’associazione mantello non solo di associazioni femminili ma anche di associazioni di altro genere, enti o persone che hanno a cuore questo tema. Modificando lo statuto abbiamo deciso di aprire alla presenza maschile anche il comitato perché, come molte aziende ci dimostrano, i gruppi misti lavorano meglio». Dunque la politica deve innestare una marcia in più, per questo FAFT Plus ha preso sotto la sua ala il progetto FORUM 54 Donne elettrici promosso nel 2015, prima delle ultime elezioni cantonali. Si tratta di un lavoro svolto con tutte le associazioni femminili, volto a promuovere processi di riflessione e di dialogo attorno a tutti gli aspetti della nostra vita con lo scopo di dare forma a nuovi spazi di cittadinanza attiva e approcciare il discorso delle candidature e dell’aumento delle presenze femminili. E, se da un lato la politica è in ritardo, dall’altro fa anche dei passi indietro. Ne è un chiaro esempio la decisione dell’onorevole Berset e dell’UFU di non concedere più i finanziamenti che nel rispetto dell’Art. 15 della Legge federale sulla parità dei sessi venivano erogati da 20 anni ai consultori giuridici. In Ticino, oltre a quello della FAFT, c’è il consultorio Sportello Donna dell’Associazione Dialogare Incontri. «Dobbiamo fare i conti con questa decisione – dice Chiara Simoneschi-Cortesi – presa tra

14 giugno 1991: lo storico sciopero nazionale delle donne in Svizzera. Cinque anni dopo entrò in vigore la Legge federale sulla parità dei sessi. (Keystone)

l’altro all’improvviso, senza interpellare il Parlamento, sulla base del fatto che sono cambiate le priorità nel concedere i finanziamenti. Non ritengono più efficienti le consultazioni individuali, a loro avviso se ne occupano già altri enti. Devono dimostrarlo, noi intanto abbiamo fatto ricorso al tribunale federale di San Gallo». Nel 2015 più di 3200 donne sono state aiutate dai consultori giuridici in tutta la Svizzera, più di 600 donne solo in Ticino (www.donnalavoro.ch) «la maggior parte di questi casi riguardano donne che hanno subito un trattamento che viola la legge sulla parità e tutte le norme che riguardano il principio della tutela della maternità e della coerenza tra lavoro e salario. Quello che riguarda la maternità è il dato più preoccupante, sembrava ormai un fatto acquisito che la maternità non fosse una questione privata ma sociale – dice Marialuisa Parodi – e la de-

cisione sui consultori indica una scarsa vicinanza al territorio e alla società». Altra spia del ritardo della Svizzera nelle politiche famigliari, è il congedo paternità. FAFT Plus promuove e appoggia l’iniziativa popolare che chiede 20 giorni di congedo paternità ripartiti con la massima flessibilità «la legge sul congedo paternità deve passare», dice con il suo fervore pasionario Chiara Simoneschi-Cortesi, prima donna a ricoprire la carica di Presidente al Consiglio nazionale, che ricorda «il passo successivo sarà introdurre il congedo parentale. Ho avuto la fortuna di partecipare a un Consiglio d’Europa dove ho incontrato il ministro svedese delle politiche famigliari. Mi disse: “devo introdurre delle quote perché gli uomini non prendono il congedo parentale, noi invece lo abbiamo creato appositamente per migliorare la suddivisione dei compiti”. Metteva delle quote e

quell’anno almeno il 30% doveva essere dei papà. Era il 1998». Ma non è solo la politica ad essere in ritardo e a non saper interpretare le urgenze e le richieste della società in fatto di parità, anche i media hanno una grande responsabilità. Per questo motivo FAFT Plus ha iniziato una collaborazione con la direzione della RSI. Come e quanto le donne appaiono nei media è fondamentale, non solo per migliorare la situazione di oggi, ma anche quella del futuro. Alle bambine bisogna fornire modelli reali che non portano, ad esempio, alla stereotipizzazione delle formazioni. Inoltre i dati parlano chiaro: seppur sono più brave le donne a laurearsi, la loro presenza nei cda e nei consessi di potere continua ad essere numericamente poco rilevante. «Il nodo è quello della conciliazione, se non cambia la convinzione culturale su chi debba fare cosa all’interno della famiglia o sulla possibilità di scegliere quale ruolo ricoprire in maniera libera, saranno sempre le donne a rinunciare», dice Marialuisa Parodi. I festeggiamenti di FAFT Plus si avvicinano, Chiara Simoneschi-Cortesi lascerà dopo due anni di presidenza: «sono molto soddisfatta del lavoro svolto. L’importante è avere un approccio serio, argomentare partendo da basi solide e scientifiche, inoppugnabili. Ed è proprio questo tipo di approccio che manca nelle giovani generazioni, questa consapevolezza che il sapere sulla parità e sulle pari opportunità è un sapere specifico con la sua storia, le sue definizioni e il suo linguaggio». Candidata alla successione della Presidenza di FAFT Plus è Marialuisa Parodi che sul futuro ha le idee chiare: «se sarò eletta punterò sul dialogo con le istituzioni di diversa natura affinché ogni tematica importante per la parità tra uomini e donne possa essere compresa e trovare il giusto consenso». La prima Presidente della Federazione si chiamava proprio Maria Luisa (Albrizzi), una donna che ha lottato per il diritto di voto alle donne ed è stata in carica con successo per 15 anni. Un nome di buon auspicio, dunque, per raccogliere il testimone e volare verso una società moderna inclusiva e paritaria in onore delle pioniere che più di mezzo secolo fa hanno aperto la strada. Annuncio pubblicitario

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Fare la cosa giusta

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Quando la povertà mostra il suo volto Per saperne di più su Monwara e la sua famiglia: www.farelacosagiusta.caritas.ch

Monwara Begum (40 anni) è fuggita dal cambiamento climatico


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 settembre 2017 • N. 36

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Società e Territorio

Boschetto, un paesaggio da riscoprire Valmaggia Nella piccola frazione di Cevio un vasto progetto ha salvato selve castanili, muretti, cappelle

e altre testimonianze del passato, fra cui spicca l’edificio del maestoso torchio piemontese del 1580 Elia Stampanoni Boschetto, caraa e carásc. Questo il titolo di un opuscolo turistico sulla frazione di Cevio, in Vallemaggia. Caraa sono dei percorsi racchiusi da muri di cinta, mentre carásc sono dei monoliti di gneiss che sostengono, o sostenevano, le pergole delle viti coltivate. Proprio questi due elementi sono ancora oggi una peculiarità della zona, situata sul lato destro del fiume Maggia. Muretti a secco, terrazzamenti e altri edifici resistiti all’abbandono sono tornati alla luce grazie a un progetto di recupero e valorizzazione coordinato dall’APAV (Associazione per la protezione del patrimonio artistico e architettonico di Valmaggia) con il sostegno della Fondazione svizzera per la tutela del paesaggio.

Si sta per festeggiare la fine dei lavori di riqualifica sostenuti dall’APAV I lavori sono quasi conclusi e il 30 settembre ci sarà l’inaugurazione ufficiale, proprio nel cuore della frazione che fino al 1830 circa era passaggio obbligato per risalire la valle. Prima dell’edificazione del ponte che attraversa oggi la Maggia in località Visletto, il viandante diretto a Cevio, o ancor più in su in Val Rovana, doveva infatti transitare da Boschetto utilizzando un servizio di traghetto. Oggi la strada carrozzabile è lontana e anche per questo Boschetto è rimasto una nicchia, in parte isolato, conservando tutte le sue tipicità, compresa la tranquillità. Il villaggio è un nucleo assai compatto nel quale le case d’abitazione e gli edifici si susseguono con spontanea casualità (stalle, fienili, essiccatoi per castagne, mulini, torchio,...). Solo sporadiche le ristrutturazioni e, tra il patrimonio del passato arrivato sino ai nostri giorni, c’è anche l’oratorio dedicato a Sant’Anto-

nio Abate, con il campanile a svettare. La dimensione dell’edificio, risalente al XVI secolo, e l’ampiezza del sagrato circostante testimoniano l’importanza di Boschetto che, fino al periodo della grande emigrazione oltre oceano, era abitato tutto l’anno da oltre un centinaio di persone. Popolazione che per sopravvivere attingeva alle risorse del territorio, tra cui sassi e pietre per le case, i muretti, le caraa o i carásc. Il bosco era sfruttato per il legname, mentre nella selva, oggi recuperata dopo anni d’abbandono, si raccoglievano le castagne, poi essiccate nei metati (le grà, di cui una restaurata grazie al progetto dell’APAV). Boschetto è poi circondato da un’ampia zona di campagna terrazzata adatta alla coltivazione di cereali e altri alimenti. La realizzazione del progetto Paesaggio Boschetto ha richiesto un investimento complessivo di poco inferiore ai 650mila franchi, importo coperto da donatori pubblici e privati, come ci conferma Luca Pagano, coordinatore dell’APAV: «Premetto che in origine il progetto era destinato alla salvaguardia dell’edificio del vecchio torchio a leva, il cui tetto era prossimo al cedimento. Si tratta di uno fra i più imponenti e importanti monumenti legati al mondo rurale tradizionale della Valmaggia. Grazie alle sinergie con il Comune di Cevio e con l’Ufficio forestale del 7° circondario è in seguito stato possibile definire un più ampio progetto, del quale potessero beneficiare tutti gli abitanti della regione e sicuramente anche le persone che sanno apprezzare l’importanza storica e paesaggistica del nostro territorio». Il nucleo di Boschetto, ricordiamo, è parte dell’Inventario federale degli insediamenti svizzeri da proteggere d’importanza nazionale (ISOS) ed è stato ora valorizzato grazie agli interventi prefissati dal progetto. Interventi possibili solo con il prezioso sostegno di alcuni finanziatori: «Oltre alla Fondazione svizzera per la tutela del paesaggio, lo sponsor principale, abbiamo avuto il

Nel corso dell’inverno sono stati ristrutturati un centinaio di metri di muri a secco. (Elia Stampanoni)

sostegno da parte del Comune di Cevio, Sezione Forestale, Fondo Svizzero del Paesaggio e Piattaforma Paesaggio, che raggruppa i vari Uffici cantonali competenti in materia», precisa Pagano. A livello pratico i lavori sono iniziati nel novembre del 2015 e termineranno nel corso di quest’anno con gli ultimi restauri degli affreschi delle cappelle. «Nell’inverno 2015-2016 è stato rifatto il tetto del torchio e si sono avviati i lavori di esbosco e di cura della selva castanile. Ad inizio 2016 è stata invece restaurata una grà e un apiario tradizionale. Verso la fine dell’inverno si è poi proceduto con la pulizia di alcune parcelle che si stavano rimboschendo, con l’obiettivo di recuperare prati da sfalcio e da pascolo. Nel corso dell’ultimo in-

verno sono infine stati ristrutturati un centinaio di metri di muri a secco crollati negli ultimi decenni di abbandono totale», precisa il coordinatore dell’APAV. Muretti che rappresentano solo una minima parte degli oltre 17 chilometri presenti nei dintorni del villaggio. Se le fatiche sul campo sono praticamente concluse, l’APAV si sta ancora impegnando a livello di divulgazione, come ci spiega Luca Pagano: «Sì, anche la parte didattico-divulgativa è importante e infatti è in fase di realizzazione (sarà pronto entro la fine dell’anno) un opuscolo su Boschetto e sul progetto di valorizzazione. Per quanto riguarda il torchio, invece, si è optato per la costruzione di un modello in scala dove si potrà scoprire il funzionamento di

questo ingegnoso e monumentale macchinario». Grazie al recupero, i secolari castagni risplendono oggi nella selva, gestita da un’azienda agricola di Cevio che, con tanto lavoro manuale, si preoccupa di mantenere questo stato anche nei prossimi anni. Si tratta di effettuare una pulizia regolare del sottobosco recuperando foglie, ricci e legname caduto al suolo. La cotica erbosa viene pascolata e falciata, premettendo alla selva di ritrovare la sua struttura originale dove, accanto alla produzione di castagne, è pure un territorio utile per il bestiame. A beneficiarne sono però anche i turisti o gli amanti della natura che in questo angolo di Valmaggia trovano un ambiente suggestivo.

L’imbarcadero di Paradiso

Archeologia industriale Costruito in stile Liberty nel 1889, è menzionato nell’Inventario dei beni culturali

d’importanza nazionale

Fino a metà Ottocento la popolazione del comune di Paradiso, allora denominato Calprino, è principalmente dedita all’agricoltura a cui si aggiunge la florida attività della bachicoltura con la produzione di bozzoli venduti alle filande della frazione «al Paradis» per la lavorazione della seta. Nel 1874 il collegamento ferroviario Lugano-Chiasso è determinante per lo sviluppo turistico nel golfo di Lugano. A Paradiso sorgono lussuose residenze e dimore di villeggiatura di famiglie benestanti che vi soggiornano beneficiando del clima mite e lo splendido paesaggio. L’avvento della Gotthardbahn nel 1882 favorisce il forte afflusso di viaggiatori avviando un processo di prospera espansione dell’industria alberghiera e dei trasporti. All’epoca, sulle rive non ancora arginate del golfo, barche e barconi vi approdano portando mercanzie d’ogni genere: pesci, grano, legna, sassi e altri materiali. A Paradiso i turisti che vogliono imbarcarsi vengono trasportati con barche fino al piroscafo che li invita a un entusiasmante viaggio di piacere sull’idilliaco lago blu. Nel 1888 la Società di Navigazione di Lugano SNL (fondata e in esercizio

dal 1848) che aveva costruito il primo debarcadero centrale nel 1868 in sostituzione del semplice approdo in legno, chiede al Municipio di Lugano l’autorizzazione di poter costruire un secondo pontile d’attracco verso Paradiso. Siccome la richiesta viene respinta, la SNL domanda all’allora Municipio di Calprino il permesso di costruire un debarcadero sul suo territorio comunale. L’autorità comunale, non solo dà il suo consenso, ma vi contribuisce con un finanziamento di 300 franchi. Nel novembre dello stesso anno, «il Municipio di Calprino e la Società di Navigazione firmano una Convenzione secondo la quale si assicura un regolare scalo al debarcadero di “Paradiso”, così denominato dal nome di una sua frazio-

ne al lago che cominciava a dare i primi segni di sviluppo turistico che doveva assumere negli anni successivi notevoli proporzioni». Ma la convenzione firmata viene ripetutamente infranta e già nell’aprile 1889 «l’albergatore Reichmann, d’accordo con tutti i privati che hanno contribuito alla costruzione del debarcadero per l’approdo dei battelli a vapore al Paradiso, fa istanza perché i battelli in discorso abbiano ad approdare regolarmente, e che il capitano non debba attenersi solo al segnale dell’uomo in servizio, alfine di evitare come già accadde del resto, che dei forastieri non abbiano a poter partire, sebbene arrivati in tempo». Siccome il debarcadero serve anche per lo scarico di merci e materiali si viene a creare

Laura Patocchi-Zweifel

Laura Patocchi-Zweifel

una situazione caotica e fastidiosa con inconvenienti di natura estetica e igienica causati da depositi spesso abusivi per nulla consoni a una zona alberghiera rinomata. Al fine di ovviare alla incresciosa situazione venutasi a creare in una zona frequentata dai turisti, su richiesta dell’albergatore e Municipale Reichmann, proprietario dell’omonimo Albergo a Calprino, nel 1905-1906 viene costruito nella piana di Codeborgo un nuovo sbarcatoio per le merci e materiali e il Municipio in accordo con la SNL approva la ristrutturazione e il prolungamento del debarcadero di Paradiso che risulta insufficiente per le nuove esigenze. Iniziano da subito i lavori di ripiena durati dal 1906 al 1911 per la posa del nuovo pontile rendendo necessaria la costruzione di un pontile provvisorio nell’attuale zona dell’«Acquaiola» di Mario Bernasconi. Il rinnovato debarcadero (lungo 22 m, largo 5,50) riprende la sua attività nell’estate 1910. Negli anni 1906-1908 la città di Lugano esegue l’arginatura e la costruzione dell’ultimo tratto del suo lungolago dal Belvedere al debarcadero di Paradiso. Da allora anche il comune di Paradiso procede a tappe per la costruzione del suo lungolago portato a termine nel 1956.

L’imbarcadero è considerato una testimonianza dello stile Liberty ed è menzionato nell’Inventario dei beni culturali d’importanza nazionale e regionale. Si tratta, in particolare, di una struttura portuale costruita nel 1889 e ristrutturata nel 1910. Al centro vi è una tettoia arcuata sostenuta da pilastri in ghisa e da un traliccio in ferro affiancata da due piccoli padiglioni, con finestre e porte riquadrate con semplici cornici. Inserito nella progettazione per la riqualifica della riva di Paradiso saranno ammessi interventi di manutenzione, riattazione, ristrutturazione e trasformazione, purché risultino compatibili con la valorizzazione delle volumetrie, preesistenti, originarie, e pur valutando le nuove esigenze da adeguare al nostro tempo. Bibliografia

Camenisch Yvonne, Il comune di Paradiso, Lugano, 1995. Silla Carlo, Il Comune di Paradiso e la sua gente e la parrocchia di S. Pietro Pambio, Lugano, 1997. Vanoni Antonio, Il lago di Lugano, Lugano-Pregassona, 1988. www.paradiso.ch/pdf/pubblicazioni/ opuscoloParadiso.pdf


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Società e Territorio Rubriche

Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni L’importanza del dubbio La tradizione popolare tedesca racconta di un uomo che, uscendo all’alba nel suo orto, cercò invano l’ascia che aveva appoggiato ad un albero. Mentre continuava la ricerca notò, con la coda dell’occhio, un movimento al di là della siepe che separava il suo orto da quello del vicino: si accostò a guardare e vide il vicino che si aggirava dietro la siepe con fare circospetto, e gli passò per la testa che fosse proprio lui ad avergli rubato l’ascia. Più volte, nel corso del giorno, tornò a spiare il vicino; e ne trasse la convinzione che quell’uomo si muoveva cautamente, guardandosi continuamente intorno, proprio come un ladro. Poi, verso sera, entrò casualmente nel granaio e con sorpresa vide l’ascia, e scoprì che sua moglie l’aveva semplicemente portata lì. Tornò allora ad osservare il vicino e vide che si muoveva e si comportava come qualsiasi uomo onesto. La storiella ha una morale: il sospetto

trasforma l’uomo e determina un verdetto. C’è parecchio di vero in questa conclusione. Di fatto, l’occhio con cui osserviamo e giudichiamo uomini ed eventi non è mai neutro. La vita, l’esperienza e la cultura depositano nella mente informazioni, convinzioni e pregiudizi: da queste fondamenta noi giudichiamo nuove situazioni e nuove conoscenze. Ogni giudizio, in fondo, tende a scaturire da un pre-giudizio. Tenere presente questa semplice verità contribuisce a liberare il pensiero e a dare per scontata la possibilità di un errore: cosa tanto più importante in un mondo dove l’informazione si moltiplica a dismisura e giunge a livelli tali da rendere sempre più difficile un giudizio obiettivo. La psicologia ha messo in luce una naturale tendenza selettiva: poniamo, ad esempio, che un uomo legga due giornali d’indirizzo politico opposto – uno di destra, l’altro di sinistra. La valutazione del fatto

riportato dai due giornali inclina verso un giudizio o verso quello opposto; ora, è assodato che l’uomo con una visione politica di destra tenderà a dare credito al giornale del quale condivide l’ideologia; e altrettanto farà quello con una convinzione politica opposta. Ciascuno, istintivamente, cerca sempre una conferma alle proprie convinzioni. Trovare un’interpretazione dei fatti conforme alle proprie idee rafforza la fiducia d’essere nel vero – che è quello che ciascuno naturalmente desidera. Si capisce, allora, sia il successo che i social networks riscontrano, sia i rischi che questo comporta per lo sviluppo di un pensiero obiettivo e, in particolare, per la partecipazione democratica. In Rete esistono siti che sostengono risolutamente qualsiasi tesi, sia ragionevole, sia assurda. Chi voglia cercare una visione conforme alla propria, di sicuro la trova: vi aderisce e si rafforza nella

convinzione di essere nel giusto. Ma, come sottolinea uno dei maggiori teorici contemporanei della democrazia, Robert Dahl, il requisito fondamentale del processo democratico consiste nella presenza di un’opinione pubblica ben informata, in grado di conoscere le principali alternative politiche e le loro probabili conseguenze, e quindi al riparo da condizionamenti strumentali. La Rete, appunto, può essere una macchina perfetta per strumentalizzare le opinioni. E però è anche uno strumento bifronte: può produrre opinioni irragionevoli, ma è pur sempre un sistema costituzionalmente aperto, dove ciascuno può sostenere le sue tesi e avviare campagne e promuovere iniziative per opportuni cambiamenti politici. Ciascuno, premendo un pulsante, può rendere nota in tempo reale la sua valutazione di un problema, suggerire correttivi, cercare adesioni: in pratica, è come se si istituisse un re-

ferendum perenne capace di conferire alla macchina democratica una spinta ulteriore. La partecipazione diretta alla vita pubblica è fondamentale per una democrazia che sia davvero tale: la Rete consente una comunicazione diretta e costante con i politici ed è una fonte di consultazione popolare che costituisce ormai una sorta di «quinto potere», una forza in grado di modificare le procedure della vita politica, di mettere in discussione i vecchi canoni, di creare nuove e significative occasioni di libertà. E però questa nuova e formidabile assemblea democratica dovrebbe, per esercitare correttamente il suo potere, soffermarsi a pensare: il che vuol dire non basarsi solo sui pregiudizi, ma metterli in discussione, verificarli o anche tentare di smentirli; fino a scoprire, magari, come nella storiella tedesca, che il presunto ladro è un uomo onesto.

tolo in peluche. Viene naturale lavarsi la faccia e bere ancora a piene mani. Non ci vuole l’incrollabile fede degli induisti che bevono l’acqua del Gange, per capire che faccia bene, quest’acqua. Mi siedo su una delle sei panchine di legno verde marcio. Seduto, aspetto le mie prede. Tempo cinque minuti e un signore si abbevera, riempie la borraccia e sparisce tra gli alberi. Sette sentieri portano qui, eccone un altro. Arrivato alle mie spalle in bicicletta supermoderna, un giovane sveglio che non sembra avere grilli per la testa. Beve diretto dalla fontana, sul fianco sinistro. Poi si sposta a destra e tracanna da lì. Si lava i gomiti, la faccia, infine giunge le mani in preghiera. Il pensiero corre veloce al Trattato di storia delle religioni (1972) di Mircea Eliade: «Il culto delle acque dimostra un’impressionante continuità. Nessuna rivoluzione religiosa ha potuto abolirlo». Gli chiedo se viene qui ogni giorno. «Più volte al giorno, è una fonte di super energia» mi risponde sorridente e sereno. In un’ora

e un quarto pesco diciassette seguaci dell’acqua rigenerante boschiva. Bevo ancora direttamente, un sassolino di tufo dalla curiosa forma piramidale appoggiato sopra lo sbocco prima non c’era. Riempio una bottiglia da un litro e m’incammino senza meta tra i cinguettii. Incredibile che proprio qui, all’altezza della fontana di vetro, sfrecciavano i bolidi della formula uno: il Grand Prix di Bremgarten che ha avuto come ultimo vincitore Juan Manuel Fangio il ventidue agosto 1954. Secondo un reportage recente della «NZZ» ora qui si aggirano ex hippie diventati una colonia di Homo selvaticus. Ma sarebbe anche ora di rivelare la mia idea fissa da quando ho incominciato a indagare su questo luogo: la bara di vetro nel bosco dove giace Biancaneve. Innevata in eterno, da una panchina del parchetto Kleine Schanze, tra non molto, come sempre quando sono a Berna, non rimane dunque che perdersi a guardare in lontananza, la fiabesca Jungfrau.

schi ritratti, scolpiti nel granito sulla Rushmore Mountain, nel sud Dakota, possano diventare un obiettivo per gli iconoclasti. Intanto quest’ondata di giustizialismo a posteriori ha colpito persino Cristoforo Colombo, di cui si è rovesciato il simbolo: non impersona più lo spirito di avventura e di scoperta, a cui dobbiamo la conoscenza del mondo, bensì la crudele aggressività del conquistatore e persecutore di stampo razzista. Ne stanno subendo le conseguenze le sue raffigurazioni: statue e dipinti che, dalle piazze, dai parchi, dai musei, finiscono nei solai. Tutto ciò con pretesti lodevoli, cioè schierarsi dalla parte delle vittime, ma con effetti sconcertanti. Si scompagina, così, il corso della storia, si alterano le fisionomie di personaggi che erano quel che le epoche imponevano di essere. Si sta, insomma, assistendo a una forma egoistica di riadattamento di eventi e personaggi ai nostri gusti di contemporanei.

Si tratta, evidentemente, di un fenomeno, o moda, che ha toccato vertici paradossali in USA. In alcune università, gruppi femministi hanno espresso il loro disappunto nei confronti di un insegnamento filosofico, incentrato su «uomini tutti bianchi»: citando Platone, Cartesio, Kant, Hegel. Il contagio, comunque, si diffonde. A Oxford, la statua di Cecil Rhodes, antico benefattore dell’università, è stata rimossa perché a lui era intitolata la Rhodesia, già simbolo di colonialismo. Mentre al King’s College, i ritratti dei padri fondatori dell’istituto sono stati tolti da una parete, trasformata in «Muro delle diversità». E che sarà mai. In Svizzera, dov’è di casa la moderazione, più che di iconoclastia si deve parlare di ironia nei confronti dei miti nazionali. Max Frisch si era concesso il lusso di smitizzare il nostro eroe più leggendario, con il libro-pamphlet Guglielmo Tell per le scuole. Fu accolto elveticamente: con umori contrastanti.

A due passi di Oliver Scharpf La fontana di vetro nel Bremgartenwald In mezzo a un bosco di Berna c’è una fontana creduta miracolosa già dai celti, certi credono persino che l’acqua provenga dalla Jungfrau. Questa suggestiva provenienza viene sfatata dal laboratorio chimico cantonale: l’acqua in questione non cambia da quella del rubinetto del vicino quartiere della Länggasse. Eppure, ogni giorno, diversi bernesi vanno lì ad abbeverarsi e riempire le bottiglie da portare a casa. Dalla stazione imbocco la Länggassstrasse. È una bella mattina di fine estate e la cosa migliore è farsela tutta a piedi. All’incrocio con la Bremgartenstrasse, un cartello indica Glasbrunnen. La fontana di vetro, a venti minuti da qui, nel cuore del Bremgartenwald, in realtà è di vetro solo nel nome. Entro nel bosco e m’incammino a cuor leggero lungo un ampio sentiero. Nei pressi del brusìo in loop dell’A1, sorprendono tre caprioli dal manto rossiccio. Il nome, per alcuni, deriva dalla trasparenza vitrea dell’acqua. La raccontastorie Andrea Hofman ipotizza invece, in un articolo

uscito l’estate scorsa sulla «Berner Zeitung», un nesso con una leggenda e con i gioielli di vetro – blu, giallo, carminio – ritrovati in alcune tombe celtiche non lontane. Un bosco poliziesco un po’ da Derrick questo Bremgartenwald, diverse strade ciclabili, molto jogging, quelli con il cane non mancano. Nella leggenda contenuta nella raccolta Kinder und Hausmärchen der Schweiz (1869) di Otto Sutermeister, è per desiderio di una bella vergine molto capricciosa e corteggiata che spunta – grazie all’incantesimo di una fata del Bremgartenwald e madre di un suo spasimante – «la fontana di pietre preziose blu, giallo, carminio». Perciò, visto che per i celti il vetro era considerato pietra preziosa, l’autrice dell’articolo citata prima, intrecciando la leggenda della fontana e i ritrovamenti tombali scintillanti, immagina attraverso questi due indizi combacianti, l’origine del nome. Tra l’altro in tedesco vergine si dice Jungfrau, ecco forse da dove viene la credenza a proposito dell’improbabi-

le percorso dell’acqua dalla montagna omonima. Un’altra credenza spiega la venerazione per questa fontana: giù in fondo c’è l’anima di tutti i bernesi morti, viventi, e futuri. Ci siamo, a un crocevia di tre strade si riconosce lo scroscio. Sullo spazio bianco bullonato al palo, al centro di uno dei tre cartelli gialli con su dieci destinazioni, la scritta Glasbrunnen e sotto: 548 m. Scendo in una radura. La vasca è in pietra, il corpo da dove sgorga possente l’acqua sembra un masso erratico o un menhir. L’acqua è trasparente; sul fondo, tanti sassolini offerti. Lo sbocco da cui escono centodieci litri d’acqua al minuto è una fessura di ferro arrugginito simile alla bocca di un pescegatto. Una tubatura recisa e schiacciata che ha il suo fascino. Bevo con le mani a coppa: altro che acqua del rubinetto. La freschezza è impareggiabile, l’inspiegabile purezza indubbia all’istante, di certo è ottima. Sopra il tubo conficcato nel menhir ci sono mazzolini di fiori votivi tra i quali cardi mariani, more, un mostriciat-

Mode e modi di Luciana Caglio Monumenti di ieri, malumori di oggi Si è tornati a parlare, nei giorni scorsi, di «iconoclasti», anzi di «nuovi iconoclasti», la precisazione è d’obbligo. Quella parola, infatti, sembrava collegata, per così dire esclusivamente, a episodi di tragica violenza, avvenuti in Medio Oriente, e dai quali s’inten-

La statua di Cristoforo Colombo al centro di Columbus Circle a New York.

deva prendere le distanze. Nel 2001, esempio ormai storico, la furia iconoclasta dei Talebani si era abbattuta sui Buddha di Bamiyan, nel 2015, l’ISIS aveva preso di mira le preziose vestigia di Palmira. E, si rimane sempre in zona, citando casi di iconoclastia prettamente politica: come fu la demolizione della statua di Saddam Hussein, a Baghdad, nel 2003. Una sorte che, del resto, era spettata, dopo il 1989, alle tante effigie di Lenin e di Stalin, collocate nelle piazze e nei musei dell’URSS e dei paesi satelliti. In questi episodi, il gesto, in sé violento, di abbattere un monumento o sfregiare un ritratto, aveva chiare motivazioni d’ordine ideologico e morale: era il grido dell’oppresso che si liberava dall’oppressore. Esisteva, insomma, un nesso ben visibile fra causa ed effetto. Qualcosa che, invece, è andato perso, strada facendo, mentre l’ondata delle proteste piazzaiole e del revisionismo storico si diffondeva in Europa e negli Stati Uniti, come dire alle radici stesse

della democrazia. Proprio, su questo terreno, per definizione tollerante, ci si trova alle prese con la generazione, campione d’intolleranza, dei nuovi iconoclasti, nel senso completo del termine: militanti, impegnati a combattere sia con le teorie, per altro vaghe, sia con i fatti, invece concreti: colpi di piccone, lanci di pietre, colate di vernici, contro obiettivi inattesi e innocenti. Tanto che diventa difficile decifrare gli obiettivi di simili manifestazioni. Più che contro un nemico preciso, di cui colpire la rappresentazione in marmo, bronzo o su tela, ci si oppone a quel che quel personaggio appare, attraverso la lente e la sensibilità attuali. Quest’equivoco è ormai un metro di valutazione sempre più diffuso negli USA, e applicato persino ai padri fondatori della democrazia, Gorge Washington, Abraham Lincoln, Thomas Jefferson, Theodore Roosevelt. Tutti, adesso, sotto accusa perché possedevano schiavi, com’era in uso al loro tempo. E, quindi, si teme che persino i loro gigante-


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 settembre 2017 • N. 36

15

Ambiente e Benessere «Run, hide, tell» Oggi i turisti sono un bersaglio privilegiato del terrorismo, eppure si può ancora viaggiare

Non è un parco giochi Sono ben sei gli ecotopi ubicati nella zona alpina tra Lucomagno e San Bernardino pagina 19

pagina 17

Ricca insalata di fagiolini Con fagiolini verdi e gialli, prevede anche fettine di salsiccia secca, fichi e pane

Il bene che fa la betulla Una pianta ricca di proprietà medicinali diuretiche, antisettiche e antinfiammatorie pagina 21

pagina 20

La miglior cura preventiva contro il reumatismo è il movimento. (Andersen Air Force Base )

Quando l’anca fa male

Salute La Lega svizzera contro il reumatismo accende i riflettori sui dolori all’anca Maria Grazia Buletti «Riconoscere e trattare i dolori all’anca» è il titolo del tema scelto quest’anno dalla Lega svizzera contro il reumatismo nell’ambito della Settimana di giornate pubbliche della salute che si terranno in tutta la Svizzera tra l’11 e il 15 settembre. Il tema è ripreso dall’omonima Lega ticinese che lo svilupperà venerdì 15 settembre all’Espo Centro di Bellinzona. «La partecipazione alla giornata è gratuita e aperta a tutti» spiega la consulente per la comunicazione della Lega ticinese contro il reumatismo, Lorenza Hofmann, che anticipa la presenza di relatori esperti nel loro campo, a disposizione per dare informazioni sulle diverse possibilità di trattamento della coxalgia. «Si apprenderà come si sviluppa il dolore e cosa si può fare per contrastarlo: alcuni specialisti in reumatologia parleranno dei metodi di trattamento conservativi in presenza di dolore, mentre esperti di chirurgia informeranno sugli interventi all’anca, nonché sui rischi e sulle possibilità di un intervento di sostituzione dell’articolazione in questione» riassume Hofmann senza tralasciare di sottolineare lo spazio dedicato al movimento: «I nostri fisioterapisti vi faranno muovere e

vi mostreranno in modo pratico come rafforzare e mantenere mobili le vostre anche». La grande valenza del tema scelto quest’anno dalla Lega svizzera ci è confermata dal presidente dell’omonimo sodalizio ticinese, il reumatologo dottor Nicola Keller, che ne sottolinea la grande importanza: «Si pensi che l’anca è l’articolazione in assoluto più operata (ndr: statisticamente è la più sottoposta a protesi, davanti al ginocchio) e le sue problematiche si presentano in modo assai frequente: pensiamo anche solo all’invecchiamento della popolazione e alle artrosi che accompagnano la terza età». Lo specialista traccia il profilo del paziente con dolori all’anca che si rivolge al medico: «È generalmente anziano (dai 60-65 anni in su), fatica sempre di più a camminare, magari non si veste in modo autonomo a causa dei dolori che limitano i suoi movimenti, ad esempio nel flettersi a mettersi le calze», e descrive il dolore tipico che la persona prova come «un male che dalla regione inguinale irradia nella coscia, anteriormente, fino al ginocchio». Per semplificare, possiamo dire che l’anca articola la gamba al bacino: «È un’articolazione sferoidale semplice composta da due elementi ossei, acetabolo (dalla forma concava) e testa

del femore che con la sua forma sferica si articola all’acetabolo, interfacciati da un rivestimento cartilagineo. Tutta l’articolazione è avvolta da una resistente capsula articolare e un robusto rivestimento muscolare». Infine: «Davanti e dietro l’articolazione dell’anca passano importanti nervi, mentre i vasi sanguigni che irrorano le gambe attraversano il lato anteriore articolare». La realtà dei dolori all’anca è di fatto più complessa di quanto si possa pensare e queste patologie sono diverse e possono manifestarsi in modo molto variato, come ci spiega il reumatologo che le suddivide in tre grandi gruppi, secondo la loro origine o causa: «Abbiamo la Coxalgia articolare che include la coxartrosi, l’artrite (infiammazione) dell’articolazione dell’anca, la necrosi della testa del femore, e così via. Poi parliamo di Coxalgia periarticolare (molto più frequente della prima) quando il dolore origina nelle parti molli (fasce, muscoli, tendini, legamenti, borse sinoviali) che per l’appunto si trovano attorno (peri) all’articolazione (articolare). Questa patologia interessa spesso il lato esterno dell’anca e ne causa una limitazione della mobilità. Infine, possiamo citare la Coxalgia radiante che si presenta quando i dolori all’anca non derivano né dall’articolazione stessa, né dalle parti molli cir-

costanti, ma la loro causa è localizzata nella colonna lombare, nell’articolazione sacroiliaca o nel ginocchio, irradiandosi poi all’anca». Dal quadro che il nostro interlocutore ci ha presentato, possiamo dunque desumere che la diagnosi è fondamentale per intraprendere le cure adeguate al caso singolo: «La diagnosi sarà posta sulla base di una visita clinica (ascolto del paziente e dei suoi disturbi, esame clinico che permetta di valutare la mobilità dell’anca e i dolori) e della radiologia convenzionale che, se non sufficiente a comprendere la natura del problema, sarà completata da indagini supplementari più approfondite come la risonanza magnetica (ad esempio se i dolori sono dovuti a un’osteonecrosi della testa femorale, sarà solo la risonanza magnetica che in fase precoce ci consentirà di porre la diagnosi corretta)». Ciò significa che la visita del reumatologo permette di inquadrare bene la situazione patologica e scegliere di conseguenza la via terapeutica più adeguata: «È chiaro che la terapia conservativa sarà prediletta laddove sarà possibile agire in tal modo, ma possiamo tranquillamente dire che oggi l’intervento di protesi all’anca, se necessario, è un intervento che dà ottima prognosi sia con l’eliminazione del dolore che con la capacità di una buona ripresa

della funzionalità dell’anca, con il paziente che potrà riprendere tutte le sue attività come camminare, sciare con cognizione, un’attività sportiva moderata, riacquisendo una buona qualità di vita in tempi rapidi dell’ordine di qualche settimana». Ça va sans dire, il dottor Keller evidenzia l’importanza del movimento come «cura preventiva»: «La cartilagine dell’articolazione non è vascolarizzata e un movimento adeguato e costante, con una sollecitazione sempre adeguata, permette di mantenerla il più possibile sana. Ciò vale per tutte le forme di artrosi, senza dimenticare che un sano movimento mantiene una buona tonicità muscolare e garantisce perciò una corretta funzionalità articolare». Alla giornata ticinese del 15 settembre dedicata ai dolori all’anca e a come farvi fronte, saranno affrontati anche i temi del movimento adeguato, con la presenza di fisioterapisti che permetteranno di metterli in pratica. Infine, sarà presentato in anteprima l’opuscolo «L’anca muove» (per comprenderlo non è necessaria una formazione medica) che spiega in forma concisa e comprensibile come originano i dolori all’anca, i provvedimenti da intraprendere e le modalità di trattamento da parte di medici, chirurghi e


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 settembre 2017 • N. 36

17

Ambiente e Benessere

La ragione e il sentimento Viaggiatori d’Occidente Il viaggio al tempo del terrorismo

Scrittura Un

laboratorio con Scuola Club Migros Ticino

Claudio Visentin Addio, mondo crudele. In aprile uno studio sul comportamento turistico della popolazione, realizzato dall’istituto di ricerca bernese GfS su incarico del Touring Club Svizzero, diede indicazioni ben chiare. I viaggiatori intendevano trascorrere l’estate 2017 in patria o nei vicini Paesi europei: Germania, Austria, Italia, Francia, Spagna o Portogallo; di Turchia, Egitto o Emirati Arabi neanche parlarne. La principale motivazione di queste scelte (60 per cento degli intervistati) era la paura del terrorismo e la mancanza di sicurezza. La realtà ha confermato queste previsioni e anche i risultati positivi del turismo ticinese in fondo ne sono la prova. I Paesi della sponda sud del Mediterraneo – la Tunisia, per esempio – sono stati completamente abbandonati dai turisti. Per due anni dopo la strage di Susa (dove trenta dei trentotto morti erano inglesi) il Foreign Office britannico ha mantenuto la Tunisia nella lista nera dei Paesi dei quali è sconsigliata la visita. Solo a inizio agosto le restrizioni sono state attenuate e grandi Tour Operator, come Thomas Cook, hanno annunciato il loro graduale ritorno per la prossima primavera. Queste indicazioni (warning) dei Ministeri degli esteri hanno effetti terribilmente concreti – il calo delle presenze inglesi in Tunisia è stato del 90 per cento – anche per ragioni di mancata copertura assicurativa in caso di incidenti. Ma chi ha scelto comunque di andare ha trovato buoni servizi, pochissimi turisti, prezzi stracciati, condizioni di sicurezza aumentate dopo i precedenti attentati; dando così ragione anche a quei governi – Germania, Belgio e Francia – che non hanno adottato provvedimenti nei confronti della Tunisia (simile la linea del nostro Dipar-

Riprende il Quiz Hotelplan Da questa settimana è online sul sito di «Azione» Le vacanze sono finite ma non sono finite le occasioni per vincere un buono di Hotelplan da usare per i prossimi viaggi. Da oggi infatti sulla pagina dei concorsi del sito web di «Azione» (www.azione.ch/concorsi) riprendono gli appuntamenti settimanali con il «Quiz Hotelplan». In palio buoni sconto da 100 franchi da usare in occasione delle vostre prossime prenotazioni.

Quel che resta di un viaggio

Una coppia di turisti si fa un selfie davanti alla cattedrale di Notre Dame a Parigi, presidiata dai soldati francesi. (Keystone)

timento federale degli affari esteri: «Il DFAE ritiene che non vi sia motivo per sconsigliare in generale i viaggi in zone a rischio attentati. Una tale misura sarebbe sproporzionata… e non farebbe che fomentare l’insicurezza e la paura»). Questo non significa naturalmente che si debbano prendere alla leggera tali avvertimenti, ma solo ricordare il loro carattere indicativo e quanto il terrorismo contemporaneo sia per sua natura poco prevedibile. E tutti gli altri, i più, che hanno invece preso sul serio gli avvertimenti? Dopo l’attacco terroristico a Barcellona, una delle più popolari destinazioni in Europa, può sembrare sin troppo facile e quasi impietoso sottolineare l’errore di chi ha scelto la «sicurezza». Ma qui vogliamo fare un ragionamento più ampio, anche perché la questione rimarrà d’attualità per i prossimi anni: Rob Wainwright, capo di Europol, ha chiaramente spiegato che la minaccia di attacchi terroristici nei luoghi di vacanza non è mai stata così elevata negli ultimi decenni. Se un tempo i turisti erano lasciati fuori dagli scontri, oggi sono un bersaglio privilegiato. Filmati su YouTube suggeriscono come comportarsi in caso di attacco («Run, hide, tell»: scappa, nasconditi e solo quando sei al sicuro chiama la polizia). Neppure restare a casa però può essere la soluzione, quantomeno per

chi vive in una grande città. Infatti quella che per noi è «casa», per altri è una destinazione turistica. Inoltre come hanno sottolineato diversi studi (per esempio del politologo francese Olivier Roy) i terroristi sono spesso immigrati di seconda generazione, saldamente insediati in Occidente. Meglio allora controllare la paura e scegliere sulla base della ragione. Per cominciare i terroristi applicano una strategia mediatica: non vogliono solo uccidere gli «infedeli», vogliono dare alle loro azioni la massima visibilità e quindi scelgono luoghi centrali, famosi, come appunto le rambla di Barcellona. E anche se molti turisti si sono spaventati per gli attacchi in Egitto o in Tunisia, ormai di qualche tempo fa, è bene ricordare che la geografia del terrore parla di New York e Londra, Bruxelles e Parigi, Berlino e Manchester, Madrid e Barcellona, Stoccolma e Turku… Che fare? Evitare per qualche tempo i luoghi turistici più famosi (per esempio la Torre di Pisa o Piazza San Pietro a Roma) potrebbe bastare per ridurre di molto il rischio. Anche le concentrazioni di turisti possono costituire un bersaglio allettante, siano esse una grande nave da crociera, un villaggio vacanza o un gruppo particolarmente numeroso. Va anche detto peraltro che quasi sempre questi luoghi sono ben protetti, anche se a volte con

discrezione, come nel caso delle navi da crociera; nel dubbio, prima di rinunciare, informatevi sulle misure di sicurezza adottate. Di certo, anche in una situazione tanto difficile, io non rinuncerei a viaggi all’estero, anche in Paesi di cultura e religione islamica. In primo luogo gli abitanti di quei Paesi non sono nostri nemici, anzi sono spesso a loro volta vittime del terrorismo; abitate nelle loro case, frequentateli, stabilite un dialogo e saranno proprio loro a dirvi quali luoghi o persone evitare, se necessario. C’è poi una seconda considerazione. Nei Paesi della sponda sud del Mediterraneo, in mancanza di altre attività, l’importanza economica del turismo è maggiore. L’attuale interruzione dei flussi turistici vuol dire disoccupazione, povertà e quindi disperazione, aumento dell’emigrazione clandestina, rischio di influenze da parte degli estremisti… Nel medio periodo la paura di viaggiare potrebbe alimentare proprio quel terrorismo dal quale fuggiamo. Al contrario, l’esperienza diretta evita quelle rischiose amplificazioni e contrapposizioni alle quali è esposto chi conosce il mondo solo attraverso i media. Anche in passato del resto non sono mancati momenti difficili, ma i viaggiatori hanno sempre scelto di non rinunciare alla bellezza del mondo. Così sia anche per noi.

dopo – K) L’unico numero intero N, maggiore di 1, per cui N = N! – L) Il prodotto di due numeri interi, la cui

somma è uguale a 52 e la cui differenza è uguale a 42 .

I biglietti degli aerei, la guida turistica un po’ sgualcita agli angoli, la memoria dello smartphone piena di fotografie… È quel che rimane dei nostri viaggi dell’estate. Perché non provare a fare ordine, a trasformare questi ricordi e queste emozioni in un racconto ordinato, piacevole e coinvolgente per chi lo ascolta? Per chi vuole mettersi alla prova, niente di meglio della nuova edizione del laboratorio dedicato all’arte di viaggiare, proposto da Scuola Club Migros Lugano in collaborazione con «Azione». Non una serie di regole, da applicare meccanicamente, ma piuttosto una riflessione per imparare a cogliere la bellezza del mondo, utile anche per viaggi futuri. L’insegnante sarà Claudio Visentin, curatore della nostra rubrica «Viaggiatori d’Occidente» che, settimana dopo settimana, propone riflessioni e spunti per viaggiare in modo più creativo. Il laboratorio inizierà spiegando come progettare un viaggio interessante, come prendere appunti strada facendo, come rielaborare quanto visto dopo il ritorno a casa. In seguito approfondiremo la scrittura di viaggio nelle sue diverse forme, dal racconto al reportage, alternando testo e immagini, anche con alcuni divertenti esercizi. Il laboratorio è aperto a tutti: sono benvenuti i principianti al pari di chi ha già qualche esperienza di scrittura. Informazioni

Il laboratorio si svolgerà sabato 30 settembre 2017, ore 9.00-12.00 e 13.0016.00, presso la Scuola Club Migros Lugano, via Pretorio 15. Il costo dell’iscrizione è di Fr. 144.– (con uno sconto del 10% a chi porterà o citerà «Azione» al momento dell’iscrizione); inoltre ogni partecipante riceverà il taccuino della Scuola Club Migros. Il corso è a numero chiuso (massimo 12 partecipanti, in ordine d’iscrizione sino a esaurimento dei posti disponibili). È possibile iscriversi presso la segreteria della Scuola Club Migros Lugano per telefono (091 821 71 50), via posta elettronica (scuolaclub.lugano@migrosticino.ch) o direttamente sul sito internet www.scuola-club.ch

Crucinumeri

Giochi di parole È difficile ma non impossibile

È possibile ribaltare la classica struttura dei cruciverba, proponendo uno schema nel quale bisogna inserire dei numeri (e non delle parole) e le cui caselle sono individuate da letterine (e non da numeretti). Provate a cimentarvi con il seguente esempio alquanto impegnativo, reperendo eventualmente sul Web alcune informazioni necessarie. Nota – In ogni casella va posta una sola cifra e vengono definiti anche i numeri composti da una sola cifra. Orizzontali

A) Il più piccolo quadrato perfetto

che può essere ottenuto come differenza di due cubi perfetti consecutivi – D) Il più piccolo numero primo che è anche triangolare – E) Il più piccolo cubo perfetto, uguale alla somma di quattro cubi perfetti consecutivi – G) Il numero (scritto in lettere) che bisogna inserire al posto della X, nella frase seguente: «In questa definizione sono contenute proprio X lettere», perché la relativa affermazione risulti vera – H) L’unico numero primo, uguale alla somma di quattro numeri primi consecutivi – I) L’anno di nascita di Marco che, se fosse nato 8 anni prima, oggi avrebbe un’età doppia di quella che avrebbe avuto, se fosse nato 8 anni

Verticali

A) Precede il primo numero primo – B) L’unico quadrato perfetto di quattro cifre significative, il cui valore rimane invariato, se viene rovesciato il foglio sul quale è scritto – C) La quantità complessiva delle lettere che sono state inserite in questa frase con encomiabile precisione – D) Il secondo numero primo (dopo 127) che supera esattamente di 14 unità il numero primo immediatamente precedente – F) Il principio numerico naturale – G) Il più piccolo cubo perfetto, la somma delle cui cifre è uguale alla propria ra-

dice cubica – J) L’ottavo numero pentagonale – M) La quantità di poliedri regolari.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 settembre 2017 • N. 36

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Ambiente e Benessere

Una natura complessa e molto preziosa

Biodiversità Dal Lucomagno al San Bernardino, zone di grande pregio ambientale e naturalistico L’altipiano della Greina. (Ariocarpusandroides)

Alessandro Focarile «Se la tendenza dovesse mantenersi incontrastata, il futuro è la Disneyworld delle Alpi: potentissimi impianti trasportano il turista in quota, dove potrà marciare in fila indiana lungo itinerari predisposti posando lo sguardo su boschi e vette dall’accesso vietato» (Le Alpi, Club Alpino Svizzero 2016). Dalle porte di Nizza a quelle di Vienna, le Alpi si estendono lungo 1200 chilometri. È la più importante catena montuosa dell’Europa geografica (che comprende anche il Caucaso e gli Urali). Dai primordi dell’occupazione umana, e cioè 8000 anni da oggi, ha sempre costituito un ostacolo e, nello stesso tempo, un luogo di passaggio per popolazioni che cercavano il calore verso il Mediterraneo – da Nord verso Sud – e il tramonto del sole verso l’Atlantico, da Est a Ovest. A livello mondiale, nessun altro sistema montuoso ha conosciuto nel corso del tempo (e conosce) una così intensa e capillare presenza umana. Durante un breve periodo di neppure 130 anni, l’uomo ha realizzato la costruzione di 18 tunnel internazionali ferroviari e autostradali, e ha organizzato 11 parchi nazionali nei territori di sei Paesi alpini a salvaguardia dell’ambiente e dei suoi contenuti naturalistici. Le Alpi Lepontine, che si estendono tra il passo del Sempione (2005 metri) e quello dello Spluga (2115 metri), sono un settore della catena alpina tra le Alpi occidentali e quelle orientali. I bacini imbriferi che vi sono compresi alimentano ben tre mari: quello del Nord, il Mar Nero, e il Mediterraneo, attraverso il Reno, il Danubio, il Rodano e il Po. Si tratta di un cruciale nodo idrografico a livello europeo. È inoltre un territorio-cerniera dal punto di vista strutturale e naturalistico. A livello alpino, le Lepontine sono costituite dai più importanti affioramenti di gneiss

e graniti, con la presenza più o meno cospicua di rocce carbonatiche (calcari, dolomie, calcescisti). Questa varietà litologica è all’origine di suoli che generano (come corollario) una flora diversificata. Nell’ambito di questo settore si configura una zona che ci riguarda più da vicino, e precisamente quella tra il passo del Lucomagno (1905 metri) e quello del San Bernardino (2116 metri), e che doveva essere compresa nella proposta area del Parco dell’Adula. Durante i passati decenni era stata proposta qualche iniziativa turistico imprenditoriale. Se realizzata, avrebbe sconvolto tre zone di grande pregio ambientale e naturalistico. Precisamente la creazione di un centro di sport invernali a Dötra nel comune di Olivone (alta Valle Blenio), con la costruzione di infrastrutture e impianti di risalita, sbancamenti di terreni, manomissione della copertura arborea e manomissione del reticolo idrico in un settore interessato da fenomeni carsici. La costruzione di un invaso per scopi idro-elettrici, che prevedeva la distruzione dell’altipiano della Greina, l’unico esempio di tundra nelle Alpi ticinesi. Infine, la costruzione di un altro invaso in alta Valle Curciusa. Questa valle, pur trovandosi idrograficamente nel bacino del fiume Reno (a settentrione), per una centenaria storia di proprietà di pascoli, appartiene amministrativamente al comune di Mesocco a sud.

Parnassius phoebus. (Lionel Higgins)

Una energica e documentata azione di protesta, ha fatto sì che questi tre progetti non fossero attuati. Anche con il favore di mutate situazioni ambientali ed economiche: la progressiva diminuzione delle precipitazioni nevose nel corso degli ultimi trent’anni e le mutate situazioni economiche a seguito della liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica hanno reso improponibile la costruzione di nuovi invasi nelle superstiti aree geografiche disponibili in questo settore alpino.

Molti i pregi naturalistici che danno valore e significato al paesaggio e all'ambiente di questo territorio Dalle formazioni boschive di bassa e media quota nella Mesolcina e in Valle di Blenio si può costruire un profilo forestale completo fino ai conifereti a 2000 metri, con tre specie di pino, compreso il cembro, i larici e gli abeti rossi (Picea abies). II contatto tra rocce basiche (calcareo-dolomitiche) e quelle acide (gneiss) è all’origine di una flora molto ricca e significativa, in quanto coinvolge le caratteristiche ecologiche di entrambe le formazioni vegetali. Un esempio: la contigua presenza dei due rododendri hirsutum e ferrugineum, le rose delle Alpi nell’alta Valle Blenio. Nell’area centrale, che era stata proposta per il Parc Adula, erano stati analizzati i pregi naturalistici e di conseguenza il valore e il significato del territorio dal punto di vista paesaggistico. Tra le unità ambientali (ecotopi) considerate di elevato significato naturalistico ne vanno ricordate sei. Il primo ecotopo è caratterizzato dai querceti con rovere al bosco della Motela in alta Mesolcina e dai boschi

di tigli (una rarità) ad Est di Mesocco. La presenza del maggiociondolo (Laburnum) alle soglie della catena alpina, estrema penetrazione verso nord di questo albero peculiare del clima insubrico, mite e umido (termofilo). Il secondo ecotopo è dato dalle selve di pino cembro nella zona del Lucomagno, fino a 2000 metri. Ultime vestigia di un popolamento continuo che ricopriva superfici di migliaia di ettari, come è stato documentato grazie alle analisi dei pollini in bacini torbosi dalle Alpi Marittime alla Slovenia, su un’estensione di oltre mille chilometri. Terzo, le torbiere particolarmente diffuse nella zona tra San Bernardino villaggio e il passo omonimo. In quest’ultimo settore vi sono decine di bacini di tutte le dimensioni, popolati da una flora e da una fauna entomologica del tutto peculiari. Inoltre altrettanto cospicuo è il paesaggio delle torbiere tra Campra e il Piano Signano (Valle Blenio). Tutti singolari e didattici esempi di ambienti boreali nel cuore delle Alpi. Le più estese torbiere del Cantone Ticino sono ubicate nell’alta Valle Malvaglia (Alpe Quarnei), e nell’altipiano del Motterascio, confinante con la celebre Greina. Al Motterascio è stata scoperta la singolare fioritura di alghe (Tovelia sanuinea) che conferiscono un colore rosso sangue alle acque stagnanti della torbiera. Quarto, i vistosi esempi di quelle particolarità morfologiche legate al tardo glacialismo, e cioè i rock-glaciers, i ghiacciai attualmente sotterranei, sui quali galleggiano coltri di detriti rocciosi in lento defluire verso il basso per gravità (zona del Simano, in Valle Blenio). Quinto ecotopo, le numerose e vistose testimonianze del glacialismo: rocce montonate e lisciate dall’esarazione, cuscinetti di soliflusso originati dalla permanente azione del gelo e del disgelo che ne provoca il sollevamen-

to sul terreno circostante, i suoli poligonali con simile origine, cordoni morenici con differenti stadi di colonizzazione vegetale. Tutti esempi di paesaggi plasmati dai ghiacciai e che meriterebbero, ciascuno, un’adeguata illustrazione. Sesto e ultimo ecotopo, lo straordinario territorio della Greina e del Motterascio, la tundra alpina ticinese sospesa e pianeggiante a 2000 metri tra i bacini di due mari: il Mediterraneo a sud, il Mare del Nord a settentrione. Con la sontuosa fioritura della sassifraga cigliata (Saxifraga aizoides) che nutre i bruchi del raro Parnassio di Febo (Parnassius phoebus, foto), una farfalla esclusivamente alpina e delle regioni boreali dell’Asia. Una regione alpina unica e preziosa per i suoi contenuti naturalistici e ambientali, ricca di un fascino del tutto particolare, efficacemente descritta con sensibilità e passione da Angelo Valsecchi (2003). Tra il Lucomagno e il San Bernardino; una regione alpina di casa nostra che merita di essere frequentata e conosciuta. Bibliografia

■ Dietrich Barsch, Rock-glaciers Indicators for the Present and Former Geoecology in High Mountain Environments, Springer Verlag (Heidelberg-New York-Tokyo), 1996, 331 pp. ■ Lionel Higgins et Norman D. Riley, Guide des Papillons d’Europe, Delachaux et Niestlé (Lausanne), 1971, 415 pp. ■ Hugh M. French, The PeriglaciaI Environment, Longman Limited (Edinburgh), 1996, 141pp. ■ Rémy Knafou, Les Alpes, Presses Universitaires de France (Paris), 1984, 127 pp. ■ Angelo Valsecchi. Greina, la nostra tundra. Club Alpino Svizzero sezione Ticino (Lugano), 2003, 61 pp.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 settembre 2017 • N. 36

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Ambiente e Benessere

Insalata di fagiolini con i fichi

Migusto La ricetta della settimana

Primo piatto

migusto.migros.ch/it/ricette Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.

Ingredienti per 4 persone: 400 g di fagiolini verdi ·300 g di fagiolini gialli · sale · 2 scalogni · 1 spicchio d’aglio · 0,5 dl di brodo di verdura saporito · 3 cucchiai di succo di limone, spremuto fresco · 5 cucchiai d’olio di colza · 1 cucchiaino di senape · pepe · 2 fette di pane sottili · 50 di salsiccia secca o Landjäger · 4 fichi. 1. Lessate al dente i fagiolini in acqua salata per circa 10 minuti. Scolateli e passateli sotto l’acqua fredda. 2. Sminuzzate gli scalogni e l’aglio. Portateli a ebollizione nel brodo di verdura. Unite il succo di limone, metà dell’olio e mescolate. Aggiungete la senape. Mescolate i fagiolini con la salsa e condite con sale e pepe. Lasciate riposare un poco. 3. Tagliate il pane a dadini e dorateli nell’olio rimanente. Affettate molto finemente la salsiccia, aggiungetela ai dadini di pane e continuate brevemente la cottura. Unite i dadini di pane e salsiccia all’insalata. Dividete in quarti i fichi e distribuiteli sull’insalata. Preparazione: circa 40 minuti. Per porzione: circa 13 g di proteine, 17 g di grassi, 30 g di carboidrati, 350

kcal/1450 kJ.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 settembre 2017 • N. 36 24

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Betulla: un po’ mistica, ma anche molto curativa (N. 34 - “Allora svelto dammi i miei soldi!”) 7

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Eliana Bernasconi Della famiglia delle Betulaceae, la betulla bianca è diffusa in tutto l’emisfero nord in quaranta diverse varietà, dall’Europa al Canada sino all’Asia. Ama i suoli ricchi di silice e asciutti, i terreni prevalentemente montani come quelli del nord Europa e del Caucaso da cui proviene, ma si adatta anche a climi diversi. Mentre tutto intorno a noi cambia rapidamente, la sua presenza ci ricorda che la sua comparsa (con altri alberi colonizzatori) sul suolo terrestre risale a ben 30mila anni or sono e non è mai mutata. È inconfondibile per il suo aspetto di estrema eleganza, per il suo tronco scuro alla base e soprattutto per la corteccia liscia e biancastra con riflessi argentei, che con il tempo si screpola o si stacca in lamine sottilissime che sembrano pergamena. Può raggiungere 20-25 metri di altezza e fiorisce tra aprile e maggio: le piccole foglie caduche di color verde chiaro sono di forma irregolare, i fiori, maschili e femminili, sono spighe pendule, leggeri amenti, i frutti sembrano piccole noci. È colonizzatrice del bosco, nel senso che si diffonde spontaneamente inviando ovunque i suoi semi, occupando terreni poveri e rigenerandoli con le sue foglie che fertilizzano il suolo affinché specie più esigenti come la quercia o il faggio si sviluppino; e può anche succedere che queste ultime le tolgano la luce vitale e la uccidano. Il legno della betulla è dolcissimo e tenero, nel film L’Albero degli zoccoli,

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12 13 di Ermanno Olmi, il protagonista viene crudelmente sfrattato dal suo padrone perché ha osato15 servirsi di un giovane albero di betulla per confezionare gli zoccoli 17 a suo 18 figlio. Anche se abbiamo smarrito la capacità di percepire il potenziale misterio20 21 so e benefico trasmesso dalla presenza degli alberi, molte persone stanno sco22 che sono esseri antichi,23 prendo portatori di una forma di vita molto evoluta, dalla cui24 vicinanza potremmo 25ricevere molto se solo riuscissimo a comprendere il loro silenzioso26 linguaggio. Ogni albero pare abbia un suo carattere, non a caso spesso siamo inconsapevolmente attratti da un certo tipo di albero e non da un altro, può essere il pioppo piuttosto che l’ippocastano o la quercia o l’abete. Nell’antroposofia di Rudolf Steiner, esoterista e teosofo austriaco, (dunque attenzione: 1 entra2 nell’esoterismo, 3 4 qui per cui tutto è da prendere con le pinze), si parla del «corpo eterico» o vitale, presente 6 7 in ogni forma vivente, e a maggior ragione negli alberi, ma questo discorso ci porterebbe 8 9 troppo lontano. Il nome Betulla ha un’origine celtica, per10questo11popolo la pianta era la prima, importantissima e sacra al dio dipendeva ogni ordine 12sole da cui 13 cosmico; inoltre era usata per segnare i confini e per allontanare gli spiriti 18 19 20 maligni dalla comunità. Era l’albero di luce anche presso gli sciamani si22 beriani, custode della porta23del cielo, era l’«Axis mundi» che con altri alberi 25 cosmici collegava cielo 26 e terra: il suo tronco veniva inciso con dei gradini affinché nelle cerimonie di guarigione il 29

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viaggio interiore di ascesa ad altri mon-

5di si compisse rapidamente.

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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

oggi un meraviglioso e apprezzato depurativo rimineralizzante. Sulle sue proprietà così si esprimeva nel 1500 il medico, botanico e poeta di Viterbo Castore Durante: «Il succo che esce la primavera dal tronco pertugiato ha virtù maravigliosa per rompere le pietre tanto delle reni quanto della vescica, bevendosene lungamente sana la putredine della bocca, fa buono fiato e leva le macule dalla pelle, mescolato nel quaglio preserva il cacio dalla pu4 tredine e dai vermini». Si potrebbe aggiungere che il legno 8 scope su cui volavano le streghe 6 delle era di betulla, la quale, si dice, avrebbe 6 pure2la capacità di curare la calvizie precoce.

trici delle piaghe della pelle dopo averla riscaldata al fuoco o al sole. Come spesso succede con il passaggio del tempo, la scienza convalida sperimentalmente l’efficacia delle qualità terapeutiche attribuite empiricamente alle erbe: un recente studio di 1 ricercatori russi nel 2011 ha evidenziato una promettente capacità curativa de5 per2il gli estratti di corteccia di betulla trattamento epatoprotettivo in pazienti con epatite C. Sotto molti altri aspetti4 la Betulla si è dimostrata ricca di proprietà medicinali diuretiche, e 2 antisettiche 8 antinfiammatorie, anche grazie ai Flavonoidi di cui è ricca, composti chimici naturali antiossidanti. Le sue gemme, raccolte in febbraio, 9 hanno proprietà balsamiche,4 il macerato glicolico (preparazione con ac-

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I premi, cinque carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.

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I vincitori 9

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13 14 15 16 Vincitori del concorso Cruciverba 18 su19«Azione 34», del 20 21.8.2017 21 12

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N. 31 DIFFICILE

2I 6 7 5 precedente 1 Ndella E settimana D 3I A 4 2 6 7 8 3 5 9 1 Soluzione 7 8 IL CORPO 5 3 1 7 8CANALI 9 5 DAI 2 QUALI 6 3 4 CONOSCERE UMANO – L’ugola: POSSIEDE

25. Si allargano con lo specolo 27. ESCE SALIVA. (N.Consegnar 35 - Posside canali dai quali esce saliva) N. 30 MEDIO 28. Fondo Adeguamento Pensioni 1 2 3 4 5 P5 O S6 A1 S 8

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presentazione 20. Isolotto tipico dell’Oceano Pacifico e Indiano 22. Un lago italiano 23. Cocomero inglese 24. Taglia, dimensione

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7. Ardente, infiammata 8. Distesa sul ventre 9. Biblica madre di Isacco 10. Avvezzi 13. Regione occidentale dei Paesi Bassi 14. Misura equivalente ai metri cubi 15. Sono di stirpe indoeuropea 17. Si annida nel tappeto 19. Precede il nome maschile nella

S Sudoku E C Soluzione: C Scoprire i 3 M Acorretti T T A numeri A R C A da inserire nelle caselle colorate. G I C O R E O P O L E O S

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S P A R IN. 30 MEDIO L A P S U 12 A M A T O 1 C R A S 14 15 5 R 7 I O R A R I S C O H L E R O A OT2 E N A T 20 A R E S C E S6 A A4 (N. 34 - “Allora svelto 23 dammi i miei soldi!”) 2017 9 SUDOKU FACILEG N N.E29 Schema I4 A7PERRAZIONE A - AGOSTO M T Soluzione A L L A O R A N G O 25 N 38 4 O 9 DS 1I A MA V4A O G RN S I 6 1 7N 5 E E 5A 2 8 R I V I L6 O T 9 5 2 8 7 1 3 28 1 AT D4R O6OD2 R N I R AO M I 8F3 4A 6 L 2 9 L 7 R A M A I C 2T 8 4 7 1 30 6L O 3 9 I A C 2A98 5R 3 O 7 A L D I U T A M 5 I 8 3 6 1 2 9 5 L 4 32 C 4I 9A R E 2D 7 3 7 4 9 1 6 8 1 2 C5I NR3 4SEO LA 8I R 2 E P I N O 5 9 3 4 1 6 8 6

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VERTICALI 1. Opinione 3. Penose, dolorose 4. Sporadico 5. Andati per Cicerone

O R A N G O A V O N N S alcool e glicerina) di gemme, fiori, I V I qua, L haOproprietà T energetiche e semi e linfa, rimineralizzanti, migliora la concenD I R AcuraMla stanchezza I trazione, mentale, è un tonico del sistema nervoso. CinA L quant’anni I C fa leI popolazioni A contadine di Scozia, Russia, Slovenia e Ungheria la primavera per raccoM I attendevano gliere la «Linfa di Betulla» all’interno tronchi. La estraevano praticando R E D dei dei fori obliqui sulle cortecce rivolte a sud dove introducevano dei tubicini O L I per far scorrere il liquido che raccoglievano in appositi recipienti. Questa linfa D I A fresca, presa a digiuno, è ritenuta anche

Stefaniada Sargentini Vinci una delle 3 carte regalo 50 franchi 2 6 con 7 il cruciverba 3 5 (N. - Se in pericolo2attacca anche i leoni) da 50 franchi con il sudoku e 33 una delle carte regalo (N. 36 - Parla poco ascolta assai e giammai non fallirai) 7 8 5 3

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ORIZZONTALI 1. Rumori di guerra 6. Errore involontario 11. Vicino al cuore 12. Domani in latino 13. Tempi stabiliti 14. Residuo di lavorazione industriale 16. Isola nell’arcipelago del Dodecaneso 17. Figlia di Zeus e di Metide 18. Altari pagani 19. Strada in pendio 20. Preposizione articolata 21. A fin di bene... 22. Grosso recipiente di terracotta 23. Mercato Telematico Azionario 24. Asciutti, snelli 25. Anagramma di none 26. Lo è l’abete a Natale 28. Prevedono delle punizioni 29. Con Giovanni e Giacomo 30. L’attrice Alt 31. Lo fece Dio in sette giorni 32. Pregiato vino francese

L L A I A A R R O R A M U T A I A N S I N E

SUDOKU P O S A S N.I29 FACILE E N D T E N Schema R C S A N T E R A L D O I A V I N A D I A 9 T O R I O A Bibliografia I Q U Gabriele Peroni, Trattato di Fiotera8 A L I E S T E R 5NuovaDIpsa Ed. pia – Driope, Laura Rangoni, Il Grande Libro delle Magiche, C A E L S A PianteO L XeniaI Ed. 3 3 A 4 M B O 8 2 AGiochi V perA“Azione” R - Agosto I5 A 2017

In Russia esiste una lunga tradizione che la riguarda: secondo i contadini per avere prosperità e fortuna occorreva piantare due betulle ai lati della casa, mai una sola perché la betulla avrebbe sofferto la solitudine. Inoltre considerata albero della saggezza, si usava regalarne un ramo agli amici che attraversavano di crisi17esistenziale 14 15 momenti16 e indecisione. Sulle rive del Reno nell’anno Mille 21 la sapiente monaca Ildegarda di Bingen superava le conoscenze medioevali del 24 suo tempo spiegando che ogni rimedio erboristico produce effetti diversi a dipendenza delle 27 persone 28 e consigliava la corteccia di betulla, che è priva di resina, per30le sue virtù cicatrizzanti e sana-

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Trova il proverbio nascosto nel cruciverba, risolvendolo e leggendo le lettere nelle caselle evidenziate. (Frase: 5, 4, 7, 5, 1, 7, 3, 8)

A S E T T I C I

(N. 35 - Posside canali dai quali esce saliva)

Giochi Cruciverba

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Sepp Vei

Fitoterapia Il suo nome scientifico è Betula pendula

S. Bezzola-Burri, N. Giudicelli, A. Segat 23 24

Vincitori del concorso Sudoku 26 su «Azione 34», del 21.8.201727 E. Maddalena, S. Lovato

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N. 31 DIFFICILE

(N. 36 - Parla pocoonline: ascoltainserire assai e giammai non corredata fallirai) da nome, cognome, Partecipazione la luzione, 9 8 1 2 7 del cruciverba o7 del8 sudoku indirizzo, email del partecipante deve 1 soluzione 2 3 4 5 6 9 10 1 S P A R I L4Azione, A P2 S 2 spedita 8 1a «Redazione nell’apposito formulario pubblicato essere 11 12 M A O3 Lugano». C R A sulla pagina del sito. Concorsi,A C.P. 6315, 7 T 6901 8 13Partecipazione postale: 14 la lettera o 15Non O si intratterrà corrispondenza sui R R A R I8 S C2 O concorsi. Le vie legali sono escluse. Non 16la cartolina postale 17 che riporti la soL E 1 R O2 6 A T E N A

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è possibile un pagamento in contanti 3 5 9 6 8 4 1 2 7 dei premi. I vincitori saranno avvertiti 79 4 sarà U S 2 67 Il8nome 1 4 3dei 5vincitori 6 per iscritto. S 4 1su 6«Azione». pubblicato Partecipazione 9 7 2 3 5 8 riservata a1 lettori3 che I A7 6esclusivamente 3 4 1 8 5 9 2 risiedono in Svizzera.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 settembre 2017 • N. 36

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Politica e Economia Primarie argentine Macri affronterà le legislative del 22 ottobre con il vento a favore

Quarto viaggio in Sud America È imminente il viaggio di Papa Francesco in Colombia, dove il Vaticano ha sostenuto il processo di pace fra il governo e i guerriglieri delle Farc pagina 25

Il mondo che verrà: 7.parte Non soltanto l’America, ma anche dalle urne francesi è uscita una geografia politica. Macron saprà essere una garanzia contro il populismo?

Cassis come Motta? Intervista allo storico Urs Altermatt sulle possibilità del Ticino di tornare in Governo

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La logica perversa di Kim

Corea del Nord Per quanto qualche elemento di follia sia ravvisabile nel comportamento del leader nordcoreano,

gli obiettivi che egli persegue sono frutto di una strategia pianificata riassumibile in tre punti Lucio Caracciolo Un paese relativamente minore, fino a pochi anni fa sull’orlo del collasso per carenza di cibo, può dare scacco alla massima potenza mondiale e al resto del mondo. Questa è la principale lezione che si può oggi trarre dalle provocazioni nordcoreane, culminate il 29 agosto nel lancio di un missile balistico partito dall’aeroporto di Pyongyang e ammarato nell’Oceano Pacifico dopo aver sorvolato il Giappone. Solo l’ultimo episodio di una lunga sequenza, a quanto pare destinata a continuare e forse a culminare in un conflitto che apparentemente nessuno vuole ma che nessuno sa come evitare. Alcuni sostengono che il regime di Kim jong-un rappresenta il classico caso del «pazzo con la bomba atomica» narrato in diversi film e libri di fantageopolitica. Qualche elemento di follia, quantomeno di acuta irresponsabilità, è certamente ravvisabile nel dittatore nordcoreano e nel suo clan. Eppure il suo comportamento segue una logica.

L’obiettivo strategico della Corea del Nord è riassumibile in tre punti. Primo, dotarsi di un arsenale atomico credibile, in modo da garantirsi contro aggressioni nemiche, in specie degli Stati Uniti. La lezione che Kim ha tratto dalle vicende di Saddam e di Gheddafi è che chi rinuncia alla Bomba si espone alla liquidazione per mano americana. Oggi il leader nordcoreano sembra già in grado di scongiurare questo rischio, dato il suo avanzato programma nucleare e missilistico. Secondo, costringere gli Stati Uniti ad abbandonare la Corea del Sud e a limitare la loro presa sulla regione Asia-Pacifico, così elevando il rango della Corea del Nord. Terzo, riunificare la Corea, costringendo Seul con i negoziati, da tenere con Pyongyang in posizione di forza avendo ottenuto i risultati di cui ai punti precedenti, oppure con la forza, varcando il confine del 38° parallelo, congelato dal 1953. Avendo sostanzialmente raggiunto il primo obiettivo, quali probabilità ci sono che Kim ottenga anche il se-

condo e il terzo? Poche, ma non nulle. Soprattutto, per impedirglielo gli americani dovranno comunque pagare un prezzo altissimo. Abboccando all’amo di Kim, che accompagna ogni provocazione a una tambureggiante retorica, con la sua controretorica fiammeggiante Trump si è ficcato in un vicolo cieco. Non è pensabile che la superpotenza a stelle e strisce accetti come fatto irreversibile di essere sotto la minaccia permanente di missili con testata atomica che nei prossimi anni potrebbero colpire in profondità gli Stati Uniti. Allo stesso tempo, per impedire il consolidamento di questo scenario dell’orrore, gli Usa sarebbero costretti o a concessioni negoziali indigeribili (venendo incontro alle pretese nordcoreane segnalate al punto due) o a rischiare una guerra dalle conseguenze catastrofiche. Anzitutto per la Corea del Sud: Seul è sotto schiaffo dell’artiglieria nordcoreana, in grado di incenerire la metropoli in qualche ora. Poi per l’alleato giapponese, verso il quale i coreani (tutti, non solo quelli del Nord) nutrono una

particolare avversione – ricambiata. Infine e soprattutto per gli Stati Uniti, le cui basi avanzate nell’Asia Pacifico, oltre al contingente schierato in Corea del Sud, rischierebbero di subire perdite consistenti per la rappresaglia nordcoreana. La possibilità di un’escalation nucleare, con il coinvolgimento di altre potenze, Cina in testa, non è affatto da escludere. Inoltre, una guerra preventiva, come gli americani sanno bene, non è mai facile da legittimare sia agli occhi del mondo che di parte dell’opinione pubblica domestica. Siamo dunque all’alternativa del diavolo. Qualsiasi cosa Trump decida di fare o di non fare, rischia di perdere. Alla fine, le esigenze elettorali potrebbero spingerlo a giocare la carta militare, scenario nel quale usualmente il popolo americano (insieme agli apparati civili e militari) si schiera con il presidente nell’esercizio delle sue funzioni di comandante in capo. A Washington si spera che la Cina convinca Kim a recedere dalle sue provocazioni. Difficile. Il potere di Pechino su Pyongyang non è così

forte come molti decisori americani credono o sperano. Inoltre, anche Xi Jinping è in una tenaglia. Se gli americani attaccassero, preventivamente o in reazione a una intollerabile provocazione nordcoreana (missili su Guam), che cosa può fare la Cina? Nulla, e allora perderebbe la faccia. O dovrebbe entrare in guerra: ma con chi e contro chi? Certo Xi non pensa a uno scontro con l’America, ma le circostanze finite fuori controllo potrebbero suscitare esattamente questo terribile scenario. Infine, se la Corea del Nord attacca l’America, la Nato che fa? In teoria dovrebbe correre in soccorso degli Usa. In pratica, appare molto improbabile. Sia perché gli americani non saprebbero che farsene degli atlantici, sia anche perché gli europei avrebbero serie difficoltà a convincere le rispettive opinioni pubbliche a mandare i propri soldati a combattere nell’Asia-Pacifico. La recente sortita di Angela Merkel, per cui in ogni caso la Germania non entrerebbe in un simile conflitto, riflette l’umore di fondo degli alleati.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 settembre 2017 • N. 36

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Politica e Economia Fra Macri (destra liberal) e la sua diretta rivale, l’ex presidente neo peronista Cristina Kirchner, si gioca una sfida per mostrare chi ha in mano la maggioranza del Paese. (AFP)

Il Papa in Colombia per suggellare la pace Dal 6 all’11 settembre Sarà il suo 4. viaggio

in America Latina, l’ultimo in Messico Giorgio Bernardelli

Macri esce rafforzato Primarie argentine O ltre 33 milioni di argentini hanno espresso

il loro consenso premiando la coalizione governativa nel voto che precede le legislative del prossimo 22 ottobre Angela Nocioni L’Argentina si prepara alle legislative del 22 ottobre spaccata a metà. Il voto, che arriva a metà del mandato quadriennale del governo e serve a rinnovare la maggioranza degli scranni del Congresso, è tradizionalmente nella politica argentina un test fondamentale per valutare la tenuta del presidente in carica. Questa volta le primarie tra partiti svoltesi un mese fa annunciano un appuntamento elettorale al cardiopalma. Tra il presidente Mauricio Macri (destra liberal) e la sua diretta rivale, l’ex presidente neo peronista Cristina Kirchner, candidata al Senato, si gioca una sfida per mostrare chi ha in mano la maggioranza del Paese.

Macri spezza il tabù peronista e si lancia contro i sindacati e le cause di lavoro in seguito alle lamentele degli imprenditori Al momento i due risultano in grado di contendersi il territorio palmo a palmo. Nelle primarie tra partiti del mese scorso Macri ha ottenuto, in numeri assoluti, una quantità di voti maggiori a quella che l’ha eletto due anni fa a capo del governo. Ma non ha raggiunto il 50%, sfiora il 36% del totale. Si trova a contrastare una opposizione frammentata, non ancora riunita dietro la guida di Cristina Kirchner, che i sondaggi davano in grande vantaggio e che è invece rimontata sì, ma non abbastanza da sorpassare Macri. Il presidente è uscito vincente dalle primarie perché non solo ha stravinto nelle grandi città, cominciando da Buenos Aires e Cordoba, ma ha espugnato al kirchnerismo alcuni suoi territori chiave, come la patagonica Santa Cruz, culla politica dei Kirchner. Tanto felice appare Macri che comincia a parlare apertamente della possibilità di essere rieletto alla Casa Rosada tra due anni. Un progetto considerato irrealistico fino al mese scorso. Il costo sociale ed economico delle misure prese dal suo governo è stato molto alto per le fasce medie e medio basse della popolazione, ossia per la stragrande maggioranza del Paese. La brusca svalutazione della moneta nazionale, ovvia conseguenza della fine dell’insostenibile cambio fisso con il dollaro, ha scatenato i prezzi producendo un’inflazione (la più alta degli ultimi quindici

anni) priva di qualsiasi compensazione salariale. Ci sono stati licenziamenti di massa nel pubblico e nel privato. La fine delle sovvenzioni pubbliche ai consumi di elettricità e gas ha fatto aumentare le bollette di luce e gas fino al 300%. Quando il costo della vita schizza in alto improvvisamente, senza un adeguamento dei salari medi, di solito ci si aspetta una rivolta sociale. Invece, sorpresa: le piazze si sono sì riempite spesso di manifestazioni di protesta, ma arrivata l’ora di votare gli argentini non hanno punito il presidente in carica. Anzi. Gli hanno dato ossigeno. Il governo ora ha l’arduo compito di provare che i sacrifici imposti come necessari, e ricaduti soprattutto sui più fragili economicamente, stanno per dare i loro frutti. E come farà in una società con una percentuale di poverissimi oltre il 35%, con problemi gravi di deficit fiscale finanziato da un indebitamento che aumenta a passo svelto? Macri confida nel circolo virtuoso di un’economia che potrebbe crescere, anche se di poco, conta su un calo del deficit e dell’inflazione. I suoi critici prevedono invece che l’indebitamento potrà solo aumentare e che il deficit e l’inflazione conseguenti spingeranno Buenos Aires nella spirale di una delle sue solite e drammatiche crisi epocali: più debiti, gli interessi sul debito vanno ad aumentare il deficit creando quindi una nuova necessità di finanziarlo, il sistema regge finché i capitali non fuggono spaventati all’estero e tutto crolla di nuovo. Rimane poi alta la tensione con i sindacati per l’annunciata riforma del mercato del lavoro. Il governo e il presidente sono stati denunciati dalla Asociación de Abogados Laboralistas all’Organizzazione Internazionale del Lavoro. La denuncia imputa al governo di Macri la responsabilità giuridica per la violazione di accordi internazionali in materia di lavoro, a causa degli attacchi nei confronti della Giustizia del Lavoro e dei giuslavoristi, accusati da Macri di vivere di una «industria del processo per cause di lavoro, destinata a distruggere piccole e medie imprese». È successo che il presidente ha detto: «Basta con la mafia degli avvocati e i giudici ». Una bestemmia nella Buenos Aires eternamente post peronista dove i gruppi sindacali sono 6400, costituiscono la rete più capillare esistente, dotati di controllo minuzioso del territorio, ciascuno con relativa organizzazione, sistema previdenziale di riferimento e preziosi uomini raccatta voti. Sono mesi che gli imprenditori più liberisti si lamentano con il primo

presidente non peronista d’Argentina dopo Raùl Alfonsìn (che però a differenza di Macri era radicale) del potere di ricatto che i sindacati continuano, dicono loro, ad esercitare sul governo. E Macri li ha accontentati, per ora, con una dichiarazione di guerra alla gran quantità di cause di lavoro in corso in Argentina, una ogni cinque lavoratori, 185 mila iniziate nel 2016 nella sola città di Buenos Aires. Aumentate del 20% rispetto all’anno precedente. Il dato è l’ovvia conseguenza dell’ondata di licenziamenti dovuta alle ristrutturazioni nel pubblico e nel privato. Macri ha messo mano alla crisi economica argentina senza i «metodi keynesiani» rivendicati dal governo Kirchner. Gli imprenditori argentini temono ora di pagare cari i licenziamenti perché è molto, ma molto difficile a Buenos Aires che una causa di lavoro contro un’azienda non si concluda in favore del lavoratore. Colpa della cultura peronista e della mole di leggi ideologicamente schierate dalla parte del lavoratore ereditate dal generale Peròn, dicono gli imprenditori. Colpa dell’ideologia di sfruttamento che permea la cultura d’impresa argentina e che è diventata legge prima con il regime militare poi negli anni Novanta con la presidenza di Carlos Menem, dicono i sindacati. Fatto sta che il riacutizzarsi dell’eterno conflitto, sta portando alla ribalta la legge brasiliana su flessibilità del lavoro e la revisione del sistema pensionistico la cui discussione ha messo a ferro e fuoco Brasilia. Non c’è giorno che tv e giornali argentini non esaminino con la lente d’ingrandimento la legge proposta dal barcollante governo di Michel Temer in Brasile. Ogni passaggio di quel pacchetto di norme è discusso e osservato a Buenos Aires con l’attenzione e la rissa tra parti opposte solitamente riservati solo al grande classico calcistico BocaRiver. Difficile sarà per Macri fare sue le proposte ultraliberiste della destra brasiliana, se vuol essere rieletto. «Flexibilidad laboral» è un’espressione impronunciabile in Argentina. Evoca oceaniche manifestazioni contrarie, scioperi generali ad oltranza e, soprattutto, «cortes de ruta» quotidiani, quelle interruzioni delle strade del Paese in cui i sindacati argentini sono grandi professionisti. Per impedirle, l’esperienza dimostra che serve solo la contrattazione politica. A meno di voler mandare tutti i giorni in strada la polizia, che non è mai una buona idea nella assai conflittuale Buenos Aires.

In un mondo dove i venti di guerra soffiano e i muri continuano ad alzarsi, Papa Francesco sta per partire per un nuovo viaggio che lo porterà in uno dei pochi angoli del mondo dove – almeno ufficialmente – è in corso un processo di pace. Da mercoledì 6 e fino a lunedì 11 settembre Bergoglio sarà infatti in visita in Colombia, in un itinerario che vede al centro proprio il superamento delle ferite lasciate in eredità dal lungo conflitto tra la guerriglia marxista delle Farc e l’esercito di Bogotà.

È probabile che dalla Colombia Papa Francesco torni a lanciare un appello per il Venezuela Le Farc – Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – sono state a lungo il più longevo dei movimenti guerriglieri di stampo marxista in America Latina. Nate nel 1964 hanno condotto una lotta armata durata più di mezzo secolo, con una guerra che ha lasciato dietro di sé 260’000 morti e almeno 60’000 dispersi. Numeri che bastano da soli a dire come voltare pagina non possa essere un fatto indolore a Bogotà: il negoziato condotto a Cuba, con il sostegno aperto del Vaticano oltre a quello della Spagna, è stato lungo; e lo stesso accordo firmato nell’agosto 2016 dal presidente Juan Manuel Santos – per questo insignito del premio Nobel per la pace – è finito poi impallinato in ottobre nel referendum popolare che avrebbe dovuto confermarlo. Il processo di pace non si è però fermato: il testo dell’intesa è stato emendato e approvato a maggioranza dal Parlamento, che ha fissato un nuovo percorso nel quale una delle tappe fondamentali è stata il 15 agosto scorso la consegna delle ultime armi da parte degli ex-guerriglieri delle Farc. Il movimento rivoluzionario ha completato la sua trasformazione in partito politico in vista delle elezioni del 2018, con lo stesso ex comandante Timochenko che ha simbolicamente abbandonato il nome di battaglia per tornare a essere il cittadino Rodrigo Londoño. «Questo regime e questo sistema non sono fatti per noi. Ma ci siamo dentro e siamo qui per cambiarlo», ha detto appena pochi giorni fa a 1100 delegati riuniti per il primo congresso del nuovo partito. Al di là delle dichiarazioni – però – voltare pagina resta difficile, soprattutto in un contesto in cui le ferite restano aperte, la corruzione endemica, le diseguaglianze sociali diffuse. L’ex presidente Alvaro Uribe – che è stato il grande oppositore degli accordi – rimane il punto di riferimento di quella metà del Paese che ritiene la pace con le Farc

un oltraggio alla memoria delle vittime della guerriglia. C’è però anche un altro rischio molto concreto: quello che – soprattutto in alcune aree periferiche – lo spazio lasciato libero dal movimento rivoluzionario venga occupato dai gruppi criminali, pronti ad arruolare gli ex guerriglieri che smobilitano. Un dato in particolare appare preoccupante: il ritorno della coltivazione della coca; le stime parlano di una crescita dai 96 mila ettari del 2015 ai 150 mila del 2016. Dentro a questo scenario Papa Francesco proverà a spendere il suo carisma per dare corpo al percorso di riconciliazione nazionale che gli accordi di pace presuppongono. Bergoglio visiterà quattro città pronunciando ben dodici discorsi; tra le tappe c’è anche Medellin, che per la memoria della Chiesa latino-americana rappresenta lo storico incontro di Paolo VI con i campesinos nel 1968 e l’«opzione preferenziale per i poveri», il grande slogan nel cui alveo si sviluppò la Teologia della liberazione. Anche questo quarto ritorno di Papa Francesco nella sua America Latina avrà comunque un significato ben al di là dei confini della Colombia. Non fosse altro che per l’inevitabile accostamento con il vicino Venezuela, da mesi alle prese con il durissimo braccio di ferro tra il presidente Nicolas Maduro e le proteste di piazza, che hanno già fatto più di cento morti. L’eredità pesante di Hugo Chávez – con tutte le contraddizioni di un socialismo fondato esclusivamente sulle rendite petrolifere – resta infatti un rompicapo per il Vaticano che, nonostante i ripetuti appelli e tentativi di mediazione, a Caracas non riesce a proporre una strada che faccia uscire davvero il Paese dal muro contro muro. È probabile che dalla Colombia Papa Francesco torni a lanciare un appello per il Venezuela anche per il significato che questa vicenda assume oggi per tutto il Continente. Il tramonto del sogno neo-bolivariano appare evidente; ma l’unica alternativa disponibile rischia di essere il ritorno a un modello squisitamente neo-liberista. Anche il recentissimo colpo di mano di Michel Temer in Brasile con la decisione di cancellare con un colpo di penna un’immensa riserva naturale in Amazzonia per fare spazio agli interessi dell’industria estrattiva appare come un chiaro segnale in questo senso. Sarà la politica il cuore di questo viaggio in Colombia di Francesco: la proposta di un modello capace di includere i poveri, gli indios, i contadini senza terra senza le scorciatoie di un socialismo rivelatosi incapace di incidere davvero sui meccanismi che generano l’ingiustizia. Altrimenti l’unica alternativa per le masse impoverite dei latinos resterà sempre e solo trovare un varco nascosto sotto il muro dell’America di Trump.

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Politica e Economia

Populismo: pericolo scampato? Il mondo che verrà – 7. parte Dopo l’America anche la Francia è un Paese dove la geografia ha fatto capolino

Federico Rampini Dopo la Francia sarà la volta della Germania. Emmanuel Macron ha bloccato l’ascesa di Marine Le Pen e Angela Merkel sembra avviarsi verso la vittoria. L’establishment tira grandi sospiri di sollievo: pericolo scampato? Dunque è già finita la stagione dei populismi? Bisogna riflettere però sulle cause profonde che avevano generato gli shock elettorali precedenti. Dell’America ho scritto nella puntata precedente. Ora faccio un salto sull’altra sponda dell’Atlantico, da dove arrivarono i pellegrini puritani sulla nave Mayflower, tra i primi coloni inglesi nel Nuovo Mondo. Nel vecchio Regno Unito il 23 giugno 2016 la vocazione insulare torna a prevalere: vince Brexit ovvero Leave (partire), perde il partito del Remain (restare dentro l’Ue). Il referendum sull’uscita dall’Unione europea ha la più alta affluenza alle urne da vent’anni, ben 72%. Su 33 milioni di votanti la spaccatura è verticale, 17 milioni scelgono Leave (51,9%) mentre 16 milioni avrebbero voluto Remain (48,1%). Lo scarto non è enorme, tra le due tribù dei sovranisti e dei globalisti c’è un margine del 3,8% che basta a spingere verso una decisione epocale. Anche in questo caso la geografia elettorale è istruttiva. Due nazioni che compongono il Regno Unito, cioè la Scozia e l’Irlanda del Nord, votano massicciamente (67% e 63%) per restare in Europa. La vera Inghilterra insieme col Galles votano al 53% per staccare gli ormeggi. All’interno dell’Inghilterra spicca però l’eccezione di Londra dove il 60% vuole Remain. La capitale che è anche l’unica vasta metropoli del paese è in netto contrasto con le province. Altre linee rosse oltre a quelle geografiche separano i globalisti sconfitti dai sovranisti vincitori: tracciano confini di età, istruzione, etnìa. Le frontiere divisorie tra le tribù sono simili a quelle degli Stati Uniti. Tre quarti dei giovani nel Regno Unito votano per restare nell’Ue (in America Trump non è piaciuto ai giovani) mentre il 60% degli ultrasessantacinquenni è felice di tornare allo splendido isolamento di Albione. Il 65% dei britannici con una laurea vuole restare europeo ma chi non ha titoli di studio superiori alla maturità sceglie Brexit (in America i laureati hanno votato Hillary). I disoccupati inglesi votano a maggioranza per l’uscita. Tra gli immigrati con cittadinanza e quindi diritto di voto, stravince il Remain così come in America le minoranze etniche hanno preferito la Clinton. È difficile resistere alla tentazione di etichettare come «élite» i globalisti (hanno studiato di più e guadagnano di più, vivono nelle metropoli più dinamiche) e come «popolo» i sovranisti. Poi le etichette ognuno le usa come gli pare. Non sono per forza giudizi di valore. È meglio evitare comunque i preconcetti di ogni genere, compreso lo stereotipo per cui un operaio che non vota per la

sinistra «agisce contro i propri veri interessi». È pericoloso pensare che solo chi ha studiato meno sia facile preda di errori nelle sue scelte politiche; o che chi non vota come noi cade in un inganno, è manipolato, cede agli istinti peggiori, ecc. Mi viene in mente il 1977. Avevo vent’anni, esordivo da giornalista nella stampa del Partito comunista italiano, ai tempi di Enrico Berlinguer. «Città Futura», «Rinascita». Facevo l’inviato sindacale. Frequentavo gli operai della Fiat-Mirafiori, dell’Alfa Romeo di Arese o Pomigliano d’Arco. Ammiravo il leader dei metalmeccanici Bruno Trentin. La classe operaia, sulle sue spalle, doveva traghettare l’Italia verso un futuro migliore. Non è andata così. Ho celebrato i miei 40 anni di attività a Detroit, altra capitale dell’auto. Ho incontrato lì altri metalmeccanici: quelli che hanno votato Trump. Fra queste estremità della mia vita c’è in mezzo un segnale premonitore: ero corrispondente a Parigi quando di colpo la «banlieue» operaia passò dal Partito comunista francese di Georges Marchais al Fronte nazionale di Le Pen padre. La Francia, ecco un altro Paese dove la geografia fa capolino alle urne in modo interessante. La geografia sociale che ho vissuto da vicino, dal 1986 al 1991, cambiò colore brutalmente a intere periferie come La Seine-Saint Denis, da rosse a nere in poco tempo. C’era un socialista all’Eliseo, il presidente François Mitterrand. Passò in pochi anni da una politica economica di ultra-sinistra – nazionalizzando le grandi banche e aziende – ad una sterzata rigorista in sintonia con la Germania di Helmut Kohl.

Le ragioni dietro le ondate di populismo e sfiducia verso l’establishment sono ancora tutte presenti Ancora più determinante per spostare il voto operaio fu l’immigrazione. La borghesia radical-chic dei bei quartieri con nomi famosi (Saint-Germain e Luxembourg, Marais e Ile Saint-Louis, Ecole Militaire e Invalides, XVI arrondissement e Neuilly-sur-Seine) gli immigrati arabi li incontrava come donne delle pulizie e netturbini, guidatori del metrò e fattorini delle consegne. Gli operai francesi invece li avevano come vicini di pianerottolo nei caseggiati popolari. I figli dei maghrebini andavano nelle stesse scuole delle loro figlie. La differenza era tutta lì. L’allarme sulla difficoltà d’integrazione – o sul rifiuto d’integrarsi – delle comunità islamiche, qualcuno lo viveva sulla propria pelle, non leggendo articoli sui giornali. Di lì a poco in quella che è stata assurdamente definita come una Intifada delle banlieues, gli adolescenti figli di immi-

AFP

alle urne. Ma è presto per dire se con l’elezione di Macron finisce anche la stagione dei populismi

grati maghrebini hanno cominciato a fare guerriglia urbana. Le automobili incendiate erano dei loro vicini di casa, gli operai ex-comunisti. I borghesi della Rive Gauche l’Intifada se la vedevano la sera sui Tg, il popolo sentiva la puzza di bruciato aprendo le finestre. Ma le letture geografiche del voto si possono arricchire e aggiornare di continuo. Sulla Francia che ha eletto Macron è interessante la lettura di Franco Farinelli che s’ispira ad una ripartizione fatta nel 1929 dal grande storico Marc Bloch. Il libro di Bloch citato da Farinelli sul «Corriere della Sera» del 28 maggio s’intitola I caratteri originali della storia rurale francese e ha ispirato altri studi sul paesaggio europeo, a partire dall’architettura campestre. Cito qui la sintesi che ne fa Farinelli, con la conclusione politica. «Bloch individuava due grandi e opposti regni all’interno del territorio del proprio Paese: a Occidente, verso l’Atlantico, il dominio dei campi tozzi recintati da siepi (bocage) e delle sedi sparse; a Oriente, in direzione dell’Europa centrale, l’ambito invece dei lunghi campi aperti e degli abitati accentrati, composti da case ammassate le une alle altre. In prossimità della costa oceanica si dispiegava una civiltà contadina fondata su una forte tradizione di autonomia, in cui di fronte alle siepi il potere dell’autorità si arrestava e ogni contadino era padrone di coltivare sul proprio campo quello che preferiva. Verso l’Europa continentale, al contrario, la pressione molto più vigorosa della comunità si traduceva nella rotazione obbligatoria delle colture, nell’esistenza di una serie di servitù

collettive (di transito, d’irrigazione) sugli appezzamenti, tutti privi di qualsiasi visibile segno del passaggio da una proprietà all’altra, nello scambio di vicendevoli reciproche prestazioni di manodopera. L’ambito dei campi aperti si estendeva, e ancora risulta leggibile, in tutta la Francia a Nord della Loira, nelle due Borgogne, in Provenza. E, ad eccezione della regione parigina, esso coincide oggi quasi alla perfezione con i dipartimenti che hanno votato per Marine Le Pen, mentre tutta la Francia atlantica dei campi chiusi ha votato per Emmanuel Macron». La linea rossa che separa le due France sarebbe quindi antichissima. Il sospiro di sollievo con cui l’élite europea ha accolto la vittoria di Macron – celebrata come «l’inizio della fine» dell’onda populista – non può far dimenticare l’esile mandato di questo presidente votato da una minoranza dei suoi concittadini: solo il 44%. Al secondo turno delle presidenziali francesi il 7 maggio 2017 c’è stato il più alto astensionismo da mezzo secolo (25%) più quattro milioni di schede bianche. Il massimo delle astensioni: tra i giovani e i disoccupati. E da quando è stato eletto la sua popolarità nei sondaggi è scesa brutalmente. Scommettere sulla fine dei populismi è azzardato, perché le cause che li hanno generati sono tutte lì. Uno sguardo all’economia. La creazione di moneta ci ha salvati da una Grande Depressione. È questo il tratto dominante dell’economia post-crisi in cui viviamo. Governi spesso paralizzati, politiche di bilancio pubblico assenti o controproducenti (austerity), supplenza dei banchieri centrali che hanno

riempito un vuoto di leadership. Dalla crisi iniziata dieci anni fa l’Occidente è uscito a velocità diverse. L’America ricominciò a crescere già a metà del 2009 grazie ad una combinazione fra investimenti pubblici (800 miliardi di «stimolo» obamiano) e una politica monetaria molto aggressiva. La Federal Reserve lanciò subito la politica del tasso zero e soprattutto il «quantitative easing» cioè massicci acquisti di bond per irrorare di credito a buon mercato l’economia reale. La Bce seguì con grave ritardo, causa le resistenze tedesche, e comunque l’Eurozona non ebbe mai uno stimolo dagli investimenti pubblici: al contrario su quel fronte pigia il pedale del freno. Comunque da quando la Bce ha emulato la Fed i risultati ci sono, l’Eurozona cresce a una velocità del 2,5%. Il vero problema su cui né la Bce né la Fed possono intervenire, esula dalle loro competenze. È la malattia cronica che affligge l’economia reale anche nelle aree più forti come America e Germania. Stagnazione secolare è il termine adeguato. La crescita è tornata ma la sua velocità e modestissima rispetto agli anni felici del capitalismo occidentale (il trentennio dalla ricostruzione post-bellica). L’occupazione aumenta ma con una forte componente di precariato sottopagato. La produttività è ferma, a riprova che le innovazioni sfornate dalla Silicon Valley sono frivolezze poco rilevanti (se non ai fini di massimizzare i profitti dei colossi digitali). Le diseguaglianze sociali sono ai massimi e non accennano a ridursi. Questa è una ragione forte dietro le ondate di populismo e la sfiducia verso l’establishment. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

«Cassis gode dello stesso sostegno di Giuseppe Motta» Intervista Secondo lo storico Urs Altermatt, Ignazio Cassis è il favorito alla successione di Didier Burkhalter.

Ma i giochi non sono ancora fatti e le sorprese sono sempre dietro l’angolo Luca Beti Soletta risplende nel sole di fine estate. È tardo pomeriggio e la gente si è raccolta nei bar all’ombra degli splendidi palazzi in stile barocco. Urs Altermatt ci aspetta seduto a un tavolo in un ristorante nella città vecchia. Dalla fine degli anni Settanta, lo storico segue con attenzione le elezioni del Consiglio federale ed è l’autore del volume dal titolo I consiglieri federali svizzeri. È, insomma, un vero esperto di tutti i giochi che precedono il voto dell’Assemblea federale. «In questi quattro decenni, oltre ad aver accumulato un enorme sapere, ho sviluppato una specie di sesto senso che mi permette di predire l’esito di una elezione sotto la cupola di Palazzo. Non posso ancora dirlo con certezza, ma mi sembra che sia giunto il turno per un ticinese», ci dice l’emerito professore di storia dell’Università di Friburgo. «Ma mi chiami alcuni giorni prima del 20 settembre e allora le saprò dire con una certa sicurezza chi sarà eletto. Ho sbagliato raramente un pronostico». Quella condotta a Soletta è un’intervista ricca di aneddoti e di storia. «La notte dei lunghi coltelli è un mito. Non esiste», ci racconta Altermatt. «Non so dirle chi l’ha creato, ma le posso dire a quando risale: alla notte prima dell’elezione di Otto Stich nel 1983, quando i parlamentari di secondo piano hanno deciso di «accoltellare» Lilian Uchtenhagen, la candidata ufficiale del Partito socialista». Chi sarà il prossimo consigliere federale?

Mi faccia questa domanda due o tre giorni prima del voto. Ora è troppo presto per rispondere. I parlamentari non si sono ancora riuniti per la sessione autunnale e prima del 20 settembre le carte potrebbero ancora venir rimescolate. In questo momento Ignazio Cassis è in testa nella corsa per occupare il seggio lasciato libero da Didier Burkhalter. Ma certo non sono un ingenuo e l’esperienza mi ha insegnato che l’elezione di un consigliere federale riserva spesso delle grandi sorprese. Cassis sarebbe il secondo medico a venir eletto in governo.

Già, proprio così. Finora l’unico medico in Consiglio federale è stato il turgoviese Adolf Deucher. Come Cassis, anche lui era membro del Partito liberale radicale ed è rimasto in carica per quasi trent’anni, dal 1883 al 1912, assumendo la direzione di vari dipartimenti federali. Di analogia in analogia e a mo’ di battuta ora ci dobbiamo forse preparare a un lungo periodo con un ticinese in governo.

«Il Plrt doveva proporre anche una donna, con un doppio ticket il Ticino sarebbe di sicuro tornato in governo» Ignazio Cassis è il miglior candidato o semplicemente quello giusto in questo momento?

Le elezioni dei consiglieri federali seguono regole precise: il partito, la lingua, la regione. Se partiamo dal presupposto che il seggio spetta a uno svizzero italiano e al Partito liberale radicale, beh allora sembra proprio che Cassis sia il miglior candidato in questo momento. Se sono queste le premesse, il parlamento può permettersi di non eleggere un consigliere federale ticinese?

Urs Altermatt (1942) è stato professore all’Uni di Friburgo, di cui è stato rettore dal 2003 al 2007. (Keystone)

L’elezione di un nuovo consigliere federale è spesso ricca di colpi di scena, soprattutto se pensiamo alle candidate donne. La non elezione di Cassis sarebbe certo un’amara sconfitta per il Ticino. La questione della rappresentanza in governo dell’italianità verrebbe semplicemente riproposta, con magari ancora maggiore fermezza, in occasione di una prossima elezione. In un articolo nella «Neue Zürcher Zeitung» ha scritto di recente che un ticinese è sempre stato eletto quando il cantone a sud delle Alpi era confrontato con una difficile situazione internazionale. Secondo lei, oggi il Ticino si trova in una situazione simile?

Nel corso della storia, l’Assemblea federale è sempre stata molto accorta e ha sempre eletto un ticinese quando la situazione internazionale sul confine meridionale era particolarmente delicata, per esempio durante il periodo delle guerre d’indipendenza italiane o l’epoca del fascismo. In questo momento, l’Europa sta vivendo una crisi migratoria. Il Ticino si trova lungo la rotta sud-nord dei migranti; è una sorta di zona calda, un cosiddetto hot spot. Per questo motivo, il cantone è confrontato con questa crisi in maniera diretta e maggiore rispetto ad altre regioni svizzere.

La presidente della Confederazione Doris Leuthard ha affermato tuttavia che un ticinese in governo non avvicinerà Bellinzona a Berna.

Secondo me non si tratta tanto di avvicinare il Ticino a Berna o del ruolo che potrebbe avere un consigliere federale di lingua italiana nei difficili rapporti con l’Italia. È piuttosto una questione di sensibilità nei confronti di una minoranza linguistica. La presenza di un ticinese in governo ha un valore simbolico. Siamo infatti poco credibili se in occasione della festa nazionale affermiamo con fierezza di essere un Paese con quattro lingue nazionali, ma poi concretamente gli italofoni sono esclusi dal Consiglio federale. Ma oltre a quella linguistica, c’è anche la questione di un’equa rappresentanza femminile in governo.

Quella della rappresentanza femminile è una questione che si ripresenta a ogni elezione di un consigliere

federale. Secondo me le donne devono essere equamente rappresentate in governo. In questo momento c’è invece uno squilibrio, una situazione che non verrà risolta dalla possibile elezione di Cassis. Se non posso mettere la mano sul fuoco per quanto riguarda l’elezione di un ticinese, posso invece affermare con maggiore sicurezza che il prossimo seggio vacante sarà occupato da una donna. Secondo me, per ottenere un seggio in Consiglio federale il Partito liberale radicale ticinese doveva proporre anche una candidata donna. Con un doppio ticket il Ticino sarebbe ritornato di sicuro in governo. Ma sono consapevole che quello a Sud del Gottardo è un cantone litigioso con partiti divisi da varie fazioni che perseguono interessi diversi.

«La solidarité latine in realtà non esiste, la solidarietà i ticinesi devono cercarla nella Svizzera tedesca» Con due romandi in governo, la Svizzera francese dovrebbe cedere il passo a quella di lingua italiana. Invece rivendica un terzo seggio. Non si può certo parlare di «solidarité latine».

I ticinesi non devono aspettarsi la solidarietà dei romandi. Semmai devono andare a cercarla nella Svizzera primitiva, nella Svizzera tedesca, certo non in quella di lingua francese. Gli interessi economici, la sensibilità nei confronti dell’integrazione europea sono completamente diversi tra le due regioni, regioni simili soltanto da un punto di vista culturale. La «solidarité latine» in realtà non esiste, soprattutto non durante l’elezione di un consigliere federale. Sono stato per decenni professore all’Università di Friburgo e ho sempre difeso la minoranza linguistica. In questo momento, con tre consiglieri federali i romandi sono ben se non sovra-rappresentati in governo e gli svizzeri italiani sono invece sottorappresentati. Secondo me, quattro

svizzero tedeschi, due svizzero francesi e uno svizzero italiano sono la composizione migliore e più fortunata.

Eppure da 18 anni la Svizzera italiana aspetta un suo rappresentante in governo. Perché?

Dal 2000, dopo l’uscita di Flavio Cotti dal governo, propugno la tesi secondo cui un seggio in Consiglio federale deve essere occupato da un ticinese. Nel 1999, in molti sostenevano invece che era giunto il turno della Svizzera centrale, un passaggio di testimone usuale tra i democratici cristiani e i liberali delle due regioni a cavallo del San Gottardo. In lizza per succedere a Cotti c’era quindi Peter Hess, politico di Zugo, a cui però l’Assemblea federale preferì il friburghese Joseph Deiss. Colpevole della non elezione dei vari candidati ticinesi – ricordo i vari Ratti, Pesenti e Pelli – è lo stesso canton Ticino e non gli svizzero-tedeschi o francesi. Un ticinese viene eletto sempre se viene sostenuto da tutti i principali partiti del cantone. Le divisioni all’interno di questo piccolo biotopo indeboliscono enormemente gli italofoni. E va ricordato che in Consiglio federale non è mai stato eletto un grigionitaliano. Nel 1962, Ettore Tenchio, presidente di partito e candidato ufficiale del PPD, è stato sconfitto al quinto turno dal vallesano Roger Bonvin. Se torniamo all’attualità, come Giuseppe Motta anche Ignazio Cassis gode del sostegno della maggior parte delle forze politiche ticinesi e della Pro Grigioni Italiano. Sono tutti fattori che giocano quindi in suo favore. E proprio nell’anno delle dimissioni di Flavio Cotti è stata stralciata dalla Costituzione federale la regola che impediva l’elezione di due ministri dello stesso cantone in governo, sostituendola con una disposizione flessibile volta a favorire un’equa rappresentanza delle diverse regioni e componenti linguistiche del Paese. Una buona idea, almeno sulla carta.

Secondo me è stato un errore poiché privilegia soprattutto la presenza in governo di membri dei grandi centri, per esempio di due zurighesi, due bernesi, due vodesi. Agli altri cantoni o regioni linguistiche rimarrebbero così soltanto le briciole. È una questione di

rappresentatività. È una regola che paradossalmente non è mai stata rispettata. Con un governo a 7, il rischio di una concentrazione del potere su pochi cantoni è molto grande.

E proprio per garantire un’equa rappresentanza regionale e linguistica lei sostiene da anni che il numero di consiglieri federali dovrebbe passare da 7 a 9.

È un’opinione che difendo dall’inizio degli anni Novanta, quindi da circa 25 anni. Inizialmente era stata accolta positivamente poiché alcuni consiglieri federali si erano ritirati per motivi di salute. In precedenza Willi Ritschard era morto pochi giorni dopo aver dato le sue dimissioni. Oltre a sgravare i consiglieri federali, un governo a nove permetterebbe, per esempio, alla Svizzera italiana di avere sempre un suo rappresentante. Tuttavia il Consiglio federale è contrario a questo aumento dei seggi poiché sostiene che in un esecutivo a nove sarebbe più difficile governare e rispettare il principio della collegialità. L’elezione nel governo federale è una specie di gioco con le sue regole, scritte o non scritte. Crede che i consiglieri federali in carica stiano al gioco dei partiti e concordino con loro il momento in cui dare le dimissioni?

Questo è l’unico segreto che di regola i consiglieri federali tengono per sé fino alla fine e non condividono con nessuno. È una decisione che i membri di governo prendono autonomamente. L’annuncio alla stampa, dato a sorpresa o seguendo l’iter classico, permette loro per l’ultima volta di attirare su di sé tutta l’attenzione dei media; media che quasi subito rivolgono tuttavia il loro interesse sui possibili successori. Per evitare un susseguirsi di dimissioni, situazione che crea un grande scompiglio, secondo me i sette consiglieri federali dovrebbero riuscire a concordare il momento di lasciare il governo. L’uscita contemporanea di due o tre membri sarebbe ideale e ci eviterebbe tutta questa discussione sulla rappresentanza linguistica e di genere in Consiglio federale. Ed io già oggi le saprei dire con certezza chi verrà eletto dall’Assemblea federale il 20 settembre: Cassis e una donna.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 settembre 2017 • N. 36

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Politica e Economia

Un federalismo in movimento

Analisi U no studio internazionale tenta di misurare le tendenze alla centralizzazione in Svizzera, che è evidente

a livello legislativo, ma non esecutivo. Determinante per il futuro la collaborazione fra Berna e i Cantoni

Ignazio Bonoli Anche in Svizzera, paese federalista fin dalla sua nascita, il processo di centralizzazione avanza a grandi passi. Il ruolo del Comune, cellula costitutiva di tutto l’ordinamento federalista, sta sempre più cedendo il posto ai grandi agglomerati. Questo movimento significa una notevole perdita di potere a livello locale, potere che viene trasferito a un organismo centrale, che cambia radicalmente il modo di operare a favore della comunità, privilegiando il concetto globale e dimenticando spesso e volentieri le particolarità locali. Questo nuovo indirizzo non dimentica i Cantoni. Entità che se, formalmente, conservano l’indipendenza propria e costitutiva della Confederazione, in pratica devolvono sempre più il processo legislativo a quest’ultima, diventando così gli esecutori di leggi e direttive, alla cui formulazione possono partecipare solo in parte, condizionati dalle regole dello stesso metodo democratico di governo. La discussione politica su questi temi sta prendendo tre direzioni principali. Da un lato vi sono coloro che vorrebbero distanziarsi dalla centralizzazione in atto a livello federale, che riduce i Cantoni a meri esecutori di ordini superiori. Per costoro soltanto una ulteriore decentralizzazione, oppure una migliore suddivisione dei compiti, sul modello della compensazione finanziaria intercantonale, potrebbe migliorare la situazione. Su un piano diverso si

muovono invece coloro che vorrebbero una diversa impostazione del territorio nazionale. Secondo questi riformatori gli attuali confini cantonali non rispecchiano più la situazione reale odierna. Molti Cantoni sono troppo piccoli per potersi governare in modo autonomo, troppo poveri per praticare l’autarchia e taluni perfino troppo dispersivi o frammentati per poter godere della necessaria legittimazione politica. Per risolvere il problema vengono oggi proposte soluzioni come quella delle fusioni intercantonali che farebbero della Svizzera una Confederazione di dodici Cantoni. Tra queste due posizioni estreme troviamo idee più pragmatiche, pronte ad assimilare le migliori suggestioni, ma volte a migliorare la collaborazione intercantonale, quale unica via d’uscita da una situazione di stallo che si sta prospettando. Un difetto insito in questa proposta viene però subito visto nel fatto che le trattative vengono condotte dai governi cantonali, con il pericolo di aggirare il controllo democratico da parte del parlamento e del popolo. Già oggi la collaborazione intercantonale funziona attraverso 800 concordati e oltre 50 conferenze, che costituiscono un quarto livello nei rapporti tra Cantoni e Confederazione. Inoltre la più recente Conferenza dei governi cantonali dovrebbe fungere da freno a una più forte centralizzazione a livello federale. Del tema si è occupato a fondo un progetto di ricerca internazionale, condotto a livello svizzero da Sean Müller, dell’Istituto di scienze politiche dell’U-

Palazzo federale: si percepiscono spinte verso una centralizzazione, ma nel confronto internazionale lo Stato resta molto decentralizzato. (Keystone)

niversità di Berna e Paolo Dardanelli dell’Università del Kent e capo del progetto. Dapprima si è valutata l’evoluzione storica dal 1850 al 2010, constatando che in questi anni la concentrazione a livello federale – sulla base di 22 criteri politici utilizzati – si è intensificata a favore della Confederazione e non dei Cantoni (che significherebbe una decentralizzazione). Nel confronto internazionale, però, la Svizzera resta uno Stato molto decentralizzato. Questa centralizzazione avviene soprattutto a livello di leggi emanate a livello federale. Lo è meno per la loro applicazione a livello cantonale e ancor

meno se si considera la distribuzione delle risorse finanziarie. Il che significa che, in Svizzera, Cantoni e Comuni conservano una certa autonomia gestionale. Tuttavia il divario fra legislazione e applicazione (o esecuzione) resta sempre aperto, confermando il fatto che i Cantoni restano spesso meri esecutori di leggi federali. Questo perché la Confederazione rinuncia a vincoli stretti di esecuzione e i Cantoni, con le leggi d’applicazione, conservano un certo margine discrezionale, per cui rinunciano a legiferare in modo autonomo. Lo studio dimostra che una formale, ma profonda, suddivisione dei

compiti resta ancora da fare. Ma questo dipende dal fatto che i Cantoni sono interessati (consultazioni) fin dall’inizio al processo legislativo, che spesso passa anche attraverso la volontà popolare. Questo offre al potere locale buone possibilità di partecipare all’attività legislativa federale. Tutta la discussione dovrebbe tener conto del vero spirito federalistico e non ridursi a un rapporto costi – benefici e alla dimensione ottimale del Cantone. Si tratta in sostanza di rinforzare i Cantoni, non in concorrenza, ma in accordo con la Confederazione. Come avviene del resto – concludono gli autori – da oltre 170 anni. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

La previdenza ottimale per i lavoratori indipendenti La consulenza della Banca Migros

Jeannette Schaller, responsabile della pianificazione finanziaria alla Banca Migros

«La mia azienda è la mia previdenza per la vecchiaia». Questo è il motto di molti lavoratori indipendenti, i quali sperano di poter un giorno rivendere la propria attività realizzando un ricavo sufficiente a finanziare la propria pensione. Purtroppo, non sempre i conti tornano. Chi vuol essere sicuro al cento per cento dovrebbe investire non solo nella propria azienda, ma anche in una soluzione di previdenza. La forma giuridica scelta è un fattore decisivo per determinare le soluzioni di previdenza alle quali si può fare ricorso. Chi sceglie una SA o Sagl è considerato un collaboratore della propria azienda e deve quindi affiliarsi a una cassa pensioni. Ha inoltre la possibilità di versare fino a 6768 franchi l’anno nel pilastro 3a. Con questa forma giuridica il titolare dell’azienda deve anche pagare i premi dell’assicurazione contro la disoccupazione e di quella obbligatoria contro gli infortuni professionali, nonché rispettare un’ampia serie di obblighi contabili. Pertanto, molti lavoratori indipendenti preferiscono la persona fisica, ovvero in forma di ditta individuale oppure sotto forma d’una società di persone. Inoltre, questa scelta offre numerose opzioni per la previdenza. I titolari di una ditta individuale o di una società di persone possono rinunciare all’affiliazione a una cassa pensioni. In cambio hanno

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diritto a versare fino a 33’840 franchi l’anno nel pilastro 3a. In alternativa possono scegliere l’affiliazione a una cassa pensioni, combinata con la possibilità di versare nel terzo pilastro un importo massimo pari a 6768 franchi l’anno. Se la ditta non impiega collabo-

ratori, si può ricorrere alla Fondazione istituto collettore LPP o a un istituto previdenziale legato alla rispettiva associazione professionale. Chi invece impiega dei collaboratori, deve assicurarli presso una cassa pensioni dal momento in cui il compenso percepito da questi ultimi

Fonte: BfS/Eurostat 2016

Jeannette Schaller

supera il salario minimo LPP. A tal fine si può ricorrere alla propria associazione professionale, anche se non è obbligatorio. Anche il titolare dell’azienda può in seguito decidere di affiliarsi allo stesso istituto previdenziale presso il quale è assicurato il personale. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Finlandia, 100 anni di indipendenza La Finlandia è indipendente da 100 anni. Dopo essere stata, fino al 1809, parte del regno svedese, e poi, dal 1809 al 1917, granducato russo, la Finlandia ha conquistato la sua indipendenza con la rivoluzione russa lottando contro la stessa. Da noi, la grande nazione scandinava è poco conosciuta. Al massimo sono gli sportivi a rendercela un pochino più nota. Nell’area commerciale della stazione centrale di Helsinki – che per i finlandesi è l’edificio più brutto della capitale anche se disegnato dal grande architetto Sarinen – c’è il «ristorante dello sport» che sfoggia sulle sue pareti le fotografie di molti di questi sportivi, in particolare dei giocatori di hockey su ghiaccio. Di taluni, penso siano i grandi campioni, ci sono addirittura delle biografie fotografiche che ne mostrano la carriera, dalle squadre giovanili fino alla NHL. Le persone che come me hanno superato i settanta, conoscono anche

gli atleti Paavo Nurmi e Lasse Viren le cui statue si trovano un chilometro più in là, davanti allo stadio, dove, nel 1952, si tenne la prima olimpiade del secondo dopoguerra mondiale. Sempre i più anziani si ricordano anche dell’architettura finlandese – oltre a Sarinen possiamo citare almeno gli Aalto Aino e Alvar – che nella prima metà del ventesimo secolo era certamente agli avamposti dell’architettura europea. All’Ateneum, sempre nelle vicinanze della stazione, si può visitare attualmente un’esposizione su Alvar Aalto dedicata in particolare anche ai suoi rapporti con gli artisti europei suoi contemporanei. Degli Aalto sono presenti, soprattutto nella capitale, numerosissime testimonianze come, per non citarne che una, la Finlandhall. Gli Aalto sono però all’origine anche del «design» finlandese che occupa oggi un intero quartiere del centro della capitale ed è diventato – come in

Italia – un ramo di produzione importante anche in termini di esportazione. Artex, la ditta di design, fondata dagli Aalto e da altri architetti e designer finlandesi degli anni Trenta del secolo scorso, ha tuttora un grande negozio nel centro di Helsinki. Ma gran parte delle sue sedie e delle sue lampade sono oggi prodotti dalla Vitra di Weil am Rhein. L’economia finlandese non si trova nelle migliori condizioni. Per i finlandesi questa non è una novità. La Finlandia ha una risorsa importantissima: il legno dei suoi boschi. Tuttavia, da quando, dopo la seconda guerra mondiale, l’industria della carta è andata via via sparendo, e da quando, 50 anni dopo, l’esportazione finlandese ha dovuto riorientarsi dai mercati dei paesi socialisti verso i mercati occidentali, la Finlandia non ha conosciuto che grosse difficoltà a livello economico. Ma ha sempre trovato il modo di uscire dalle stesse grazie a una classe di

imprenditori molto innovativi. Tutti conoscono il caso della Nokia che ha rimpiazzato una grande segheria con la fabbricazione di telefonini. La Nokia non è tuttavia un’eccezione. Io stesso ho potuto visitare una fabbrica di medie dimensioni che si era riconvertita, dopo la seconda guerra mondiale, da produttore di cannoni a costruttore di grandi rotative ed era riuscita a conquistarsi, in pochi anni, una fetta significativa del mercato mondiale. Possiamo affermare che, per i finlandesi, che hanno un territorio frazionato in migliaia di isole, anche in economia, non c’è terraferma. Un discorso a parte merita la lingua. Se la Finlandia esiste solo dal 1917, la lunga lotta per fare adottare il finlandese come lingua ufficiale è cominciata già verso la metà dell’Ottocento. La lingua del popolo è però diventata lingua ufficiale solo verso il 1870. In quell’anno fu pubblicato anche il primo romanzo in

lingua finlandese. Tuttavia lo svedese continuò ad essere la lingua delle élite almeno fino alla seconda guerra mondiale, anche se la quota della minoranza svedese nella popolazione continuava a diminuire. Oggi lo svedese non è più lingua obbligatoria per gli esami di maturità e c’è anche chi lo vuol bandire come seconda lingua ufficiale. Nella mia breve visita non ho visto grandi celebrazioni per il centenario. Il governo aveva previsto di portare a termine il nuovo edificio della biblioteca centrale di Helsinki entro il 2017. Ora si sa che non sarà finito prima dell’anno prossimo. La struttura portante di questo edificio in acciaio bianco, somiglia un poco al guscio di una tartaruga. Come si sa la testuggine è simbolo di creazione, costanza, determinazione, stabilità, pazienza e longevità. Sono tutti attributi che possiamo usare per descrivere il carattere finnico.

deserto, la traversata del Mediterraneo, l’accoglienza in Italia, il passaggio nel Nord Europa. L’ultimo anello è saltato da tempo, con la sospensione di fatto di Schengen e la caccia all’uomo con i cani sul versante francese. Il terzo anello non può e non deve saltare, perché non possiamo lasciar morire la gente in mare o di fame in Italia. Si sta lavorando, con l’embrione di Stato libico e con i Paesi subsahariani, per smontare i primi due. I risultati, ovviamente da verificare e consolidare, dimostrano che il problema è complesso ma non irrisolvibile. Posso dire intanto che sul futuro dell’Africa sono ottimista. Ci siamo fatti l’idea di un Continente miserrimo e disperato. Non è così, sta crescendo una generazione fiera, che andrebbe aiutata non con donazioni ai dittatori (che per fortuna invecchiano e tendono a sparire) ma con progetti concreti. Ad esempio eradicare la malaria, di cui gli africani non parlano quasi mai perché se ne vergognano o la considerano un accidente necessario, mentre è un grave freno allo sviluppo.

Nel frattempo in Italia è scoppiata la psicosi dell’occupazione abusiva da parte dei migranti. Le scene viste nel centro di Roma (foto), con scontri e idranti, hanno fatto nascere una sorta di psicodramma collettivo. Lo sgombero è uno degli interventi di polizia più complessi. Si tratta di riparare a un’ingiustizia e a un danno – inflitto a un privato o all’erario – senza creare ingiustizie e danni più gravi. Credo che il massimo della difficoltà sia appunto uno sgombero a pochi metri dalla stazione più importante della capitale italiana (scommettiamo che se fosse accaduto in un’altra città l’attenzione sarebbe stata inferiore?), avendo di fronte persone aggressive pronte a battersi, confuse tra persone inermi tra cui molti bambini. In un contesto così arduo, criminalizzare un dirigente di polizia per una frase sbagliata, una minaccia inaccettabile ma sfuggita in un momento concitato, mi pare eccessivo. Il punto è che uno sgombero diventa ancora più complesso se non si ha un posto dove portare gli sgomberati. Un conto è trasferire

un gruppo di famiglie o di individui da una casa occupata illegalmente a una casa dove possono risiedere legalmente. Un altro è disperderli nei giardinetti del centro. La difesa della proprietà privata e dell’interesse pubblico è sacrosanta. Ma l’allarmismo non aiuta. Così come, dall’altra parte, i raffronti con i fatti della Diaz durante il G-8 di Genova nel 2002 e altre esperienze amare del passato sono fuori luogo. Stabilire che prima di sgomberare donne e bambini si deve sapere dove portarli mi pare un principio di civiltà, oltre che un modo per aiutare i poliziotti di uno Stato democratico a fare il loro dovere e ripristinare la legalità senza violare diritti o ricorrere a violenze che la stragrande maggioranza di loro preferirebbe di gran lunga evitare. A inasprire gli animi, torna la legge sullo ius soli, che concede la cittadinanza dopo un ciclo di studi. Un provvedimento giusto in astratto, ma che in questo contesto incandescente rischia di essere scambiato come un incentivo a partire per l’Italia.

abdicare, cedere alle cavallette prima di combattere. Una lotta che deve andare di pari passo con lo sforzo di recuperare il sedimento della tradizione, le voci e i mormorii della valle. La miglior difesa sarebbe la cultura, ovvero la consapevolezza di entrare in un mondo riservato e fragile, portatore di un passato dolente; una valle in cui per molti secoli è stato difficile vivere, tra dirupi, cenge, frane e disgrazie d’ogni genere. È la Verzasca svuotata dall’emigrazione che ritroviamo in tante pagine «vere e amare» di Piero Bianconi, in libri come Croci e rascane (testi composti durante la seconda guerra mondiale), come l’intramontabile Albero genealogico (1969), oppure nei volumi, smilzi ma intensi, di Anna Gnesa (1904-1986). E proprio sull’opera di questa prosatrice dimenticata vorremmo qui richiamare l’attenzione, come possibile contraltare al modello

usa-e-getta sopra descritto. Un modo di assimilare la valle col passo lento, lontano dalla carrozzabile, e attivando sensi come la vista, l’udito, l’olfatto. Osservava la scrittrice in Questa valle (1974): «La Verzasca più vera oggi bisogna cercarla al di fuori dei luoghi battuti. Soltanto le case più intatte e le solitudini hanno serbato il potere medianico di rievocare il volto e la vita di coloro che vissero qui. Pare che la loro immateriale presenza si ritiri, scacciata da immemori o ignari, in una zona sempre più lontana, dove nessun sopravvenuto ha finora cancellato le tracce del passato». Studi a Zurigo, con una tesi sulla prosa d’arte di Emilio Cecchi, Anna Gnesa aveva trascorso un periodo all’estero, a Damasco, prima di insegnare nelle scuole maggiori di Caslano, Tenero e Gordola. Durante l’estate era solita raggiungere Brione, e di lì perlustrare con gli occhi e con l’apparecchio

fotografico i terrazzi che gli antenati avevano faticosamente lavorato. «La valle è casa nostra. Se sappiamo conservarla, in un tempo sempre più affollato e avvelenato vi potremo, con consapevolezza nuova, ritrovare le sorgenti. E a qualcuno forse sarà dato d’incontrare tra le vette, in silenzio e trasparenze, le lontane primavere degli avi». «Silenzio», «solitudini», «tracce», «passato». Parole che il rullo compressore del turismo moderno pialla ed espelle dall’orizzonte mentale della sua distratta clientela ridotta a gregge. Non sappiamo come, ma sarebbe bello se nello zaino del popolo della Rete trovasse posto, accanto al telefonino, anche qualche testo di questa schiva autrice, volumetti ancora presenti nel catalogo delle edizioni Dadò: la citata Questa valle e Lungo la strada (1978), con prefazione di Mario Agliati. Pia illusione?

In&outlet di Aldo Cazzullo Il dramma degli sgomberi una, una sola, che volesse venire in Italia. Ne ho trovate moltissime che volevano sfuggire al destino che sentono scritto per loro. Finora a un africano che volesse andarsene è arrivato questo messaggio: la porta dell’Europa e di una vita migliore è Lampedusa, sono le coste siciliane e pugliesi, via Libia. È evidente che occorre smontare questo meccanismo insostenibile, che per anni ha avuto quattro fasi: il viaggio nel

AFP

L’Europa finalmente si sta occupando seriamente dei migranti. La rotta del Mediterraneo va chiusa, e farlo è possibile. Qualche passo in avanti nella giusta direzione è stato fatto, grazie anche a Marco Minniti, che è un bravo ministro dell’Interno. Anche se la soluzione è ovviamente lontana. Ho passato il mese di agosto in Africa, in sei Paesi diversi. Ho parlato con centinaia di persone. Non ne ho trovata

Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti La «bella estate» verzaschese Turismo, quale turismo? La questione è annosa e agita il sonno di molti, dagli operatori ai ristoratori, fino agli abitanti che hanno la fortuna/sfortuna di assistere all’arrivo di sciami di gitanti. Ne sanno qualcosa i verzaschesi, che ad un tratto, a seguito di un sorprendente quanto imprevisto effetto di un video immesso nella Rete, si sono ritrovati al centro di un ciclone. Nelle acque smeraldine del fiume si sono gettati plotoni di giovani, stregati dal fascino di queste «Maldive alpine», flutti che defluiscono placidamente tra rocce, mulinelli e massi levigati come guance, in un moto quasi giocoso, primigenio, apparentemente innocente. «Chiare, fresche e dolci acque / ove le belle membra…». Ma ecco la domanda: è desiderabile, è sostenibile un’invasione del genere in una regione che, come altre vallate alpine, si regge su delicati equilibri naturali? La Verzasca non è attrez-

zata, né lo sarà mai, per diventare un complesso montano globale. Questo non significa che debba respingere chi intende visitarla; ma, appunto, ciò che chiede non è la carovana sguaiata e cafona, interessata unicamente alle prodezze natatorie, ma il turista tranquillo, curioso, attento alla dimensione ecologica, rispettoso delle esigenze degli autoctoni. Conosciamo l’obiezione: si sogna una figura di turista che non c’è più; che forse esisteva ai tempi del «grand Tour», quel viaggiatore aristocratico che scendeva dalle carrozze con il taccuino in mano, pronto a registrare impressioni, curiosità, reazioni e umori dei nativi per poi riversarle con prosa elegante in diari e guide. È vero: quei personaggi sono scomparsi, spazzati via dall’avvento dei viaggi organizzati, frenetici e divoratori (ne sanno qualcosa città come Venezia e Barcellona). Tuttavia sarebbe peccato


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 settembre 2017 • N. 36

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Cultura e Spettacoli Al via PiazzaParola Nell’appuntamento luganese con la letteratura molto spazio sarà dedicato alla musica

Veicoli d’emozione Emoji, e chi non li usa? Ora se ne è fatto anche un film, che si rivela un flop pagina 39

pagina 37

L’energia di R.R. Junghanns In mostra a Mendrisio le opere dell’artista tedesco Junghanns, amico di Emmy Hennings pagina 41

Contro la morte

Letteratura Adelphi ha dato alle stampe

il libro che Elias Canetti si portò dentro per cinquant’anni

Luigi Forte Per il mitteleuropeo Elias Canetti, premio Nobel per la letteratura 1981, la morte fu un’ossessione costante. Era il tema della sua più intima e preziosa opera, che però non riuscì mai a scrivere, pur riempiendo nel corso degli anni migliaia di pagine con riflessioni, pensieri, aforismi, invettive e battute surreali, di cui una piccola parte viene ora presentata al lettore italiano da Adelphi ne Il libro contro la morte a cura di Ada Vigliani. Elias aveva perso il padre, ricco commerciante bulgaro di origini sefardite, a sette anni nel 1912, e fin da allora l’angoscia di quel vuoto si trasformò in ribellione, mentre dentro di lui sopravvivevano i suoi morti. Della madre carissima, scomparsa nel 1937, ebbe a scrivere: «Io le presto il mio respiro. Lei camminerà con le mie gambe». Il suo sogno era rappresentare la morte come se non ci fosse, e in ogni caso opporsi al terribile paradosso per cui tutto ciò che si è accumulato, quell’«incredibile deposito di ricordi e abitudini, di domande procrastinate, di risposte tremebonde» è destinato a scomparire quando la vita si spegne. Tutto per niente, dunque? L’interrogativo sprigiona una resistenza accanita che ben si allinea ai versi del grande poeta inglese Dylan Thomas: «Non andartene docile in quella buona notte, / (...) Infuria, infuria contro il morire della luce». Questo moderno Don Chisciotte sbalzato da una provincia marginale dell’Impero absburgico (era nato a Rustschuk, cittadina dell’odierna Bulgaria sul basso Danubio) in grandi metropoli europee come Londra e Vienna, Francoforte e Zurigo, intraprende una battaglia senza speranze. È il suo paradosso e la sua vera identità: annullare da una posizione di debolezza il perverso carisma della morte. E lo fa brandendo la scrittura e ricordando che anche per lui, come per Kafka, scrivere è pregare. Non ha dubbi sugli strumenti della lotta: a ogni frase che annoti – suggerisce a se stesso – riguadagni un pezzo della tua vita. E dunque occorre scrivere finché non si chiuderanno gli

occhi, finché non verrà meno il respiro, perché nella lunga scia di parole lasciata dalle sue fedeli matite egli ritrova miracolosamente la forza per opporsi a ogni dissolvimento. Non più smarrito, disperato o vulnerabile, ma assolutamente sicuro e pronto a ridare voce a ciò che di più caro la vita gli ha eclissato, in un mondo che egli sente come una fantasmagoria inesauribile. Canetti restava fedele all’immagine di sopravvissuto, come amava definirsi, radicato nel presente per rubare al tempo i tesori della propria memoria. Ma via via le immagini si sono rarefatte e questo minimalista del pensiero ha posto non di rado fra sé e il lettore insondabili schegge di parole, frammenti insoluti, oltre la cui soglia è talvolta arduo inoltrarsi. Anche in questo libro non c’è inevitabilmente un unico percorso. Riemerge il tema del potere che l’autore ha coltivato da sempre, inscindibile dall’arroganza della morte che ne è la vera essenza. Non a caso lo scrittore inizia il suo furioso zibaldone nel 1942 mentre il mondo è preda di un delirio distruttivo e Dio, a suo parere, «ha sulla fronte il marchio di Caino della guerra». A distanza di tempo ricorderà dittatori come Stalin e Saddam, il nazismo e il tragico destino degli ebrei e per anni si dedicherà come un vero detective alla stesura di un imponente saggio sociologico, Massa e potere, «afferrando il secolo alla gola» e tentando – come si legge in queste pagine – «di rintracciare tutti i delitti compiuti dal potere» e «l’intento persecutorio dentro di noi». Il libro contro la morte è fatto di note senza tempo, veri e propri diagrammi dell’anima filtrati da un’ossessione che tuttavia si stempera in infinite prospettive: dalla metempsicosi all’idea di Dio, il paranoico – suggerisce lo scrittore – che annienta gli uomini perché da essi si sente perseguitato; e poi il buddhismo e Maometto, le teorie politiche dell’800 e la tragedia del nazismo. Dolcissimi anche i ricordi delle due mogli: Veza, la prima scomparsa nel 1963, e poi Hera Buschor, museologa e restauratrice svizzera da cui ebbe nel 1972 la figlia Johanna. Non manca-

Elias Canetti (1905-1994), qui in un’immagine del 1975, era di origini bulgare. (Keystone)

no brevi flash sugli autori più amati, da Büchner, a Kafka, da Walser a Musil. Ma ben più gustose e stimolanti sono la invettive contro colleghi del livello di Nietzsche o di Eliot. Per il primo prova avversione e ripugnanza al punto da definirlo «un amante palese e in incognito dell’uccidere», mentre ritiene che il secondo, a suo parere l’intellettuale più arido del secolo, sia diventato «poeta solo perché a lui il cuore batte meno che ad altri». Il tribunale canettiano non fa sconti a nessuno: non perdona Kleist per il suo suicidio, attacca Hemingway, la cui vita gli pare superflua e dannosa e diffida perfino del giovane Thomas Bernhard, conosciuto nel 1962, definendolo ipocondriaco. Strano a dirsi, guarda però con interesse al Diario di Cesare Pavese, pieno di cose che lo appassionano, così come la sua morte, predisposta senza abuso.

Un fatto privato, per così dire. «Se ne ha notizia; ma non diventa un modello». Naturale che si senta più attratto da chi la morte la rifugge o la detesta, come Goethe o l’amato Robert Walser. Per non parlare dell’ebreo Jean Améry a cui la morte «è saltata letteralmente addosso», torturato e privato della sua dignità in un campo di concentramento. L’ebreo Canetti, non coinvolto da quella tragedia epocale, prova un senso di sconforto e di profonda vergogna per essere sopravvissuto e non aver condiviso il grande terrore. Per fortuna talvolta sa guardare in faccia la morte con surreale leggerezza. Come quando racconta di qualcuno che ama il vento e si fa cremare per poter volar via o della cassa dispersa durante il funerale, così la fossa viene riempita con i parenti in lutto su cui anche il morto, uscito dal suo nascondiglio, getta l’ultima man-

ciata di terra. E non è un caso che citi un sogno di Bun˜uel seduto a tavola con il padre morto che mangia lentamente, mentre sussurra alle sorelle e alla mamma: «Non dobbiamo assolutamente dirglielo». Forse questo era il tono giusto per scalzare la morte in una battaglia in cui la vita trasforma la sua impotenza in uno sdegnoso atto di accusa. Elias Canetti, insofferente di ogni ruolo, si assume questo compito tra glosse e aforismi, con una chiarezza e una determinazione senza cui, come diceva Stendhal, il mondo è distrutto. Bibliografia

Elias Canetti, Il libro contro la morte, a cura di Ada Vigliani, con una postfazione di Peter von Matt, Adelphi edizioni, p. 393, Є 18,00.


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Cultura e Spettacoli

Don Giovanni, rifiuto e seduzione Incontri Tra i protagonisti della settima edizione del festival PiazzaParola vi è anche il musicologo

e professore italiano Stefano Castelvecchi

Enrico Parola «Nel Don Giovanni di Mozart non c’è affatto quel binomio amore-morte che sarà fondamentale nell’estetica romantica, nel Tristano e Isotta, in Lucia di Lammermoor o in alcune eroine pucciniane. Nella seconda delle tre opere composte su libretto di Da Ponte alla morte si contrappone l’eros, la seduzione». Stefano Calstelvecchi, musicologo e lecturer al prestigioso St. John’s College di Cambridge, anticipa la trama che svilupperà nel suo intervento a PiazzaParola sul capolavoro mozartiano. «Gli organizzatori hanno scelto come tema il legame tra musica e seduzione; qui l’eros c’è, in molteplici sfumature, ma dall’inizio alla fine c’è anche lo spettro della morte» riflette Calstelvecchi, che per arrivare al cuore dell’opera parte dal livello più generale, quello della definizione stessa del genere. «Dovessi inquadrarla in due parole direi che è un’opera buffa: ci sono i personaggi popolari, un registro verbale comico e un linguaggio musicale medio, lontano dai virtuosismi vocali – le colorature – tipiche dei personaggi nobili ed eroici dell’opera seria. Ma come si può chiamare buffa un’opera che si apre con un omicidio a scena aperta – il duello tra Don Giovanni e il Commendatore – e si chiude col libertino inghiottito dalle fiamme dell’inferno?» Il musicologo romano rimarca più volte che «a condannare Don Giovanni non è l’aver sedotto centinaia di donne, in fondo neppure l’omicidio commesso, ma il rifiutare categoricamente la dimensione ultraterrena, l’Aldilà. Lo si vede quando, inseguito dai contadini che vogliono vendicare le sue avance con Zerlina proprio nel giorno delle nozze con Masetto, si ritrova col servo Leporello in un cimitero e vedendo la statua sulla tomba del Commendatore la sbeffeggia invitandola a cena. Lo spettro viene davvero, gli offre ripetutamente di pentirsi e cambiar vita, lui si rifiuta, ma quando stringe la mano della statua si stupisce del gelo che lo avvince, delle fiamme e delle voci che inizia a percepire: è come se fino a quel momento non si fosse accorto della realtà del Trascendente». Gli storici ri-

portano che la prima rappresentazione assoluta, avvenuta a Praga il 29 ottobre 1787, fu un fiasco anche perché il pubblico rimase sconcertato dal finale, la caduta di Don Giovanni negli inferi; così per il debutto viennese Mozart e Da Ponte aggiunsero l’allegra scena finale in cui gli altri personaggi festeggiano la morte del protagonista sentenziando «questo è il fin di chi fa mal». «Personalmente non sono così sicuro che sia andata davvero così, penso che il doppio finale fosse già nella mente del musicista e del poeta e la scelta avvenisse per motivi di maggiore o minore durata dell’opera». Comunque sia, la morte non si lega all’amore e così Castelvecchi chiude questo tema rimarcando come Don Giovanni sia «un libertino tout court, non solo in ambito sessuale ma anche spirituale: rifiuta la morale, la religione e l’Aldilà; è libertino anche a livello sociale, ma solo quando gli risulta comodo: rifiuta la piramide se lui, nobile, vuole conquistare una popolana, ma se c’è da far pesare il suo “don” su servi e contadini non esita a farlo». Conclusa la riflessione sulla sfera spirituale, può aprire quella sulla seduzione. «Curiosamente, in scena Don Giovanni non arriva mai a consumare la sua passione per una donna: c’è sempre un imprevisto che lo interrompe sul più bello e quindi dobbiamo fidarci del computo redatto da Leporello nel famoso catalogo in cui tiene memoria delle sue “donnesche imprese”, arrivate ormai a duemila: 640 italiane, 231 tedesche, 91 turche, 1003 spagnole…» sorride. «Ma ad esempio la scena con Zerlina è esemplare di come Mozart sappia tradurre in note il senso della seduzione». Don Giovanni interrompe il canto di nozze e allontana il promesso sposo Masetto minacciandolo (lui deve chinare il capo e obbedire) e inizia ad adulare Zerlina «con un linguaggio semplice, medio, non certo comico ma neppure minimamente aulico: Don Giovanni è linguisticamente un ibrido, si adegua e si uniforma al livello sociale della donna che vuol conquistare». Lei all’inizio è ritrosa e timorosa, poi cede; è la celeberrima aria Là ci darem la mano: «All’inizio Don Giovanni intona questa melodia flessuosa, semplice e voluttuosa a un tempo; Zerlina rispon-

Don Giovanni in una calcografia di Friedrich Wilhelm Meyer (nato nel 1770) su un disegno di Johann Heinrich Ramberg (17631840). (Keystone)

de dopo una pausa pronunciata, il botta e risposta si ripete con pause sempre più brevi e poi con le ultime note del seduttore sovrapposte alle prime della contadina, a segnare un progressivo avvicinamento. La conquista è sancita dal cullante ritmo di 6/8 in cui i due, assieme, cantano Andiam mio bene a ristorar le pene di un innocente amor; lo stesso ritmo che ritroviamo nelle Nozze di Figaro quando Susanna riconosce Figaro e i promessi sposi, dopo equivoci e sospetti, fanno finalmente e dolcemente pace». Sarà poi Zerlina a trasformarsi da vittima a seduttrice: mentre sta per appartarsi nel «casinetto» del nobile, irrompe Donna Elvira, sedotta e abban-

donata da Don Giovanni a Burgos, e rivela alla basita contadina la vera indole dell’uomo che ha davanti; lei scappa, ma non sarà facile convincere Masetto che non sia successo nulla. Inconcludente il primo tentativo («Batti batti o bel Masetto la tua povera Zerlina»), si rifarà quando raccoglierà Masetto, pesto per le percosse subite da Don Giovanni, sul ciglio della strada e per guarirlo gli prometterà un rimedio che «è naturale, non dà disgusto e lo speziale non lo può dar». «I versi di Da Ponte sono efficacissimi» commenta Castelvecchi «ma è la musica di Mozart a dare una profondità e un’intensità miracolo-

se; i due lavorarono assieme e non è un caso che proprio i libretti per le tre opere mozartiane siano il vertice artistico raggiunto da Da Ponte». Dove e quando

Stefano Castelvecchi incontrerà il pubblico di PiazzaParola mercoledì 6 settembre alle 18 al LAC in un incontro dal titolo Don Giovanni tra musica e letteratura. In collaborazione con

Di amori e di un’infanzia perduti

Narrativa In Domani è domenica, pubblicato da Keller, la ginevrina Sandrine Fabbri

fa i conti con un passato doloroso Natascha Fioretti Per raccontare l’intensità e il significato del romanzo di Sandrine Fabbri Domani è domenica bisogna partire dalla fine, da quel messaggio ultimo che è un inno alla vita, un invito a vivere, costi quel che costi, a non rinunciare mai perché vale sempre la pena rimanere e non partire. Definito dall’«Hebdo» «un’opera dalla bellezza nera e brutale», il romanzo, vincitore nel 2010 del Premio Pittard, uscito in italiano per Keller editore con la traduzione di Daniela Almansi, ripercorre la vita della scrittrice ginevrina e lo fa a due voci: quella della bambina di undici anni, testimone di una vicenda traumatica che sconvolgerà per sempre la sua esistenza, e quella della donna adulta che si getta cuore e mente in una ricerca, un’inchiesta sulla vita della madre che non ha mai avuto l’occasione di conoscere veramente. Sylvia, bernese, una donna gioiosa, elegante, indipendente e bohémienne, a 29 anni incontra Natale Fabbri, alto, biondo, occhi azzurri, di origini slove-

ne, giunto in Svizzera nel 1959, con un breve passaggio in Ticino, in fuga dalla Jugoslavia di Tito e in cerca di lavoro. Galeotto è il ballo in un Grand Hotel di Ginevra dove i due per la prima vol-

ta si incontrano, si innamorano e sulle note della musica scivolano via verso una vita insieme nella quale però, da lì a poco, si scontreranno due culture, due mentalità e due modi di vivere diversi.

La scrittrice Ginevrina Sandrine Fabbri sarà a PiazzaParola. (Keystone)

A colpire e a sorprendere più di ogni cosa, a legare il lettore a doppio filo con il racconto, è la ricercata e cesellata scrittura di Sandrine Fabbri, in passato critica teatrale per il «Journal de Genève» e la «Gazette de Lausanne», poi corrispondente per il Feuilleton di «Le Temps» a Zurigo e traduttrice di penne come Lukas Bärfuss e Sibylle Berg. La sua prosa poetica fatta di frasi cortissime che all’improvvsio, prendono fiato e corrono via, aprono scorci improvvisi, scavano e amplificano voragini di un malessere esistenziale, anima il romanzo con una scansione narrativa serrata in cui la punteggiatura taglia e ferisce come fosse un affilato fendente ma, soprattutto, diventa testimone ed espressione degli stati d’animo convulsi di quella bambina ormai adulta, alla disperata ricerca della verità. Una verità che, a distanza di anni, rimarrà comunque colma di misteri umani, ma maturerà in lei una consapevolezza che nel romanzo si fa voce prendendo a prestito le parole del poeta francese Isidore Lucien Ducasse-Lautréamont:

«Non mi lamenterò più. Ho ricevuto la vita come una ferita e ho proibito al suicidio di guarire la cicatrice. Voglio che il Creatore ne contempli, in ogni ora della sua eternità, il crepaccio spalancato». E se da un lato Domani è domenica, sullo sfondo di una Ginevra tra gli anni Sessanta e Settanta, ricostruisce i frammenti di una storia famigliare sbriciolata, di un amore materno perduto proprio prima di quella partenza così attesa per le vacanze al mare in Italia, dall’altro racconta uno scorcio di storia europea quasi dimenticata: l’Istria italianizzata, il destino degli sloveni, la guerra dei Balcani. Dove e quando

Sandrine Fabbri sarà ospite di PiazzaParola venerdì 8 settembre nella Sala refettorio del LAC, ore 18.30. In collaborazione con


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Cultura e Spettacoli Christina Aguilera con un’emoji in occasione della prima del film, avvenuta in luglio a LA. (Keystone)

Vestire i libri

Editoria Le copertine come vestito dei libri

in un volumetto saggio della scrittrice anglobengalese Jhumpa Lahiri

Stefano Vassere

Emozioni emoji

Cinema Il primo film dedicato alle faccine che riempiono le nostre

vite e i nostri smartphone approda al cinema: un flop

Mariarosa Mancuso Il film più brutto dell’estate. Forse dell’anno. Ben piazzato per essere tra i brutti film del decennio. Nessuno si aspettava granché da The Emoji Movie di Anthony Leondis (dallo scorso luglio nelle sale americane, in Ticino a fine settembre). Dopotutto, era il punto più basso nella categoria delle cose che diventano protagoniste di film.

La trama del film sugli emoji è misera, per contro le faccine potrebbero avere un futuro nella poesia The Lego Movie e Lego Batman (da una costola del precedente) sceglieva una marca con storia e dignità, capace di cadere e rialzarsi (i mattoncini erano al minimo storico quando misero in cantiere i pupazzetti con i personaggi di Star Wars e compagnia). Vale lo stesso per Barbie di Alethea Jones, annunciato con la comica Amy Schumer ora sostituita da Ann Hathaway (in uscita l’estate prossima). La bambola è un’icona, le polemiche non hanno fatto altro che svecchiarne l’immagine, e la trama ha un tocco di femminismo light, ecco perché nessuna delle due attrici somiglia al modello: una Barbie con qualche difetto viene cacciata da Barbieland e si rifugia nel nostro mondo. All’origine di tutto, vale la pena di ricordarlo, ci fu la mitica Pixar con Toy Story: i giocattoli che temono i compleanni e il Natale, sanno che arriverà la concorrenza ad attirare l’interesse e l’affetto dei bambini.

Gli emoji sono troppo giovani e troppo semplici per reggere un film. Figuriamoci per rivoluzionare il linguaggio e renderlo finalmente universale, come sostiene qualcuno che ancora non si è ripreso dal crollo della Torre di Babele (e non ha curiosato tra le centinaia di progetti intenzionati a riformare le imperfette lingue che parliamo, tutti falliti). Esempio pratico e banale: diciamo «uomo», la parola non porta con sé altre connotazioni, si può usare per i bianchi per i neri e per i gialli. Le faccine «umane» degli emoji – evoluzione dello smile, se vogliamo – sono nate gialline, e ora esistono in tante sfumature, dal rosa fino al nero, con i capelli crespi e lisci. Non sembra un grande passo avanti, in vista della semplificazione (neanche considerando la preoccupazione, sempre più assillante, di non offendere o escludere nessuno). Sembra un paradosso, ma gli emoji mancano di emozioni. Perlomeno, di quelle che servono a una storia. Ognuno è fissato nella sua, nel gergo degli sceneggiatori significa che non si dà evoluzione del personaggio: la cosa peggiore che possa succedere in un film. È successo lo stesso con la faccina che comunica «sto scherzando», da mettere quando non siamo sicuri della reazione dell’interlocutore, o temiamo di averla sparata grossa. Le diverse risate – grasse, stizzite, di cuore, di testa – sono appiattite sulla smorfietta dell’emoji predisposto. Il flop di The Emoji Movie si poteva prevedere a tavolino, come capita in certi film italiani già fallimentari in fase di sceneggiatura (che però vengono comunque finanziati). La Columbia Pictures si è lasciata trascinare dalle sirene del giovanilismo – ormai nelle

sale vanno solo gli adolescenti, oppure le pantere grigie come Robert Redford e Jane Fonda (alla mostra di Venezia per ritirare il premio alla carriera), mentre gli adulti soffrono. Ragionando come chi è convinto che un account Facebook o Instagram risolvono i problemi dell’azienda. La trama racconta un emoji che fa sempre la faccina sbagliata. A differenza dei suoi compagni – chiusi nelle loro cellette – egli è difettoso, l’avventura consiste nel trovare qualcuno che lo ri-programmi. Ci sarebbe potuta essere una possibilità di trama alla Divergent – altra saga cinematografica per adolescenti: allo scoccare dei 16 anni un test attitudinale ti sistema tra gli Intrepidi o tra gli Eruditi, tra i Candidi o tra i Pacifici; se non entri in nessuna categoria ti uccidono, perché destabilizzi la società. Qui niente, l’unico momento da dibattito arriva quando «dammi il cinque» viene sostituito dal «pugno contro pugno» (nero). Sfortunati al cinema, gli emoji sono fortunati in poesia. La Paris Review ha appena indetto un concorso di poesia che li coinvolge. «I poeti immaturi imitano, i poeti maturi rubano», sosteneva T. S. Eliot. I millennials traducono poesie famose in emoji. Sul sito, tre composizioni con faccine e simboli, bisogna risalire all’originale. Due le abbiamo azzeccate: una subito – Oh capitano mio capitano di Walt Whitman, e una quasi subito – La Tigre di William Blake. La terza ha resistito ai nostri sforzi, finora. E dire che avevamo fatto esperienza leggendo un Moby Dick tradotto in emoji, dove l’incipit «Chiamatemi Ismaele» era reso con un telefono, vecchio modello da tavolo con tanto di cornetta.

«Ciò che viene messo addosso alle mie parole – le copertine dei miei libri – non è scelta mia. Mi trovo a volte costretta ad accettare copertine che trovo sgradevoli, problematiche, deludenti. Tendo a cedere. Mi dico: lascia perdere, non vale la pena di combattere. Ma poi ne resto afflitta, risentita». Jhumpa Lahiri è una scrittrice inglese di origini bengalesi; è nota ai lettori italiani per avere scritto, qualche anno fa, un’appassionata cronaca di come sia stata raggiunta con determinata fatica la sua acquisizione della lingua italiana. E per avere scritto quel libro, a riprova dell’esito felice del progetto, non in inglese (che è l’inglese), non in bengalese (che ha qualche centinaio di milioni di parlanti), ma direttamente in italiano. Anche questo ultimo Il vestito dei libri, dedicato alle copertine, ha una storia simile, ma più complicata: il testo della conferenza che ne è lo spunto è stato scritto in italiano, poi il marito dell’autrice l’ha tradotto in inglese per un’edizione con testo a fronte pubblicata una prima volta in Italia. Poi i due testi sono serviti per preparare la prima edizione inglese, che poi l’autrice ha definitivamente tradotto in italiano per fare questo libro. Il meno che si possa dire è che la Lahiri è attenta alle versioni, alle traduzioni, alla lingua italiana. Le copertine dei libri fanno parte di quello che lo strutturalista francese Gérard Genette chiama il peritesto editoriale; raramente il testo letterario si presenta nudo al proprio lettore: c’è tutto un apparato del libro che quella stessa tradizione chiamò dintorni del testo, che sta sulla soglia e raggruppa la copertina appunto ma poi anche il formato del volume, la strutturazione in collane, sguardie e occhielli, elementi impliciti come la scelta del carattere e dei corpi, titoli, dediche, epigrafi e molto altro. Però, rispetto alla pedanteria della nouvelle critique francese, la Lahiri ci mette molto della dolcissima fantasia che i suoi lettori già conoscono. Per esempio, quando

Poco originale? La copertina Guanda del libro di Jhumpa Lahiri.

rovescia un po’ i termini dicendo che la copertina, che per noi è una soglia, suona per lei soprattutto come un distacco: entra in scena solo quando un libro è terminato e quindi pronto per nascere in senso stretto. «Mentre per la casa editrice la copertina significa l’arrivo del libro, per me invece significa un addio». Confessa l’autrice di avere comprato più di un libro (anche? Soprattutto?) per la sua copertina; e noi con lei (per chi non ci crede: certamente Kitchen di Banana Yoshimoto, ma anche Filologia dell’anfibio e altri di Michele Mari, Pao Pao di Pier Vittorio Tondelli, qualche Sellerio per il «francobollo» attaccato al centro, qualche Adelphi per l’austera e misteriosa assenza di differenze nelle sue copertine, di recente Il ragazzo cattivo di Kate Summerscale). La copertina fa parte della serie di cose che acquistiamo acquistando un libro: se è di qualità si acquista qualità, ovviamente, che tra l’altro non si acquista acquistando (sempre che si possa parlare di acquisto) un libro elettronico. La copertina dice qualcosa anche quando è seminuda; come nel caso delle collane, le cui grafiche sono «sobrie e generiche» e si riconoscono immediatamente, come se appartenessero, seppur diverse, a una stessa famiglia. Certo che dopo una sessantina di pagine a spiegare in lungo e in largo e con passione come deve essere o non deve essere curata e amata la copertina dei libri, non si sa bene che diavolo possa pensare Jhumpa Lahiri al cospetto della copertina di questo libro. Che si chiama Il vestito dei libri e accoglie tutti col disegno anni Ottanta di una specie di doppiopetto aperto sul titolo e fatto di tessuto blu a lisca di pesce; con tanti saluti per l’originalità. Di solito in questo campo l’Editrice Guanda non è mai superficiale: qui, visto il testo, il peritesto avrebbe potuto cercare di «stupirci» un po’ di più. Bibliografia

Jhumpa Lahiri, Il vestito dei libri, Milano, Guanda, 2017.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 settembre 2017 • N. 36

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Cultura e Spettacoli

Espressioni in movimento

Mostre Alla Galleria Baumgartner di Mendrisio le opere dell’artista tedesco Reinhold Rudolf Junghanns Alessia Brughera

Reinhold Rudolf Junghanns, nato a Zwickau nel 1884, è stato raffinato disegnatore e incisore. Se in vita ha goduto di piena stima da parte della critica e dei colleghi per la tecnica ricercata e il tratto sapiente, dopo la sua morte, avvenuta nel 1967, non sono state molte le occasioni espositive che lo hanno visto protagonista. Particolarmente significativa, dunque, è la rassegna a lui dedicata allestita presso la Galleria Baumgartner di Mendrisio, mostra che intende approfondire il percorso creativo dell’artista tedesco attraverso un’ampia selezione di opere emblematiche del suo stile dalla grande carica espressiva. Arricchita da numerosi viaggi in tutta Europa, la formazione di Junghanns avviene dapprima a Dresda negli anni in cui nella città il gruppo Die Brücke incomincia a sovvertire le vecchie convenzioni dell’arte tramite «la spontaneità dell’ispirazione». Poi è la volta di Monaco di Baviera, culla anch’essa, a inizio Novecento, di grandi fermenti avanguardistici, con il movimento Der Blaue Reiter a tracciare una nuova rotta verso una pittura intuitiva fatta di associazioni spirituali e simboliche. Proprio a Monaco Junghanns, arrivato nel 1908, coltiva rapporti con molte figure di rilievo del panorama artistico e letterario europeo: conosce Vasilij Kandinskij (e le sue teorie sullo stretto legame tra arte e musica), frequenta il pittore austriaco Oskar Kokoschka e stringe una profonda amicizia

Di Reinhold Rudolf Junghanns, Donna in pensiero, carboncino.

con il poeta e scrittore Rainer Maria Rilke. Qui, nel 1912, incontra anche la giovane attrice Emmy Hennings, colei che sarà sua modella prediletta e musa ispiratrice fino a quando diventerà la compagna del dadaista Hugo Ball, con cui animerà il celebre Cabaret Voltaire di Zurigo. Povera e tormentata, la Hennings accetta il supporto economico e morale di Junghanns, che la ritrae in molti lavori da cui emerge la capacità

Storie di ordinario eroismo Filmselezione Dunkirk trascende

la retorica del film di guerra Fabio Fumagalli **** Dunkirk, di Christopher Nolan, con Tom Hardy, Cillian Murphy, Mark Rylance, Kenneth Branagh (Gran Bretagna – Stati Uniti 2017)

Raccontata da un inglese, la storia di una formidabile quanto misconosciuta «vittoriosa sconfitta». Quella del maggio 1940, quando 340’000 soldati britannici e francesi accerchiati dalle truppe della Wehrmacht a Dunkerque, riuscirono a rientrare sani e salvi in Inghilterra riattraversando la Manica, grazie a un appello, lanciato ad ogni sorta di mezzo di navigazione civile. Al suo decimo lungometraggio a Christopher Nolan, virtuosistico autore di thriller fantascientifici e blockbuster di supereroi dal successo planetario non privi di qualche divagazione cerebrale (Interstellar, Il cavaliere oscuro, Inception), riesce l’opera più compiuta. Malgrado le sue apparenze, Dunkirk non è tanto infatti un film di guerra, ma di sopravvivenza. Una riflessione sui concetti di solidarietà o di egoismo, di coraggio o di compromesso, di sacrificio o di opportunismo: concepita senza mai mostrare il nemico, in un processo di smaterializzazione che la quasi assenza di dialoghi, la pressione incessante dei suoni e del commento musicale di Hans Zimmer, l’affidamento progressivo al potere straordinario della regia condurranno (quasi paradossalmente) a un formidabile processo d’identificazione. Lungi, però, da ogni moralismo. Su quell’avvenimento apocalittico, la splendida sceneggiatura si è così

costruita grazie a una semplicità esemplare. Con momenti che ignorano ogni psicologismo, ogni spiegazione superflua, disposti in tre unità di tempo e di luogo che finiranno per convergere fra di loro in una traiettoria temporale di notevole originalità: una prima settimana sulla spiaggia, con il giovane soldato Tommy perso fra l’allucinante moltitudine che, con disciplinata logicistica tipicamente british, tenterà di raccapezzarsi; una giornata in mare, su una piccola imbarcazione privata che esce al largo per offrire il proprio aiuto; e gli ultimi quaranta minuti di carburante ancora a disposizione sul mitico, ma ancora raro Spitfire delle forze aeree britanniche, in compagnia del solitario pilota Tom Hardy. È una sorta di accelerazione e al tempo stesso di astrazione nei confronti del gigantesco affresco in corso: Nolan non solo armonizza quei tre piani narrativi con frequenza e concisione crescente ma nella fusione di quelle varie narrazioni come nell’utilizzo dei mezzi creativi a disposizione si allontana dall’aneddoto, per quanto impressionante esso sia. Senza perdere un attimo di autenticità, ma rifiutando progressivamente la banale convenzione del film d’azione. Sorvolerà, come i suoi aviatori, l’immensa coralità dell’avvenimento per trarne una lezione priva di retorica, un esempio inedito di cinema spettacolo dimostrando – in un momento abbastanza critico per il futuro dell’immagine cinematografica – come possa essere raggiunta la partecipazione dello spettatore anche grazie a creatività e a intelligenza.

dell’artista di penetrare l’universo femminile. Immortalata in pose provocatorie, come ben documenta la mostra mendrisiense, la donna appare in tutta la sua fragilità e inquietudine: Junghanns la effigia spesso con la sua inseparabile bambola, tracciandone con segno sicuro i contorni fisici e con essi quelli più intimi di creatura seducente e insieme disperata. Il tema femminile è costante nell’opera di Junghanns, che accanto

alla Hennings ama raffigurare altre celebri donne, soprattutto legate al mondo della danza. Non per niente per la rassegna di Mendrisio è stato scelto il titolo Movimento, termine che interpreta la poetica dell’artista e la sua attrazione verso il dinamismo inteso come simbolo di libertà espressiva. Mary Wigman, ballerina, coreografa, assistente di Rudolf von Laban sul Monte Verità ad Ascona e grande amica di Junghanns (come attesta l’intensa relazione epistolare tra i due mantenuta fino alla morte) appare in molti disegni a carboncino e in numerose puntesecche dell’artista, con la sua caratteristica maschera che esalta l’idea dell’universalità dell’essere umano e con le sue tipiche movenze che seguono un ritmo interno evocando l’unione tra individuo e spazio. Tutti i corpi muliebri di Junghanns sembrano seguire le cadenze dell’animo. Ora meditabondi, ora disperati, hanno membra coperte da veli e volti appena accennati, si muovono agili e flessuosi o sono paralizzati in una solitudine sconfortante, hanno espressioni talora addolorate talaltra intrise di dolcezza e serenità. È in questa sospensione tra disperazione e quiete che affiora l’altro tema caro all’artista: la guerra, generatrice di moti interiori che scombussolano pensieri e coscienze. Un soggetto, questo, che attraversa tutta l’opera di Junghanns, testimone dei due conflitti mondiali. Ecco allora che nelle sue figure femminili dal piglio esasperato si possono cogliere i richiami agli orrori

causati dalle lotte umane. Le loro pose sono vicine a quelle delineate nei lavori dedicati alla Grande Guerra, in cui appaiono corpi esplosi, scheletri, teschi, uomini ciechi e prigionieri. L’eloquenza dei volti è la stessa, così come la gestualità drammatica e le volumetrie solenni, a rivelare lo struggente sentire che intride l’intera produzione dell’artista e che viene declinato nei diversi temi con la medesima potente espressività. L’energia travolgente di Junghanns, riscontrabile anche nelle opere a soggetto naturalistico in cui l’artista si preoccupa di rendere al meglio il fluire dinamico provocato dagli elementi della terra, pare attenuarsi nei lavori dell’ultima fase del suo percorso. A partire dagli anni Trenta, segnati dal trasferimento definitivo da Berna a Zurigo, Junghanns si affida a un linguaggio più pacato e spirituale, specchio del suo bisogno di esplorare l’origine del cosmo. Visionarie e astratte, le opere di questo periodo rappresentano l’impeto mai sopito di un maestro votato alla ricerca di un simbolismo espressivo che possa farsi piena immagine dell’animo umano. Dove e quando

Reinhold Rudolf Junghanns. Movimento. Galleria Baumgartner, Mendrisio. Fino al 14 settembre 2017. Orari: 14.00-18.00, previo appuntamento è possibile visitare la mostra anche la mattina. Per informazioni: Alessio e Barbara Tomini, Arte Aperta: tel. 091 646 09 16 / 091 647 39 93. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 settembre 2017 • N. 36

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Cultura e Spettacoli Rubriche

In fin della fiera di Bruno Gambarotta Il fotoromanzo? Ora è social Un fiume carsico per quarant’anni ha portato utili ingenti ad alcune case editrici. È quello dei fotoromanzi. Il settimanale «Grand Hotel» nasce il 29 giugno 1946 e per 40 anni non scende mai sotto il milione di copie a numero. «Sogno» debutta l’anno seguente, l’8 maggio 1947, lo segue «Bolero Film» il 25 maggio 1947. Sommati insieme, non scendono mai sotto le 600mila copie. Un fiume carsico: Rizzoli e Mondadori, vergognandosi di fare una montagna di soldi con quelle testate, non le citano nei loro cataloghi ufficiali. Sin dall’esordio i fotoromanzi si guadagnano la riprovazione generale. La borghesia istruita li disprezza («roba da serve») ma li legge di nascosto o dal parrucchiere. Per i comunisti, le lettrici, invece di fantasticare su storie inverosimili dovrebbero dedicarsi alla lotta di classe o, almeno, leggere e commentare gli articoli di «Rinascita» sulla via italiana al comunismo. Per la Chiesa leggerli è un peccato mortale da denunciare in

confessione. Nel 1959 anche «Famiglia Cristiana» però si sarebbe buttata sui fotoromanzi, con vite di santi e risultati imbarazzanti. Per arrendersi poi nel 1975. Milioni di copie dunque e dagli otto ai dieci lettori per ogni numero che, non essendo legato all’attualità, resta leggibile anche dopo tanto tempo. Distribuiti solo in edicola, non è previsto l’abbonamento o l’invio postale. Si direbbe un pascolo ideale per la pubblicità, invece ne compare pochissima, poiché si stima che lettori e lettrici abbiano un reddito di mera sussistenza, tale da rendere inarrivabili i prodotti reclamizzati. Ma cos’è un fotoromanzo? È una storia d’amore raccontata per immagini, didascalie e fumetti. Su «Grand Hotel», della casa editrice Universo dei fratelli Domenico e Alceo Del Duca, all’inizio le storie non erano illustrate dalle foto ma dai disegni di Walter Molino, l’autore delle copertine della «Domenica del Corriere». Bisognerà aspettare il 1950

per vedere le foto al posto dei disegni su G.H. «Sogno» (Novissima e poi Rizzoli) e «Bolero Film» (Mondadori) iniziano subito con le fotografie, si fa prima e costa molto meno. Per ogni inquadratura si scattano al massimo tre fotografie. Una storia richiede in media un solo giorno di riprese fotografiche che arriva al termine di una lunga e accurata preparazione. Le storie sono lineari, senza episodi marginali e il motore che muove l’azione è sempre l’amore. Didascalia da Amarti e dirti addio, il primo fotoromanzo comparso su «Grand Hotel» nel ’50: «Il giovanotto sale agilmente sul palco e si pone di fronte alla signorina in rosa. I loro occhi si incontrano. È uno sguardo lungo, intenso, che per un attimo fa loro dimenticare il singolare luogo in cui si trovano». Quest’amore balzerà fuori intatto alla fine ma per realizzarsi dovrà superare ostacoli di ogni genere. I più frequenti: un’altra donna che, perfida, riesce a mettere in cattiva luce

l’amata; la famiglia che si oppone; da «Grand Hotel», 1948: «Dottor Nicola Kampfen, vi scaccio di casa mia!» «Ma veramente, signor conte, Kate è la mia fidanzata». «Cosa? Voi, un semplice dottorello senza alcun titolo nobiliare fidanzato a una Maranher?». La donna deve stare al suo posto. In Amore fra due spade (G.H. 1950) Manola va a caccia con un giovane tenente, spara e manca il fagiano: «Non ho preso niente, siete deluso di me?» Il giovane ufficiale: «Al contrario, sono entusiasta, come tutte le volte che vedo una donna fallire in un’impresa da uomo». Il sesso non è mai messo in scena ma solo alluso, non c’è mai un personaggio omosessuale. La qualità delle immagini evolve nel tempo, non sempre in senso positivo. Nei primi tempi le scene, illuminate con luci da set, consentono tagli sapienti, inquadrature con personaggi disposti a distanze diverse. Poi si passa all’uso dei flash che sfumano i contrasti. Abbondano i primi piani poiché gli

editori iniziano ben presto a scritturare attrici e attori famosi, nonché presentatori (Mike Buongiorno, Mario Riva). Troviamo Vittorio Gassman, Giorgio Albertazzi, Umberto Orsini, Claudia Cardinale, Paolo Poli. In una storia Renzo Arbore non si toglie mai la maschera da clown, perché si nasconde nel circo Orfei mentre in realtà è un medico condannato all’ergastolo ed evaso. I grandi divi non si vergognano di prestarsi al gioco per vari motivi: si guadagnano ottimi compensi con un lavoro poco impegnativo, si allarga la propria notorietà a un pubblico vergine e, infine, poiché le persone di un certo ceto sociale non ammetterebbe mai di frequentare certa stampa, nessuno si azzarderà a rinfacciarglielo. Farlo significherebbe confessare di aver ceduto alla tentazione. Il fotoromanzo muore per rinascere sui social, dove ogni utente si fabbrica il suo, assegnandosi un ruolo da protagonista, ovviamente.

scempio pronunciava queste parole, saranno i piedini, aggiungendo anche espressioni come «una cosa da niente», «si fa in fretta» e, in caso di famigliari, «poi ci penso io», «appena ho un attimo li guardo». Al terzo lustro di balli sfrenati dell’elettrodomestico, ho preso il coraggio con tutte le mani possibili e ho sollevato la lavatrice, appoggiandola al muro e facendo leva con molte leve per riuscire a guardare bene. Fino a scoprire che i piedini non c’erano! Nello scherno generale avevo dunque acquistato delle specie di piattini o posaceneri di gomma, che mi sembrarono perfetti e che ancora oggi controllano le danze e i rumori dell’ultima fase del bucato. Insomma niente piedini. Quindi, pensavo in ascensore, nemmeno il trolley avrà i piedini, e intanto lui mi raccontava divertito di quando deve partire all’alba, che la città silenziosa è squarciata dal clangore della sua valigia, e di quella volta che a Venezia – dove di notte nelle stradine non vola nemmeno un piccione

– hanno aperto le finestre per vedere da dove arrivassero i carri armati nemici e poi gliene hanno dette di tutti i colori. Che gli insulti veneziani sono proprio coloriti. Come siamo diversi, oh come siamo diversi, gli uomini e le donne, proseguo a pensare mentre siamo a casa, apro la valigia, appendo il cappello di paglia. Secoli di battaglie, parità eccetera, e siamo ancora qui, loro che non possono/sanno fare più di una cosa per volta, noi che eccediamo nell’altro senso, e infatti guarda adesso quante ne sto facendo, ho anche messo su l’acqua per la pasta. Loro che si mettono l’anima in pace individuando nei piedini la fonte di ogni male, noi che andiamo a vedere, e poi ci arrangiamo a sistemare ciò che manca o non funziona. Alla bell’e meglio, lo riconosco, lungi dalla perfezione che toccano certi exploit da dilettanti ma perfezionisti bricoleur. Basta che mi guardi in giro, ora mentre scrivo: il retro della libreria segato con precisione per far passare la mascherina delle prese; i

cassetti della scrivania del prozio che ora finalmente si aprono e si chiudono, tutti; poi il motore esterno del condizionatore che rende possibile la sopravvivenza nel torrido fine agosto padano: più in alto di così non si può, diceva il pavido installatore, cementandolo ad altezza testa, e io gli avevo creduto. È dovuto tornare, con scala e collega, per s-cementarlo e riposizionarlo sopra i due metri, e così non dà fastidio né alla vista né alla testa di chi rischiava di prendersi l’aria calda nelle orecchie. Quella sera dunque pensavo, oh come siamo diversi, quando un dubbio mi assale: e se «saranno i piedini» l’avesse detto per citare la famosa Postilla e per chiudere lì il discorso con una battuta? «Scusa, ma quando parlavi dei piedini del trolley, che tra l’altro mi pare non li abbia, volevi dire proprio i piedini o ti riferivi al titolo di quella Postilla che i nostri amici citavano tanto volentieri?». Parlo, ma sembra non sentire. Per forza, sta scolando la pasta, non posso mica obbligarlo a scolare e ascoltare, insieme.

culturale, da Contini a Bobbio. Le Edizioni della Normale di Pisa hanno pubblicato il suo ricchissimo Diario 1956-1958, a cura di Tommaso Munari (6– è il voto d’aria, e di acqua essendo Ponchiroli di Viadana). A un personaggio mitico dell’editoria italiana, Roberto Bazlen, detto Bobi (1902-1965), è dedicata una monografia o «romanzo di una vita» (voto d’aria 5+) di Cristina Battocletti, appena pubblicato dalla Nave di Teseo. Bazlen è diventato un personaggio-culto della letteratura pur avendo pubblicato pochissimo in vita, e cioè rimanendo una sorta di eminenza grigia delle patrie lettere. Triestino, di padre tedesco e di madre italiana, lettore precocissimo e compulsivo, amico di Saba e di Svevo, suo primo scopritore ed estimatore: lo segnala a Eugenio Montale, altro suo amico, nel 1925 come il solo autore di un romanzo italiano davvero moderno, Senilità. Intellettuale solitario e irregolare, fedele alle amicizie, ai suoi autori e al suo divano su cui stava

sdraiato per intere giornate a leggere, Bazlen lascia la sua città per Milano (con Linuccia, la figlia di Saba) e poi, nel 1939, per Roma, dove abita in un monolocale ammobiliato di via Margutta 7. Vive di amori frammentari (tra cui l’austriaca Gerti, che sarà la musa di Montale) e di amicizie durature (con Amelia Rosselli, con lo psicanalista Ernst Bernhard…). Dopo aver dilapidato il patrimonio di famiglia, tira avanti traducendo dal tedesco e offrendo consulenze editoriali, di cui è il principe: collabora con Adriano Olivetti alla costruzione delle Edizioni di Comunità, con Astrolabio, per cui cura la collana di psicoanalisi (Bazlen è uno dei primi lettori italiani di Freud e Jung, oltre che di Kafka), con Bompiani e a lungo con Einaudi. Bobi è un anticipatore di genio e un infaticabile tessitore di rapporti. Nel ’51 segnala Musil a un altro amico del cuore, Luciano Foà dell’Einaudi, consigliandogli di pubblicare «a occhi chiusi» L’uomo senza qualità… Allo

stesso Foà invia una scheda entusiasta sul Demone meschino di Sologub. Spara a zero contro i «frammenti insignificanti» di Robbe-Grillet. Non esita a consigliare Doderer e Gombrowicz, e a esprimere i suoi sospetti a proposito del Gattopardo. Il suo capolavoro, compiuto in collaborazione con Foà, è la fondazione della casa editrice Adelphi. Era il giugno 1962. Quel «folletto, enigmatico passante sulla terra», come lo definì Solmi, è il protagonista del romanzo d’esordio di Daniele Del Giudice, Lo stadio di Wimbledon, del 1983 (voto d’aria 5½): è la ricerca di un’esistenza rimasta nell’ombra intravista da lontano attraverso gli amici e le amiche di gioventù. La domanda che percorre il libro la formulò Calvino nella quarta di copertina, ed è il punto interrogativo che rende inquietante la vita di Bazlen: perché «quell’uomo, pur avendo una coscienza letteraria molto esigente invece di scrivere preferisce agire direttamente sulla vita delle persone?».

Postille filosofiche di Maria Bettetini Sarà di nuovo colpa dei piedini «Saranno i piedini», dice lui, per giustificare le ruote del suo trolley che lo fanno sferragliare come un cingolato. È sera tardi, la città forse vorrebbe dormire. Passiamo noi e sembriamo un convoglio di tir, ma di quelli vecchi, con gli ammortizzatori ormai ammortizzati e qualcosa di metallico che pende or qui or lì. La sua valigia, inoltre, è quasi vuota, rispetto alla mia vicina all’esplosione: cavallerescamente le porta entrambe, lasciando a me il cappello di paglia e la bottiglia dell’acqua. Ma la mia è silenziosa, la sua è come un sacchetto afflosciato con le ruote di un panzer. Cerco di individuare questi terribili piedini, probabile causa del fragore. Niente, vedo solo due ruote un po’ traballanti, sebbene ci sia poco da fidarsi del mio sguardo, come dicevo è sera, e poi lui sembra infastidito dal mio desiderio di risolvere un problema meccanico mentre stiamo compiendo l’azione del-rientro-a-casa. Abbiamo raggiunto tale livello di consapevolezza che a volte mi dice perfino

«non posso / non so fare due cose in una volta», preferendo il non posso al non so, senza aggiungere l’ovvio «perché sono un uomo» nel senso di maschio, anche quando le due cose sono salutare la portinaia con un cenno e accendere la macchina, oppure togliersi la giacca e dire come è andata la giornata, o, per esempio, chiederlo, come è andata. Ma ormai lo sappiamo, un sorriso impercettibile segna i nostri volti, abbiamo capito ma non ci sono le forze per prenderci in giro. Dove saranno mai questi piedini? Negli ultimi metri verso casa mi arrovello, anche perché è una frase già sentita, saranno i piedini. Ma sì! La Postilla di qualche anno fa, si intitolava proprio Saranno i piedini! Raccontava della lavatrice di casa, che da più di quindici anni perdeva ogni decenza al momento della centrifuga saltando per il bagno con grave pericolo per i presenti e notevole disturbo uditivo. E raccontavo appunto come qualunque essere maschile udisse o vedesse tale

Voti d’aria di Paolo Di Stefano Ma chi era Bobi? Il lavoro di editing è avvolto in un’aura mitica o funesta: alcuni lo accostano all’intervento appassionato dell’ostetrica durante il parto; altri lo ritengono mirato solo all’utilitarismo e all’interesse del mercato. Non c’è via di mezzo. Pochi, in realtà, sanno bene di che cosa si tratti. Un autore manda alla casa editrice il suo libro, quel libro piace (perché è un bel libro e/o perché è un libro che promette buoni risultati di vendita), ma ci sono alcuni punti che non convincono: errori materiali, sviste, incongruenze, lacune. È raro che un romanzo o un saggio siano privi di difetti piccoli o grandi. Dunque a quel punto interviene l’editor, il quale ha un duplice compito. Il più «nobile» è assistere lo scrittore, coccolarlo, scuoterlo se necessario, accarezzare il suo narcisismo, accompagnarlo nell’elaborazione e nei dubbi. Il più artigianale è il lavoro, a posteriori, sul testo, quello che si propone di risolvere problemi banali (di punteggiatura, di lessico, di micro-stile) ma anche di discutere

questioni strutturali o passi del libro che appaiono più deboli o poco riusciti, troppo macchinosi nel ritmo della narrazione o dell’argomentazione. L’incontro tra l’editor e lo scrittore può essere un colpo di fulmine e allora il libro sarà il risultato di quel rapporto felice, anche se travagliato, di reciproca fiducia. Altre volte l’incontro tra l’editor e lo scrittore diventa un rabbioso corpo a corpo e il libro sarà un compromesso tra le posizioni dell’uno e quelle dell’altro. Perché parlare della figura dell’editor? Perché sono usciti diversi libri che ne rievocano la gloria passata: di quando cioè l’editor era un intellettuale o uno scrittore (Vittorini, Pavese, Calvino, Fruttero, Lucentini, Ginzburg, Sereni, Eco, Filippini…), come oggi accade sempre più raramente. Un editor entrato nella leggenda è stato Daniele Ponchiroli, caporedattore Einaudi dagli anni Cinquanta, sodale di Giulio Bollati e di Calvino, umile «homo faber», interlocutore di mezzo mondo


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 settembre 2017 • N. 36

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Idee e acquisti per la settimana

shopping A casa come al grotto

Illustrazione Sergio Simona

Attualità Finissima salumeria ticinese per autentici momenti di piacere gastronomico

Tre generazioni di mastri salumieri. Una lavorazione meticolosa e accurata secondo le consuetudini della nostra tradizione. L’utilizzo delle migliori carni di suini allevati esclusivamente in Ticino... Ecco come nascono i pregiati prodotti della Salumi del Pin di Mendrisio, azienda produttrice per Migros di molte specialità di salumeria sotto il marchio «Nostrani del Ticino». Ve ne presentiamo qui quattro.

Nostrani del Ticino in degustazione Ancora fino al 16 settembre, ogni giovedì, venerdì e sabato, vi aspettano golose degustazioni di prodotti Nostrani del Ticino per tutti i gusti, nelle filiali di Agno, Locarno, Serfontana, Grancia, S. Antonino e Lugano. Non perdetevi questo appuntamento con la bontà.

Prosciutto crudo nostrano 100 g Fr. 6.70 Questo aromatico prosciutto crudo è ottenuto da cosce selezionate e disossate da esperti salumieri. Le cosce vengono sottoposte a salagione a secco utilizzando prodotti naturali quali sale, spezie e vino ticinese, senza l’impiego di alcun conservante. Dopo una fase di lento riposo, in cui la carne assorbe tutti gli aromi, si passa all’asciugamento, processo che elimina una parte dell’umidità. Segue il delicato processo di stagionatura, che avviene in apposite celle per un periodo di almeno 90 giorni.

Prosciutto cotto nostrano 100 g Fr. 4.15 invece di 5.20 20% di riduzione Azione valida dal 5 all’11.9 Le migliori cosce di maiali allevati in Ticino disossate e private della cotenna sono sottoposte a salagione con acqua, sale e spezie naturali, per poi essere lentamente massaggiate affinché possano assorbire tutti gli aromi. Si passa quindi allo stampaggio, che permette di dare la forma finale alla coscia. In seguito avviene la delicata fase di cottura in forni a vapore saturo finché il cuore del prosciutto raggiunge la temperatura di 68°C. Il risultato: un prosciutto cotto dal profumo inconfondibile e dal sapore caratteristico che conquista anche i palati più esigenti.

Salame nostrano 100 g Fr. 5.40

Pancetta arrotolata nostrana 100 g Fr. 4.30

Classica specialità dal gusto delicatamente speziato, il salame nostrano è prodotto utilizzando tagli pregiati di suini pesanti. La carne e il grasso vengono macinati e miscelati, per poi essere addizionati di sale, spezie e buon vino ticinese. Dopo un’attenta fase di asciugamento, si passa alla lunga fase di stagionatura che richiede non meno di 10 settimane. A questo punto il salame è pronto per essere affettato e confezionato.

La pancetta arrotolata nostrana è da sempre considerata una vera leccornia. Per farla gli specialisti della Salumi del Pin impiegano pancette di prima qualità di suini pesanti. Dopo essere stata refilata, viene sottoposta al processo di salagione a secco e quindi alla fase di arrotolamento e insacco. Le pancette arrotolate sono poi appese ad asciugare e quindi poste a stagionare nelle apposite celle per circa 4 settimane.


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Idee e acquisti per la settimana

«Una mela al giorno… ma anche due!»

Attualità Il frutticoltore e fornitore di Migros Ticino, Cesare Bassi di S. Antonino produce

Cesare Bassi, quali sono le mele che coltiva nella sua azienda frutticola a conduzione familiare?

colpire e danneggiare le piante, a volte anche in modo irreversibile. Tuttavia quest’anno siamo stati fortunati in tutti i casi e nel frutteto abbiamo effettuato meno trattamenti dello scorso anno. Tengo ad ogni modo a precisare che ogni trattamento viene applicato solo in caso di reale necessità, nel pieno rispetto della produzione integrata di cui seguiamo le direttive agricole.

È stato un buon anno per le mele ticinesi?

La sua mela preferita?

Principalmente mele della varietà Gala, a seguire Braeburn e quindi Golden Delicious. La superficie destinata alla loro coltivazione è di ca. 15’000 metri quadrati coperti da reti antigrandine. Quest’anno contiamo di produrre complessivamente circa 250 quintali di mele.

Direi proprio di sì, abbiamo potuto contare su condizioni climatiche favorevoli che ci hanno permesso di ottenere un ottimo raccolto. Sono particolarmente soddisfatto di questo risultato. Quali sono i problemi più temuti durante la coltivazione?

Oltre al tempo avverso, naturalmente anche alcuni parassiti e insetti possono

Per la sua dolcezza e croccantezza decisamente la Gala appena raccolta: ne mangio anche due al giorno. È una mela molto apprezzata anche dai più piccoli. La Braeburn la mangio più volentieri in inverno, mentre la Golden Delicious la consumo di tanto in tanto preferibilmente essiccata. Oltre a questo mia moglie è una vera specialista nel preparare favolose torte alle mele. Infine, a casa nostra non manca mai del rinfrescante succo di mele.

Giovanni Barberis

mele da quasi 30 anni. Nei negozi Migros sono ora disponibili le sue mele Gala

Cesare Bassi, frutticoltore a S. Antonino.

Il parere dell’esperta

Giovanni Barberis

Mele e proprietà alimentari

Il pane al merlot Attualità Il laboratorio di panetteria

Pamela Beltrametti, Dietista ASDD

mele si conservano molto bene in una cassetta in polistirene riposta in una cantina fresca. Questi frutti emettono etilene, che accelera la maturazione di alcuni frutti e verdure. Per questo motivo si consiglia di conservarle separate dal resto della frutta, a meno che non si voglia farla maturare più velocemente; un consueto esempio sono i kiwi. A proposito: il prossimo 22 settembre ricorre la 25esima «giornata della mela».

Flavia Leuenberger

Le mele Gala nostrane sono attualmente disponibili da Migros Ticino. Prossimamente giungeranno anche le varietà Braeburn e Golden Delicious.

Le mele contengono vitamine, sali minerali, oligoelementi, acidi della frutta e carboidrati nella forma di fruttosio. Contribuiscono all’apporto quotidiano di fibre (cellulosa e pectina), e rappresentano uno spuntino perfetto. Ottime crude, ma ottime anche come dessert o frutta essiccata. L’essiccazione al forno a 65 gradi garantisce la conservazione praticamente di tutti gli elementi nutritivi e minerali. A casa le

artigianale della Fondazione La Fonte celebra l’arrivo della nuova stagione con una specialità inusuale preparata con il prezioso supporto di alcuni utenti disabili

La caratteristica di questo pane a base di farine di frumento semi-bianca e bigia, è l’arricchimento dell’impasto con del buon vino merlot, ingrediente che conferisce alla specialità del mese di settembre un sapore del tutto particolare. Anche la sua forma non tradisce le aspettative, dal momento che richiama un bel grappolo d’uva, quasi a voler rendere onore al mese della vendemmia. Insomma, al pane al merlot è davvero difficile resistere: il suo sapore evoca una ricetta antica, è morbido e profumato, e il suo gusto leggermente dolciastro lo rende perfetto per un abbinamento con salame e altri affettati del nostro territorio. Nell’impasto sono pure state aggiunte nocciole a pezzetti-

ni, un vero tocco in più al gusto che accontenterà anche chi predilige accostare il pane ai formaggi dei nostri alpeggi, giunti in questi giorni nell’assortimento di Migros Ticino. Inoltre, essendo formato da sei micche facilmente staccabili con le mani, è ottimo per preparare favolosi panini imbottiti, sia a casa che durante le escursioni autunnali in montagna. Il pane al merlot è anch’esso prodotto nella panetteria del laboratorio protetto della Fondazione La Fonte di Agno. Ad occuparsi di sfornare ogni giorno queste fragranti bontà ci pensano tre panettieri qualificati, aiutati da alcuni utenti a beneficio di una rendita d’invalidità.

Pane al merlot, 300 g Fr. 3.90 In vendita dal lunedì al venerdì esclusivamente presso Migros Agno. Il ricavato delle vendite è interamente destinato alla Fondazione La Fonte


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Idee e acquisti per la settimana

Vinta una Seat Ibiza al «Pazzo Giugno» di Lugano Centro

La consegna della Seat Ibiza al vincitore: da sinistra, Carmine Rocca di Amag Breganzona; il vincitore Athos Chiesa e Giorgio Micaroni gerente di Migros Lugano Centro. (Flavia Leuenberger)

Lo scorso mese di giugno la Migros Lugano Centro ha festeggiato in pompa magna i primi sei mesi di attività dopo gli importanti lavori di ristrutturazione, con un mese intero dedicato a imperdibili offerte giornaliere e coinvolgenti attività rivolte a tutta la clientela dell’importante centro commerciale cittadino. Tra le numerose iniziative, è stato pure organizzato un grande concorso il cui premio in palio, nientemeno, consisteva in una nuova fiammante Seat Ibiza del valore di 20 mila franchi. Ad estrazione avvenuta, la fortuna ha baciato il signor Athos Chiesa di Torricella, al quale negli scorsi giorni è stato consegnato l’ambito premio al punto vendita Migros di via Pretorio 15.

Concorso Deborah Milano

Cosmetica Vinci uno dei 50 «Trio Contouring

Palette» del celebre marchio italiano

Partecipa e vinci! Per la bellezza di tutte le donne Deborah Milano propone nei maggiori punti vendita Migros Ticino due prodotti assolutamente innovativi che promettono un contouring professionale perfetto in pochissimi e semplici step. Una vera base trucco a prova di make up artist! La «Trio Contouring Palette» è composta da 3 differenti tonalità dalla texture setosa e facile da sfumare, per un effetto chiaro-scuro del tutto naturale. Il «Duo Contour&Highlight» stick viso a doppia punta, dal canto suo, possiede una consistenza cremosa che assicura in due step una perfetta combinazione di tonalità, tutte facili da applicare e da sfumare con le dita o un pennello da fondotinta.

Migros Ticino e Deborah Milano mettono in palio 50 trio «Contouring Palette». Per partecipare basta cliccare su www.azione.ch/concorsi e seguire le istruzioni. Termine di partecipazione: domenica 10 settembre 2017 alle ore 24.00. Buona fortuna!


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Idee e acquisti per la settimana

M-Classic

Bontà per le escursioni

Le gite fanno venire fame! Ecco perché nello zaino non può mai mancare un panino.

Cosa mettere nello zaino prima di una bella gita in montagna? Ovviamente non può mancare un ricco pranzo al sacco! I panini da sandwich, i panini al burro e i panini di Sils di M-Classic sono proprio l’ideale, perché si possono farcire nel modo più classico con salame, prosciutto e formaggio oppure come più vi piace. Questi invitanti panini sono prodotti con farina di qualità «TerraSuisse» e sono disponibili in numerose varianti. A proposito: nello zaino ci sta benissimo anche il Fruit Fun alla mela con tanto di cannuccia integrata.

M-Classic Sandwich TerraSuisse 260 g Fr. 2.–

M-Classic Panini di Sils TerraSuisse 420 g Fr. 3.70

M-Classic Panini al burro TerraSuisse 325 g Fr. 2.80

M-Classic Fruit Fun mela 20 cl Fr. –.40


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Idee e acquisti per la settimana

Il piacere del gusto

Un francese croccante

Chi desidera una baguette rustica, riscopre ora un classico nell’assortimento delle panetterie della casa Migros: la baguette tradizionale. Il suo sapore delicato con dolci note tostate è dovuto al lungo tempo di riposo dell’impasto. Testo Jacqueline Vinzelberg

Serie Il buon sapore del pane del mese

Maggiori informazioni sul gusto: www.piacere-delgusto.ch

A settembre: la Baguette Traditionnelle

Mauro Pizzagalli è panettiere presso la filiale Migros di S. Antonino. È uno dei circa 900 professionisti che più volte al giorno sfornano il pane in una delle 130 panetterie della casa. Così il pane è sempre disponibile appena cotto e caldo fino all’orario di chiusura.

Per i nostri vicini francofoni la baguette rappresenta il pane per eccellenza. Si dice che il pane di grano dalla forma allungata sia stato originariamente inventato a Vienna. Le modalità di lavorazione dell’impasto, in particolare la lievitazione naturale e un lungo riposo, conferiscono al pane la sua soffice mollica, la crosta croccante e il caratteristico gusto. Si contraddistingue per la sua dolcezza, una leggera acidità e discrete note tostate, che ricordano quelle degli Zwieback e della pizza cotta nel forno a legna. Ha inoltre un sorprendente ma leggero sapore di mais. Esalta le forti note della carne secca e della bresaola.

Mauro Pizzagalli

«Il pane deve avere una mollica ariosa e una bella crosta» Cosa le piace della sua professione? Sono molto contento del mio lavoro, perché ho l’opportunità di offrire ai clienti un pane gustoso preparato con ingredienti di alta qualità. Secondo lei da cosa si caratterizza un buon pane? Per il mio gusto, il pane deve avere la mollica - così si chiama la parte interna del pane – molto ariosa e una bella crosta, che nel corso della cottura deve aver raggiunto la giusta sfumatura di colore oro scuro. Prepara il pane anche a casa? Oh, certo, con molto piacere e spesso. Per esempio i cornetti o la treccia nel fine settimana. Talvolta vengono anche amici per vedere come si preparano i cornetti freschi o un buon pane, che poi cuociamo e mangiamo insieme. Quale pane le piacerebbe ideare? Un pane di castagne con il miele.

Consigli di presentazione

I nostri esperti dei sapori di Migusto hanno degustato la Baguette Traditionnelle nella qualità TerraSuisse. Quale accompagnamento ottimale consigliano la carne secca con mousse di rafano.

Mescolare 3 cucchiai di crema di rafano in tubetto con 6 cucchiai di panna montata e lasciar raffreddare in frigorifero per circa un’ora. Quindi preparare delle palline per accompagnare la carne secca o la bresaola, e servire con la baguette. Condire a piacere con pepe fresco e guarnire con cetrioli sott’aceto.

I cereali TerraSuisse provengono da un’agricoltura svizzera sostenibile, che crea spazi vitali per piante e animali rari. Si rinuncia inoltre all’utilizzo di diversi mezzi chimici.

Parte di

L’impegno Migros a favore della sostenibilità è da generazioni in anticipo sui tempi.

Baguette Traditionnelle 280 g Fr. 2.70 Disponibile nelle filiali Migros con panetteria della casa


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Il piacere del gusto

Un francese croccante

Chi desidera una baguette rustica, riscopre ora un classico nell’assortimento delle panetterie della casa Migros: la baguette tradizionale. Il suo sapore delicato con dolci note tostate è dovuto al lungo tempo di riposo dell’impasto. Testo Jacqueline Vinzelberg

Serie Il buon sapore del pane del mese

Maggiori informazioni sul gusto: www.piacere-delgusto.ch

A settembre: la Baguette Traditionnelle

Mauro Pizzagalli è panettiere presso la filiale Migros di S. Antonino. È uno dei circa 900 professionisti che più volte al giorno sfornano il pane in una delle 130 panetterie della casa. Così il pane è sempre disponibile appena cotto e caldo fino all’orario di chiusura.

Per i nostri vicini francofoni la baguette rappresenta il pane per eccellenza. Si dice che il pane di grano dalla forma allungata sia stato originariamente inventato a Vienna. Le modalità di lavorazione dell’impasto, in particolare la lievitazione naturale e un lungo riposo, conferiscono al pane la sua soffice mollica, la crosta croccante e il caratteristico gusto. Si contraddistingue per la sua dolcezza, una leggera acidità e discrete note tostate, che ricordano quelle degli Zwieback e della pizza cotta nel forno a legna. Ha inoltre un sorprendente ma leggero sapore di mais. Esalta le forti note della carne secca e della bresaola.

Mauro Pizzagalli

«Il pane deve avere una mollica ariosa e una bella crosta» Cosa le piace della sua professione? Sono molto contento del mio lavoro, perché ho l’opportunità di offrire ai clienti un pane gustoso preparato con ingredienti di alta qualità. Secondo lei da cosa si caratterizza un buon pane? Per il mio gusto, il pane deve avere la mollica - così si chiama la parte interna del pane – molto ariosa e una bella crosta, che nel corso della cottura deve aver raggiunto la giusta sfumatura di colore oro scuro. Prepara il pane anche a casa? Oh, certo, con molto piacere e spesso. Per esempio i cornetti o la treccia nel fine settimana. Talvolta vengono anche amici per vedere come si preparano i cornetti freschi o un buon pane, che poi cuociamo e mangiamo insieme. Quale pane le piacerebbe ideare? Un pane di castagne con il miele.

Consigli di presentazione

I nostri esperti dei sapori di Migusto hanno degustato la Baguette Traditionnelle nella qualità TerraSuisse. Quale accompagnamento ottimale consigliano la carne secca con mousse di rafano.

Mescolare 3 cucchiai di crema di rafano in tubetto con 6 cucchiai di panna montata e lasciar raffreddare in frigorifero per circa un’ora. Quindi preparare delle palline per accompagnare la carne secca o la bresaola, e servire con la baguette. Condire a piacere con pepe fresco e guarnire con cetrioli sott’aceto.

I cereali TerraSuisse provengono da un’agricoltura svizzera sostenibile, che crea spazi vitali per piante e animali rari. Si rinuncia inoltre all’utilizzo di diversi mezzi chimici.

Parte di

L’impegno Migros a favore della sostenibilità è da generazioni in anticipo sui tempi.

Baguette Traditionnelle 280 g Fr. 2.70 Disponibile nelle filiali Migros con panetteria della casa


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Idee e acquisti per la settimana

Escursionismo

Tutto il necessario

Oltre a una buona preparazione, un’escursione in montagna richiede la giusta attrezzatura, snack, prodotti di protezione e di cura. Testo Jacqueline Vinzelberg; Styling Mirjam Käser; Fotografie Yves Roth

La barretta con noci, soia e frutta secca è una sicura fonte di proteine e fibre alimentari. È inoltre vegana, priva di glutine e lattosio. Farmer Plus Cranberry-Protein 6 barrette, 150 g

I pomodori datterini hanno un sapore dolce e un basso contenuto calorico. Pomodori datterini Provenienza: Svizzera 250 g al prezzo del giorno

Dà sicurezza: tre pezzi, bastone da escursione con manico in schiuma, allungabile da 105 a 140 cm. Bastone da escursione Komperdell Azione Fr. 49.90 invece di 89.90 dal 5 al 25 settembre. Nelle maggiori filiali, da SportXX e su www.sportxx.ch Per saperne di più

Azione Fr. 3.40 invece di 4.90

Ben attrezzati per l’escursione

30% su tutti i prodotti Farmer dal 5 al 18 settembre

Quando si fa un’escursione, la scelta dell’equipaggiamento è fondamentale. Di base vale il principio: tanto quanto necessario ma il meno possibile. Bisogna sempre avere da bere a sufficienza, almeno un litro per persona. Anche se si ha in programma di mangiare in un ristorante, è consigliato avere con sé delle barrette di cereali o degli snack energetici. Il ristorante potrebbe essere chiuso. Oltre a ciò è opportuno avere nel sacco una protezione dalle intemperie, un kit di pronto soccorso e un coltellino.

Piccolo e compatto, è il compagno per tutti i giorni e offre sufficiente spazio per il necessario. Zaino Trevolution Fr. 23.90 Nelle maggiori filiali, da SportXX e su www.sportxx.ch

Altrettanto indispensabili: un capellino, una crema da sole con fattore di protezione 50 e occhiali da sole. Gli escursionisti esperti prediligono biancheria intima in materiali traspiranti e indossano i capi d’abbigliamento a strati, per reagire con flessibilità alle condizioni meteorologiche. Applicazioni utili: da avere su ogni cellulare è l’app della Rega, efficace in caso di emergenza. L’app di Meteo Svizzera dà informazioni aggiornate sull’evoluzione delle condizioni del tempo.

L’assortimento Blévita si amplia con un’ulteriore varietà alle verdure. I nuovi Blévita sono ricchi di fibre, senza lattosio e non contengono né conservanti né aromi artificiali. Aha! Blévita carota e zucca senza lattosio, 6 x 8 pezzi, 228 g Fr. 3.60 Nelle maggiori filiali

Con il suo taglio che permette libertà di movimento, il pantalone Trevolution è ideale per le escursioni. Due tasche laterali con cerniera offrono spazio per i piccoli utensili. Il pantalone è disponibile anche nel modello da donna. Pantaloni da escursionismo da uomo, taglie S-XL Azione Fr. 39.90 invece di 69.90 dal 5 al 25 settembre. Nelle maggiori filiali

Mele per una volta diverse: gli anelli essiccati di mela cosparsi di polvere di lampone sono particolarmente fruttati. Sun Queen anelli di mele al lampone 70 g Fr. 2.50 Nelle maggiori filiali

«iMpuls» - Suggerimenti

In forma e in forze Il balsamo protettivo per lo sport con cera d’api evita la formazione di vesciche. Pedic Sport, balsamo protettivo 75 ml Fr. 4.80

La giacca Trevolution Softshell ha una fodera interna in pile, è antivento e impermeabile. È disponibile anche il modello maschile.

La giusta attrezzatura è ormai pronta, manca solo l’allenamento adatto! Goran, istruttore di fitness, mostra gli esercizi utili per ogni escursionista su: www.migros-impuls.ch

Giacca da donna Softshell taglie 36-42 Azione Fr. 49.90 invece di 79.90 dal 5 al 25 settembre.

iMpuls è la nuova iniziativa in favore della salute della Migros.


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Idee e acquisti per la settimana

Escursionismo

Tutto il necessario

Oltre a una buona preparazione, un’escursione in montagna richiede la giusta attrezzatura, snack, prodotti di protezione e di cura. Testo Jacqueline Vinzelberg; Styling Mirjam Käser; Fotografie Yves Roth

La barretta con noci, soia e frutta secca è una sicura fonte di proteine e fibre alimentari. È inoltre vegana, priva di glutine e lattosio. Farmer Plus Cranberry-Protein 6 barrette, 150 g

I pomodori datterini hanno un sapore dolce e un basso contenuto calorico. Pomodori datterini Provenienza: Svizzera 250 g al prezzo del giorno

Dà sicurezza: tre pezzi, bastone da escursione con manico in schiuma, allungabile da 105 a 140 cm. Bastone da escursione Komperdell Azione Fr. 49.90 invece di 89.90 dal 5 al 25 settembre. Nelle maggiori filiali, da SportXX e su www.sportxx.ch Per saperne di più

Azione Fr. 3.40 invece di 4.90

Ben attrezzati per l’escursione

30% su tutti i prodotti Farmer dal 5 al 18 settembre

Quando si fa un’escursione, la scelta dell’equipaggiamento è fondamentale. Di base vale il principio: tanto quanto necessario ma il meno possibile. Bisogna sempre avere da bere a sufficienza, almeno un litro per persona. Anche se si ha in programma di mangiare in un ristorante, è consigliato avere con sé delle barrette di cereali o degli snack energetici. Il ristorante potrebbe essere chiuso. Oltre a ciò è opportuno avere nel sacco una protezione dalle intemperie, un kit di pronto soccorso e un coltellino.

Piccolo e compatto, è il compagno per tutti i giorni e offre sufficiente spazio per il necessario. Zaino Trevolution Fr. 23.90 Nelle maggiori filiali, da SportXX e su www.sportxx.ch

Altrettanto indispensabili: un capellino, una crema da sole con fattore di protezione 50 e occhiali da sole. Gli escursionisti esperti prediligono biancheria intima in materiali traspiranti e indossano i capi d’abbigliamento a strati, per reagire con flessibilità alle condizioni meteorologiche. Applicazioni utili: da avere su ogni cellulare è l’app della Rega, efficace in caso di emergenza. L’app di Meteo Svizzera dà informazioni aggiornate sull’evoluzione delle condizioni del tempo.

L’assortimento Blévita si amplia con un’ulteriore varietà alle verdure. I nuovi Blévita sono ricchi di fibre, senza lattosio e non contengono né conservanti né aromi artificiali. Aha! Blévita carota e zucca senza lattosio, 6 x 8 pezzi, 228 g Fr. 3.60 Nelle maggiori filiali

Con il suo taglio che permette libertà di movimento, il pantalone Trevolution è ideale per le escursioni. Due tasche laterali con cerniera offrono spazio per i piccoli utensili. Il pantalone è disponibile anche nel modello da donna. Pantaloni da escursionismo da uomo, taglie S-XL Azione Fr. 39.90 invece di 69.90 dal 5 al 25 settembre. Nelle maggiori filiali

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«iMpuls» - Suggerimenti

In forma e in forze Il balsamo protettivo per lo sport con cera d’api evita la formazione di vesciche. Pedic Sport, balsamo protettivo 75 ml Fr. 4.80

La giacca Trevolution Softshell ha una fodera interna in pile, è antivento e impermeabile. È disponibile anche il modello maschile.

La giusta attrezzatura è ormai pronta, manca solo l’allenamento adatto! Goran, istruttore di fitness, mostra gli esercizi utili per ogni escursionista su: www.migros-impuls.ch

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Idee e acquisti per la settimana

Exelia

Una duratura fragranza estiva Minuscole capsule ricolme della fragranza fanno sì che i vestiti profumino piacevolmente di fresco ancora a lungo dopo il bucato. Il profumo del nuovo ammorbidente Exelia Summer Feeling è una composizione di fiori bianchi, gelsomino, biancospino, lampone, ambra, muschio e vaniglia. Conferisce inoltre ai capi una confortevole morbidezza, oltre a protegge i tessuti dall’effetto elettrostatico e dall’usura.

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Il nuovo ammorbidente Exelia conferisce al bucato un duraturo profumo di fiori bianchi.

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2.95 invece di 5.10 Salame al Merlot pezzo da ca. 400 g, per 100 g

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1.25 invece di 1.85 Gruyère piccante ca. 450 g, per 100 g

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Olio di girasole M-Classic 1 l, per es. 2 pezzi a fr. 3.90 invece di 7.80, a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione

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40%

6.95 invece di 11.60

7.50 invece di 15.–

Prosciutto crudo dei Grigioni surchoix in conf. speciale Svizzera, 158 g

Prosciutto cotto 1956 Ferrarini Italia, affettato, in conf. da 2 x 120 g

35%

4.85 invece di 7.50 Entrecôte di manzo Angus Irlanda, imballato, per 100 g

40%

3.30 invece di 5.50 Fettine di capriolo Austria, per 100 g


i. ld o s o n e m r e p tà n o Più b 3 per 2 Lattuga rossa Anna’s Best in conf. da 150 g, per es. 3 confezioni da 150 g, 5.60 invece di 8.40

35%

1.40 invece di 2.20 Lattuga iceberg Svizzera, il pezzo

30%

3.95 invece di 5.80 Pomodori cuore di bue al kg

50%

3.70 invece di 7.40 Succo d’arancia Anna’s Best 2l

25%

2.85 invece di 3.80 Fagiolini verdi Svizzera, imballati, 500 g

40%

2.30 invece di 4.10 Patate resistenti alla cottura Svizzera, busta da 2,5 kg

30%

2.65 invece di 3.80 Spezzatino di vitello TerraSuisse imballato, per 100 g

30%

3.90 invece di 5.60 Lombatine d’agnello Australia / Nuova Zelanda, imballate, per 100 g

40%

25%

15.90 invece di 27.50

1.80 invece di 2.40

Parmigiano Reggiano DOP in conf. da 700 g/800 g, a libero servizio, al kg

Formaggella Blenio Ra Crénga dra Vâll da Brégn a libero servizio, per 100 g

conf. da 2

30%

2.65 invece di 3.80 Pere Williams Svizzera, al kg

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 5.9 ALL’11.9.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

40%

2.30 invece di 3.90 Fragole Svizzera, in conf. da 250 g

20%

3.50 invece di 4.40 Mozzarella di bufala campana DOP 200 g

40% Tutti gli yogurt e i drink Bifidus per es. alla fragola, 8 x 100 ml, 3.75 invece di 6.30

20%

5.– invece di 6.30 Panna intera UHT Valflora in conf. da 2 2 x 500 ml


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i. s io g g ta n a v i z z re p a e rt Fantastiche offe 20%

Consiglio

Tutti i prodotti di pasticceria della varietà svedese per es. coppetta svedese M-Classic, 100 g, 1.85 invece di 2.35

Hit

3.90

Berliner 6 pezzi, 6 x 70 g

a partire da 2 pezzi

40%

Tutti i gelati Crème d’or in vaschette da 750 ml e 1000 ml a partire da 2 pezzi, 40% di riduzione

40% Tutti i biscotti in sacchetto Midor (prodotti Tradition esclusi), per es. schiumini al cioccolato, 175 g, 1.35 invece di 2.30

LE STAR DELLA CUCINA GIAPPONESE Gli edamame con fleur de sel sono un gustoso preludio al sushi e ad altre specialità giapponesi. I fagioli si preparano in un attimo e sono perfetti come fingerfood. Trovate la ricetta su migusto.ch e tutti gli ingredienti freschi alla vostra Migros.

20%

a partire da 2 pezzi

40%

Tutti i sushi e tutte le specialità giapponesi per es. Maki Mix: tonno, pesca, Filippine; salmone, allevamento, Norvegia, 200 g, 7.10 invece di 8.90

Tutto l’assortimento Pancho Villa a partire da 2 pezzi, 40% di riduzione

conf. da 4

50%

Ravioli Anna’s Best in conf. da 4 per es. ricotta e spinaci, 4 x 250 g, 9.80 invece di 19.60

Hit

1.90

Toast Liocorno 365 g

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 5.9 ALL’11.9.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

20% Tutto il pane Happy Bread, TerraSuisse per es. scuro, 350 g, 1.90 invece di 2.40

Hit

1.50

Pipe M-Classic 500 g + 500 g gratis, 1 kg

50%

7.05 invece di 14.10 Nuggets di pollo Don Pollo surgelati, 1 kg

conf. da 2

20% Maionese, Thomynaise e senape dolce Thomy in conf. da 2 per es. maionese à la française, 2 x 265 g, 4.– invece di 5.–


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conf. da 2

20% Maionese, Thomynaise e senape dolce Thomy in conf. da 2 per es. maionese à la française, 2 x 265 g, 4.– invece di 5.–


. a li ig s n o c io a n a d a lv a s o Il maialin conf. da 2

a partire da 2 pezzi

30%

Tutti i succhi di frutta Gold, 1 l (confezioni multiple escluse), a partire da 2 pezzi, 30% di riduzione

conf. da 20

40%

Tavolette di cioccolato Frey da 100 g in conf. da 20, UTZ assortite, 25.– invece di 42.60

50%

6.15 invece di 12.30 Tutti i tipi di Orangina in conf. da 6, 6 x 1,5 l per es. regular

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1.65 invece di 3.30 Tutti i tipi di Aquella in conf. da 6, 6 x 1,5 l (Aquella Taste esclusa), per es. verde

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 5.9 ALL’11.9.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

50%

10x PUNTI

Prodotti Handymatic Supreme in conf. da 2 per es. Brilliant Shine All in 1, 2 x 32 pastiglie, 12.50 invece di 25.–, offerta valida fino al 18.9.2017

Tutte le capsule Café Royal, UTZ per es. Lungo, 10 capsule, 4.10

a partire da 2 pezzi

50%

Ammorbidenti Exelia in busta di ricarica a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione

conf. da 3

50% Tutti i tipi di Pepsi e Schwip Schwap in conf. da 6, 6 x 1,5 l per es. Pepsi Max, 5.50 invece di 11.–

50% Tutti i tipi di caffè in chicchi Boncampo da 1 kg, UTZ per es. Classico, 4.45 invece di 8.90

3 per 2

3.60 invece di 5.40 Detersivi per i piatti Handy in conf. da 3 per es. classic, 3 x 750 ml, offerta valida fino al 18.9.2017

a partire da 2 pezzi

20x PUNTI

Tutto l’assortimento Vital Balance per es. Sensitive, 450 g, 4.70

50%

Tutto l’assortimento di posate Cucina & Tavola a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione, offerta valida fino al 18.9.2017

20% Tutti i detersivi per capi delicati Yvette per es. Care, 2 l, 8.95 invece di 11.20

conf. da 2

1.50

di riduzione Prodotti Potz in confezioni speciali per es. Calc, 2 x 1 l, 8.30 invece di 9.80, offerta valida fino al 18.9.2017


Altre offerte. Pesce, carne e pollame

Pane Val Morobbia TerraSuisse, 320 g e 550 g, 2.70 invece di 3.40 20%

Fiori e piante

a partire da 2 pezzi

Pane e latticini

20%

Crisantemi Garden Mums in vaso da 19 cm, disponibili in diversi colori, il pezzo, per es. arancioni, 7.90 invece di 9.90 20%

Near Food/Non Food

Edis vecchie abitudini alimentari, globuli, 17.80 Novità ** Docciaschiuma stagionale I am Natural Cosmetics, 200 ml, 3.90 Novità **

Prodotti per la doccia Nivea in conf. da 3, per es. Creme Soft, 3 x 250 ml, 5.75 invece di 7.20 20% **

Mini Generoso al limone a forma di dado, 108 g, 2.80 Hit Tutti i cake della nonna, per es. al cioccolato, 420 g, 4.– invece di 5.– 20%

Box con prodotti da sgranocchiare Alnatura, il pezzo, 6.90 Hit **

Gelatine Emoji, Shit happens, Let’s go crazy e Be happy, per es. Be happy, 175 g, 2.20 Novità ** Vanish Oxi Action igiene, 550 g, 10.80 Novità **

Altri alimenti

Tutti i prodotti per la cura del viso Nivea e Nivea Men nonché Nivea Creme, Nivea Soft e Nivea Care (confezioni multiple e confezioni da viaggio escluse), a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione

20x PUNTI

Novità

Biscotti Margherita o Noisette in conf. da 3, per es. Noisette al burro, 3 x 245 g, 5.60 invece di 8.40 33% Cavolo rosso e crauti al vino Masshard in conf. da 3, per es. cavolo rosso, 3 x 500 g, 3.90 invece di 5.85 33%

Lardo di Colonnata, Italia, per 100 g, 4.05 invece di 5.80 30% Salametti a pasta fine, prodotti in Ticino, in conf. da 2 pezzi, per 100 g, 2.90 invece di 3.70 20%

Snacketti Friends Pack Zweifel, 225 g, 4.65 Hit

Candele scaldavivande, 4 colori assortiti in conf. a tubo, 21 pezzi, 5.90 Hit **

**Offerta valida fino al 18.9 Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 5.9 ALL’11.9.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Yogurt to go alla fragola You, 100 g, –.95 Novità ** Coppetta ai vermicelles, 95 g, 2.90 Novità ** Creamy Choco Cake, 110 g, 2.65 Novità ** Creamy Cheese Cake, 130 g, 2.65 Novità **

Da giovedì 7.9 fino a sabato 9.9.2017 conf. da 4

4 per 2

Tovaglioli Cucina & Tavola in conf. da 4, FSC 33 o 40 cm, per es. 33 x 33 cm, verdi e gialli, 4 x 30 pezzi, 4.20 invece di 8.40

conf. da 2

40%

20%

11.– invece di 18.40

Prodotti per la cura del viso e del corpo Nivea in conf. da 2 per es. salviettine detergenti rinfrescanti Visage, 2 x 25 pezzi, 6.85 invece di 8.60

Filetto di salmone senza pelle d’allevamento, Norvegia, 400 g, offerta valida dal 7.9 al 9.9.2017

33% Riduzione

Senza cavo

conf. da 3

3 0. –

di riduzione

39.90 invece di 69.90 Microsoft Office 365 Personal 1 utente per 1 anno

50%

11.85 invece di 23.70 Carta per fotocopie Papeteria in conf. da 3, FSC bianca, 80 g/m², 3 x 500 pezzi

199.– Finora

40% Tutta la carta igienica Hakle in confezioni speciali per es. pulizia classica, FSC, 30 rotoli, 15.– invece di 25.–

299.–

Compresa la custodia Ora

Aspirapolvere DC62+ Spazzola elettrica stretta, spazzola per pavimenti duri supplementare, tubo separabile, supporto murale, fino a 20 min. di autonomia – 7171.670 Le offerte sono valide fino all’11.9.2017 e fino a esaurimento dello stock. Trovi questi e molti altri prodotti nei punti vendita melectronics e nelle maggiori filiali Migros. Con riserva di errori di stampa e di altro tipo.

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 5.9 AL 18.9.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

50.–

Ora

149.– Finora

199.–

Occhiali con videocamera integrata Snapchat Spectacles neri Con Spectacles catturi i momenti dal tuo punto di vista. Premi il pulsante e riprendi un video di 10 secondi – 7984.051

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Lardo di Colonnata, Italia, per 100 g, 4.05 invece di 5.80 30% Salametti a pasta fine, prodotti in Ticino, in conf. da 2 pezzi, per 100 g, 2.90 invece di 3.70 20%

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4 per 2

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Filetto di salmone senza pelle d’allevamento, Norvegia, 400 g, offerta valida dal 7.9 al 9.9.2017

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Azione

a partire da 2 confezioni

1.–e l’una

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Tutti i tipi di riso M-Classic da 1 kg a partire da 2 confezioni, 1.– di riduzione l’una, per es. parboiled Carolina, 1.50 invece di 2.50 Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTA VALIDA SOLO DAL 5.9 ALL’11.9.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 settembre 2017 • N. 36

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Idee e acquisti per la settimana

Quale responsabile di progetto, Monika Liechti gestisce il club Famigros ed è mamma di un bambino di sette anni.

Monika Liechti

«Con un po’ di flessibilità, l’escursione sarà serena» Qual è la sua ricetta per il successo di una gita in famiglia? Faccio in maniera che l’escursione riservi qualcosa di bello per ogni membro della famiglia. In tal modo sono tutti motivati. E’ importante occuparsi della scelta del cibo e delle bibite da consumare durante il viaggio, così come dell’intrattenimento. Quindi il peluche preferito e un gioco di società vanno assolutamente portati in gita!

«In Svizzera ci sono innumerevoli opportunità di divertenti gite in famiglia» Monica Liechti Responsabile progetto Famigros

Famigros

Un mondo di idee per i genitori

Stai pianificando una breve viaggio con i bambini e sei ancora titubante sulla destinazione? Sul suo rinnovato sito internet, il club per famiglie Famigros offre oltre 500 proposte di escursioni con utili consigli organizzativi. Testo Angela Obrist

Organizzare attività con la famiglia nel tempo libero richiede una buona intesa nella quotidianità. Il bel sogno di un viaggio emozionante, con i bambini felici, potrebbe infatti rivelarsi un incubo. Spesso è sufficiente un cambiamento improvviso del meteo. O peggio ancora: si è già per strada e ci si accorge che i desideri e le aspettative dei diversi partecipanti non coincidono. Può però anche andare in un altro modo. Se i genitori tengono conto di alcuni aspetti, aumentano le possibilità che l’esperienza risulti piacevole per tutti. Un esempio: se tra i bambini c’è una grande differenza di età e di con-

seguenza gli interessi non corrispondono, vale la pena pianificare un’escursione in diverse tappe. Qualcosa sul tipo: lo spettacolo di marionette per il piccolo e subito dopo il parco giochi per il grande. Famigros, il club per famiglie della Migros, propone un gran numero di proposte di escursioni. Visitando il sito internet www.famigros.ch, che è appena stato rinnovato, alla voce «Mete escursionistiche» si trova una panoramica di interessanti destinazioni su tutto il territorio svizzero, che possono essere selezionate in base alla regione, al genere di attività, alle infrastrutture presenti, all’età del bambino

e alla stagione. Con pochi clic ci si può informare su tutti i dettagli utili, per esempio se sul posto è disponibile un fasciatoio. A seconda dei desideri e degli umori, una volta partiti è poi sempre possibile trovare un’alternativa in un battibaleno, tramite smartphone. Oltre alle proposte di escursioni, la piattaforma offre anche consigli e suggerimenti pratici per la quotidianità famigliare. Gli argomenti partono da gravidanza e prima infanzia, passano da dieta sana e cucina creativa, fino ad arrivare all’organizzazione e alla preparazione di una festa di compleanno per i bambini. www.famigros.ch

E a cosa altro bisogna prestare attenzione? Se si vuole che l’escursione sia un momento sereno per tutti, è importante essere flessibili. Di conseguenza non pianifico tutto nel dettaglio, ma lascio un po’ di spazio agli imprevisti, per esempio se il piccolo si stanca prima di quanto mi aspettavo. Al momento in cui decido dove andare, verifico cosa è disponibile sul posto e tutto quello che piace ai membri della famiglia. Così sono flessibile e a seconda delle situazioni che si verificano posso decidere come proseguire. Suo figlio come si rapporta alla pianificazione? Ci sediamo assieme e ci raccontiamo i nostri desideri. Il più delle volte si riesce a combinare sorprendentemente bene idee tra loro diverse.

www.famigros.ch


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 settembre 2017 • N. 36

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 settembre 2017 • N. 36

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Idee e acquisti per la settimana

Senza lattosio aha!

Cheesecake con topping alle more

Spensierati piaceri

Ingredienti per una tortiera apribile di ca. 22 cm Ø 250 g di biscotti misti Blévita* cioccolato & nocciola 4 cucchiai di panna intera senza lattosio* 600 g di formaggio fresco senza lattosio* 100 g di zucchero 60 g di farina 2 cucchiaini di pasta di vaniglia 1 cucchiaino di scorza di limone 4 uova 100 g di crème fraîche senza lattosio*

Chi vuole o deve eliminare il lattosio dalla propria alimentazione, non è tenuto a rinunciare a sfiziosi manicaretti. L’assortimento «aha!» comprende diversi cracker e biscotti senza lattosio. Sono adatti come spuntino o da utilizzare per la preparazione di squisiti dessert. Testo Melanie Michael; fotografie Claudia Linsi; ricetta Andrea Pistorius

Topping alle more 800 g di more 60 g di zucchero ca. 3 cucchiaini d’acqua *Disponibile nella qualità «aha!»

Preparazione 1. Foderate il fondo della tortiera con carta da forno. Mettete i biscotti in un sacchetto per surgelati e sbriciolateli con un matterello. Mescolate la panna con i biscotti sbriciolati e distribuite la massa sul fondo della tortiera, formando un piccolo bordo. Con l’ausilio di un bicchiere schiacciate bene il fondo di biscotti.

aha! Blévita Biscuit Choco, senza lattosio, 4×5 pezzi, 248 g* Fr. 4.20

2. Scaldate il forno a 180 °C. Fate sobbollire in una pentola 1/3 degli ingredienti per il topping per ca. 4 minuti. Estraete le more e distribuitele sul fondo della torta. Fate ridurre il succo un po’ più della metà e distribuite anch’esso sul fondo. 3. Con uno sbattitore elettrico mescolate il formaggio fresco con lo zucchero, la farina, la pasta di vaniglia e la scorza di limone. In un’altra scodella montate le uova a spuma, poi incorporatele alla crema di formaggio. Infine aggiungete la crème fraîche. Versate la massa nella tortiera e cuocete al centro del forno per ca. 45 minuti. 4. Lasciate raffreddare un po’ la torta su una griglia. Fate sobbollire il resto degli ingredienti per il topping come avete fatto al punto 2. Distribuite le bacche sulla torta e guarnite con il succo ridotto tiepido.

Masha Madani (14), studentessa di Zurigo, soffre dalla nascita di un’intolleranza al lattosio.

Masha Madani

«Alcuni pensano che le uova contengono latte»

Tempo di preparazione ca. 20 minuti + cottura in forno ca. 45 minuti

A quali alimenti fai più fatica a rinunciare? Al gelato e al cioccolato. Malgrado la mia intolleranza, di tanto in tanto faccio un’eccezione: del Risoletto, il mio cioccolato preferito, non potrei fare a meno.

Per persona Ogni fetta ca. 9 g di proteine, 12 g di grassi, 36 g di carboidrati, 390 kcal/1600 kj

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Come reagisce la gente alla tua intolleranza al lattosio? In realtà molto bene. Spesso c’è chi ne sa poco sull’argomento. Una cosa proprio non la capisco: alcuni pensano che le uova contengono latte. Questa è veramente un’assurdità.

Il marchio aha! contraddistingue i prodotti particolarmente indicati per chi soffre di allergie o intolleranze.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 settembre 2017 • N. 36

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 settembre 2017 • N. 36

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Idee e acquisti per la settimana

Senza lattosio aha!

Cheesecake con topping alle more

Spensierati piaceri

Ingredienti per una tortiera apribile di ca. 22 cm Ø 250 g di biscotti misti Blévita* cioccolato & nocciola 4 cucchiai di panna intera senza lattosio* 600 g di formaggio fresco senza lattosio* 100 g di zucchero 60 g di farina 2 cucchiaini di pasta di vaniglia 1 cucchiaino di scorza di limone 4 uova 100 g di crème fraîche senza lattosio*

Chi vuole o deve eliminare il lattosio dalla propria alimentazione, non è tenuto a rinunciare a sfiziosi manicaretti. L’assortimento «aha!» comprende diversi cracker e biscotti senza lattosio. Sono adatti come spuntino o da utilizzare per la preparazione di squisiti dessert. Testo Melanie Michael; fotografie Claudia Linsi; ricetta Andrea Pistorius

Topping alle more 800 g di more 60 g di zucchero ca. 3 cucchiaini d’acqua *Disponibile nella qualità «aha!»

Preparazione 1. Foderate il fondo della tortiera con carta da forno. Mettete i biscotti in un sacchetto per surgelati e sbriciolateli con un matterello. Mescolate la panna con i biscotti sbriciolati e distribuite la massa sul fondo della tortiera, formando un piccolo bordo. Con l’ausilio di un bicchiere schiacciate bene il fondo di biscotti.

aha! Blévita Biscuit Choco, senza lattosio, 4×5 pezzi, 248 g* Fr. 4.20

2. Scaldate il forno a 180 °C. Fate sobbollire in una pentola 1/3 degli ingredienti per il topping per ca. 4 minuti. Estraete le more e distribuitele sul fondo della torta. Fate ridurre il succo un po’ più della metà e distribuite anch’esso sul fondo. 3. Con uno sbattitore elettrico mescolate il formaggio fresco con lo zucchero, la farina, la pasta di vaniglia e la scorza di limone. In un’altra scodella montate le uova a spuma, poi incorporatele alla crema di formaggio. Infine aggiungete la crème fraîche. Versate la massa nella tortiera e cuocete al centro del forno per ca. 45 minuti. 4. Lasciate raffreddare un po’ la torta su una griglia. Fate sobbollire il resto degli ingredienti per il topping come avete fatto al punto 2. Distribuite le bacche sulla torta e guarnite con il succo ridotto tiepido.

Masha Madani (14), studentessa di Zurigo, soffre dalla nascita di un’intolleranza al lattosio.

Masha Madani

«Alcuni pensano che le uova contengono latte»

Tempo di preparazione ca. 20 minuti + cottura in forno ca. 45 minuti

A quali alimenti fai più fatica a rinunciare? Al gelato e al cioccolato. Malgrado la mia intolleranza, di tanto in tanto faccio un’eccezione: del Risoletto, il mio cioccolato preferito, non potrei fare a meno.

Per persona Ogni fetta ca. 9 g di proteine, 12 g di grassi, 36 g di carboidrati, 390 kcal/1600 kj

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Idee e acquisti per la settimana

Mondo animale

I gatti castrati necessitano di più movimento La castrazione influisce sul comportamento dei gatti. Annette Liesegang, dell’Istituto per l’alimentazione animale dell’Università di Zurigo, spiega i motivi per cui i gatti castrati aumentano di peso e dà suggerimenti su come rapportarsi a loro dopo l’operazione. Testo: Melanie Michael

In che modo ciò influisce sul peso del gatto?

Ai proprietari dei gatti si consiglia di castrare i loro animali, così da evitare un aumento incontrollato della popolazione felina. Condivide questa raccomandazione?

Consigli

A cosa prestare attenzione dopo la castrazione di un gatto

In genere mangiano di più e ingrassano.

Dopo l’intervento su che cosa dovrebbero fare attenzione i proprietari di un gatto nella scelta del cibo?

Sì, a meno che non si tratti di un animale da allevamento. E comunque solo dopo i sei mesi di età.

Osservare attentamente Dopo l’intervento chirurgico il gatto non deve uscire di casa per alcuni giorni, va tenuto in un ambiente tranquillo evitando movimenti bruschi. L’animale va osservato attentamente ed è importante impedire che morsichi o strappi i punti.

1

Una settimana dopo la castrazione bisognerebCosa succede durante la be passare ad alimenti castrazione? Annette Liesegang a basso contenuto Gli organi sessuali vengono è direttrice di istituto calorico, ma a parità di rimossi chirurgicamente. Si all’Università di Zurigo apporto di tutti gli altri tratta dei testicoli nei gatti nutrienti, come mineramaschi, delle ovaie, eventualmente li, vitamine e in particolare proteine. Ciò anche dell’utero, nelle femmine. Con significa che è necessario nutrire i gatti l’operazione la produzione di ormoni con mangimi specifici, oppure con una sessuali viene bloccata e il gatto è di dieta opportunamente calibrata. fatto reso sterile. Qual è la differenza con la sterilizzazione?

Spesso i termini vengono utilizzati come se fossero sinonimi, ma ciò non è corretto. La sterilizzazione prevede la legatura dei dotti deferenti, rispettivamente delle tube. Si tratta di interventi effettuati sugli esseri umani, ma non sui gatti. Quali gli effetti della castrazione sul comportamento dei gatti?

Le femmine di solito sono più affettuose, perché non hanno più fluttuazioni ormonali. I maschi sono più tranquilli e per via dei livelli più bassi di testosterone non sono più così territoriali come prima della castrazione. Ci sono degli svantaggi?

Dopo la castrazione gli ormoni che influenzano l’assunzione di alimenti, il fabbisogno di energia e l’appetito sono praticamente inesistenti.

Alimentazione a basso contenuto calorico Una o due settimane dopo l’intervento, se la ferita è guarita, adattate la dieta passando ad alimenti a basso contenuto calorico – a parità di apporto di nutrienti come proteine, minerali e vitamine.

2

I gatti castrati sono meno soggetti a problemi di salute?

La castrazione può prevenire diverse malattie che riducono l’aspettativa di vita dei gatti. Con l’età i gatti sviluppano problemi di salute simili a quelli degli esseri umani.

Più movimento Dal momento che i gatti sterilizzati tendono a mangiare di più e di conseguenza a ingrassare, è importante che facciano più movimento. Si può per esempio risvegliare la loro passione per il gioco, stimolandoli ancora di più con dei piccoli ostacoli.

A quali malattie si riferisce?

3

Nelle femmine si verificano spesso tumori mammari, di cui circa il 90 percento maligni. Se la castrazione viene effettuata prima che la gatta va in calore per la prima volta, il rischio di tumore mammario si riduce di circa il 14 percento. Risulta ridotta anche l’incidenza di malattie legate a ovaie e utero. E nei maschi?

Non si riscontrano più tumori ai testicoli, problemi alla prostata o ernie. Il gatto ha un comportamento meno territoriale e per questo motivo è meno propenso ad azzuffarsi, ciò che comporta vantaggi anche per la sua salute.

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Idee e acquisti per la settimana

Yvette

Il «mangia pelucchi»

È veramente fastidioso quando sui propri capi preferiti si formano dei pelucchi. Con Yvette Color, Black e White eviterete questo inconveniente, grazie alla nuova formula con un enzima speciale che possiede un appetito particolare per questi pallini.

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Yvette Color non contiene sbiancanti ottici o candeggina. La nuova formula rende i colori luminosi, preserva le fibre, rimuove e previene la formazione di pelucchi (tecnologia repair and protect). Yvette Color 2 l Fr. 8.95* invece di 11.20

Cellulase, il nuovo enzima anti-pilling

Gli enzimi nei moderni detersivi agiscono come un’equipe di pulizia: il lavoro di queste proteine consiste nel dividere ogni tipo di macchia in molecole allo scopo di eliminarle. I detersivi delicati Yvette Color, Black e White preservano le fibre e contengono il nuovo enzima cellulase. Quest’ultimo permette di prevenire la formazione di pelucchi indesiderati dovuti all’agglomerazione delle fibre di cotone. Dopo diversi lavaggi, riduce perfino dell’80% i pallini già esistenti.

Yvette Black è stato appositamente sviluppato per i tessili scuri che ingrigiscono e sbiadiscono facilmente. Non contiene né candeggina né sbiancanti. La sua composizione è stata migliorata per garantire un nero luminoso e un’azione anti-pelucchi efficace. Yvette Black 2 l Fr. 8.95* invece di 11.20

Yvette White con formula migliorata rende la biancheria bianca splendente grazie agli sbiancanti ottici. L’enzima cellulase scioglie i pelucchi esistenti e ne previene la formazione. Yvette White 1,5 l Fr. 6.80* invece di 8.50

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche i detersivi Yvette.

Nota: A causa dell’aumento delle materie prime il prezzo di Yvette Color e Yvette Black dal 1.9 passa da Fr. 9.80 a 11.20.


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Idee e acquisti per la settimana

aha! Soja

Senza rinunciare al gusto Mettono appetito le belle immagini di pietanze vegane e senza lattosio che si possono vedere in rete. Dimostrano che fare a meno dei prodotti caseari a causa di intolleranza o di altri motivi non comporta una rinuncia ai piaceri del palato. L’assortimento Soja di «aha!» propone una serie di gustosi prodotti alternativi, disponibili anche in qualità bio. Per esempio Soja Drink, che sostituisce il latte, oppure Soja Cuisine, da utilizzare al posto della panna, per conferire la consistenza desiderata alle pietanze cremose. Per non parlare del tofu, ormai da tempo diffuso e apprezzato anche da chi apprezza mangiare carne.

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