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Il Rinascimento fantastico di Hieronymus Bosch

Mostra ◆ Fino al 12 marzo a Palazzo Reale di Milano una mostra celebra il pittore

Olandese

Avvicinarsi alla pittura di Hieronymus Bosch è spalancare una porta sulla stanza del fantastico. La storiografia artistica cinquecentesca di area italiana e spagnola ne parla da subito in termini di «pictor gryllorum», pittore di scene ridicole, definizione che si cristallizzerà nei secoli accanto a quella di «pittore di inferni e mostri», per stare alle parole del cronista Marcantonio Michiel, uno dei suoi primi recensori. La mostra che Milano gli dedica, ospitata nelle sale di Palazzo Reale, offre un percorso che si articola in un centinaio di opere d’arte tra dipinti, arazzi, incisioni, bronzetti – di Bosch e alla maniera di Bosch – raccolti grazie alla collaborazione di ventinove istituzioni museali italiane ed europee, collezioni pubbliche e private.

La parabola umana e artistica di Bosch si compie nei Paesi Bassi tra il 1450 circa e il 1516 ma la culla della sua fortuna sarà l’Europa meridionale: la Venezia delle collezioni di Domenico e Marino Grimani e la Spagna della dinastia asburgica e dei mecenati che vi gravitano attorno. Dal mondo fiammingo eredita un’idea di realtà policentrica dove la moltiplicazione degli osservatori genera, a sua volta, una stratificazione degli oggetti. Un realismo basato sulla pluralità e sulla grande attenzione al dettaglio a cui si richiama la tesi della mostra di Bosch come interprete di un Rinascimento alternativo, eccentrico rispetto a quello vasariano, di casa nell’Italia centrale.

Il suo modo di dipingere ha avuto grande fortuna; la moda delle «immagini alla Bosch» si diffonde in Europa utilizzando tecniche come l’arazzo o l’incisione

La mostra è organizzata per sezioni dedicate a temi come il sogno, la magia, la rappresentazione della fine dei tempi. Per fare un’esperienza immersiva nell’arte di Bosch non resta allora che vestirci della giusta curiosità, alla scoperta delle infinite sfaccettature del fantastico. E già nella prima sala non saremo delusi: il Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio (nell’immagine qui sopra, risalente al 1500 circa, proveniente dal Museu Nacional de Arte Antiga di Lisbona) ci racconta il mondo policentrico e fantasmagorico di Bosch, la sua visione lenticolare della realtà. In Italia per la prima vol- ta, il Trittico è un’opera magistrale di cui si contano molteplici versioni. C’è tutto Bosch: le architetture fantastiche, i personaggi grotteschi, i fuochi guizzanti, le creature mostruose tanto che a quest’opera si attaglia perfettamente la definizione dei suoi dipinti come piccoli universi compiuti. Certo, il soggetto era stato ampiamente trattato, e l’iconografia del santo alle prese con diavoli e seduttrici gettonatissima nelle committenze; la rivoluzione di Bosch, però, è il doppio registro di lettura dell’opera: moralistico, secondo i dettami dell’arte sacra del tempo, e allegorico. Come dire, l’allegoria e il ridicolo alla fine sono rafforzativi del messaggio morale che si vuole veicolare: la forza nel resistere alle lusinghe del male o la riflessione sulla vita ultraterrena.

Come le tentazioni di san’Antonio, anche il giudizio finale era un tema ricorrente nell’arte del XVI secolo: la tensione escatologica era forte e la preoccupazione per il destino ultraterreno dell’anima si esprimeva nella grande produzione di immagini di questo tipo. Il Giudizio finale (1500 circa) esposto in mostra apparteneva alla collezione di Marino Grimani; Bosch crea un ponte ideale tra le suggestio- ni dell’iconografia fiamminga a cui si ispira – Hans Memlig, Jan Van Eyck – e le successive interpretazioni del tema, in Europa e fuori, che si rifaranno al suo Giudizio. Le creature mostruose che lo popolano, gli ibridi, i dettagli inquietanti sono lì a ricordarci che la fine dei tempi non è cosa da poco e che un conto ci verrà presentato. Il suo modo di dipingere ha avuto grande fortuna; la moda delle «immagini alla Bosch» si diffonde in Europa utilizzando tecniche come l’arazzo o l’incisione, che diventerà il mezzo principale della circolazione del suo linguaggio. Bosch dà forma a una narrazione di episodi religiosi e credenze popolari attingendo a una cultura fatta anche di magia e di alchimia. Egli utilizza un linguaggio onirico e fantastico per ricordarci che la complessità e la contraddizione sono la cifra dell’uomo, lui figlio di un tempo inquieto che sfocerà nella temperie religiosa della Riforma prima e della Controriforma poi.

La sua opera è anche fortemente legata alla moda del collezionismo enciclopedico che comincia a diffondersi nelle corti europee del tempo. Collezionismo con intenti tassonomici certamente, ma più spesso cele- brativi dello status sociale del proprietario, in ogni caso destinati a suscitare la curiosità nel pubblico. Nella sala finale del percorso è ricostruita un’ideale Wunderkammer ; al centro campeggia una copia cinquecentesca del pannello centrale del Giardino delle delizie a ricordare le categorie con cui erano organizzate le collezioni: i naturalia, gli artificialia, ciò che l’uomo crea, e infine i mirabilia, la categoria dello straordinario, esemplificata dal Vertumnus di Giuseppe Arcimboldo.

Che poi, se ci pensiamo, sono le stesse categorie che perimetrano le nostre esistenze. Bosch è un grande anticipatore di movimenti che, come l’Espressionismo e il Surrealismo, guarderanno alla realtà con occhi nuovi. A lui siamo debitori di come la moltiplicazione dei punti di vista e delle chiavi di lettura di ciò che ci circonda non vada a detrimento del significato, ma restituisca complessità e ricchezza conoscitiva.

Dove e quando Bosch e un altro Rinascimento, Palazzo Reale, Milano, fino al 12 marzo. Ma-me-ve-sa e do 10.00-19.30, gio 10.00-22.30. www.palazzorealemilano.it

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