4 minute read
Gli insegnamenti della Commedia delle maschere
Teatro ◆ La rappresentazione de l’Arlecchino muto per spavento ha conquistato il pubblico di Locarno
Giorgio Thoeni
testa quando ero piccolissima pensando che nessuno mi vedesse più: fu lì che quello strumento – all’epoca mi sembrava davvero enorme – iniziò a interessarmi, seppur per motivi ludici. Poi avevo due fratelli maggiori che suonavano e mi piaceva l’idea di condividere qualcosa con loro, e la cosa più semplice si rivelò essere la musica». A undici anni la crisi: «Non volevo più suonare, mi annoiavo terribilmente; lo confessai ai miei genitori, che non si opposero; mi dissero solo che avrei dovuto dirlo io al mio insegnante; non ebbi il coraggio e continuai… Dopo poco però mi trovarono un nuovo maestro al Mozarteum della mia città, Enrico Bronzi (solista e fondatore del Trio di Parma, ndr.): fu la svolta, rimasi travolta dalla sua passione per il violoncello e per la musica in generale, oltre che rapita dalla sua perizia nel farmi capire tanto gli aspetti tecnici quanto le questioni più squisitamente interpretative. Con lui decisi che non mi sarei più allontanata dal violoncello, e così è stato, fortunatamente».
Accanto a lui un altro maestro è stato Heinrich Schiff: «Lo ammiravo come solista, veniva anche a casa nostra a trovare papà; è stato straordinario potermi perfezionare con lui per due anni». Dopo quelle sui ricor-
Con «Azione» al LAC
«Azione» mette in palio alcuni biglietti per il concerto diretto da Krzysztof Urba´nski con la violoncellista Julia Hagen giovedì 2 marzo alle 20.30 al LAC. Per partecipare al concorso inviate una mail a giochi@azione.ch, oggetto «Dvorak» con i vostri dati (nome, cognome, indirizzo, no. di telefono) entro domenica 26 febbraio alle 24.00.
di d’infanzia e sul percorso di studi, Hagen concede un’altra confidenza: «Quando ho iniziato a suonare in pubblico, tra i miei vezzi c’era quello di mangiare una banana col cinnamomo prima di salire sul palco; ero a Vienna, dovevo debuttare al Konzerthaus, avevo con me la banana, ma non il cinnamomo; ero nervosissima, mio fratello dovette girare non so quanti supermercati per trovarmelo; da allora ho deciso di ricorrere a strategie più comode da reperire; ora per rilassarmi, concentrarmi e darmi energia preferisco praticare yoga».
Nel frattempo, dopo il Konzerthaus, sono seguiti altri debutti fondamentali: all’altra sala mitica di Vienna, il Musikverein, sede del Concerto di Capodanno dei Wiener Philharmoniker con i valzer degli Strauss, la Suntory Hall di Tokyo e la Tonhalle di Zurigo. Imbraccia un prezioso Ruggieri del 1684, datole da un privato austriaco: «L’hanno dovuto letteralmente ricostruire, l’avevano anche immerso nella malta; ora ha un suono scintillante, un timbro caldo, una grande generosa cantabilità». La cantabilità probabilmente non sarebbe la prima caratteristica con cui descrivere la quinta sinfonia di Beethoven, che il nuovo Direttore Ospite Principale dell’OSI Krzysztof Urbański affronterà nella seconda parte del concerto; eppure è curioso ricordare come l’ispirazione per «le quattro note più famose della storia musicale» (copyright Leonard Bernstein) da cui scaturisce un vero big bang orchestrale fatto di ritmi e sonorità rapinose – emblema sonoro dello spirito prometeico beethoveniano e della sua titanica lotta contro «il destino che bussa alla porta» – fu il canto dello Zigulo giallo, un uccellino che Beethoven udì in un parco viennese; il compositore trascrisse il suo richiamo ricorrendo ai tre sol seguiti dal mi bemolle e scandì le quattro note con un ritmo che ancor oggi stupisce e folgora per forza e modernità.
Quando approdano spettacoli di un certo tipo, ogni scuola di teatro che si rispetti dovrebbe avvertire una sorta di urgenza propedeutica nel suggerirne la visione ai propri allievi. La considerazione ci è scaturita con la visione di Arlecchino muto per spavento visto recentemente al Teatro di Locarno. Raramente, infatti, i più giovani hanno la possibilità di assistere a esempi di Commedia dell’Arte realizzati con un artigianato esemplare e fedele alla tradizione. È un esercizio che la compagnia Stivalaccio di Vicenza persegue con una ricerca nell’ambito del teatro popolare realizzando spettacoli come, appunto, questo Arlecchino, testimone di un’eredità alla base del repertorio moderno. Produzioni così sono difficili da incontrare ma sono la dimostrazione che si può vedere un teatro professionale che esprime un’attorialità costruita su una disciplina fisica e vocale di grande impatto e condivisione con il pubblico. Un gioco teatrale basilare, rigoroso e impegnativo che a prima vista può apparire improvvisato ma che in realtà racchiude tutti i meravigliosi insegnamenti della Commedia.
Ispirato a Arlequin muet par crainte di Luigi Riccoboni, lo spettacolo riprende uno dei suoi canovacci più rappresentati nella Parigi del primo Settecento
Lo spettacolo proposto dalla compagnia vicentina ha debuttato nel maggio dello scorso anno, pochi giorni dopo la prematura scomparsa di Eugenio Allegri, attore e regista dal riconosciuto talento e impegno sociale. Questo Arlecchino gli è dedicato proprio in quanto attinge a un cano- vaccio che, come lui stesso amava ricordare, va alla ricerca delle proprie origini, della propria storia, per ritrovare una memoria attiva di un discorso sul teatro rivolto alla società. Ispirato a Arlequin muet par crainte di Luigi Riccoboni (1676-1753), autore e attore modenese naturalizzato francese, lo spettacolo riprende uno dei suoi canovacci più rappresentati nella Parigi del primo Settecento.
La trama è di quelle classiche. Il servitore bergamasco, maldestro chiacchierone, deve fingersi muto per non complicare l’intreccio amoroso fra il suo padrone Lelio e la bella Flamminia in contrasto con le mire del mercante Pantalon de’ Bisognosi sul figlio Mario, timido innamorato di Silvia, mentre il cuore di Arlecchino palpita per Violetta. Insomma, un garbuglio drammaturgico necessario per mettere in moto la macchina teatrale di un intreccio che, due secoli dopo, la storia del teatro vedrà nel Théâtre de Boulverd di Labiche e Feydeau. Se l’arguzia di Arlecchino è al centro dell’intricata matassa, non è da meno l’ironia in falsariga espressa in un vivace affresco di personaggi classici della Commedia in maschera e gli Innamorati. Un grande lavoro sull’allestimento che non risparmia lazzi, canti, duelli e schermaglie verbali per un teatro puro e filologico, popolato di trovate a presa rapida e dal solido impianto scenico con una struttura modulare a scale. Diretti con mano felice da Marco Zoppello, un formidabile Arlecchino, tutti i giovani attori sono da citare: Sara Allevi, Marie Coutance, Matteo Cremon, Anna De Franceschi, Francesca Botti, Michele Mori, Stefano Rota e Pierdomenico Simone.