Azione 34 del 19 agosto 2024

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edizione 34

MONDO MIGROS Pagine 2 / 4

SOCIETÀ Pagina 3

Uno studio indaga gli spostamenti dei laureati in Ticino; ce ne parla Barbara Antonioli Mantegazzini

L’apnea secondo Fabio Benevelli: adrenalina e calma olimpica unite sotto la superficie dell’acqua

TEMPO LIBERO Pagina 11

I giganti dell’economia mondiale (Usa, Cina, Germania e Giappone) sono in crisi. Cosa ci aspetta?

ATTUALITÀ Pagina 19

Alla scoperta dello Zoo di Mesocco

Impressioni dalla 77esima edizione del Film Festival di Locarno che si è conclusa lo scorso sabato

CULTURA Pagine 32-33

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Chiesa e pedofilia, senza pregiudizi

Un altro prete è stato accusato di abusi sessuali su minori ed è partita la ridda delle opposte indignazioni: chi si arrabbia perché la Chiesa cattolica «predica bene e razzola male» anzi malissimo, e chi si snerva perché i media hanno fatto il nome del sospettato prima ancora che un tribunale lo dichiarasse colpevole. Non entriamo, qui, nella polemica circa i tempi lunghi tra la segnalazione del caso e l’arresto, di cui hanno ampiamente riferito i quotidiani. Ragioniamo, invece, sulle due reazioni primarie emerse dopo la notizia. Per alcuni, tutti i preti sono sospettabili e la Chiesa cattolica protegge troppo chi si macchia di reati; per altri stampa e Magistratura sono anticlericali perché di fronte ad analoghe accuse contro sospetti abusatori «laici» non hanno agito con lo stesso «accanimento». È davvero così? Certo, l’immagine della Chiesa cattolica esce malconcia dalla vicenda, ma la Chiesa è l’unica istituzione che è stata capace di fare non solo

autocritica, ma una vera e propria pulizia interna, di fronte al fenomeno. Questo caso è spuntato dopo la prima indagine indipendente dell’Università di Zurigo (settembre 2023) sugli abusi nella Chiesa cattolica elvetica, commissionata –si noti – dalla Conferenza dei vescovi svizzeri. Vescovi che hanno poi chiesto alle vittime di segnalare alle Diocesi gli abusi subiti, per verificarli e, se fondati, aiutare le vittime a segnalarli alla Magistratura. Come avvenuto ora. Prima del Duemila è probabile che la stessa segnalazione sarebbe caduta nel nulla. L’emergere di questa vicenda è la prova che la Chiesa cattolica sta facendo sul serio con la politica della «tolleranza zero». Non dimentichiamo, poi, che il grosso degli abusi sui minori avviene in ambienti non religiosi, in ambito famigliare o nelle strutture che hanno a che fare coi minorenni, dalle scuole ai campeggi ai corsi di sport. La pedofilia non è un problema esclusivo dell’istituzione cattolica, ma di tutta la

società civile. E di questo si parla molto meno. Certo, l’anticlericalismo c’è, e in passato qualche caso sembra davvero essere stato gestito con una punta di malanimo laicista (siamo un cantone storicamente spaccato in due sul ruolo e sul peso della religione nel mondo). Ma è scorretto attribuire all’anticlericalismo ogni accusa che riguarda un ecclesiastico. Siamo tutti uguali davanti alla legge. Non si possono usare i guanti perché il presunto colpevole è un prete. Quanto al mondo dell’informazione, se una persona pubblica (e i preti lo sono, al pari dei politici o dei vip) è fortemente sospettata di essersi macchiata di un reato, è prassi che il suo nome venga divulgato sui media, anche per evitare che altri preti o politici o vip vengano sospettati al suo posto. Come recita il Prontuario del Consiglio svizzero della stampa «pubblicare il nome è lecito quando la persona si espone pubblicamente sul tema oggetto della notizia, detiene una posizione politica o so-

ciale di rilievo, oppure è già nota per altri motivi». Per l’interessato, la sua famiglia e i suoi amici, è scioccante vedere pubblicato il nome prima che sia stabilita con certezza la colpevolezza. Ma non si può scrivere «un prete del Mendrisiotto avrebbe…» senza gettare un’ombra su tutti i preti del Mendrisiotto. Idem se si tratta di un’altra persona socialmente esposta. Specificando, beninteso, che fino a prova contraria, cioè fino alla celebrazione del processo, vale la presunzione di innocenza. E precisando poi se il giudizio è di primo o di secondo grado, o se l’eventuale condanna è passata in giudicato, se cioè non esistono più possibilità di ricorso. Altre riflessioni andrebbero fatte sulla protezione delle vittime (a cui va come minimo assicurato aiuto psicologico) e sulla prevenzione del fenomeno (con un discernimento umano approfondito dei candidati al sacerdozio), ma nel frattempo proviamo a ragionare sul tema con equilibrio e senza pregiudizi.

Natascha Fioretti
Carlo Silini

Gradito ritorno al Medioevo

Appuntamenti ◆ Mancano poche settimane alla mitica Festa di Redde, dopo vent’anni di attività giunta alla 12esima edizione

Correva l’anno domini 2004. Il Ticino politico era attraversato da una serie di aggregazioni che avrebbero cambiato l’assetto amministrativo cantonale, pur non modificandone i contenuti. Allo stesso tempo la gente sentiva un forte bisogno di comunità, di attaccamento alle proprie radici, e perché no, alla propria storia. Questo afflato comunitario nel 2004 portò i quattro amici Daniele, Mauro, Moreno e Sandro a proporre la prima di una lunga serie di manifestazioni della regione, il Palio delle Galline. Alla luce del successo riscontrato, si decise di affrontare un progetto più complesso e articolato, partendo dalla valorizzazione dell’appena ristrutturata Torre medievale di Redde.

Quest’anno, oltre al doppio appuntamento del 7 e del 14 settembre, sono previsti una conferenza sulle streghe e un concerto

Quello che è successo nel frattempo, nel corso di due decenni, è ormai storia e, perché no?, quasi tradizione, grazie alla creazione dell’Associazione Reddevive (costituita nel 2007), alla costruzione nel 2019 del

Reddebicco (in collaborazione con l’Associazione Alambicco Vaglio), edificio a due piani che ospita i magazzini, alambicco, una sala riunioni e un birrificio, ma soprattutto grazie a un evento capace di calamitare ogni volta migliaia di partecipanti, attratti dall’ottimo cibo, dalla musica e dall’intrattenimento; il tutto in un luogo che non sarebbe azzardato

definire «permeato di magia» come il bosco in cui si trova la Torre di Redde. Per la gioia di molti, quest’anno il doppio appuntamento sarà il 7 e il 14 settembre, come sempre sulla collina di San Clemente, nei boschi tra Vaglio e Lugaggia, proprio là dove, nel XVI secolo d.C. sorgeva il villaggio di Redde, con tutta probabilità abbandonato a causa della peste.

Il grande network delle donne con un nuovo programma

Forum elle ◆ Con l’autunno riprende anche l’attività dell’associazione presieduta da Gaby Malacrida: i primi appuntamenti

Forum elle nacque nel 1957 come «associazione svizzera delle cooperatrici Migros», e due anni dopo erano già nate delle sezioni a Basilea, Berna, Ticino, Argovia, Lucerna, Soletta, Winterthur e Zurigo. L’obiettivo era quello di difendere gli interessi della famiglia e divulgare su larga scala le idee del fondatore della Migros Gottlieb Duttweiler. Oggi, Forum elle, l’organizzazione femminile apartitica e aconfessionale della Migros, conta poco meno di 8000 socie divise tra 16 sezioni.

La sezione ticinese di Forum elle, con le sue oltre 270 socie, è particolarmente attiva, e sotto la direzione di Gaby Malacrida (presidente in Ticino) offre con regolarità una serie di incontri di carattere diverso, dal culturale al conviviale, in un intento che spazia dalla socializzazione e dalla aggregazione fino alla formazione e all’arricchimento personali. In settembre si riparte.

Alcune anticipazioni

Mercoledì 11 settembre Passeggiata alle Bolle di Magadino (9.45 –15.00 ca.).

Martedì 24 settembre Trasferta in Leventina: Ritom, visita al cantie-

Jonas Marti sarà protagonista dell’appuntamento del 10 ottobre.

re della nuova centrale idroelettrica (giornata intera). Questo progetto vede la collaborazione tra le FFS, il Canton Ticino e l’Azienda Elettrica Ticinese (AET) e grazie alla visita guidata si avrà modo di toccare con mano l’importante opera. Al termine (durata 2h), pranzo al Grotto Laghetti d’Audan.

Giovedì 10 ottobre (ore 14.00) Tour alla scoperta di una Lugano sconosciuta con Jonas Marti (nella foto), giornalista e divulgatore ticinese, noto al grande pubblico per la fortunata guida Lugano la bella sconosciuta e la trasmissione RSI Una storia infinita.

Martedì 5 novembre e giovedì 7 no-

vembre Munch – il grido interiore, Milano, Palazzo Reale (giornata intera); trasferta in treno e visita all’importante mostra dedicata al pittore norvegese Edvard Munch (1863-1944), celebre autore dell’opera-icona per eccellenza L’Urlo. Dopo quarant’anni anni, e a ottant’anni dalla morte dell’artista, Palazzo Reale riporta Edvard Munch a Milano con cento suoi capolavori. Martedì 19 novembre 2024 (ore 17.30) Ritrovo alla Stazione di Lugano dove Roberta Cattaneo, direttrice regionale FFS Regione Sud, presenterà il nuovo sottopasso. Un’occasione per scoprire o conoscere più a fondo la Stazione di Lugano.

Diventare socie

Se volete diventare socie di Forum elle vi invitiamo a visitare il sito www. forum-elle.ch, sezione Ticino: oltre al formulario di iscrizione, troverete l’elenco completo degli appuntamenti passati e futuri. /Si.Sa.

Per iscrizioni e informazioni www.forum-elle.ch; e-mail: simona.guenzani@forum-elle.ch

Nel bosco di San Clemente momenti di convivialità in pieno mood medievale.

Al fine di garantire un’assoluta full immersion nell’evento medievale, ci spiega Carlo Streit, Presidente dell’Associazione Reddevive, all’ingresso si dovrà convertire la moneta corrente, ossia i franchi svizzeri, con la valuta di Redde; così si avrà modo di godere non solo della vasta offerta culinaria, ma anche degli spettacoli in programma, che vanno dalla musica folk

ai teatri per bambini, senza dimenticare gli appuntamenti più a tema medievale, come quello con gli arcieri, i tiratori d’ascia o i combattenti. Il tutto con lo spirito green che contraddistingue la manifestazione sin dagli albori, e che porta gli organizzatori, oltre a lasciare un bosco, come sottolinea Streit, «ancora più pulito di prima di ogni evento», a lavorare solo con materiali riciclabili e sostenibili, ossia il legno (impiegato dai «costruttori di Redde» per le impalcature, i punti ristoro ecc.). A corollario della manifestazione quest’anno si segnalano due ulteriori appuntamenti. Martedì 10 settembre (ore 20.15, oratorio di Tesserete) Patrizia Perencin terrà la conferenza La caccia alle streghe nella Svizzera italiana: inquisizione, Carlo Borromeo e il Malleus Maleficarum; giovedì 12 settembre (ore 20.30, lavatoio) ci sarà invece il concerto dei Duodecima, che proporranno una libera interpretazione di brani medievali e rinascimentali./Si.Sa.

Dove e quando Festa di Redde, Capriasca, 7 e 14 settembre 2024, www.festadiredde.ch

Nuovi diplomati in Migros Ticino

Info Migros ◆ Sono undici i tirocinanti giunti alla fine del percorso d’apprendistato

Nelle scorse settimane hanno avuto luogo gli esami finali per le e gli apprendisti di Migros Ticino e Activ Fitness Ticino, conclusisi con esito molto positivo. Una di loro ha ricevuto la medaglia d’argento per aver ottenuto una media finale di 5.7 su 6 e altri tre giovani hanno conseguito quella di bronzo con la media del 5.3. Nella fotografia, scattata davanti al Centro Migros di S. Antonino, troviamo in piedi da sinistra Vladislav Lupandin (casalinghi, Lugano), Samuele Masucci (commercio, centrale), Noè Sgrazzutti (fitness, Vezia), Loris Pomobello (fitness, Losone, 5.3), Antony Bruno (ali-

mentari, Locarno), Diego Ranzoni (autista veicoli pesanti, centrale). Seduti, da sinistra, Elvira Ottilia Csiki (tessili, S. Antonino, 5.7), Beatriz Goncalves (non food, Lugano), Noemi Colletti (mobili, Micasa, 5.3), Kayla Dias Da Silva (do it, OBI). Assente al momento della premiazione Emily Di Primio (alimentari, Biasca, 5.3).

Dopo questo primo importante passo, da parte della Cooperativa Migros Ticino possa andare a tutte le neodiplomate e i neodiplomati il miglior augurio affinché il loro futuro professionale possa essere radioso, ricco di soddisfazioni e successi.

SOCIETÀ

Allo Spazio ManoVella si va per fare comunità L’Associazione Italiana di Lugano per gli Anziani (AILA) assieme a Pro Senectute Ticino e Moesano hanno creato a Cassarate un nuovo luogo d’incontro aperto a tutti

Una vernice per risparmiare climatizzazione

A beneficio della durata delle batterie elettriche, Nissan sta sperimentando una combinazione di molecole che permetterà di abbassare la temperatura nell’abitacolo

I laureati se ne vanno, ma poi in parte tornano

Demografia ◆ Uno studio indaga le ragioni per cui rimanere a lavorare in Ticino oppure no, quali sono i punti di forza del nostro territorio o le debolezze con le quali tra i 20 e i 39 anni si è confrontati

«Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via», scriveva Pavese. Ma cosa accade se a lasciare il Ticino sono gli studenti freschi di un titolo universitario? Il fenomeno, sintetizzato nell’espressione «fuga dei cervelli», preoccupa seriamente l’economia, il territorio, la società. Tanto che il Consiglio di Stato ha deciso di affrontare con urgenza una criticità che rischia di avere ripercussioni irreparabili per il futuro. Come?

Affidando uno studio all’Istituto di ricerche economiche (Ire), facoltà di scienze economiche dell’Università della Svizzera italiana e al Centro competenze management e imprenditorialità della Supsi. Per conoscerne i contenuti e i primi risultati abbiamo interpellato una delle responsabili dell’indagine, Barbara Antonioli Mantegazzini, professoressa titolare all’Usi e vice-direttrice dell’Ire.

Quali sono i punti centrali ai quali lo studio è chiamato a rispondere?

Il Consiglio di Stato è interessato a comprendere le ragioni alla base dell’attuale forma della piramide demografica ticinese, cioè della distribuzione della popolazione per fasce d’età. La piramide demografica restituisce un’immagine chiara e leggibile del peso delle varie fasce della popolazione, e viene normalmente utilizzata per mostrare l’andamento della popolazione nel tempo. Per il Canton Ticino, quello che si nota è un progressivo sbilanciamento verso individui con età superiore ai 40 anni, e un parallelo calo di quelli più giovani. È quindi importante comprendere quali sono le motivazioni che hanno condotto a questa forma, come il calo del tasso di fecondità, l’aumento dell’aspettativa di vita e, appunto, il trasferimento dei giovani tra i 20 e i 39 anni fuori Cantone o all’estero. In tal modo, sarà possibile formulare delle riflessioni su possibili politiche pubbliche volte a rendere il Ticino maggiormente attrattivo.

L’indagine si intitola Scenari evolutivi nella dinamica demografica del Canton Ticino. Condizioni di attrattività per i nuovi residenti, impatto sullo sviluppo economico regionale, un titolo rivelatore della complessità dello studio. Come avete strutturato il questionario dell’indagine? Qual è il campione che vi siete proposti di raggiungere? Quali sono le domande e gli argomenti determinanti?

È opportuno precisare che lo studio si rivolge a gruppi diversi di individui. Un primo gruppo comprende un campione selezionato di individui con età compresa tra i 20 e i 39

anni che si sono trasferiti fuori Cantone o, di converso, hanno scelto di insediarsi nel nostro Cantone negli ultimi cinque anni, a prescindere dal tipo di attività e dalla formazione. Per questi soggetti, la raccolta delle informazioni avviene attraverso interviste strutturate. Il secondo gruppo, invece, comprende i laureati Usi e Supsi degli ultimi dieci anni. A questi è stato somministrato un questionario allo scopo di raccogliere in maniera quanto più dettagliata possibile le motivazioni alla base delle scelte lavorative. Per chi lavora al di fuori del Ticino, ci interessa prevalentemente indagare per quale motivo hanno scelto di farlo, il grado di soddisfazione, se valuterebbero di rientrare e a quali condizioni. Per chi invece lavora nel nostro Cantone, è importante approfondire perché ha scelto di rimanere, quali sono i punti di forza del nostro territorio, o le debolezze con le quali si è comunque confrontato. Prevediamo di tener aperto il questionario per circa un mese per raccogliere il maggior numero possibile di informazioni.

Avete già ottenuto risposte utili che vi consentono di trarre prime conclusioni?

Stiamo cominciando ora a ricevere il primo round di risposte, che sono sicuramente molto interessanti. Benché sia ancora presto per trarre conclusioni, stanno emergendo alcuni temi che risultano essere trasversalmente rilevanti per la vasta maggioranza degli intervistati. Ad esempio, nonostante il ruolo di primo piano giocato dal differenziale salariale fra il Ticino e gli altri Cantoni, le scelte di mobilità dei giovani ticinesi che terminano il loro percorso di studi sono spiegate in larga parte anche da altri fattori quali le possibilità di carriera e di flessibilità lavorativa anche attraverso una quota di lavoro in remoto. Altro aspetto rilevante è che la maggior parte di coloro che sono partiti per avviare la propria carriera lavorativa in altri Cantoni o all’estero ha compiuto questa scelta non per mancanza di opportunità in Ticino, ma per il desiderio di maturare nuove esperienze fuori Cantone. D’altra parte, è pure emerso chiaramente come molte laureate e laureati siano comunque interessati a una carriera lavorativa in Ticino, soprattutto quando hanno legami familiari che li spingono a rimanere sul territorio. In diversi punti del questionario abbiamo infine dato la possibilità di aggiungere commenti ed è stato interessante rilevare come molte e molti giovani abbiano il desiderio di condividere le loro molteplici esperienze, positive e negative, e si mostrino

interessati a rendere il loro Cantone un luogo sempre più attrattivo e competitivo nel futuro.

L’esodo di molti giovani da un Cantone e l’altro o verso l’estero riguarda solo il Ticino o altre realtà in Svizzera? Potrebbe infine inquadrare il fenomeno relativo al Ticino?

In una prima fase del lavoro, abbiamo quantificato il numero di trasferimenti di giovani nella fascia di età fra 25 e 40 anni che si registrano annualmente in Svizzera fra le diverse aree del mercato del lavoro. Queste aree, definite dall’Ufficio federale di statistica, sono macro-regioni che si configurano attorno a un centro economico principale e al loro interno si possono circoscrivere i flussi degli spostamenti quotidiani fra casa e lavoro. Il primo dato che emerge da questa analisi è che, benché il Canton Ticino registri ogni anno un saldo migratorio negativo che si è

amplificato nel tempo raggiungendo l’attuale differenza fra partenze e arrivi che ammonta a circa 500 unità, saldi negativi anche più consistenti sono registrati da regioni quali Basilea, Alpi Orientali, Ginevra, Lago di Costanza e Giura. Inoltre, se ci focalizziamo sulla percentuale di giovani residenti che partono ogni anno, il Ticino si classifica in ultima posizione nel panorama svizzero, con un valore (2%) ben al di sotto di regioni quali Giura, Alpi Orientali o Neuchâtel, dove questa percentuale supera il 5%. Dunque, in base a questi dati, rispetto agli altri Cantoni il principale problema del Ticino si configura come una mancanza di arrivi piuttosto che come un eccesso di partenze. L’unica regione svizzera che registra ogni anno un consistente saldo migratorio positivo è invece l’area di Zurigo, dove il numero di arrivi supera quello delle partenze di tremila unità ogni anno. Il mercato del lavo-

ro di Zurigo è in forte espansione e attrae ogni anno una rilevante percentuale di giovani residenti provenienti da altri Cantoni, anche quelli che in passato tendevano a configurarsi come mete di arrivo, ad esempio la regione della Svizzera centrale e l’area bernese. Da ultimo, è interessante osservare che non tutte le partenze sono definitive. Nonostante le partenze di giovani dal Ticino verso altri Cantoni (in particolare, Zurigo) superino nettamente gli arrivi, questi ultimi non sono trascurabili e nell’ultimo decennio ammontano in media a 700 all’anno. In base a nostre stime, più di un terzo di questi arrivi possono essere classificati come rientri di persone originariamente residenti in Ticino. Dunque, il Ticino ha sicuramente margine per investire sul rientro di persone potenzialmente interessate a tornare dopo esperienze lavorative e di formazione trascorse in altri Cantoni o all’estero.

Guido Grilli
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Prelibatezze dalla Svizzera

Attualità ◆ Le ottime prugne indigene sono disponibili sugli scaffali dei supermercati Migros con la loro dolcezza e il sapore unico

Quest’anno in Svizzera si stima un buon raccolto di prugne, tanto che è previsto un quantitativo complessivo di ca. 3500 tonnellate, 121 delle quali di qualità biologica (fonte: Associazione Svizzera Frutta). Il raccolto corrisponde a quello del 2022 e soddisfa il fabbisogno del mercato. Le coltivazioni più importanti sono situate nella Svizzera nordorientale, principalmente nei Cantoni di Turgovia e San Gallo. La stagione delle prugne svizzere dura dall’inizio di agosto fino alla fine di settembre.

Le varietà più importanti

L’indiscussa regina delle prugne svizzere è la varietà Fellenberg. Questa prugna di grosse dimensioni e di un bel colore blu scuro, si caratterizza per la sua polpa soda e molto aromatica, con il nocciolo che si stacca facilmente. Altre varietà disponibili di tendenza, a maturazione precoce, sono «Tegera» e «Cacaks Schöne», come pure «Bühler», «Hanita» e «Elena».

Sane e versatili

Ogni anno in Svizzera vengono consumate mediamente 1.5 kg di prugne a testa. I frutti vengono principalmente mangiati freschi o sotto forma di dessert, sebbene si prestino bene a molte altre ricette, sia dolci che salate, come anche alla preparazione di apprezzati distillati. Oltre ad appagare il palato grazie al loro rinfrescante gusto dolce-acidulo, le prugne contengono anche le vitamine B, C, E e, grazie all’alto tenore di fruttosio, forniscono rapidamente energia al nostro organismo. Inoltre, con 45 calorie per 100 g, contengono relativamente poche calorie.

Dessert per 4 persone / 4 bicchieri da 2 dl

• 3 cucchiai di mandorle a scaglie

• 5 00 g di prugne

• 1 dl d’acqua

• 5 cucchiai di zucchero greggio

• 1 cucchiaio di succo di limone

• 1 bastoncino di cannella

• 180 g M-Dessert (latte acidulo)

• 1,5 dl di panna intera

• ½ cucchiaino di cannella

Preparazione

Tosta le mandorle a scaglie senza grassi in una padella antiaderente. Toglile dalla padella e mettile da parte. Per la composta, dimezza, snocciola e taglia in quattro parti le prugne. Portale a ebollizione nell’acqua, con lo zucchero, il succo di limone e il bastoncino di cannella. Lascia sobbollire a fuoco medio per ca. 12 minuti ed estrai il bastoncino di cannella. Lascia raffreddare le prugne. Metti da parte 4 cucchiai di composta e frulla quella restante. Mescola con il latte acidulo. Monta la panna con la cannella ben ferma e incorporala al latte acidulo con cautela. Distribuisci la crema in coppette e mettile in frigo. Poco prima di servire distribuisci la composta messa da parte sulla crema e cospargi con le scaglie di mandorle.

Il nuovo Diario scolastico della Svizzera italiana

Attualità ◆ Nelle maggiori filiali Migros è disponibile l’edizione 2024-2025 dell’apprezzata pubblicazione

160 pagine con molte curiosità e citazioni sul tema degli oggetti scomparsi con l’avvento di Internet; interessanti consigli di lettura; suggerimenti a link dedicati a benessere, salute e sviluppo personale; segnalazioni di eventi avvincenti; giochi e molte bellissime illustrazioni: questi sono solo alcuni dei numeri del Diario scolastico della Svizzera italiana 2024-2025. L’apprezzata pubblicazione, giunta quest’anno alla

sua 85esima edizione, edita dall’iet –Istituto Editoriale Ticinese, è stata sviluppata in collaborazione con i ragazzi di una classe della Scuola cantonale di commercio di Bellinzona, guidati dalla docente Natalia Lepori. Gli studenti si sono fatti raccontare da parenti, genitori e amici esperienze e oggetti della loro epoca e che oggi sono ormai caduti nel dimenticatoio, come le audiocassette, l’elenco telefonico, gli album fotografici,

le polaroid e molto altro. Naturalmente nel diario non può mancare il tradizionale calendario scolastico ufficiale della Svizzera italiana con spazi per i propri appunti, la pagella e gli orari. Infine, la pubblicazione è stata creata anche con un occhio di riguardo per la sostenibilità: infatti è stata stampata su carta riciclata al 100% e gli inchiostri utilizzati sono a base di materiali rinnovabili e privi di oli minerali.

La ricetta Crema di prugne
Diario Scolastico della Svizzera italiana 2024-2025 Fr. 10.90
In vendita nelle maggiori filiali Migros

Spazio ManoVella: portineria di quartiere

Isolamento sociale ◆ A Cassarate, un punto di incontro per un pubblico intergenerazionale, oltre che interculturale

Votato all’accoglienza e alla ricarica di chi è alla ricerca di relazioni sociali, oggi, a Cassarate, nella via intitolata al medico Vittorino Vella, si trova il rinnovato Spazio ManoVella: luogo d’incontro animato da un meccanismo sociale che vuole alimentare lo spirito di comunità nel quartiere luganese. Già nel nome sono quindi racchiusi molteplici significati dell’iniziativa promossa dall’Associazione Italiana di Lugano per gli Anziani (AILA) assieme a Pro Senectute Ticino e Moesano. In questo caso la denominazione dei due enti non deve trarre in inganno, perché a beneficiare del loro operato è un pubblico intergenerazionale, oltre che interculturale. L’incontro, la partecipazione attiva, la varietà dei progetti caratterizzano questo spazio ospitale, affacciato con grandi vetrate sulla strada. La porta è sempre aperta, meteo permettendo, per cui entrare a curiosare è un passo facile del quale cui non ci si può pentire.

Serve la partecipazione di coloro che vivono nel comprensorio, i loro bisogni, le loro aspirazioni, i loro suggerimenti

Un arredamento ispirato al passato, con tavoli in legno e comode poltrone, un angolo biblioteca/libreria e una caffetteria rendono subito l’ampio locale di ManoVella un luogo piacevole dove bere qualche cosa, incontrarsi e fermarsi magari a leggere un libro. Aperto dalla scorsa primavera (dal lunedì al sabato dalle 9 alle 17), ha già attirato l’attenzione di diversi residenti e di alcune associazioni pronte a collaborare proponendo iniziative proprie. Lo Spazio ManoVella è infatti caratterizzato da due sale (denominate Brè e Boglia) che all’occorrenza possono essere unite ospitando fino a un centinaio di persone. «Gli spazi sono appena stati rinnovati proprio con l’intento di promuovere un luogo d’incontro che po-

Viale dei ciliegi

Katie Daynes, Ashe de Sousa; illustrazioni di Oksana Drachkovska Rifugiati e accoglienza, collana «Sollevo e scopro. Il libro dei perché» Edizioni Usborne (Da 4 anni)

Un libro che si rivolge ai piccoli, ma con un tema grande. Un cartonato, con linguette da sollevare, per scoprire delle risposte a tante domande. I libri Usborne hanno questa preziosa capacità: quella di rendere accessibili ai bambini i temi complessi. E non solo fornendo risposte appropriate, con un linguaggio semplice, e al contempo chiaro e preciso, ma anche formulando altrettanto bene le domande, proprio quelle che i bambini stessi si porrebbero. Chi sono i rifugiati? Perché si diventa rifugiati? Ci sono bambini che partono da soli? Portano pure gli animali? Potranno rivedere i loro amici? Qualcuno rimane a casa?

Queste sono solo le domande relative alla partenza, poi ci sono quelle sul viaggio, sui centri di accoglienza, eccetera. E le risposte sono ogni volta intelligenti, autentiche, serie, ponderate, mai semplificatorie, pur nella

trà svilupparsi fino, speriamo, magari a diventare una portineria di quartiere», afferma il vicepresidente di AILA Roberto Fridel. «L’edificio, grazie a un lascito, è di proprietà di AILA che ha la sua sede al primo piano». La collaborazione con Pro Senectute è collaudata, essendo l’associazione luganese – ancorata ai principi ultracentenari che hanno animato la fondazione dell’Ospedale Italiano –già partner in altre attività di servizio sociale.

Questo progetto si distingue però per un accordo a medio termine fra i due enti che intendono sperimentarlo sull’arco di tre anni. È inoltre una novità per la Città di Lugano in quanto futura portineria di quartiere. Per garantirne la sostenibilità nel tempo senza pesare sull’ente pubblico (Spazio ManoVella è iscritto nelle attività sociali riconosciute per il 2024 dall’Ufficio degli anziani e delle cure a domicilio del Dipartimento della sanità e della socialità) AILA ha concepito la locazione per eventi professionali e conviviali, soprattutto la sala Brè, che utilizza per le sue attività. «Si tratta di un aspetto al quale teniamo molto – prosegue il vicepresidente di AILA – perché in questo modo vorremmo riuscire a coprire i costi vivi del progetto sociale. Offriamo spazi attrezzati mettendo a disposizione anche una cucina semiprofessionale come pure i supporti necessari per svolgere al meglio conferenze, formazioni o cene, anche private». I principi legati al progetto trovano inoltre conferma nel valore accordato ai particolari come ad esempio la gestione dei libri. Possono essere presi in prestito oppure acquistati al simbolico prezzo di due franchi.

Il progetto sociale è affidato all’esperienza di un ente – Pro Senectute Ticino e Moesano – che negli ultimi cinque anni ha sviluppato diverse iniziative in questo senso, in particolare a livello di portinerie di quartiere. Partiti nel 2019 con l’osteria sociale Il Baratto a Morbio Inferiore, Carmine Miceli, responsabile del Servizio

Lugano: nuova portineria di quartiere ManoVella. Nella foto da sinistra Roberto Fridel, Vice Presidente Aila-Oil con Carmine Miceli, Responsabile Servizio

Lavoro Sociale

Comunitario

Fondazione Pro Senectute Ticino e Moesano

ritratti all’interno del nuovo spazio. (© Ti-Press)

sociale e comunitario di Pro Senectute, affiancato da Eros Ciccone, educatore sociale, stanno ora costruendo il progetto ManoVella. «Ci basiamo su una metodologia di lavoro – spiegano i due rappresentanti di Pro Senectute – ma che va sempre adeguata al contesto e sviluppata in relazione a quanto emerge dalla vita di quartiere. Vi è in primo luogo un gruppo guida formato da membri dei due enti promotori, affiancati dagli operatori di quartiere che sono a diretto contatto con la popolazione e le organizzazioni già presenti nell’area. Il terzo elemento, pure fondamentale, è costituito dal gruppo di cittadinanza attiva. Non si può infatti costruire nulla senza le persone che vivono nel comprensorio. Sono i loro bisogni, le loro aspirazioni, i loro suggerimenti che in questi primi mesi cerchiamo di cogliere e stimolare per poi favorire al meglio gli incontri anche attraverso l’offerta di alcune attività. Queste ultime devono però rappresentare solo un piccolo stimolo rispetto alle proposte provenienti direttamente da chi frequenta ManoVella. È questo il senso della cittadinanza attiva».

La posizione dello Spazio ManoVella permette di coinvolgere con facilità anche i residenti della parte bassa del quartiere di Viganello, rag-

giungendo nel complesso un potenziale di diverse migliaia di abitanti. Ciò arricchisce ulteriormente il valore di questa iniziativa per Lugano, come afferma Sabrina Antorini Massa, direttrice della Divisione Socialità della

Città: «In diversi quartieri collaboriamo con associazioni locali con l’obiettivo di evitare l’isolamento sociale e favorire l’integrazione a tutti i livelli attraverso luoghi d’incontro. A Cassarate non c’era nulla di simile, per cui il progetto di portineria di quartiere promosso da AILA e Pro Senectute Ticino e Moesano è molto importante. Ne beneficia una popolazione numerosa e variegata con la presenza di cittadini anziani, il cui rischio di isolamento è in generale maggiore. Oggi però le persone che vivono sole, oltre a essere aumentate, appartengono a ogni fascia d’età». ManoVella può inoltre fungere da apripista per altre iniziative. Aggiunge al riguardo la rappresentante della Città: «A questo progetto guardano con attenzione altri quartieri come Breganzona e Barbengo, dove è già emerso l’interesse per uno spazio aggregativo. La popolazione esprime il bisogno di luoghi di ritrovo informali e facilmente accessibili proprio come ManoVella». Un altro aspetto rilevante è quello della collaborazio-

ne, perché «la Città promuove diverse attività, ma non può coprire ogni tipo di esigenza, per cui è di fondamentale importanza poter contare sul contributo di enti di varia natura instaurando con loro proficue sinergie. Per ManoVella siamo un punto di riferimento istituzionale attivo nella promozione».

A Cassarate i due enti iniziatori stanno ancora raccogliendo informazioni e spunti per favorire l’integrazione fra generazioni e culture, incoraggiando anche il volontariato. I contatti con le organizzazioni, ad esempio Cassarate Viva e l’Associazione Culturale Comunità Afghana in Ticino, promettono interessanti sviluppi volti a intensificare le proposte senza che prevalga da parte di nessuno un «uso esclusivo» degli spazi. Dal punto di vista pratico ManoVella garantisce un contatto diretto con gli operatori con la possibilità di ottenere informazioni amministrative semplici e affidabili. Va infine evidenziata la partecipazione nella gestione organizzativa di collaboratori in misura Aup (Attività di utilità pubblica) coordinati da Pro Senectute. Il progetto Spazio ManoVella concretizza il principio di un’accoglienza di tutti da parte di tutti. Ogni persona che lo desidera può contribuire al suo funzionamento e nel contempo ognuno può trovare accoglienza. Valorizzando le competenze dei singoli, favorendo la nascita e lo sviluppo di gruppi informali e rafforzando il ruolo delle associazioni, l’innovativo progetto di partenariato fra AILA e Pro Senectute Ticino e Moesano promuove la vita sociale e culturale nel quartiere di Cassarate, fungendo da antenna per le necessità che emergono fra la popolazione e per le criticità che si possono presentare, rafforzando il senso di appartenenza comunitaria che sta a cuore anche alla Città.

Informazioni: www.manovella.ch www.prosenectute.ch www.aila-oil.ch

sintesi. E non temono questioni controverse come: è vero che i rifugiati ci rubano il lavoro?

Anche le illustrazioni, dell’ucraina Oksana Drachkovska, contribuiscono al valore del libro, sia quelle sulla superficie delle pagine, sia quelle da scoprire sotto le alette. Le autrici, Katie Daynes e Ashe De Sousa, hanno lavorato con vari rifugiati che hanno condiviso le loro storie, e il libro è stato scritto con la consulenza e il sostegno del Refugee Council. Davvero un libro che sarà prezioso per i bambini, ma anche come supporto agli adulti, per dialogare su questi temi, in famiglia, alla scuola

dell’infanzia e nei primi anni della scuola elementare.

Giuseppe Assandri

Berlino 1936. La storia di Luz Long e Jesse Owens San Paolo (Da 11 anni)

Nel 1918 compivano entrambi cinque anni. Uno in un palazzo signorile di Lipsia, con un concerto eseguito al pianoforte del salone, tanti regali, cibi squisiti. L’altro in una baracca in Alabama, al ritorno dei genitori e dei fratelli dai campi di cotone, mangiando una zuppa seduti tutti insieme su sgabelli fatti di tronchi secchi. L’amore da cui erano circondati in famiglia, tuttavia, non mancava a nessuno dei due, era l’unica cosa che li accomunava, e forse la più importante. Quanto alle loro vite, non avrebbero potuto essere più diverse. Adolescenza spensierata per Ludwig detto Luz, pur con tutte le tensioni che nella Germania degli anni Venti si facevano sempre più acute, e vita di stenti e fatica per James Cleveland (JC detto Jesse), al punto che la famiglia decise di emigrare in Ohio, dove cercare lavori altrettanto duri e umili, ma forse più sicuri.

Un’altra cosa cominciava ad accomunare i due nell’adolescenza: il talento per l’atletica. Più strutturato e incoraggiato in Luz, anche perché la potenza fisica era uno dei valori dei nascenti ideali nazisti, più difficoltoso per Jesse, che nonostante l’aiuto di un insegnante di ginnastica che ne aveva notato le potenzialità, doveva arrabattarsi tra mille altri lavori. Eppure entrambi coltivano con impegno la loro passione, da una parte e dall’altra dell’oceano, fino a incontrarsi in quella fatidica estate berlinese del 1936, dove fu la voce di Hitler a dare il via ai Giochi Olimpici che dovevano costituire un’occasione

senza precedenti per la propaganda dell’ideologia. Luz Long, biondo, occhi azzurri, di ottima famiglia ariana, era l’uomo di punta del regime. Il destino volle che il beniamino del Terzo Reich si trovasse a sfidare nel salto in lungo un nero afroamericano. Owens si presenta in pedana in ritardo perché prima aveva dovuto correre nelle batterie dei 200 metri, non è concentrato e sbaglia due dei tre salti di qualificazione. Long, a quel punto, sapendo benissimo che così avrebbe nuociuto a sé stesso, gli si avvicina e gli dà (lui che conosceva bene quella pedana) dei suggerimenti su come anticipare la battuta. Owens li segue e sarà oro e record olimpico. Ma la cosa più emozionante è che a esultare e a rendere onore a questa vittoria sarà proprio l’avversario sconfitto, il biondo Luz, che abbraccerà Jesse, e con lui farà, a braccetto e sorridente, il giro dell’Olympiastadion. Un gesto coraggioso e ribelle, che ovviamente non piacerà ai gerarchi in tribuna, ma che sarà l’inizio di una commovente amicizia, raccontata con intensità in questo bellissimo romanzo.

di Letizia
Bolzani ●
lavoro

Contro il caldo, una vernice rinfrescante

Motori ◆ La casa giapponese Nissan sta sperimentando un’innovativa combinazione di molecole che permetterà di abbassare la temperatura nell’abitacolo

Caldo, anzi caldissimo! In quanti l’abbiamo esclamato quest’estate. Senz’altro in Europa le temperature sono state anomale. Hanno oltrepassato in alcune zone i 45 °C. Tanto segnavano alcuni termometri dell’auto. Ecco allora che se la nostra quattroruote viene lasciata al sole, quando si entra diventa un vero e proprio forno. Ci sono rimedi decennali: posteggiare all’ombra, magari sotto una pianta, è il primo. Ma il risultato è relativo. Magari 1 °C in meno. Poi ci sono le tendine parasole, gli schermi per il vetro anteriore, i vetri scuri. I possessori di auto ibride plug-in ed elettriche quest’estate hanno sicuramente utilizzato la possibilità di climatizzare l’auto a distanza. Attra-

verso la app era possibile accendere il condizionatore in modo tale da trovare l’auto fresca quando si entrava. Di fatto, questo tipo di auto viene alimentato dalle batterie, per cui non è necessario avviare il motore. Un bel vantaggio.

Tuttavia, pochi giorni fa la casa giapponese Nissan ha comunicato una ricerca che potrebbe cambiare le cose per tutti. Sta infatti sperimentando un’innovativa vernice per automobili che permette di abbassare la temperatura dell’abitacolo in estate. Il vantaggio è immediato, dato il migliore stato termico in cui si ritrovano gli ospiti, ma va considerato anche il beneficio «di sponda» che si ha nel risparmiare energia utilizzata dal climatizzatore quando si entra in auto e si viaggia.

Questa vernice è stata sviluppata in collaborazione con Radi-Cool, azienda specializzata in prodotti per il raffreddamento radiante. Contiene materiali compositi sintetici con proprietà che non si trovano spontaneamente in natura. Hanno iniziato a testare questa tecnologia nel novembre 2023. Prevedendo una sperimentazione di 12 mesi. Dove? In un aeroporto. Esattamente al Tokyo International Air Terminal di Haneda.

La vernice refrigerante di Nissan è stata, infatti, applicata a un veico-

lo Nissan NV100 gestito dal servizio aeroportuale All Nippon Airways (ANA). Chi ha preso un aereo lo sa. Le ampie piste dell’aeroporto sono roventi e quindi si tratta di un ambiente perfetto per valutare questa tecnologia. Il risultato? Impressionante… Parcheggiato sotto il sole accanto a un veicolo con vernice tradizionale, il mezzo trattato con la vernice refrigerante ha fatto registrare temperature superficiali esterne inferiori di 12 °C e temperature interne inferiori di 5 °C. Incredibile ma vero le prestazioni migliorano proprio quando il veicolo è parcheggiato al sole per molto tempo. Ma come funziona? All’interno della vernice ci sono due particelle di microstruttura che reagiscono alla luce. Una particella riflette i raggi solari prossimi agli infrarossi e che causano vibrazioni a livello molecolare all’interno della resina della vernice tradizionale producendo calore. La seconda particella crea onde elettromagnetiche che contrastano i raggi solari facilitando così la dispersione del calore. L’azione combinata delle due particelle favorisce la riduzione della temperatura delle superfici esterne del veicolo.

A guidare lo sviluppo è Susumu Miura, Senior Manager and Expert presso l’Advanced Materials and Processing Laboratory, Nissan Research

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Center. Miura ha dichiarato: «Il mio sogno è creare auto più fresche senza consumare energia. Questo è particolarmente importante per i veicoli elettrici, per i quali l’uso dell’aria condizionata in estate può avere un impatto considerevole sulla carica della batteria». Da quando hanno iniziato lo sviluppo nel 2021, Miura e il suo team hanno testato oltre cento campioni e attualmente stanno lavorando per ottenere uno spessore di verniciatura pari a 120 micron, circa sei volte superiore rispetto alle vernici tradi-

zionali, resistente alla salsedine, alle scheggiature, al peeling, ai graffi, alle reazioni chimiche, in grado di conservare l’intensità del colore e garantirne la riparabilità.

Passeranno anni prima che questa tecnologia sia disponibile sulle auto di tutti i giorni. Nel frattempo per attenuare un po’ il caldo conviene acquistare veicoli di colore bianco. Attirano meno il calore e secondo molti costruttori è il colore meno inquinante a livello produttivo. Inoltre per molte auto è di serie.

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Approdi e derive

Socrate, l’influencer dell’anima

Riprendo alcuni spunti da una bella conversazione estiva con un amico insegnante. Tema: il ruolo dell’educazione di fronte alla presenza sempre crescente di influencer e di relativi followers.

Per cercare di comprendere questo fenomeno così dirompente credo sia necessario prendere in considerazione un bisogno umano che ha radici profonde.

Tutti camminiamo anche dentro la vita degli altri: per imparare a conoscerci, e a riconoscerci, abbiamo bisogno che la vita testimoni sé stessa anche nella presenza dell’Altro. Lo sappiamo bene, anche per noi, animali culturali, l’apprendimento per imitazione è fondamentale fin dalla nascita.

Gli influencer che popolano la rete sono persone che offrono testimonianze di vita rendendo più sottile quella logica del mercato che domina la nostra cultura e tende a impadronirsi di ogni pensiero e di ogni nostra scelta. Gra-

Terre Rare

zie alla loro presenza, la promozione di merci di ogni genere passa infatti in modo più discreto, quanto pervasivo, attraverso il vissuto di persone molto brave a esibire esperienze di ogni genere. Dentro un approccio esistenziale su come vestirsi, come truccarsi, come alimentarsi, e via dicendo, il mantra dei consumi si mimetizza nell’esibizione di conoscenze che sono però solo strumenti utili per imparare, a nostra volta, ad esibirci sulla scena del mondo: per imparare a essere o meglio, per imparare ad apparire Il fenomeno tocca tutte le età, non solo i giovani, spesso considerati purtroppo un universo a sé, espressione di tutte le fragilità, senza tener conto della complessità delle ragioni del malessere del nostro tempo che può manifestarsi in ogni stagione della vita.

A proposito dei giovani è tuttavia possibile riannodare il fenomeno influencer al tema dell’educazione e in particolare al compito della scuola.

Cibersicurezza e anti phishing

Continuiamo con l’intervista a Roman Hüssy, Co-chef GovCERT dell’Ufficio federale della cibersicurezza (Ufcs), che abbiamo interpellato per avere informazioni di prima mano sulla possibilità di difesa dagli attacchi di Spam che inflazionano la nostra corrispondenza elettronica (vedi Azione 22/07/2024). Gli abbiamo chiesto se ci sono possibilità concrete che si riesca a bloccare i responsabili delle famigerate campagne digitali di phishing. «L’Ufcs non è un’autorità preposta al perseguimento penale, ma adotta le opportune contromisure se siti web di phishing segnalati vengono riconosciuti come tali. A questo proposito l’Ufcs condivide siti web di phishing individuati con fornitori di filtri antispam, produttori di browser web, ma anche con fornitori svizzeri di servizi Internet. Se il sito web di phishing uti-

lizza un dominio “.ch”, secondo la legge l’Ufcs ha la possibilità di bloccare il nome di dominio. Raramente i cibercriminali sono individui isolati, ben più di frequente si tratta di gruppi la cui organizzazione spesso assomiglia a quella di un’azienda». Su questo argomento l’Ufcs ha anche redatto una retrospettiva settimanale, pubblicata sul sito www.ncsc.admin.ch: si veda ad esempio «Settimana 43: “strutture organizzative” della falsa assistenza». Il perseguimento penale della cibercriminalità riesce dunque a ottenere risultati importanti. Dal punto di vista legale, «già da diversi anni in Svizzera è vietato inviare messaggi spam. La Legge sulle telecomunicazioni (Ltc) e la Legge federale contro la concorrenza sleale (Lcsi) contengono disposizioni al riguardo. L’Ufcs non riceve denun-

parole dei figli

Oggi la politica scolastica sembra sempre più orientata a coltivare la logica delle competenze, disciplinari o trasversali che siano, e sempre più affascinata dalle potenzialità che i mezzi tecnologici offrirebbero all’insegnamento. L’approccio al sapere per competenze apre però un’autostrada alla valorizzazione di quelle conoscenze utili e immediatamente spendibili che vengono sapientemente veicolate anche da abili influencer

In questo clima culturale diventa davvero difficile distinguere l’approccio riflessivo alla conoscenza dalla possibilità di farne (si spera) buon uso. Eppure l’approccio riflessivo, il valore e la bellezza della conoscenza in sé stessa, come esperienza di incontro con il nostro intimo vissuto, da sempre nutre il senso della scuola e della sua presenza nella società: educarsi è divenire ciò che si è.

Allora mi vien da dire che Socrate, l’archetipo del Maestro, è stato un ottimo influencer. Un influencer dell’a-

nima. Socrate è Maestro perché la sua presenza tra i giovani è testimonianza di un approccio alla vita e alla conoscenza.

Ha testimoniato con la sua vita, accettando l’ingiusta condanna per rimanere fedele a se stesso; ha testimoniato con il suo sapere, quel so di non sapere che illumina la via verso la conoscenza e il desiderio della sua bellezza.

Influencer dell’anima, ha consegnato alla nostra civiltà un messaggio indelebile: il compito esistenziale di ognuno è quello di imparare a essere. Saper fare, ovvero imparare a vivere una vita buona e felice, è il frutto prezioso dell’esperienza intima di un sapere più radicale e originario, come indica il conosci te stesso

Anche oggi, sempre ancora, in questo viaggio verso se stessi che è l’educazione, i Maestri possono far incontrare ogni allievo con se stesso e con il valore inestimabile dell’intima esperienza della conoscenza.

Nel bailamme di tante riforme, l’insegnante rischia però di rimanere un po’ troppo sullo sfondo dell’aula, tra lavagne tecnologiche e apprendimenti online. Eppure non può esserci scuola senza la presenza di un Maestro, di una persona, nella sua fisicità. Dal Liceo di Aristotele, al giardino di Epicuro, fino alla bottega dell’artigiano e molto oltre nel tempo, scuola è quel luogo comune in cui, nell’esperienza condivisa della comprensione, ciascuno risponde a un altro che lo interpella. Risponde, appunto: innanzitutto con il suo esserci come persona. Alla vigilia dell’inizio di un nuovo anno scolastico, il mio augurio è che gli insegnanti, spesso soffocati da incombenze e controlli burocratici, possano trovare il coraggio di continuare ad affermare la centralità della loro presenza: di coraggio si tratta, perché la scuola è da sempre anche un luogo di resistenza e di trasformazione.

ce penali e non effettua indagini. Le persone interessate però possono sporgere denuncia nei confronti dello spammer presso gli organi cantonali competenti, generalmente si tratta della Polizia, oppure intentare un’azione legale dinanzi al tribunale civile nei confronti dello spammer e chiedere il risarcimento dei danni, vietare allo spammer di inviare altri messaggi spam e addirittura ottenere la pubblicazione della sentenza giudiziaria. Inoltre, conformemente all’articolo 45a della Legge sulle telecomunicazioni, i fornitori di servizi di telecomunicazione sono tenuti a contrastare l’invio di messaggi spam. Sebbene la legislazione svizzera si applichi anche ai messaggi provenienti dall’estero, è molto difficile farla applicare oltre confine. Le condizioni per il blocco di nomi di dominio sono stabilite dall’Ordinan-

Gli adolescenti che grondano di stile

«Che drip!». Se ci capita di sentire questa frase dal nostro Gen Z verosimilmente non è rivolta a noi, ma a un/a suo/a amico/a. Il significato deriva dal verbo inglese to drip che significa «gocciolare», ma gli adolescenti lo utilizzano per dire a qualcuno che ha stile, più letteralmente che «gronda di stile». Non pensate che con Le parole dei figli sia possibile cavarcela in modo così sbrigativo.

Già che sono sull’argomento provo a capire che cosa sia lo stile per i Gen Z, ossia quale sia il loro modo di vestire prediletto: e qui mi si apre un ventaglio di modi di dire a me del tutto ignoti seppur io sia da sempre un’amante della moda e, ma mi sa ancora per poco, abbia persino voce in capitolo sugli outfit della mia quasi 16enne Clotilde. Tra noi 7infamiglia il guru della moda è il 22enne Tao, che chiamo subito in aiuto, muni-

ta di taccuino per prendere appunti. L’ispirazione arriva da Pinterest, l’app per eccellenza di foto con look (o altro) da copiare, il rilancio è poi su Instagram e TikTok. La premessa è che i giovanissimi amano mischiare gli stili, ma i più hanno quello che si chiama un aesthetic core, dove core (che sempre in inglese significa «nucleo»), viene usato in particolare su TikTok come suffisso per riferirsi a un principio estetico che prevale sugli altri. C’è dunque uno stile che generalmente caratterizza ciascuno. Uno può essere quello Y2K, dove Y sta per year (anno) e 2K per Duemila, dunque in sintesi: la tendenza arriva dagli Anni Duemila. Sono i tempi di noi boomer appassionati a Friends e Sex and the City, serie tv riscoperte anche queste dai nostri figli. I look iconici: pantaloni a vita bassa, cargo pants, felpa girocollo vintage Tom & Jerry o con qual-

siasi altro cartoon, t-shirt con scritte a caratteri cubitali, canotte bianche a costine, magliette da calcio o basket, tute sportive, piumini (riproposte da artisti hip-hop), minigonne a pieghe, top cortissimi per mettere in risalto la pancia, un vero must indossato con i baggy jeans. E baggy, che sta per «largo», è un altro termine indispensabile per comprendere lo stile dei Gen Z: pantaloni e t-shirt oversize e giacche ampie. Non è da confondere con boxy, altra parola d’ordine dell’abbigliamento degli adolescenti: il termine si riferisce a una vestibilità larga e abbondante di magliette e felpe, ma con un taglio corto, a scatoletta. Una delle ultime tendenze che sta spopolando su TikTok sono i jort bermuda, jeans sotto il ginocchio, che uniscono shorts e denim. C’è poi la clean girl o il clean boy, ovvero «la ragazza/ il ragazzo pulita/o»: qui a vincere

za sui domini Internet. È possibile bloccare i nomi di dominio se questi ultimi sono stati utilizzati per tentativi di phishing, per diffondere o utilizzare software dannosi (“malware ”) o per favorire tali attività. In questi casi, il blocco rapido è necessario su richiesta di un organo preposto alla lotta contro la cibercriminalità riconosciuto. Ad oggi, per fare alcuni esempi, diversi corpi di polizia cantonali, fedpol, swissmedic e l’Ufcs sono riconosciuti come «organi preposti alla lotta contro la cibercriminalità».

Inoltre continua Hüssy, la collaborazione internazionale nel settore della cibersicurezza è molto importante. A questo scopo l’Ufcs collabora con diverse autorità e organizzazioni in Svizzera e all’estero e cura un costante scambio di informazioni riguardo a ciberminacce attuali.

Infine il nostro interlocutore ci spiega dove si possono trovare informazioni precise sui comportamenti più utili da adottare nella pratica quotidiana: «Sul sito web dell’Ufficio federale della cibersicurezza (ncsc.admin.ch) sono disponibili numerosi suggerimenti e numerose informazioni su come proteggersi da fenomeni legati alla cibercriminalità. In presenza di un ciberincidente, privati cittadini e imprese possono segnalarlo utilizzando l’apposito modulo dell’Ufcs e, qualora lo desiderino, possono ricevere consigli e spiegazioni. In base a queste segnalazioni l’Ufcs redige le sue retrospettive settimanali, nelle quali un caso viene descritto in maggiore dettaglio per mettere in guardia la popolazione. All’interno delle retrospettive vengono forniti sempre anche consigli utili su come comportarsi».

è il minimalismo, con jeans leggermente oversize e sneaker, insieme a capi essenziali come t-shirt e canotte bianche. Ma siccome tutto è concesso c’è anche lo stile goth (gotico), di cui la testimonial è la primogenita di Morticia e Gomez della famiglia Addams, di nome fa Mercoledì ed è la protagonista di una serie Netflix diretta da Tim Burton: colore d’ordinanza nero, croci al collo, trucco pesante. L’old money (tradotto: «vecchi soldi») sta a indicare, invece, lo stile dei ragazzi-bene, cioè delle famiglie che hanno i soldi da sempre: per intenderci, è il modo di vestire che ricorda gli habitué delle partite di golf o di polo e delle vacanze in barca a vela: camicie di lino, pantaloni classici con il risvolto, collanina Dodo al collo, look mono o bicolore che trasuda lusso senza bisogno di loghi in bella vista.

È l’opposto del maranza, che necessi-

terebbero di un capitolo a parte. Le canzoni trap ci consegnano l’ostentazione del lusso, con marchi che anche per acquistare una maglietta raggiungono cifre da capogiro (e, a mio avviso, immorali). Ma i Gen Z sono anche pronti a sperimentare all’insegna del low cost, sempre però alla ricerca di quel che considerano drip! Fa piacere notare che qualche brand tra i più amati dai giovani stia sviluppando una sensibilità ambientale: «Trattandosi di uno dei settori più inquinanti, quello della moda, secondo solo a quello del petrolio e del gas, sappiamo bene che c’è ancora molto da fare. Tuttavia, stiamo facendo del nostro meglio per essere trasparenti riguardo al nostro percorso verso la sostenibilità», si legge nel sito di un brand amato dai giovanissimi, che rilancia: «Ricicla o dona i tuoi vestiti indesiderati».

di Lina Bertola
di Simona Ravizza
di Alessandro Zanoli

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può analizzare più rapidamente i campioni dei pazienti.

L’energia solare cambia in modo sostenibile la vita in Etiopia

Nelle zone rurali dell’Etiopia, quasi il 90 per cento della popolazione non dispone di elettricità. Tuttavia, l’accesso all’energia elettrica apre nuove opportunità per uscire dalla povertà. Caritas Svizzera sta fornendo sistemi solari dell’azienda Power-Blox AG a piccole imprese, centri sanitari e scuole nella regione di Oromia.

Lavorare in sala parto e dispensare cure mediche alla luce di una torcia: fino a poco tempo fa, questa era la realtà nel centro sanitario Bulle Korma. «Solo due delle 14 sale mediche avevano l’illuminazione elettrica», racconta la laboratorista Derartu Shuwe. Per sopperire alla mancanza di una fornitura elettrica affidabile, si doveva ricorrere a un costoso generatore a diesel. Il centro sanitario non è l’unico ad avere questo problema. Solo il 14 per cento della popolazione nelle regioni rurali dell’Etiopia ha accesso all’elettricità.

L’energia sostenibile è cruciale per il futuro della popolazione, della società e del clima, soprattutto nelle aree rurali dell’Etiopia, dove il cambiamento climatico sta peggiorando le condizioni di vita. Molte famiglie di piccoli contadini hanno perso il bestiame a causa delle ricorrenti siccità.

I loro redditi da attività agricole dipendono dalle piogge e per questo sono sempre più irregolari. Di conseguenza, hanno maggiore difficoltà a nutrire

a sufficienza la famiglia e garantire ai figli una buona salute e opportunità per il futuro.

Derartu può offrire un migliore aiuto ai pazienti

In mezzo a queste difficoltà, l’energia solare porta nuova speranza nella regione di Oromia. Caritas Svizzera, in collaborazione con l’azienda svizzera Power-Blox AG, adotta un approccio innovativo (vedi riquadro) per assicurare l’accesso all’energia sostenibile a piccole imprese, centri sanitari e scuole. Così facendo, migliora in modo duraturo le condizioni di vita dei beneficiari.

Al centro sanitario Bulle Korma, il sistema solare Power-Blox ha già portato notevoli miglioramenti: «L’energia solare facilita enormemente il nostro lavoro. Oggi possiamo assistere i nostri pazienti in modo molto più rapido ed efficace», racconta Derartu Shuwe. La laboratorista deve ricorrere all’elettricità per far funzionare gli strumenti. Ora può utilizzare il microscopio e la centrifuga per il sangue in qualsiasi momento e quindi

Foto: Caritas Svizzera, Ayaana

Combattere la povertà con l’energia rinnovabile

L’obiettivo primario di Caritas è contrastare la povertà. L’accesso all’elettricità è un fattore cruciale per le regioni rurali dell’Africa. Il cubo Power-Blox, sviluppato in Svizzera e di facile utilizzo, consente di immagazzinare energia solare e di collegare più cubi per soddisfare una maggiore domanda energetica. Questa tecnologia colma il divario tra i semplici impianti solari e le grandi reti elettriche, fornendo così una fonte affidabile di elettricità a piccole imprese e strutture pubbliche in Etiopia. L’elettricità può essere distribuita anche alle abitazioni vicine, creando così piccole reti locali.

i pazienti ricevono rapidamente una diagnosi e il trattamento adeguato.

Oggi il centro assiste ogni giorno più del doppio di utenti rispetto al passato. Con l’eliminazione dei costi del diesel, si risparmia inoltre molto denaro, che può essere investito in nuovi dispositivi per migliorare l’assistenza alla popolazione. «Spero che presto tutti i centri sanitari abbiano accesso all’energia solare. Sarebbe un grande progresso per la nostra regione. Abbiamo sperimentato personalmente i benefici», sottolinea Kuya Guyo, direttore del centro Bulle Korma.

Per la prima volta nella sua vita, Dermi ha la luce

Anche la vita quotidiana di Dermi Boru Godana è notevolmente migliorata grazie all’energia solare. Caritas Svizzera ha dotato lei e altri piccoli imprenditori del sistema Power-Blox, nonché di pannelli solari e accessori, oltre a offrire una formazione sul loro utilizzo. Dermi e la sua famiglia erano allevatori, ma gli effetti del cambiamento climatico li hanno costretti a trovare fonti di reddito alternative. La devastante siccità del 2022 ha ucciso 32 dei loro 36 animali.

Oggi, nel suo negozio, la piccola imprenditrice ricarica telefoni cellulari a pagamento e vende elettricità alle famiglie della zona. I suoi guadagni sono aumentati significativamente grazie al Power-Blox. Dermi afferma: «Per la prima volta nella mia vita ho la luce, ed è fantastico. Inoltre, posso fornire elettricità ad altre persone nel mio villaggio, contribuendo così a un cambiamento significativo anche per loro.»

L’energia solare è apprezzata dalla popolazione del posto perché è più economica, più affidabile e più ecologica rispetto ai generatori a diesel. I redditi aumentano, si creano nuovi posti di lavoro, le condizioni di salute e il livello di istruzione migliorano, il tutto senza danneggiare l’ambiente.

La piccola imprenditrice Dermi Boru Godana possiede due Power-Blox e fornisce energia solare a pagamento a 16 case della zona.

La sua donazione per uno sviluppo sostenibile

IBAN: CH69 0900 0000 6000 7000 4

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Scopra come l’energia solare ha trasformato il lavoro di Derartu Shuwe: caritas.ch/solar
Grazie all’energia solare, Derartu Shuwe, 24 anni e laboratorista presso il centro sanitario Bulle Korma,
Grazie all’energia solare, il team del centro sanitario Bulle Korma oggi può trattare 25 pazienti al giorno invece di dieci.

Da scolaro velista a skipper di mare È partito dalle rive del Lago di Lugano, si è impratichito durante molti anni di mare ed è salpato dalla Sardegna verso i Caraibi

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Una piccante insalata estiva

Melone, anguria, rucola e mozzarella serviti con prosciutto crudo e una salsa dolce, fresca e gustosa al peperoncino

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La grande fattoria da tavola

Fields of Arle, tra prati e foreste, campi e torbiere, animali e stalle: immersi al punto da non ricordare di essere seduti attorno a un tavolo

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Una calma eccitazione che toglie il fiato

Adrenalina ◆ Grazie a Fabio Benevelli, a capo della selezione rossocrociata, il movimento apneistico svizzero ha cominciato a crescere in modo significativo anche in Ticino

C’è chi l’adrenalina la cerca salendo in alta quota. Ma c’è anche chi, invece, va a cercarla… a quote negative. Ed è questo il caso degli apneisti. Vediamo dunque di conoscere più da vicino questo mondo sportivo. Perché l’apnea, infatti, è a tutti gli effetti uno sport, con tanto di competizioni e Campionati mondiali.

Quando si dice apnea, i primi fotogrammi che tappezzano la nostra mente sono quelli delle grandi profondità, dell’enorme distesa verticale di un mare che si perde in un blu sconfinato. Mentre tra la «folla» di nomi che popola il nostro cervello, ne riemergono alcuni tra i più noti, come i vari Umberto Pelizzari, Pipin Ferreras, Enzo Maiorca, Jacques Mayol e via elencando. Impossibile non citarli, essendo tra coloro che hanno contribuito a portare alla ribalta e a far conoscere al mondo intero una disciplina che solo da metà anni Novanta, e più precisamente dal 1996, è diventata uno sport a tutti gli effetti, spiccando il salto verso l’alto in fatto di popolarità e… tuffandosi verso il basso per stabilire sempre più record di metri raggiunti sotto il livello del mare. «Va da sé che la suggestione principale dell’apnea sia da ricercare nella profondità» premette Fabio Benevel-

li, già allenatore della nazionale italiana di apnea e da tre anni coach di quella rossocrociata. «Ma accanto a quella in mari e laghi, c’è però anche l’apnea indoor, ossia praticata in piscina, che in Svizzera, e in Ticino, è anche quella che, per evidenti motivi, va per la maggiore. Forse un po’ meno affascinante, ma comunque spettacolare e altrettanto impegnativa. E, soprattutto, alla portata di chiunque lo desideri».

Ovviamente, tra praticarla in mare aperto e praticarla in una piscina, a cambiare, oltre allo sfondo, sono anche le «regole» e il genere di gare: «L’apnea indoor, nella sua specialità dinamica, consiste infatti nel percorrere il maggior numero di metri possibile con un solo respiro. Si può effettuare con una monopinna o due pinne con stile alternato, oppure senza attrezzi, nuotando a rana. Accanto a queste specialità, ci sono anche quelle di velocità, che consistono nel completare un numero predeterminato di vasche nel minor tempo possibile. Si parla invece di apnea statica per la sfida di restare fermi senza respirare per il maggior tempo possibile.

Nell’apnea di profondità, praticata in acque aperte, accanto alle tre specialità con monopinna, due pinne alter-

nate e nuoto a rana, abbiamo anche la free immersion che consiste nel discendere e risalire aiutandosi con una cima predisposta». L’apnea è uno sport relativamente giovane e praticamente ai primi colpi di pinna a livello nazionale. Concomitante all’arrivo di Fabio Benevelli a capo della selezione rossocrociata, il movimento apneistico svizzero ha cominciato a crescere in modo significativo, pure in Ticino, con la nascita di una sezione in riva al Verbano, sotto il cappello della Flippers Team, che conta una dozzina di apneisti che praticano questo sport a livello agonistico, cifra che raddoppia però se il discorso si allarga a chi vi si cimenta senza l’assillo delle gare. «Il primo anno – spiega Benevelli – ho portato due atleti in nazionale, quest’anno siamo già a quota sei: un dato che testimonia l’interesse verso questo sport anche alle nostre latitudini, soprattutto per le specialità indoor. Alcuni li alleno direttamente io, altri lo fanno con i loro club, per poi partecipare alle competizioni mondiali sotto la mia guida». Giovane sport che non è tuttavia da intendere come sport per giovani. O, almeno, non esclusivamente: «No, affatto: l’apnea la si può praticare anche oltre i quaranta e i cinquant’anni,

pur nella consapevolezza che il picco delle prestazioni generalmente lo si ha tra i trenta e i quarant’anni». E qualche giovane promettente, il Ticino apneistico lo può vantare, pure in acque aperte. Come il 32enne momò allenato proprio da Fabio Benevelli: «Martino Valsangiacomo, l’atleta svizzero di punta (non a caso detentore di quasi tutti i primati svizzeri indoor e di profondità) che si allena a Tenero, e che si sta preparando per poi tentare nel Lago di Garda il record mondiale di profondità: l’obiettivo sono i 102 metri».

A Tenero, sempre sotto la guida di Benevelli, si allenano anche Cristina Francone, atleta di punta della nazionale italiana, che all’attivo vanta tre record mondiali indoor e un titolo mondiale, e Alessandro Cianfoni, italiano pure lui e primario di neuroradiologia, pluriprimatista mondiale di apnea paralimpica: «Il bello dell’apnea è che è uno sport che non conosce barriere, e Alessandro trovo sia un super atleta, l’emblema degli sportivi, per tempra e atteggiamento». Requisiti, tra i più utili: «Abbiamo diversi apneisti con alle spalle un trascorso in altre discipline adrenaliniche, praticate anche ad alti livelli, ma fondamentalmente non servo-

no caratteristiche fisiche particolari. Prova ne è che molti atleti di rilievo internazionale non avevano praticato altri sport a livello agonistico e questo non gli ha impedito di eccellere. Ciò che davvero serve sono la curiosità e la capacità di gestire una situazione che viene percepita come al limite». Limiti che vanno di fatto rispettati: «L’apnea è uno sport assolutamente sicuro se praticato rispettando determinate condizioni. Al contrario, se queste condizioni non sono garantite, può rivelarsi pericoloso, al pari di uno sport estremo». Un «rischio» che forse sta però anche alla base del suo fascino: «La caratteristica di questo sport è quella di essere una sorta di potentissimo amplificatore delle emozioni. L’atto di trattenere il fiato il più a lungo possibile ti dà una sensazione di controllo e di potere relativo sul tuo corpo che non ha eguali in altri sport. E questa, né più né meno, è l’adrenalina, la stessa che si prova praticando uno sport estremo. Una delle peculiarità dell’apnea è che questa è un’adrenalina che ti toglie letteralmente il fiato! L’apnea, in altre parole, è una sorta di paradosso sportivo: è una disciplina estremamente adrenalinica in cui devi però mantenere una calma olimpica».

Martino
Valsangiacomo.

Dalla Sardegna ai Caraibi, in barca a vela

Incontro ◆ Dopo aver imparato i primi rudimenti al Circolo Velico di Lugano su una Deriva, Fabrizio Ceppi ha preso il largo

Eliana Bernasconi

Si naviga ovunque, nei grandi fiumi e nei laghi, nelle isole tropicali dell’Oceano Indiano, nel Pacifico e nel Mediterraneo, fra le colonne di ghiaccio della Groenlandia. O dalle coste italiane alla Sardegna e alle isole greche. Oggi la vela rientra nei molti sport nautici all’interno dei quali si fanno anche delle regate, ma è assai più di una pratica sportiva. Ama navigare chi, misteriosamente, si trova nel mare come nella propria casa, chi sa affidarsi al vento e conoscerlo per governare la sua barca in mezzo alle onde dell’oceano, quando ogni orizzonte vicino scompare. Chi desidera navigare cerca un senso di libertà impossibile da trovarsi nella vita quotidiana, tra questi, anche Gianantonio De Pol che appena entrato in età di pensionamento dal suo lavoro in banca ha rapidamente ottenuto l’indispensabile patente nautica.

La stagione ideale per la navigazione, soprattutto per le traversate, inizia a metà dicembre e prosegue sino a gennaio-febbraio, questo per la presenza degli Alisei (fondamentali venti della navigazione oceanica a vela che, tra l’altro, consentirono a Colombo di raggiungere l’America). Lo spiega Fabrizio Ceppi (nella foto), che da molti anni pratica e condivide questa passione con la famiglia; per lui e per non poche altre persone innamorate della barca a vela il tempo dedicato a navigare è qualcosa cui non rinuncerebbe mai.

Chi soffre il mal di mare, chi non sopporta di stare in spazi ristretti e fatica ad abituarsi alla convivenza con gli altri, difficilmente resiste in mezzo all’oceano

Come è stata la sua prima volta in barca a vela?

Ho imparato i primi rudimenti al Circolo Velico di Lugano su una Deriva, cioè una barca piccolina, di cinque metri di lunghezza adatta per la scuola, che ha uno scafo, cioè un pezzo di legno, nascosto, utile a mantenere la rotta controvento e che si trova nelle barche destinate appunto a chi sta imparando. Esistono, certo, anche barche più sportive, come il 470 con cui ho navigato per molti anni sul lago. È stata una bella esperienza durante la quale ho potuto seguire da vicino mia figlia che, nel frattempo, si è anche lei appassionata e per anni ha partecipato a molte regate un po’ in tutta la Svizzera con un tipo di barca chiamata Optimist (adatta a ragazze e ragazzi di 15-16 anni). È una piccola imbarcazione impiegata per l’apprendimento: si deve imparare a conoscere le caratteristiche della barca, per imparare a «leggere» il vento: più si apprende e più ci si diverte e si migliora.

Ci sono altri modi per avvicinarsi alla navigazione a vela?

Molti hanno iniziato direttamente a navigare su barche dotate di cabina, direttamente sul mare in compagnia di amici. La cosa essenziale è che qualcuno a bordo sia in possesso della patente nautica, ma è anche possibile, quando si noleggia l’imbarcazione, chiedere che ci sia uno skipper professionista (ndr: responsabile della navigazione e di quanto succede a bordo) per navigare in tutta sicurezza.

E poi è nata la passione…

Dopo i primi approcci con mio cognato che è skipper, abbiamo deciso di noleggiare una barca e portare i nostri figli a fare una crociera attorno alle isole della Toscana. Una magnifica esperienza che mi ha convinto definitivamente della bellezza di questo sport. Vedendo poi i nostri ragazzi entusiasti e anche appassionati abbiamo ripetuto l’esperienza l’anno successivo.

Ma a un certo punto ha iniziato a navigare per conto suo. Quando si decide che mare e vento sono diventati una passionaccia, si può fare un passo in più e diventare skipper, ottenere cioè la patente nautica che permette di navigare autonomamente con barca propria o noleggiata in alto mare. Tutto allora diventa possibile, viaggiare per giorni, sentirsi liberi di staccarsi da terra e attraversare vasti tratti di mare prima di vedere la costa, portare in crociera famigliari e amici per una vacanza davvero unica. E, sì, anch’io ho fatto questo passo, e l’ho fatto ben vent’anni fa: da allora navigo regolarmente ogni anno.

Quanto contano coraggio, predisposizione, senso dell’avventura?

Solo l’esperienza diretta è deter-

minante per sapere se la vela fa per noi o no. Chi soffre troppo il mal di mare, chi non sopporta di stare in spazi ristretti e fatica ad abituarsi alla convivenza a stretto contatto con gli altri, difficilmente proseguirà questa avventura. Ma non è detto, cambiando tipo di barca e salendo su un catamarano (ce ne sono di molto grandi e spaziosi), che alcuni di questi problemi possano essere risolti. Un viaggio che ricorda con particolare piacere?

Dopo anni e anni nel Mediterraneo e molte bellissime crociere ho avuto la possibilità di affrontare la traversata dell’Atlantico. Sempre con mio cognato, proprietario della barca, siamo partiti dalla Sardegna e abbiamo veleggiato fino allo stretto di Gibilterra, per proseguire poi fino alle isole Canarie e prendere terra all’isola di Palma. La prima parte del viaggio è durata 16 giorni, con una pausa nella città di Algeciras di fronte a Gibilterra; qui abbiamo lasciato la nostra imbarcazione e siamo tornati a riprenderla in gennaio per fare il grande salto verso i Caraibi. È stata una traversata di 21 giorni con il vento di poppa. Gli Alisei, che soffiano in quel periodo erano perfettamente favorevoli alla nostra

rotta che da Est ci doveva portare a Ovest. Dopo le prime ore, durante le quali vedi a poco a poco la costa farsi sempre più piccola e indistinguibile, ti ritrovi in mezzo al nulla…

Non sarà stato un percorso privo di rischi. Come li avete affrontati?

La teoria è certamente importante e necessaria ma la tecnologia moderna offre un ottimo aiuto nel condurre una barca a vela. Quello che solo l’esperienza può insegnare è «sentire» la barca e metterla sempre in condizione di navigare senza soffrire e non correre rischi inutili anticipando alcune manovre, scegliendo eventualmente una rotta meno impegnativa per l’equipaggio e per la barca.

Cosa si prova partire per un viaggio simile?

In realtà esattamente il contrario del nulla… specialmente di notte ti senti circondato dall’universo con una infinità di stelle mentre da un mare pallidamente illuminato vedi sorgere la luna e distingui chiaramente le grandi onde lunghe dell’oceano che diventeranno le tue compagne di viaggio. I turni di notte sono quelli dove più di ogni altro momento senti la tua fragilità: da una parte sei su un piccolo guscio di noce in viaggio

verso l’immensità, dall’altra percepisci anche la tua fragilità di essere umano in cammino nel viaggio della tua vita, che nei confronti di quanto ti circonda conta veramente nulla. In quel momento senti quanto credersi padroni del mondo sia povera illusione e quanto meglio sarebbe riconoscere che del mondo facciamo solo parte, senza vantare nessun diritto di comando.

Come trascorrono le giornate nella solitudine assoluta dell’oceano? Durante il giorno la routine era scandita dalle verifiche periodiche del punto nave e delle miglia che si percorrevano ogni giorno, dai piccoli aggiustamenti della vela e naturalmente dai pasti, momento importante in cui si discuteva e ci si scambiava le opinioni su come stava andando il viaggio, che nel nostro caso procedeva molto bene. Più ci avvicinavamo alla meta e più le temperature si facevano miti e gradevoli. Al mattino ogni tanto sul ponte trovavamo dei pesci volanti, che vento e onde ci buttavano a bordo e noi ringraziavamo. Le scorte erano sufficienti ma a poco a poco avevamo esaurito i cibi freschi e negli ultimi giorni si faceva affidamento solo su scatolame e legumi secchi.

Ci racconta dell’arrivo ?

Era notte quando, molto lontane sulla costa, abbiamo avvistato le prime luci. Abbiamo aggirato la punta a sud della Martinica e ci siamo diretti verso l’ampia insenatura prima del porto. Pochi metri più avanti abbiamo gettato l’ancora felici di avercela fatta! Siamo arrivati poco prima dell’alba, e abbiamo poi chiesto un ormeggio in porto. A terra siamo scesi dopo 21 giorni di navigazione in solitaria e 2800 miglia. Per quasi un intero mese, infatti, non abbiamo mai incrociato un’altra vela o una nave (era il periodo del Covid e anche gli aerei in cielo erano spariti). In compenso abbiamo sempre avuto un mare mosso ma favorevole, un mare che ci è stato amico e verso il quale mai abbiamo provato paura. Posati i piedi per terra, ci siamo potuti godere finalmente una birra e un bagno.

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Melone, anguria e rucola, in salsa al peperoncino

Ingredienti

Antipasto

Ingredienti per 4 persone

400 g di melone, ad esempio

Charentais o Galia, pesato mondato

200 g d’anguria

1 peperoncino

2 c di miele di fiori liquido, ad es. di fiori d’arancio

6 c d’olio d’oliva

4 c di Condimento bianco fleur de sel pepe dal macinapepe

2 mozzarelle di bufala di 125 g ciascuna

150 g di rucola

100 g di prosciutto crudo

½ mazzetto di basilico

Preparazione

1. Dividete il melone a metà, privatelo dei semi e tagliatelo a dadini.

2. Tagliate l’anguria a spicchi, sbucciatela e tagliatela a fettine sottili.

3. Tritate finemente il peperoncino e mescolatelo con il miele, l’olio e il Condimento.

4. Condite generosamente con la f leur de sel e il pepe.

5. Tagliate le mozzarelle a fette e disponetele nei piatti con la rucola, il prosciutto crudo e i pezzetti di melone.

6. Guarnite con le foglie di basilico e irrorate con la salsa.

Preparazione: circa 20 minuti

Per persona: 19 g di proteine, 33 g di grassi, 21 g di carboidrati, 460 kcal

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Una grande scatola piena di prati e foreste

Colpo critico ◆ L’esperienza offerta da Fields of Arle è più che immersiva: manca solo di sentire intorno al tavolo il suono del vento sul Mare del Nord o l’odore dei campi e delle torbiere…

Per quattro anni e mezzo ho lavorato in una fattoria nella Frisia orientale. Abitavo in un villaggio di nome Arle, dove cresceva il miglior lino di tutta la Germania. Ho fatto un sacco di cose, sotto il sole d’estate o nella nebbia d’inverno, e ho viaggiato per vendere prodotti a Beermoor, a Leer e a Bremen. Il tempo delle stagioni, che pareva autentico, era scandito da una pedina che si spostava da un mese all’altro su una plancia di cartone. L’esperienza offerta da Fields of Arle è più che immersiva: manca solo di sentire intorno al tavolo il suono del vento sul Mare del Nord o l’odore dei campi e delle torbiere… Il gioco, per una o due persone, è stato creato da Uwe Rosenberg e pubblicato da Feuerland Spiele nel 2014 (in italiano da Cranio Creations nel 2023, in una «big box» che contiene l’espansione per giocare in tre). Si parte con un piccolo appezzamento di terra, poi c’è l’imbarazzo della scelta: si può coltivare grano o lino, allevare mucche, pecore, cavalli, raccogliere torba, bonificare paludi, acquistare aratri e carri o costruire argini per strappare altri campi al mare. Chi preferisce può far crescere una foresta per sfruttare il legname, fabbricare vestiti o utensili, dedicarsi al commercio, costruire laboratori o locande, eccetera. Oggi esistono molte app che offrono

l’opportunità di gestire una fattoria virtuale, ma è molto più avvincente farlo in maniera concreta, toccando con le mani, spostando tessere o figurine di legno e osservando di fronte a sé la fattoria del proprio avversario. In più, si ha l’impressione di vivere una storia radicata in una realtà autentica.

È lo stesso Uwe Rosenberg a definire questo come il suo «gioco più autobiografico». Nelle regole spiega che ad Arle (oggi un comune di mille abitanti) è nato suo padre e i suoi genitori si sono sposati. Fra gli edifici che è possibile costruire c’è anche la Casa del Tessuto, ispirata al negozio gestito dalla madre di Rosenberg e prima ancora da suo nonno. Lo stesso Uwe visse i suoi primi anni di vita nei locali sopra la bottega.

Accade spesso che scrittori o pittori prendano ispirazione dalle loro origini, evocando la loro infanzia o la vita dei loro antenati. Chi legge i libri o guarda i dipinti, pur lontano nel tempo e nello spazio, condivide la memoria intima degli autori. In questo caso si tratta di un creatore di giochi: l’esperienza è arricchita dal fatto che non si tratta di assistere a una scena o di seguire una vicenda, ma di costruire un mondo con il proprio ingegno e la propria intuizione. Quando ci si accorge della minuzia e della meticolosità con cui Rosenberg ha curato

Giochi e passatempi

Cruciverba

Lo sapevi che per la torta di nozze del principe

Henry e di Meghan

Markle, sono stati adoperati duecento… Trova il resto della frase a cruciverba ultimato, leggendo le lettere evidenziate.

(Frase: 6, 5, 8, 10)

ogni dettaglio, giocare diventa perfino commovente. Specialmente quando si riesce a costruire un edificio importante, come il castello di Lütetsburg o la splendida chiesa che campeggia sulla copertina e che ancora oggi riempie di stupore chi passa da Arle. Fields of Arle è complesso e rivol-

to a un pubblico di esperti. Lo stesso Rosenberg ha ideato però un gioco simile ma molto più breve e adatto anche a dei novizi: Agricola: Die Bauern und das liebe Vieh (Lookout Games 2012; in italiano Agricola: Creature grandi e piccole, Giochi Uniti 2013). Naturalmente manca la ricostruzione

storico-geografica, però resta la sensazione di vedere crescere la propria fattoria e moltiplicarsi gli animali (a volte tanto in fretta che non bastano le stalle a contenerli…).

La bellezza di questi giochi non consiste solo nel meccanismo, pure se perfettamente oliato, ma nella forza immaginativa: nel volgere degli anni ad Arle intravedo anche il senso della mia quotidianità e del mio mestiere. Di recente ho letto un romanzo di Wendell Berry intitolato Il mondo perduto (1996; Lindau 2023) e ambientato come gli altri dell’autore americano in un contesto agricolo. Il narratore a un certo punto alza la testa e si guarda intorno: «Ci fu un mattino in cui mi fermai con la zappa fra le mani a guardare i campi dalla stradina polverosa, e fui sopraffatto dall’improvvisa consapevolezza di ciò che stava accadendo. L’aria odorava di vegetazione e di terra rivoltata. […]. Lì fermo in mezzo a quel fulgore […] vidi che il campo era bellissimo, che il nostro lavoro era bellissimo». Nella mia routine, nel mio lavoro, ho già avuto «la sensazione che tutto combaciava perfettamente»? Troppo di rado, temo. Giocare a Fields of Arle, così come leggere un bel libro, mi aiuta a ridestare il senso della meraviglia. È per questo che leggo ed è per questo che, alla mia età, continuo a giocare.

ORIZZONTALI

1. Il cielo sereno

7. Creature mitologiche giapponesi

8. Preposizione articolata

9. Le iniziali dell’attore Arena

10. Avverbio di modo

11. Recipienti di legno

12. Faticosa salita

15. Il sole di Francia

17. Lo zio d’America

18. Usata per generare

una nuova pianta

19. Le iniziali del cantante Ferro

20. Bassezza d’animo

21. Le iniziali dell’attore Orlando

22. È lungo… una gamba

23. Preposizione

24. Sermone

25. Può aggravarsi in peggio

VERTICALI

1. Nome femminile

2. Desinenza di diminutivo femminile

3. Nota musicale

4. Adatta, confacente

5. Desideri in poesia

6. Variano di viscosità

10. Un Francesco musicista

11. Levato, sottratto

12. Un anagramma di sorte

13. Il cantante Riefoli

14. Le iniziali della comica Mannino

15. Ballo… al pomodoro

16. Un segno zodiacale

18. Tubercolosi polmonare

20. Di Non nel Trentino

21. Moneta del Perù

22. Nei piedi e nelle scarpe

23. Il marito di Francesca Neri (Iniz.)

Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione

cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi,

esclusivamente a

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ATTUALITÀ

Libano, tra lacrime e sangue

Da mezzo secolo il Paese dei cedri è ridotto a un campo di battaglia. Uno sguardo che abbraccia la storia a partire dall’attualità

Pagina 21

Focus sul Sudan

Nel Paese africano la popolazione è allo stremo, tra fame e malattie. In Svizzera un summit per cercare di contenere il disastro umanitario

Pagina 23

Troppe spese per Berna

Qualche idea su dove «tagliare» per contenere i costi: dal traffico pubblico all’aiuto allo sviluppo, passando per le tasse agli studi

Pagina 25

Giganti dell’economia in pesante crisi

L’analisi ◆ Stati Uniti, Cina, Germania e Giappone non navigano in buone acque: quali conseguenze dobbiamo aspettarci?

L’America torna a temere una recessione. La Cina è ormai in una fase che alcuni economisti definiscono di «stagnazione secolare». La Germania non si è ancora ripresa dallo shock arrivato con la fine di ingredienti-chiave del suo secondo miracolo economico, cioè «gas russo a buon mercato e mercato cinese spalancato». Il Giappone è destabilizzato da un esperimento di yen forte. L’economia globale si scopre orfana di quattro giganti che in passato avevano svolto, a vario titolo e in forme diverse, il ruolo di locomotive trainanti anche per la crescita di tutti gli altri. Il male tedesco è quello che preoccupa di più l’Europa. Ma l’America e la Cina hanno maggiori ripercussioni sul mondo intero.

Le gravi cadute delle Borse mondiali all’inizio di agosto hanno fatto temere un’ondata di panico e un crollo

Se si ferma la locomotiva americana sono guai per tutti. È lo scenario che spiega le pesanti cadute delle Borse mondiali che per un paio di sedute all’inizio di agosto hanno fatto temere un’ondata di panico e un crac. Quell’allarme sembra essere rientrato, i crolli sono durati poco. Avevano una spiegazione «tecnica», grossi investitori avevano accumulato debiti in yen – moneta a basso rendimento – per investirli altrove, e quando hanno sentito girare il vento hanno dovuto smobilitare in fretta le loro posizioni. Ma a far cambiare il vento erano stati alcuni dati deludenti sull’economia Usa. Di una recessione americana in arrivo si parla da tre anni, e finora le previsioni degli economisti non si erano avverate. Sia pure con grande ritardo, i segnali di debolezza si sono materializzati sul mercato del lavoro più dinamico del mondo. Luglio ha avuto una creazione netta di posti di lavoro dimezzata rispetto ai mesi precedenti. I salari crescono meno di prima, con un aumento annuo del 3,6% sono di poco superiori all’inflazione. Marche di beni di consumo e grande distribuzione segnalano un rallentamento della spesa delle famiglie. La quota di risparmi sul reddito è scesa. Siamo dunque giunti alla fine di un «boom keynesiano», segnato dall’impatto dei cinque trilioni (cinquemila miliardi) distribuiti forse troppo generosamente durante la pandemia dalle due Amministrazioni Trump-Biden. I segni di quella fase sono ancora ben visibili nelle finanze federali, con un rapporto deficit/Pil che si sta avvicinando al 7% e un peso del debito pubblico sul Pil che a seconda delle misurazioni vale il 100% o il 120%. Almeno una parte della recente crescita americana era stata drogata dalla spesa pubblica.

Un altro fattore specifico dietro la breve caduta delle Borse è il ridimensionamento di Big Tech. La corsa ai titoli tecnologici aveva creato una bolla speculativa, questa era un’opinione diffusa già da molti mesi se non da anni. L’ultima ragione per prolungare l’euforia era venuta dall’innamoramento collettivo per l’intelligenza artificiale. Che le potenzialità dell’AI (Artificial Intelligence) siano enormi, è un conto. Che giustifichino certe valutazioni stratosferiche di società quotate in Borsa, è tutt’altro discorso. Uno dei più grandi fondi d’investimento americani, Elliott, ha messo in guardia i suoi clienti sugli eccessi speculativi legati all’AI, che fra l’altro hanno spinto la quotazione di Borsa di un’azienda come Nvidia, produttrice di microchip proprio per l’AI. L’analisi di Elliott contiene questo avvertimento: può darsi che l’AI si riveli una straordinaria rivoluzione tecnologica, ma per il momento non è chiaro come sia in grado di generare reddito, quindi chi ci guadagni. La Silicon Valley è sempre vissuta di questi cicli di «boom and bust». La crisi di fiducia sui benefici immediati dell’AI è una storia a sé, ora viene a coincidere coi timori più generali su una recessione americana, o comunque un forte rallentamento della crescita Usa.

Sono cominciate le polemiche sulle responsabilità della Federal Reserve, la banca centrale americana. La sua terapia anti-inflazione, con prolungati rialzi dei tassi d’interesse nel dopo-pandemia, è stata troppo drastica? È durata più del necessario? Si discuterà a lungo se abbia sbagliato a non allentare più presto la stretta creditizia, altro fattore di freno ai consumi e agli investimenti.

Questo dibattito è complicato dalla scadenza elettorale. Una recessione guasterebbe le possibilità di vittoria di Kamala Harris?

Questo dibattito è complicato dalla scadenza elettorale. Una recessione guasterebbe le possibilità di vittoria di Kamala Harris? Da parte sua Donald Trump ha spesso esortato la Fed a tagliare i tassi, ha perfino auspicato una svalutazione del dollaro per migliorare la competitività dell’industria americana e aiutare le esportazioni. In quanto alla seconda economia mondiale, la Cina, da tempo esporta i suoi problemi in casa nostra. I consumi sono fiacchi, ne soffre anche il lusso italo-francese, che un tempo trovava una domanda inesauribile su

quel mercato. La nuova generazione, già afflitta da un’alta disoccupazione intellettuale, scopre che la sua età pensionabile dovrà slittare sempre più avanti. Come ha osservato un giovane cinese sul più diffuso social media nazionale: «Siamo nati in un’epoca in cui si diceva ancora che eravamo troppi. Ora che siamo adulti si dice che i bambini sono troppo pochi. Sul mercato del lavoro ci considerano già vecchi. Per avere una pensione non lo saremo mai abbastanza». Traspare allarme per lo stato della finanza locale. Qualche provincia o municipalità rischia la bancarotta per la crisi del settore immobiliare. La fonte di finanziamento per gli enti locali sono le vendite di terreni pubblici e la concessione di licenze edili: tutto fermo. Eppure l’obiettivo programmato dal Terzo Plenum del partito comunista, concluso di recente, è raddoppiare il reddito dei cinesi entro la fine del 2029, in anticipo rispetto al traguardo fissato in precedenza, che era il 2035. Per arrivarci la Cina dovrà fare affidamento ancor più di prima sulle esportazioni; e finanziare in modo abbondante l’innovazione tecnologica della sua industria. Oltre ai settori dove l’invasione cinese è una realtà da molti anni (pannelli solari, batterie e auto elettriche, acciaio, più tutti

i prodotti tradizionali del tessile abbigliamento e calzaturiero) tra le priorità per la politica industriale ci saranno il biomedico e i macchinari. Il mondo ideale per Xi, sotto il profilo economico e tecnologico, è quello in cui tutti gli altri hanno bisogno di comprare cinese mentre la Repubblica popolare può fare a meno di prodotti stranieri. Vuole mettere noi occidentali, o mantenerci, in una situazione di massima dipendenza, e conquistare per sé un’autonomia quasi totale. Preoccupa l’intera Europa la sovraccapacità industriale cinese, e la pressione che l’export esercita sui settori manifatturieri. Più l’America si chiude – non c’è ragione di pensare che una presidenza Harris o una presidenza Trump II sarebbero filo-cinesi – più l’Europa finirà sotto pressione. Anche il tema delle acquisizioni societarie è strategico. Poiché Xi vuole bruciare le tappe nel progresso tecnologico, spingerà le sue imprese a catturare le innovazioni comprando aziende che le producono. È un copione noto. Alcuni Paesi sono corsi ai ripari erigendo alte barriere anche in questo campo. In America, Regno Unito, Giappone, Corea del Sud, sta diventando quasi impossibile per i cinesi investire in aziende hi-tech. Resta l’Europa.

Wall Street, il simbolo dell’economia americana che torna a temere la recessione. (Keystone)
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Libano, tra lacrime e sangue

Medio Oriente ◆ Da mezzo secolo il Paese dei cedri è un campo di battaglia

La lotta fra Israele e Hezbollah, in pratica un confronto a distanza fra le potenze americana e iraniana, consacra una volta ancora il Libano come campo di battaglia. Un ruolo che il Paese dei cedri svolge ormai da mezzo secolo, con spaventosi tributi di vite e devastazioni. Eppure, prima di quel tragico 1975 che vide l’avvio della guerra civile, lo chiamavano la Svizzera del Medio Oriente per la prosperità economica e il ruolo di principale piazza finanziaria della regione. Era un Paese modello, arabo e multiconfessionale, nel quale attraverso un delicato meccanismo costituzionale i musulmani sunniti, sciiti e i drusi convivevano con i cristiani di varie confessioni fra i quali prevalevano i maroniti. In realtà quella pacifica coesistenza non poteva durare a lungo, minata com’era nel suo interno da troppe contraddizioni.

Prima di quel tragico 1975, che vide l’avvio di una sanguinosa guerra civile, lo chiamavano la Svizzera del Medio Oriente

Infatti l’incanto si ruppe negli anni Settanta del secolo scorso, quando esplose un sanguinosissimo conflitto civile destinato a durare quindici anni, e a essere seguito da cruente fiammate di guerra. Bisogna considerare che nella frammentazione etnica e politica del Libano era emersa alla metà del secolo una componente nuova, quella dei rifugiati palestinesi che cercavano scampo dopo la fondazione in Palestina dello Stato di Israele e i confronti armati fra la nuova entità politica e i Paesi arabi che la circondavano. I primi centomila profughi arrivarono nel 1947, all’indomani della prima guerra arabo-israeliana, alla quale lo stesso Libano aveva partecipato soprattutto sul piano finanziario e logistico.

Cominciò dunque, con uno scontro fra falangisti cristiani e gruppi armati palestinesi, la lunga stagione del Paese dei cedri trasformato in terreno di scontro per le guerre degli altri. Tre anni più tardi l’esercito israeliano attraversava il confine e occupava la parte meridionale del Libano, le Nazioni unite decidevano l’invio di una forza di interposizione. Ma non servì

a gran cosa, e nel 1982 Israele lanciò l’operazione Pace in Galilea, che portava nel nome il contenuto della sua missione: difendere lo Stato ebraico dalle incursioni delle forze irredentiste, allora coordinate dall’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) di Yasser Arafat, nelle sue province settentrionali.

Stavolta le truppe israeliane si spinsero fino a Beirut. La situazione pareva ormai sfuggita a ogni controllo, Una forza multinazionale composta da reparti americani, italiani, francesi e britannici prese posizione in città. Mentre l’Olp trasferiva a Tunisi la sua dirigenza e i suoi reparti combattenti si rifugiavano nel nord, nel Paese dei cedri il sangue scorreva a fiumi. Due campi profughi palestinesi collocati fra i sobborghi meridionali della capitale, a Sabra e Chatila, furono presi d’assalto in una notte di settembre del 1982 dalle milizie falangiste, nell’indifferenza almeno iniziale delle forze israeliane d’occupazione che si stavano ritirando secondo gli accordi ma non fecero nulla per fermare la strage.

Due giorni prima il presidente libanese Bashir Gemayel era rimasto vittima di un attentato assieme a numerosi altri capi della Falange: sordi ai precetti evangelici, i reparti cristiani cercarono vendetta. Fu uno spietato massacro non ancora definito nelle sue dimensioni, le valutazioni oscillano infatti fra le sette-ottocento vittime e le 3500. Moltissimi fra gli uccisi i bambini, gli anziani, le donne. Sabra e Chatila si lasciarono alle spalle un’eredità straziante di dolore e di morte. Impossibile dimenticare la disperata desolazione di quei giorni, le donne palestinesi che cercavano piangendo i resti dei loro cari, che si aggrappavano ai soldati internazionali invitandoli a fare giustizia, almeno a verificare l’orrore di quella notte, a distribuire correttamente le responsabilità… Poche settimane più tardi la forza italo-franco-anglo-americana, che al momento della strage aveva appena lasciato le sue basi a Beirut, fu nuovamente dispiegata nella capitale libanese ormai allo sbando. Ma fu colpita da Hezbollah con estrema durezza. Si aprì una stagione di spettacolari attentati. Fra il 1982 e il 1983 un’autobomba all’ambasciata americana di Beirut

Una guerra globale

L’analisi ◆ Le 5 dimensioni della crisi ucraina Lucio Caracciolo

provocò la morte di 63 persone e un attacco suicida alla caserma dei marines ne uccise 241. Colpito anche il contingente francese: 56 paras vittime di un altro attentato suicida. Nel marzo 1984 ebbe termine la missione internazionale di pace. Ma questo non significa che la pace sia da quelle parti un dato acquisito, nonostante il contingente United Nations Interim Force in Lebanon (Unifil) dispiegato dall’Onu in quello che è ormai da tempo cosiderato il territorio meno sicuro del mondo.

Il rafforzamento di Hezbollah, che dispone di un esercito modernamente attrezzato a cura degli alleati iraniani, e l’attenzione israeliana alla sicurezza delle province della Galilea confinanti con il Libano, hanno reso quell’angolo di mondo uno dei più infiammabili focolai di guerra. Nel 2006 le forze israeliane hanno di nuovo attraversato quel confine. Ne sono seguiti trentaquattro giorni di combattimenti conclusi da una tregua che come tutte le tregue concordate da quelle parti ha lasciato insoluti i problemi. A cominciare dal primo: la questione palestinese, vero e proprio elemento di squilibrio sul quale «giocano» i Paesi dell’area e le grandi potenze per ricavarne vantaggi strategici.

È la questione palestinese il vero e proprio elemento di squilibrio sul quale «giocano» i Paesi dell’area e le grandi potenze

Si è arrivati così a questa turbolenta vigilia di guerra seguita all’attacco di Hamas dello scorso ottobre, alla feroce vendetta israeliana con i massacri di Gaza, all’esecuzione del capo politico di Hamas Ismail Haniyeh, allo scambio di accuse e minacce fra Gerusalemme e Teheran. Invano la Falange libanese invita Hezbollah a moderare i toni, chiarendo che «questa non è la nostra guerra». Certamente non è la loro guerra, così come non lo furono i conflitti seguiti alla lotta intestina libanese: ma è difficile immaginare dove altro potrebbe essere combattuta. E così per il Paese dei cedri, che fu la Svizzera del Medio Oriente, si è avviata un’altra stagione di lacrime e sangue.

Due anni e mezzo dopo l’invasione russa dell’Ucraina continuiamo a battezzare lo scontro fra Mosca e Kiev come «guerra in Europa». Definizione geograficamente pertinente ma geopoliticamente deviante. Si tratta infatti di un conflitto dai riflessi globali. Forma postmoderna di una guerra mondiale in costruzione o, secondo papa Francesco, un suo «pezzo». Perciò conviene studiarla come sintomo della fase decisiva di un cambio di paradigma. Stiamo trascorrendo dall’èra dell’egemonia americana, espressione dell’Occidente «globale», a una fase che vede l’ascesa della Cina ma non ancora la sua dominanza. Nel frattempo sperimenteremo l’impensabile. Tutto questo appare più chiaro se consideriamo le diverse dimensioni del conflitto, aggravato dall’incursione ucraina in Russia, dalle conseguenze ancora imprevedibili. Le dimensioni che contano sono cinque. Prima, quella post-sovietica. Lo scontro oppone due Stati emersi dal collasso dell’Unione sovietica. La prima (Russia) e la seconda (Ucraina) delle potenze che ne sono scaturite. Questa radice storica della partita in corso viene trascurata, anche perché nessuna delle due parti ama ricordarla. A sua volta, come in una matrioska, la disputa fra ex sovietici contiene quella fra centro e periferia dell’impero russo, dalla cui crisi nacque l’Urss. Si tratta di classica sfida fra impero (russo prima, sovietico poi) e Nazione in fieri che intende emanciparsene. Dura da cent’anni e non è affatto scritto che questo sia l’ultimo atto. Sfida troppo intima e rilevante per l’autopercezione di russi e ucraini da potersi concludere con una pace vera. Al massimo, una lunga tregua. A meno del collasso di uno o di entrambi, la sfida assumerà forme carsiche, in attesa del prossimo atto. Seconda, quella russo-americana. Tutto cominciò con la rivoluzione bolscevica e l’intervento americano, oltre a un’altra ventina di Paesi, nella guerra civile post-zarista. Elevato dal 1945 a scontro freddo per l’egemonia planetaria fra Usa e Urss, dopo la parentesi anti-nazista. La Russia non è l’Urss e gli Stati Uniti non sono più egemoni, ma il lascito di diffidenza e ostilità ereditato dalla guerra fredda si ripercuote nel sostegno americano a Kiev e nella paradossale ridefinizione di Mosca della «operazione militare speciale», elevata ad aggressione dell’«Occidente collettivo» contro la Federazione Russa. Anche questa partita non finirà con la pace. Nella migliore ipotesi, l’immediato futuro dopo una raffazzonata tregua comporterà la tensione permanente fra Nato – ovvero la forma militare e di

intelligence dell’impero americano in Europa – e Russia. Con il rischio permanente di slittamento verso lo scontro aperto, anche per le pulsioni russofobe dominanti nell’Europa orientale e nordica, cordialmente ricambiate con gli interessi a Mosca. Terza, la competizione fra Cina e Stati Uniti. Tra primo sfidante e numero uno su scala mondiale. Senza l’avvento di una dirigenza antirussa a Kiev nel 2014, supportata da inglesi e americani, Putin non si sarebbe ridotto a quasi-vassallo di Pechino. Postura non spontanea. Russi e cinesi sono rivali geopolitici diretti, non importa l’ideologia. Quanto a Xi Jinping, l’ambiguo sostegno a Mosca ha una doppia dimensione: impedire che l’America travolga la Russia e ridurre il vicino settentrionale a non troppo brillante secondo nello spazio post-sovietico. Una delle più importanti conseguenze del conflitto russo-ucraino sarà la penetrazione cinese nell’Asia centrale ex sovietica, ma anche verso l’Artico, nella disputa per la rotta marittima settentrionale Cina-Russia-Europa-America, destinata a svilupparsi grazie alla prevista fusione dei ghiacci artici. Quarta, l’alterazione profonda dei rapporti fra l’Occidente in accentuata deriva, senza più chiara guida americana, e il cosiddetto Resto del mondo o Sud globale. All’ombra della guerra si stanno riscrivendo le relazioni di forza, senza troppa attenzione a regole e costumi precedenti. È l’occasione che alcune potenze medie aspettavano per affermarsi grandi. Giappone, India, Turchia sono i tre maggiori esempi. In Europa, la Polonia aspira a un ruolo analogo. Su diversa scala, persino l’Africa e l’America Latina sperimentano tensioni simili.

Quinta, e per noi più rilevante, la periferizzazione progressiva dell’Europa. Scade il bluff dell’Ue. Nata, anche su impulso americano, per contrastare l’Urss nel quadro euroatlantico, ora che l’economicismo rivela i suoi limiti conferma di non essere né poter diventare soggetto geopolitico. Le faglie storiche fra le varie Europe, specie fra est e ovest, tornano a galla nello scontro con la Russia. L’est vorrebbe distruggerla mentre l’ovest, sottobanco, non vede l’ora di rinegoziare una partnership non solo energetica. Quando un ordine mondiale salta, occorre molto tempo per provare a reinventarne un altro. Stavolta sarà assai arduo, forse impossibile. Il prezzo da pagare temiamo alto. Visto in questa prospettiva, il conflitto fra Russia e Ucraina assume senso e proporzioni globali. Non ancora la scintilla della terza guerra mondiale. Sempre che non deragli.

Una donna con i suoi bambini davanti alle macerie di casa nel sud del Libano, distrutta da un attacco aereo israeliano a fine giugno. (AP/Keystone)
Volontarie del gruppo di difesa aerea nella regione di Bucha, nei pressi di Kiev. (Keystone)

Film Festival, è stata un’edizione

Una donna che regge una torcia nella mano destra, levandola in alto sopra al capo in una posizione innaturale ma elegante, statuaria quasi pacata; mentre l’altra mano ferma all’altezza della vita un drappo azzurro che le ricopre trasversalmente il corpo. È l’immagine che appare prima di ogni film della Columbia Pictures da ormai un secolo. Certo, negli anni è cambiata e all’inizio non c’era nemmeno la torcia, ma su un piedistallo in mezzo alle nuvole, «la signora con la torcia» ha un che di mariano. In realtà è ispirata a Columbia, la personificazione degli Stati Uniti e infatti se si osservano con attenzione i film fino al 1937 si può notare come il drappo consistesse inizialmente in una bandiera a stelle e strisce.

questa edizione che al fascino dello studio

Sono stati 44 i titoli selezionati da Khoshbakht per Locarno77 che hanno celebrato il centenario della Columbia

The Lady with the Torch è il titolo della retrospettiva che quest’anno il Locarno Film Festival ha dedicato al centenario della Columbia Pictures. Non è la prima volta che il festival omaggia una casa di produzione, nel 2014 era stata la Titanus mentre bisogna tornare al 1984 per un omaggio alla Lux Film. La casa di produzione americana è però di altra caratura produttivamente parlando, perché pone di fronte a un catalogo che include titoli quali It happened One Night di Frank Capra (che nel 1934 fu il primo film a vincere gli Oscar nelle cinque maggiori categorie: miglior film, regia, sceneggiatura, attore e attrice protagonista), On The Waterfront (Elia Kazan, 1954), Taxi Driver (Martin Scorsese, 1976) e tanti altri capolavori della storia del cinema.

Missione ardua dunque per il curatore: come portare a Locarno 100 anni di produzione Columbia in una ristretta selezione di film? Ci ha pensato Eshan Khoshbakht, regista iraniano dalla grande esperienza nel set-

tore, perché co-direttore e curatore del festival Il Cinema ritrovato a Bologna, che della riscoperta di capolavori del passato ha fatto un suo mantra. La scelta è dunque ricaduta su una porzione di tempo che permette una selezione rappresentativa della Columbia Pictures.

Vale però la pena prima ripercorrere un po’ di storia del cinema perché, sebbene la Columbia possa vantare oggi un catalogo fra i più blasona-

ti, non è sempre stato così. Nell’epoca dello studio system infatti la casa di produzione fondata dai fratelli Harry e Jack Cohn insieme a Joe Brandt rientrava con Universal Pictures e United Artist fra le tre minors, mentre le altre Big Five dominavano il mercato. Metro-Goldwyn-Mayer, Paramount Pictures, Warner Bros., 20th Century Fox ed RKO Radio Pictures (l’unica il cui nome ci è meno familiare oggi ma che fu la casa di produ-

Nicola Falcinella

Da sempre i film del Festival di Locarno hanno un rapporto stretto con la realtà. Lo ha confermato la 77esima edizione, conclusa sabato a giornale già chiuso, con titoli che, nei casi migliori, esplorano l’attualità con acutezza, riuscendo a spiegarne alcuni meccanismi anche meglio di un saggio.

Transamazonia della tedesca Pia Marais (nella foto) è stato uno dei lungometraggi più classici e narrativi in concorso

È il caso di Youth (Hard Times) del cinese Wang Bing, già vincitore del Pardo d’oro nel 2017 per La signora Fang e per questa ragione probabilmente tagliato fuori dal premio principale. È il secondo tassello di una trilogia la cui prima parte Spring è stata

in concorso a Cannes e la terza, Homecoming, sarà a Venezia tra poche settimane. Cinque anni circa di riprese, dal 2014 al 2019, nei laboratori tessili della città di Zhili, nell’industrializzata provincia orientale di Zhejiang, per una decina di ore complessive di film. Ne esce il ritratto della gioventù del grande Paese orientale partendo dai ballatoi di palazzoni anonimi dove si affacciano i piccoli locali trasformati in fabbriche distinte solo da un numero, dedite alla confezione di capi di abbigliamento.

zione della coppia Fred Astaire/Ginger Rogers e soprattutto che nel 1941 diede a Orson Welles la possibilità di realizzare Citizen Kane) rappresentavano in quegli anni una vera e propria oligarchia cinematografica. Il cosiddetto studio system prevedeva infatti che gli studios controllassero tutti gli aspetti della settima arte, dalla produzione alla distribuzione. Quindi le major possedevano le loro sale cinematografiche e offrivano alle sale in-

dipendenti dei pacchetti di film, contenenti film di successo insieme ad opere meno riuscite per evitare perdite economiche. Tornando al presente sono 44 i titoli selezionati da Khoshbakht per Locarno77 che celebrano il centenario della Columbia, da Wallstreet di Roy William Neill (1929) fino a Ride Lonesome di Budd Boetticher (1959). Un arco di trent’anni che include autori come Frank Capra, Howard Hawks,

Le trame hanno uno stretto rapporto con la realtà

Wang Bing mostra i lavoratori migranti interni, in maggioranza provenienti dalla regione di Anhui, che riposano poche ore negli stessi spazi in cui lavorano, costretti a orari sfiancanti per produrre a cottimo il più possibile. A volte non sono pagati da padroni che trovano qualche cavillo oppure picchiano chi sollecita il dovuto o fug-

Locarno – 3 ◆ Conclusa la 77esima edizione, vi raccontiamo alcuni film che ci hanno particolarmente colpito

gono lasciando debiti e abbandonando i macchinari. Il documentario osserva i tentativi dei lavoratori di organizzarsi, di contrattare paghe o tempi di lavoro migliori, senza riuscire neppure a trovare un accordo tra loro: nell’assenza di qualsiasi forma sindacale, gli imprenditori opportunisti prosperano. Transamazonia della tedesca Pia Marais (nella foto) ci porta in Sudamerica. Il suo è uno dei lungometraggi più classici e narrativi in concorso, una pellicola pronta quanto meno per il Pardo Verde e forse di più. A un disastro aereo nell’Amazzonia brasiliana è sopravvissuta solo la piccola Rebecca, che nove anni dopo continua a vivere nella zona con il padre missionario battista. Mentre la giovane ha fama di guaritrice, i taglialegna, privi di permessi, abbattono alberi nella riserva indigena facendosi forti con uomini armati che sparano anche sui

Mentre

la

per

le

minorenni.
sale
rivolta dei nativi
difendere
loro terre e le loro usanze, la giovane viene contattata dal proprietario della segheria
per salvare sua moglie in coma. Marais, già in gara a Locarno, tiene bene insieme tre linee narrative (la deforestazione e i diritti degli indigeni,

Una catastrofe al di là di ogni immaginazione

Prospettive ◆ In Sudan la popolazione è allo stremo, tra fame e malattie, mentre in Svizzera si cerca una soluzione al disastro

Alla fine di giugno, il massimo responsabile Onu per gli aiuti umanitari ha rassegnato le dimissioni per motivi di salute. Prima di abbandonare il suo incarico, il sottosegretario generale Martin Griffiths, britannico, ha lanciato un allarme terribile. In Sudan, ha detto in un’intervista a «The Guardian» di Londra, si prepara una catastrofe «al di là di ogni immaginazione». Qualcosa di infinitamente più grave dell’emergenza umanitaria in corso a Gaza. Nel territorio palestinese, ha spiegato Griffiths, mezzo milione di persone dovrà affrontare di qui alla fine dell’anno la più grave minaccia alimentare. È la cosiddetta «fase 5», secondo una rigorosa definizione internazionalmente accettata, che consiste in «estrema mancanza di cibo, fame ed esaurimento della capacità di farvi fronte». Nella stessa «fase 5» si trovano attualmente in Sudan quasi 800mila persone. E altri 8 milioni e mezzo di sudanesi si trovano in «fase 4», con cioè «altissimi livelli di malnutrizione acuta e di malattia, con rischio di morte per fame in rapida crescita».

La carestia non è figlia di una natura impazzita, o di circostanze impreviste e fatali, è causata solo dagli uomini

Sono numeri di cui il mondo, da alcune generazioni, non ha memoria. La carestia etiopica di metà anni 80 causò, secondo le stime Onu, un milione di morti. Ci sono tutte le premesse perché questa cifra venga superata nei prossimi mesi in Sudan. Per questo Griffiths ha affermato che ci troviamo «davanti a un grave momento storico». La grande differenza con Gaza, e anche con la tragedia etiopica di quarant’anni fa, è l’esposizione mediatica e l’attenzione internazionale. Il Sudan è ignorato tanto dai riflettori giornalistici quanto dai governi e dalle diplomazie. Solo nelle ultime settimane di luglio gli Stati Uniti hanno annunciato una loro iniziativa, per la verità molto tardiva.

Non mancano le voci autorevoli e inascoltate che, come Griffiths, hanno lanciato l’allarme. Alex de Waal, direttore della World Peace Foundation, specialista del Sudan, tra i massimi esperti mondiali di carestie, ha usato pressoché le sue stesse parole. Da tempo le agenzie umanitarie Onu vanno mettendo in guardia contro la catastrofe in corso. Ma l’eco è minima e la sensazione dominante è quella di un disinteresse generale. Una conferenza dei Paesi donatori riunita mesi addietro in Svizzera ha raccolto fondi di gran lunga inferiori alle aspettative e alle necessità.

C’è un’altra differenza capitale da quanto accadde nel nord dell’Etiopia quattro decenni or sono. La carestia che dilaga oggi attraverso il Sudan non è figlia di una natura impazzita, o di circostanze impreviste e fatali, ma è causata esclusivamente dagli uomini. I nomi dei suoi responsabili sono noti. Al momento tuttavia sono loro ad avere in pugno la chiave che impedisce alle agenzie internazionali di intervenire. Sono perciò corteggiati e lusingati da quanti hanno finora tentato – senza risultati apprezzabili – di coinvolgerli in una trattativa. Si spera che l’iniziativa negoziale americana (un summit sul Sudan in Svizzera, nella regione di Ginevra, iniziato mercoledì 14 agosto) possa avere suc-

Bambini sudanesi affetti da malnutrizione in una clinica di Medici senza frontiere nel campo di Metche, in Ciad, al confine col Sudan. (Keystone)

cesso dove altri hanno fallito. Nell’attesa, possiamo soltanto ricordare le cause di questa tragedia.

Il regime islamico che venne abbattuto dalla rivolta popolare del 2019 a Khartoum aveva lasciato dietro di sé un inquietante dualismo. Accanto alle Forze armate, tradizionale pilastro del potere sudanese e roccaforte dell’Islam più conservatore, il dittatore deposto Omar al Bashir aveva consentito la creazione di un potente esercito privato, le cosiddette Forze di supporto rapido (Rsf nella sigla inglese), guidate da Mohamed Hamdan Dagalo. L’ascesa di Dagalo da oscuro figlio di cammellieri a potente e ricchissimo signore della guerra è una storia a sé. Fatto sta che per anni egli aveva garantito ad al Bashir il sostegno di una milizia personale forte di migliaia di uomini. Finché non lo tradì, alleandosi con il comandante in capo delle Forze armate, il generale Abdel Fattah al Burhan, e causandone la definitiva rovina.

L’ascesa di Dagalo da oscuro figlio di cammellieri a potente e ricchissimo signore della guerra è una storia a sé

Seguirono in Sudan anni di grande instabilità, causata dalla tensione fra le forze della società civile che avevano guidato la rivolta contro al Bashir – a loro volta profondamente divise tra loro – e coloro che detenevano il potere delle armi. Accordi raggiunti all’inizio del 2023 prevedevano l’integrazione delle Rsf nelle Forze armate governative. Fu a quel punto, nell’aprile dell’anno scorso, che Dagalo dette ai suoi uomini l’ordine di aprire il fuoco contro le truppe di al Burhan. Sebbene la guerra ancora in corso dopo sedici mesi sia totalmente interna al Sudan, sarebbe un grave errore definirla una guerra civile. La società sudanese è vittima di entrambe le forze in campo. Sono due eserciti coinvolti in uno scontro devastante, senza esclusione di colpi, di cui l’intero Paese è teatro. La società è il campo di battaglia. Scoppiato da principio a Khartoum, metropoli

con milioni di abitanti, il conflitto si è progressivamente esteso. Dapprima in Darfur, il vasto territorio occidentale del Sudan di cui Dagalo è originario e dove le sue milizie si

sono inizialmente formate, in una guerra genocidaria contro le etnie non arabe che popolano quella regione. Poi al centro-sud, nel Kordofan; infine, più recentemente, all’est.

Non c’è crimine di guerra che sia stato risparmiato ai civili, sui quali miliziani delle Forze di supporto rapido e soldati governativi si abbattono saccheggiando, violentando e uccidendo. Le testimonianze riferiscono che è diffusa la pratica di offrire cibo in cambio di sesso alla popolazione affamata, di cui sono vittime sistematiche le bambine. Gli ospedali sono stati tra i primi obiettivi a essere colpiti, azzerando di fatto la già precaria sanità sudanese. I profughi nei Paesi confinanti e gli sfollati interni superano gli otto milioni, in pratica un sudanese ogni cinque. I morti sono decine di migliaia. Un incubo universale, nel quale i veti incrociati dei due campi impediscono alle agenzie umanitarie di intervenire, prendendone di mira gli operatori. I campi profughi sono abbandonati alla sorte. La fame è diventata la principale arma di guerra.

Oltre ai rappresentanti di Washington e Riad, in Svizzera per il summit sono arrivati Egitto, Unione Africana, Onu e anche le Rsf. Grande assente è l’esercito regolare sudanese. Gli obiettivi dei colloqui, ha detto il segretario Usa Blinken, è di «raggiungere la cessazione delle violenze in tutto il Paese, consentire l’accesso umanitario e mettere in atto un solido meccanismo di monitoraggio e verifica per garantire l’attuazione di un eventuale accordo».

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Happy Birthday!

Nel 1974 nel mondo dei giocattoli videro la luce un cavaliere, un indiano e un muratore. Chi avrebbe mai pensato che fosse l’inizio dell’era Playmobil?

Lotta di prova: ce la fai?*

Oggi, a distanza di 50 anni, le statuette alte 7,5 cm continuano a deliziare bambine, bambini e persone adulte di tutto il mondo. Navi pirata, castelli di cavalieri e vigili del fuoco sono diventati parte integrante delle camerette di bambine e bambini. Playmobil festeggerà il suo compleanno per tutto l’anno all’insegna del motto «Join the Party».

In collaborazione con l’Associazione federale di lotta svizzera, che quest’anno celebra il suo 125esimo anniversario, Playmobil lancia un’apposita edizione. Le statuette, disponibili esclusivamente in Svizzera, raffigurano un incontro di lotta svizzera, una cerimonia di premiazione e un re di lotta svizzera nonché il legame con lo sport nazionale svizzero.

* La Migros è partner ufficiale dell’Associazione federale di lotta svizzera (AFLS) dal 2010. Sostiene inoltre la giornata nazionale di prova della lotta svizzera per grandi, piccine e piccini, che si svolgerà il 7 settembre in oltre120 club di lotta in tutta la Svizzera.

Foto:
Migusto/Martina Meier
Lotta svizzera Playmobil Fr. 17.95
Re di lotta svizzera Playmobil Fr. 5.95
Cerimonia di premiazione re di lotta svizzera Playmobil Fr. 24.95

Salsa di pomodoro

Per assaporare il gusto dell’estate tutto l’anno basta bollire i pomodori maturi con olio e sale, trasferire la salsa bollente nei vasetti ed ecco fatto!

Con questi il successo è garantito!

GUSTO

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Sugo Basilico Alnatura 340 g Fr. 2.30
* In vendita nelle maggiori filiali
Sugo alla Napoletana Da Emilio 290 g Fr. 4.50
Sugo Carciofi* Da Emilio 330 g Fr. 5.90
Piccata di maiale Un classico della cucina milanese! Nel suo manto dorato la piccata di maiale nasconde anche una manciata di parmigiano, segreto di tanta bontà.

Tagliatelle al ragù di spezzatino Lo spezzatino di manzo e maiale tagliato a dadini e cotto nel vino con verdure da minestra e pelati dà vita a un delizioso ragù perfetto con le tagliatelle.

Polpette di tonno al sugo Solo a guardarle fanno venire l’acquolina in bocca. Le polpette di tonno, purè di patate e parmigiano e servite con sugo di pomodoro sono una delizia.

Gli ingredienti tipici del sugo sono pelati in scatola, cipolle, aglio, olio di oliva ed erbe aromatiche, talvolta anche zucchero. A seconda delle varianti regionali, viene aggiunto anche vino, brodo o burro. In certi posti lo si insaporisce inoltre con peperoncino,

Basta aggiungere un goccio di succo di limone o aceto di vino rosso. Inizia aggiungendone poco e aumenta la dose a piacimento. Consiglio: lo zucchero aiuta a esaltare il sapore del sugo. Un buon pizzico rende il gusto più fruttato. In molte ricette tradizionali italiane però non se ne mette e i cuochi italiani per passione disapprovano persino.

Il sugo va lasciato cuocere a lungo. Non è quindi adatto per una cena veloce in settimana, ma è preferibile prepararlo quando si ha tempo di seguirne la cottura, ad esempio

Come si affina il sugo pronto?

Non hai tempo di preparare il sugo in casa? Non c’è problema, puoi usare quello già pronto. Fallo ridurre leggermente e aromatizzalo con erbe aromatiche fresche e peperoncino. Così facendo nessuno (o quasi) si accorgerà che è un sugo acquistato. Bisogna aggiungere l’acqua

Assolutamente sì. L’acqua di cottura degli spaghetti contiene l’amido della pasta e rende il sugo più cremoso. Aggiungine un po’ al sugo di pomodoro e termina la cottura degli spaghetti quasi al dente nel sugo.

Si può fare anche con i pomodori freschi?

Certamente! Di solito si usano i pomodori peretti, che devono però essere molto gustosi. Per ottenere un sugo vellutato, dovresti pelare i pomodori. A tale scopo incidi i pomodori a croce, scottali brevemente in acqua bollente, passali sotto l’acqua fredda e poi rimuovi la pelle.

Per quanto tempo si conserva il sugo? Puoi congelare il sugo in porzioni e conservarlo così per circa un anno. Oppure versalo in vasi di vetro sterilizzati. A tale scopo fai bollire vasetti, coperchi ed eventuali guarnizioni di gomma per una decina di minuti, quindi toglili con cautela e falli sgocciolare bene. Riempi i vasetti con il sugo bollente e chiudi subito con il coperchio. In questo modo si conserva da sei a otto mesi in un luogo buio e fresco. Consiglio: per poter usare il sugo in tanti modi, scegli una ricetta basilare con pochi ingredienti e spezie.

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Buono a sapersi

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ATTUALITÀ

Prezzo del cacao

Perché il prezzo del cacao è alle stelle proprio in questo momento?

Il suo costo è quasi quadruplicato in un anno. Bruno Feer, acquirente di materie prime presso Delica, affiliata della Migros, spiega i retroscena

Testo: Kian Ramezani, Flurina Rothenberger

Di quanto è aumentato il prezzo del cacao?

Il prezzo globale delle fave di cacao è da quattro a cinque volte superiore a quello di un anno fa. Una tonnellata di cacao costa attualmente circa 9000 franchi. Anche Migros Industrie deve acquistare a questi prezzi.

Cosa significa tutto ciò per i prodotti sugli scaffali?

Il cioccolato è diventato più costoso già negli ultimi mesi. Grazie al nostro grande magazzino di cacao ad Amsterdam, finora abbiamo dovuto aumentare i prezzi solo moderatamente. Ulteriori rincari, però, sono ormai inevitabili.

Quali prodotti sono interessati?

Sono interessati tutti i prodotti, un po’ di più quelli con un contenuto di cacao maggiore. Il cioccolato al latte è anche decisamente più costoso da produrre, poiché contiene una percentuale più elevata di burro di cacao. Il suo prezzo è aumentato addirittura di più rispetto a quello delle fave e della polvere di cacao.

Si tratta di aumenti di prezzo straordinari?

Anche in passato abbiamo dovuto affrontare delle fluttuazioni. Ma non c’è mai stato nulla di simile. I prezzi sono ai massimi storici.

Quali sono le ragioni?

Sono intervenuti diversi fattori: negli ultimi anni il cacao è stato troppo economico e non ha rispecchiato adeguatamente l’enorme sforzo

compiuto da produttrici e produttori. Questo ha reso meno attraente la coltivazione del cacao e la manutenzione delle piantagioni, con conseguente calo delle rese. A ciò si aggiungono i cambiamenti climatici, che rendono sempre più frequenti i mancati raccolti dovuti alla siccità o alle eccessive precipitazioni. L’offerta è quindi in calo, mentre la domanda globale continua a crescere.

«Negli ultimi anni il cacao è stato troppo economico»

Bruno Feer, Kakao-Einkäufer Delica AG

Chi beneficia dell’aumento dei prezzi del cacao?

In linea di principio, tutte le attrici e tutti gli attori della catena di valore aggiunto, vale a dire produttrici e produttori nonché esportatrici, esportatori e commercianti. In particolare le coltivatrici e i coltivatori di cacao, che hanno venduto l’ultimo raccolto principale ai vecchi prezzi, ne beneficeranno maggiormente quest’autunno. Si spera che una parte di queste entrate venga investita per rivitalizzare le piantagioni e che ciò si rifletta in un aumento delle rese. Quanto detto sarebbe auspicabile anche per le coltivatrici e i coltivatori di cacao, poiché beneficerebbero doppiamente di raccolti più abbondanti e prezzi più alti. Quando possiamo aspettarci che i prezzi scendano di nuovo?

Personalmente, dubito che il prezzo del cacao tornerà ai livelli precedenti al 2024. Questa materia prima richiede molto lavoro, che deve essere equamente remunerato. La coltivazione

del cacao, pertanto, rimarrà interessante anche in futuro.
Bruno Feer è responsabile acquisti Caffè & cacao presso la Delica, impresa di Migros Industrie che produce, tra l’altro, il cioccolato Frey.
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CULTURA

Impressioni dal Film Festival

Un giro d’orizzonte su alcuni momenti salienti e sulle pellicole che sono particolarmente piaciute in questa 77esima edizione conclusasi sabato

La moda costruisce significati

Alessandro Michele, direttore creativo di Valentino, e il filosofo Emanuele Coccia hanno scritto un libro insieme che riscopre il fascino della vita attraverso l’abbigliamento

Da Londra a Mesocco, è l’ora dello zoo

Street art ◆ L’alta Valle Mesolcina si è popolata di nuovi e magici animali che sarà possibile scoprire dal 24 agosto

La stampa internazionale e i media in generale da qualche giorno ci raccontano di un nuovo zoo londinese. Uno zoo artistico – così potremmo definirlo – fatto di animali che un giorno via l’altro abitano la metropoli inglese immergendosi completamente nel contesto urbano. Naturalmente stiamo parlando degli animali di Banksy. L’ultimo, nel momento in cui scriviamo, è il gorilla che solleva la saracinesca e fa scappare sei uccelli e una foca apparsa sul muro dello Zoo di Londra, ma ci sono anche tre scimmie sotto il ponte della ferrovia a Brick Lane, due pellicani sull’insegna di un pub a Whalthamstow, un magnifico gatto nero che si stira a Crickelwood, un branco di Piranha realizzato su una garitta della polizia che tanto ha fatto parlare negli scorsi giorni, due elefanti e un lupo. L’idea dell’artista – come riportano i media inglesi «The Guardian» e «The Observer» – sarebbe quella di rallegrare il pubblico con la sua street art in un momento storico nel quale le notizie negative si rincorrono e sembrano esserci più ombre che luci. L’artista, insomma, con i suoi animali si augura di allietare la vita quotidiana e urbana delle persone con un inaspettato momento di leggerezza e divertimento, oltre a voler mettere in luce la capacità creativa dell’uomo in contrapposizione a quella distruttiva che oggi sembra più appartenerci.

Chissà se Banksy ha letto le pagine del nostro giornale qualche settimana fa, più precisamente il numero 17 dello scorso 22 aprile in cui presentavamo il progetto dello Zoo di Mesocco che nel frattempo è diventato realtà visto che ufficialmente aprirà le sue porte con un’inaugurazione il 24 agosto. Vogliamo essere ironici, naturalmente, ma anche sottolineare che l’idea di Banksy in realtà è venuta prima a Luca Cereghetti – mente e responsabile del Mini Museum of Modern Art Misox – e ai Nevercrew.

Tra l’altro con una differenza notevole. Mentre, infatti, le opere di Banksy compaiono in città all’improvviso, senza titolo né didascalia e senza preavviso o accordo con le istituzioni pubbliche o i cittadini ed è capitato che alcune – come il lupo e il gatto –siano state rubate o rimosse, lo Zoo di Mesocco è nato come un progetto che non solo si integra perfettamente con il territorio ma ne coinvolge anche i suoi attori – privati e pubblici – che hanno deciso di rendere disponibili le proprie superfici. E così, come anticipato sulle nostre pagine, lo Zoo di Mesocco ha preso forma tra le case e le strade del centro, i ponti, nel bosco, sui fiumi, fino a svilupparsi in quattordici tappe che si estendono fino a San Bernardino. Ora davvero, gli animali urbani dei Nevercrew, realizzati e pensati per riflettere sul

concetto di coabitazione, hanno fatto ritorno a casa.

I Nevercrew

Per vedere coi nostri occhi abbiamo raggiunto il duo al lavoro in un caldo pomeriggio di luglio. Scendendo in auto da Mesocco, attraversando il ponte e seguendo la Strada de Déira abbiamo attraversato una zona di bosco. Sarà un caso, ma dopo una curva, qualche centinaio di metri davanti a noi, illuminato dal sole e incorniciato dal verde della natura, in mezzo alla strada c’era un animale selvatico. Un daino vero. Ho fermato l’auto e per qualche istante i nostri sguardi si sono incrociati. Poi con un salto è sparito. Due curve dopo, invece, ecco i castori di Christian Rebecchi e Pablo Togni, dei castori con la cornetta in mano che cercano di telefonare e sono infastiditi dagli sguardi curiosi come il nostro e che subito ci hanno strappato un sorriso. Siamo sul ponte della Geséna e i due street artist sono presi dalla loro opera. Iniziamo a chiacchierare, lo Zoo è nel pieno della sua evoluzione e diverse opere nel centro di Mesocco sono già state realizzate.

Ad esempio quella in cui, come una torre di babele, cinque orsi diversi e un panda siedono o si sdraiano uno sull’altro. L’orso polare bianco in cima a tutti sembra scrutare placido l’oriz-

zonte. «Durante i lavori in centro è stato bello vedere l’interesse della gente che veniva a vedere e magari a fare domande. Si è instaurato un bel rapporto perché sin dall’inizio l’idea dello Zoo è stata condivisa con la popolazione di Mesocco e molti hanno reso disponibili le superfici delle loro case per i nostri dipinti murali. Quindi quando ci siamo messi al lavoro c’è stata da subito una bella curiosità nel vedere cosa succedeva» racconta Christian Rebecchi. Poi i muri non sono tutti uguali, cambiano le dimensioni e cambiano le loro fattezze…«È stato stimolante – continua – pensare ad animali diversi per ogni muro, concetti diversi della stessa tematica per ogni superficie. Ogni muro ha la sua struttura, i suoi dintorni, è calato in un certo contesto, con una certa visibilità e così viene visto e percepito. Sono elementi che rientrano nel nostro lavoro di progettazione». Quindi come avete deciso il fil rouge che collega le stazioni, a monte o a lavori in corso? «Entrambe le cose. Prima abbiamo fatto una riflessione globale, poi per ogni muro abbiamo fatto una riflessione specifica tenendo conto anche dell’elenco degli animali che avevamo in mente di realizzare. Siamo andati a piazzare quelli che ci convincevano subito, che ci sembravano in sintonia con una data superficie. Ed è stato, invece, un caso che il dipinto murale dei cinque orsi e il panda, lo abbiamo realizzato sul palazzo

che è di proprietà di un certo signor Beer. Mi sembra una bella coincidenza (sorride). Per altri, invece, abbiamo fatto delle prove, abbiamo analizzato il muro e poi abbiamo deciso il tipo di animale e il concetto che volevamo sviluppare». Osservando le magnifiche volpi che i Nevercrew hanno realizzato a San Bernardino, sul sottopasso dell’Autostrada A13, le stesse che vedete nella foto sopra, mi colpiscono, in particolare gli occhi. Come riuscite a dare questa espressività? «In generale tendiamo ad essere realistici – questa volta rispondono insieme –. Ma quando ad esempio facciamo le balene, non sono balene vere, ci riferiamo ad una sorta di immaginario che richiama la balena cercando di renderla molto realistica; l’espressività, al contrario, non lo è. Gli occhi in molti casi non li facciamo come dovrebbero essere, sono quasi umani. Tendiamo spesso a creare una serie di espressioni che sono ferme, come le composizioni, delle espressioni non estreme. Non vogliamo indirizzare la percezione dell’opera, lavoriamo sulla neutralità dell’espressione». In molti casi però sembrano avere un’espressione malinconica. È un effetto voluto? «In qualche modo ci escono così. In fondo, se ci pensiamo, soprattutto quando li caliamo in contesti urbani, togliamo gli animali dal loro contesto e dal loro habitat naturale e li mettiamo invece sul muro di un edi-

ficio. Da qui, probabilmente, viene la malinconia».

Nell’alta valle Mesolcina, quella colpita recentemente dalla drammatica alluvione (e questo, come altre calamità, dovrebbe già indurci a ripensare il nostro rapporto con l’ambiente) è nata una nuova visione di zoo. Artistica e senza gabbie, bella da far invidia anche a Banksy.

Dal 24 di agosto, da Mesocco a San Bernardino, ci sarà il percorso che tra una sorpresa e l’altra vi farà scoprire la bellezza di animali locali, esotici e in qualche modo magici, come gli occhi di queste volpi che ci guardano. Lo diceva già Goethe: la natura e gli animali sono lo specchio della nostra anima. Airone cenerino, ballerina bianca, capodoglio, cinciallegra, tasso, pecora, orso bruno, scimpanzè, orso Kodiak, stambecco, orso nero americano, volpi, zebra, topo domestico, gorilla, cervo, germano reale, falco pellegrino, castoro...

Dove e quando

Inaugurazione il 24 agosto presso le Scuole comunali di Mesocco con un ricco programma a partire dalle 8.00 con l’apertura villaggio e a seguire le visite guidate. Informazioni

www.mmomam.com

Natascha Fioretti
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Film Festival, è stata un’edizione

Locarno – 1 ◆ La Signora con la torcia, simbolo della Columbia Pictures, ha portato bene a questa edizione che al fascino dello studio system

Una donna che regge una torcia nella mano destra, levandola in alto sopra al capo in una posizione innaturale ma elegante, statuaria quasi pacata; mentre l’altra mano ferma all’altezza della vita un drappo azzurro che le ricopre trasversalmente il corpo. È l’immagine che appare prima di ogni film della Columbia Pictures da ormai un secolo. Certo, negli anni è cambiata e all’inizio non c’era nemmeno la torcia, ma su un piedistallo in mezzo alle nuvole, «la signora con la torcia» ha un che di mariano. In realtà è ispirata a Columbia, la personificazione degli Stati Uniti e infatti se si osservano con attenzione i film fino al 1937 si può notare come il drappo consistesse inizialmente in una bandiera a stelle e strisce.

Sono stati 44 i titoli selezionati da Khoshbakht per Locarno77 che hanno celebrato il centenario della Columbia

The Lady with the Torch è il titolo della retrospettiva che quest’anno il Locarno Film Festival ha dedicato al centenario della Columbia Pictures. Non è la prima volta che il festival omaggia una casa di produzione, nel 2014 era stata la Titanus mentre bisogna tornare al 1984 per un omaggio alla Lux Film. La casa di produzione americana è però di altra caratura produttivamente parlando, perché pone di fronte a un catalogo che include titoli quali It happened One Night di Frank Capra (che nel 1934 fu il primo film a vincere gli Oscar nelle cinque maggiori categorie: miglior film, regia, sceneggiatura, attore e attrice protagonista), On The Waterfront (Elia Kazan, 1954), Taxi Driver (Martin Scorsese, 1976) e tanti altri capolavori della storia del cinema.

Missione ardua dunque per il curatore: come portare a Locarno 100 anni di produzione Columbia in una ristretta selezione di film? Ci ha pensato Eshan Khoshbakht, regista iraniano dalla grande esperienza nel set-

tore, perché co-direttore e curatore del festival Il Cinema ritrovato a Bologna, che della riscoperta di capolavori del passato ha fatto un suo mantra. La scelta è dunque ricaduta su una porzione di tempo che permette una selezione rappresentativa della Columbia Pictures.

Vale però la pena prima ripercorrere un po’ di storia del cinema perché, sebbene la Columbia possa vantare oggi un catalogo fra i più blasona-

ti, non è sempre stato così. Nell’epoca dello studio system infatti la casa di produzione fondata dai fratelli Harry e Jack Cohn insieme a Joe Brandt rientrava con Universal Pictures e United Artist fra le tre minors, mentre le altre Big Five dominavano il mercato. Metro-Goldwyn-Mayer, Paramount Pictures, Warner Bros., 20th Century Fox ed RKO Radio Pictures (l’unica il cui nome ci è meno familiare oggi ma che fu la casa di produ-

zione della coppia Fred Astaire/Ginger Rogers e soprattutto che nel 1941 diede a Orson Welles la possibilità di realizzare Citizen Kane) rappresentavano in quegli anni una vera e propria oligarchia cinematografica. Il cosiddetto studio system prevedeva infatti che gli studios controllassero tutti gli aspetti della settima arte, dalla produzione alla distribuzione. Quindi le major possedevano le loro sale cinematografiche e offrivano alle sale in-

dipendenti dei pacchetti di film, contenenti film di successo insieme ad opere meno riuscite per evitare perdite economiche.

Tornando al presente sono 44 i titoli selezionati da Khoshbakht per Locarno77 che celebrano il centenario della Columbia, da Wallstreet di Roy William Neill (1929) fino a Ride Lonesome di Budd Boetticher (1959). Un arco di trent’anni che include autori come Frank Capra, Howard Hawks,

Le trame hanno uno stretto rapporto con la realtà

Locarno – 3 ◆ Conclusa la 77esima edizione, vi raccontiamo alcuni film che ci hanno particolarmente colpito

Nicola Falcinella

Da sempre i film del Festival di Locarno hanno un rapporto stretto con la realtà. Lo ha confermato la 77esima edizione, conclusa sabato a giornale già chiuso, con titoli che, nei casi migliori, esplorano l’attualità con acutezza, riuscendo a spiegarne alcuni meccanismi anche meglio di un saggio.

Transamazonia della tedesca Pia Marais (nella foto) è stato uno dei lungometraggi più classici e narrativi in concorso

È il caso di Youth (Hard Times) del cinese Wang Bing, già vincitore del Pardo d’oro nel 2017 per La signora Fang e per questa ragione probabilmente tagliato fuori dal premio principale. È il secondo tassello di una trilogia la cui prima parte Spring è stata

in concorso a Cannes e la terza, Homecoming, sarà a Venezia tra poche settimane. Cinque anni circa di riprese, dal 2014 al 2019, nei laboratori tessili della città di Zhili, nell’industrializzata provincia orientale di Zhejiang, per una decina di ore complessive di film. Ne esce il ritratto della gioventù del grande Paese orientale partendo dai ballatoi di palazzoni anonimi dove si affacciano i piccoli locali trasformati in fabbriche distinte solo da un numero, dedite alla confezione di capi di abbigliamento.

Wang Bing mostra i lavoratori migranti interni, in maggioranza provenienti dalla regione di Anhui, che riposano poche ore negli stessi spazi in cui lavorano, costretti a orari sfiancanti per produrre a cottimo il più possibile. A volte non sono pagati da padroni che trovano qualche cavillo oppure picchiano chi sollecita il dovuto o fug-

gono lasciando debiti e abbandonando i macchinari. Il documentario osserva i tentativi dei lavoratori di organizzarsi, di contrattare paghe o tempi di lavoro migliori, senza riuscire neppure a trovare un accordo tra loro: nell’assenza di qualsiasi forma sindacale, gli imprenditori opportunisti prosperano. Transamazonia della tedesca Pia Marais (nella foto) ci porta in Sudamerica. Il suo è uno dei lungometraggi più classici e narrativi in concorso, una pellicola pronta quanto meno per il Pardo Verde e forse di più. A un disastro aereo nell’Amazzonia brasiliana è sopravvissuta solo la piccola Rebecca, che nove anni dopo continua a vivere nella zona con il padre missionario battista. Mentre la giovane ha fama di guaritrice, i taglialegna, privi di permessi, abbattono alberi nella riserva indigena facendosi forti con uomini armati che sparano anche sui

minorenni. Mentre sale la rivolta dei nativi per difendere le loro terre e le loro usanze, la giovane viene contattata dal proprietario della segheria

per salvare sua moglie in coma. Marais, già in gara a Locarno, tiene bene insieme tre linee narrative (la deforestazione e i diritti degli indigeni,
Locarno Film Festival Ti-Press

luminosa

Il cinema di Alfonso Cuarón

Locarno – 2 ◆ Un ritratto del regista messicano, due volte premio Oscar, che in Piazza Grande ha ricevuto il Lifetime Achievement Award

system ha dedicato un’intensa retrospettiva Locarno

Fritz Lang e che rappresenta «l’epoca d’oro della Columbia ripercorrendone la stupefacente ascesa da Poverty Row (termine gergale usato a Hollywood dagli anni 20 agli anni 50 per riferirsi a una varietà di piccoli studi cinematografici di serie B) a grande potenza hollywoodiana». Un periodo che coincide anche con la presidenza di Harry Cohn, produttore che emerge in modo trasversale fino a diventare emblematico quasi quanto Monroe

l’aspetto miracolistico e religioso, la vicenda familiare e un rapporto figlia padre in evoluzione) e lo fa in maniera mai scontata e con un tono per nulla predicatorio.

Due opere con parecchie chance di premio importante sono il franco-libanese The Green Line di Sylvie Ballyot e l’austriaco Mond – Moon di Kurwin Ayub. Due film di donne, rispettivamente al primo e al secondo film, sul Medio Oriente, le sue vicende recenti e la condizione femminile. La linea verde è quella che ha diviso Beirut Ovest (a prevalenza musulmana) ed Est (a maggioranza cristiana) per un quindicennio a partire dal 1975. La documentarista segue la ricerca di Fida, nata nei mesi dello scoppio del conflitto, per capire meglio quanto successe durante la sua infanzia e adolescenza, incontrando alcuni reduci di quelle battaglie che allora le parevano «giganti». È un documentario con elementi di animazione sulla falsariga de L’immagine mancante (2013) del cambogiano Rithy Panh. Ballyot cerca di compiere una riflessione sulla guerra e la riconciliazione, senza riuscire a rinunciare ad alcuni passaggi che appesantiscono e allungano. L’operazione ricorda tanti lavori analoghi sulla guerra

Stahl, il Last Tycoon dell’opera incompiuta di Fitzgerald, anche se con un carattere decisamente più sanguigno. Un periodo in cui la Columbia era conosciuta più che altro per film a basso costo e di rapida produzione (i cosiddetti B movies).

Ma non c’è solo questo: lo spettro scelto permette anche di conoscere almeno tre innovazioni tecniche del cinema. La prima passa quasi inosservata perché la selezione inizia poco dopo il suo avvento, ma è fondamentale segnalarla perché cambia tutto: è l’arrivo del sonoro nel cinema. La seconda è il colore, che nel cinema – peraltro come il suono – c’è sempre stato, ma grazie alla Technicolor (una tecnologia che sarebbe poi diventata un monopolio fra gli anni 30 e gli anni 40) diventa possibile avere la pellicola a colori. E quanto sono sgargianti i colori della Technicolor! Mai New York sarà così vivida come sulla celluloide di My Sistereileen (Richard Quine, 1955). E infine il formato: l’immagine si allarga grazie alle lenti anamorfiche e arriva il CinemaScope (2,39:1), così il west di film come The Last Frontier (Anthony Mann, 1955) risulta ancora più vasto.

La retrospettiva ci permette così di (ri)scoprire come il cinema evolva sempre sia tecnicamente che artisticamente. E scoprirlo in sala è ben diverso che scoprirlo a casa o sui libri di storia. Perché c’è la possibilità di apprezzare una piccola magia in più. Quel fascio di luce crepitante che attraversa la sala sopra le nostre teste.

Sì, perché il 35mm non è scomparso e guardare un film proiettato su pellicola non è solo vintage ma anche un’esperienza di cinema per chi, come il sottoscritto, non ha vissuto l’epoca in cui il cinema era fatto di celluloide. E lo si può fare proprio al GranRex dove il proiezionista Jean-Michel Gabarra si occupa delle pellicole (26 dei 44 film sono in 35mm) fornite dalla Sony (proprietaria della Columbia) e le proietta su due Kinoton FP 30 E in serie: un’altra luce che illumina Locarno.

in Jugoslavia (un’ex infermiera fa il paragone con l’assedio di Sarajevo), ma Fida eccede in ingenuità nel porsi davanti alla guerra. Mond invece è un thriller con un punto di partenza sportivo: campionessa di arti marziali a fine carriera, Sarah è contattata da un uomo misterioso per recarsi in Giordania ad allenare le sue tre sorelle. In una grande villa fuori città, senza connessione internet e costretta a firmare una clausola di riservatezza, l’atleta troverà un trio di adolescenti segregate in casa, poco interessate allo sport e più alla libertà. Un film efficace fino ai troppi finali, quando forse avrebbe richiesto un taglio più netto o uno sviluppo maggiore, ma una conferma per la regista fattasi conoscere per le ragazze curde di Sonne Meritevole anche il più sperimentale Fogo do vento della portoghese Marta Mateus.

La questione delle donne torna nel thriller iraniano The Seed of the Sacred Fig di Mohammad Rasoulof, già Premio della giuria a Cannes e presentato in Piazza Grande. Una metafora chiara e una denuncia forte del regime di Teheran, tra dramma sociale e film di genere con tocco alla Hitchcock.

Tra le star acclamate a Locarno in questa edizione c’è stato anche Alfonso Cuarón (nella foto), un tipo a cui piace parlare. Lo abbiamo notato assistendo alla sua affollata masterclass al Locarno Film Festival, dopo che la sera precedente aveva ricevuto il Lifetime Achievement Award in Piazza Grande. Sotto la canicola di un pomeriggio d’agosto il regista messicano (due volte premio Oscar per Gravity e Roma) ha parlato della sua carriera e degli alti e bassi che l’hanno contraddistinta.

Sollecitato dal critico Manlio Gomarasca, Cuarón ha anzitutto ricordato le sue origini. «Provengo da una famiglia medio borghese che però non si è mai interessata al cinema. Mia madre era chimica e mio padre medico, ma io, da quando ho memoria, sono sempre stato attirato dal cinema. Mi guardavo i film in tv e appena ho potuto sono andato in sala. I primi anni, ovviamente, non riuscivo a capire i vari ruoli: il film era una cosa sola e non sapevo chi ci lavorava». Il primo clic il regista messicano l’ha fatto con Ladri di biciclette «Una sera quando, i miei genitori erano usciti, io e mio cugino che era da me a dormire, scivolammo nella loro stanza per vedere la televisione, sperando che ci fosse un film per adulti. Trovammo invece il film di De Sica: mi commosse come nessun altro prima. Era molto diverso da quello che avevo visto fino ad allora. E insieme a un making of dei film di Sergio Leone che vidi in quei mesi finalmente sono riuscito a capire meglio la macchina che sta dietro a un film». Lo stesso autore ha poi ammesso di aver visto, sin da ragazzo, i classici. «A nove anni vidi i film di Godard. Compresi che erano diversi, particolari, ma allo stesso tempo mi annoiarono anche». Il regista ha parlato anche degli inizi difficili in Messico. «Prendevo ogni lavoro che mi arrivava, anche perché sono diventato padre a vent’anni e dovevo sostenere la mia famiglia. Quindi feci di tutto: della sceneggiatura all’aiuto regia, dal microfonista al montaggio, ecc. Ho imparato il mestiere e in quegli anni ho conosciuto Emmanuel Lubezki, che noi tutti chiamiamo Chivo (tre Oscar consecutivi per la fotografia, due con Inarritu e uno con lo stesso Cuarón)». Lo stesso Chivo è stato assisten-

te al suo primo filmino scolastico in Super8 intitolato Vengeance Is Mine Cuarón ricorda che voleva metterlo in commercio, ma che la scuola di cinema che frequentava aveva regole ferree e proibiva l’uso dell’inglese. Ci fu uno scontro con la dirigenza della facoltà, che non lo autorizzò e per questo motivo lasciò il corso.

Dopo alcuni lavori nel settore, con il fratello scrisse il primo film. «Ci ho messo molto tempo prima di decidermi. Ero insicuro, soprattutto nella scrittura, ma vedevo che i miei ex compagni di studi stavano già realizzando le loro opere e così mi lanciai». Il suo primo lavoro fu una commedia intitolata Uno per tutte ed ottenne un grande successo in patria, anche perché il genere non era molto sviluppato e fu visto come una bella novità. «Ma quella è stata anche la prima volta che Harvey Weinstein, con la sua casa di produzione, mi ha fregato perché lo ha acquistato per gli USA ma non lo ha mai distribuito».

«Ne I Figli degli uomini volevo affrontare i temi che mi stavano a cuore e che prendevano sempre più piede come quello della migrazione»

Il grande salto Alfonso Cuarón lo ha fatto grazie a Sydney Pollack che lo chiamò a Hollywood per dirigere una puntata della serie Fallen Angels. «Fu la mia salvezza, quella serie mi ha permesso di pagare i debiti che avevo, ma allo stesso tempo fui terrorizzato perché dovevo lavorare insieme alle star di Hollywood e avevo solo sei giorni per girare la puntata. Per fortuna Alan Rickman e Laura Dern furono molto comprensivi e dopo un primo giorno disastroso mi chiamarono e mi dissero che erano a mia disposizione e che dovevo guidarli. Da quel momento cambiò tutto e facemmo un buon lavoro nei tempi previsti».

Il primo vero film in America fu Una piccola principessa, una favola che realizzò con il suo fido Chivo e di cui ebbe l’appoggio degli studios. Mentre del successivo non ha un grande ricordo: «Non ho mai capito del tutto la storia di Paradiso Perduto e quindi mi sono concentrato sulla forma, ma

alla fine ne è uscito un lavoro che non mi convince del tutto». Per ritrovare l’ispirazione il regista tornò nel suo paese natale dove girò uno dei suoi classici: Y tu mamá también. «Per me non fu solo un esercizio formale, ma un lavoro a tutto tondo su due adolescenti messicani, amici per la pelle, alle prese con la scoperta del sesso e della propria personalità». Per lui quella fu una nuova rinascita che gli permise di fare il salto nel mondo del fantasy con Harry Potter e Il prigioniero di Azkaban. «Guillermo Del Toro mi convinse a non scartare a priori la regia di quel film: mi prese a male parole, e un messicano ne ha molte, quando gli ho detto di non aver letto i libri. Grazie a lui l’ho fatto e ho capito che era una storia formativa che esplorava le diverse classi sociali. E devo dire che girarlo fu un grande piacere così come lo fu vivere a Londra in quei mesi».

Con I Figli degli uomini (che Locarno ha riproposto in un GranRex colmo di gente) Cuarón fa ancora un altro salto. «Volevo affrontare i temi che mi stavano a cuore e che prendevano sempre più piede come quello della migrazione. Ho sentito che il mondo sarebbe cambiato in peggio, ma noi in quel momento non ci rendevamo conto perché vivevamo in una bolla di ottimismo; così ho voluto creare una realtà distopica e catastrofica». Gli ultimi due film sono quelli degli Oscar: Gravity e Roma. «Il primo l’ho scritto con mio figlio perché volevo arrivare a un numero maggiore di ragazzi dopo il flop commerciale del precedente. E grazie al successo al botteghino – uno dei pochi perché la fantascienza a parte Star Wars non rende – posso dire che mi ha salvato la vita. Il secondo, per la prima volta, ho potuto realizzarlo con una situazione economica stabile. Ed è stato interessante a livello creativo, ma anche un elettroshock emotivo, perché ho parlato della mia infanzia. Sono andato a fondo nella mia vita e questo fatto mi ha segnato profondamente per diversi mesi».

E per il futuro? Il regista sogna di fare un horror realistico, perché da spettatore ama molto il genere. Ma intanto, dopo Locarno, l’aspetta la Mostra di Venezia dove presenterà Disclaimer, una miniserie thriller realizzata per Apple TV+.

Locarno Film Festival / Ti-Press

La moda è libertà di costruire significati inediti

Costume ◆ Alessandro Michele, direttore creativo di Valentino, e il filosofo Emanuele Coccia hanno scritto un libro insieme

Virginia Antoniucci

Quando si parla di due protagonisti che filosofeggiano per centinaia di pagine, viene in mente un qualsiasi tomo di Dostoevskij, ma credo che nessuno dei fratelli Karamazov abbia mai inserito nella stessa frase «Gucci» e «Giorgio Agamben». Ed è proprio questo ciò che offre La Vita delle Forme. Filosofia del reincanto, il libro di Alessandro Michele, neodirettore creativo di Valentino, scritto a quattro mani con il filosofo Emanuele Coccia.

Agganciandosi al realismo magico, Michele e Coccia propongono di riscoprire il fascino della vita attraverso l’abbigliamento

Un’epifania letteraria sul legame indissolubile tra moda e filosofia, presentata non in tediosi capitoli, ma in una corrispondenza epistolare tra i due autori divisa in sette «stanze» –Filosofia, Ambiguità, Animismo, Design, Collezione, Hollywood, Gemelli – un’impostazione che non si vedeva dai tempi dei testi sacri. Un testo profondo, erudito, che ci introduce nei meandri della mente del creativo romano in cui moda e filosofia, da sempre percepite come agli antipodi – una frivola, l’altra seriosa – in realtà condividono un sipario comune, come elettroni e protoni che coesistono all’interno dell’atomo.

Alessandro Michele svela come ogni collezione sia intrisa di riflessioni filosofiche profonde (nella foto due suoi abiti realizzati per Gucci) e basta dare un’occhiata a una qualsiasi delle sue sfilate per far evaporare qualsiasi risatina su quest’affermazione.

Lo stesso Emanuele Coccia si sbottona: «Le forme della moda non sono solo strumenti di conoscenza del mondo e di noi stessi. Sono anche amuleti con cui inventiamo e facciamo esperienza di nuove libertà. Libertà di costruire significati inediti».

Prima che il termine «genderless» fosse sulla bocca di tutti, Michele già disegnava abiti che evadessero le tradizionali etichette di genere e sperimentassero la sua idea di libertà in un periodo in cui la moda faceva del marketing aggressivo il suo ariete da combattimento. «Michele cambia tutto: press release impregnate di filosofia, di riferimenti altissimi, di citazioni di libri e opere – riporta «IO Donna» –.Comincia così a tratteggiare un universo estetico coerente e riconoscibile, tanto barocco quanto contemporaneo».

La connessione di Michele con la filosofia non è nata per caso, anche se era destino che l’uno incontrasse l’altro. Nel suo esordio, racconta di come il suo partner, Giovanni Attili, abbia iniziato a leggergli dei passaggi mentre Michele cercava il proprio stile unico. Poi, come in un colpo di scena,

è arrivato l’incontro con Coccia, scoperto tramite un podcast e diventato il compagno di viaggio in questa bizzarra avventura editoriale.

E sottolineo bizzarra, non unica. Se da una parte la moda ha interessato i filosofi del passato più come fenomeno in sé, come la visione kantiana che la vede come una forma di imitazione per cui «nessuno vuole apparire da meno degli altri, anche in ciò che non ha alcuna utilità» (Antropologia dal punto di vista pragmatico, Immanuel Kant, Intervista per «Harper’s Bazaar»), negli ultimi decenni sempre più teorici hanno iniziato a considerare la moda come concetto filosofico, perché prima o poi tutto interessa alla filosofia.

Tirando in ballo Darwin, che forse tutto si aspettava tranne di essere citato in un libro sulla moda, nell’esplorazione della sua teoria della selezione sessuale, Winfried Menninghaus, in A cosa serve l’arte? L’estetica dopo Darwin, fa emergere come la moda sia un tassello del grande puzzle dell’evoluzione umana, sottolineando che «la pelle nuda sia quantomeno anche da considerare il frutto di una scelta estetica e diviene la straordinaria superficie su cui si gioca la partita evoluzionistica e culturale insieme, delle mode umane». Gli stessi colleghi di secolo di Darwin, gli scrittori decadenti, non si tiravano indietro dal rimuginare su cosa fosse questa benedetta estetica.

Ad esempio, il citato fino alla nausea Oscar Wilde, in La filosofia del vestire, ricorda che la moda è una sorta di rebus della libertà individuale: «La bellezza dell’abito, come la bellezza della vita, viene sempre dalla libertà». E Alessandro Michele, senza nessuna timidezza, fa eco a queste parole. Ogni collezione di Michele non procede con il ritmo delle stagioni, ma sfila tra i mondi concettuali degli eclettici pensatori che l’hanno preceduto. «Sentivo la necessità di trovare un nuovo vocabolario per riuscire a comunicare la sua intensità travolgente», scrive Michele in uno dei passaggi del libro. Come riporta La Vita delle

Forme. Filosofia del reincanto, la moda diventa per lui un mezzo per capire il mondo, un campo estetico complesso che richiede un lavoro analitico, libero da pregiudizi e gerarchie predefinite. Il libro è un diluvio di parole complesse, senza una sola foto o disegno per fare una pausa nel frullatore di pensieri scatenato dai due scrittori. Ma la filosofia ama proprio questo: confondere, mettere in discussione le proprie convinzioni e farci interrogare sulle nostre capacità di comprensione del testo, fino a sollevare il velo di Maya. Michele e Coccia avviano la trasformazione di un pensiero o preconcetto, che da umile baco si trasforma in farfalla, proprio come il simbolo nero al centro della copertina, che rappresenta la metamorfosi personale e sociale.

E a proposito di Filosofia del reincanto, agganciandosi al realismo magico, Michele e Coccia propongono di riscoprire il fascino della vita attraverso l’abbigliamento mantenendo saldo il legame tra filosofia e moda. Ogni capo diventa un «rito antropologico» – abiti che incarnano il potere di rimodellare non solo il nostro aspetto, ma anche la nostra essenza interiore.

Bibliografia

Alessandro Michele e Emanuele Coccia, La vita delle forme. Filosofia del reincanto HarperCollins Italia, Milano, 2024.

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In fin della fiera

Un navigatore è per sempre

Tema: «Le vacanze non sono più quelle di una volta». Svolgimento: È proprio vero. Una volta, tra tempo del lavoro e tempo delle vacanze, c’era una separazione netta. A Torino si andava in vacanza e si ritornava tutti nelle stesse date.

Alla fine degli anni 50 lavoravo in un’azienda grafica; se domandavo al padrone quando saremmo andati in ferie la risposta era: chiedilo alla Fiat, anche se il nostro lavoro non aveva niente a che fare con corso Marconi. A Ferragosto usciva sulla «Stampa» la foto di via Roma deserta e quella del piazzale Caio Mario piena di 600, i bagagli sul tetto e i famigliari in attesa degli operai in uscita dall’ultimo turno allo stabilimento Fiat di Mirafiori, pronti a partire senza passare da casa. I giovani esploravano i Paesi europei dormendo in tenda o negli ostelli della gioventù e i parenti restavano senza notizie fino al loro ritorno. Gli adulti e i bambini piccoli,

Pop Cult

arrivati nella località di villeggiatura si sistemavano e iniziavano i giorni di mare o di montagna scanditi su ritmi sempre uguali, bagno, pranzo, riposo, altro bagno, cena, passeggiata, gelato. Chi andava a trovare i parenti rimasti in campagna dava una mano nei lavori dell’orto o della vigna. Ricordo madri, cugine, zie, sorelle tutto il giorno sudate in cucina a fare conserve di pomodoro e marmellate. Si scattavano fotografie, poche però: pellicola, sviluppo e stampa costavano. Perciò niente tramonti o panorami, ma parenti e amici, seduti attorno alla tavola alla fine del pranzo, con la faccia bollita dal caldo e dal vino. Si giocava a bocce e a ping pong. E se faceva troppo caldo a scopa. Si compravano le cartoline «Saluti da Varigotti» (o da Bardonecchia) e si spedivano ad amici e parenti che le avrebbero ricevute mesi dopo. Al ritorno si riprendeva subito a lavorare, non c’era tempo per racconta-

re le vacanze. Le famiglie benestanti possedevano il proiettore delle diapositive e invitavano gli amici a vedere quelle realizzate in vacanza e ad ascoltare il quando, il come e il perché da chi le aveva scattate. Molti trovavano una scusa per scansare quella penitenza. Poi tutto è cambiato in fretta. Il muro fra lavoro e vacanze è diventato liquido. Preso possesso della stanza d’albergo o del B&B, prima ancora di disfare le valige controlliamo se c’è il wifi per il computer da tavolo che non ci abbandona mai. Si può essere in vacanza e continuare a lavorare nello stesso tempo: cosa volete di più? Nelle nostre vite di vacanzieri sempre connessi ha fatto il suo ingresso trionfale il cellulare che ha svelato il nostro desiderio di condividere in tempo reale le nostre esperienze con parole e soprattutto immagini. Vale la pena andare in vacanza solo se nel viaggio o nel luogo di villeggiatura trovo qualcosa che

Il successo del gaming tra i millennials

Ammettiamolo: quanti di noi (perlomeno tra coloro che hanno più di vent’anni) hanno spesso osservato con atteggiamento di malcelata superiorità – e magari anche una punta di compatimento – la pervasiva ossessione dei millennials per i videogiochi? Qualcosa che, complice la rapida evoluzione del mondo del gaming negli ultimi anni, ha ormai assunto per molti i contorni di una vera e propria idée fixe, a cui, con ingente dispendio di risorse, viene dedicato ogni momento del tempo libero.

Ebbene, da oggi quest’altezzosa diffidenza è destinata a ricevere un duro colpo: in concomitanza con i Giochi Olimpici di Parigi, ecco infatti che i cosiddetti e-sports (ovvero, sport virtuali) vengono infine innalzati allo stesso livello di quelli tradizionali grazie a un grande evento di respiro internazionale, la cui prima edizione

Xenia

Lo

è tuttora in corso a Riyadh: denominata Esports World Cup, la neonata manifestazione ha visto convergere sulla capitale dell’Arabia Saudita i migliori gamer del mondo – classificatisi in base ai punteggi ottenuti online, e suddivisi in categorie a seconda del videogioco «di specializzazione»: dagli «sparatutto» tattici più noti, come Rainbow Six Siege e Call of Duty, alle versioni aggiornate di giochi dallo status ormai mitico quali Street Fighter, Tekken e l’onnipresente Fortnite. Non solo: a differenza di molte competizioni sportive canoniche, in cui la vittoria è soprattutto questione di prestigio, la Esports Cup presenta un montepremi totale di oltre 60 milioni di dollari (definito come «il più alto al mondo»), tanto che alcuni tra i match a squadre offrono fino a due milioni al team vincente.

Del resto, ne hanno fatta di strada i

videogiochi, soprattutto considerando i tempi in cui, circa quarant’anni fa, precursori del genere come Pac-Man, Tetris e Super Mario Bros. si potevano testare soprattutto nelle sale giochi di vacanziera memoria; e se l’avvento di console casalinghe e personal computer ha fatto dei videogame una presenza fissa nella vita quotidiana della società occidentale, nulla avrebbe potuto prepararci al salto di qualità che internet e i social network hanno comportato – collegando gamers collocati agli angoli opposti del mondo e permettendo loro di interagire come parte di team specializzati, al punto da dar vita a una mitologia che nulla ha da invidiare al culto degli eroi olimpici.

Anche la Esports World Cup, del resto, ha beneficiato di un’opulenta cerimonia di apertura e numerosi eventi collaterali di prestigio, nonché di

indomabile di Angelica Balabanoff

Nella notte del 25 novembre 1965, in un appartamento di Montesacro, a Roma, muore un’anziana straniera. Viveva modestamente e i suoi vicini ignoravano chi fosse. Ai funerali in piazza del Popolo, tuttavia, partecipa una folla rispettosa e commossa. Il presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, ha mandato una corona di fiori: «Alla cara Angelica Balabanoff» (nell’immagine). Ai giovani italiani il suo nome era ormai sconosciuto (e lo è tuttora: le hanno dedicato una via ma non figura tra le «personalità illustri» sepolte nel cimitero acattolico di Testaccio, che si raccomandano di visitare). Invece quella donna minuta (era alta poco più di un metro e mezzo) aveva uno spirito indomabile, un carattere di ferro, un’intelligenza non comune e aveva attraversato da protagonista le bufere del Novecento.

Nata nell’Impero Russo in un anno mai precisato fra il 1870 e il 1878 (le donne e i rivoluzionari hanno, per ragioni diverse, necessità di alterare i loro dati anagrafici), era l’ultima figlia di un ricchissimo uomo d’affari e proprietario terriero ebreo. La madre, Anna (che aveva avuto sedici figli, anche se non tutti erano sopravvissuti), era una filantropa, che si prendeva cura dei poveri negli ospizi e dei diseredati, ma anaffettiva e severa con la figlia per la quale sognava un matrimonio aristocratico. Angelica, confinata a Chernigov (oggi Chernihiv, in Ucraina), affidata a istitutrici scialbe che dovevano insegnarle il francese, il pianoforte e in generale le buone maniere, è però sensibile all’ingiustizia sociale, percepisce l’enormità dei privilegi di cui gode, ed è curiosa di conoscere ciò che esiste al di fuori del mondo dorato in cui la nascita sem-

vale la pena di raccontare. Per la verità tutto può diventare oggetto di narrazione: una pizza quattro stagioni, il passerotto sul davanzale, il suonatore di launeddas. La nostra preghiera del mattino è la consultazione della meteo, anche se dalla casa alla spiaggia ci sono 50 metri. Gli eventi atmosferici sono uno dei temi più ricchi di spunti. Ecco qui la foto di chicchi di grandine grossi come albicocche spedita da mio nipote. Non vedo l’ora di mostrarla ai miei vicini di sdraio allo stabilimento balneare. Una bella tromba d’aria è una fortuna che capita a pochi, ma in futuro chissà. Un amico bloccato in autostrada da un gigantesco ingorgo, invia al mio cellulare una bella foto scattata stando in piedi sul predellino e io la diffondo in attesa che arrivi quella rubata scorrendo lentamente con la sua auto di fianco al mucchio dei rottami delle auto incidentate. Non c’è località di villeggiatura, grande o pic-

cola, che non abbia il suo fitto calendario di eventi: musica, danza, teatro, incontri con autori. Vogliamo andare a tutti, non come semplici spettatori, ma per filmarli: una fatica bestiale. Frequentiamo i corsi dove insegnano a cucinare piatti tipici. Secoli fa andavamo a leggere i menù incollati sulle vetrine dei ristoranti prima di sceglierne uno, adesso per fortuna c’è Tripadvisor. È nato il culto del Navigatore, dio vendicativo. Siamo rimasti in pochi capaci di leggere le carte stradali del Touring e le insegne con la freccia e il relativo toponimo. Di ritorno da una gita in val Maira, seduto di fianco all’autista, giunti a un bivio, faccio notare che, mentre il navigatore ordina di svoltare a destra, l’insegna ha la freccia puntata a sinistra. Vengo aspramente redarguito: se ti affidi al navigatore deve essere per sempre, non puoi entrare e uscire a piacimento dalla sua guida illuminata. Un navigatore è per sempre.

una copertura mediatica invidiabile, che (previo acquisto di biglietti) ha permesso di assistere alle dirette delle gare su piattaforme online quali YouTube e Dazn.

Il che ci ricorda come, oggi più che mai, l’industria del gaming sia in grado di smuovere miliardi, al punto da costituire, a qualsiasi latitudine, uno dei capisaldi del business legato al tempo libero: tanto per fare un esempio relativo al nostro territorio, recenti indiscrezioni suggeriscono che il Centro Ovale di Chiasso sarebbe sul punto di essere convertito in una struttura dal nome di Ellipticum, destinata a offrire a gamers provenienti da tutta Europa un’esperienza di gioco basata su simulatori virtuali e attrezzature all’avanguardia nel campo degli e-sports.

Tuttavia, al di là degli ingenti investimenti nel settore, l’impressione che se ne deriva appare ambigua: in-

fatti, se da una parte è doveroso permettere ai più giovani (e non solo) di legittimare la propria passione, allo stesso tempo è difficile negare come, soprattutto dopo la recente pandemia, noi tutti ci siamo dovuti adattare all’idea che molte esperienze di vita siano destinate a divenire principalmente virtuali.

Un’inevitabile conseguenza dell’era digitale, ma anche di un sottile cambiamento nella mentalità della società occidentale – legato, tra le altre cose, alla filosofia del transumanesimo e alle sue varie ripercussioni sulla cultura popolare.

E forse, basterebbe un po’ più di disponibilità al contatto umano – una maggiore solidarietà quotidiana tra concittadini – per riuscire a conciliare, almeno in parte, questo incipiente senso di «solitudine virtuale» con il nostro innato desiderio di relazioni, scambio e socialità.

Israilevicˇ Brodskij

Isaak

bra averla destinata a vivere. Ottiene di studiare in una scuola pubblica: ma non basta. Con l’adolescenza, i conflitti con la madre si inasprisco-

no. Finché la ragazza ribelle lascia la famiglia (e il suo paese) per andare a studiare alla Nuova Università di Bruxelles, crogiolo di idee anarchiche e socialiste. Al momento della partenza, la madre la maledice. Angelica non avrà mai modo di ricomporre la lacerazione. In Italia arriva nel 1900, dopo alcuni anni di studi in Belgio e in Germania (a Lipsia e Berlino). A Roma si ambienta subito e si sente – d’istinto – a casa. Diventa allieva e discepola di Antonio Labriola, si laurea in lettere e filosofia, si iscrive al Partito Socialista. Conosce Anna Kuliscioff, anche lei di ricchissima famiglia ebrea ucraina e pilastro del socialismo italiano: tuttavia le due donne non fraternizzano. Troppo radicale, Angelica: il termine del tempo era «massimalista». La politica diventa missione quasi religiosa: Sceglie l’a-

postolato fra i proletari e gli operai. Rompe definitivamente con l’origine: dopo la morte della madre, rinuncia all’eredità in favore dei fratelli, in cambio di un vitalizio, che le viene versato ogni mese. Non vuole avere più nulla a che fare con la borghesia, e nemmeno con la famiglia: un’istituzione che rifiuta. L’amore è libero (ma i rivoluzionari non hanno figli). Sul palco, davanti alla folla, la piccola Balabanoff si rivela un’oratrice trascinante – che soggioga e scuote. Associazioni, sindacati, cooperative cominciano a invitarla a tenere comizi, commemorazioni, lezioni. È così che nel 1903, a Losanna, conosce un emigrato italiano vestito di stracci, famelico, irrequieto. I compagni glielo descrivono come un disgraziato, con problemi di salute, ultimo fra gli ultimi, «un certo Mussolini». (Fine prima parte)

di Bruno Gambarotta
di Benedicta Froelich
di Melania Mazzucco
spirito

Settimana Migros Approfittane e gusta

3.50 invece di 5.–Filetto di maiale M-Classic Svizzera, in conf. speciale, per 100 g 30%

2.20 invece di 3.20

Pancetta da arrostire IP-SUISSE in conf. speciale, per 100 g 31%

1.95 invece di 2.95

Lasagne Anna's Best alla bolognese o alla fiorentina, in confezioni multiple, per es. alla bolognese, 3 x 400 g, 7.90 invece di 11.85, (100 g = 0.66)

13.95

invece di 23.25

Gamberetti tail-on cotti Pelican, ASC prodotto surgelato, in conf. speciale, 750 g, (100 g = 1.86)

Banane Migros Bio, Fairtrade Perù/Colombia/Ecuador, al kg

Tutti i tipi di caffè in chicchi, 1 kg (articoli M-Budget esclusi), per es. Chicco d'Oro in chicchi, 11.80 invece di 16.90, (100 g = 1.18)

Ticino

Dall’orto alla tavola

a partire da 2 pezzi –.50 di riduzione

2.30

invece di 2.80

3.75

Cuori di lattuga Svizzera, vaschetta con 2 pezzi

Crocchini al rosmarino

Roberto 250 g, (100 g = 0.92)

conf. da 4 25%

6.75

invece di 9.–Mozzarella Galbani 4 x 150 g, (100 g = 1.13)

Migros Ticino

3.95

di 4.95

Amandine Svizzera, sacchetto da 1,5 kg, (1 kg = 2.63)

3.90

3.80

2.60

Dolce bontà dalla natura

3.95 invece di 6.90 Mirtilli Migros Bio Italia/Spagna, 250 g, confezionati, (100 g = 1.58)

Migros Ticino

Bontà succulente e sostanziose

3.50

Ticino
Vitello

33%

7.95

invece di 11.90 Salame Nostranella Rapelli Svizzera, in conf. speciale, 2 pezzi, 300 g, (100 g = 2.65)

Pesce fresco

41%

9.95

invece di 16.90

7.90

invece di 9.90

Carne secca di tacchino Don Pollo Ungheria, 2 x 100 g, (100 g = 3.95) conf. da 2 20%

tradizionale ticinese Ideale anche alla griglia

Salmone affumicato Scotland d'allevamento, Scozia, in conf. speciale, 260 g, (100 g = 3.83)

13.50

invece di 22.60

e dal sapore delicato

Filetti dorsali di merluzzo M-Classic d'allevamento, Norvegia, in conf. speciale, 400 g, (100 g = 3.38) 40%

31%

13.95

invece di 20.25

Gamberetti sbollentati e sgusciati M-Classic, ASC d'allevamento, Ecuador, in conf. speciale, 450 g, (100 g = 3.10)

2.80 invece di 4.25

Prosciutto cotto Puccini affettato fine prodotto in Ticino, per 100 g, in self-service 34%

Filetti di tonno in vendita al banco per es. pinna gialla, pesca, Pacifico centroccidentale, per 100 g, 4.75 invece di 5.95 20%

20%

Filetti di limanda e filetti di merluzzo, Anna's Best e filetti di pangasio in pastella M-Classic per es. filetti di limanda, pesca selvatica, Pacifico nordorientale, MSC, 200 g, 5.55 invece di 6.95, in self-service, (100 g = 2.78)

Migros Ticino

Pane e prodotti da forno

Per chi vuole mangiare sano

e bene

Il nostro pane della settimana, il pane proteico YOU, convince per la mollica molto soffice. Grazie all'alta percentuale di fibre e proteine, questo pane è perfetto per un'alimentazione equilibrata.

3.30 Pane proteico You 400 g, prodotto confezionato, (100 g = 0.83)

5.95

alla crema in conf. speciale, 4 pezzi, 280 g, (100 g = 2.13) 15%

invece di 7.–

Leggeri e soffici

al limone o ai lamponi 2 x 150 g, (100 g = 1.65) conf. da 2 20%

Hit

4.95 invece di 6.20

5.95

Cornetti
Biscotti 4 pezzi, 304 g, prodotto confezionato, (100 g = 1.96)
Rotolini

Per le scorte Scorta

Tutti i cereali bio Alnatura per es. Crunchy di avena ai frutti di bosco, 375 g, 2.55 invece di 3.20, (100 g = 0.68) 20%

Tutti i tipi di pasta M-Classic per es. reginette, 500 g, 1.50 invece di 1.90, (100 g = 0.30) 20%

conf. da 2 22%

7.–invece di 9.–Müesli Farmer frutti di bosco o cioccolato, 2 x 500 g, per es. frutti di bosco

Tutte le gallette bio di riso, di lenticchie e di mais Alnatura per es. gallette di mais, 110 mg, –.75 invece di –.95, (100 g = 0.68) 20%

6.95

Mezzelune Anna's Best ricotta e spinaci o alla carne di manzo, in conf. speciale, 800 g, (100 g = 0.87)

Tutto lo zucchero fino cristallizzato, 1 kg per es. Cristal M-Classic, IP-SUISSE, 1.40 invece di 1.80, (100 g = 0.14) 20%

conf. da 2 20%

Snack o menù asiatici, Anna's Best pollo teriyaki o mini involtini primavera con pollo, per es. pollo Teriyaki, 2 x 400 g, 12.– invece di 15.–, (100 g = 0.50)

conf. da 5 26%

Ramen Instant Noodle Soup Nissin disponibile in diverse varietà, per es. Demae Ramen pollo, 5 x 100 g, 4.80 invece di 6.50, (100 g = 0.19)

5.–di riduzione

14.80

invece di 19.80

Tutte le capsule

Delizio in conf. da 48 per es. Lungo Crema, (100 g = 5.14)

Tutti i tipi di olio Alnatura, bio per es. olio di sesamo, 250 ml, 4.45 invece di 5.60, (100 ml = 1.78) 20%

Bontà vegetale Prodotti vegetariani e vegani

Sostituti del pesce e della carne, V-Love, prodotti refrigerati (surgelati esclusi), per es. Peppery Steak Grill mi, 2 pezzi, 200 g, 4.75 invece di 5.95, (100 g = 2.38) 20%

20%

Passata, sugo e pesto, Alnatura, bio disponibili in diverse varietà, per es. passata, 690 g, 1.40 invece di 1.80, (100 g = 0.20)

Brodo di verdure Knorr estratto vegetale in granuli 228 g e brodo in polvere 250 g, per es. estratto vegetale in granuli, 8.75 invece di 10.95, (100 g = 3.84) 20%

20x

2.90

Pelati San Marzano Longobardi, DOP 400 g, (100 g = 0.73)

Baer Happily

Tomme Original o Fromella Provençale, per es. Tomme Original, 2 x 200 g, 10.95 invece di 13.70, (100 g = 2.74)

Bevande sostitutive del latte Alnatura, 1 litro vegane, disponibili in diverse varietà, per es. Bevanda di avena non zuccherata, 1.65 invece di 2.10 20%

al 26.8.2024,

Snack e aperitivi

Tutto per le tue serate

1.–di riduzione

Chips Zweifel

Coca e Fanta a prezzi rinfrescanti

280 g e 175 g, per es. alla paprica, 280 g, 4.95 invece di 5.95, (100 g = 1.77)

Perfetti per un aperitivo con gli amici

a partire da 2 pezzi –.50 di riduzione

Tutti i prodotti da forno per l'aperitivo Roberto e Gran Pavesi per es. Crocchini al rosmarino Roberto, 250 g, 2.30 invece di 2.80, (100 g = 0.92)

Noci o miscele di noci, Party in conf. speciale, per es. arachidi, 750 g, 2.85 invece di 3.60, (100 g = 0.38) 20%

30%

Tutti i tipi di Coca-Cola e Fanta in confezioni multiple, disponibili in diversi formati, per es. Coca-Cola Classic, 6 x 1,5 litri, 9.85 invece di 14.10, (100 ml = 0.11)

da 6 40%

Schweppes

Bitter Lemon, Ginger Ale o Indian Tonic, 6 x 1 litro e 6 x 500 ml, per es. Bitter Lemon, 6 x 500 ml, 7.10 invece di 11.90, (100 ml = 0.24)

20%

prodotti surgelati, alla mozzarella, al prosciutto o al tonno, per es. alla mozzarella, 3 x 300 g, 5.40 invece di 6.75, (100 g = 0.60)

Tortine di spinaci o strudel al prosciutto, M-Classic prodotto surgelato, in conf. speciale, per es. strudel al prosciutto, 2 x 420 g, 7.90 invece di 11.–, (100 g = 0.94) 28%

conf. da 6
Pizze La Trattoria
conf. da 3
conf.

Tutto l'assortimento Evian per es. 6 x 1,5 litri, 4.40 invece di 6.60, (100 ml = 0.05) 33%

conf. da 6 33%

4.40 invece di 6.60

Acqua minerale San Pellegrino 6 x 1,25 litri, (100 ml = 0.06)

Dolci e cioccolato

Per i fan del cioccolato

conf. da 12 50%

Tavolette di cioccolato Frey al latte finissimo o al latte con nocciole, 12 x 100 g, per es. al latte finissimo, 13.– invece di 26.40, (100 g = 1.08)

conf. da 3 30%

5.65 invece di 8.10

Petit Beurre M-Classic con cioccolato al latte o cioccolato fondente, 3 x 150 g, (100 g = 1.26)

da 10 40%

13.–

invece di 22.–

Tavolette di cioccolato Frey

Tourist al latte o Noir Special 72%, 10 x 100 g, (100 g = 1.30)

Tutti i Ragusa disponibili in diverse varietà, per es. Classique, 5 pezzi, 125 g, 4.25 invece di 5.35, (100 g = 3.40) 20%

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Tutti gli smoothie true fruits per es. yellow, 250 ml, 2.80 invece di 3.50, (100 ml = 1.12) 20%

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6.70 invece di 9.60

Biscotti rotondi Chocky al cioccolato o al latte, 3 x 250 g, (100 g = 0.89)

Tutti i gelati con la foca e affini su stecco surgelati, disponibili in diverse varietà, (escl. articoli spacchettati), 12 pezzi, 684 ml, per es. vaniglia, 4.90 invece di 7.30, (100 ml = 0.71) a partire da 2 pezzi 33%

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Divertimento in acqua e snack per piccoli avventurieri

LO SAPEVI?

I prodotti da bagno Craze Inkee trasformano il piacere del bagnetto in un'avventura colorata. I bambini scoprono e sperimentano giocando come l'acqua assume diversi colori.

Tutti i prodotti sono dermato logicamente testati, delicati e sicuri per la pelle sensibile dei bambini.

Tutto l'assortimento di alimenti per bebè Alnatura bio, per es. gallette di riso mela e mango, senza glutine, 35 g, 1.35 invece di 1.70, (10 g = 0.39) 20%

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Lenisce e rilassa durante il bagno

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Bellezza e cura del corpo

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Fluido Nivea Luminous 630 Medium, Light o Dark, 40 ml, (10 ml = 7.49)

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Contenitori trasparenti Rotho disponibili in diverse grandezze e set, per es. 18 litri, 13.90 invece di 19.90

Tutti gli ammorbidenti Exelia per es. Florence, in conf. di ricarica, 1,5 litri, 4.20 invece di 6.95, (1 l = 2.78)

9.95 Slip midi da donna Essentials disponibili in diversi colori, tg. S–XXL

comodo e morbido plantare

29.95 Clogs da donna in pelle disponibili in bianco o nero, taglie 36–40, il paio

Assortimento di alimenti per gatti Mio per es. menu in salsa con manzo e pollo, 4 x 85 g, 1.50, (100 g = 0.44)

poche cure e fiorisce a lungo

30%

6.95 invece di 9.95

Crisantemi a cespuglio disponibili in diversi colori, in vaso, Ø 19 cm, il vaso

13.95 Bouquet di rose M-Classic, Fairtrade disponibile in diversi colori, mazzo da 30, lunghezza dello stelo 40 cm, il mazzo

a partire da 2 pezzi

Prezzi imbattibili del weekend

2.30

13.50

6.50

invece di 9.50

Bratwurst di maiale Tradition

Svizzera, in conf. speciale, 4 pezzi, 500 g, (100 g = 1.30), offerta valida dal 22.8 al 25.8.2024

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