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Gli sceneggiatori in sciopero non fanno più paura alla TV

Sospese fino a data da destinarsi le attività degli autori appartenenti alla Writers Guild of America per il mancato accordo con le produzioni

È impossibile non aver guardato o non aver ascoltato il resoconto dettagliato di almeno un episodio di Grey’s Anatomy se si è stati adolescenti negli anni Duemila. Grandi serie tv statunitensi, tra cui anche Lost, per tutto il decennio sono state l’appuntamento settimanale fisso di migliaia di ragazzi e ragazze che ancora oggi non dimenticano i cento giorni più spiazzanti della storia della TV contemporanea: lo sciopero degli sceneggiatori durato dal 5 novembre 2007 al 12 febbraio 2008.

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Nel sistema televisivo di quindici anni fa, quando le serie TV iniziavano a ottobre e terminavano a ridosso dell’estate ma venivano scritte e filmate settimana dopo settimana – coprendo un arco di circa nove mesi di lavoro – cento giorni di sciopero significarono soprattutto un drastico taglio del numero di episodi per stagione. Chi quell’anno iniziò Breaking Bad o chi ancora guardava Desperate Housewives dovette accontentarsi di un arco narrativo incompleto e mutilato (di solito da 24 a 13 o 17 episodi).

Lo sciopero in quell’occasione fece pressione sui mancati investimenti pubblicitari e si risolse a favore degli sceneggiatori.

Dalla mezzanotte dello scorso martedì 2 maggio la Writers Guild of America – l’associazione di autori televisivi e cinematografici – ha sospeso ogni attività dopo le trattative, non andate a buon fine, con i rappresentati delle produzioni Amazon, Netflix, Apple, Disney, Sony, Paramount, Warner, CBS, NBC e Discovery, unite dalla sigla AMPTP.

Rispetto a quindici anni fa cambiano le premesse e cambiano le conseguenze. Il mondo della televisione e del cinema si è trasformato a tal punto da non poter prevedere la conclusione della protesta. Tre sono i motivi principali della mobilitazione che ha bloccato la produzione televisiva.

In seguito alla pandemia, ma soprattutto in seguito ai nuovi formati televisivi dettati dalle piattaforme streaming, le serie TV nascono già brevi, pensate su otto o massimo dieci episodi. È il nuovo standard, imposto dalle abitudini di visione su Netflix, per esempio.

Una durata minore impone un minor impiego di risorse e quindi anche un minor numero di sceneggiatori assunti su base fissa dalle produzioni. Non esistono più le grandi produzioni da 34 settimane o più, che richiedevano una writers’ room ampia e fissa per l’intera stagione televisiva. Ciò che gli autori e le autrici contestano alle case di produzione è quindi l’aver reso il lavoro di sceneggiatura una professione freelance, nonostante sia da sempre la struttura più salda e la parte essenziale della serialità televisiva americana.

Nel flusso dello streaming, inoltre, non sono disponibili di dati e le percentuali di visione del pubblico, per cui non è possibile garantire agli autori i diritti commerciali su ogni replica di un determinato episodio, fattore che incrementa il malcontento della Writers Guild.

Infine, la preoccupazione maggiore dei professionisti della sceneggiatura è l’assenza di tutele legali o, in genere, di una normativa che regolamenti l’uso dell’Intelligenza Artificiale nella scrittura televisiva. Non è questione di equilibrio con la tecnologia, la Writers Guild chiede la totale garanzia «che ogni autore accreditato sia un essere umano e che anche qualsiasi altro materiale al di là delle sceneggiature e dei soggetti non sia specificamente scritto da ChatGpt o simili».

Non è ancora, tuttavia, il momento di allarmarsi per le nuove puntate delle grandi serie. Le produzioni streaming, a differenza della tv tradizionale, concludono la fase di scrittura e riprese molto prima della diffusione sulla piattaforma, garantendo in anticipo mesi di copertura con nuovi contenuti.

Non influenzando i guadagni pubblicitari però, questo sciopero potrebbe durare ben oltre cento giorni, senza una vera leva su cui fare pressione. Gli effetti immediati in Italia non si vedranno, perché saranno soltanto gli show serali a risentire dell’assenza degli sceneggiatori. Tutti i cosiddetti Late Night che coprono la fascia della nostra prima serata ma che vanno in onda solo negli Stati Uniti. Se dovesse diventare uno sciopero a oltranza le prime conseguenze si vedranno nei contenuti originali delle piattaforme, film e serie tv ancora in pre-produzione che potrebbero ritardare l’uscita di diverse settimane, come è già stato annunciato per la terza stagione di Abbott Elementary, serie rivelazione degli ultimi anni, e soprattutto per la quinta stagione di Stranger Things, le cui riprese sono state interrotte in solidarietà con lo sciopero. Nell’attesa, rimangono infiniti cataloghi da esplorare, ma il futuro della professione di sceneggiatore, almeno negli Stati Uniti, sembra più incerto che mai. ■

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