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«Si gonfia la rete» Napoli è campione d’Italia

Il racconto della festa scudetto in città e allo stadio Maradona

«Anni ad ascoltare storie del 1987 e 1990. Oggi la viviamo»: così recita uno striscione appeso a piazza Nazionale. Il Napoli ha vinto lo scudetto. Per alcuni tifosi l’ha vinto a gennaio. Per la matematica l’ha vinto alle 22:03 di giovedì 4 maggio, con un gol di Victor Osimhen. Il Napoli, la squadra, ha vinto lo scudetto e Napoli, la città, ha ripreso a respirare.

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Il capoluogo campano era con il fiato sospeso da domenica 30 aprile, da quel pareggio con la Salernitana: mancava un punto vinto sul campo o era necessario che la Lazio perdesse per diventare Campione d’Italia per la terza volta. La squadra di Sarri non è stata sconfitta dal Sassuolo il 3 maggio, quindi, il Napoli doveva almeno pareggiare con l’Udinese se non voleva rimandare i festeggiamenti ancora una volta, a domenica 7 maggio contro la Fiorentina.

La partita inizia alle 20:45. Prima, in città c’è un’atmosfera da vigilia di Natale, con tifosi che comprano bandiere e magliette dell’ultimo secondo. Durante, si sente qualche trombetta e qualche scoppio. Poi, l’Udinese segna e cala un silenzio tombale. Le strade sono deserte, le persone sono raccolte intorno a centri scommesse o bar che espongono un televisore, più è grande lo schermo, più è folto il gruppo che guarda.

L’atmosfera al Maradona

I giocatori sono ad Udine, ma la festa è al Maradona. L’atmosfera fuori dallo stadio è elettrizzante. Fuorigrotta respira al lento movimento ondulatorio delle bandiere azzurre che si stagliano su un cielo giallo che volge al tramonto. Scende la notte su Napoli, ma non sul Napoli che è pronto ad entrare in campo per portare a casa il terzo scudetto. Fumogeni tingono in cielo nuvole azzurre, rendendo l’aria meno respirabile, ma anche chi si copre il volto per non sentire i fumi non smette di sorridere, emozionato come un bambino prima di aprire i regali di Natale. Sono dieci gli schermi messi a disposizione al Maradona per seguire gli azzurri. Lo stadio è sold out e ci sono proprio tutti. Gli abbonati, quelli di sempre, si incontrano sorridendo, come in una normale domenica, sorseggiando Borghetti e salutandosi al grido di «Forza Napoli», «Sempre!».

«Sarò con te e tu non devi mollare, abbiamo un sogno nel cuore, Napoli torna campione!», questo è l’urlo del Maradona che si ferma solo a quell’1 a 0 di Sandi Lovric. In un secondo ogni tifoso napoletano rivive non solo quella domenica del 30 aprile contro la Salernitana, ma anche tutte quelle volte in cui il Napoli non ce l’ha fatta. Perché, si sa, il tifoso napoletano vive ogni partita aspettandosi il peggio. Non è scaramanzia, non è superstizione: è la consapevolezza che per ottenere le cose a Napoli bisogna faticare più degli altri per farcela.

Ci pensa lui, il supereroe mascherato, a firmare il pareggio e a far entrare Napoli nell’Olimpo dei campioni: calcio d’angolo raccolto dalla testa di Olivera, Anguissa mette giù e serve un assist perfetto per il georgiano. Mentre Kvaratskhelia tira, tutti si sollevano dai seggiolini azzurri. Gli occhi sgranati, la bocca semi aperta. Tutto nella fisicità del tifoso napoletano medio è immobile. Le mani soltanto si sollevano al viso quando Marco Silvestri respinge il colpo, ma non è finita. Le mani non ricadono lungo il corpo, ma salgono su, al cielo, quando a raccogliere la respinta del portiere è l’interno di Osimhen. Lacrime, tante, tantissime. È l’incontro di tre generazioni. C’è chi torna a sognare ricordando i primi due scudetti con il D10S, chi invece può finalmente gioire dopo tutti i racconti che sono stati tramandati di padre in figlio. Ogni giovane ragazzo che esce dallo stadio piange, grida, salta, urla commosso e dice: «Quanto ti ho aspettato».

La festa in strada

Quando l’arbitro fischia la fine, esplode la gioia, così come esplodono i petardi. Sembra un secondo Capodanno, che potrebbe durare per le cinque giornate di campionato rimanenti. «Domenica prossima è un’altra festa», esclama un tifoso in piazza. Il Castel dell’Ovo si illumina d’azzurro e viene proiettata la scritta «Ricomincio da tre. Grazie ragazzi!». Un messaggio di auguri e ringraziamento appare anche sulle fermate elettroniche dei pullman: «Campioni di Italia. Grazie Napoli». Il giorno dopo non si parlerà d’altro e i giornali, non solo sportivi, andranno esauriti.

I tifosi festeggiano e chi ha seguito la partita in casa scende per unirsi a chi è già in strada. Anziani, adulti, bambini, uomini e donne si raccolgono nelle piazze di Napoli. In tutte risuonano assordanti trombette e cori come «la capolista se ne va». Piazza Plebiscito diventa rossa per i fumogeni. Le bandiere sventolano, le più diffuse sono quelle a scacchi bianchi e azzurri, quella con il ciuccio napoletano, l’asino azzurro simbolo della squadra, e quella verde, bianca e rossa con il numero tre. Compare anche qualche bandiera con la croce sudista. Le strade vengono percorse da moto e auto, dai cui finestrini spuntano bandiere, e da persone, vestite di azzurro, che cercano di raggiungere la piazza più prossima per festeggiare in compagnia. Non ci sono lunghi cortei da una piazza all’altra, forse dipende dall’ora tarda, ma i tifosi sono felici di scattarsi foto e celebrare.

A piazza Carlo III, i napoletani sono saliti sulla scalinata del Real Albergo dei Poveri e sventolano da lì le bandiere. Gli altri tifosi strombazzano nella piazza di fronte, sparano i fuochi d’artificio e accendono fumogeni azzurri e rossi. I carabinieri sono collocati agli angoli transennati della piazza e controllano lo svolgersi delle celebrazioni. È difficile respirare o sentire bene, ma questo non scoraggia i tifosi, per ogni gruppetto che se ne va, ce n’è un altro che arriva, e la festa continua nella notte primaverile. ■

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