Curre curre guagliò

INTRODUZIONE

di Luca Persico, aka Zulù

Non fu tanto quello «squallide marionette, pallide controfigure di un ideale che fu», ma quel «figgicciotti» all’inizio della frase, a mandarmi su tutte le furie. Era il 1988, c’era ancora il muro di Berlino, l’Unione Sovietica, l’edonismo reaganiano e il Leoncavallo era ancora in via Leoncavallo.

E mentre io e Rosario, che ancora non ci conoscevamo di persona, stavamo per iniziare una guerra di scritte sui muri di Radio Città Futura, tutto stava per cambiare, ma noi che di quel cambiamento eravamo parte, che in quel cambiamento eravamo destinati a crescere e a formarci, non ce ne accorgemmo.

Io conducevo da qualche anno una trasmissione del coordinamento dei collettivi studenteschi, in onda nel pomeriggio, Ciubango, e Rosario conduceva This Fuckin’ Noize, una trasmissione di thrash, punk, hardcore, in onda la notte. Un bel pomeriggio arrivo in radio, entro, e… oltraggio, profanazione, trovo quella cazzo di scritta sotto la mia falce e martello. Non ricordo cosa risposi di preciso ma ricordo che mi colpì subito il linguaggio forbito del mio detrattore disinformato (i collettivi erano in scazzo aperto con la FGCI, la federazione giovanile del PCI).

Mi impressionò perché era il mio stesso strumento di difesa e di offesa preferito. Sì, perché io, metallaro, capellone 15

e comunista, borchie e catene dappertutto, Peroni grande calda e mezza vuota di default in mano, reagivo alla minima provocazione con una veemenza verbale tagliente, accurata, ricercata (…e poi imparata a memoria per poterla usare quando troppo ubriaco o sconvolto), che lasciava l’interlocutore di stucco e lo spiazzava quel tanto che bastava per poter prendere in mano le redini della situazione… era la mia arma cazzo… ed ora questo metallaro, questa specie di punk capellone del cazzo me la rivolge contro?

Ebbe inizio così una disfida di botta e risposta sulle mura della radio, che almeno da parte mia celava l’enorme curiosità che provavo per questo sconosciuto, questa specie di nemico di pennarello in cui intuivo qualcosa di mio, di simile a me. In un anno le mura furono imbrattate fino al soffitto. Nell’anno della caduta del muro di Berlino la nostra battaglia quotidiana attraversò una fase di stanca, il livello si era abbassato notevolmente con scambi del tipo: «capello’ me sì figlio, domanda a mammeta», «ma tagliate ‘sti capille, zezzus, ca staje chin ‘e pappice» (quando poi in realtà entrambi avevamo i capelli lunghissimi). Intanto lo spazio sui muri era esaurito e la circolare della Radio, che indiceva una riunione il cui punto 1 all’ordine del giorno era la ritinteggiatura delle pareti, fu l’evento astrale che pose fine alla querelle… e alla nostra carriera di speaker radiofonici.

Ci incontrammo di persona per la prima volta al Csoa Tienament nel ridente quartiere napoletano di Soccavo, lui occupante e io con gli autonomi (che avevo preso a frequentare da alcuni mesi). Un mio compagno mi appoggiò una mano sulla spalla e, mentre con l’altra indicava Rosario, mi sussurrò: «quello è il tipo di This Fuckin’ Noize», io alzai gli 16

occhi e incrociai il suo sguardo, dietro l’indice puntato su di me di un suo amico che gli sussurrava qualcosa di simile all’orecchio… ci scambiammo un ghigno di (dis)approvazione.

Io sono sempre stato un compagno atipico, per la musica, per la ricerca sistematica dell’alterazione dello stato di coscienza, per l’allergia all’autorità e al politichese. Rosario era un punk mooolto atipico, intanto perché non era punk, perché non si è mai visto un punk con i capelli lunghi, ma soprattutto perché odiava la trasandatezza, aborriva le polveri sottili combattendole con due shampoo al giorno e si narrava che usasse anche il balsamo. Poi amava la lettura, in quel periodo soprattutto la saggistica, ma anche la poesia e la narrativa. Figlio di operai, aveva la coscienza di classe nell’imprinting e la coscienza che la classe deve dotarsi da sola degli strumenti necessari ad abbattere il nemico, deve conoscere, deve studiare.

Iniziammo a frequentarci durante la Pantera, nel Novanta. La prima sera che occupammo la facoltà, fummo io e lui ad andare a fare la spesa alcolica. Lui disse: «Fra’ fai tu». Lo feci e presi quattordici bottiglie di superalcolico. Mi guardò e disse: «Luca, ma noi siamo quindici», per farmi notare che avevo esagerato. «Scusa», risposi io, «ho contato male», sollevando il sopracciglio alla John Belushi nei Blues Brothers; e presi dallo scaffale la quindicesima, insieme alla rivincita di quell’anno di scritte infamanti.

Con il collettivo di Lettere nel giro di un anno introducemmo nella politica extraparlamentare una nuova soggettività, meno coesa dal punto di vista della dottrina politica ma molto viscerale nell’approccio, molto determinata nell’azione, molto, forse troppo, disillusa nelle aspettative 17

ma per questo pressoché inarrestabile nel soddisfacimento dei propri bisogni qui e subito… Poi arrivò Officina 99 che negli anni successivi si riversò in città praticando contropotere. I 99 Posse nascono in questo contesto di riappropriazione e di autorappresentazione, nel quale abbiamo avuto il culo di trovarci e il merito di crederci, di lavorarci e di rimanerci…

Il capitolo di Rosario nei 99 Posse e il sottocapitolo di Rosario e Luca nell’era dei 99 Posse è troppo lungo e complesso per l’introduzione di un libro, finanche per la biografia degli stessi 99 Posse. Piuttosto sarebbe lo spunto ideale per una raccolta di racconti dal titolo Compagni che sbandano – il lato sordido della rivoluzione. Vi basti sapere che negli ultimi ventitré anni, a parte qualche canzone scritta insieme (Me siente, Avrei voluto conoscervi, Italia Spa, Resto umano), e il periodo di scioglimento della band durante il quale ha fatto il giornalista e l’emigrante a Firenze, Rosario è sempre stato nei 99 Posse, in ogni scelta, in ogni concerto, in ogni discussione, in ogni comunicato ufficiale, diventando al contempo il nostro uomo dei concerti e poi l’admin più presente della nostra pagina Facebook, mentre Marco si occupa in esclusiva di Twitter. Ed entrambi scazzano furiosamente a intervalli regolari sulle modalità di gestione.

Sono venticinque anni che io e Rosario ci punzecchiamo, ci scontriamo, litighiamo, divorziamo, ci riproviamo, facciamo pace e ricominciamo, mentre tutto scorre, il mondo cambia, i rapporti di forza si complicano, alcuni popoli insorgono e nulla sarà mai più come prima. Solo il Rosy resta uguale a se stesso, e con lui il suo rapporto con me… e io appresso a lui.

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