PROLOGO. QUANDO IL CALCIO SFIDA LE LEGGI DELL’ECONOMIA
Le luci illuminano rue du Faubourg-Saint-Honoré lungo la quale scivolano due auto scure. Un uomo alla finestra le osserva, pervaso dall’orgoglio d’immaginare il futuro in cui s’addentrano e che lui ha appena propiziato. È il 23 novembre 2010. In una delle due auto, adagiato sul sedile posteriore siede Le Roi, al secolo Michel Platini, tra i più genuini talenti che il calcio abbia mai avuto, e numero uno della Uefa dal gennaio 2007. Quella sera pensieroso come non mai. Sulla seconda berlina viaggia comodamente Tamim bin Hamad al Thani, emiro in pectore del Qatar. Quarto figlio dello sceicco Hamad bin Khalifa Al Thani, il giovane Tamim frequenta la Royal Military Academy Sandhurst di Londra, la stessa dei principi William e Harry. Nel 2005 crea il Qatar Investment Authority, fondo d’investimento sovrano qatariota con risorse per oltre 350 miliardi di euro e detentore di beni e partecipazioni nei più svariati marchi e mercati, dalla Volkswagen alla Walt Disney, dal lusso all’energia, di cui è braccio operativo il Qatar Sport Investments. Da allora Tamim cerca il modo più proficuo per sviluppare i suoi progetti. E mentre la sua auto percorre i viali alberati di Parigi lo pervade l’eccitante sensazione di essere a un passo dal realizzarli… 9
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L’uomo alla finestra dell’Eliseo, immerso nel sogno di una nuova Grandeur, è Nicolas Sarkozy, da tre anni presidente della Repubblica francese, che a maggio aveva già celebrato l’attribuzione alla Francia degli Europei di calcio del 2016.
Da Parigi a Doha… Cosa si siano detti i tre illustri commensali in quella cena di novembre appartiene ai segreti delle stanze del Potere, e sarebbe un inane esercizio tentare ricostruzioni e dietrologie. Fatto sta che dopo quella sera, accadono una serie di eventi che modificheranno il corso della storia del Calcio europeo e mondiale. Dieci giorni dopo, il 2 dicembre 2010, a Zurigo, si svolge la riunione in cui la Fifa decide l’assegnazione dei Campionati del mondo del 2018 e del 2022. È la prima volta in cui la scelta del Paese ospitante è congiunta e avviene con ben 12 anni di anticipo. Per l’edizione del 2018 ha la meglio la Russia. Per i Mondiali del 2022 sono in lizza l’Australia, il Giappone, la Corea del Sud e gli Stati Uniti, che a metà ottobre avevano rinunciato alla candidatura per il 2018 puntando tutto su quella successiva, e infine il Qatar. Alla quarta e decisiva votazione, 14 voti su 22 convergono sull’emirato beffando gli Usa. La sorpresa, le polemiche sulle pessime condizioni dei lavoratori assunti per edificare le opere, e soprattutto le inchieste su presunte tangenti versate a diversi componenti del comitato non si sono ancora placate. E tra rivelazioni scottanti dei media e frettolose archiviazioni da parte della Fifa, i dubbi difficilmente si sopiranno anche in futuro. 10
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Sei mesi dopo, il 31 maggio 2011 la squadra della capitale, il Paris Saint-Germain, di cui il presidente Sarkozy è un acceso tifoso, viene ufficialmente ceduta. Il fondo Usa Colony Capital ne aveva preso le redini per circa 40 milioni nel 2006 da Canal+ (emittente tv proprietaria del club parigino dall’inizio degli anni Novanta, inizialmente in un consorzio con Butler Capital Partners e Morgan Stanley). Alla porta di Colony Capital ha suonato un compratore alle cui lusinghe non si può certo resistere, il Qatar Investment Authority, intento in quei mesi a trovare nell’economia occidentale – in grande affanno dopo il default di Lehman Brothers del 2008 e lo scandalo dei mutui sub-prime – le opportunità più redditizie per allocare i profitti derivanti dallo sfruttamento degli immensi giacimenti di petrolio e gas naturale. Un piano di politica finanziaria le cui fortune possono essere accelerate proprio con il passepartout dello Sport e del Calcio, veicoli ideali e meno ingombranti delle alleanze militari, che pure saranno strette offrendo di fatto alla Nato una sponda nello scacchiere mediorientale. L’«operazione Psg» si inserisce perfettamente in quest’ottica espansionistica. Certo non è una novità che il calcio venga piegato a scopi politici di varia natura. Ma mai finora era stato oggetto di pianificazione strategica da parte di uno Stato sovrano. Il club parigino diventa così il bersaglio di Qatar Investment Authority che lo acquista per circa 100 milioni di euro (il 70% a fine maggio 2011 e il restante 30% nel marzo 2012). Nella carica di presidente viene insediato Nasser Ghanim Al-Khelaïfi, classe ’73, presidente della Federazione qatariota di Tennis, ex giocatore, e dal 2006 anche direttore per alcuni anni di Al Jazeera Sport. 11
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Proprio l’emittente Al Jazeera Sport, lanciata nel 2003 all’interno del network Al Jazeera e rapidamente diventata la principale rete sportiva del Medio Oriente, il 13 dicembre 2010 annuncia l’acquisto dei diritti in esclusiva di Champions ed Europa League fino al 2015, e si prepara a invadere il mercato francese con il marchio «beIN Sport». Con lo slogan Ton coeur battra au rythme du sport la nuova tv viene lanciata il 1° giugno 2012 con abbonamenti a prezzi stracciati (11 euro al mese) per spezzare l’antico monopolio di Canal+.
…al porto di Marbella Le manovre della famiglia regnante qatariota non si limitano alla Francia. L’Opa sul calcio europeo si allarga anche alla Spagna: negli stessi mesi del 2010 in cui si definisce la campagna francese, il Qatar Sport Investments sigla con il Barcellona uno storico contratto, perché fino a quel momento la società blaugrana aveva sempre respinto gli sponsor commerciali dalle proprie casacche, fedele al motto El Barça és més que un club. Per evitare «contaminazioni» aveva poco tempo prima rifiutato un’allettante offerta della società di scommesse austriaca Bwin (110 milioni di euro per 5 anni), che aveva poi virato sui più pragmatici competitors del Real Madrid, concludendo invece per la stagione 2006-07 un accordo sui generis con l’Unicef con cui il Barcellona si impegnava a versare ogni anno lo 0,7% del proprio fatturato all’Organizzazione per la tutela dell’Infanzia. Ma appunto nel 2010 il club cede inaspettatamente alla proposta dell’Emirato per la cifra re12
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cord di 150 milioni di euro in 5 anni. E se nelle stagioni 2011-12 e 2012-13 si salvano almeno le apparenze e sulle maglie di Messi e compagni compare il marchio no-profit «Qatar Foundation», dalla stagione 2013-14 il main sponsor commerciale si svela: è la Qatar Airways, compagnia di bandiera del Qatar. Intanto, sempre nel 2010, un altro membro della famiglia reale qatariota, lo sceicco Abdullah bin Nasser Al Thani, fratello di Tamim, intraprende le pratiche per acquisire il Malaga che «naviga in cattive acque». L’affare va in porto per circa 40 milioni e Abdullah bin Nasser ne diventa presidente nel gennaio 2011. Le metafore marinare non sono casuali. Gli interessi dello sceicco a Malaga vanno oltre il pallone: nel maggio 2011 ottiene il via libera dalla regione andalusa per i lavori di espansione del porto di Marbella: un investimento da 80 milioni di euro, che include la costruzione di un complesso alberghiero. Nell’agosto 2013 versa gli 1,8 milioni richiesti dalla Junta de Andalucia per mettere in cantiere gli interventi urbanistici, ma gli intoppi burocratici si susseguono e gli investimenti per rafforzare la squadra crescono o decrescono al ritmo dell’avanzamento dei progetti immobiliari. E così, se nella stagione 2012-13 la squadra raggiunge uno storico piazzamento in Champions League uscendo ai quarti di finale contro il Borussia Dortmund, le minacce dello sceicco di andar via da Malaga per gli screzi con le amministrazioni locali si sprecano. Dopo altalenanti vertenze giudiziarie, i lavori al Porto di Marbella dovrebbero concludersi nel 2018.
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Le Rivoluzioni Industriali del Calcio Ad ogni modo, se quelli appena descritti siano eventi più o meno concatenati, mosse di un progetto egemonico orchestrato da Grandi Burattinai o mere coincidenze, cambia poco. Perché comunque sia si inseriscono in un processo – che indubbiamente hanno accelerato – di trasformazione del «gioco più bello del mondo» in sistema economico-finanziario. Un processo ineluttabile, andato di pari passo con le dinamiche della globalizzazione che ha avuto un impulso decisivo, guarda caso, con la quarta Conferenza del Wto, svoltasi a Doha, nel Qatar, nel novembre del 2001 e che ha visto di lì a pochi mesi l’adesione della Cina all’Organizzazione mondiale del commercio dopo 15 anni di negoziati. Osservando questa evoluzione economica del football in una prospettiva storica, possiamo identificare tre fasi accostabili per analogia a quelle dell’era industriale. Consideriamo, per esempio, il periodo che va dalla fine degli anni Ottanta alla fine degli anni Novanta come quello della Prima Rivoluzione Industriale del Calcio. Se i cambiamenti economico-industriali avvenuti tra il 1780 e il 1830 furono caratterizzati dall’introduzione della spoletta volante e della macchina a vapore, nel mondo del football l’evento scatenante della rapida innovazione è stata piuttosto la «comparsa» delle pay-tv. L’incremento dei ricavi garantito dai network è stato infatti esponenziale e ha indotto le Leghe e i club più lungimiranti a evolversi in aziende capaci di dilatare i profitti, anziché bruciarli, dando luogo a investimenti su infrastrutture, governance e attività commerciali e creando, 14
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tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila, le condizioni per l’avvento della Seconda Rivoluzione Industriale del Calcio, in qualche misura paragonabile a quella determinata, a partire dal 1870, dal progressivo utilizzo di nuove fonti energetiche come l’elettricità e il petrolio. Un salto di qualità di cui hanno approfittato principalmente la Premier League inglese, la Bundesliga tedesca e le due «regine» di Spagna, Real Madrid e Barcellona. Quella in cui oggi si trova immerso il calcio, invece, è la Terza Rivoluzione Industriale, a sua volta equiparabile a quella innescata dall’impiego massiccio dell’elettronica, delle telecomunicazioni e dell’informatica nel sistema produttivo. Una fase che coincide con un’ulteriore mutazione che ha investito sia il mondo del calcio che quello della economia globalizzata, e che ha due volti sostanzialmente combacianti: l’esasperata «finanziarizzazione» e la «colonizzazione geografica» di nuovi mercati. Esauritasi la moda della quotazione in Borsa dei club, nel football mondiale si assiste infatti alla comparsa di società e fondi di investimento «privati» i quali, con operazioni sempre più sofisticate, fanno leva sulla compravendita di calciatori o di team per generare utili a tassi di rendimento improponibili per altri ambiti merceologici. E non è un caso che il Cies, The International Centre for Sports Studies creato nel 1995 dall’Università di Neuchâtel in joint venture con la Fifa, stia mettendo a punto algoritmi e modelli matematici per stilare un rating che certifichi il valore dei calciatori e ne agevoli la «quotazione». Conseguenza di questa «finanziarizzazione», è la diffusione planetaria del calcio, con l’obiettivo di scoprire «territori vergi15
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ni» in cui far attecchire questi modelli di business e assicurare alle Multinazionali un veicolo mediatico di prorompente impatto.
E in Italia… L’Italia che negli anni Ottanta e Novanta vantava il «campionato più bello del mondo» e che era stata tra gli epicentri della Prima Rivoluzione Industriale (nel 1993 la Lega vende per la prima volta a Tele+ i diritti criptati di 28 partite di A e 32 di B per l’equivalente di circa 100 milioni di euro) è rimasta ai margini delle successive evoluzioni. Con immediate ricadute economiche e sportive. Ininterrottamente al vertice del ranking Uefa dal 1986 al 1999 (quando il Parma fu l’ultima squadra italiana a vincere la Coppa Uefa), con 8 successi e 14 finali europee, l’Italia oggi vivacchia alle spalle di Spagna, Inghilterra e Germania, avendo perso il diritto di essere rappresentata da 4 squadre nella Champions League. La finale dell’edizione 2003 tra Milan e Juventus e i trionfi nel 2007 del Milan e nel 2010 dell’Inter, appaiono episodi al limite dell’irripetibile, colpi di coda di un movimento vissuto per troppo tempo al di sopra delle proprie possibilità, sperperando in ingaggi esorbitanti i generosi proventi delle televisioni. In poco più di un ventennio, fra il 1993 e il 2014, il Calcio Italia Spa ha incassato dai broadcaster oltre 11,5 miliardi di euro. Considerando che per costruire uno stadio redditizio da 60mila posti occorrono, secondo le best practices internazionali, circa 16
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300 milioni, se solo il 25% di queste somme (3 miliardi) fosse stato investito in questa direzione si sarebbero potuti erigere almeno una decina di impianti moderni. Di capitali stranieri poi nella Penisola ne sono giunti pochi e solo di recente, mentre il sistema di governo inadeguato delle Leghe ha accentuato la litigiosità dei presidenti, affetti come da italica tradizione da miopie e campanilismi. Il mecenatismo di patron come Massimo Moratti e Silvio Berlusconi, che insieme in vent’anni hanno «bruciato» oltre due miliardi di euro per coprire le perdite di Inter e Milan, si è esaurito. Per ragioni interne, con la recessione che ha colpito l’Italia più di altri Paesi nell’ultimo lustro e ha costretto le aziende di famiglia, Saras e Fininvest, a chiudere i cordoni della borsa. E per ragioni internazionali, visti i vincoli del Fair Play Finanziario imposti da alcuni anni dalla Uefa (a dire il vero, più alibi che causa della proclamata necessità di autofinanziamento delle squadre). La spending review agli ingaggi ha progressivamente allontanato dall’Italia tutti i cosiddetti top players, accentuando il rapido declino della Serie A in coincidenza con stagioni in cui le big d’Europa moltiplicavano i propri fatturati. Da qui conviene perciò prendere le mosse per un viaggio in quella che potremmo ribattezzare la «Goal Economy»: quel sistema che in una prospettiva sempre più globale ha adoperato la materia prima per eccellenza di questo sport – la passione dei tifosi, e i suoi momenti più sublimi, la rete, la sua attesa quasi messianica, e le emozioni che sa sprigionare, tra esultanza e, perché no, anche delusione – per costruire un modello industriale e finanziario. Un viaggio che ci condurrà attraverso il Vecchio Continente, nelle 17
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sue storiche «isole felici» (Italia, Regno Unito, Germania, Spagna, Francia), fino alle nuove frontiere del Calcio mondiale, dall’Europa Orientale alla Cina, dagli Stati Uniti all’Australia, dagli Emirati arabi all’India.
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