La guida ufficiosa Europei 2016

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PREFAZIONE

di Daniele Manusia e Timothy Small

Sono passati tre anni da quando abbiamo parlato per la prima volta di quello che sarebbe poi diventato l’Ultimo Uomo. L’intenzione era quella di pubblicare articoli lunghi di sport (che all’epoca in Italia erano meno frequenti di quanto lo sono adesso) con l’ambizione di tenere alta la qualità della scrittura pubblicando contenuti che non fossero solo «letterari» ma anche tecnici. L’idea di base era quella di unire un certo modo di parlare di sport con un certo modo di parlare di cultura pop. I primi articoli, pubblicati a luglio del 2013, erano un pezzo medio-lungo sui ritiri nel tennis, un pezzo decisamente lungo su come si vede una partita di basket a New York, e un profilo lunghissimo, molto auto-analitico, su Totti dal punto di vista di un romano e romanista. Il giorno dopo, abbiamo pubblicato un profilo di Justin Timberlake. Insomma, volevamo proprio fare il Grantland italiano. Unire cose tecnicissime con cose molto letterarie e parlare di basket o calcio o musica o cinema allo stesso modo. Circa un anno fa, abbiamo diviso la cultura pop da l’Ultimo Uomo per fondare un sito «fratello», Prismo, ed è rimasta l’ambizione di tenere alta la qualità della scrittura pubblicando, però, contenuti che non fossero solo «letterari» ma anche tecnici.


Prefazione

Volevamo uno spazio per il tipo di pezzi di sport che ci piaceva leggere e scrivere, in sostanza. Ci piaceva anche l’idea che in Italia esistesse una sorta di vuoto, nei media, sul parlare di sport in maniera non «immediata», diciamo. Certo, c’era l’esempio di Sfide, o il Guerin Sportivo ma, per dire, Buffa non aveva ancora iniziato a fare i suoi racconti in tv, Undici non esisteva. All’inizio l’idea di scrivere lunghi articoli di sport su internet con quel tipo di tono e di approccio, tutti i giorni, era vista come una cosa da folli. Gli italiani non hanno voglia di leggere articoli così lunghi, dicevano. Oppure: così sembra che vogliate insegnare qualcosa agli italiani su un argomento di cui tutti pensano di sapere già tutto. Italiani popolo di poeti, viaggiatori e allenatori da bar. Eccetera. Ma se i primi tempi i nostri pezzi venivamo letti, forse, cinquantamila volte al mese, oggi siamo quasi a due milioni. Quindi possiamo dire che l’intuizione non era completamente folle. Dovevamo, comunque, adattare la nostra visione al contesto. Ci chiedevamo in quanti modi diversi fosse possibile parlare di sport e quali erano le esigenze peculiari dei lettori italiani. Come si fa a parlare in Italia di sport, in un modo che altrove (in America ma anche in Inghilterra o Spagna) era più comune? Ci divertiva l’idea che si potesse parlare di Totti come di una figura letteraria, e anche pop, anziché come di un idolo. Lo sport infantilizza, ma non è detto che si debba scriverne come se fossimo davvero dei bambini, no? Lo sport è intrattenimento, è passione. Ma come tutte le passioni c’è chi vuole prenderla sul serio, approfondirla, imparare. Lo sport come un campo di ricerca, perché no?


Prefazione

E poi c’era il pericolo di sembrare troppo «tecnici» a un pubblico solitamente «emotivo». Anche se non abbiamo mai creduto in una distinzione di questo tipo, ci facevamo forza con una frase di Robert Musil, secondo cui chiamare «geniale» un atleta, o «scientifico» un calciatore, significava non solo spararla grossa ma anche «omettere» qualcosa. «È l’imprecisione che produce l’esagerazione, così come in una piccola città l’imprecisione dei concetti fa sì che il figlio del negoziante sia considerato un uomo di mondo». Grazie, Robert. E con questo arriviamo al libro che abbiamo sotto mano. Semplicemente impensabile fino a un paio d’anni fa. Impensabile anche per noi, che in questi due anni e mezzo di vita abbiamo visto l’Ultimo Uomo sviluppare una sua esistenza. Abbiamo sperimentato linguaggi diversi, e sempre con un po’ di stupore, e felicità, abbiamo notato come anche i pezzi più particolari, personali, magari ironici oppure ossessivi fino all’estremo (grazie anche alle statistiche, che nel calcio stanno continuando a evolversi, mentre, per dire, nel basket sono linguaggio comune da tempo) sono stati accolti positivamente dalla stragrande maggioranza di pubblico. E all’interno di un panorama il più vario possibile, le analisi tattiche e i pezzi più tecnici sono stati quelli in cui si è riunito un pubblico più consistente. Questo libro è un po’ la coronazione di un lavoro fatto sulla scrittura di calcio in maniera tecnica, approfondita e molto analitica. Che è una delle parti costituenti fondamentali de l’Ultimo Uomo. A questo punto speriamo solo che i lettori si godano questo libro e lo usino per vantarsi con gli amici durante gli Europei 2016.


Prefazione

Ăˆ una guida in cui ogni squadra è analizzata ma anche raccontata e descritta. Speriamo possa essere uno strumento utile, ma anche un piacevole svago. Buon divertimento, e buona lettura.


ITALIA

di Fabio Barcellona

La storia della Nazionale italiana agli Europei non è fortunata come quella alla Coppa del Mondo, conquistata dagli azzurri per ben quattro volte. L’Italia ha vinto solamente un’edizione dei campionati europei, quella del 1968, quando la fase finale coinvolgeva solo quattro squadre ed era disputata in casa di una delle partecipanti. Quell’anno si giocò in Italia, che nella semifinale ebbe la meglio sull’U.R.S.S. solamente grazie al fortunato sorteggio con la monetina, dopo lo 0-0 al termine dei supplementari. In finale l’Italia di Valcareggi trovò la forte Jugoslavia e dopo avere sofferto per tutta la partita riuscì a pareggiare a 10 minuti dal termine con Domenghini, l’iniziale gol del bomber Dzajic, uno dei migliori giocatori jugoslavi di tutti i tempi. Nella ripetizione, giocata due giorni dopo, l’Italia cambiò cinque giocatori, la Jugoslavia soltanto uno e gli azzurri prevalsero fisicamente sui balcanici. Finì 2-0 con gol di Gigi Riva e Pietruzzu Anastasi. Nelle storia dell’Italia agli Europei ci sono due finali perse: la prima nel 2000, ai supplementari contro la Francia di Zidane, Henry e Trezeguet dopo essere stata in vantaggio fino al 94´ minuto; la seconda nella passata edizione con la sconfitta per 4-0 contro la Spagna campione del mondo. Ma ci sono anche manca-


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te partecipazioni alle fasi finali. Nel 1992, dopo i mondiali in casa, l’Italia di Azeglio Vicini fu eliminata dal palo colpito da Ruggero Rizzitelli nella partita da vincere a Mosca contro l’U.R.S.S. E nel 1984, nel girone di qualificazione, gli stanchi campioni del mondo riuscirono a collezionare solo 5 punti in 8 partite, vincendo una sola partita, contro Cipro, e finendo eliminati alle spalle di Romania, Svezia e Cecoslovacchia. Parecchio deludente fu anche l’europeo giocato in Italia nel 1980, il primo in cui la fase finale era aperta a otto squadre e la sede decisa prima delle qualificazioni, con il team padrone di casa qualificato di diritto. Reduce dal brillantissimo mondiale in Argentina, l’Italia arrivò all’Europeo devastata dallo scandalo del calcio scommesse. Domenica 23 marzo 1980 dodici calciatori venivano arrestati alla fine delle partite di campionato direttamente all’interno degli stadi. Tre settimane prima dell’inizio dell’Europeo arrivava la sentenza del processo sportivo che squalificava Paolo Rossi e la sua riserva in nazionale, Bruno Giordano. In questo clima l’Italia si giocò la qualificazione alla finale all’ultima partita del girone contro lo scomodissimo Belgio e la sua trappola del fuorigioco non ancora decrittata dagli avversari. Finì 0-0 e l’Italia dovette accontentarsi della finalina contro la Cecoslovacchia, che perderà dopo una serie infinita di rigori. L’Italia che arriva in Francia è reduce dai fallimentari mondiali di Brasile che avevano generato un’estate 2014 ricca di avvenimenti: anzitutto le dimissioni del Presidente Federale, Giancarlo Abete, e quelle del Commissario Tecnico, Cesare Prandelli. Nel frattempo Antonio Conte, dopo tre Scudetti consecutivi, la-


Italia

sciava improvvisamente la Juventus a ritiro già iniziato e Carlo Tavecchio, candidato al ruolo di Presidente Federale, durante la campagna elettorale scivolava in gaffe di tenore razzista. Alla fine Tavecchio ha vinto le elezioni e Conte si è seduto sulla panchina della Nazionale, con il contributo economico al suo stipendio della PUMA. Solo due anni dopo, siamo già alla fine del percorso di Antonio Conte da allenatore della Nazionale, che dalla prossima stagione sarà alla guida del Chelsea che ne ha già ufficializzato l’ingaggio. Nonostante le sue richieste, la possibilità di effettuare stage e allenamenti supplementari durante la stagione è stata ostacolata dalle squadre di club, e probabilmente era troppo forte, per Conte, il richiamo verso la panchina di un club e il lavoro giornaliero sul campo: «Quando ho visto che dopo le qualificazioni europee sarebbero passati altri quattro mesi prima di tornare ad allenare, ho capito che non avrei accettato altri due anni chiuso dentro a un garage». Nel frattempo, l’Italia è arrivata prima del proprio girone di qualificazione da imbattuta, vincendo 7 delle 10 partite disputate. I dubbi sul vero valore della squadra di Conte, però, nascono dal fatto che in questi due anni non ha mai vinto contro una delle grandi squadre incontrate: contro la Croazia, unica avversaria di un certo livello nel girone, l’Italia ha pareggiato due volte; in amichevole ha pareggiato contro Romania, Spagna e Inghilterra, e perso con Portogallo, Belgio e Germania. L’andamento dei risultati sembra confermare l’impressione di una squadra ben allenata e che gioca un buon calcio, capace di fare risultato contro avversari del proprio livello ma con una qualità complessiva inferiore a quella delle grandi Nazionali europee.


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Tatticamente, almeno all’inizio, Conte sembrava avere ripreso il cammino bruscamente interrotto alla guida alla Juventus, giocando le prime partite con il 3-5-2. Poi però, nel giugno 2015, dopo due sofferti pareggi (contro la Croazia a Milano e la Bulgaria a Sofia), l’Italia è scesa in campo con il 4-3-3 (nella partita di ritorno contro i croati a Spalato) che ha mantenuto anche nelle due partite successive (contro Malta e Bulgaria). Ma l’Italia ha giocato le partite finali del girone di qualificazione disponendosi con il 4-2-4 (contro l’Azerbaigian e per buona parte dell’ultimo match contro la Norvegia) e, infine, nelle amichevoli di marzo (contro Spagna e Germania) Conte ha sperimentato un inedito 3-4-3. In qualità di Commissario Tecnico della Nazionale, Conte si considera «come un sarto» che deve confezionare l’abito «con la stoffa a disposizione», rivendicando implicitamente il fatto di avere come compito primario quello di scegliere i migliori giocatori disponibili, e di farli giocare nel miglior modo possibile. In fondo, anche alla Juventus, il motivo per cui il tecnico salentino era passato dall’essere considerato un’integralista del 4-2-4 a giocare con il 3-5-2, era stato la convinzione di giocare con i calciatori migliori trovando il sistema per esaltarne le caratteristiche tecnico-tattiche. E, nonostante abbia adottato ben 4 moduli di gioco diversi in 18 partite fin qui disputate, è impossibile non cogliere nel percorso dell’Italia la coerenza delle convinzioni e dei principi di gioco del suo allenatore. Le fondamenta della fase del possesso palla di Conte poggiano sull’idea di giocare ampliando il più possibile le distanze tra i giocatori avversari. Anzitutto si provano a dilatare le distanze verticali tra le linee con una circolazione di palla tra i difensori paziente,


Italia

che invita gli avversari al pressing, con l’obiettivo di creare spazi proprio alle spalle della prima linea di pressione. La responsabilità della costruzione bassa è di 4 giocatori: i terzini e i centrali nei moduli a 4 difensori, il rombo costituito dai tre difensori e dal mediano (o da un altro centrocampista) nei moduli che prevedono una linea arretrata a 3. Il posizionamento alto e aperto sulla linea laterale degli esterni aiuta, invece, ad ampliare le distanze orizzontali degli avversari, in particolare quelle tra le maglie della difesa (nel 4-2-4 sono gli esterni offensivi a svolgere questa funzione, nei moduli con 3 difensori sono gli esterni di fascia ad alzarsi). La transizione della manovra dalla fase di preparazione a quella di attacco vero e proprio è spesso assegnata a un passaggio verticale proveniente dalla difesa e indirizzato a un giocatore sulla linea offensiva. In quest’ottica, il sistema 3-4-3 con i suoi molteplici riferimenti avanzati, sembra il più adatto, invitando a un calcio verticale e non eccessivamente fraseggiato a centrocampo. A quel punto, una volta innescata la fase di finalizzazione, la manovra della squadra si accende e diviene rapida: giocata preferibilmente a uno/due tocchi, ricca di movimenti preordinati e coordinati tra i giocatori. Volendo si può scomporre la fase di attacco di Antonio Conte in due momenti con due velocità diverse: la fase di preparazione paziente, durante la quale si cerca di dilatare la squadra avversaria, seguita da una fase ipercinetica successiva all’innesco offensivo. Se giocata con i tempi giusti, la fase di possesso prepara anche a una transizione difensiva aggressiva, con la volontà di ricon-


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quistare rapidamente il pallone, in una zona di campo il più alta possibile. In questa fase di gioco, quando l’Italia gioca con 3 difensori centrali, c’è maggiore possibilità di effettuare marcature preventive molto aggressive (grazie alla copertura garantita dalla superiorità numerica sugli attaccanti avversari); in caso di difesa a 4, invece, la superiorità difensiva è data da uno dei due terzini, che resta in posizione durante la fase di circolazione. Quando invece sono gli avversari a fare possesso consolidato, quando cioè fanno circolare palla a lungo, l’Italia si posiziona con un blocco ad altezza media. Se sono in campo i tre centrali difensivi gli azzurri abbassano i due esterni disegnando una linea arretrata a 5, e in questo caso (con un uomo in meno in zona offensiva) la pressione dell’Italia è meno aggressiva rispetto a quando la squadra è disposta con una linea di 4 difensori, ma ne guadagna in termini di protezione bassa dell’area di rigore. Va detto anche, però, che con 3 difensori è più difficile effettuare transizioni offensive rapide: troppi uomini sulla linea arretrata, con gli esterni che devono risalire tutto il campo per giungere nella posizione ideale per offendere. Se ci sono pochi dubbi sul fatto che l’Italia mostrerà un gioco organizzato, l’incertezza riguarda la qualità assoluta della squadra. Relativamente alla rosa a disposizione, c’è anche molta curiosità sul modulo di gioco con il quale Antonio Conte deciderà di affrontare gli Europei. Il 3-4-3 visto nelle ultime partite sembra soddisfare sia la sua volontà di giocare con 3 difensori che tenere conto dell’abbondanza di esterni d’attacco: il blocco arretrato della Juventus (Buffon, Barzagli, Bonucci, Chiellini) negli ultimi


Italia

anni ha costituito l’ossatura della miglior difesa d’Europa insieme a quella dell’Atletico Madrid, ed è probabile che il Ct non intenda rinunciare a una struttura così consolidata e oliata, mentre tra gli esterni offensivi il tecnico azzurro potrà scegliere tra Candreva, El Shaarawy, Insigne, Eder, Bernardeschi, Giovinco, Bonaventura. Senza contare Florenzi e Giaccherini, certi di un posto in Francia proprio in virtù della loro versatilità. Sarà interessante capire se del gruppo farà parte Sebastian Giovinco. L’ex giocatore della Juventus è il primo giocatore di alto livello che lascia un team europeo per andare a giocare nella Major League Soccer nordamericana nel pieno della sua carriera. Nel 2015 Giovinco ha vinto il titolo di miglior giocatore e capocannoniere della MLS, portando per la prima volta il Toronto FC ai play-off. Una sua convocazione potrebbe essere un segnale sulla possibilità per i calciatori italiani di fare scelte di carriera poco convenzionali senza essere troppo penalizzati nell’ottica di un impiego in Nazionale. L’infortunio al legamento crociato di Marchisio e quello all’inguine di Verratti priveranno gli azzurri dei migliori centrocampisti italiani e abbassano drasticamente il livello qualitativo del reparto. Nelle ultime amichevoli (prima del ritiro pre-Europeo) Conte ha chiamato per la prima volta Thiago Motta e Jorginho, e proprio a uno dei due interni del controcampo di nascita brasiliana potrebbe venir assegnato il ruolo previsto per Marchisio di equilibratore di centrocampo della Nazionale italiana. Nel 3-4-3 o nel 4-2-4, il secondo posto di interno di centrocampo potrebbe essere di Marco Parolo, sempre presente tra i convocati del tecnico e in grado di fornire dinamismo al reparto. Buone probabilità di


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far parte del gruppo ha anche Riccardo Montolivo e chissà che gli infortuni non riaprano le porte della Nazionale a uno tra Daniele De Rossi e Andrea Pirlo, la cui esperienza con Conte sembrava chiusa. In questo biennio l’Italia ha sempre mostrato una buona organizzazione tattica, anche in considerazione dei tempi ridotti per la preparazione della partita. Prima dell’esordio agli Europei gli azzurri possono lavorare assieme per circa venti giorni e questo periodo dovrebbe permettere all’Italia di diventare una «squadra» come auspicato dal proprio allenatore: «Solo squadre come Brasile, Francia e Germania possono essere selezioni perché hanno dei fenomeni, mentre noi non ce lo possiamo permettere: dobbiamo essere squadra». La qualità media del centrocampo e dell’attacco è sicuramente inferiore a quella delle migliori Nazionali europee e per questo motivo la forza dell’Italia dovrà venire da un’applicazione e un’organizzazione tattica superiore a quella generalmente mostrata dalle squadre Nazionali. Germania, Spagna, Belgio e Francia sembrano più pronte degli azzurri, ma dietro queste quattro squadre c’è un ampio spazio che il livello dei calciatori italiani e l’organizzazione tattica possono occupare. E con un po’ di fortuna, non è detto che la differenza di valori nei novanta minuti non possa venire azzerata del tutto proprio.


PROBABILE FORMAZIONE DELL’ITALIA. TRA PARENTESI I RINCALZI


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