Prefazione all’edizione italiana IL PILOTA AUTOMATICO
Il 24 marzo 2015 un Airbus Lufthansa si schianta contro una parete rocciosa delle Alpi. Centocinquanta persone tra passeggeri ed equipaggio che viaggiavano da Barcellona verso Düsseldorf muoiono all’istante, polverizzate come l’apparecchio del quale i soccorritori non troveranno che frammenti minuscoli. Tra tutte le ipotesi vagliate dagli inquirenti rapidamente ne emerge una, forse, tra tutte, la più agghiacciante. Non si tratta di un incidente tecnico, né di un atto terroristico. Si tratta di un suicidio. Mentre l’aereo sorvolava le montagne, e il primo pilota usciva per andare in bagno, il giovane co-pilota si è chiuso nella cabina e ha guidato l’apparecchio a bassa quota fino a trovarsi di fronte la massa spaventosa delle rocce alpine. Perché lo ha fatto? In poche ore gli investigatori scoprono che il giovane co-pilota Andreas Lubitz, soffrendo di crisi depressive, aveva tenuto nascoste le sue condizioni psichiche, e aveva evitato accuratamente di comunicare alla Lufthansa che i medici gli avevano consigliato di prendere un periodo di assenza dal lavoro. Non c’è proprio niente di cui meravigliarsi nella decisione di Andreas di non rivelare all’azienda la sua sofferenza. Il turbocapitalismo contemporaneo detesta i lavoratori che chiedono di 7
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usufruire dei permessi di malattia, e detesta all’ennesima potenza ogni riferimento alla depressione. Depresso io? Non se ne parli neanche. Io sto benissimo, sono perfettamente efficiente, allegro, dinamico, energico, e soprattutto competitivo. Faccio jogging ogni mattina, e sono sempre disponibile a fare straordinario. Non è forse questa la filosofia del low cost? Non suonano forse le trombe quando l’aereo decolla e quando atterra? Non siamo forse circondati ininterrottamente dalla retorica dell’efficienza competitiva? Non siamo forse quotidianamente costretti a paragonare il nostro stato d’animo con l’allegria aggressiva delle facce che compaiono negli spot pubblicitari, e a sentirci dei perdenti solitari in un mondo di vincenti? Non corriamo forse il rischio di essere licenziati se facciamo troppe assenze per malattia? Subito dopo la scoperta che il co-pilota assassino soffriva di un disturbo psichico depressivo, i giornali consigliano di fare maggiore attenzione nelle assunzioni. Adesso faremo controlli straordinari per verificare che i piloti d’aereo non siano squilibrati, matti, depressi, maniaci, malinconici tristi e sfigati. Davvero? E i medici? E i colonnelli dell’esercito? E gli autisti dell’autobus? E i conducenti del treno? E i professori di matematica? E gli agenti di polizia stradale? Epureremo i depressi. Epuriamoli. Peccato che siano la maggioranza assoluta della popolazione contemporanea. Non sto parlando dei depressi conclamati, che pure sono in proporzione crescente, ma di coloro che soffrono di infelicità. Ma come si può sapere se l’infelicità è destinata a evolversi in silenzioso tormento piuttosto che esplodere in forme imprevedibili di aggressione demente? L’incidenza delle malattie psichiche è cresciuta enormemente negli ultimi decenni, e il tasso di suicidio (secondo il rapporto 8
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dell’organizzazione Mondiale della Sanità del 2011) è cresciuto del 60% negli ultimi quarant’anni. Quaranta anni? E che potrà mai significare? Che cosa è successo negli ultimi quarant’anni per indurci a correre a frotte verso la nera signora? Forse ci sarà un rapporto tra questo incredibile incremento della propensione a farla finita e il trionfo del neoliberismo che implica precarietà e competizione obbligatoria? Forse ci sarà un rapporto con la solitudine di una generazione che è cresciuta davanti allo schermo ricevendo stimoli psico-informativi in accelerazione costante, toccando sempre di meno il corpo dell’altro? Non si dimentichi inoltre che per ogni suicidio realizzato ce ne sono circa venti tentati senza successo. E non si dimentichi che in molti paesi del mondo (anche in Italia) i medici sono invitati a essere cauti nell’attribuire una morte al suicidio, se non ci sono prove evidenti dell’intenzione del deceduto. Quanti incidenti d’auto nascondono un’intenzione suicida più o meno cosciente? Il fenomeno forse più impressionante del nostro tempo – almeno da quando diciannove ragazzi islamici decisero di schiantarsi contro le torri del World Trade Center – è il terrorismo suicida. Se ne sono occupati i giornalisti, i politici, gli esperti in strategia militare, i servizi segreti, le squadre investigative della polizia e molti altri. Ma quelli che hanno da dire la cosa decisiva in proposito sono gli psicologi, ma chi li sta ad ascoltare? Il terrorismo contemporaneo può avere mille cause ideologiche, ma la causa vera è l’epidemia di sofferenza psichica (e sociale, ma le due cose sono una) che si sta diffondendo nel mondo. Si può forse spiegare in termini politici, ideologici, religiosi il comportamento di uno shahid, di un giovane 9
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che si fa esplodere per uccidere quanti più umani gli è possibile? Certo che si può, ma sono chiacchiere. La verità è che chi si uccide considera la sua propria vita un peso intollerabile, e vede nella morte la sola salvezza, e nella strage la sola vendetta. Un’epidemia di suicidio si è abbattuta sul pianeta terra, perché da decenni si è messa in moto una gigantesca fabbrica dell’infelicità cui sfuggire sembra impossibile. Andreas Lubitz si è chiuso dentro quella maledetta cabina di pilotaggio perché temeva che la malattia avrebbe fatto di lui un perdente, e come la maggioranza dei suoi coetanei pensava che questa sia la colpa più vergognosa. E perché accusava del suo dolore i centocinquanta passeggeri e colleghi che volavano con lui, dal momento che gli altri non possono essere altro che concorrenti. Andreas Lubitz si è gettato contro le rocce perché l’infelicità ci divora da quando la pubblicità ci ha sottoposto a un bombardamento di felicità obbligatorio, la solitudine digitale ha moltiplicato gli stimoli e isolato i corpi, e il capitalismo finanziario ci ha costretto a lavorare il doppio per guadagnare la metà. Questo libro è dedicato alla tendenza dominante nell’età del capitalismo finanziario: il suicidio. Non mi riferisco soltanto dell’inquietante aumento del tasso di suicidio individuale. Mi riferisco al fatto che l’umanità intera ha scelto di suicidarsi. Forse la decisione l’hanno presa in pochi, ma tutti siamo costretti a prenderne atto. O forse non l’ha proprio deciso nessuno, ma tutti siamo in trappola in questa carlinga che vola nella notte della follia finanziaria, mentre non sappiamo come aprire la porta della cabina di pilotaggio. Tanto dentro il pilota non c’è. L’ha detto varie volte Mario Dra10
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ghi, che passa per un signore molto assennato a cui invece andrebbe concesso un lungo periodo di vacanza. Non importa per chi votate alle elezioni, ha detto Draghi. Non importa quale governo abbiano scelto i greci, non importa che voi siate d’accordo oppure no. La politica economica europea va avanti con il pilota automatico. Prendiamone atto: la democrazia è un rituale di consolazione, un costoso addestramento alla rassegnazione. La democrazia è la scelta tra persone diverse che debbono gestire un programma che non è in discussione. Dove ci porta il pilota automatico dovremmo averlo capito: verso una crescente miseria materiale e soprattutto verso una miseria psichica assoluta. Forse ci sarà, come promettono, una ripresa dell’economia, ma entro la sfera del capitalismo finanziario non ci sarà di sicuro una ripresa della società. Per quanto complicati siano i suoi algoritmi le sue variabili e i suoi derivati, la politica economica del capitalismo finanziario ha una finalità chiarissima: sottrarre risorse alla società per destinarle al sistema bancario. Tutto il resto sono dettagli irrilevanti. Perciò l’economia finanziaria andrà tanto meglio quanto più povera malata e disperata sarà la società. L’impoverimento è la condizione dell’accumulazione finanziaria, dunque la miseria crescente della maggioranza è la norma, lo sfruttamento crescente è la norma. È questo il suicidio per esaurimento al quale è destinata la civiltà sociale che credevamo eterna. Ma nel suicidio cui ci ha destinato il capitalismo finanziario ci sono precipizi più eccitanti, più rapidi e violenti. Per esempio la devastazione dell’ambiente che procede imperterrita nonostante 11
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i summit e le promesse e i pentimenti. Basti dire che nel 2015 il petrolio costa la metà di quanto costava nel 2014, e poiché la ripresa economica dei paesi europei si affida alla diminuzione dei costi energetici, l’emissione di sostanze tossiche è destinata ad aumentare. Dato che l’economia è prioritaria rispetto alla qualità dell’aria che respiriamo non c’è dubbio che il cancro ai polmoni si diffonderà. Non c’è dubbio che i ghiacci del polo continueranno a sciogliersi, e gli uragani sempre più devasteranno territori che cinquant’anni fa non avevano mai conosciuto fenomeni meteorologici estremi. Nel progetto suicidario che stiamo realizzando c’è infine l’esperienza più eccitante. È la guerra di tutti contro tutti che si va espandendo nel bacino Mediterraneo, in gran parte del continente euroasiatico e anche più in là. Nel libro che tenete tra le mani mi sono occupato di raccontare episodi che i giornali relegano nelle pagine della cronaca nera: pazzi criminali si procurano (senza difficoltà) armi micidiali e le usano per liberarsi di se stessi, senza trascurare nel frattempo di massacrare qualche decina di innocenti. Non sono episodi marginali, dovremmo leggerli come il sintomo estremo di una sofferenza che dilaga al cuore della società contemporanea, perché il capitalismo finanziario è la fabbrica dell’infelicità, è un buco nero che inghiotte i beni comuni, il prodotto del lavoro, e soprattutto inghiotte la gioia, la speranza, e la possibilità stessa di vivere la vita. 29 marzo 2015
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