Non sei mai stato qui

Page 1


Joe avvertì qualcosa dietro di sé. Era la presenza della vita e della violenza imminente, e quel presentimento, quella sensibilità, gli permisero di girarsi in tempo e di beccarsi lo sfollagente sulla spalla, sempre meglio che prenderselo sull’osso del collo e la scatola cranica. Inoltre era la spalla sinistra, mentre lui era destrimano, così voltandosi del tutto riuscì ad afferrare il polso dell’altro prima che il manganello si abbassasse di nuovo, e i due si ritrovarono faccia a faccia, alti uguali com’erano, e Joe fece subito scattare la fronte come un mattone, colpendo il setto nasale dell’altro, frantumandogli l’osso, e l’uomo sentì la botta e la paura e il dolore lancinante e cominciò ad accasciarsi, allora Joe alzò il ginocchio mentre l’uomo andava giù, lo alzò con forza, senza pietà, sbattendolo contro la mascella dell’avversario, che andò giù del tutto, a corpo morto, esanime ma vivo. Joe si guardò in fretta a destra e sinistra. Si trovava in un vicolo largo abbastanza per un’auto. Era uscito dal sordido albergo in cui alloggiava dall’ingresso di servizio, che dava sul centro della viuzza, e alle due estremità non stava passando né si era fermato nessuno. Nessuno aveva visto niente. Dalla strada principale proveniva un po’ di luce, ma il vicolo restava perlopiù in ombra. Joe mosse il braccio sinistro cercando di riattivarlo, lo sfollagente gli aveva intorpidito tutto l’arto, poi trascinò 7


l’uomo dietro a un cassonetto e gli frugò velocemente nelle tasche del giubbotto leggero, una giacca a vento blu. Il tipo era un professionista. Niente portafoglio. Niente documenti. Solo un mazzo di chiavi e un fermasoldi con circa duecento dollari. Però c’era un cellulare. Quindi non era un professionista fatto e finito. Non aveva previsto di perdere e non aveva previsto di essere perquisito, come invece faceva Joe. Joe non portava mai il cellulare. Osservò lo sfollagente. Roba da poliziotti. Probabilmente si trattava di uno sbirro corrotto, arrivato dai sobborghi di Cincinnati per sbrigare un lavoretto extra nella grande città, dove la sua faccia non era conosciuta. Chiunque l’avesse mandato non voleva Joe morto. Non ancora, perlomeno. Volevano prelevarlo e parlargli. Probabilmente c’era un complice che aspettava in macchina, in attesa di una telefonata. Joe si sarebbe insospettito vedendo un’auto nel vicolo, quindi il tizio si era nascosto nella rientranza di un muro. Doveva manganellare Joe, chiamare il collega, caricare il corpo in macchina e portarlo dal capo. Joe guardò l’ultimo sms inviato: «Tieni il motore acceso. Ci muoviamo tra poco». «Ricevuto», diceva la risposta. Probabilmente due sbirri corrotti. Il vicolo era a senso unico. Questo significava che il complice doveva essere dietro l’angolo di sinistra, col motore al minimo, così da poter imboccare la strada senza fare il giro dell’isolato. Joe esitava. Era pronto a lasciare Cincinnati. Il suo lavoro l’aveva fatto. Aveva tirato fuori la ragazza. Non era tenuto a occuparsi del tizio in macchina. Il suo informatore l’aveva venduto, aveva spifferato il nome del suo hotel, persino il fatto che usava l’ingresso di servizio, ma era tutto quel che avevano, perché era tutto quel che aveva il suo informatore. 8


Joe pensò a cos’era rimasto in camera: uno spazzolino da denti, un martello nuovo, un borsone e un cambio di vestiti. Ma niente di importante, niente di identificabile. Era uscito a comprare qualcosa da mangiare, con l’intenzione di lasciare la città l’indomani, invece avrebbe dovuto andarsene non appena concluso il lavoro. Che negligente, pensò. Cosa mi prende? Presto il tizio in macchina sarebbe venuto a ficcare il naso. Joe non desiderava altri scontri, perché non si può vincere sempre. Volevano sapere come fosse giunto fino a loro e se sarebbe arrivato qualcun altro, e poi l’avrebbero ammazzato. Non doveva eliminarli tutti soltanto perché volevano delle informazioni. Lui era un uomo solo, non l’intero braccio della giustizia. Ho fatto abbastanza, si disse. La ragazza aveva riportato dei danni ma era libera. Così corse verso l’altra estremità del vicolo, sporse rapidamente la testa, sbirciò a destra e sinistra: non c’era un terzo uomo di guardia. Nessun complice seduto in auto, nessuno piantato davanti a un portone che tentava di non sembrare un piantone. Uscì sulla strada, cominciò a camminare. Era ottobre inoltrato e nell’aria aleggiava un odore dolciastro, come di un fiore appena appassito. Pensò all’ultima volta in cui era stato felice. Erano passati più di vent’anni. Poi Joe adocchiò un taxi verde. Gli piacevano i taxi di Cincy. Le auto erano vecchie. I tassisti erano neri. Sembrava tutto come ai bei tempi. Salì in macchina. «All’aeroporto», disse, e tastò il fermasoldi. Avrebbe dato all’autista una bella mancia. *** Joe era steso a letto, a casa di sua madre. Stava pensando al suicidio. Questo pensiero era come un metronomo per 9


lui. Sempre presente, sempre ticchettante. Per tutto il giorno, ogni pochi minuti, pensava Devo suicidarmi. Ma la mattina e prima di addormentarsi, il pensiero era più elaborato. Joe sapeva che era una perdita di tempo – doveva aspettare finché non fosse morta sua madre – ma non riusciva a smettere. Era la sua storia preferita. L’unica di cui conoscesse con certezza il finale. Nelle ultime settimane c’era sempre di mezzo l’acqua. Il suo piano era di lasciarsi scivolare nell’Hudson di notte, durante l’alta marea, vicino al ponte di Verrazzano. Le correnti erano forti e l’avrebbero trascinato fino al mare. Non voleva che qualcuno dovesse preoccuparsi del suo cadavere. Una volta, durante il primo congedo dai marine, molto prima di tornare a vivere con sua madre, ce l’aveva quasi fatta. Dopo aver espletato le pratiche burocratiche a Quantico, era finito in un motel vicino a Baltimora, dove per alcuni giorni aveva bevuto in solitudine e se n’era andato al cinema a vedere e rivedere sempre gli stessi tre film. Poi una sera, in motel, aveva ingurgitato un mucchio di sonniferi e si era avvolto la testa in vari strati di sacchi neri dell’immondizia, fermandoli sul collo con del nastro adesivo. Si era sentito venir meno, un’ombra attorno ai bordi della mente, e aveva udito una voce che gli diceva: «Va tutto bene, puoi andartene, tu non sei mai stato davvero qui». Ma poi si era strappato via i sacchetti e si era svuotato lo stomaco. Dopo quella volta, la storia non prevedeva mai la presenza del cadavere, nessun casino da sistemare. Sarebbe stato deplorevole. Quando fosse arrivato il momento di andarsene, questo avrebbe fatto: una cancellazione totale. Dunque sarebbe stato il mare ad averlo. Al mare non sarebbe dispiaciuto prenderlo con sé.

10


Sentì sua madre muoversi al piano di sotto e si alzò dal letto. Fece cento flessioni e cento addominali, il suo rito mattutino. Quegli esercizi, camminare tanto e stringere una palla in mano il più spesso possibile era tutto quel che faceva per tenersi in forma. Ci teneva soprattutto ad avere delle mani forti. Tornava utile quando lottava. Se spezzi le dita all’avversario, passi subito in vantaggio. Spaventerebbe anche il più duro degli uomini ritrovarsi con le dita rotte, e in una lotta, come in un ballo, spesso ci si tiene per mano. Quindi le sue mani erano armi, tutto il suo corpo era un’arma, spietata come una mazza da baseball. Un metro e ottantotto per ottantasei chili, neanche un filo di grasso. Aveva quarantotto anni, ma la sua pelle olivastra era ancora molto liscia, facendolo sembrare più giovane di quel che era. I capelli corvini erano diradati sulle tempie, lasciando un triangolino, come la punta di un coltello, sulla fronte. Portava i capelli corti come un marine in licenza. Era per metà irlandese e per metà italiano. Aveva un naso lungo e storto da italiano, narici arcuate e ferine, e inquietanti occhi di un azzurro gaelico, occhi infossati e profondi, molto italiani tranne che per il colore. Era una faccia dolente, una faccia assorta, con una fronte spessa, un’altra arma, e anche la mascella era lunga e larga, come la pala di un badile. Quando passava davanti alle telecamere di sorveglianza la tirava in dentro. Il berretto da baseball che portava sempre nascondeva il resto del viso, che nel complesso non era brutto ma nemmeno bello. Era qualcos’altro. Era una maschera che se avesse potuto si sarebbe strappato di dosso. Sapeva di non essere del tutto sano di mente, quindi si teneva strettamente sotto controllo, carceriere e prigioniero al tempo stesso.

11


Si infilò mutande e maglietta e scese in cucina a fare colazione. Sua madre stava sulla sua solita sedia accanto alla finestra, con la vestaglia da casa e le ciabatte, in attesa di vederlo comparire. Gli aveva apparecchiato la tavola. Sua madre aveva ottant’anni, adesso era piccolina e aveva l’aspetto di una vedova dei Paesi mediterranei. A Genova, dov’era nata, si sarebbe vestita di nero, dato che là le vedove si trasformavano in una specie di suore durante la lunga, protratta parte finale della loro vita. I suoi capelli grigio peltro erano raccolti in un nodo sulla testa, e portava grossi occhiali che occupavano gran parte del viso giallastro, un viso tondo e triste. Quand’erano sciolti, quei capelli che non tagliava da anni le arrivavano fino alla vita. Una volta Joe l’aveva vista mentre era in bagno – la porta era socchiusa – con la vestaglia da casa e la testa nel lavandino, che si faceva uno shampoo. Poi si era raddrizzata buttando indietro i capelli, come una ragazzina, e i capelli avevano compiuto un arco nell’aria schioccando come una lunga fune d’argento. Era rimasto colpito da quella magnificenza. Una volta era stata bella. Sua madre si alzò lentamente per versargli il caffè e preparargli le uova. Dietro le lenti, lo guardò con affetto, un piccolo scintillio negli occhi, ma non sorrise. Quello sguardo era l’unica gioia della vita di Joe, e l’unica gioia della vita di sua madre. Non si parlavano quasi mai.

12


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.